01.06.2013 Views

Gennaio 2004 - Ordine dei Giornalisti

Gennaio 2004 - Ordine dei Giornalisti

Gennaio 2004 - Ordine dei Giornalisti

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong><br />

giornalisti<br />

della<br />

Lombardia<br />

Il ministero dell’Istruzione-Università<br />

nell’ottobre scorso ha rimeditato la<br />

questione del collegamento tra<br />

laurea universitaria, praticantato<br />

giornalistico ed esame di Stato.<br />

Il ministro Letizia Moratti ha dato<br />

disco verde alle modifiche<br />

del Dpr n. 328/2001, istituendo una<br />

commissione ad hoc guidata<br />

dal sottosegretario di Stato Maria<br />

Grazia Siliquini. Conseguentemente<br />

il Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti della Lombardia<br />

ha bloccato una delibera con la<br />

quale lo stesso Consiglio, quale<br />

autorità amministrativa, avrebbe<br />

disapplicato la normativa nazionale<br />

in tema di accesso, affermando<br />

la prevalenza sulla norma interna<br />

della Direttiva n. 89/48/CEE<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo<br />

Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo<br />

LA SENTENZA (N. 353, DEPOSITATA IL 12 DICEMBRE 2003) DELLA CORTE COSTITUZIONALE<br />

CHIARISCE I CONFINI DEL NUOVO TITOLO V DELLA COSTITUZIONE<br />

“Professioni, decide solo lo Stato”<br />

(<strong>Giornalisti</strong> vicini alla laurea)<br />

La Direttiva n. 89/48/CEE,<br />

in base alla sentenza della quarta<br />

sezione della Corte di Giustizia<br />

europea nella causa C- 285/00,<br />

si applica “alle professioni<br />

regolamentate, cioè a quelle<br />

per le quali l’accesso o l’esercizio<br />

sono subordinati, direttamente<br />

o indirettamente, mediante<br />

disposizioni legislative,<br />

regolamentari o amministrative,<br />

al possesso di un diploma<br />

universitario della durata minima<br />

di tre anni”<br />

Aumentano anche le quote per coniugi e genitori<br />

Casagit: nuovo tariffario<br />

con rimborsi più pesanti<br />

Milano, 2 dicembre 2003. Dal primo<br />

gennaio <strong>2004</strong> la Casagit ha finalmente<br />

adeguato il tariffario dopo anni di blocco: ci<br />

sarà un aumento medio del 15% sui rimborsi<br />

sanitari. La notizia è stata data da Franco<br />

Siddi, rappresentante della Fnsi nel consiglio<br />

d’amministrazione Casagit, all’ultima riunione<br />

della Giunta federale.<br />

Non aumentano, però, solo le prestazioni:<br />

Siddi ha spiegato che “la Casagit aveva<br />

previsto un sostanziale aumento per genitori<br />

e coniugi a carico, dopo ampia discussione<br />

gli aumenti sono stati più limitati (per i coniugi<br />

si pagheranno 744 euro nel <strong>2004</strong>), mentre<br />

è stato adeguato il tariffario, che entrerà in<br />

vigore dal 1° gennaio <strong>2004</strong>”.<br />

Inoltre, i non contrattualizzati pagheranno in<br />

base a tre fasce di reddito (fino a 71.000<br />

euro, fino a 100.000 euro e oltre), mentre per<br />

i contratti differenziati “è stato avviato un<br />

confronto che dovrebbe portare a una definizione<br />

in tempi brevi, con contribuzioni ridotte<br />

e pagamenti ridotti in base al tariffario”, ha<br />

detto Siddi, aggiungendo: “La Casagit non<br />

taglia le prestazioni ai soci attuali ma in<br />

prospettiva non è sostenibile che per i<br />

contratti differenziati ci sia lo stesso trattamento<br />

per chi versa contributi ridotti”.<br />

Il CdA Casagit ha impostato il calcolo sulla<br />

spesa media, non più sui versamenti contributivi:<br />

“Se nel <strong>2004</strong> dovesse arrivare un<br />

nuovo contratto differenziato per 500 o più<br />

colleghi (quello degli uffici stampa, per esempio)<br />

si andrebbe a uno sbilancio”, ha ricordato<br />

Siddi.<br />

La discussione è aperta. In sostanza, la Fnsi<br />

ritiene che bisogna cominciare a ragionare<br />

sulle fasce di reddito anche in previsione<br />

dell’allargamento della Casagit ai pubblicisti<br />

con contratto art. 2, 12 e 36: l’idea non è di<br />

azzerare la soglia d’ingresso, bensì quella di<br />

cercare di abbassarla il più possibile,<br />

consentendo a chi è al di sotto della fascia<br />

minima di integrare, contemperando le<br />

esigenze di solidarietà e quelle di bilancio<br />

della Cassa.<br />

È necessario ricordare però che tutti i giornalisti<br />

iscritti alla cassa riceveranno a casa il<br />

nuovo tariffario insieme alle convenzioni in<br />

atto in tutta Italia. E sarà inoltre disponibile<br />

sul sito della cassa www.casagit.it.<br />

Gli esempi più eloquenti sono quelli delle<br />

visite specialistiche che, nel nuovo elenco,<br />

passano da 61,97 a 80 euro, mentre le visite<br />

omeopatiche da 41,32 a 50 euro. A loro<br />

volta, la degenza retta giornaliera passa da<br />

232,41 a 250 euro, la retta per malattie<br />

nervose da 154,94 a 200 euro, quella per<br />

lungodegenza da 30,99 a 35 euro. Per la<br />

chirurgia generale invece l’aumento medio è<br />

del 10 per cento come per le cure dentarie,<br />

mentre la fisioterapia lievita del 20 ed entra<br />

la nuova voce dell’assistenza ai malati terminali<br />

(150 euro al giorno). Il settore psicoterapia<br />

vede un aumento delle sedute da 35 a<br />

40 euro l’anno e del concorso per visita da<br />

25,82 a 30 euro.<br />

La diagnostica, infine, assiste anch’essa<br />

all’aumento medio del 10 per cento. Tutto<br />

questo, ossia l’onere complessivo dell’aumento<br />

<strong>dei</strong> rimborsi, costerà circa 4.600.000<br />

euro l’anno pari a 9 miliardi del vecchio<br />

conio.<br />

(Servizio in ultima)<br />

Sono mutati i requisiti culturali<br />

per l’esercizio di una professione<br />

nell’ambito <strong>dei</strong> Paesi Ue e,<br />

quindi, i giornalisti professionisti<br />

italiani non possono essere<br />

discriminati rispetto agli altri<br />

professionisti italiani e a quelli<br />

europei sotto il profilo della<br />

preparazione universitaria minima<br />

di tre anni, principio al quale devono<br />

attenersi anche alcune professioni<br />

un tempo collegate a un diploma<br />

di scuola media superiore<br />

(geometri, ragionieri, periti agrari<br />

e periti industriali)<br />

Anno XXXIV<br />

n. 1 <strong>Gennaio</strong> <strong>2004</strong><br />

Direzione e redazione<br />

Via Appiani, 2 - 20121 Milano<br />

Telefono: 02 63 61 171<br />

Telefax: 02 65 54 307<br />

http://www.odg.mi.it<br />

e-mail:odgmi@odg.mi.it<br />

Spedizione in a.p. (45%)<br />

Comma 20 (lettera b)<br />

dell’art. 2 della legge n. 662/96<br />

Filiale di Milano<br />

di Franco Abruzzo<br />

Le Regioni non possono istituire nuove<br />

professioni. Questo è l’assunto centrale della<br />

sentenza n. 353 (depositata il 12 dicembre<br />

2003) della Corte costituzionale, che ha<br />

abrogato (in quanto “illegittima”) una legge<br />

piemontese istitutiva di figure sanitarie. La<br />

sentenza chiarisce l’ambito delle competenze<br />

concorrenti tra Stato e Regioni e afferma<br />

che la materia delle professioni, con i relativi<br />

profili ed ordinamenti didattici, appartiene<br />

soltanto allo Stato. La Consulta scrive:<br />

“…non pare quindi dubbio che, anche oggi,<br />

la potestà legislativa regionale in materia di<br />

professioni sanitarie debba rispettare il principio,<br />

già vigente nella legislazione statale,<br />

secondo cui l’individuazione delle figure<br />

professionali, con i relativi profili ed ordinamenti<br />

didattici, debba essere riservata<br />

allo Stato… la legge della Regione Piemonte<br />

n. 25 del 2002 … viene soprattutto ad incidere<br />

su aspetti essenziali della disciplina<br />

degli operatori sanitari senza appunto rispettare,<br />

in violazione dell’art. 117, terzo comma<br />

L’ assemblea degli iscritti giovedì 25 marzo <strong>2004</strong><br />

“Oro” a 22 colleghi<br />

per 50 anni di Albo<br />

Milano, 2 gennaio <strong>2004</strong>. Sono 22 i colleghi<br />

(18 professionisti e 4 pubblicisti) che<br />

quest’anno compiono i 50 anni di iscrizione<br />

negli elenchi dell’Albo. Riceveranno la<br />

medaglia d’oro dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia<br />

in occasione dell’assemblea annuale degli<br />

iscritti che si terrà giovedì 25 marzo (h 15)<br />

al Circolo della Stampa. Ed ecco i loro nomi:<br />

PROFESSIONISTI<br />

Giuliano Coacci, Nicola D’Amico, Giorgio<br />

D’Ilario, Pilade Del Buono, Bruno Giuseppe<br />

Enriotti, Massimo Fabbri, Enzo Fabiani,<br />

Carmela Fedele, Enzo Freri, Ferdinando<br />

Mariani, Marco Matteucci, Mario Oriani,<br />

Anna Maria Ottolenghi, Massimo Ranghie-<br />

SOMMARIO<br />

Letizia Moratti Maria Grazia Siliquini<br />

Segue a pagina 3<br />

ri, Sergio Rossi, Giorgio Santocanale,<br />

Angelo Soldani, Luigi Vismara.<br />

PUBBLICISTI<br />

Luciano Consigli, Franco Gallini, Jole Giannini,<br />

Giancarlo Sansoni.<br />

Nel corso dell’assemblea verranno consegnate<br />

le tessere di praticante agli allievi della<br />

Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica<br />

e dell’Ifg “Carlo De Martino”. Verranno<br />

premiati anche i vincitori del “Concorso Tesi<br />

di laurea sul giornalismo”. All’ordine del giorno<br />

dell’assemblea degli iscritti all’Albo figura<br />

l’approvazione del bilancio preventivo <strong>2004</strong><br />

e del conto consuntivo 2003.<br />

Inpgi Braccio di ferro tra i due schieramenti pag. 2<br />

Diffamazione <strong>Giornalisti</strong> ancora sospesi tra carcere e multe pag. 4<br />

Tesi di laurea Schumacher, mito tedesco. Ferrari, leggenda italiana pag. 6<br />

Giurisprudenza Quando il trasferimento di sede di un inviato è nullo pag. 11<br />

Centenari “Malaparte autentico” nel ricordo di Lino Pellegrini pag. 12<br />

Vigevano ricorda Tommaso Besozzi pag. 26<br />

Intervista Giancolombo, il Dopoguerra con ironia pag. 14<br />

Riforma Tv Ciampi non firma la legge. Il messaggio del Presidente pag. 17<br />

Solidarietà Bagliori nelle tenebre. Viaggio nei reparti del dolore pag. 18<br />

Giornali storici Quando i giornalisti facevano i commessi pag. 20<br />

Felice Cavallotti, il D’Artagnan del giornalismo italiano pag. 22<br />

La stampa socialista, storie di schiavi bianchi nell’Italia unita pag. 25<br />

La libreria di Tabloid Le recensioni del mese pag. 27<br />

1


CRONACA DELLA PRIMA SEDUTA DEL CONSIGLIO GENERALE DELL’ISTITUTO. RINVIO AL 14 GENNAIO <strong>2004</strong><br />

4 dicembre: subito<br />

braccio di ferro tra<br />

i due schieramenti<br />

(le nomine slittano)<br />

1. Comunicato di Autonomia e solidarietà/<strong>Giornalisti</strong> uniti<br />

“È ancora possibile un dialogo per evitare<br />

i rischi di un prolungato vuoto<br />

nella gestione dell’Istituto”<br />

Roma, 4 dicembre 2003. Le componenti di<br />

“Autonomia e Solidarietà” e “<strong>Giornalisti</strong> Uniti<br />

per un’informazione libera” esprimono<br />

rammarico per la mancata elezione del<br />

Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi da<br />

parte del Consiglio generale riunito oggi.<br />

L’Istituto di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti non ha<br />

quindi ancora una guida stabile ed autorevole,<br />

a causa dell’atteggiamento ostruzionistico<br />

di 19 consiglieri che non hanno partecipato<br />

al voto facendo mancare il quorum di due<br />

terzi degli aventi diritto al voto previsto dallo<br />

2. Comunicato di Inpgi.Sicambia<br />

Roma, 4 dicembre 2003. La “maggioranza”<br />

dell’Inpgi che fa capo al presidente uscente<br />

Gabriele Cescutti non è riuscita ad eleggere<br />

il nuovo consiglio d’amministrazione.<br />

Lo annunciano i consiglieri generali di<br />

Inpgi.Sicambia (Puntoeacapo, Quarto Potere,<br />

Stampa Democratica, Stampa Romana)<br />

che, insieme al consigliere della Calabria,<br />

non hanno partecipato al voto facendo<br />

mancare il numero legale. In questo modo,<br />

Inpgi.Sicambia ha impedito l’arrogante blitz<br />

tentato dalla “maggioranza” (che comprende<br />

Cescutti e il segretario Fnsi Paolo Serventi<br />

Longhi) che aveva dichiarato di voler occupare<br />

9 posti su 10 in consiglio d’amministrazione.<br />

“L’istituto di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti deve<br />

essere rinnovato e gestito tenendo conto<br />

della volontà di oltre 2.300 colleghi che<br />

hanno votato per Inpgi.Sicambia in Lazio-<br />

Molise, Lombardia e Campania: in queste<br />

regioni, dove opera più del 63% <strong>dei</strong> giornalisti<br />

italiani, la coalizione di Inpgi.Sicambia ha<br />

ottenuto una netta vittoria. L’attuale statuto<br />

Inpgi assegna solo il 50% <strong>dei</strong> consiglieri alle<br />

regioni dove lavora la maggioranza <strong>dei</strong> gior-<br />

23 dicembre<br />

Trattative bloccate<br />

sul “nodo Cescutti”<br />

Roma, 23 dicembre 2003. L’alleanza inpgi.sicambia ha<br />

diffuso il seguente comunicato: “Una soluzione per il governo<br />

dell’Inpgi si potrà trovare se il Presidente uscente<br />

Gabriele Cescutti farà un passo indietro. È quanto hanno<br />

chiesto i portavoce di “Inpgi.Sicambia” durante il secondo<br />

incontro che si è tenuto oggi con i rappresentanti di “Autonomia<br />

e Solidarietà/<strong>Giornalisti</strong> Uniti”.<br />

A fronte di proposte tanto modeste da risultare irrispettose<br />

nei confronti dell’elettorato che a Milano, Roma e Napoli si<br />

è espresso con chiarezza per un radicale cambiamento<br />

nella gestione dell’Istituto, i rappresentanti di inpgi.sicambia,<br />

hanno ribadito la necessità di un effettivo rinnovamento<br />

dell’Inpgi, a partire dalla sostituzione del Presidente.<br />

Con questa pregiudiziale il confronto rimane comunque<br />

aperto. Il Consiglio Generale che dovrà nominare il CdA è<br />

fissato per il 14 gennaio prossimo: dunque c’è ancora<br />

tempo per trovare una soluzione adeguata. Chi vuole a tutti<br />

i costi e con qualsiasi compromesso imporre Gabriele<br />

Cescutti alla guida dell’Inpgi si assume la responsabilità di<br />

un percorso che contiene il rischio del Commissariamento<br />

dell’Istituto”.<br />

Statuto per l’elezione del Cda. Alla votazione<br />

hanno infatti partecipato 38 consiglieri su 58,<br />

quindi una maggioranza larga che intende<br />

confermare e rafforzare la linea di onestà,<br />

rigore ed efficienza seguita dai precedenti<br />

Consigli di amministrazione.<br />

Le componenti di maggioranza ritengono sia<br />

ancora possibile un dialogo tra tutte le aree<br />

presenti nel Consiglio generale dell’Inpgi per<br />

ricercare una soluzione condivisa che eviti i<br />

rischi di un prolungato vuoto nella gestione<br />

dell’Istituto.<br />

“Abbiamo impedito a una maggioranza<br />

di palazzo di sostituirsi<br />

alla vera maggioranza degli elettori”<br />

nalisti: oggi abbiamo impedito che una<br />

maggioranza di palazzo si sostituisse alla<br />

vera maggioranza degli elettori, ma siamo<br />

disponibili a lavorare insieme per un’effettiva<br />

collaborazione. Perciò avevamo proposto,<br />

prima di uscire dall’aula, il rinvio del voto per<br />

il consiglio d’amministrazione e siamo aperti<br />

a un confronto serio nei prossimi giorni”,<br />

hanno dichiarato i consiglieri di Inpgi.Sicambia<br />

Maurizio Andriolo, Enrico Castelli, Paolo<br />

Chiarelli, Marcella Ciarnelli, Stefania Conti,<br />

Carlo Ercole Gariboldi, Francesco Gerace,<br />

Giacomo Lombardi, Silvana Mazzocchi,<br />

Umberto Nardacchione, Giovanni Negri,<br />

Giuseppe Nicotri, Edmondo Rho, Pierluigi<br />

Roesler Franz, Marco Sassano, Claudio<br />

Scarinzi, Massimo Signoretti, Marcello Ugolini,<br />

Lino Zaccaria. A sua volta il consigliere<br />

Carlo Parisi, ha dichiarato: “Ho preso atto<br />

che il segretario aggiunto della Fnsi, Giovanni<br />

Rossi, ha ufficialmente affermato che non<br />

ci sono le condizioni politiche per un allargamento<br />

della maggioranza e quindi, pur non<br />

appartenendo alla coalizione Inpgi.Sicambia,<br />

la Calabria ha abbandonato l’aula non partecipando<br />

al voto”.<br />

Inpgi<br />

Lettera-proposta<br />

Presidente e consiglieri<br />

a casa dopo due mandati<br />

Ritengo che sia dovere di ogni giornalista partecipare al<br />

dibattito che sta infiammando l’Inpgi. Abilitato e fortificato da<br />

40 anni di iscrizione all’Albo, chiedo ospitalità a Tabloid ed<br />

entro subito in argomento prendendo spunto dall’articolo di<br />

Enzo Chiodini apparso sul numero di dicembre, articolo scritto<br />

con rabbia e amore, impastato di spirito caustico e di forti<br />

verità.<br />

Punti nodali della riforma sono quelli indicati con lucido vigore<br />

da Franco Abruzzo: la revisione dello statuto per abolire<br />

l’attuale iniquo sistema elettorale e l’abolizione del divieto di<br />

cumulo che tanti danni - in massima parte non rimediabili -<br />

ha combinato ai pensionati.<br />

Ma vorrei dire qualcosa di più a costo di attirarmi antipatie a<br />

ogni livello.<br />

Il nuovo auspicabile statuto dovrebbe contenere la norma<br />

che impedisce la rielezione di presidente, consiglieri e sindaci<br />

dopo due mandati consecutivi.<br />

Quante volte noi giornalisti accusiamo personaggi dell’industria,<br />

della finanza, della politica e dello sport di essere legati<br />

al classico, fatidico, compromettente cadreghino? Perché<br />

non dare prova che nell’alternanza crediamo davvero?<br />

11 dicembre: inizia<br />

il confronto serrato<br />

per scongiurare<br />

il commissariamento<br />

Roma, 11 dicembre 2003. Iniziato oggi il<br />

confronto per eleggere i nuovi vertici dell’Inpgi.<br />

“Inpgi.Sicambia” ha accettato di incontrare i<br />

vertici della Fnsi, guidati dal segretario Paolo<br />

Serventi Longhi, e il presidente uscente<br />

dell’Inpgi Gabriele Cescutti, per trovare una<br />

soluzione all’attuale impasse e per dare un<br />

futuro all’Istituto di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti’:<br />

“Dopo la fumata nera del 4 dicembre scorso,<br />

quando è fallito il tentato blitz della ‘maggioranza’<br />

che voleva occupare 9 posti su 10 in Consiglio<br />

d’Amministrazione, abbiamo ribadito oggi<br />

che il confronto deve garantire una effettiva<br />

rappresentanza della volontà di oltre 2.300<br />

colleghi che hanno votato per noi in Lazio-Molise,<br />

Lombardia e Campania”, hanno dichiarato i<br />

rappresentati di Inpgi.Sicambia. Durante l’incontro<br />

di oggi, i portavoce di Inpgi.Sicambia,<br />

Silvana Mazzocchi e Giovanni Negri hanno<br />

ribadito le posizioni dell’alleanza - cui hanno<br />

aderito Puntoeacapo, Professione Giornalista,<br />

Quarto Potere, Stampa Democratica e<br />

per la lista <strong>dei</strong> pensionati Stampa Romana -<br />

e il segretario della Fnsi ha garantito che senza<br />

un ulteriore passaggio con Inpgi.Sicambia<br />

non si riunirà il Consiglio generale dell’Istituto<br />

di previdenza per eleggere il nuovo Consiglio<br />

d’Amministrazione. Inpgi.Sicambia “considera<br />

positivo l’avvio di un confronto politicoprogrammatico<br />

per il funzionamento dell’Istituto<br />

di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti: l’elezione <strong>dei</strong><br />

nuovi vertici al momento appare improbabile<br />

possa avvenire prima delle prossime festività”.<br />

“In Lazio-Molise, Lombardia e Campania, dove<br />

opera più del 63% <strong>dei</strong> giornalisti italiani, la<br />

coalizione di Inpgi.Sicambia ha ottenuto una<br />

netta vittoria: noi siamo disponibili a lavorare<br />

insieme per un’effettiva collaborazione, ma<br />

chiediamo tra l’altro una riforma statutaria che<br />

dia maggiori garanzie all’intera categoria”,<br />

hanno concluso i rappresentanti di<br />

Inpgi.Sicambia.<br />

Riscontro di apertura per il momento, come si<br />

legge in una nota di “Autonomia e solidarieta e<br />

<strong>Giornalisti</strong> uniti, le componenti che sul piano<br />

nazionale hanno ottenuto la maggioranza degli<br />

eletti nel consiglio generale dell’Inpgi (oltre 34<br />

eletti), e che hanno avviato oggi il confronto<br />

con le liste di minoranza (19 eletti) in vista della<br />

formazione del consiglio di amministrazione<br />

dell’istituto”. La maggioranza “si è detta disponibile<br />

al dialogo, purché non si vogliano stravolgere<br />

o addirittura capovolgere con accordi<br />

di vertice i risultati delle urne, che sono stati<br />

chiari e netti, ottenuti su programmi e candidati<br />

ben identificati. Apertura al dialogo. Apertura<br />

al confronto. In modo da garantire all’Inpgi un<br />

governo efficiente, solido, capace di garantire<br />

il futuro e non solo di fare promesse”. (AGI)<br />

Abruzzo<br />

“Ora serve<br />

un presidente<br />

di garanzia”<br />

Milano, 11 dicembre 2003. Franco<br />

Abruzzo (Movimento Professione<br />

Giornalista) ha così commentato gli<br />

avvenimenti romani: “Rimango dell’idea<br />

che l’Inpgi abbia bisogno di un<br />

presidente di garanzia e di una giunta<br />

unitaria e paritetica che in 30 giorni<br />

prepari un nuovo Statuto dell’Istituto<br />

rispettoso delle regole democratiche.<br />

La maggioranza oggi è minoranza,<br />

mentre la minoranza è maggioranza.<br />

La Costituzione è stata violentata.<br />

Dopo il varo del nuovo Statuto, bisogna<br />

andare al voto per consegnare la<br />

gestione a una maggioranza che<br />

accetti questo programma minimo: a)<br />

aggancio delle pensioni agli aumenti<br />

contrattuali biennali; b) libertà di<br />

cumulo per i pensionati; c) libertà di<br />

iscrizione alla gestione separata per<br />

chi ha contratti di collaborazione regolati<br />

dalla cessione <strong>dei</strong> diritti oppure<br />

per chi guadagna fino a 5mila euro<br />

all’anno”.<br />

E ora, a costo di passare per un donchisciottesco risparmiatore,<br />

pongo alcune domande all’attenzione <strong>dei</strong> colleghi:<br />

1) Non è assurdo che a Roma dove l’Inpgi possiede fior di<br />

stabili, l’Istituto debba avere due sedi, una in piazza Apollodoro<br />

e l’altra in via Nizza con evidente raddoppio delle<br />

spese generali?<br />

2) Perché inviare ogni mese il “cedolino” della pensione<br />

quando la stessa non varia? Non sarebbe sufficiente<br />

spedirlo una volta all’anno risparmiando così spese di<br />

carta, stampa, imbustamento e posta?<br />

3) Qual è il rapporto (numerico) tra impiegati dell’Inpgi e giornalisti<br />

iscritti all’Inpgi?<br />

4) Che senso ha la pubblicazione del periodico “Inpgi - comunicazione”<br />

visto che il più delle volte giunge a destinazione<br />

già... obsoleto?<br />

5) Non sarebbe più utile e conveniente tenere aggiornato in<br />

tempo reale il sito Internet?<br />

Sono piccole cose? Può essere, ma di tanti granelli di sabbia<br />

è formato il deserto. Almeno su questo dovremmo essere<br />

tutti d’accordo. O no? Mario Bardi<br />

2 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


I N T E R V E N T O<br />

Pensione giornalisti:<br />

ovvero quando la legge<br />

non è uguale per tutti<br />

Riforma delle pensioni: un tormentone che<br />

angoscia e contrappone. Sono soprattutto<br />

quelle di anzianità e la loro abolizione a tenere<br />

accesa la contrapposizione tra sindacati e<br />

opposizione da una parte, Governo dall’altra.<br />

Ci sono, però, alcune categorie indifferenti<br />

alla contesa perché escluse dalla possibilità<br />

di ottenere la pensione di anzianità<br />

anche con 40 anni di contributi e magari 64<br />

anni di età. Sono tutti quei professionisti che<br />

nell’arco della vita hanno cambiato lavoro e<br />

Istituto previdenziale. In questa casistica, pur<br />

essendo lavoratori dipendenti, rientrano i<br />

giornalisti della Rai o comunque tutti coloro<br />

che prima dell’Inpgi abbiano versato i contributi<br />

previdenziali ad un istituto diverso dall’Inps<br />

o Inpdap (poi vedremo i riferimenti a<br />

quest’ultimo Ente). Ma vediamo come stanno<br />

le cose.<br />

Per le pensioni di anzianità la regola da<br />

applicare ai giornalisti discende da una legge<br />

del ‘55, la n° 1122 così detta legge Vigorelli<br />

che all’art. 3 recita: “All’iscritto presso l’Istituto<br />

nazionale di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti<br />

italiani è riconosciuto utile, ai fini del conseguimento<br />

del diritto a pensione, il periodo di<br />

iscrizione e la contribuzione versata nell’Assicurazione<br />

Generale Obbligatoria per la<br />

invalidità, la vecchiaia e i superstiti” vale a<br />

dire l’Inps. La legge parla di vecchiaia e non<br />

di anzianità perché a quel tempo “l’anzianità”<br />

non esisteva. Quando poi questa è stata<br />

introdotta nel nostro sistema nessuno si è<br />

preoccupato di modificare quella legge. E<br />

quando ciò è stato suggerito si è fatto orecchie<br />

da mercante a causa, è stato detto,<br />

dell’aumento <strong>dei</strong> costi per gli istituti eroganti.<br />

In pratica cosa succede con la legge 1122?<br />

Ai fini della pensione di anzianità essa<br />

consente la totalizzazione <strong>dei</strong> contributi (ogni<br />

Ente paga “pro rata” per gli anni <strong>dei</strong> rispettivi<br />

versamenti) solo tra Inpgi e Inps escludendo<br />

tutte le altre “previdenze” nonostante le stesse<br />

siano sostitutive dell’Assicurazione obbligatoria<br />

di previdenza sociale.<br />

L’estensore di questo articolo ha iniziato ad<br />

occuparsi della questione all’indomani della<br />

sentenza n°61 del ‘99 emessa dalla Corte<br />

costituzionale su ricorso <strong>dei</strong> dipendenti della<br />

casse private o privatizzate ai quali non era<br />

consentito il pro quota nemmeno per la<br />

pensione di vecchiaia.<br />

Ebbene quella sentenza invitava il legislatore<br />

a provvedere senza però specificare per<br />

quali fattispecie. La totalizzazione è stata poi<br />

inserita, per le categorie escluse, nella finanziaria<br />

del 2001 (legge n. 388/2000) ma a<br />

valere solo per la pensione di vecchiaia.<br />

Da allora ci sono stati contatti con i presidenti<br />

pro tempore e alcuni componenti della<br />

Commissione lavoro della Camera e perfino<br />

con sottosegretari. Della questione era stato<br />

investito anche il presidente della Commissione<br />

parlamentare di controllo Enti gestori<br />

previdenza e assistenza sociale senatore<br />

Michele De Luca il quale in una relazione<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

di Marcello Paris<br />

riteneva giusta la totalizzazione anche per la<br />

pensione di anzianità. Purtroppo l’opposizione<br />

delle casse private, attraverso le loro<br />

associazioni e soprattutto l’AdEPP, hanno<br />

impedito una possibile soluzione nel senso<br />

richiesto.<br />

Non è dato conoscere che incidenza avrebbe<br />

la pensione di anzianità su le varie casse<br />

private. Sappiamo che per l’Inpgi l’esborso<br />

sarebbe molto limitato per l’esiguo numero<br />

delle persone coinvolte e ancor meno per<br />

quelle interessate ad abbandonare il lavoro<br />

prima <strong>dei</strong> 65 anni.<br />

Sollecitazioni e sensibilizzazioni al problema<br />

sono state fatte anche nei confronti dell’Inpgi,<br />

della Fnsi e dell’Usigrai. L’Inpgi, attraverso<br />

il presidente Gabriele Cescutti, si limitò a<br />

rispondere ciò che già si conosceva.<br />

La Fnsi, attraverso il direttore Giancarlo<br />

Tartaglia, nel settembre 1999 rispose che in<br />

occasione di una audizione la questione era<br />

stata sottoposta all’attenzione del presidente<br />

della Commissione lavoro della Camera, in<br />

quel momento l’onorevole Renzo Innocenti<br />

Ds, (peraltro da noi in precedenza contattato).<br />

Da allora silenzio. Insomma si protrae una<br />

situazione di grande discriminazione tra lavoratori<br />

della stessa categoria. Tanto per esemplificare:<br />

i colleghi della carta stampata se<br />

impiegati in precedenza all’interno dell’azienda<br />

editoriale con altra mansione e versamenti<br />

all’Inps possono ottenere la pensione<br />

di anzianità.<br />

Ma non è finita. La discriminazione in atto si<br />

trasformerà in beffa quando gli Enti Locali, e<br />

la Pubblica Amministrazione in genere,<br />

aderiranno alla richiesta dell’Inpgi che, interpretando<br />

una circolare ministeriale, chiede<br />

ai giornalisti degli uffici stampa e alle amministrazioni<br />

da cui dipendono di versare i<br />

contributi al nostro Istituto.<br />

Ebbene questi colleghi in virtù della legge<br />

322/58 possono “spostare”, a titolo gratuito, i<br />

contributi dal loro Istituto, l’Inpdap, all’Inps e<br />

ottenere, volendo, la pensione di anzianità.<br />

Allora, tutti coloro che hanno versato i contributi<br />

ad Enti diversi dall’Inps e Inpdap non<br />

potranno mai ottenere la pensione di anzianità?<br />

No, due possibilità ci sarebbero ma<br />

entrambe onerose.<br />

La prima consiste nello spostare “ricongiungere”<br />

tutti i contributi dentro l’Inps perdendo i<br />

benefici del maggior rendimento derivante<br />

dai versamenti all’Inpgi. In pratica contributi<br />

buttati al vento. L’altra possibilità è data dalla<br />

ricongiunzione di tutti i contributi con l’Inpgi,<br />

possibilità molto teorica per l’alto costo della<br />

stessa.<br />

Come si è detto all’inizio la riforma delle<br />

pensioni prevede il superamento della<br />

pensione di anzianità ma, finché questo istituto<br />

esiste, giustizia verrebbe che tutti i lavoratori,<br />

a parità di condizioni, ne potessero<br />

usufruire. Si tratta di una questione di uguaglianza.<br />

O no?<br />

Sentenza della Corte costituzionale<br />

La totalizzazione <strong>dei</strong> contributi versati<br />

a più gestioni accerta i requisiti<br />

per la pensione ma non l’importo<br />

Nella sentenza n. 325/2003, la Corte costituzionale<br />

ha ribadito un principio importante:<br />

“Questa Corte ha più volte affermato che il<br />

meccanismo della totalizzazione <strong>dei</strong> periodi<br />

versati in diverse gestioni previdenziali<br />

debba operare nel caso in cui l’assicurato<br />

non abbia maturato il diritto a un trattamento<br />

pensionistico in alcuna delle gestioni alle<br />

quali è o è stato iscritto (in particolare<br />

sentenze n. 198/2002 e n. 61/1999). Rientra,<br />

invece, nella discrezionalità del legislatore la<br />

scelta circa l’estensione del principio ai fini<br />

della misurazione della pensione (sentenza<br />

n. 198/2002”.<br />

Segue Abruzzo da pagina 1<br />

“Professioni, decide solo lo Stato”<br />

(<strong>Giornalisti</strong> vicini alla laurea)<br />

della Costituzione, il principio fondamentale<br />

che riserva allo Stato la individuazione e<br />

definizione delle varie figure professionali<br />

sanitarie”.<br />

Il principio affermato dalla Consulta non è<br />

nuovo. Nella sentenza n. 38/1997, la Corte<br />

aveva, infatti, affermato che “rientra nella<br />

discrezionalità del legislatore ordinario determinare<br />

le professioni intellettuali per l’esercizio<br />

delle quali è opportuna l’istituzione di<br />

ordini o collegi e la necessaria iscrizione in<br />

appositi albi o elenchi (art. 2229 cod. civ.)”.<br />

L’importanza della nuova pronuncia è tutta<br />

nelle date: la sentenza del 12 dicembre 2003<br />

è la prima dopo la riforma (legge costituzionale.<br />

18 ottobre 2001 n. 3) del Titolo V, che<br />

al terzo comma dell’articolo 117 afferma:<br />

“Nelle materie di legislazione concorrente<br />

spetta alle Regioni la potestà legislativa,<br />

salvo che per la determinazione <strong>dei</strong> princìpi<br />

fondamentali, riservata alla legislazione dello<br />

Stato”. Una sentenza della Corte costituzionale<br />

(la n. 271 del 22 luglio 1996), in tema di<br />

principi fondamentali, afferma che “nella<br />

materia di competenza concorrente, i principi<br />

fondamentali risultanti dalla legislazione<br />

statale esistente, assolvono alla funzione<br />

loro propria, che è quella di unificare il sistema<br />

delle autonomie ai livelli più alti, solo<br />

quando hanno il carattere di stabilità e univocità”.<br />

La sentenza n. 353/2003 ribadisce sul<br />

punto che “i relativi principi fondamentali,<br />

non essendone stati, fino ad ora, formulati<br />

<strong>dei</strong> nuovi, sono pertanto da considerare<br />

quelli, secondo la giurisprudenza di questa<br />

Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282<br />

del 2002), risultanti dalla legislazione statale<br />

già in vigore”.<br />

L’assetto attuale delle professioni<br />

Il Dlgs n. 300/1999 affida al ministero della<br />

Giustizia la vigilanza sugli Ordini professionali<br />

e al ministero dell’Istruzione-Università<br />

la “missione” di formare i nuovi professionisti.<br />

Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n.<br />

4/1999 conferisce al ministero dell’Istruzione-Università,<br />

di concerto con quello della<br />

Giustizia, il compito di “integrare e modificare”<br />

con regolamento gli attuali ordinamenti<br />

sull’accesso alla professioni e di raccordarli<br />

con le lauree triennali e con le lauree specialistiche<br />

biennali. Il regolamento (Dpr n.<br />

328/2001) disciplina la maggioranza delle<br />

professioni intellettuali (dottore agronomo e<br />

dottore forestale, agrotecnico, architetto,<br />

assistente sociale, attuario, biologo, chimico,<br />

geologo, geometra, ingegnere, perito agrario,<br />

perito industriale, psicologo) e trascura<br />

quelle <strong>dei</strong> giornalisti, degli statistici e <strong>dei</strong><br />

consulenti del lavoro. Con parere 7 maggio<br />

2002 n. 2228 il Consiglio di Stato ha scritto<br />

che “non sussistono motivi ostativi alla riforma<br />

dell’ordinamento professionale <strong>dei</strong> giornalisti,<br />

come previsto dall’articolo 1 (comma<br />

18) della legge n. 4/1999”.<br />

L’<strong>Ordine</strong> di Milano pronto a disapplicare<br />

la normativa italiana sull’accesso<br />

a favore di quella comunitaria<br />

che prevede il possesso<br />

di una laurea minima triennale<br />

Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione,<br />

si è ritenuto (erroneamente) che lo<br />

Stato avesse perso i suoi poteri regolamentari<br />

e che non potesse, quindi, riscrivere il<br />

Dpr n. 328/2001, allargandolo ai giornalisti,<br />

<strong>Ordine</strong>/Tabloid<br />

ORDINE - TABLOID<br />

periodico ufficiale del Consiglio<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

Mensile / Spedizione in a. p. (45%)<br />

Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96<br />

Filiale di Milano<br />

Anno XXXIV - Numero 1, gennaio <strong>2004</strong><br />

Direttore responsabile FRANCO ABRUZZO<br />

Condirettore BRUNO AMBROSI<br />

Direzione, redazione, amministrazione<br />

Via Appiani, 2 - 20121 Milano<br />

Tel. 02/ 63.61.171 - Telefax 02/ 65.54.307<br />

Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia<br />

Franco Abruzzo presidente;<br />

Brunello Tanzi vicepresidente;<br />

Sergio D’Asnasch consigliere segretario;<br />

Davide Colombo consigliere tesoriere.<br />

Consiglieri: Bruno Ambrosi,<br />

Letizia Gonzales, Liviana Nemes Fezzi,<br />

Cosma Damiano Nigro, Paola Pastacaldi<br />

agli statistici e ai consulenti del lavoro. Si può<br />

affermare, con Vincenzo Caianiello, che<br />

“tutto ciò che attiene allo status del professionista<br />

e delle libere professioni è riconducibile<br />

all’articolo 33 della Costituzione, il<br />

quale parla di esame di Stato” (Vincenzo<br />

Caianiello, “L’inserimento delle professioni<br />

nel titolo V della Costituzione” in Atti del<br />

Convegno nazionale “Quale federalismo per<br />

le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud).<br />

Il ministero dell’Istruzione-Università nell’ottobre<br />

scorso ha rimeditato la questione del<br />

collegamento tra laurea universitaria, praticantato<br />

giornalistico ed esame di Stato. Il<br />

ministro Letizia Moratti ha dato disco verde<br />

alle modifiche del Dpr n. 328/2001, istituendo<br />

una commissione ad hoc guidata dal<br />

sottosegretario di Stato Maria Grazia Siliquini.<br />

Conseguentemente il Consiglio<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

ha bloccato una delibera con la quale lo<br />

stesso Consiglio, quale autorità amministrativa,<br />

avrebbe disapplicato (in forza delle<br />

sentenze n. causa 103/1988 della Corte di<br />

Giustizia Ce 22 luglio 1989 e n. 389/1989<br />

della Corte costituzionale) l’articolo 33<br />

(commi 4, 5, 6 e 7) della legge n. 69/1963,<br />

affermando la prevalenza (in base alla<br />

sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale)<br />

sulla norma interna della Direttiva<br />

n. 89/48/CEE. Questa direttiva, in base alla<br />

sentenza della quarta sezione della Corte<br />

di Giustizia europea nella causa C- 285/00,<br />

si applica “alle professioni regolamentate,<br />

cioè a quelle per le quali l’accesso o l’esercizio<br />

sono subordinati, direttamente o indirettamente,<br />

mediante disposizioni legislative,<br />

regolamentari o amministrative, al<br />

possesso di un diploma universitario della<br />

durata minima di tre anni”.<br />

Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio<br />

di una professione nell’ambito <strong>dei</strong> Paesi Ue<br />

e, quindi, i giornalisti professionisti italiani<br />

non possono essere discriminati rispetto agli<br />

altri professionisti italiani e a quelli europei<br />

sotto il profilo della preparazione universitaria<br />

minima di tre anni, principio al quale<br />

devono attenersi anche alcune professioni<br />

un tempo collegate a un diploma di scuola<br />

media superiore (geometri, ragionieri, periti<br />

agrari e periti industriali).<br />

Con l’iniziativa del ministro Moratti e del<br />

sottosegretario Siliquini, è prevedibile che<br />

nel giro di 4-6 mesi l’accesso al praticantato<br />

giornalistico e all’esame di Stato sia vincolato<br />

esclusivamente al possesso di una laurea<br />

(qualsiasi) conseguita al termine di un<br />

percorso minimo di tre anni. La pratica (di<br />

durata biennale) potrà essere svolta nelle<br />

redazioni; nelle scuole di giornalismo, nei<br />

master universitari e nei corsi di laurea<br />

specialistica in giornalismo (riconosciuti<br />

dall’<strong>Ordine</strong>). La modifica del Dpr n. 328/2001<br />

presuppone una prima approvazione del<br />

testo da parte del Consiglio <strong>dei</strong> ministri, l’acquisizione<br />

successiva di tre pareri (tra i quali<br />

quello del Consiglio di Stato) e, quindi, una<br />

seconda approvazione da parte del Consiglio<br />

<strong>dei</strong> ministri. Segue la pubblicazione del<br />

Dpr nella Gazzetta Ufficiale. Un Dpr, che,<br />

comunque, fotografa una situazione esistente:<br />

già oggi 8 praticanti su 10 sono laureati.<br />

Franco Abruzzo<br />

Collegio <strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti<br />

Alberto Comuzzi (presidente),<br />

Maurizio Michelini e Giacinto Sarubbi<br />

Direttore dell’OgL Elisabetta Graziani<br />

Segretaria di redazione Teresa Risé<br />

Realizzazione grafica:<br />

Grafica Torri Srl (coordinamento<br />

Franco Malaguti, Marco Micci)<br />

Stampa Stem Editoriale S.p.A.<br />

Via Brescia, 22<br />

20063 Cernusco sul Naviglio (Mi)<br />

Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970<br />

presso il Tribunale di Milano.<br />

Testata iscritta al n. 6197 del Registro<br />

degli Operatori di Comunicazione (ROC)<br />

Comunicazione e Pubblicità<br />

Comunicazioni giornalistiche Advercoop<br />

Via G.C.Venini, 46 - 20127 Milano<br />

Tel. 02/ 261.49.005 - Fax 02/ 289.34.08<br />

La tiratura di questo numero<br />

è di 23.296 copie<br />

Chiuso in redazione il 23 dicembre 2003<br />

3


DIFFAMAZIONE<br />

<strong>Giornalisti</strong><br />

ancora<br />

di Francesca Romanelli<br />

Il tempo delle polemiche era scattato prima<br />

dell’estate. Quando la proposta di legge che<br />

aveva come relatore Gianfranco Anedda,<br />

parlamentare di An, si era vista approvare in<br />

Commissione giustizia alla Camera un<br />

emendamento che chiedeva da un minimo<br />

di sei mesi a un massimo di tre anni dietro le<br />

sbarre per i giornalisti colpevoli di diffamazione.<br />

Certo, limava a sua volta le vigenti<br />

quanto desuete prescrizioni della legge sulla<br />

stampa datate 1948 che volevano la reclusione<br />

da uno a sei anni. Ma tanto era bastato<br />

per scatenare la bufera su Montecitorio e<br />

provocare le dimissioni del relatore che<br />

denunciava di non riconoscersi più nelle<br />

modifiche apportate. Così il testo, che aboliva<br />

inoltre la responsabilità del direttore per<br />

omesso controllo, è stato fagocitato dalla<br />

proposta unificata che vede come relatrice<br />

Isabella Bertolini (Fi) e che è stata presentata<br />

il 4 novembre.<br />

Cuore del provvedimento è la cancellazione<br />

del carcere per i giornalisti. Rimane il processo<br />

penale che sfocia, però, soltanto in una<br />

multa variabile dai 1.500 ai 7.500 euro. Con<br />

il minimo che può lievitare a 2.000 se si attribuisce<br />

a qualcuno un fatto determinato, ma<br />

scende di nuovo a 1.500 se è stata pubblicata<br />

la rettifica. A bilanciare la pena, però,<br />

arrivano la pubblicazione obbligatoria della<br />

sentenza di condanna e la trasmissione<br />

degli atti all’<strong>Ordine</strong> professionale “per la<br />

determinazione delle sanzioni disciplinari”.<br />

Più vaghe le previsioni in tema di rettifica: si<br />

affronta la disciplina per la stampa non periodica<br />

(i libri) e per l’edicola si stabilisce che<br />

“nella determinazione del danno (...) il giudice<br />

tiene conto della pubblicazione della rettifica,<br />

se richiesta dalla persona offesa”. Altra<br />

novità è il freno pigiato sulla corsa <strong>dei</strong> risarcimenti:<br />

“il danno patrimoniale non può eccedere<br />

la somma di 25mila euro”. E l’azione<br />

civile si prescrive in un anno dal giorno in cui<br />

il giornale è uscito con la notizia. Torna invece<br />

a fare capolino la responsabilità del direttore<br />

per omesso controllo, anche se per il<br />

timoniere della testata “la pena è in ogni<br />

caso ridotta di un terzo”. Per la diffamazione<br />

semplice “arrecata con il mezzo della stampa”,<br />

infine, la multa va da 500 a 2.500 euro<br />

triplicati se si offendono istituzioni politiche o<br />

giudiziarie. Suona ora, dunque, il tempo del<br />

dibattito. Come quello ospitato il 28 novembre<br />

in sala Montanelli al Circolo della Stampa<br />

che ha visto presenti il presidente<br />

dell’Odg lombardo Franco Abruzzo, gli<br />

onorevoli Michele Saponara e Giuliano Pisapia,<br />

più un parterre di avvocati composto da<br />

Caterina Malavenda, Corso Bovio e Luca<br />

Boneschi. Assente invece l’ex direttore del<br />

Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli.<br />

L’occasione è la presentazione dell’Asdi,<br />

associazione fra gli studiosi di diritto<br />

dell’informazione che nasce in sinergia con<br />

le università e aperta ai cittadini. Insieme agli<br />

obiettivi di organizzare corsi di aggiornamento<br />

sul diritto dell’informazione e attivare una<br />

banca dati on line capace di raccogliere tutte<br />

le norme del settore.<br />

Dibattito sulla proposta Bertolini al Circolo della Stampa<br />

Giuliano Pisapia,<br />

parlamentare Rifondazione Comunista<br />

“Posso definire questa proposta con la<br />

classica formula «la montagna ha partorito<br />

il topolino». Il nuovo testo ha provocato<br />

effetti non voluti. Troppo spesso si confonde<br />

la libertà di stampa con il diritto di diffamare.<br />

La diffamazione, invece, può avere<br />

conseguenze gravissime e spesso irreversibili.<br />

Tutti abbiamo letto di persone suicidatesi in<br />

seguito a notizie diffamatorie lontane dalla<br />

realtà. Su 89 casi giudiziari esaminati<br />

dall’<strong>Ordine</strong> lombardo <strong>dei</strong> giornalisti, infatti,<br />

di 65 si è riscontrato che manca la veridicità<br />

della notizia. Il tema della diffamazione<br />

a mezzo stampa è oggetto di discussione<br />

da almeno due legislature. Prima si era<br />

andati in aula con testo ampiamente condiviso,<br />

ma è stato rimandato in Commissione<br />

giustizia per valutare la costituzionalità<br />

o meno di un limite ai danni patrimoniali.<br />

C’era stata una ridiscussione, ma non una<br />

conclusione.<br />

Abbiamo avuto il testo Anedda, con<br />

l’emendamento Mormino che ha portato in<br />

primo piano la misura del carcere per i giornalisti.<br />

Io avevo chiesto la permanenza<br />

domiciliare domenicale al posto della reclusione.<br />

Dopo le polemiche, il governo aveva<br />

dichiarato di aver preso in mano la situazione<br />

e aveva annunciato un nuovo testo in<br />

15 giorni: è stato presentato dopo tre mesi.<br />

L’attuale proposta non è risolutiva, ma finalizzata<br />

soltanto a eliminare la detenzione e<br />

ad avvicinare, per così dire, i giornalisti<br />

all’attività di governo.<br />

L’esecutivo ha fatto presentare dalla relatrice<br />

Bertolini un testo davvero minimale. È<br />

giusto abolire il carcere per i reati con pene<br />

minime, ma serve allora una riforma organica<br />

che elimini la disparità di trattamento<br />

con altre violazioni. Il vilipendio alla bandiera,<br />

ad esempio, prevede la reclusione da<br />

uno a tre anni.<br />

E così via per tanti piccoli reati, anche di<br />

opinione. Altro punto, la rettifica: può essere<br />

causa di non punibilità (in sede penale),<br />

ma non per il risarcimento <strong>dei</strong> danni (come<br />

invece previsto dalla proposta Anedda)<br />

TROPPE<br />

“SPARATE”,<br />

POCO<br />

CONTROLLO<br />

perché la rettifica limita, ma non elimina il<br />

danno. Inoltre, non si può non permettere<br />

al giornalista di dimostrare la verità di ciò<br />

che viene scritto o affermato avviando la<br />

causa molti anni dopo il fatto contestato. In<br />

più, serve una tutela forte del segreto<br />

professionale. È impensabile intercettare<br />

un giornalista per sei/otto mesi con lo<br />

scopo di capirne le fonti. Bisogna infine<br />

trovare una soluzione per impedire che<br />

querele infondate intimidiscano il giornalista<br />

che fa correttamente il proprio dovere.<br />

L’emendamento Pisapia prevede che, se la<br />

querela è temeraria e tale sia riconosciuta<br />

dal giudice, sia punita con una sanzione<br />

obbligatoria”.<br />

Malavenda: “Questa legge non serve<br />

concretamente quasi a nulla. I giornalisti<br />

condannati al carcere sono pochissimi e<br />

risarcimenti troppo consistenti hanno<br />

conseguenze letali sui piccoli giornali”.<br />

Michele Saponara,<br />

senatore Forza Italia<br />

“Di diffamazione si è cominciato a parlare<br />

nel 2000. Oggi è protagonista un testo<br />

unificato che prende in considerazione ben<br />

otto proposte di legge. Si vuole conciliare<br />

la libertà di stampa e l’onorabilità del cittadino.<br />

E in questo caso è il Parlamento ad essere<br />

imputato, perché non riesce a conciliare<br />

queste due esigenze. Si dice che siano<br />

stati i giornalisti a fare pressioni sul Parlamento,<br />

siamo stati accusati di questo. La<br />

relatrice Bertolini? È stata nominata dopo<br />

che Anedda è divenuto capogruppo di An.<br />

Bisogna dire, come prima cosa, che tutti i<br />

proponenti prevedevano il reclusione per i<br />

giornalisti: molti hanno pensato ad una<br />

riduzione da sei a tre anni di carcere al<br />

massimo. Ebbene, l’emendamento aveva<br />

una sua ratio nel proporre proprio la reclusione,<br />

perché vi sono casi in cui la diffamazione<br />

è grave e rasenta la calunnia. Ora la<br />

proposta è stata unificata agli altri testi: non<br />

si parla più di carcere, ma solo di una pena<br />

pecuniaria che alcuni suggeriscono di<br />

accrescere. Viene modificato così anche il<br />

di Francesca Romanelli<br />

L’inchiesta, questa volta, l’ha fatta l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti lombardo. E a finire sotto<br />

accusa sono stati i giornalisti. Esito delle indagini: la scoperta che il palazzaccio<br />

di Porta Vittoria condanna spesso i giornalisti per un motivo che da quotidiani<br />

celebrati e professionisti declamati non ci si aspetterebbe di certo: la falsità della<br />

notizia. Tutto questo succede, con orrore dell’<strong>Ordine</strong> professionale, addirittura<br />

in 65 casi su 89. La ricerca è stata condotta su tutte e 157 le sentenze emesse<br />

dal Tribunale civile negli anni 2001 e 2002. Ha rilevato una lieve prevalenza<br />

delle pronunce di accoglimento delle domande di risarcimento danni (56%)<br />

rispetto a quelle di rigetto (44%).<br />

E proprio fra le 89 sentenze che sanciscono di rifondere il danno provocato da<br />

un determinato articolo, ben 65 sono state spiccate per “il difetto di verità della<br />

notizia pubblicata”. Con un ulteriore “difetto di verità putativa” riscontrato in 7<br />

dispositivi, la violazione del criterio di criterio di continenza (che suggerisce di<br />

scrivere il fatto e non un romanzo) in 28 casi e la carenza dell’interesse pubblico<br />

in almeno 8 casi.<br />

La durata media del processo di primo grado? Più o meno tre anni e mezzo.<br />

Le pubblicazioni maggiormente interessate? I quotidiani nazionali (60%) e i<br />

settimanali (29%). Mentre la contabilità delle testate coinvolte parla del Corriere<br />

della Sera (21%), Il Giornale (17%) e Panorama (10%) sui primi tre gradini<br />

di questo improbabile podio. I diffamati sono soprattutto privati (25%) e magistrati<br />

(18%). Mentre i pezzi più a rischio sono quelli di cronaca (53%), seguiti<br />

dagli editoriali (31%) e dalle interviste (16%). L’inchiesta, autorizzata dal presidente<br />

del Tribunale Vittorio Cardaci e resa possibile dall’ufficio statistiche al<br />

terzo piano del Palazzo di Giustizia, precisa anche che i danni patrimoniali e<br />

morali ammontano in genere a 14.816,94 euro.<br />

Necessario dunque che i giornalisti di giudiziaria ripassino ogni volta l’insegnamento<br />

(nientemeno) che della Suprema Corte di Cassazione: possibile<br />

scrivere notizie diffamatorie purché vere, di interesse pubblico, scritte civilmente<br />

e, soprattutto, nella loro essenzialità.<br />

sospesi tra carcere e multe<br />

regime giuridico dell’ingiuria: anche per<br />

questa, solo una pena pecuniaria. Ma<br />

procediamo per punti. Un altro problema è<br />

la rettifica. Si oscilla dall’esclusione della<br />

punibilità nel caso venga pubblicata<br />

adeguatamente al ritenerla un’attenuante<br />

della pena. Altro passaggio importante è<br />

quello del risarcimento: per evitare richieste<br />

esose, è stato fissato un tetto massimo<br />

al risarcimento del danno. Una misura che<br />

è rimasta nel testo unificato. La proposta<br />

Bertolini è dunque un punto di partenza su<br />

cui lavorare. Un deterrente per i giornalisti,<br />

invece, potrebbe essere l’ipotesi di una<br />

sanzione disciplinare o l’interdizione<br />

temporanea dalla professione. La responsabilità<br />

del direttore infine è trattata nell’articolo<br />

57. E alcune proposte escludono la<br />

responsabilità oggettiva”.<br />

Malavenda: “Più si va avanti in questo<br />

dibattito, più mi convinco della bontà del<br />

sistema attuale in cui i giudici applicano la<br />

regola del buon senso. Questa legge<br />

sembra specificare cose che già ci sono. I<br />

giornalisti, o sono vittime o sono carnefici.<br />

E vittime sono quelli di piccoli giornali non<br />

coperti da assicurazione”.<br />

Giovanni Negri,<br />

giornalista “Il Sole24Ore”<br />

“Non si tratta di una legge inutile. Il tetto <strong>dei</strong><br />

25mila euro come limite massimo al risarcimento<br />

è adatto. I veri problemi sono altri<br />

e riguardano chi fa parte della nostra categoria.<br />

Sono comportamenti dai quali ognuno<br />

dovrebbe tenersi in guardia: fidarsi troppo<br />

delle agenzie, non controllare personalmente<br />

le notizie, le fonti e così via. Le<br />

sanzioni disciplinari? Devono restare. È<br />

necessario invece evitare l’attuale incongruenza<br />

di tempi fra le sanzioni penali,<br />

quelle civili e quelle professionali”.<br />

Malavenda: “ L’argomento più interessante<br />

di questa legge è la rettifica. Oggi è libera,<br />

non ci sono vincoli. E invece bisogna distinguerne<br />

tre tipi: quella che lamenta fatti falsi,<br />

quella che contesta fatti veri e quella che<br />

prende di mira commenti e opinioni”.<br />

Luca Boneschi,<br />

avvocato<br />

“Il limite <strong>dei</strong> 25mila euro è, realisticamente,<br />

la media <strong>dei</strong> risarcimenti che oggi vengono<br />

comminati dai nostri giudici. La nostra<br />

legge sulla stampa è un’ottima legge. E<br />

dobbiamo ricordare che fu approvata in<br />

sede di assemblea costituente proprio per<br />

la particolarità e la delicatezza di questa<br />

disciplina.<br />

Mette al centro di tutte le sue previsioni la<br />

dignità della persona. E con essa i diritti<br />

alla reputazione, all’immagine... Certo la<br />

pena detentiva originariamente prevista,<br />

oggi va al di là della coscienza sociale. La<br />

direttissima per i casi di diffamazione a<br />

mezzo stampa, che pure era prevista, ora<br />

non si fa più. Ma era importante per l’immediatezza<br />

del giudizio e della riparazione.<br />

Bisogna dire poi che il diritto di rettifica, e il<br />

suo valore, è stato vanificato dal modo di<br />

agire <strong>dei</strong> giornalisti. Perché le rettifiche<br />

vengono relegate a lettere al direttore e<br />

sminuite. Non sono mai state pubblicate<br />

secondo le previsioni di legge che impongono<br />

la presenza sulla stessa pagina del<br />

pezzo contestato, con lo stesso rilievo, lo<br />

stesso richiamo grafico, nel termine di due<br />

giorni.<br />

Per tutto il resto, basterebbe togliere la<br />

pena detentiva e lasciare quella pecuniaria.<br />

Ma manteniamo la solennità della costituente.<br />

Oggi, l’attuale schema prevede di<br />

punire la diffamazione con multe da 5 euro<br />

in su. Nella proposta Anedda, la richiesta<br />

di rettifica è condizione di procedibilità per<br />

il giudizio e il risarcimento del danno. E se<br />

non viene pubblicata? L’azione per il risarcimento<br />

si prescrive poi in un anno rispetto<br />

ai cinque sanciti dal codice civile. Diversa è<br />

la previsione del testo Bertolini; fa diventare<br />

la rettifica un’attenuante lasciando intatto<br />

l’articolo 8 della legge sulla stampa e<br />

introducendo un articolo 8 bis per disciplinare<br />

gli altri mezzi di informazione. La<br />

pena, come abbiamo detto, è variabile. E<br />

va da 5 euro in su. Veniamo poi al tema del<br />

danno: la proposta Bertolini è un miglioramento<br />

rispetto a quella di Anedda, ma<br />

pone tutta una serie di problemi. Perché se<br />

4 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


viene concretamente riconosciuto il danno<br />

patrimoniale, dove vanno a finire invece il<br />

danno biologico e quello esistenziale? Io<br />

rafforzerei la disciplina della rettifica nel<br />

sistema attuale”.<br />

Malavenda: “Così come la proposta di<br />

legge è scritta, sembra solo che l’<strong>Ordine</strong><br />

debba scegliere quali misure applicare nei<br />

confronti del giornalista...”<br />

Francesco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

“Non mi sento di chiedere nulla al Parlamento.<br />

I giornalisti infatti non meritano<br />

nulla. Secondo uno studio che abbiamo<br />

appena condotto, e che ha preso in esame<br />

89 cause civili arrivate al Palazzo di Giustizia<br />

di Milano, ben 65 sentenze hanno<br />

sancito che le notizie pubblicate non erano<br />

vere. Per il resto, l’<strong>Ordine</strong> lombardo ha una<br />

propria linea consolidata nel tempo.<br />

Il rispetto della dignità della persona e quello<br />

della verità sostanziale <strong>dei</strong> fatti sono <strong>dei</strong><br />

paletti insuperabili e frenano il diritto di<br />

cronaca. Che è un diritto <strong>dei</strong> cittadini (e non<br />

<strong>dei</strong> giornalisti) ad essere informati correttamente<br />

e completamente. Detto ciò questa<br />

legge Bertolini non mi convince. Non<br />

possiamo mettere limiti, per di più pecuniari,<br />

all’onore, la credibilità e l’identità delle<br />

persone.<br />

Per quanto riguarda la rettifica, la pubblicazione<br />

è un obbligo di legge. È un dovere<br />

professionale anche alla luce delle nuove<br />

normative sulla privacy. L’articolo 8 della<br />

legge sulla stampa prevede infatti non<br />

soltanto il diritto alla rettifica ma anche la<br />

possibilità che, se il direttore non ottemperi<br />

a questo obbligo, si possa andare da un<br />

giudice capace di ordinarne la pubblicazione.<br />

Oppure c’è, in concreto, l’opportunità di<br />

rivolgersi al presidente del consiglio regionale<br />

dell’<strong>Ordine</strong> per farla pubblicare. Quali<br />

sono, allora, le richieste dall’osservatorio<br />

del nostro ordine professionale? Prima di<br />

modificare una legge scaturita in sede<br />

costituente pensiamoci bene.<br />

Anche se è urgente uniformare i tempi del<br />

giudizio penale e civile, oggi diversi ed<br />

enormemente distanti. Altro punto è il<br />

segreto professionale: il Parlamento si deve<br />

adeguare alle prescrizioni della sentenza<br />

Goodwin.<br />

I magistrati italiani non hanno sufficiente<br />

cultura sui pronunciamenti del Tribunale di<br />

Strasburgo. Nel settore civile, bisogna rifarsi<br />

all’articolo 1227 del codice, con l’obbligo<br />

che chi lamenta un danno presunto chieda<br />

subito la rettifica. In pratica, l’obbligo di<br />

muoversi subito per limitare il danno. Ma<br />

poi, perché la Procura non informa l’<strong>Ordine</strong><br />

di tutti i procedimenti a carico <strong>dei</strong> suoi giornalisti?<br />

Non parlo solo di casi di diffamazione.<br />

Infine, il direttore ha un compito di vigilanza<br />

e deve finire sotto processo insieme<br />

al giornalista. Quante volte ricevo chiamate<br />

di colleghi in lacrime che mi raccontano di<br />

essere stati spinti dal direttore ad occuparsi<br />

di una determinata vicenda! Ultima cosa,<br />

bisogna ricordare tutti la normativa sulla<br />

privacy. La nuova legge dal 1° gennaio<br />

<strong>2004</strong>”.<br />

Malavenda: “Un aspetto importante ancora<br />

da dibattere è la scomparsa dell’udienza<br />

preliminare che comporta l’assegnazione<br />

del procedimento a giudici onorari invece<br />

che togati, con tutto quanto comporta in<br />

termini di esperienza quotidiana di giudizio”.<br />

Corso Bovio, avvocato<br />

“Abbiamo voglia di ripetere che la rettifica<br />

va pubblicata, che è un obbligo di legge,<br />

che serve a definire l’eventuale quanto<br />

successivo giudizio. Ma seguendo la scuola<br />

giornalistica di Mario Missiroli, e la mia<br />

vocazione che ha preceduto anche quella<br />

di avvocato, ritengo comunque la rettifica<br />

una notizia data due volte. I 25mila euro di<br />

risarcimento massimo mi preoccupano:<br />

oggi esiste anche il danno da vacanza rovinata.<br />

Di fronte alla sola pena pecuniaria, poi,<br />

viene a cadere il ricorso all’udienza preliminare<br />

e si passa al rinvio a giudizio diretto.<br />

Ma c’è un altro problema che finora è<br />

stato in secondo piano, pur essendo di<br />

primaria importanza. Una garanzia di obiettività<br />

nel giudizio che il giudice esprimeva<br />

sul giornalista era la collegialità della corte.<br />

Che oggi è invece monocratica. La collegialità<br />

compensava le passioni (sempre<br />

forti in campo giornalistico) sia per i temi<br />

trattati dai giornalisti sia per le richieste di<br />

risarcimento esose. È necessaria poi la<br />

tempestività del giudizio, proprio per lo<br />

stesso fine, come prevedono le norme<br />

processuali sulla tempestività del processo.<br />

Utile, infine, ripristinare la funzione di<br />

conciliazione del pubblico ministero. Stabilita<br />

nel nuovo codice di procedura penale<br />

dell’89 e mai applicata”.<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

DAL GARANTE DELLA PRIVACY<br />

Divieto di diffusione<br />

delle foto segnaletiche<br />

<strong>dei</strong> protagonisti del giro romano<br />

di “coca e prostituzione”<br />

Roma, 27 novembre 2003. Per il “caso coca e prostituzione” di<br />

Roma, il Garante della privacy ha emesso “verdetto” di divieto alla<br />

diffusione da parte degli organi di polizia delle foto segnaletiche delle<br />

persone indagate ed ha anche sottolineato che gli “sgarri” costituiscono<br />

reato. La decisione è stato resa nota ieri al termine di una<br />

riunione del collegio del Garante (Stefano Rodotà, Giuseppe Santaniello,<br />

Gaetano Rasi e Mauro Paissan) indetta - come è affermato in<br />

un comunicato - “nel quadro del procedimento instaurato<br />

Il 21 novembre scorso in relazione all’indagine penale<br />

su stupefacenti e prostituzione in corso a Roma”.<br />

L’Autorità del Garante ha anche annunciato che, chieste<br />

informazioni sugli uffici di polizia interessati alla<br />

vicenda, ha segnalato al capo della polizia “ la diffusione<br />

illecita registratasi nei giorni scorsi per quanto<br />

di competenza in relazione alle violazioni di ordine<br />

disciplinare”.<br />

Per quanto riguarda la pubblicazione di foto segnaletiche da parte di<br />

giornali e telegiornali, il Garante - sempre da quanto è stato reso noto<br />

nel comunicato - “definirà nel più breve tempo possibile il procedimento<br />

anche in riferimento agli altri profili della vicenda in esame,<br />

distinguendo le legittime attività di cronaca su fatti, nomi e notizie<br />

relative a persone coinvolte conformi alla disciplina vigente (compreso<br />

il codice di deontologia per l’attività giornalistica), dall’eventuale<br />

indebita diffusione di dettagli relativi al contenuto di conversazioni<br />

telefoniche, di estremi identificativi di utenze telefoniche e di altri dati<br />

personali raccolti o diffusi illecitamente”.<br />

di Giancarlo Salemi<br />

In sostanza si dovrebbero profilare severi provvedimenti sia per chi<br />

ha passato foto e documenti ai giornali, sia per chi li ha poi pubblicati.<br />

Sull’argomento “ foto segnaletiche” il Garante è sempre stato<br />

fermamente chiaro nell’affermare il divieto di diffonderle e pubblicarle<br />

salvo quando “ricorrono - parole sue - fini di giustizia e di polizia o<br />

motivi di interesse pubblico”.<br />

Su queste “eccezioni” moltissimi colleghi hanno però sempre auspi-<br />

cato maggiore chiarezza interpretativa in modo da alleggerire<br />

le gravi difficoltà nelle quali si va ad imbattere chi,<br />

pressato dalla tempestività imposta dai meccanismi<br />

dell’informazione, si trova chiamato ad assumersi in<br />

prima persona, senza i tempi tecnici per pareri preventivi<br />

dell’Autorità Garante, la responsabilità di decidere<br />

cosa far prevalere tra la tutela del diritto <strong>dei</strong> cittadini alla<br />

protezione <strong>dei</strong> propri “dati personali” e l’esercizio del<br />

dovere di dare agli stessi cittadini un’informazione il più<br />

possibile completa, anche in nome di quei “motivi di interesse pubblico”<br />

che lo stesso Garante prevede come deroga al divieto.<br />

Un clima di incertezze che era stato fatto rilevare anche dall’<strong>Ordine</strong><br />

nazionale <strong>dei</strong> giornalisti che, proprio il 13 novembre scorso in occasione<br />

di un incontro di verifica sul Codice deontologico, aveva chiesto<br />

al Garante maggiore chiarezza interpretativa delle norme, ottenendo<br />

la costituzione di un gruppo di studio congiunto che “avrà il compito -<br />

com’era stato poi annunciato - di elaborare testi e documenti utili per<br />

dare un concreto contributo al lavoro di chi opera nel mondo dell’informazione”.<br />

I principali sono Al Maghrebya, Espresso Latino, Gazeta Romanesca e Cina<br />

Immigrati: 33 giornali<br />

per 250mila copie diffuse<br />

Gli immigrati regolari in Italia all’inizio del 2003 sono 2 milioni e<br />

400mila, 800mila in più rispetto allo scorso anno. Rappresentano il<br />

5% della popolazione italiana e attorno a loro si è acceso recentemente<br />

un dibattito sulla necessità di concedere o meno il voto per le<br />

elezioni amministrative.<br />

Un nuovo bacino elettorale, ma non solo. Anche al mondo della<br />

comunicazione fanno gola questi lettori. Dove leggono gli extracomunitari<br />

le informazioni sui paesi d’origine? Quali sono le loro fonti per<br />

tenersi aggiornati? Ilte.net è in grado di ricostruire per la prima volta<br />

la mappatura <strong>dei</strong> giornali che parlano straniero in Italia, grazie al<br />

primo rapporto redatto dall’Osservatorio media etnici. In tutto la stampa<br />

extracomunitaria conta sul nostro territorio 33 testate pubblicate<br />

da 22 editori, 24 delle quali redatte in lingua straniera. Un business di<br />

oltre 250mila copie, per un fatturato che supera i 700mila euro, che<br />

vede in testa i fogli cinesi con 4 pubblicazioni regolari, seguiti dai<br />

sudamericani e dagli arabi con 3, mentre gli africani hanno dalla loro<br />

diverse piccole e micro testate.<br />

In particolare sono 4 i giornali più forti e diffusi sul territorio entrambi<br />

con 20mila copie di tiratura: Al Maghrebya, mensile arabo rivolto alla<br />

comunità magrebina (Marocco, Algeria, Tunisia) che conta in Italia<br />

300mila persone; Espresso Latino, che ha una redazione di giornalisti<br />

professionisti latinoamericani accreditati dal ministero degli Este-<br />

Giacinto Sarubbi<br />

guida la componente<br />

fiscale dello<br />

“Studio Legale Tributario<br />

in association<br />

with Ernst & Young”<br />

Lo Studio Legale Tributario, in association with Ernst & Young<br />

è attivo in Italia mediante una rete di oltre 700 professionisti.<br />

Opera in stretta collaborazione con colleghi del network internazionale<br />

ed è in grado di offrire servizi di consulenza mirati<br />

su specifiche problematiche internazionali anche grazie all’Italian<br />

Desk presente a New York e ai diversi Foreign Desk<br />

presenti in Italia specializzati sulla normativa fiscale di Usa,<br />

Francia, Paesi Bassi, Giappone e Germania.<br />

Sottolineato<br />

anche<br />

che gli “sgarri”<br />

costituiscono<br />

reato<br />

ri; Gazeta Romanesca, fondato 3 anni fa, bisettimanale scritto anche<br />

in italiano e rivolto ai 400mila immigrati rumeni e, infine, il settimanale<br />

Cina, scritto in cinese che vende quasi 10mila copie tra Milano e<br />

Roma.<br />

Ma non basta: negli ultimi 5 anni anche gli altri mezzi di comunicazione<br />

hanno preso piede, come le radio. Attualmente se ne contano 35,<br />

di cui 2 nazionali e 33 regionali. Le lingue più in onda sono lo spagnolo<br />

(20 programmi) e il francese (13). Tra gli argomenti, guidano la<br />

classifica musica e news (15 programmi ciascuno), seguono i<br />

programmi culturali e quelli che trattano di immigrazione e legge.<br />

Per quanto riguarda la tv le emittenti etniche sono dieci, di cui due<br />

nazionali, 7 regionali e una satellitare, mentre su internet il sito ufficiale<br />

è www.stranierinitalia.it. E a non prendere sottogamba la forza <strong>dei</strong><br />

media in lingua straniera pubblicati in Italia è il presidente della Stampa<br />

estera, Eric Jozsef, che spiega come lo statuto della sua Associazione<br />

(presente in Italia dal 1912) sia “rigido” e permetta l’iscrizione solamente<br />

ai giornalisti che “lavorano in Italia per testate edite all’estero”. Lancia<br />

anche una proposta concreta: “Questi media - dice - sono comunque<br />

un realtà che va incoraggiata, per questo spero possano presto<br />

raggrupparsi in un unico ente o associazione per poter stringere <strong>dei</strong><br />

rapporti di collaborazione con la nostra associazione”. Sulla stessa<br />

lunghezza d’onda anche Vittorio Roidi, segretario dell’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />

<strong>dei</strong> giornalisti: “Disponibilità a parlare, a costituire un tavolo per confrontarsi,<br />

capire, aiutare quanto possibile l’integrazione di questi giornali<br />

nel panorama informativo italiano”. (da www.ilte.net)<br />

Giacinto Sarubbi, giornalista pubblicista e revisore <strong>dei</strong> conti dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, chiamato di recente alla guida della<br />

componente fiscale dello Studio Legale e Tributario, in association with<br />

Ernst & Young, ha il compito di realizzare gli obiettivi strategici del tax in<br />

Italia.<br />

Una rinnovata attenzione sarà data alla qualità come elemento cardine di<br />

differenziazione. L’obiettivo principale è quello di creare uno studio sempre<br />

più in grado di attrarre i talenti migliori e di generare, conseguentemente,<br />

vantaggi concreti ai clienti. Da un punto di vista strutturale, la nuova strategia<br />

mira a razionalizzare e riorganizzare lo studio, concentrandosi sulle<br />

principali città ed in particolare su Milano e Roma. Proprio in quest’ottica,<br />

la sede di Milano vedrà a breve l’ingresso di un professionista di spicco<br />

quale il dott. Ezio Maria Simonelli in qualità di partner dello studio.<br />

È stato rafforzato il Centro Studi, in cui oggi operano professionisti di riconosciuto<br />

valore, tra gli altri, i proff. Raffaello Lupi, Ivo Caraccioli, Francesco<br />

Crovato e Dario Stevanato. Il coordinamento del Centro Studi, così come<br />

di tutte le iniziative che si rivolgono allo sviluppo del mercato, al consolidamento<br />

della leadership professionale e di pensiero, alla creazione di qualità<br />

e di valore per i clienti sono affidate a Massimo Giaconia, presidente dello<br />

Studio.<br />

Specializzazione e capacità di individuare le soluzioni più appropriate continueranno<br />

ad essere garantite da una consolidata organizzazione per dipartimenti:<br />

Transaction Tax, Int’l Tax Services (Its), Corporate Tax, Global Tax<br />

Operate, Iva e Imposte Indirette, Contenzioso, Human Capital, Gfs - Global<br />

Financial Services, Corporate Services.<br />

5


TESI DI LAUREA<br />

Pubblichiamo la sintesi della tesi<br />

di laurea di Ottavia Eletta Molteni,<br />

dal titolo “Michael Schumacher,<br />

un mito tedesco. Ferrari, una leggenda<br />

italiana”, che ha partecipato al Premio<br />

tesi di laurea dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia, edizione 2002<br />

Ottavia Eletta Molteni si è laureata<br />

in Lingue e Letterature straniere,<br />

indirizzo linguistico-glottodidattico,<br />

specializzazione in Scienze<br />

dell’informazione e delle comunicazioni<br />

all’Università Cattolica del Sacro Cuore<br />

di Milano. Relatore professoressa Anna<br />

Lisa Carlotti, correlatore professor<br />

Giorgio Simonelli<br />

di Ottavia Eletta Molteni<br />

Consegnato definitivamente alla leggenda dopo le vicende<br />

che hanno interessato la coda del campionato 2003, Michael<br />

Schumacher ha mostrato di saper correre con la testa, al<br />

pari di un cuore, che batte al ritmo di “cavalli” rombanti.<br />

Campione impulsivo, talvolta irruente sino all’eccesso, il tedesco<br />

è parso sacrificare la propria incrollabile volontà di vittoria<br />

a favore di una tattica di gara più ponderata. Piazzamenti<br />

talora di natura modesta hanno scandito la rincorsa mondiale<br />

dell’alfiere di Maranello. Frammenti di agonismo, vissuti<br />

condividendo gioie e dolori con gli uomini in Rosso. Più che<br />

un team, una seconda famiglia.<br />

Il connubio fra la scuderia emiliana ed il corridore di Kerpen<br />

è apparso terreno ideale sul quale costruire un raffronto fra<br />

stampa italiana e tedesca, approfondendo la ricaduta, a<br />

termini culturali, di un evento che travalica l’ambito agonistico,<br />

per elevarsi quasi a paradigma di una rinnovata fraternità<br />

democratica fra Italia e Germania.<br />

Ci siamo avvalsi, quali fonti primarie, del Corriere della Sera,<br />

quotidiano milanese; e della Frankfurter Allgemeine Zeitung,<br />

testata edita a Francoforte.<br />

L’arco cronologico prescelto riguarda il<br />

quinquennio 1996-2000: si è inteso<br />

coprire, in questo modo, il periodo che<br />

prende avvio con l’arrivo di Michael<br />

Schumacher sotto i colori di Maranello,<br />

sino a giungere alla conquista, da<br />

parte del tedesco, del mondiale piloti.<br />

L’assunto di base mira a dimostrare<br />

come i diversi “ciottoli”, che hanno<br />

lastricato il “percorso iridato” del corridore,<br />

abbiano contribuito a segnare<br />

un’evoluzione, nella resa a mezzo<br />

stampa, del personaggio in esame. La<br />

strada segnata conosce idealmente il<br />

proprio punto d’arrivo con le lacrime<br />

versate dal fuoriclasse nella sala stampa<br />

del circuito di Monza: in quell’occasione<br />

Schumacher ha rivelato la<br />

propria natura di uomo, non più di<br />

“macchina”, segnando ad un tempo la<br />

morte del “pilota bionico”, grottesco<br />

stereotipo con il quale il campione di<br />

Kerpen si è trovato a dover convivere nel corso <strong>dei</strong> primi anni<br />

a Maranello.<br />

Può essere identificata, più precisamente, la sequenza di<br />

due fasi successive: nella prima il Pilota offusca l’Uomo,<br />

quasi ad inibire l’espressione di sentimenti ed emozioni, pur<br />

naturali; nella seconda l’Uomo riconquista pari dignità,<br />

concedendosi anche ad un pianto liberatorio.<br />

Nella lettura sequenziale <strong>dei</strong> quotidiani volevamo ritrovare,<br />

se possibile, un’evoluzione significativa ad un doppio livello.<br />

Nel Corriere della Sera, dall’iniziale inerenza al “mito-Ferrari”,<br />

sino all’appropriazione totale della “leggenda-Schumacher”;<br />

nella Frankfurter Allgemeine, dall’iniziale solidarietà<br />

con la “leggenda-Schumacher”, alla crescente complicità con<br />

il “mito-Ferrari”. L’analisi proposta ha inteso verificare, inoltre,<br />

in quale misura “l’appartenenza etnica” abbia influito nella<br />

descrizione degli eventi. Quest’ultimo elemento è stato interpretato<br />

secondo una duplice prospettiva: da un lato analizzando<br />

i particolari artifici narrativi applicati alle realtà “di casa”<br />

(macchina italiana-giornale italiano; pilota tedesco-giornale<br />

tedesco); dall’altro adottando, invece, un criterio incrociato,<br />

teso a rimarcare l’incidenza di evidenti diversità storico-culturali<br />

a livello di “modus narrandi” (monoposto italiana-quotidiano<br />

tedesco, e viceversa).<br />

L’approccio da noi recato alle testate ha poggiato su una<br />

premessa teorica: la natura circolare del rapporto che lega<br />

Michael Schumacher agli organi di informazione.<br />

Si è voluto dimostrare come i quotidiani di cui all’oggetto<br />

siano stati influenzati ed abbiano influenzato ad un tempo il<br />

comportamento del fuoriclasse germanico: possiamo affermare<br />

che il campione di Kerpen si è trovato a vivere una<br />

doppia evoluzione, personale e massmediatica, strettamente<br />

correlate l’una all’altra.<br />

Michael<br />

Schumacher,<br />

un mito<br />

tedesco<br />

Schumi sposa la Rossa<br />

ma è… unione d’interesse<br />

La Ferrari inizia a riflettere sul pilota da<br />

ingaggiare per il campionato successivo<br />

nella tarda primavera del 1995.<br />

Jean Todt, direttore sportivo della Scuderia,<br />

propone il nome di Michael Schumacher, in<br />

quel momento la migliore guida del Circus.<br />

Il suggerimento viene accolto in pieno e si<br />

dà così avvio alle trattative, propiziate dal<br />

fatto che il tedesco avverte di essere al<br />

termine di un ciclo della sua vita (con la<br />

Benetton ha ormai vinto due titoli mondiali<br />

consecutivi) e si sente attratto dalla sfida di<br />

riconfermarsi “numero uno” dopo essere<br />

ripartito da zero. Schumacher viene ingaggiato<br />

ufficialmente dalla Ferrari in occasione<br />

del Gran Premio d’Ungheria. Nel contratto<br />

del pilota, l’impegno a correre per il team<br />

del Cavallino Rampante nella stagione<br />

1996.<br />

Così Schumi ha sposato la Rossa: il Corriere<br />

della Sera descrive in questi termini,<br />

facendo ricorso ad una metafora matrimoniale,<br />

l’ingaggio ufficiale di Michael Schumacher.<br />

L’immagine presentata acquista<br />

nuova forza dalla scelta (felice ed efficace)<br />

di sostituire il nome della scuderia, Ferrari,<br />

con l’aggettivo sostantivato “Rossa”<br />

(evidente l’allusione al colore delle monoposto<br />

di Maranello): il termine appare, infatti,<br />

facilmente riconducibile anche ad una<br />

figura di sesso femminile, una sposa dalla<br />

capigliatura fulva. L’accostamento scuderiadonna<br />

viene sostenuto anche nel corso<br />

dell’articolo. Nestore Morosini afferma che<br />

Schumacher abbia ceduto alla Ferrari,<br />

colpito da “occhiate seducenti”.<br />

La preferenza accordata al team di Maranello<br />

ha “spezzato il cuore” delle altre “pretendenti”,<br />

anche se sono già in molti a sostenere<br />

che si tratti di un’unione d’”interesse” più<br />

che d’amore.<br />

Ferrari überzeugt mit Geld, Mythos und<br />

Herausforderung (“La Ferrari convince con<br />

soldi, mito e sfida”): dopo il quotidiano milanese,<br />

anche la Frankfurter Allgemeine si<br />

sofferma a riflettere sui motivi che hanno<br />

potuto spingere il tedesco a scegliere la<br />

scuderia del Cavallino Rampante. Un primo<br />

suggerimento: il pilota potrebbe essersi<br />

sentito attratto da ciò che la Ferrari rappresenta.<br />

Il motivo reale è, però, un altro: determinante,<br />

l’offerta economica. Il ventaglio <strong>dei</strong> possibili<br />

motivi alla base della scelta di Schumacher<br />

si completa con l’allusione ad un’altra<br />

tematica. Il campione di Kerpen ammette di<br />

sentirsi stimolato dalla sfida che l’attende.<br />

È in occasione della conquista della seconda<br />

iride che la dimensione più squisitamente<br />

umana del pilota inizia a lasciarsi intravedere.<br />

Il tedesco, in genere freddo e composto,<br />

si abbandona alle più tipiche manifestazioni<br />

di gioia. “Prima di questo secondo alloro,<br />

Schumacher era considerato un pilota di<br />

ghiaccio, un uomo alieno dalle simpatie<br />

personali e scarno nel rapporto con i<br />

meccanici.<br />

Per questo qualcuno aveva profetizzato che<br />

alla Ferrari, in mezzo a gente latina, quindi<br />

espansiva, si sarebbe trovato in difficoltà”<br />

(Cds, 23/10/1995).<br />

Fuoriclasse dal carattere<br />

freddo e impenetrabile<br />

Dopo i primi test, la F310 evidenzia grandi<br />

problemi di tenuta. Limiti che si evidenziano<br />

in occasione della prima gara iridata targata<br />

1996, il Gran Premio d’Australia. Schumacher<br />

è costretto al ritiro per un guasto all’impianto<br />

<strong>dei</strong> freni dopo trentatré giri. Seguono<br />

due corse durante le quali si alternano<br />

speranze e frustrazioni. In Brasile, il pilota<br />

tedesco sale per la prima volta sul podio<br />

(terzo posto), ma è staccato di un giro. In<br />

Argentina, parte in prima fila, ma si ritira per<br />

la rottura dell’alettone posteriore.<br />

L’impresa di Michael Schumacher sul circuito<br />

di Buenos Aires genera sulle pagine del<br />

Corriere della Sera un clima da Cuore e<br />

batticuore. “Sarà in pista Michael Schumacher,<br />

campione del mondo in carica, tedesco<br />

di nascita, già italiano d’adozione dopo il suo<br />

passaggio alla Ferrari, finalmente protagonista<br />

con la Rossa” (Cds, 7/4/1996). Si tratta<br />

della prima volta in cui si evidenzia un aperto<br />

senso di appropriazione nei confronti del<br />

campione; all’ammirazione subentra un vero<br />

e proprio coinvolgimento emotivo. Sottolinea<br />

il momento importante vissuto dal pilota<br />

anche la scelta del corredo iconografico.<br />

Dopo un mese, il quotidiano di via Solferino<br />

ci presenta una bella foto del fuoriclasse<br />

(Schumacher è ritratto mentre si trova all’interno<br />

della sua Rossa). In precedenza, era<br />

stato concesso spazio, in prevalenza, ai<br />

protagonisti in corsa.<br />

A Imola, la prima pole position stagionale<br />

viene vanificata da un problema alla frizione<br />

che rallenta il tedesco in partenza. La corsa<br />

si risolve, tuttavia, in modo positivo per la<br />

Ferrari (secondo posto). Il Corriere della Sera<br />

si sofferma a rimarcare con insistenza un lato<br />

della personalità di Michael Schumacher,<br />

peraltro di per sé noto agli appassionati del<br />

settore: perfetto in pista, viene descritto come<br />

freddo ed impenetrabile nei rapporti umani.<br />

La peculiarità caratteriale del fuoriclasse è<br />

posta dapprima in evidenza al termine delle<br />

prove di qualificazione. “Schiumata la prima<br />

legittima euforia, Schumi (abbreviazione<br />

dolciastra e tuttavia efficace) aveva, come<br />

sempre, l’atteggiamento di un alto funzionario<br />

della Deutsche Bank”. (Cds, 5/5/1996).<br />

Identico clima anche nel dopo gara. Il<br />

campione di Kerpen ha appena conquistato il<br />

secondo posto; nonostante questo il suo volto<br />

non tradisce alcuna emozione particolare.<br />

“Lui, il signore in rosso, si apprestava ad<br />

affrontare i giornalisti, in sala stampa, con<br />

l’aspetto più normale possibile: pareva che<br />

per lui, composto e pallidino, glaciale come<br />

sempre, la corsa dovesse ancora cominciare.<br />

[...] Mentre Schumi parlava, i televisori<br />

ripetevano al rallentatore la partenza del<br />

Gran Premio e le sue fasi salienti. Lui si<br />

riguardava senza tradire la minima emozione:<br />

gelido, alunno e insieme professore di se<br />

stesso” (Cds, 6/5/1996).<br />

A Montecarlo, la gara del tedesco non dura<br />

neanche trenta secondi (sbatte alla prima<br />

curva, quella del Portier). “Ieri ci aspettavamo,<br />

nella Ferrareide annunciata dalle qualificazioni,<br />

il do di petto di Schumacher. Poveri<br />

noi, come dice Lauda “anche Michael è un<br />

uomo” (Cds, 20/5/1996).<br />

6 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


Ferrari,<br />

una<br />

leggenda<br />

italiana<br />

I segni del “disgelo”<br />

dopo un anno in Italia<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

Nel Gran Premio di Spagna, la prima guida<br />

di Maranello conquista la prima vittoria al<br />

volante della Ferrari. Viene recuperata la<br />

metafora con cui si era aperta l’avventura di<br />

Michael Schumacher in terra emiliana. “Ed<br />

eccolo arrivato, finalmente, il giorno del vero<br />

matrimonio fra Schumacher e la Ferrari. Un<br />

giorno bagnato e quindi, come dice il proverbio<br />

un po’ adattato, fortunato. Un giorno<br />

cominciato male e finito talmente bene da<br />

poter affermare che la Formula 1 ha un<br />

nuovo mago della pioggia che mette insieme<br />

tutte le qualità di Ayrton Senna” (Cds,<br />

3/6/1996).<br />

Dopo il trionfo sul circuito spagnolo, l’asso di<br />

Kerpen si trova a passare quasi tre mesi da<br />

incubo. A Spa e Monza, quindi, arrivano due<br />

strepitose vittorie.<br />

Il Gran Premio del Belgio vale a restituirci un<br />

Michael Schumacher inedito. Sul podio di<br />

Spa il tedesco, che sino a quel momento<br />

aveva cercato di celare le proprie emozioni<br />

più semplici ed immediate, abbraccia Jean<br />

Todt e lo alza di peso. Possiamo leggere nel<br />

fuoriclasse i primissimi segni di “disgelo”,<br />

complice quasi un anno di sole italiano.<br />

Anche il circuito brianzolo assiste ad esternazioni<br />

che non sembrava appartenessero<br />

alla sensibilità del due-volte campione del<br />

mondo. Schumacher racconta ai giornalisti<br />

di aver provato un’emozione fortissima. In<br />

piedi, sul gradino più alto del podio, ha capito<br />

finalmente che cosa rappresentasse la<br />

scuderia Ferrari nel panorama italiano e gli è<br />

venuta la pelle d’oca. “Da ieri il tedesco<br />

Schumacher è uno di noi; probabilmente<br />

anche lui ha scoperto quale forza, quale<br />

calore sappia ancora dare questo Paese se<br />

ha qualcosa in cui credere. Da quanto ha<br />

detto e da come l’ha detto, sembrava intenerito<br />

come un italiano, come un ferrarista da<br />

generazioni” (Cds, 9/9/1996).<br />

Campione ma anche<br />

padre di famiglia<br />

Le prime battute del campionato 1997<br />

segnano un importante cambiamento per<br />

quanto attiene la definizione, a termini<br />

mediatici, di Michael Schumacher. Il pilota,<br />

divenuto padre per la prima volta, il 20<br />

febbraio, della piccola Gina Maria, confessa<br />

di volere costruire il futuro primariamente<br />

intorno alla sua famiglia. “Se il giovane<br />

Michael, con la nascita di Gina Maria è<br />

cambiato ed è diventato uomo e padre, il<br />

professionista rimane sempre lo stesso.<br />

Rifiuta di commentare di nuovo l’incidente in<br />

cui morì Senna, non se la sente ancora di<br />

giudicare la battaglia fra Villeneuve e Frentzen<br />

alla Williams” (Cds, 28/3/1997).<br />

In Francia la Ferrari domina dal primo all’ultimo<br />

giro. Si fa largo l’idea che, in virtù <strong>dei</strong><br />

risultati conseguiti, Michael Schumacher<br />

possa aspirare alla conquista del terzo titolo<br />

mondiale. Il tedesco sembra, però, non volersi<br />

abbandonare del tutto a questa prospettiva.<br />

“Lui, questo degno epigono di Prost e di<br />

Senna, non lo ammetterà mai. Perché sotto i<br />

sorrisi che sempre dispensa dopo la vittoria,<br />

seguita a coltivare teutoniche freddezze, un<br />

senso istintivo e anche imparato del calcolo<br />

da consumarsi nell’assoluto privato” (Cds,<br />

30/6/1997).<br />

Sul tracciato di Silverstone, Carlo Grandini ci<br />

restituisce il campione di Kerpen in versione<br />

sala stampa. Dalle annotazioni del giornalista<br />

emerge un tratto di freddezza, evocata<br />

dalle espressioni “aria di distacco concepita<br />

in laboratorio”, “immutabilità caratteriale”,<br />

“equilibri di esposizione”. Siamo portati ad<br />

affermare che, a distanza di due anni dal suo<br />

arrivo a Maranello, il tedesco sia stato solo<br />

sfiorato dalla grande capacità di gioire e di<br />

piangere del “popolo Ferrari”. La proiezione<br />

di sé che si è faticosamente costruito nel<br />

corso della sua carriera si rivela ancora troppo<br />

forte.<br />

Più rispetto che amore<br />

da parte <strong>dei</strong> tifosi<br />

La Frankfurter Allgemeine propone una riflessione.<br />

Michael Schumacher è veramente<br />

amato dai tifosi della Ferrari? La prima parte<br />

del titolo recita Die Fans bewundern den<br />

‘Schumi-Ferrari’ (“I tifosi ammirano ‘Schumi-<br />

Ferrari’). Schumacher wird mehr geachtet als<br />

geliebt (“Schumacher è più rispettato che<br />

amato”). Il concetto si chiarisce nel corso del<br />

pezzo e ci restituisce l’idea di un pilota, osannato<br />

solo per i risultati che ha saputo conquistare<br />

alla Rossa. “Dietro a questo misto di<br />

uomo e macchina c’è meno un amore ardente<br />

per Schumacher, quanto il rispetto di fronte<br />

al due-volte campione del mondo. Schumacher<br />

non è un tipo impulsivo come Jean<br />

Alesi, non è uno che, dopo un errore, salta<br />

giù dalla macchina e lascia libero sfogo alla<br />

sua rabbia con un calcio contro la sua monoposto,<br />

non è uno che per la delusione piange<br />

pubblicamente” (Faz, 6/9/1997). Traspare<br />

quasi un senso di rimprovero nei confronti del<br />

popolo italiano, che non sembra in grado di<br />

affezionarsi sinceramente al campione di<br />

Kerpen a causa di una differenza culturale. Si<br />

legge ancora: “Il comportamento sempre<br />

disciplinato, le sue decisioni tattiche nel giro<br />

di pochi secondi, l’equilibrio con il quale ripete,<br />

giro dopo giro, i tempi richiesti fino al decimo<br />

di secondo, gli hanno procurato l’appellativo<br />

di “Computer”. […] Gli sfoghi sentimentali<br />

[…] colgono il pilota della Ferrari più facilmente<br />

nel silenzio. O rimangono inosservati”<br />

(ibidem).<br />

L’ultima prova iridata, a Jerez, consegna il<br />

titolo piloti a Jacques Villeneuve. Il canadese<br />

vince la corsa, dopo essere rimasto vittima,<br />

nel corso del quarantottesimo giro, di uno<br />

scontro con Michael Schumacher. L’episodio,<br />

lungamente riproposto dalle televisioni di<br />

mezzo mondo, vede il tedesco chiudere la<br />

traiettoria al diretto avversario in occasione<br />

di un tentativo di sorpasso in curva. I giorni<br />

che seguono la gara segnano una delle pagine<br />

più nere nella storia professionale ed<br />

umana di Michael Schumacher. Perso il terzo<br />

titolo iridato sul filo di lana, il pilota si trova ad<br />

affrontare critiche che giungono da ogni<br />

dove. “Ho commesso un errore, lo ammetto<br />

in tutta onestà. In seguito a questo sbaglio<br />

Jacques è diventato campione del mondo e<br />

io, perdendo, ho mostrato una dimensione<br />

umana. Sono uno che non commette molti<br />

errori quando guida una monoposto, però<br />

quello di Jerez è stato molto grosso” (Cds,<br />

29/10/1997). Interessante la sottolineatura<br />

“ho mostrato una dimensione umana”.<br />

Traspare, ancora una volta, un attacco velato<br />

nei confronti di un tipo di sensibilità, quella<br />

italiana, che ha sempre lasciato intendere, in<br />

modo concreto e preciso, la propria presa di<br />

distanza nei confronti di un atleta, avvertito<br />

come freddo e impenetrabile (elemento<br />

emerso d’altronde anche nel corso dell’analisi<br />

del quotidiano tedesco). Anno Hecker, in<br />

uno “schizzo” veloce del campione di<br />

Kerpen, definisce il campione Der Kontrolleur<br />

der Rennleidenschaft (“Il controllore<br />

della passione per le corse”). “Tutte le volte<br />

che Michael Schumacher viene interrogato<br />

riguardo ad una situazione inebriante in<br />

corsa, assume un atteggiamento distaccato.<br />

Come se temesse il potere del dolore e <strong>dei</strong><br />

sentimenti. (…) lo affascina il tentativo di<br />

controllare tutto sino nel dettaglio: se stesso,<br />

la monoposto, il team, ogni situazione in<br />

corsa. Domenica è naufragato in una situazione<br />

che non dominava. L’immagine, spesso<br />

utilizzata, del tipo gelido, del “Computer”<br />

Schumacher, è da collegarsi ad un periodo,<br />

quando l’allora ventottenne pilota cercava di<br />

nascondere in pubblico ogni sentimento”<br />

(Faz, 27/10/1997).<br />

Contratto prorogato<br />

a suon di miliardi<br />

La prima affermazione della Ferrari nel 1998<br />

arriva in Argentina, sul tracciato di Buenos<br />

Aires. Michael Schumacher, che già in qualifica<br />

è riuscito ad inserirsi tra le Mc-Laren<br />

Mercedes (suo il secondo posto sulla griglia),<br />

conquista il successo dopo aver superato<br />

prima Hakkinen e poi il leader della corsa,<br />

David Coulthard.<br />

Il “sogno Ferrari” prosegue lungo l’asse<br />

Canada-Francia-Inghilterra. Una tripletta<br />

miracolosa che consente al pilota di portarsi<br />

a ridosso di un Mika Hakkinen, sino a quel<br />

momento imprendibile.<br />

Si discute di questioni contrattuali. Il “rapporto<br />

di collaborazione” tra la Ferrari e Michael<br />

Schumacher, destinato a durare sino a tutto<br />

il 1999, viene prolungato ulteriormente di tre<br />

anni. L’annuncio, riportato in contemporanea<br />

da entrambe le testate analizzate, vale a tratteggiare<br />

un retroscena mai affermato con<br />

tanta chiarezza. Il “ritratto” offerto serve a<br />

demolire una certa iconografia, che i mezzi<br />

di comunicazione di massa sembrano aver<br />

“cucito addosso” al pilota di Kerpen. Lo<br />

“Schumi” adorato dai tifosi della Rossa è in<br />

realtà…<br />

Schumacher-Ferrari, le nozze d’oro, titola il<br />

Corriere della Sera. L’espressione “nozze<br />

d’oro” non si riferisce al numero di anni che i<br />

“coniugi” hanno trascorso insieme (i cinquant’anni<br />

di unione, denominati convenzionalmente<br />

in questo modo). Allude ai miliardi<br />

che il tedesco riceverà in cambio delle sue<br />

prestazioni in pista. È allora una mera<br />

questione economica? “A Maranello, Schumacher<br />

ha trovato un gruppo di uomini che<br />

gli ha fatto sentire il calore umano. Schumi<br />

sembra uomo freddo, nordico, capace<br />

soltanto di stabilire un contatto tedesco e poi<br />

una strategia di corsa con chi gli sta intorno.<br />

In realtà il suo rapporto con gli uomini della<br />

7


TESI DI LAUREA<br />

Ferrari è eccezionale: è il “piccolo” coccolato,<br />

vezzeggiato e amatissimo di tutta la squadra”<br />

(Cds, 18/7/1998). L’importanza del fattore<br />

ambientale ed il rapporto di affetto e stima<br />

reciproca, instaurato da Michael Schumacher<br />

con l’intero team della Rossa, vengono<br />

evidenziati anche dalla Frankfurter Allgemeine:<br />

“Schumacher si sente bene nella sua<br />

“pelle”. L’atmosfera in Scuderia funziona.<br />

Sensibile, il miglior pilota del momento si è<br />

guadagnato, nei primi due anni e mezzo, la<br />

fiducia dell’intero team” (Faz, 18/7/1998).<br />

Sequenze da brivido<br />

al Gran Premio del Belgio<br />

Il Gran Premio del Belgio del 31 agosto 1998<br />

regala una delle sequenze maggiormente<br />

riproposte dalle televisioni di mezzo mondo.<br />

Nel corso della venticinquesima tornata,<br />

Michael Schumacher, saldamente al comando<br />

della corsa dopo il ritiro del rivale Hakkinen,<br />

va a finire contro la monoposto di<br />

Coulthard che stava doppiando. Nell’impatto,<br />

causato, secondo il tedesco, da un’eccessiva<br />

decelerazione dello scozzese, il pilota di<br />

Kerpen perde una ruota ed è costretto a rientrare<br />

ai box.<br />

Il Corriere della Sera ritorna sull’argomento<br />

nell’edizione del martedì. Luca Goldoni sottolinea<br />

come l’alfiere della Rossa sia tanto<br />

amato dagli appassionati di Formula 1 per la<br />

sua capacità di regalare forti emozioni. Viene<br />

fornito un ritratto altamente evocativo, atto ad<br />

esprimere quanto il corridore possa emozionare<br />

quanti lo seguono davanti ad un televisore.<br />

“Schumacher è uno che, se c’è da ballare,<br />

balla. Quando è saldamente in testa e gli<br />

urliamo dai nostri divani, vai piano vai piano,<br />

lui tiene giù il piede e fa il giro record. Quando<br />

si fionda in un sorpasso che nessun altro<br />

azzarderebbe perché è contro le leggi di fisica<br />

balziamo in piedi come ad un gol della<br />

nazionale. Per questo Schumacher è amato,<br />

per questo è così popolare. Non agisce per<br />

far spettacolo, ma in sostanza lo fa regalandoci<br />

quei brividi che ci aspettiamo da un gran<br />

premio” (Cds, 1/9/1998). La “domenica nera”<br />

di Spa non sembra, però, essere trascorsa<br />

invano, perché alla crisi del Pilota ha fatto<br />

riscontro l’affermazione dell’Uomo. “Resta il<br />

fatto che Schumacher, invece di quel sorpasso,<br />

avrebbe potuto fermarsi, bere un caffè,<br />

risalire in macchina e vincere. Invece ha<br />

obbedito ad un impulso. A uno di quegli<br />

impulsi che tante volte ci hanno emozionato.<br />

Per questo anche se si è giocato il podio,<br />

umanamente mi piace di più” (ibidem).<br />

Dopo la drammatica e piovosa domenica<br />

vissuta nelle Ardenne, arriva il sole di Monza,<br />

e non solo dal punto di vista meteorologico.<br />

Michael Schumacher, alla sua prima pole<br />

stagionale, ed il compagno di squadra Eddie<br />

Irvine regalano alla Ferrari una storica<br />

doppietta. Un rapporto speciale sembra<br />

essersi instaurato fra l’alfiere di Maranello e i<br />

sostenitori della Rossa. Siamo in presenza di<br />

un “canale” di affetto e stima a doppia circolazione,<br />

dove a catturare l’attenzione generale<br />

è il comportamento del due-volte campione<br />

del mondo. Non appena sceso dalla sua<br />

monoposto, Schumacher corre, infatti, sotto<br />

la tribuna dell’autodromo gremita di pubblico,<br />

quasi a volersi far investire in pieno dall’ondata<br />

di entusiasmo che ha invaso il circuito<br />

brianzolo.<br />

Nell’ora del trionfo<br />

ricordando la nonna<br />

Il successo ottenuto dalla Ferrari sul tracciato<br />

brianzolo segna un momento importante<br />

nell’evoluzione di quello che abbiamo definito<br />

il “personaggio Schumacher”. Giunge ad un<br />

primo stadio di compimento il processo di<br />

“umanizzazione” del campione di Kerpen.<br />

Uno degli contributi, pubblicati dal Corriere<br />

della Sera, ci presenta, infatti, una figura, che,<br />

sino a quel momento, non era stata neppure<br />

accennata dai mezzi di comunicazione di<br />

massa, Anna, nonna del pilota tedesco.<br />

“Michael Schumacher che incrocia le dita alla<br />

vigilia e che parla della sua Anna, della sua<br />

nonna, nell’ora del trionfo più bello, non è più<br />

il freddo calcolatore tedesco. Campione scontroso,<br />

distaccato e irraggiungibile. Michael<br />

Schumacher è italianissimo. Nei vizi e nelle<br />

virtù. Nelle emozioni e nelle reazioni. Come i<br />

duecento tifosi che in tre giorni gli hanno<br />

trasmesso la carica e gli hanno regalato un<br />

pizzico del calore, dell’entusiasmo e delle<br />

trasgressioni di cui sono capaci” (Cds,<br />

14/9/1998). In questo estratto si presenta di<br />

estremo interesse la proposizione “Schumi è<br />

italianissimo”. Esprime un percorso di appropriazione<br />

prima di tutto culturale e poi umana,<br />

che è giunto ormai al termine. Ogni barriera è<br />

definitivamente caduta e i tifosi della Ferrari<br />

sentono di poter gioire con il tedesco come se<br />

si trattasse di uno di loro. Importante sottolineare<br />

la scelta del verbo “essere”: testimonia<br />

una realtà, che fino a qualche tempo prima si<br />

muoveva solo nell’ambito dell’apparenza. Non<br />

è la prima volta, infatti, che il quotidiano di via<br />

Solferino propone una notazione del genere.<br />

In occasione del Gran Premio d’Italia del<br />

1996, Giorgio Tosatti scriveva in un fondo:<br />

«sembrava intenerito come un italiano, come<br />

un ferrarista da generazioni».<br />

Il campionato 1998 vive le battute finali sul<br />

tracciato di Suzuka. Michael Schumacher,<br />

alla seconda pole position stagionale, è<br />

costretto dapprima a prendere il via dal fondo<br />

dello schieramento e poi a ritirarsi per lo<br />

scoppio dello pneumatico posteriore destro.<br />

Mika Hakkinen si laurea così nuovo campione<br />

del mondo; la McLaren conquista, invece,<br />

il titolo costruttori.<br />

Un dato permane comunque certo: “Questo<br />

mondiale lo ricorderemo perché ha regalato<br />

gioie e dolori ai ferraristi, perché ha offerto<br />

emozioni e rabbia e perché ha mostrato i<br />

sentimenti che agitano o tranquillizzano o<br />

scuotono un grande campione della formula<br />

uno costretto a rincorrere, ma felice di esaltare.<br />

Destinato a crollare sul filo di lana” (Cds,<br />

2/11/1998). L’alfiere di Maranello è uomo che<br />

sembra stupire non solo per le sue prestazioni<br />

in pista. Temperamento combattivo,<br />

sempre votato alla vittoria, Michael Schumacher<br />

guarda la piccola Gina Maria e capisce:<br />

in fondo non ha perso altro che un titolo.<br />

Un tremendo impatto<br />

a 107 km all’ora<br />

La stagione 1999 si può racchiudere in un’istantanea.<br />

Alle 14.03, ora italiana, il campionato<br />

mondiale di Michael Schumacher finisce<br />

contro il muro di gomme all’esterno della<br />

curva Stowe, sul circuito di Silvertsone. L’impatto<br />

a 107 km/h è tremendo. Il tedesco se la<br />

cava con la frattura di tibia e perone della<br />

gamba destra. Fabio Cavalera ci descrive<br />

quei drammatici momenti nel fondo a girare<br />

dalla prima pagina. Il giornalista si riferisce al<br />

pilota e lo chiama “l’uomo”. Il termine testimonia<br />

la situazione drammatica, che ha attraversato<br />

la prima guida Ferrari, una circostanza<br />

che lo ha svestito del ruolo di personaggio<br />

per evidenziarne la fragilità e la vulnerabilità<br />

tipiche di un essere umano. Il corridore tenta<br />

di uscire dalla propria monoposto. Le gambe,<br />

però, non lo sorreggono. Il fuoriclasse crolla<br />

nell’abitacolo della sua vettura, emettendo un<br />

gemito di dolore.<br />

L’incidente di Silverstone fa seguito a due<br />

belle affermazioni dell’asso di Kerpen prima<br />

a Imola, quindi a Montecarlo. Sul circuito<br />

monegasco, in particolare, il pilota era parso<br />

avvicinarsi, una volta di più, ad una completa<br />

“umanizzazione”. Sul podio “Schumacher,<br />

oltre ai salti acrobatici con Todt in braccio<br />

come un bambino, fa una cosa che non<br />

Michael Schumacher,<br />

un mito tedesco<br />

aveva fatto mai. Si commuove. Come un qualsiasi<br />

sentimentale di casa nostra” (Cds,<br />

17/5/1999).<br />

Mentre l’atleta tedesco si occupa della rieducazione<br />

della gamba fratturata, la Ferrari si<br />

trova ad affrontare il primo Gran Premio della<br />

stagione senza il proprio atleta di punta.<br />

Senza Schumi non è Ferrari, scrive la testata<br />

di via Solferino: l’espressione si riferisce, da<br />

un lato, ad un discorso prettamente tecnico;<br />

dall’altro ci racconta, invece, un profondo<br />

attaccamento umano nei confronti del<br />

campione di Kerpen. Il lato emotivo supera<br />

anzi in importanza il versante più squisitamente<br />

professionale. “I ragazzi della Ferrari<br />

sorridono, ma non sono allegri. Michael<br />

Schumacher ha lasciato un vuoto che mai<br />

avrebbero immaginato così grande. Quella<br />

gamba spezzata, forse, ha rotto anche la<br />

gioia del lavoro” (Cds, 24/7/1999) Anche la<br />

Frankfurter Allgemeine si sofferma ad<br />

evidenziare la reazione dell’ambiente delle<br />

corse all’infortunio di Michael Schumacher<br />

(Genervt und nervös reagiert die Formel 1<br />

auf den Beinbruch des Kerpeners – “la<br />

Formula 1 reagisce con nervosismo e stizza<br />

alla frattura della gamba del pilota di<br />

Kerpen”). Die Gegenwart des abwesenden<br />

Schumacher als Zeichen der Monokultur (“Il<br />

presente dell’assente Schumacher quale<br />

segno della monocultura), titola la corrispondenza<br />

di Anno Hecker. Il termine “monocultura”,<br />

di sapore sociologico, allude, nel caso<br />

specifico, ad una particolare attitudine, che<br />

esclude uno <strong>dei</strong> due elementi su cui si gioca<br />

la competizione in ambito automobilistico,<br />

precisamente la componente meccanica, a<br />

favore di quella umana; “Maschine im Schatten<br />

des Menschen” (“Macchina all’ombra<br />

dell’uomo”), prosegue, a questo riguardo,<br />

l’occhiello.<br />

«Il mito è effimero<br />

se non lo alimenti»<br />

Nel primo fine settimana di agosto la “carovana”<br />

della Formula 1 si sposta in Germania. Il<br />

racconto del Gran Premio è corredato, sul<br />

Corriere della Sera, dal box “Il grande assente”.<br />

Schumacher: «Tornerò dopo Monza. Il<br />

servizio riporta il contenuto del collegamento<br />

televisivo, che ha visto protagonista l’indiscusso<br />

talento dell’automobilismo e che è<br />

stato trasmesso dal maxischermo dell’autodromo<br />

prima dell’inizio della competizione. La<br />

“conferenza” via etere del fuoriclasse diventa<br />

spunto per un contributo dell’incisivo Luca<br />

Goldoni. Lo scrittore prospetta quella che<br />

nella testatina viene definita “intervista immaginaria”.<br />

Nelle sue intenzioni, precisare la<br />

reale portata del pensiero di Schumacher. Il<br />

tedesco è fatto stendere su un “lettino virtuale”;<br />

qui Goldoni lo sottopone ad “una breve<br />

seduta psicanalitica a distanza”. Le considerazioni<br />

emerse vengono riportate l’una dopo<br />

l’altra: “Io non c’ero nelle ultime due gare e<br />

tanti fans pensano che è stata colpa mia […]<br />

Schumi fa troppi errori, pensano anche i miei<br />

fedelissimi, e qualche dubbio comincia a<br />

venire anche a me […] sono frustrato, roso<br />

dai rimorsi e anche un po’ infuriato … dannazione,<br />

Irvine non poteva guidare sempre a<br />

quel modo, quando avevo bisogno di lui? …<br />

E che dovrei fare ora? Rientrare a Monza?<br />

La primadonna retrocessa a servetta portatrice<br />

d’acqua? Ma per carità” (Cds, 2/8/1999).<br />

Il pilota muta quindi registro. “Penso anche<br />

che il mito è effimero, se non lo alimenti, si<br />

affloscia: se allargassero l’abitacolo e ci incastrassero<br />

Kohl, la gente impazzirebbe per lui,<br />

così vanno le cose in Ferrari. E allora mi<br />

prospetto un altro scenario… Torno appena<br />

posso, sono tagliato fuori dal Mondiale, ma<br />

do una mano a Irvine, magari strappo una<br />

pole […]. Immagino i tifosi: Schumi da semidio<br />

a missionario. L’idolo risorge nell’umiltà<br />

ecc. Il vero protagonista tornerei io” (ibidem).<br />

Anche la Frankfurter Allgemeine, seppure<br />

8 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


Ferrari, una<br />

leggenda italiana<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

con un giorno di distanza, si interroga sull’effettivo<br />

stato d’animo del corridore Ferrari.<br />

Eguale la tecnica scelta. Evi Simeoni introduce<br />

una telecamera di bordo virtuale e ne dirige<br />

l’obiettivo verso la villa svizzera del fuoriclasse<br />

per registrarne le reazioni. “Il pilota di<br />

Kerpen se ne sta rinchiuso, così in questo<br />

caso siamo guidati dall’immaginazione:<br />

Schumacher davanti al televisore, che sta a<br />

guardare la doppia vittoria Ferrari di Irvine e<br />

Hakkinen nel Gran Premio di Germania e si<br />

domanda che cosa significhi per il suo ruolo<br />

nel team. Qualcosa senza di lui va meglio<br />

quindi? Schumacher la mattina successiva<br />

mentre legge i giornali. […] No, il volto di<br />

Schumacher mentre legge questo tipo di<br />

stampa preferiamo non immaginarcelo” (Faz,<br />

3/8/1999).<br />

Michael Schumacher segna il ritorno alle<br />

competizioni in occasione del Gran Premio<br />

della Malesia, in coda ad un periodo travagliato,<br />

ritmato da continui test tecnici e clinici<br />

e da dichiarazioni di resa incondizionata,<br />

prontamente smentite.<br />

Sul tracciato di Sepang l’alfiere di Maranello<br />

conquista la pole dopo novantotto giorni di<br />

assenza dalle gare. Realizza il giro più veloce<br />

e consegna la vittoria finale a Eddie Irvine,<br />

lasciandolo sfilare in testa a tre tornate<br />

dal termine.<br />

Si arriva così in Giappone. Michael Schumacher<br />

parte nuovamente al palo. Una sua vittoria<br />

toglierebbe all’“antico” rivale finlandese<br />

ogni speranza di rimonta. Il tedesco sbaglia,<br />

però, lo start e si lascia infilare proprio dalla<br />

prima guida della McLaren, che si rivela poi<br />

imprendibile. Il titolo iridato piloti finisce<br />

nuovamente nelle mani del team anglo-tedesco;<br />

la Ferrari si consola, comunque, con la<br />

conquista del mondiale Costruttori.<br />

Stile di vita italiano<br />

per dovere d’immagine<br />

Le fasi iniziali del campionato 2000 si rivelano<br />

trionfali per Michael Schumacher e la<br />

Ferrari. Il campione di Kerpen sale sul gradino<br />

più alto del podio già nella prima gara, a<br />

Melbourne.<br />

Il Corriere della Sera ci regala un curioso<br />

retroscena. Negli ultimi giri che lo stavano<br />

conducendo verso la bandiera a scacchi, il<br />

fuoriclasse si è messo a parlare con la sua<br />

vettura, chiedendole di non tradirlo sul più<br />

bello. “Michael Schumacher dentro la rossa<br />

numero tre coccola con paroline di conforto<br />

la sua straordinaria Ferrari. Il verbo è sacrosanto<br />

e giusto. Racconterà proprio il tedesco,<br />

sempre meno tedesco per dovere di immagine<br />

e forse anche per scelta di vita e di sentimento,<br />

che lui l’ha “coccolata”. (Cds,<br />

13/3/2000). Nell’estratto viene rimarcato<br />

come l’alfiere Ferrari abbia svestito, da<br />

tempo, e in misura progressiva, “panni” tipicamente<br />

tedeschi, per assumere comportamenti<br />

che si avvicinino maggiormente alla<br />

sensibilità e allo stile di vita italiani. La scelta<br />

è legata, però, a “dovere di immagine” e si<br />

ricollega alle pesanti critiche, che hanno<br />

bersagliato il campione di Kerpen sin dal suo<br />

arrivo in Maranello. Contestazioni acuite dalla<br />

fitta trama di notizie e smentite, che hanno<br />

accompagnato il periodo di riabilitazione,<br />

seguito all’incidente di Silverstone. Si parla<br />

tuttavia anche di una “scelta di vita e di sentimento”.<br />

Soluzione che viene osservata, però,<br />

con occhio fortemente dubitativo (espresso<br />

dalla congiunzione “forse”).<br />

Anche la Frankfurter Allgemeine sottolinea<br />

come il Gran Premio d’Australia ci abbia regalato<br />

uno Schumacher inedito. Accanto ad<br />

alcuni elementi che sono entrati di diritto a far<br />

parte dell’iconografia legata al pilota tedesco,<br />

Anno Hecker mostra una nuova “immagine da<br />

trionfo”. “All’atleta Schumacher, che, dopo i<br />

trionfi, salta leggero sul podio come fosse un<br />

atleta di salto in alto, ci siamo abituati. Ai baci<br />

mandati all’indirizzo della squadra anche. Ma<br />

che Schumacher, mentre è ancora all’interno<br />

della vettura, allunghi entrambe le braccia<br />

fuori dal posto di guida per applaudire, all’ingresso<br />

della Parc Fermé, uno dopo l’altro gli<br />

uomini della squadra Ferrari schierati, è una<br />

nuova variante” (Faz, 13/3/2000). Nell’ultima<br />

sottolineatura è possibile leggere una sorta di<br />

“presa di distanza” latente. Quasi che, correndo<br />

per un team italiano, Michael Schumacher<br />

stia un poco smarrendo le proprie radici e la<br />

propria storia professionale.<br />

A rimarcare il cambiamento operato nel pilota,<br />

un articolo pubblicato dal quotidiano di via<br />

Solferino a due giorni dal Gran Premio d’Europa.<br />

“Quanto è diverso lo Schumacher di<br />

oggi rispetto a quello degli anni scorsi. È un<br />

pilota dal volto umano, non più un freddo<br />

robot o un marziano del volante in grado di<br />

guidare in modo pressoché perfetto un bolide<br />

da 800 cavalli, specialmente quando c’è la<br />

pioggia. Un uomo affezionato ai suoi due<br />

bambini, che porta nella tasca della tuta da<br />

corsa la spazzolina che gli ha mandato la<br />

figlia Gina Maria, quasi fosse la foto con la<br />

scritta “Non correre papà” che tanti automobilisti<br />

tengono sulla plancia della vettura”<br />

(Cds, 23/5/2000).<br />

“Doppiando” prestazioni a corrente alternata,<br />

si arriva al Gran Premio d’Italia. Michael<br />

Schumacher vi giunge in un momento particolare<br />

della sua carriera.<br />

Un pianto liberatorio<br />

in diretta televisiva<br />

A Monza il pilota tedesco si trova davanti ad<br />

un senso unico: deve vincere per ritornare in<br />

lotta per il Mondiale e riconquistare così la<br />

stima perduta. Il fuoriclasse risponde alla chiamata<br />

con una prestazione superba. Conquista<br />

dapprima la pole position e poi il gradino<br />

più alto del podio. In sala stampa accade,<br />

però, un elemento imprevisto. In diretta davanti<br />

alle telecamere, il campione di Kerpen scoppia<br />

in un pianto dirotto. Ad innescare la reazione,<br />

una domanda dell’intervistatore che gli<br />

chiede che cosa provi ad aver eguagliato il<br />

numero di successi di Senna. Quello di Schumacher<br />

è, però, soprattutto uno sfogo liberatorio<br />

dopo mesi di sconfitte e critiche.<br />

Le lacrime del tedesco rappresentano, a<br />

nostro avviso, la conclusione del percorso di<br />

“maturazione emotiva”, che ha interessato il<br />

“personaggio-Schumacher” nel suo primo<br />

quinquennio al volante della Rossa. Ci troviamo<br />

dinanzi alla definitiva affermazione<br />

dell’Uomo sul Pilota. Il campione di Kerpen si<br />

è offerto al proprio pubblico in una versione<br />

inedita, abbandonandosi ad uno sfogo, quello<br />

del pianto, che ne rivela una fragilità di<br />

fondo, mai supposta in precedenza. Si<br />

completa così una visione, a tutto fondo, della<br />

personalità del corridore: con i gesti abituali<br />

che parlano di gioia; ed ora anche con le<br />

reazioni che possono sorprenderlo, quando<br />

si ritrova a vivere una situazione difficile.<br />

A livello mediatico, l’episodio viene ampiamente<br />

trattato da entrambe le testate trascelte.<br />

Le lacrime di Michael, il pilota-computer fa<br />

un bagno d’umanità, scrive il Corriere della<br />

Sera. Il lead dell’articolo chiarisce da subito il<br />

particolare significato rivestito dal pianto di un<br />

Michael Schumacher, apostrofato come<br />

“superuomo” (tale è almeno l’immagine di sé<br />

che ha fornito sino a quel momento). Lo sfogo<br />

emotivo si è dimostrato fondamentale, perché<br />

ha aperto per il campione di Kerpen “una<br />

strada di riavvicinamento alla dimensione<br />

umana”. “Uomo bionico” (ovvero persona<br />

animata da una vita artificiale), Michael Schumacher<br />

ha finito, però, per cedere di schianto<br />

sotto il peso di un’emozione troppo forte da<br />

contenere. Il quotidiano di via Solferino<br />

racconta l’avvenimento fase dopo fase,<br />

proponendo una struttura per asindeto: “non<br />

ha retto più, ha chinato la testa e si è abbandonato<br />

ad un pianto dirotto”. L’articolo della<br />

testata milanese pone un quesito. Il passag-<br />

gio recupera alcuni degli appellativi (con<br />

valenza non certamente positiva), attribuiti al<br />

due-volte campione del mondo. “Dov’era finito,<br />

in questi momenti, l’uomo bionico, il pilota<br />

robot, il tedesco cuore di pietra che pensa<br />

solo ai milioni di dollari e parla un pessimo<br />

italiano dopo cinque anni di Ferrari? Finito,<br />

dissolto? Oppure, più semplicemente, nascosto<br />

sotto emozioni che non avrebbe mai<br />

immaginato tanto splendide e crudeli?” (Cds,<br />

11/9/2000).<br />

Der Triumph in Monza rührt Michael Schumacher<br />

zu Tränen (“Il trionfo di Monza commuove<br />

Michael Schumacher fino alle lacrime”),<br />

titola la Frankfurter Allgemeine. A differenza<br />

del corrispettivo italiano, il quotidiano tedesco<br />

non attribuisce particolare enfasi al pianto, che<br />

ha visto, quale protagonista inaspettato, il<br />

corridore della Ferrari. Il titolo dell’articolo di<br />

Anno Hecker sembra costruito piuttosto su di<br />

un’asse causa (“il trionfo”)-effetto (la “commozione<br />

sino alle lacrime”), richiamando alla<br />

memoria le immagini analoghe di molti sportivi<br />

dopo la conquista di un successo. Simile,<br />

invece, il “modus narrandi” <strong>dei</strong> due giornali.<br />

Entrambi restituiscono la scena, frammentata<br />

in tante piccole azioni, consecutive le une alle<br />

altre. Il lettore ha così l’impressione non di<br />

leggere una cronaca, ma di assistere direttamente<br />

all’evento (Faz, 11/9/2000).<br />

L’asso di Kerpen decide di chiudere il discorso<br />

iridato sul circuito di Suzuka: non vuole<br />

correre il rischio di arrivare a giocarsi il titolo<br />

all’ultima gara, La corsa giapponese si srotola<br />

secondo le più rosee aspettative: il corridore<br />

tedesco parte davanti a tutti ed offre una<br />

prestazione perfetta. Alle 16.03 (ora locale) si<br />

rompe per la Ferrari un “digiuno” lungo ventuno<br />

anni. Con un Gran Premio d’anticipo,<br />

Michael Schumacher si laurea nuovo<br />

campione del mondo.<br />

Il personaggio Schumacher<br />

tra emozione e cultura<br />

L’evoluzione del “personaggio Schumacher”,<br />

posta ad assunto, è parsa giocarsi, nei due<br />

quotidiani all’esame, secondo dinamiche<br />

differenti. Il Corriere della Sera propone un<br />

percorso di natura emotiva (dal “pilota bionico”<br />

al corridore “dal volto umano”). La Frankfurter<br />

Allgemeine sembra insistere, invece,<br />

su un’acquisizione di carattere culturale,<br />

evidenziando il progressivo avvicinamento<br />

del proprio atleta ad una sensibilità tipicamente<br />

italiana.<br />

La testata milanese presenta inizialmente il<br />

campione di Kerpen, insistendo su un preciso<br />

bagaglio iconografico: “messia” atteso dai tifosi<br />

Ferrari, Schumacher viene ritratto come<br />

freddo e calcolatore, con il giudizio umano<br />

anteposto spesso ad una valutazione di tipo<br />

tecnico.. È il Gran Premio di Italia, a “cadenza<br />

biennale” a ritmarne l’evoluzione sul piano<br />

emotivo. Emblematica la corsa del 2000. A<br />

seguito del pianto, l’Uomo vince definitivamente<br />

la propria battaglia contro la Macchina.<br />

Nel quotidiano di Francoforte la progressiva<br />

“italianizzazione” del fuoriclasse germanico,<br />

dapprima suggerita, assurge a piena espressione<br />

nel corso del campionato 2000. Le gare<br />

iniziali vedono la testata rimarcare alcuni<br />

atteggiamenti del pilota, vissuti come “anomali”:<br />

le descrizioni riportate testimoniano, a<br />

nostro personale avviso, quasi una presa di<br />

distanza nei confronti dell’atleta. Manca qualsiasi<br />

accenno ad un’evoluzione emotiva: Le<br />

lacrime di Monza vengono definite “piccola<br />

sconfitta nella battaglia quotidiana per il<br />

controllo di sé”. Un’esperienza “penosa” per<br />

l’asso tedesco, abituato a fondare la propria<br />

forza sul controllo <strong>dei</strong> sentimenti.<br />

Dalla piccola goccia, versata a Monza, è nato<br />

l’oceano dell’emotività, cui Michael Schumacher<br />

non sembra più volersi sottrarre. Altre<br />

lacrime ed altro calore latino si sono consegnati<br />

agli annali della Formula 1.<br />

Ottavia Eletta Molteni<br />

9


S I N D A C A T O<br />

I dati di applicazione<br />

del contratto sono molto positivi<br />

in quanto ogni mese<br />

si registrano nuove assunzioni<br />

di giornalisti disciplinate<br />

dal contratto<br />

Domenico Affinito (Alg) non firma<br />

Milano, 2 dicembre 2003. Domenico Affinito,<br />

rappresentante dell’Associazione lombarda<br />

giornalisti in seno alla commissione<br />

contratto Fnsi Aeranti-Corallo, non ha firmato<br />

il rinnovo economico biennale del contratto<br />

scaduto nell’ottobre 2002.<br />

Un’astensione motivata dalla contrarietà<br />

della maggioranza <strong>dei</strong> colleghi lombardi<br />

rispetto all’aumento proposto nell’accordo<br />

che varia da un minimo di 45,85 euro a un<br />

massimo di 65,64. Cifre non sufficienti a<br />

colmare l’erosione degli stipendi da parte<br />

dell’inflazione e ben lontane, comunque, da<br />

quelle <strong>dei</strong> rinnovi registrati in altre categorie.<br />

Nonostante, poi, l’aumento di alcuni istituti<br />

contrattuali (l’aumento del contributo a carico<br />

delle aziende per l’assicurazione infortuni,<br />

l’aumento della tredicesima da 26/26 a<br />

28/26), rimangono ancora sul tavolo grossi<br />

problemi. Il contributo Casagit, ad esempio,<br />

per i minimi molto bassi del contratto Aeranti<br />

EMITTENZA RADIOTV LOCALE<br />

Firmato l’accordo tra Fnsi e Aeranti-Corallo<br />

sulla parte economica biennale del contratto<br />

ACCORDO DI RINNOVO<br />

DELLA PARTE ECONOMICA<br />

DEL CCNL 3/10/2000<br />

Il giorno 3 dicembre 2003 in Roma, tra<br />

Aeranti-Corallo, Aeranti, Corallo e Fnsi, si è<br />

proceduto al rinnovo della parte economica<br />

del contratto collettivo di lavoro per la regolamentazione<br />

del lavoro giornalistico nelle<br />

imprese di radiodiffusione sonora e televisiva<br />

in ambito locale, loro sindycations e agenzie<br />

di informazione radiofonica, sulla base<br />

<strong>dei</strong> seguenti contenuti, per il biennio 3 ottobre<br />

2002 – 2 ottobre <strong>2004</strong>.<br />

1) Incremento <strong>dei</strong> minimi<br />

I valori minimi tabellari in atto saranno incrementati<br />

a regime di euro 65,64 per il teleradiogiornalista<br />

tv con oltre 24 mesi di attività<br />

lavorativa nel settore giornalistico; di euro<br />

50,86 per il teleradiogiornalista radio con<br />

oltre 24 mesi di attività lavorativa nel settore<br />

giornalistico; di euro 45,85 per il teleradiogiornalista<br />

con meno di 24 mesi di attività<br />

lavorativa nel settore giornalistico.<br />

Il suddetto importo verrà corrisposto (come<br />

da tabella allegata) sulla base delle seguenti<br />

percentuali e cadenze:<br />

il 70% a partire dal 1° dicembre 2003;<br />

il 30% a partire dal 1° marzo <strong>2004</strong>.<br />

Sino al periodo di paga relativo al mese di<br />

novembre 2003 continuerà ad essere erogata<br />

l’indennità di vacanza contrattuale (nelle<br />

misure di cui alla tabella allegata) che<br />

cesserà a far data dal 1° dicembre 2003 e<br />

verrà quindi sostituita dai suddetti incrementi.<br />

2) Tredicesima mensilità<br />

A partire da dicembre 2003 l’ammontare<br />

della 13a mensilità sarà pari a 28/26esimi<br />

della retribuzione mensile ragguagliata al<br />

periodo di maturazione di tali 28/26esimi.<br />

3) Contributo a carico delle aziende<br />

per la assicurazione infortuni<br />

A decorrere dal 1° gennaio <strong>2004</strong> il contributo<br />

a carico delle aziende per la assicurazione<br />

infortuni previsto dall’art. 39 è elevato da<br />

euro 6,71 a euro 11,88 per ogni giornalista<br />

dipendente.<br />

Roma, 3 dicembre 2003. È stato sottoscritto oggi tra la<br />

Federazione nazionale della stampa e le organizzazioni<br />

delle emittenti locali Aeranti e Corallo il rinnovo biennale<br />

della parte economica del contratto collettivo di categoria<br />

che regola le prestazioni <strong>dei</strong> giornalisti impegnati nelle<br />

imprese di radiodiffusione sonora e televisiva di ambito<br />

locale, nelle sindycations e nelle agenzie di informazione<br />

radiofonica.<br />

La rinnovazione contrattuale prevede un aumento <strong>dei</strong> minimi<br />

tabellari a regime di 65,64 euro, un aumento della<br />

contribuzione a carico delle aziende per l’assicurazione<br />

infortuni, il raddoppio della quota di Tfr da destinare alla<br />

previdenza complementare, un aumento della contribuzione<br />

aziendale per l’assistenza sanitaria integrativa (Casagit)<br />

e un aumento della misura della tredicesima mensilità,<br />

che passa da 26/26 a 28/26.<br />

Si tratta, complessivamente, di un incremento economico<br />

percentuale leggermente superiore rispetto a quello ottenuto<br />

nel contratto collettivo Fieg-Fnsi con elementi signifi-<br />

4) Assistenza sanitaria integrativa<br />

7) Nuove tipologie contrattuali<br />

Nota a verbale<br />

Al fine di assicurare una adeguata applica- Le parti, preso atto dell’entrata in vigore del Aeranti-Corallo e Federazione nazionale della<br />

zione della normativa contrattuale inerente Decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 stampa italiana si danno atto reciprocamente<br />

l’assistenza sanitaria integrativa gestita dalla in attuazione delle deleghe in materia di occu- degli sforzi compiuti per garantire una regola-<br />

Casagit, le parti costituiscono una commispazione e mercato del lavoro di cui alla Legge mentazione contrattuale in un settore in rapisione<br />

paritetica permanente, integrata da un 14 febbraio 2003 n. 30, convengono di proceda evoluzione tecnologica.<br />

rappresentante della Casagit, con il compito dere entro tre mesi dalla firma del presente Nell’ambito del rinnovo quadriennale <strong>2004</strong>di<br />

monitorare la popolazione giornalistica e i accordo, ad un esame congiunto della mate- 2008 saranno esaminati i problemi produttivi<br />

costi assistenziali del settore e individuare ria per definire gli aspetti applicativi delle e normativi relativi al digitale, satellitare e<br />

entro il 31/12/2003 soluzioni idonee a garan- nuove tipologie contrattuali in esso previste al terrestre, all’on line, alle agenzie di informatire<br />

i trattamenti assicurativi integrativi. Non<br />

appena definite tra le parti tali soluzioni, il<br />

contributo Casagit a carico delle aziende<br />

previsto dal comma 2 della prima nota a<br />

verbale dell’art. 42 è elevato dallo 0,50%<br />

della retribuzione imponibile allo 0,95% della<br />

medesima.<br />

5) Prestazioni previdenziali integrative<br />

A partire dal versamento al Fondo di previdenza<br />

complementare <strong>dei</strong> giornalisti italiani<br />

<strong>dei</strong> contributi inerenti la retribuzione del<br />

corrente mese di dicembre, la quota dell’accantonamento<br />

annuale del Tfr da versare al<br />

Fondo medesimo sarà pari all’ammontare<br />

doppio della contribuzione a carico dell’azienda<br />

dovuta per l’anno in corso.<br />

settore dell’emittenza radiotelevisiva privata.<br />

MINIMI DI STIPENDIO COMPRENSIVI<br />

zione.<br />

6) Inpgi e Fondo<br />

di previdenza complementare<br />

DELLA EX INDENNITÀ DI CONTINGENZA<br />

DA DICEMBRE 2003 DA MARZO <strong>2004</strong><br />

Nel corso della trattativa Aeranti-Corallo ha<br />

posto il problema di una propria rappresen- Tele-radiogiornalista TV 1621,14 1640,83<br />

tanza negli organi collegiali dell’Inpgi e nel con oltre 24 mesi di attività lavorativa<br />

Consiglio di amministrazione del Fondo di<br />

previdenza complementare. Al riguardo le<br />

nel settore giornalistico<br />

parti, nel prendere atto che l’Istituto naziona- Tele-radiogiornalista radio 1256,17 1271,43<br />

le di previdenza <strong>dei</strong> giornalisti italiani è retto con oltre 24 mesi di attività lavorativa<br />

da uno statuto la cui modifica può avvenire<br />

soltanto con decreto del ministero del Lavo-<br />

nel settore giornalistico<br />

ro, e che il Fondo di previdenza complemen- Tele-radiogiornalista 1132,66 1146,42<br />

tare <strong>dei</strong> giornalisti italiani è stato costituito con meno di 24 mesi di attività lavorativa<br />

con atto notarile tra la Fnsi e la Fieg, in base<br />

alle disposizioni legislative che regolamentano<br />

la previdenza complementare, convengo-<br />

nel settore giornalistico<br />

no di procedere al più presto ai necessari INDENNITÀ DI VACANZA CONTRATTUALE<br />

approfondimenti anche con la Federazione<br />

Italiana editori giornali e con il Consiglio di<br />

DA CORRISPONDERE MENSILMENTE SINO A NOVEMBRE 2003<br />

amministrazione dell’Inpgi, per quanto di Teleradiogiornalista TV con oltre 24 mesi 11,03<br />

rispettiva competenza, al fine di verificare la Teleradiogiornalista radio con oltre 24 mesi 8,54<br />

percorribilità della richiesta.<br />

Teleradiogiornalista con meno di 24 mesi 7,70<br />

Corallo spesso non arriva al minimo previsto<br />

dalla Cassa che, in questi anni, ha chiesto il<br />

conguaglio a molti colleghi e che, in un futuro,<br />

potrebbe decidere un taglio delle prestazioni.<br />

Senza contare poi i problemi delle<br />

grosse syndacation o agenzie, nelle quali i<br />

volumi di affari sono tali da permettere<br />

contratti del peso dell’Fnsi-Fieg e che invece<br />

sono equiparate alle piccole emittenti con<br />

meno di 5 giornalisti assunti. Problemi che<br />

l’accordo Fnsi Aeranti Corallo accenna, ma<br />

in modo nebuloso e non soddisfacente.<br />

Edmondo Rho (Qp) si astiene<br />

Milano, 2 dicembre 2003. L’ipotesi di accordo<br />

sulla parte economica del contratto<br />

Fnsi/Aeranticorallo per le emittenti locali è<br />

stata approvata dalla Giunta Fnsi con 7 voti<br />

favorevoli e 2 astensioni. Edmondo Rho,<br />

rappresentante di Quarto Potere nella Giunta<br />

Fnsi, ha motivato la sua astensione dicendo<br />

che “il contratto con Aeranti-Corallo non<br />

solo è insufficiente dal punto di vista economico,<br />

con aumenti intorno ai 50 euro lordi<br />

che oltretutto arrivano oltre un anno dopo la<br />

scadenza naturale, ma rischia di essere<br />

penalizzante e antisolidaristico per i colleghi<br />

che guadagnano meno e possono trovarsi<br />

in ulteriore difficoltà se dovranno versare<br />

un’integrazione alla Casagit”.<br />

Il problema riguarda in particolare quei colleghi<br />

che sono al di sotto del minimo di contribuzione<br />

previsto dalla Casagit: le aziende<br />

chiedono che non venga richiesta l’integrazione<br />

al minimo, ma intanto per il momento<br />

cativi, come quelli che riguardano la previdenza, l’assistenza<br />

sanitaria e la tredicesima mensilità.<br />

Il contratto quadriennale dell’emittenza locale scadrà il<br />

prossimo ottobre <strong>2004</strong>. È volontà della Federazione della<br />

stampa avviare da subito le consultazioni della categoria<br />

per definire in tempi rapidi una piattaforma che consenta<br />

di affrontare e risolvere, soprattutto sul piano normativo, gli<br />

aspetti più rilevanti che attengono all’esercizio della professione<br />

giornalistica in un settore in grande espansione e<br />

che assume un ruolo crescente nel panorama informativo<br />

italiano.<br />

“Siamo soddisfatti del rinnovo odierno – ha commentato il<br />

coordinatore di Aeranti-Corallo Marco Rossignoli – in quanto<br />

si tratta di un altro importante passaggio del percorso<br />

della contrattazione collettiva iniziato il 3 ottobre 2000 con la<br />

sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro. I<br />

dati di applicazione del contratto sono molto positivi – ha<br />

aggiunto Rossignoli – in quanto ogni mese si registrano<br />

nuove assunzioni di giornalisti disciplinate dal contratto”.<br />

non verseranno l’aumento del contributo<br />

Casagit dello 0,45% a carico degli editori<br />

dell’emittenza locale che scatterà solo quando<br />

una commissione paritetica tra Fnsi e<br />

Aeranti-Corallo avrà esaurito il monitoraggio,<br />

previsto entro il 31 dicembre 2003, su questa<br />

situazione.<br />

Va ricordato che l’anno scorso la Casagit<br />

aveva richiesto l’integrazione, che per ora è<br />

stata bloccata, e ora su questo aspetto<br />

dovrebbe essere la commissione paritetica a<br />

trovare una soluzione.<br />

Il segretario della Fnsi, Paolo Serventi<br />

Longhi, pur riconoscendo che in realtà l’accordo<br />

economico con Aeranti-Corallo dura<br />

soli undici mesi, ha chiesto di approvare la<br />

firma del contratto biennale perché “più si va<br />

avanti nel tempo e più si penalizzano i colleghi”:<br />

all’aumento del 4,16%, vanno aggiunte<br />

i miglioramenti ottenuti per la tredicesima e<br />

per l’assicurazione infortuni.<br />

10 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


G I U R I S P R U D E N Z A<br />

Quando il trasferimento di sede<br />

di un inviato speciale è nullo<br />

L’azienda si è difesa sostenendo l’inapplicabilità<br />

dell’art. 2103 cod. civ., che consente il<br />

trasferimento da un’unità produttiva all’altra<br />

solo per comprovate ragioni organizzative e<br />

comunque la validità delle esigenze indicate<br />

nella motivazione del provvedimento; in<br />

proposito essa ha fatto presente che in Bologna<br />

non esisteva alcuna sua unità produttiva<br />

e che la presenza del giornalista a Roma era<br />

necessaria per agevolare la possibilità di<br />

contattarlo per motivi di servizio. Il Tribunale<br />

(Giudice dott. Massimo Pagliarini, ordinanza<br />

del 24 giugno 2003) ha accolto il ricorso con<br />

la seguente motivazione:<br />

“In via preliminare, occorre sottolineare che -<br />

contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa<br />

della società convenuta - siamo in presenza<br />

nel caso in esame di un vero e proprio<br />

trasferimento della sede di lavoro (da Bologna<br />

a Roma) cui è applicabile l’art. 2103 c.c,<br />

ultima parte. Secondo la preliminare tesi<br />

difensiva della società non troverebbe applicazione<br />

la citata disposizione normativa per<br />

la “inesistenza in Bologna di alcuna unità<br />

produttiva della convenuta, non potendosi<br />

certo ritenere tale l’abitazione del Sig. V.”.<br />

“Al riguardo, è sufficiente richiamare il condivisibile<br />

principio giurisprudenziale secondo il<br />

quale l’art. 2103 c.c. tende a due distinti fini:<br />

a) nel caso di spostamento del lavoratore<br />

all’interno dello stesso complesso aziendale,<br />

oppure entro un ambito geografico ristretto<br />

(ad esempio, nel territorio del medesimo<br />

comune), esso protegge il lavoratore contro<br />

eventuali lesioni della sua dignità professionale<br />

(art. 2087 c.c.), cagionate da un trasferimento<br />

immotivato; in tale caso, tuttavia, il<br />

trasferimento è ravvisabile non in qualsiasi -<br />

anche insignificante - spostamento, ma solo<br />

nel passaggio da una ad altra unità produttiva,<br />

identificabile ex art. 35 Stat. Lav.; b) nel<br />

caso invece di spostamento territoriale, la<br />

norma tutela i lavoratori contro i disagi abitativi,<br />

familiari e personali dovuti al cambio di<br />

residenza ed in tale ipotesi l’unità produttiva<br />

può essere identificata con qualunque sede<br />

aziendale, senza requisiti dimensionali. Più<br />

precisamente essa va individuata in qualsiasi<br />

articolazione autonoma dell’impresa, avente<br />

sotto il profilo funzionale idoneità ad esplicare,<br />

in tutto o in parte, l’attività di produzione<br />

di beni e servizi dell’impresa stessa, della<br />

quale è elemento organizzativo (cfr. Cass.<br />

Parlamento Ue<br />

Strasburgo<br />

“difende”<br />

le professioni<br />

«elemento<br />

essenziale<br />

delle società<br />

europee»<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

Un giornalista inviato speciale<br />

con base presso la propria abitazione,<br />

in località diversa dalla sede del giornale,<br />

non può essere trasferito<br />

presso la redazione centrale<br />

senza comprovate ragioni organizzative<br />

6.8.1996, n. 7196 e Cass. 26.5.1999, n.<br />

5153).<br />

“Ciò detto, va osservato che nel caso in<br />

esame l’abitazione del ricorrente (o meglio,<br />

una stanza di essa), munita di mezzi (computer<br />

- collegato con il sistema elettronico<br />

centrale - e telefono) attraverso i quali il V.,<br />

oltre a ricevere disposizioni dalla redazione<br />

romana, acquisiva le necessarie informazioni<br />

ed inviava i servizi e gli articoli richiestigli,<br />

configura la nozione di unità produttiva ex art.<br />

2103 c.c., come sopra specificata ed individuata.<br />

“Quanto al fumus, va osservato che l’art.<br />

2103, ultima parte c.c., stabilisce che il lavoratore<br />

non può essere trasferito da una unità<br />

produttiva ad un’altra se non per comprovate<br />

ragioni tecniche, organizzative e produttive.<br />

Ebbene, la società convenuta ha giustificato<br />

il trasferimento del ricorrente con l’esigenza<br />

di “completare il progetto di riorganizzazione<br />

del team degli inviati, al fine di integrarne l’attività<br />

con quella <strong>dei</strong> servizi redazionali e per<br />

dare piena attuazione alla norma transitoria<br />

dell’art. 11 del vigente Ccnlg. Il progetto di cui<br />

sopra è già iniziato da tempo ed è in fase di<br />

avanzata attuazione col trasferimento già<br />

programmato di altri inviati dalla sede di Milano<br />

alla sede centrale di Roma” (cfr. lettera di<br />

trasferimento del 6.2.2003).<br />

“Nella precedente nota al Comitato di redazione<br />

del giornale in data 31.1.2003, il direttore<br />

- nel richiamare il progetto di avere<br />

disponibili presso la sede di Roma gli inviati<br />

residenti fuori - ha chiarito che “l’esigenza<br />

organizzativa che sottende questo progetto è<br />

quella di poter ottimizzare le professionalità<br />

elevate come quelle degli inviati, che notoriamente<br />

dipendono direttamente da me, con le<br />

articolate necessità <strong>dei</strong> servizi della sede<br />

centrale di Roma”, aggiungendo che “purtroppo<br />

capita spesso che avendo la necessità<br />

di affidare incarichi confacenti con le<br />

professionalità degli inviati fuori sede, non<br />

riesca a mettermi in contatto con loro per via<br />

della lontananza dalla direzione dove maturano<br />

scelte ed esigenze di servizi, spesso in<br />

tempi strettissimi”.<br />

“Da ciò si evince che il concreto ed effettivo<br />

motivo del trasferimento del ricorrente (al pari<br />

degli altri riguardanti gli inviati fuori sede) è<br />

soprattutto quello dettato dalla (supposta) più<br />

agevole possibilità di contattare lo stesso per<br />

Strasburgo. Sulle professioni il Parlamento<br />

europeo non intende fare da spettatore in attesa<br />

che il commissario alla Concorrenza, Mario<br />

Monti, tiri le fila del rapporto annunciato per i<br />

primi mesi del <strong>2004</strong>.<br />

Ieri, l'Aula di Strasburgo ha approvato a larga<br />

maggioranza una mozione in cui si ribadisce<br />

la necessità di regolamentazione - specifica<br />

per ogni professione - per garantire l'affidamento<br />

da parte del professionista e la tutela<br />

del consumatore. Il documento - che è il frutto<br />

di un compromesso tra le mozioni elaborate<br />

qualche settimana fa dai tre gruppi parlamentari<br />

<strong>dei</strong> popolari, <strong>dei</strong> socialisti e <strong>dei</strong> liberali - è<br />

stato approvato con 457 voti a favore, contro<br />

60 contrari e 18 astenuti.<br />

La mozione sottolinea il particolare equilibrio<br />

su cui si reggono le professioni liberali, che<br />

sono «espressione di un ordine democratico<br />

fondato sulla legge e un elemento essenziale<br />

delle società europee». Da un lato, infatti, le<br />

professioni non si sottraggono alla competizione<br />

e alla libera circolazione <strong>dei</strong> servizi. D'altra<br />

parte, però, non si può prescindere da regole,<br />

SEZIONE LAVORO DEL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA<br />

Il giornalista Sandro V., dipendente della<br />

s.p.a. Il Messaggero con mansioni di inviato<br />

speciale, è stato destinato nel 1991 a Bologna,<br />

dove ha lavorato per oltre dodici anni<br />

utilizzando come ufficio una stanza della<br />

propria abitazione attrezzata con archivio e<br />

computer munito di una serie di programmi<br />

per il collegamento con il sistema elettronico<br />

centrale del giornale e con le agenzie di<br />

stampa; egli riceveva per telefono dalla redazione<br />

centrale le disposizioni in ordine al<br />

lavoro da svolgere, si recava sui luoghi degli<br />

avvenimenti, realizzava i servizi richiestigli e<br />

li inviava alla redazione a mezzo del computer<br />

o per telefono, redigeva presso la sua<br />

abitazione gli articoli richiestigli quando le<br />

informazioni erano reperibili in Bologna;<br />

come inviato egli si è normalmente recato in<br />

missione sull’intero territorio nazionale e<br />

motivi legati ad esigenze di servizio. Ora, a<br />

prescindere dalla non secondaria circostanza<br />

che le mansioni di inviato speciale presuppongono<br />

un impegno lavorativo, anche in<br />

termini quantitativi, soprattutto in servizi<br />

esterni, ciò che deve essere sottolineato è il<br />

fatto che la società non ha dedotto, né provato<br />

la sussistenza di concrete difficoltà, logistiche<br />

ed operative, derivanti dalla lontananza<br />

del V. dalla redazione romana.<br />

“La manifestata esigenza, espressa in termini<br />

generali, di mettersi più, facilmente in<br />

contatto, in tempi anche strettissimi, con gli<br />

inviati sembra al contrario essere stata, con<br />

riguardo alla posizione del V., pienamente<br />

rispettata. Il ricorrente, infatti, fin dall’1.1.1991,<br />

ha lavorato come inviato speciale con base<br />

in Bologna, e cioè in una città già da quell’epoca<br />

priva di una redazione del giornale; da<br />

tale data il ricorrente - destinatario di due<br />

premi di produzione - ha confezionato una<br />

numerosa serie di articoli e servizi, molti <strong>dei</strong><br />

quali non richiedenti attività fuori sede, contribuendo<br />

con la sua opera alla buona riuscita<br />

del quotidiano e facendo così fronte alle<br />

dedotte “articolate necessità <strong>dei</strong> servizi della<br />

sede centrale di Roma” (cfr. la documentazione<br />

allegata). Sicché, tenuto conto del<br />

periodo di tempo lavorativo trascorso dal V. a<br />

Bologna (più di 12 anni), <strong>dei</strong> soddisfacenti<br />

risultati nel medesimo tempo conseguiti e<br />

della carenza di allegazioni riguardanti in<br />

concreto la difficoltà di un rapporto lavorativo<br />

tra le parti dovuto alla distanza fisica tra di<br />

esse (difficoltà dedotte solo in linea generale<br />

per tutti gli inviati fuori sede), appaiono non<br />

sussistenti in concreto le ragioni tecniche,<br />

organizzative e produttive legittimanti il disposto<br />

trasferimento. Peraltro, appare significativo<br />

che dopo il suo trasferimento a Roma il V.<br />

è stato utilizzato nel servizio Economia della<br />

redazione centrale, materia da lui in passato<br />

trattata solo di rado, che è stato inviato fuori<br />

sede solo una volta e che gli sono stati richiesti<br />

solo pochi articoli da scrivere: elementi,<br />

questi, che contraddicono nei fatti la manifestata<br />

volontà aziendale di “ottimizzare le<br />

professionalità elevate come quelle degli<br />

inviati” (cfr. la lettera dell’ azienda del<br />

31.1.2003 al comitato di redazione). Né<br />

appare convincente la motivazione del trasferimento<br />

ai danni del V., con riguardo alla<br />

(pretesa) volontà di dare “piena attuazione”<br />

ritagliate sulle caratteristiche di ciascuna<br />

professione, relative a organizzazione, qualificazione,<br />

deontologia, responsabilità, imparzialità.<br />

Inoltre, le organizzazioni professionali<br />

devono essere messe in condizione di prevenire<br />

i conflitti di interesse e la pubblicità ingannevole.<br />

In questi termini le regole non costituiscono<br />

restrizioni alla concorrenza: anzi, assicurano<br />

la qualificazione <strong>dei</strong> professionisti e<br />

garantiscono la qualità <strong>dei</strong> servizi, «a beneficio<br />

<strong>dei</strong> clienti, della società in generale e a tutela<br />

dell'interesse pubblico».<br />

Il voto sulla mozione relativa alla regole del<br />

mercato e della concorrenza nelle professioni<br />

liberali è slittato un paio di volte per evitare che<br />

il Parlamento si dividesse sui tre documenti<br />

presentati dai popolari (Klaus-Heiner Lehne,<br />

Othmar Karas, Giuseppe Gargani, Marianne<br />

Thyssen e Stefano Zappalà), dai socialisti<br />

(Manuel Medina Ortega) e dai liberali (Willy De<br />

Clercq). L'intesa raggiunta sulla mozione votata<br />

ieri ha preso le mosse dal riconoscimento<br />

comune ai tre gruppi delle «esigenze etiche e<br />

professionali necessarie per una corretta<br />

all’estero; ha scritto oltre cento articoli l’anno.<br />

Nel febbraio del 2003 la società editrice<br />

gli ha comunicato il trasferimento a Roma,<br />

motivandolo con riferimento all’esigenza di<br />

completare un progetto di riorganizzazione<br />

del “team” degli inviati, al fine di integrarne<br />

l’attività con quella <strong>dei</strong> servizi redazionali e<br />

di dare piena attuazione alla norma transitoria<br />

dell’art. 11 del contratto nazionale di lavoro<br />

giornalistico.<br />

Dopo avere lavorato per circa un mese a<br />

Roma, scrivendo tre articoli, egli ha chiesto al<br />

Tribunale di Roma di sospendere, con provvedimento<br />

d’urgenza in base all’art. 700<br />

c.p.c., l’efficacia del trasferimento, sostenendo<br />

l’inesistenza del progetto di riorganizzazione<br />

indicato dall’azienda e facendo presente di<br />

avere subito in Roma un netto demansionamento<br />

sia qualitativo che quantitativo.<br />

Si applica la tutela prevista<br />

dall’art. 2103 cod. civ.<br />

(Tribunale civile di Roma,<br />

Sezione Lavoro, ordinanza<br />

del 24 giugno 2003, Giudice<br />

dott. Massimo Pagliarini)<br />

alla norma transitoria dell’art. 11 del Ccnlg<br />

2001/2005. Vi è al riguardo da osservare che<br />

rispetto alla disposizione previgente (che già<br />

prevedeva per l’inviato speciale che non<br />

fosse impegnato in servizi esterni l’obbligo di<br />

prestare attività in redazione, in mansioni<br />

richiedenti esclusivamente le sue specifiche<br />

competenze professionali), la nuova norma<br />

ha aggiunto che lo stesso inviato, quando<br />

non impegnato fuori sede, debba essere “alle<br />

dirette dipendenze” del direttore.<br />

“La società convenuta ha di fatto “pattuito”<br />

per più di 12 anni che il ricorrente svolgesse,<br />

non in una redazione in senso proprio, la sua<br />

attività lavorativa quando non impegnato in<br />

servizi esterni (“pattuizione” che indubbiamente<br />

ha determinato non solo vantaggi e<br />

facilitazioni per il ricorrente - più vicino al<br />

proprio nucleo familiare - ma anche per lo<br />

stesso quotidiano) ed il fatto che oggi il<br />

contratto collettivo parli di dirette dipendenze<br />

dal direttore del giornale sta a significare che<br />

esso ha voluto porre l’accento su una dipendenza<br />

di tipo gerachico-organizzativo e non<br />

certo di natura fisica o logistica. Pertanto,<br />

mancando in concreto le ragioni di cui all’art.<br />

2103 c.c., il trasferimento disposto nei<br />

confronti del ricorrente non appare legittimo.<br />

Sussiste anche il secondo requisito richiesto<br />

dalla legge per la concessione della misura<br />

cautelare (pregiudizio imminente ed irreparabile),<br />

poiché il trasferimento del V. presso la<br />

redazione centrale di Roma - oltre a determinare<br />

un evidente ed intuibile disagio alla vita<br />

familiare e di relazione, disagio determinato<br />

dall’allontanamento dal proprio coniuge<br />

(peraltro affetto da disturbi relativi alla fase<br />

premenopausale e da disturbi depressivi<br />

notevolmente peggiorati proprio in ragione<br />

del trasferimento del marito) e dai propri due<br />

figli - ha determinato un sensibile aggravamento<br />

delle condizioni di salute dello stesso<br />

ricorrente (già affetto da diabete insulinodipendente)<br />

che ha visto il suo stato ansioso-depressivo<br />

peggiorare notevolmente a<br />

seguito del trasferimento a Roma (cfr. la<br />

copiosa documentazione medica prodotta).<br />

Pertanto, il protrarsi del trasferimento a<br />

Roma, durante il tempo occorrente al V. per<br />

far valere nel giudizio ordinario il suo diritto,<br />

sarebbe fonte di grave danno al suo stato di<br />

salute”.<br />

(da “www.legge-e-giustizia.it”)<br />

prestazione». Ma da parte <strong>dei</strong> popolari si è<br />

rinunciato a pretendere tout court l'esclusione<br />

della nozione di impresa per l'<strong>Ordine</strong> professionale<br />

se il suo orizzonte è l'interesse generale.<br />

Il Parlamento chiede alla Commissione di tenere<br />

in conto la necessità di preservare, attraverso<br />

regole specifiche, l'alta qualificazione <strong>dei</strong><br />

professionisti. D'altra parte Monti, l'8 ottobre di<br />

fronte al Parlamento, ha ammesso che «si deve<br />

tenere assolutamente conto degli aspetti non<br />

economici ed esaminare accuratamente le<br />

ragioni che giustificano le differenti regolamentazioni».<br />

A questo proposito la Commissione<br />

sta lavorando a un'indagine sulle professioni di<br />

avvocato, notaio, commercialista, ingegnere,<br />

architetto e farmacista.<br />

«È possibile - ha spiegato Monti qualche giorno<br />

fa - che il rapporto ci spinga a proporre<br />

azioni degli Stati membri o delle stesse professioni».<br />

M.C.D.<br />

(Da Il Sole 24 Ore<br />

del 17 dicembre 2003)<br />

11


C E N T E N A R I<br />

Il giornalista Lino Pellegrini,<br />

che con Curzio Malaparte<br />

visse lunghi periodi<br />

sui campi di battaglia,<br />

rievoca la personalità<br />

del celebre scrittore<br />

sotto il profilo umano<br />

L’atteggiamento che tenni, nel 1941, verso gli<br />

ebrei di Romania, impressionò uno scrittore<br />

non certo tenero qual era Curzio Malaparte.<br />

Lo impressionò tanto da farmi uscire a testa<br />

alta dal suo celebre e corrosivo Kaputt. Ebbene,<br />

sia le rievocazioni dell’Olocausto sia la<br />

strage di Istanbul mi inducono a dire di Malaparte<br />

nell’atmosfera di oltre mezzo secolo fa.<br />

Curzio Malaparte l’avevo incontrato per la<br />

prima volta in Bulgaria, a Sofia, nel marzo<br />

1941, una mattina che chiacchieravo, dinanzi<br />

alla Legazione d’Italia, con i colleghi Max<br />

David e Virgilio Lilli.<br />

Io, avevo venticinque anni; Malaparte, quarantatré.<br />

Io, ero inviato del Popolo d’Italia; lui, del<br />

Corriere della Sera. Nonostante il contrasto<br />

professionale simpatizzammo sùbito: lui,<br />

perché ero un pivello che non poteva dargli<br />

ombra; io, perché influenzato dalla sua fama<br />

e dalla cordialità che mi dimostrava.<br />

In Bulgaria ci stemmo poche settimane, poi ci<br />

trasferimmo in Romania. Qui, Malaparte fece<br />

base a Bucarest. Io (assieme a mia moglie<br />

Elena: eravamo sposati da appena sei mesi)<br />

raggiunsi invece la città da Jasci, a ridosso del<br />

confine sovietico, perché da Valfrè di Bonzo,<br />

nostro addetto militare, avevo saputo con<br />

certezza dell’immente attacco germanico<br />

contro l’Urss. Il 22 giugno i tedeschi valicarono<br />

infatti, com’è noto, il vicinissimo fiume Prut,<br />

che segnava il confine.<br />

Quella trincea scavata<br />

nel vecchio cimitero<br />

di Lino Pellegrini<br />

Localmente, i sovietici reagirono bombardando,<br />

fra l’altro, il centro di Jasci, nel quale<br />

mi trovavo, con i loro Martin Bomber. Un<br />

vetro fracassato mi colpì a una palpebra; fu<br />

l’unica goccia di sangue che versai nel corso<br />

dell’intera guerra.<br />

Il sessanta per cento della popolazione di<br />

Jasci si componeva di israeliti. Poche sere<br />

dopo l’attacco germanico, parte di quegli<br />

israeliti si sollevarono. Contemporaneamente,<br />

aerei sovietici lanciavano paracadutisti per<br />

appoggiare la rivolta. Era una notte di pece.<br />

Tutti facevano fuoco come indemoniati. Elena<br />

ed io trascorremmo la notte alla mercé del<br />

destino, dentro una trincea scavata... in un<br />

vecchio cimitero. All’alba, una pattuglia romena<br />

ci disse che la rivolta era fallita. Ma si sparava<br />

ancora. Per gli ebrei, cominciava il peggio.<br />

Data la gravità degli avvenimenti, Malaparte<br />

si vide costretto a rinunciare alla sua comoda<br />

base di Bucarest ed a raggiungere il<br />

pivello. Venne anzi ad alloggiare, assieme<br />

ad Elena ed a me, nella villetta di un professore<br />

italiano, momentaneamente disabitata,<br />

dove facemmo causa comune. Io ero inorridito<br />

per l’atteggiamento di una parte <strong>dei</strong><br />

romeni verso gli ebrei; Malaparte caricava la<br />

dose, imprecando contro un certo colonnello<br />

Lupu, responsabile di stragi. Un giorno,<br />

mentre stavamo discutendo con un commissario<br />

di polizia pochissimo malleabile,<br />

Curzio mantenne la calma... e io la persi. La<br />

persi, fino al punto di urlare a quel commissario:<br />

“Lei è un assassino di ebrei!” Non so<br />

per qual mai santo, il poliziotto incassò<br />

senza reagire. Malaparte mi chiese poi se<br />

fossi impazzito. E il mio sdegno gli rimase<br />

così impresso che in Kaputt (pubblicato in<br />

ventisette lingue) egli mi tratteggia, sia pur<br />

definendomi “stupido fascista”, con espressioni<br />

di invidia dichiarata.<br />

Dopo Jasci, mi chiesi più volte se Malaparte<br />

avesse sangue ebreo (come qualcuno, in<br />

Italia, sussurrava). Si chiamava Kurt Erich<br />

Suckert; sua madre era italiana e, suo padre,<br />

tedesco, anzi sassone. A questo punto<br />

gorgogliano i pettegolezzi a doppio taglio, nei<br />

quali non voglio scivolare. Certo, Malaparte<br />

affermava la propria arianità. E peraltro, se<br />

Kurt Erich Suckert fosse davvero stato un<br />

semplice italo-tedesco, non sarebbe facile<br />

spiegare appieno un punto chiave: ossia il<br />

suo istinto antigermanico, ch’egli dimostrò<br />

sia durante la prima guerra mondiale (si<br />

arruolò nel 1914 con i garibaldini che<br />

combattevano contro la Germania, ascese al<br />

grado di ufficiale degli Alpini; si buscò un<br />

avvelenamento da iprite, causa, forse, della<br />

malattia finale), sia durante tutta la durata del<br />

nostro sodalizio.<br />

Tra villaggi incendiati<br />

e città distrutte<br />

Sopra,<br />

Curzio<br />

Malaparte<br />

nella<br />

stanza 213<br />

dell’albergo<br />

“Tori”,<br />

a Helsinki<br />

(Finlandia),<br />

convalescente<br />

dopo<br />

un’operazione<br />

di appendicectomia.<br />

Estate<br />

del 1942.<br />

Sotto,<br />

Curzio<br />

Malaparte<br />

a Jasci<br />

(Romania),<br />

all’esterno<br />

della<br />

famosa<br />

chiesa<br />

ortodossa.<br />

Malaparte<br />

porta<br />

i calzoni<br />

da ufficiale,<br />

il distintivo<br />

fascista<br />

e la<br />

crocetta<br />

cattolica.<br />

Luglio<br />

1941.<br />

Nel giro di pochi giorni ottenemmo, a Jasci, i<br />

lasciapassare per affiancarci a una colonna<br />

corazzata germanica, e riuscimmo a prendere<br />

a nolo una vecchia “Ford V-8”. Malaparte<br />

volle che guidassi sempre io: quale ufficiale<br />

carrista, sia pure di complemento, gli<br />

ispiravo fiducia. Ci demmo quindi a gareggiare<br />

con l’avanzata. Attraversammo - fra<br />

Bessarabia e Ucraina - villaggi incendiati,<br />

città distrutte, steppe in fiamme. Un giorno<br />

che Malaparte si accorse di aver perso nel<br />

fango il suo apparecchio fotografico<br />

“Contax”, il suo umore divenne pessimo. Io,<br />

quanto a cibi, avevo meno pretese ed ero<br />

meno schizzinoso di lui; ma la cosa finiva lì.<br />

Io dormivo nelle isbe, dove le donne bessarabiane<br />

ed ucraine mi ospitavano quasi<br />

affettuosamente; Curzio, invece, preferiva<br />

dormire in macchina. Siamo, ormai, con le<br />

avanguardie. Un giorno, esplosione vicinissima;<br />

mi getto al suolo; Curzio, no. Poi mi<br />

rimprovera: “Non era una granata sovietica,<br />

era una cannonata tedesca in partenza:<br />

avresti dovuto capirlo”. Già, lui aveva fatto la<br />

prima guerra mondiale, io la sua esperienza<br />

non l’avevo. Trascorsero alcuni minuti, sostavamo<br />

sopra un blando colle, il sole tramontava,<br />

le artiglierie rombavano; d’improvviso,<br />

da un carro-radio germanico si diffusero le<br />

note di Lily Marleen. Era un momento di<br />

quelli che si ricordano per tutta la vita, ma<br />

l’umore di Malaparte - ferito sia nella professione<br />

sia nell’interesse per la perdita della<br />

“Contax” - non mutò. A me, invece, Lily<br />

Marleen rimase nell’anima. Né mi sorprende<br />

che l’adottassero, sia pure cambiando le<br />

parole, anche le truppe inglesi.<br />

Curzio aveva visitato più di me la Russia<br />

sovietica, l’aveva studiata, nutriva simpatia<br />

per i russi, parlava un pochino di russo -<br />

mentre io mi arrangiavo col tedesco, donde<br />

una forma di collaborazione reciproca -, e<br />

accettava alcuni aspetti del regime comunista;<br />

di conseguenza, certi episodi agivano su<br />

di lui come altrettanti colpi di scena. Ad<br />

esempio, nella borgata di Soròca, sulla sponda<br />

del fiume Dniestr, fummo ospitati da una<br />

vecchia signora della borghesia russa, felice<br />

di trovarsi con due italiani e di rievocare i<br />

A quarantasei anni dalla scomparsa<br />

Malaparte<br />

autentico<br />

tempi zaristi; Malaparte ascoltò attentamente,<br />

ma concluse che si trattava di un fenomeno<br />

isolato. In Ucraina incontrammo un gruppo<br />

di prigionieri russi, uno <strong>dei</strong> quali aveva<br />

ucciso il suo commissario politico; Malaparte<br />

stentava a capacitarsene. Un’altra volta, a<br />

Olshanka - ancora in Ucraina -, vedemmo un<br />

gruppo di donne e di vecchi (gli uomini validi,<br />

beninteso, mancavano, perché sotto le<br />

armi) lavorare febbrilmente per restituire al<br />

culto una chiesa, trasformata dai comunisti<br />

in un deposito di cereali. Donne e vecchi ci<br />

chiesero se il loro pope (sacerdote), deportato<br />

chissà dove, da tempo, sarebbe tornato<br />

al villaggio. E Malaparte, contraddetto implicitamente<br />

nelle sue convinzioni, rispose che<br />

sì, che certamente sarebbe tornato, poi<br />

rimase pensieroso a lungo.<br />

Che fosse russofilo - confermo -, non c’è<br />

dubbio. Che fosse antitedesco, nemmeno.<br />

Ma, per il resto, fra riserve mentali, polivalenze<br />

politiche e contraddizioni acrobatiche,<br />

disorientava chicchessia.<br />

Populista, cercava l’amicizia <strong>dei</strong> potenti.<br />

Moderava la sua aggressività con l’astuzia<br />

dell’opportunismo. Odiava i fascisti della<br />

corrente - o fronda - di Galeazzo Ciano, ma<br />

per lui personalmente faceva eccezione,<br />

perché era stato Ciano a tirarlo fuori dal confino<br />

di Lipari. Le sue incoerenze, Malaparte le<br />

mimetizzava con argomentazioni tanto abili<br />

quanto fumose ed elusive. Appunto, il collega<br />

Enrico Emanuelli, pur di carattere alquanto<br />

rigido, mi raccontò: “Ero in Uruguay, in un<br />

salotto di Montevideo, assieme ad altri ospiti,<br />

fra i quali Malaparte, e si discorreva del giro<br />

ciclistico d’Italia. Ebbene, quando un uruguagio<br />

chiese il perché della maglia rosa, Malaparte<br />

spiegò che gli organizzatori l’avrebbero<br />

voluta rossa, ma che Mussolini si era opposto<br />

al colore del comunismo. Insomma, a<br />

sentir Malaparte, la maglia rosa rappresentava<br />

un compromesso politico-sportivo! Che<br />

cosa vuoi che ti dica? Era così ben trovata<br />

che lasciai correre, anzi annuii”.<br />

«Quanti di questi ragazzi<br />

non rivedranno l’Italia»<br />

Oltreché trasformista, Malaparte era mitomane.<br />

Credeva nella validità delle sue invenzioni,<br />

le difendeva, ci si beava. Lui, le stragi degli<br />

ebrei di Jasci non le vide mai, così come non<br />

vide i morti “fuggire” dai carri ferroviari; ma in<br />

Kaputt ha scolpito il tutto anche meglio di un<br />

testimone oculare. Lui, l’ebreo spiaccicato da<br />

un Panzerwagen e trasformato in bandiera -<br />

di fronte al quale, in La pelle, mi fa pronunciare<br />

un commento -, non lo vide affatto,<br />

perché non esisteva; ma, mentre scriveva<br />

della pelle-bandiera, probabilmente ci<br />

credette. Certo, aveva candidamente dimenticato<br />

la visione delle autoblindo e <strong>dei</strong> carri<br />

12 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


In alto,<br />

al centro:<br />

il nostro<br />

generale<br />

Messe,<br />

comandante<br />

delle CSIR,<br />

col generale<br />

tedesco<br />

Von<br />

Schobert:<br />

loro primo<br />

incontro.<br />

Il secondo<br />

da sinistra<br />

è Curzio<br />

Malaparte,<br />

che sta<br />

scattando<br />

una foto.<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

armati sovietici, distrutti da proiettili e da<br />

incendi, con dentro gli ossami degli equipaggi.<br />

D’altra parte, sono il primo a riconoscere<br />

allo scrittore il diritto di inventare: anche se<br />

quando mi trovo chiamato in causa con<br />

nome e cognome, rettifico, puntualizzo,<br />

smentisco.<br />

Dopo la Bessarabia e l’Ucraina (vi vedemmo<br />

giungere le avanguardie del nostro Csir;<br />

Malaparte commentò: “Quanti di questi<br />

ragazzi non vedranno mai più l’Italia!”), Malaparte<br />

ed io ritornammo in Romania, quindi in<br />

Italia, ma solo per ritrovarci, pochi mesi dopo,<br />

in Finlandia. Curzio sapeva che i finnici attribuiscono<br />

la loro notoria efficienza fisica<br />

anche alla sauna, quindi la praticava con un<br />

preciso scopo; la praticava, ovviamente,<br />

nudo. (Atrettanto, il sottoscritto). Alto, atletico,<br />

bello, nonché narcisista, del nudismo Malaparte<br />

si compiaceva. Peraltro non superava<br />

certi limiti, tant’è vero che faceva uso di pillole<br />

a base di tiroide per consumare di più e<br />

così attenuare certi desideri: perché - diceva<br />

lui - “ogni volta che vai con una donna è un<br />

giorno di meno che si vive”.<br />

Scoprii che era superstiziosissimo: bastava<br />

nominargli un presunto iettatore per farlo<br />

passare dalla gaiezza alla serietà e magari<br />

all’ira. Egocentrico, costantemente preoccupato<br />

di sé medesmo, avrebbe voluto che<br />

molta gente, il più possibile, si occupasse<br />

costantemente di lui. In Finlandia gli capitò di<br />

dover essere operato di appendicite, con una<br />

degenza lunghetta, ma non so a che cosa<br />

egli desse più peso, se alla minaccia di<br />

complicazioni o al fatto che molti amici lo visitavano,<br />

facendo salotto attorno a lui. Di fronte<br />

a quegli amici gli chiesi: “Perché hai voluto<br />

chiamarti Malaparte?” Risposta: “Perché di<br />

Bonaparte ce n’era già uno”. Risate, complimenti,<br />

strette di mano.<br />

Un episodio di Kaputt<br />

nato da uno scherzo<br />

Durante un acquisto in un negozio di Helsinki<br />

mi rammentai della sensibilità zoofila di<br />

Curzio (in Ucraina lo avevo visto portare<br />

bracciate d’erba a un gruppo di cavalli feriti,<br />

e più volte lo avevo sentito parlare in modo<br />

patetico del suo cane Febo, malato a Capri),<br />

per cui cedetti alla tentazione di chiedergli se<br />

gli piacesse una certa pelle.<br />

Lui la palpò, mi domandò di che cosa fosse.<br />

“Di cane”, risposi. Lui ebbe un sussulto, impallidì,<br />

mormorò che uno scherzo simile non glielo<br />

avrei dovuto fare. Riconosco il mio torto, io<br />

stesso sono zoofilo, e come!, peraltro lo scherzo<br />

servì a Curzio per imbastire, in Kaputt, un<br />

episodio sul presidente della Finlandia, che a<br />

suo dire avrebbe calzato guanti di pelle di<br />

cane. Curzio, insomma, di tutto ciò che potes-<br />

Sopra,<br />

convoglio<br />

di cavalli<br />

feriti,<br />

diretti a un<br />

ospedale<br />

veterinario<br />

tedesco.<br />

Curzio<br />

Malaparte<br />

porta<br />

una<br />

bracciata<br />

d’erba<br />

a quei<br />

cavalli.<br />

(Ucraina,<br />

estate<br />

1941).<br />

se tornargli utile nulla perdeva, di fronte al<br />

tornaconto il naso non lo arricciava mai.<br />

In Finlandia seguii sistematicamente tutti i<br />

fronti, dall’oceano Artico alla Lapponia ai<br />

laghi Onega e Ladoga e infine a Leningrado.<br />

Quest’ultimo fronte interessava Malaparte<br />

più d’ogni altro, perché lui contava di entrare<br />

a Leningrado con le truppe finno-germaniche<br />

vittoriose, lui - come del resto il sottoscritto<br />

- a Leningrado c’era già stato, per cui<br />

ben sapeva quali irresistibili servizi se ne<br />

sarebbero potuti trarre. Ma - chiederà il lettore<br />

-, se Malaparte contava sulla caduta<br />

dell’ex capitale zarista, credeva dunque nella<br />

vittoria germanica globale? A mio avviso, nel<br />

periodo positivo di El Alamein e della massima<br />

penetrazione tedesca in Russia, la risposta<br />

è sì. In quel periodo, infatti, Malaparte già<br />

lavorava a Kaputt. Ma a un altro Kaputt: quello,<br />

appunto, della vittoria dell’“Asse Roma -<br />

Berlino”. A Helsinki, nella sua stanza - la 213<br />

- dell’albergo Torni, dove anche Elena ed io -<br />

alla 313 - alloggiavamo, mi disse: “Ho trovato<br />

il titolo per il mio nuovo libro. Lo chiamerò<br />

God shave the king. Capisci? Non save, ma<br />

shave. Dio non può più salvare il re britannico:<br />

Dio, tutt’al più, gli fa la barba...”<br />

Malaparte lasciò la Finlandia per Roma i<br />

primi di novembre del 1942, una o due settimane<br />

dopo di me, recando tranquillamente<br />

in valigia il testo di God shave the king. Fra<br />

le pagine che me ne aveva letto, alcune<br />

contenevano, fra l’altro, un giudizio positivo<br />

sul conto di Frank, governatore generale<br />

tedesco della Polonia, e i tedeschi le avrebbero<br />

certo gradite.<br />

Ma, siccome nel frattempo le sorti della guerra<br />

vanno capovolgendosi, viene capovolto<br />

anche il libro, per cui God shave the king,<br />

antinglese, diventa Kaputt, antitedesco.<br />

Siccome, però, a Malaparte dispiace di<br />

rinunciare all’indubbia trovata del God shave<br />

the king, egli intitola così un capitolo di<br />

Kaputt; solo che il sovrano del capitolo non è<br />

più Giorgio VI d’Inghilterra ma... Frank!, il<br />

quale si rade con sterco fatto sapone. Pochi<br />

mesi prima, Malaparte s’era vantato con me<br />

di trarre lauti frutti dalla sua collaborazione<br />

ad importanti riviste germaniche, ovviamente<br />

naziste. Né aveva esagerato.<br />

Malaparte ed io, dopo l’ottobre 1942 - data<br />

della nostra separazione in Finlandia - non ci<br />

vedemmo per undici anni. Poi, nel giugno<br />

1953 terminata una sua trasmissione televisiva<br />

negli studi Rai di Milano e ricevuta una mia<br />

telefonata, venne a trovarmi nella mia abitazione<br />

milanese di viale Andrea Doria. Non<br />

ruscii, quella volta, a fare con Malaparte un<br />

giro d’orizzonte politico, ma egli me ne fornì<br />

ugualmente un cospicuo spunto, basato sulla<br />

rivolta operaia di quei giorni, a Berlino Est,<br />

contro i sovietici. Già alla televisione - fra gli<br />

altri protagonisti della serata, Carlo De Martino<br />

e Marise Ferro -, Malaparte ne aveva<br />

Fotografie<br />

di Lino<br />

Pellegrini<br />

Sopra,<br />

Curzio<br />

Malaparte<br />

ritorna<br />

dalla Cina.<br />

Ha gravi<br />

disturbi<br />

alle vie<br />

respiratorie.<br />

sottolineato il significato gravissimo; a tu per<br />

tu, se ne mostrò sconvolto come da una rivelazione.<br />

Concluse: “La Russia vive e ti vince<br />

se la colpisci al cuore; invece s’inginocchia<br />

se le pungi la pelle. Vedi, cent’anni fa, in<br />

Crimea. Berlino, oggi, non è che il primo<br />

sintomo”. Ci indovinò, con un anticipo di quasi<br />

quarant’anni. Comunque il Malaparte del<br />

1953 mi parve molto lontano da quello del<br />

1941 e del 1942. E però, dopo la rivolta<br />

ungherese del 1956, ecco Malaparte compiere<br />

in Cina il suo ultimo viaggio. Che gli porge<br />

il destro di scrivere - vedi Io in Russia e in<br />

Cina - esaltando Mao ed ignorando totalmente<br />

le sofferenze del popolo cinese. Poche<br />

settimane più tardi, Curzio riceverà la tessera<br />

del Pci. Ed anche quella del Pri. Critiche implicite,<br />

le mie? Può darsi. Ma tengo a dire con<br />

chiarezza che Malaparte è stata la persona<br />

più intelligente che io abbia conosciuto. E<br />

della nostra amicizia mi faccio un vanto.<br />

L’8 aprile 1957, visito Curzio nella clinica<br />

Sanatrix, a Roma. Malaparte giace a letto, affilato,<br />

grigio, pieno di cancro. È felice di vedermi,<br />

ma, cessata l’azione degli stupefacenti,<br />

soffre. Il dolore, tuttavia, non gli attenua l’intelligenza,<br />

né la vanità. Quanto all’intelligenza,<br />

Curzio, pur conscio del suo male, mi parla non<br />

già di cancro ma di “tumore tubercolare”, per<br />

non mettermi troppo in imbarazzo, ossia per<br />

rendere possibile la conversazione.<br />

La vanità, invece, me la dimostra in vari modi,<br />

ecco qui. A Renato Angiolillo, direttore de Il<br />

Tempo, che gli telefona per avere notizie,<br />

Curzio risponde: “Sono qui con Lino Pellegrini,<br />

è venuto da Milano apposta per vedermi”.<br />

(Ma no, gli avevo spiegato chiaramente che<br />

mi trovavo a Roma perché in transito, alla<br />

volta del Congo Belga). Con me, continua:<br />

“Anche Fanfani è venuto a trovarmi”. Pausa.<br />

“E anche Togliatti”. (Polivalente sino all’ultimo,<br />

mi vien fatto di pensare). Tace, riprende fiato.<br />

“Il Papa... il papa ha fatto chiedere di me per<br />

telefono; ha detto di sapere che sono un’anima<br />

buona”. Il Papa? Un’anima buona?! In<br />

passato avevo conosciuto un Malaparte<br />

nazionalista e filoproletario, liberale e antiborghese,<br />

fascista e antinazista, aristocratico e<br />

mangiapreti: tutto, insomma, salvo che un<br />

Malaparte credente o tanto meno cattolico,<br />

benché portasse al collo una crocettina,<br />

donatagli, quand’era bimbo, dalla madre.<br />

Quindi, vanitose o meno che fossero, alle<br />

sue parole pronunciate sul letto di morte<br />

trasecolavo; ma mi resi conto della schiettezza<br />

della conversione quando Curzio,<br />

parlando del suo ritorno dalla Cina e dello<br />

sbarco all’aereoporto di Ciampino, mi disse<br />

con serietà, anzi con profondità, che a<br />

tenerlo in piedi era stato Gesù. Gesù... e,<br />

sul comodino della sua stanza alla Sanatrix,<br />

una immagine della Madonna. Gesù e<br />

la Madonna significavano, peraltro, l’ineluttabilità<br />

della fine di Curzio. Ad appena<br />

cinquantanove anni.<br />

«Stupido fascista»<br />

o difensore di ebrei?<br />

Somalia, luglio 1957. Sto volando con mia<br />

moglie Elena da Mogadiscio alla volta della<br />

remota Migiurtinia. Ci portano i giornali,<br />

appena giunti dall’Italia. Notizia: il pomeriggio<br />

del 19 luglio, Curzio Malaparte è mancato.<br />

Oggi, a quarantasei anni dalla tua scomparsa,<br />

consentimi, Curzio, una domanda<br />

maligna. Se la guerra l’avesse vinta l’“Asse<br />

Roma - Berlino”, tu, in Kaputt - anzi, in God<br />

shave the king, avresti continuato a definirmi<br />

“stupido fascista”, o mi avresti esaltato senza<br />

riserve, quale difensore di ebrei? No, non mi<br />

pento, non faccio ammenda della malignità.<br />

Per cui ti dico: nel 1991, quando Elena ed io<br />

siamo tornati a Jasci, ti abbiamo pensato più<br />

e più volte. E un giorno, nelle alture della tua<br />

Prato, proprio sulla vetta dello Spazzavento,<br />

dinanzi alla tua tomba ci rivedremo.<br />

Lino Pellegrini<br />

13


Gli esordi, i successi<br />

e l’insegnamento di un mancato<br />

ingegnere che ha “raccontato”<br />

attraverso sensazionali immagini<br />

fatti di cronaca e personaggi<br />

del mondo dello spettacolo<br />

e della politica<br />

di Alessandro Perna<br />

“Brigitte Bardot? Una ragazza da fiaba”.<br />

Così esordisce il fotoreporter Giancolombo<br />

in una intervista di un vecchio giornale in cui<br />

racconta il servizio esclusivo sull’attrice che<br />

realizzò a Cortina per Paris Match nel 1958.<br />

“Quando devo definire qualcosa di eccezionale<br />

e bello penso sempre alle fiabe <strong>dei</strong><br />

bambini, alle fate che appaiono improvvisamente<br />

nei boschi. Brigitte Bardot era così!”<br />

Una fata che gli apparve improvvisamente<br />

sul gran vialone dell’albergo Miramonti a<br />

Cortina.<br />

Con Brigitte Bardot aveva un feeling e un’intimità<br />

tutta speciale. Perché Giancolombo<br />

sapeva quale classe distingueva un semplice<br />

paparazzo da un grande fotoreporter. Lui<br />

regalava fiori mentre gli altri si accalcavano<br />

vocianti e sgomitando per rubare immagini.<br />

La prima volta che incontrò B.B. fu a<br />

Cannes. Era stato Vadim a presentargliela,<br />

allora inviato di Paris Match, giornale di cui<br />

Giancolombo era corrispondente dall’Italia.<br />

La carriera di lei era ancora tutta all’inizio e<br />

per nulla sicura. “Come si dice, era una<br />

splendida starlet che cercava di farsi notare”.<br />

Del loro primo incontro 4 anni prima<br />

Giancolombo tiene ancora delle immagini:<br />

B.B. ha in mano una Leica - che lui gli aveva<br />

prestato - con cui si diverte sulla spiaggia a<br />

giocare alla fotoreporter.<br />

“Va a Cortina – gli dissero quelli di Paris<br />

Match quel giorno - lei arriverà per riposarsi.<br />

E ti cercherà”. Avrebbe viaggiato con Paul<br />

Chaland, redattore del giornale, la sua<br />

controfigura e la sorella. Giancolombo partì<br />

subito per l’Hotel Miramonti, dove avrebbe<br />

soggiornato tutta la compagnia. Il giornale<br />

racconta che quando la incontrò rimase<br />

senza fiato. B.B. era vestita in nero. Esile e<br />

bellissima. “Si capisce subito perché un’attrice<br />

ha successo, e la sua controfigura per<br />

esempio pur assomigliandole non ne avrà<br />

mai” fu il pensiero di Giancolombo. È una<br />

questione di sfumature, di sguardi, di eleganza.<br />

“Insomma tutta un’altra cosa”. Fosse<br />

L’inizio della carriera<br />

Tutto era cominciato 10 anni prima. Dopo il<br />

liceo classico a Venezia Giancolombo era<br />

destinato all’università - ingegneria: “ci<br />

mancherebbe altro”. Erano tutti una famiglia di<br />

ingegneri: nonno, padre, e ora lui il nipote.<br />

Questione di tradizione. Era il tempo del fascismo,<br />

gli anni in cui il mondo andava incontro<br />

alla seconda guerra mondiale. Aveva appena<br />

cominciato a frequentare quando gli dissero:<br />

“Giancolombo! Classe 1921, tu sei volontario<br />

universitario e vai a Treviso”. “Chi? io?”. Non ci<br />

fu niente da fare: abile e arruolato. Tre mesi<br />

dopo era prima in Albania sergente d’artiglieria<br />

di montagna, e poi in Francia sulla costa,<br />

sottotenente sempre d’artiglieria negli alpini.<br />

Davanti aveva ancora l’8 settembre, un anno<br />

di campo di concentramento in Polonia prigioniero<br />

<strong>dei</strong> tedeschi, e un dito portato via dall’esplosione<br />

di un proiettile mentre era ufficiale<br />

armaiolo di stanza a Rapallo. Congedato<br />

perché disabile, tornò a Venezia a riprendere<br />

da dove aveva smesso: la facoltà di ingegneria.<br />

Il padre naturalmente lo voleva laureato.<br />

Ma non è che a Giancolombo riuscì bene di<br />

applicarsi allo studio. L’esperienza della guerra<br />

si fece sentire.<br />

“A Milano mio cugino Luciano Emmer mi diede<br />

una mano”. Dopo avergli offerto una breve<br />

esperienza nella produzione di film “mi<br />

presentò al direttore di un settimanale comunista<br />

stampato presso il Corriere della Sera.Mi<br />

misero in mano una Leica e mi spedirono a<br />

INTERVISTA AL GRANDE FOTOGRAFO<br />

Il mito<br />

Giancolombo<br />

stato il primo servizio che faceva su di lei era<br />

logico che rimanesse colpito. “Macché! L’avevo<br />

fotografata quattro anni prima a Cannes,<br />

l’avevo ritratta a Parigi, eravamo in un certo<br />

senso amici, fin dai tempi di Vadim. Eppure<br />

quella sera mi girava in corpo una strana<br />

sensazione”. Quando lei gli fu davanti e gli<br />

strinse la mano era triste, aveva gli occhi<br />

vaghi e lontani, un po’ rossi. “Occhi che potevano<br />

avere pianto” ricorda il fotografo.<br />

E non era improbabile. Era venuta a Cortina<br />

in uno <strong>dei</strong> suoi momenti più difficili. Cosa<br />

fosse successo del suo ultimo idillio con<br />

Gilbert Bécaud, cantante famoso dell’epoca,<br />

non si sapeva di preciso, ma di certo bene<br />

non era finito. Si diceva perfino che a Parigi<br />

avesse tentato di inghiottire qualche pastiglia<br />

di sonnifero. “Per fortuna, tentato o no il<br />

suicidio, ora era viva davanti a me”, in mezzo<br />

agli ospiti del grande salone un po’ antico del<br />

Miramonti. La gente intorno parlava fitto. Ma<br />

era come non ci fosse. Brigitte gli diede la<br />

mano e non parlò. Lui non le disse subito<br />

che era lì per lavoro, proprio per fotografare<br />

lei. Non aveva voglia di entrare subito nel<br />

suo ruolo. “Fu per questo forse, che si creò<br />

tra noi un’atmosfera diversa dal solito che<br />

durò per tutto il suo soggiorno”.<br />

Era un incanto nel suo vestito da sera.<br />

Presto, si formò un capannello di gente<br />

tutt’intorno: gli altri ospiti ci avevano messo<br />

poco a capire chi fosse. E di sicuro non<br />

erano i fan quelli che mancavano a B.B., che<br />

fossero donne o uomini. Lui capì che voleva<br />

liberarsi di quella gente, e che gli chiedeva<br />

di fare qualcosa. La prese per un braccio e<br />

l’accompagnò fuori. “Salimmo in macchina e<br />

andammo a ballare al Cristallo. Danzammo<br />

insieme in mezzo alla più aristocratica gente<br />

di Parigi, Milano e Roma. Ma lei voleva ballare<br />

solo con me. Non si fidava degli altri in<br />

quel momento”. L’indomani mattina fu lei a<br />

svegliarlo con una telefonata. Giancolombo<br />

aveva già fissato il programma. Era riuscito<br />

ad ottenere in esclusiva tutto il palazzo del<br />

ghiaccio, un’esclusiva assoluta. Giura che si<br />

sentiva fuori dal suo mestiere mentre le scattava<br />

foto su foto. Gli pareva che stesse<br />

facendo tutto per arricchire un suo album<br />

personale di ricordi. “I cinque giorni passarono<br />

in quest’atmosfera di curiosa intimità”.<br />

Così racconta il giornale. E se si domanda<br />

ancora oggi a Giancolombo come andarono<br />

esattamente le cose, lui ti risponde che la<br />

cronologia degli eventi non era proprio<br />

rispettata. E che un po’ di romanzo sul loro<br />

incontro a Cortina e sulla successiva permanenza<br />

il giornalista l’aveva fatto. Allora le<br />

tinte forti andavano di moda. Ma era vero<br />

dell’affettuosa amicizia e della stima reciproca<br />

che provavano l’una per l’altro, al di là del<br />

piano professionale. Come era vero che B.B.<br />

era una donna bellissima, con un fascino<br />

tutto speciale che era difficile ignorare.<br />

“Dopo il servizio allo stadio, Bredo, il proprietario<br />

del più famoso negozio di Cortina di<br />

abbigliamento ci invitò da lui. E B.B. si divertì<br />

a provare gran parte del campionario del<br />

negozio” ricorda adesso Giancolombo. È<br />

un’altra esclusiva. Poi tutti insieme nelle<br />

cucine dell’Hotel Ancora, nello stesso edificio,<br />

così il costante assedio <strong>dei</strong> fotografi<br />

poteva essere evitato. Altro giro, altra esclusiva.<br />

Non poteva andare sempre così bene.<br />

“Spesso trovavamo l’auto con le gomme<br />

sgonfiate - infatti - perché i miei colleghi<br />

erano veramente infastiditi dal fatto di non<br />

poter mai scattarle neanche una foto. E<br />

perciò si vendicavano così con noi e con<br />

me”. C’era da capirli.<br />

Il giorno dopo B.B. volle andare su al passo<br />

del Falzarego. Quella era una brutta mattina.<br />

Era nervosa, cominciava a sentirsi<br />

addosso tutta quell’attenzione in un momento<br />

così difficile. Ci voleva un’idea, uno stratagemma,<br />

uno di quelli buoni. “Facemmo partire<br />

una macchina con la sua controfigura<br />

perfettamente camuffata. Ci cascarono tutti.<br />

Noi la nascondemmo in un’altra auto e ce ne<br />

andammo per i fatti nostri su al passo”. A<br />

B.B. Giancolombo chiedeva sempre il<br />

permesso prima di fotografarla. Questi erano<br />

i patti. E lei poteva dire di sì o di no. Al Falzarego<br />

era tesa come una corda di violino e<br />

non aveva voglia di farsi riprendere, nemmeno<br />

da lui. “Perciò di foto se ne fecero poche”.<br />

Ma così andava fatto, perché se lei non vole-<br />

fare interviste agli operai negli stabilimenti”.<br />

Ritrovò uno <strong>dei</strong> suoi cugini, Claudio Emmer, in<br />

via Bagutta dove aveva uno studio. Claudio gli<br />

cedette una stanza in cambio di assistenza<br />

per i servizi fotografici che stava realizzando al<br />

Teatro alla Scala. “Cominciai così l’attività di<br />

fotografo per conto mio. Poi mi capitò di andare<br />

a Venezia. C’era un circo allestito in piazza<br />

San Marco. Mi affascinò l’idea”. Il risultato fu<br />

una foto con in primo piano <strong>dei</strong> cavalli durante<br />

un numero con lo sfondo della basilica.<br />

Giancolombo preferisce la destra alla sinistra:<br />

è per questo che pensò di offrire quelle foto di<br />

Venezia al Corriere Lombardo. Gliele pubblicarono<br />

e gli fecero pure i complimenti: fu la<br />

prima volta da libero professionista. “Poi,<br />

incontrai il direttore del giornale ad una cena<br />

in via Bagutta. Allora era ritrovo di giornalisti,<br />

artisti ed dell’intellighenzia modaiola di Milano.<br />

Il fotografo Patellani - quello che diventerà<br />

famoso - se n’era andato, e lui aveva di che<br />

lamentarsi - a suo dire - per essere stato<br />

lasciato così su due piedi”. Giancolombo gli<br />

offrì i suoi servigi. Il giorno dopo gli diedero due<br />

Leica in prestito e 20.000 lire al mese. Lui fece<br />

il resto: si procurò un impermeabile e un<br />

cappello a tese larghe, come allora andava di<br />

moda. E poi mise le mani su una moto <strong>dei</strong><br />

paracadutisti americani - un bidé come veniva<br />

chiamata, perché di piccolissime dimensioni<br />

per poter essere trasportata e paracadutata<br />

più facilmente. “E così combinato me ne andavo<br />

a caccia di fotografie”.<br />

Nel 1948 i comizi politici non si contavano:<br />

c’erano le prime elezioni libere italiane dai<br />

va, Giancolombo non la fotografava. Era<br />

anche per questo che andavano d’accordo.<br />

“Poi venne l’ultimo giorno, bisognava ripartire.<br />

Lei alla volta della Francia, di Parigi, e io<br />

per Milano. I rullini andavano sviluppati ed<br />

inviati in fretta Oltralpe”. Si lasciarono con<br />

quel tenero e cameratesco abbraccio che a<br />

volte lei distribuiva con disinvoltura agli amici.<br />

Il vecchio giornale racconta che rimasero<br />

fermi un istante prima di separarsi. Poi lei gli<br />

disse: “au revoir cherie”. La favola era finita.<br />

Brigitte Bardot la fotografò Giancolombo, e a<br />

nessuno dell’agenzia fotostampa di cui era<br />

proprietario avrebbe mai permesso di riprenderla<br />

al suo posto a meno di insormontabili<br />

impedimenti. Sophia Loren, Raf Vallone,<br />

Alberto Sordi, Claudia Cardinale, Clark<br />

Gable, Sylva Koscina e tutti i divi del periodo<br />

della Dolce Vita, a Cortina o altrove, potevano<br />

essere anche ripresi dagli altri fotografi<br />

della sua scuderia. Ma lei era una tutta un’altra<br />

storia. E di altri bravi fotografi tra le fila di<br />

Giancolombo - oltre a lui, al maestro - ce<br />

n’erano parecchi, perché la sua era una<br />

delle agenzie più importanti d’Italia. Fotografi<br />

tanto bravi da fare, allora e successivamente,<br />

la storia del fotogiornalismo nella<br />

penisola. E da rendere l’agenzia di Giancolombo<br />

nel periodo tra i primi anni ‘50 e la fine<br />

degli anni ‘60 un punto di riferimento per<br />

tutta l’editoria del nostro paese e per molta<br />

di quella straniera.<br />

L’aveva fondata col nome di “Giancolombo<br />

News Photos” nel 1949. Dopo i primi successi<br />

la rivista francese Paris Match gli aveva<br />

chiesto le corrispondenze per il Nord Italia.<br />

Nel contempo le maggiori agenzie estere<br />

avevano cominciato ad inviargli servizi da<br />

ogni paese, portando la Giancolombo in<br />

breve al massimo del suo sviluppo. Non si<br />

contano i giornali che ebbe per clienti: Europeo,<br />

Tempo, Panorama, Settimo Giorno,<br />

Oggi, Gente, Grazia, Epoca, Visto, Le Ore di<br />

Salvato Capelli. E all’estero a Paris Match se<br />

ne aggiunsero presto molti altri tra i più<br />

importanti dell’epoca: Life, Picture Post,<br />

Schweizer Illustriert, Stern, Jours de France,<br />

Daily Express.<br />

tempi del fascismo. C’era De Gasperi quel<br />

giorno in piazza Duomo ad arringare le folle.<br />

“E pioveva che Dio la mandava. Ebbi l’idea di<br />

arrampicarmi alle spalle del palco e di fotografare<br />

quella distesa di ombrelli tenuti su da chi<br />

lo stava ascoltando. Facevano impressione”.<br />

Aveva avuto il colpo di genio: la foto finì in<br />

prima pagina e la United Press gli comprò il<br />

negativo per 10.000 lire, spedendola ai giornali<br />

di tutto il mondo. Partì così la collaborazione<br />

con una delle più importanti agenzie<br />

fotografiche del mondo: lui gli faceva le fotografie<br />

in Lombardia e a Milano e loro le distribuivano<br />

in America. Di soldi però non ne giravano<br />

molti. A dormire se ne andava in un<br />

sottoscala di via della Spiga, quando ancora<br />

era una roba da squattrinati. E lì, solo con del<br />

legno trovato in giro, era riuscito a costruirsi<br />

una camera oscura.<br />

“Una mattina me ne stavo andando all’Innocenti<br />

a convincere l’ufficio stampa a consegnarmi<br />

una Lambretta. Passai davanti al<br />

Dazio, che era tutto un trambusto: il doganiere<br />

capo era impazzito e sparava a chiunque<br />

si avvicinasse. E io che feci? Mi avvicinai”. Per<br />

forza. Riuscì a fotografarlo con la pistola in<br />

mano da una finestra del cortile. La carriera<br />

cresceva: il giorno dopo 6 foto di spalla con<br />

tanto di elogi in prima pagina sul Corriere<br />

Lombardo. E naturalmente un soprannome,<br />

uno <strong>dei</strong> tanti che avrà.. “Lambretta! - urlavano<br />

alle mie finestre da quel giorno gli incaricati<br />

del Corriere Lombardo quando passavano<br />

per chiamarmi”. Allora erano in pochi a<br />

permettersi un telefono.<br />

14 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


Il Dopoguerra<br />

con ironia<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

Il caso Rina Fort<br />

Uno <strong>dei</strong> primi servizi che incisero di più sulla<br />

sua professione fu il caso Caterina Fort, una<br />

friulana conosciuta come Rina. “La signora<br />

aveva una relazione con un uomo, un catanese<br />

di nome Pippo Ricciardi. Peccato che il<br />

Ricciardi fosse sposato e che lei non lo sapesse”.<br />

Neanche <strong>dei</strong> bambini sapeva nulla. Erano<br />

tre e tutti piccoli, più uno in arrivo e quasi giunto<br />

a destinazione. Quando lei lo scoprì impazzì<br />

letteralmente, trasformandosi in una belva<br />

assetata di morte - così raccontarono i giornali.<br />

Si recò a casa dell’amante assente e uccise<br />

la moglie e i tre bambini a colpi di bastone. A<br />

scoprirli fu Pina Somaschini, commessa del<br />

Ricciardi che in quei giorni si trovava appunto<br />

fuori Milano. Giancolombo era all’inizio della<br />

carriera e la cronaca nera, bianca o rosa che<br />

fosse era il suo pane quotidiano.<br />

“L’imperativo del momento era arrivare sul<br />

luogo del delitto prima degli altri. E naturalmente<br />

eludere ogni divieto che limitasse la<br />

possibilità di fare foto. Giocoforza che il nostro<br />

fosse spesso un mestiere rocambolesco, in cui<br />

si sviluppava il gusto della sfida, e che si creassero<br />

leggende e miti che agli stessi fotografi<br />

piaceva alimentare”. Lui nascose la macchina<br />

fotografica in tasca. E si presentò sul luogo del<br />

delitto come fosse lì un po’ per caso. Gli riuscì<br />

bene: lo fecero entrare. Una volta dentro era<br />

talmente sconosciuto e male in arnese che<br />

quelli della polizia lo scambiarono per uno di<br />

loro, qualcuno mandato dalla scientifica a fare<br />

le foto del delitto. Tanto che tutti si fecero in<br />

quattro per assecondare quel giovanotto che<br />

sembrava così inesperto. “Le fotografie del<br />

massacro furono pubblicate in prima pagina<br />

dal Corriere Lombardo del 1° dicembre 1946.<br />

La polizia scientifica non apprezzò la beffa, e<br />

ci mise un attimo a sequestrare i negativi”. Ma<br />

ormai era fatta e Giancolombo aveva ottenuto<br />

una delle sue prime e più famose copertine.<br />

Il colpo Bellentani<br />

Il colpo della Bellentani andò invece così: “La<br />

mattina del 16 settembre 1948, mentre ero<br />

ancora nelle braccia di Morfeo una telefonata<br />

mi raggiunse a casa svegliandomi di soprassalto”.<br />

“Gian corri subito stanno sfasciando<br />

l’agenzia” gli urlarono nella cornetta. “Che<br />

stava succedendo? Erano i redattori e i capiredattori<br />

<strong>dei</strong> giornali che si stampano a Milano,<br />

letteralmente impazziti”. È che a Giancolombo<br />

era capitato il colpaccio che succede<br />

una volta nella vita: il caso Bellentani. E gli era<br />

capitato senza neanche volerlo. Così per caso,<br />

perché il destino l’aveva voluto.<br />

Nel laboratorio era in corso una furibonda lotta<br />

all’ultimo fotogramma. “Oggetto del contendere<br />

erano <strong>dei</strong> negativi. Uno in particolare schizzava<br />

di mano in mano”. Era quello che valeva<br />

una fortuna. L’asta fu aperta a colpi di centomila.“Calma,<br />

che diavolo!”. Ci voleva della calma.<br />

“Quando ebbi zittito quei signori, finalmente mi<br />

fu consegnata la negativa. Peccato che era<br />

andata distrutta: impronte, graffi e sgualciture”<br />

racconta Giancolombo. A salvare tutto fu il<br />

provvido assistente di turno del laboratorio che<br />

ne aveva fatta una stampa. Quella era la foto<br />

di Pia Bellentani, poco prima che uccidesse a<br />

rivoltellate l’industriale e suo amante Carlo<br />

Sacchi ad una serata di gala a Como.<br />

“Da quella fotografia dipese il mio futuro” di<br />

fotografo, naturalmente. “Il settimanale Tempo<br />

ne fece la copertina. Il Corriere Lombardo la<br />

pubblicò in grande nella prima pagina, giornali<br />

di tutto il mondo me la chiesero. Mi fruttò la più<br />

alta cifra che fosse stata mai pagata fino ad<br />

allora in Italia per un singolo fotogramma. Fece<br />

conoscere il mio nome, mi permise di fare<br />

investimenti e di allargarmi”. Chi l’avrebbe<br />

detto che la foto di una signora di cui non gli<br />

importava nulla avrebbe fatto la sua fortuna. E<br />

La Dolce Vita a Cortina nelle immagini dell’archivio Giancolombo<br />

Una mostra fotografica che fissa gli istanti più affascinanti di<br />

un periodo indimenticabile è stata esposta nei locali del<br />

Vecchi Municipio a Cortina d’Ampezzo. Brigitte Bardot sui<br />

pattini allo Stadio Olimpico, Clark Gable all’Hotel Miramonti,<br />

Alberto Sordi al Rifugio Faloria sul set di Vacanze d’Inverno.<br />

Cinquanta immagini d’epoca in esposizione e ottanta nel<br />

libro che è stato edito per l’occasione.<br />

È veramente stato un caso che il comune della località forse<br />

più famosa ed esclusiva abbia voluto creare un evento nel<br />

suo agosto affollato, proponendo ai suoi ospiti una carrellata<br />

<strong>dei</strong> personaggi importanti che vi sono passati; un caso<br />

perché Giancolombo frequenta Cortina da 75 anni, la conosce<br />

e la ama. Ha quindi tratto dal suo archivio di fotogiornalismo<br />

una selezione di immagini che è stata anche un omaggio<br />

personale.<br />

Cortina è cambiata: in difetto, a sentire chi rimpiange i decenni<br />

passati con sentimentale mancanza di obiettività. In eccesso,<br />

a sentire invece chi cerca la purezza della montagna e<br />

della natura e depreca il traffico. Ma è indubbio che lo spirito<br />

della Conca non è cambiato e che ancora aleggiano nell’aria<br />

Sophia<br />

Loren danza<br />

con Raf<br />

Vallone,<br />

1956.<br />

frizzante il carattere mondano e la fierezza di viverlo. Il grande<br />

libro posato su un tavolino all’ingresso ha ricevuto le firme<br />

e i commenti <strong>dei</strong> visitatori che non sono riusciti a trattenere<br />

entusiasmo. Scorrendone le pagine, le parole di chi voleva<br />

semplicemente esprimere il proprio apprezzamento per la<br />

qualità delle immagini, appassionati di fotografia che amano<br />

i tagli di luce, la composizione, il contrasto del bianco e nero;<br />

oppure di coloro che avevano rispolverato la propria passione<br />

per la Bardot o per Buscaglione, l’ammirazione per<br />

Montanelli o per D’Inzeo. Spiccavano le frasi di coloro che a<br />

Cortina a quei tempi c’erano e ricordavano nostalgici una<br />

Dolce Vita di cui erano stati testimoni e a volte protagonisti;<br />

ma fra tutti i commenti, i più importanti erano quelli di coloro<br />

che per l’età non hanno vissuto il periodo che tutti rimpiangono.<br />

Le immagini di Giancolombo hanno dato soprattutto a<br />

costoro il senso di un passato affascinante e hanno ristabilito<br />

un volto di Cortina che fa parte della sua seduzione.<br />

La mostra ritornerà in esposizione per il pubblico di Bologna<br />

nel gennaio <strong>2004</strong>, a Palazzo D’Accursio in Piazza Maggiore.<br />

Susanna Colombo<br />

Brigitte<br />

Bardot<br />

sulla pista<br />

di curlng<br />

dell’Hotel<br />

Miramonti,<br />

1958.<br />

Alberto<br />

Sordi<br />

sul set<br />

di Vacanze<br />

d’Inverno<br />

di Camillo<br />

il suo nome. “Io non ci volevo andare alla sfilata<br />

di Villa d’Este della Biki” racconta Giancolombo.<br />

La Biki era la sarta dell’aristocrazia<br />

milanese. Come si faceva a dire di no alla Biki.<br />

“La sfilata era fatta in contemporanea con Dior,<br />

presentava anche lui <strong>dei</strong> nuovi modelli. Era<br />

una serata importante, non potevo dirle di rivolgersi<br />

a qualcun altro”.<br />

Al centro c’era la passerella, ai lati i tavoli per<br />

gli ospiti, e tutt’intorno una splendida sala<br />

settencentesca. E naturalmente ovunque tanta<br />

bella gente: il barone Rothschild, la principessa<br />

d’Alemberg, uno zio di Faruk, che allora era<br />

ancora re. E il fior fiore della nobiltà e dell’industria<br />

lombarda. La Biki sapeva come si faceva<br />

il suo mestiere. “Presi la speedgraphic, tenuta<br />

insieme con i cerotti, e cominciai a fotografare<br />

le modelle. Andava tutto bene, quando una<br />

signora, si avvicinò e mi chiese di fotografare<br />

un tavolo”. “No signora, che non le faccio la<br />

foto - le rispose lui - non sono mica di quelli<br />

che vanno di tavolo in tavolo a lasciare bigliettini”.<br />

Certo, che se ne andò, che gli importava.<br />

Anzi a dire il vero era pure un po’ offeso. “Ma<br />

mica smise quella di insistere”.<br />

Era finita la serata, e ci si sentiva bene quando<br />

una serata come quella finiva. Era l’una di<br />

notte e Giancolombo pensava solo ad andarsene.<br />

Quando la signora tornò alla carica:<br />

“Insomma me la fa o no questa benedetta fotografia?”.<br />

E no! Ancora lei!?!. “Che vi devo dire?<br />

Alla fine la feci: una lastra per fare uno scatto<br />

c’era ancora, e una lampadina per il flash<br />

pure”. Salì sulla passerella e fece la foto al<br />

tavolo <strong>dei</strong> tre sconosciuti. “Arrivederci” e se ne<br />

Mastrocinque, andò. Passò un’ora e una di quelle signore,<br />

al Rifugio quella seduta a destra, fece qualcosa che<br />

Col Drusciè, nessuno avrebbe potuto immaginare. Pia<br />

1959. Bellentani si alzò, andò al guardaroba e ritirò<br />

la pistola calibro nove del marito. Lui se l’era<br />

portata perché le precauzioni non sono mai<br />

troppe, e il dopoguerra era felice per pochi. I<br />

gioielli e gli ermellini delle belle signore al<br />

mercato nero valevano una fortuna. “Fu<br />

proprio sotto la stola di ermellino che Pia<br />

Bellentani nascose la pistola”. Quale più<br />

elegante nascondiglio per avvicinarsi al bar e<br />

ammazzare il proprio amante, quel Carlo<br />

Sacchi che l’aveva insultata. Sparò un unico<br />

colpo e l’uomo divenne pallido, barcollò, gli<br />

caddero gli occhiali. Chi intervenne lo adagiò<br />

su un divano. Altri gli si agitarono intorno, ma<br />

era tardi. Uno sparo solo ed era morto. Lei poi<br />

si puntò la pistola addosso e sparò. Ma c’era<br />

un unico proiettile nella calibro 9, ed era già<br />

andato a bersaglio.<br />

La Bellentani da ragazza faceva Pia Caroselli<br />

ed era moglie del conte Lamberto Bellentani,<br />

un modenese conosciutissimo per la produzione<br />

di carni insaccate. Carlo Sacchi, il morto, era<br />

un uomo che si era fatto tutto da sé vendendo<br />

seta. “Nessun fotografo era presente. Nessuno<br />

si era accorto di nulla. E nessuno all’infuori di<br />

me l’aveva fotografata” ricorda Giancolombo.<br />

“Enorme fu lo scalpore, incredibile il numero di<br />

pubblicazioni sui giornali che fece la foto in tutti<br />

i rotocalchi del mondo”. Nel 1971 la fotografia<br />

del delitto Bellentani è citata ancora una volta<br />

dal settimanale Grazia come una delle otto<br />

immagini che hanno fatto epoca, una delle più<br />

famose degli archivi di cronaca nera.<br />

“La prima volta che pubblicarono la foto per un<br />

errore di trascrizione, o forse per semplificazione,<br />

il mio nome venne trasformato da Gian<br />

Battista Colombo in Giancolombo”. Ed è inutile<br />

negare che gli piacque molto. “Lo trovai<br />

bello, caratteristico, perché non dirlo, e soprattutto<br />

facile da ricordare”. Un bel vantaggio per<br />

chi fa questo mestiere. Se aveva avuto ancora<br />

<strong>dei</strong> dubbi fino quel momento sul suo futuro di<br />

fotografo, “perché ero ancora giovane, e mio<br />

padre insisteva con l’ingegneria”, adesso non<br />

ce n’erano più, quella sarebbe stata la sua<br />

strada. Adesso non era più un Gian Battista<br />

Colombo qualunque. Anzi adesso aveva pure<br />

un soprannome: Giancolombo.<br />

15


Sopra a<br />

sinistra,<br />

Indro<br />

Montanelli<br />

a passeggio<br />

per corso<br />

Italia<br />

si ferma a<br />

chiacchierare<br />

con alcune<br />

persone che<br />

lo hanno<br />

riconosciuto,<br />

1961.<br />

A destra,<br />

Habib<br />

Bourguiba<br />

in una via<br />

di Cortina<br />

mentre<br />

il suo<br />

entourage<br />

acquista<br />

alcuni<br />

quotidiani<br />

da un<br />

ragazzo<br />

del luogo,<br />

1960.<br />

Fino ad allora aveva fotografato per diletto e<br />

per snobismo più che per vocazione. Alto,<br />

magrissimo, i capelli biondi, era un po’ l’enfant<br />

gaté dell’aristocrazia e del bel mondo milanese.<br />

“Facevo ritratti alle belle signore dell’alta<br />

società ed ero ricercato per gli avvenimenti<br />

mondani. Mi divertivo moltissimo, girando nei<br />

locali notturni. La gente allora aveva voglia di<br />

divertirsi, di godere della vita dopo la guerra”.<br />

Chi non poteva con poco. Chi invece aveva i<br />

mezzi li sfruttava e se la spassava. Le foto<br />

erano sempre ironiche. Sempre con magnati,<br />

re, attori, cantanti, divi della televisione, principi<br />

e principesse decaduti e non. “Era un<br />

mondo fatuo, che però mi piaceva perché ero<br />

stato in guerra, e non era stata questa gran<br />

allegria la mia giovinezza, come per tutta la<br />

mia generazione”. Era il dopoguerra italiano, e<br />

lui come gli altri ne fu coinvolto. Raffinato e<br />

pieno di spirito Giancolombo era divenuto il<br />

fotografo di questo mondo.<br />

L’impresa di Churchill<br />

Nel 1951, Giancolombo è a Venezia, città che<br />

conosce come le sue tasche. Questa volta<br />

l’obiettivo era di fotografare niente poco di<br />

meno che Churchill, il primo ministro inglese<br />

che aveva sostenuto le sorti dell’Inghilterra<br />

nell’interminabile seconda guerra mondiale. E<br />

Churchill ci teneva a fare il bagno nella bella<br />

Venezia. Considerava il suo tuffo mattutino al<br />

lido un piacere irrinunciabile. Di avvicinarsi a<br />

lui neanche a parlarne, la zona era tutta transennata<br />

e la polizia non faceva passare nessuno<br />

senza controllarlo. Né da terra, né dal mare,<br />

dove le forze dell’ordine si erano attrezzate con<br />

tanto di barchette. “Naturalmente i fotoreporter<br />

erano tutti banditi. Era lì per il festival di Venezia<br />

e tutti sapevano di quell’abitudine. Il luogo<br />

era ben conosciuto: accanto alla diga dell’hotel<br />

Excelsior. E l’ora era sempre la stessa: le<br />

11 di mattina. Tutti i fotografi che avessero con<br />

sé un teleobiettivo sufficientemente potente -<br />

molti avevano <strong>dei</strong> veri e propri cannoni - li<br />

avevano piazzati sui tetti degli alberghi vicini”<br />

ricorda Giancolombo.<br />

Ma niente da fare: lui risultava sempre minuscolo<br />

in ogni inquadratura, malgrado la sua<br />

notevole mole. “Studiai attentamente la situazione<br />

e decisi di travestirmi da turista inglese”.<br />

A Giancolombo per i suoi connotati fisici veniva<br />

bene. L’aveva già sperimentato che il trucco<br />

funzionava: bidonisti e pataccari nelle località<br />

turistiche pensavano sempre fosse un turista<br />

straniero e cercavano di rifilargli ogni volta<br />

fregature. Pantaloni bianchi e camicetta azzurra,<br />

una cravatta dal colore impossibile, scarpe<br />

gialle e occhiali neri, in testa un cappello alla<br />

Jacques Tati. Più anglosassone di così. “La<br />

sera prima mi accordai con il bagnino, che<br />

stava sempre lì di guardia per dare una mano<br />

agli sbronzi che vanno a fare il bagno all’alba.<br />

Gli avevo affidato la mia macchina, una<br />

primerflex con un teleobiettivo di 165 mm.”.<br />

Alle prime luci del giorno così conciato e con la<br />

pipa in bocca se ne andò a far finta di ammirare<br />

il sole sulla spiaggia. I poliziotti intorno riorganizzavano<br />

come ogni mattina la loro rete di<br />

protezione contro fotografi, giornalisti e malintenzionati.<br />

“Un paio di loro mi si avvicinò, e mi<br />

rivolse la parola. Ma io, biascicando con accento<br />

che a loro apparve oxfordiano una serie di -<br />

I’m sorry, non capire, I don’t understand, excuse<br />

me - li convinsi della mia origine anglosassone”.<br />

Il bagnino gli venne in soccorso, tanto si<br />

erano già messi d’accordo. “Cossa perdè<br />

tempo” disse “El xe un po mato. El passa il<br />

tempio a vardar le onde”. Fu piuttosto convincente.<br />

E i poliziotti decisero di lasciare perdere.<br />

Cento metri di distanza avevano proclamato<br />

ordini severi da Roma. Di brutte figure non<br />

bisognava farne con un ospite così importante:<br />

schieramento di polizia scientifico e i fotografi<br />

ben distanti. “Nel momento stesso in cui<br />

Sir Winston entrò in acqua, io mi levai gli<br />

occhiali e mi tuffai. Così com’ero, vestito di tutto<br />

punto”. Giancolombo si era organizzato: aveva<br />

calcolato esattamente la profondità del fondale<br />

in modo da emergere solo delle spalle. Il<br />

fedele bagnino gli passò la macchina e lui<br />

cominciò a scattare.“Ormai Churchill era a seisette<br />

metri da me. Sguazzava allegramente,<br />

sollevava alti spruzzi, si riempiva la bocca d’acqua<br />

che sembrava un ragazzino”.<br />

Il primo ministro non ci mise molto a capire<br />

cosa stesse succedendo. E cominciò a urlare<br />

a perdifiato. “Io in quel momento avevo finito il<br />

primo rullo e, sempre immerso fino al collo,<br />

con le braccia protese in alto, stavo cambiando<br />

pellicola”. Era scoperto: poliziotti inglesi e<br />

italiani non ci pensarono due volte a buttarsi in<br />

acqua ancora in uniforme ed a inseguirlo.<br />

Giancolombo non è uno che molla facilmente:<br />

mentre si diede alla fuga continuò a scattare. Il<br />

problema era dove fuggire. Come in ogni<br />

racconto rocambolesco che si rispetti c’è<br />

sempre chi ti toglie dai guai. Una barca gli si<br />

avvicinò e due braccia provvidenziali lo sollevarono.<br />

“Erano il collega Dino Jarach, e il giornalista<br />

Franco Schepis, che con un monopattino<br />

erano venuti in mio soccorso. Remando di<br />

foga mi portarono ad un centinaio di metri più<br />

in là lungo la spiaggia “.<br />

Rimaste al largo le barchette delle forze dell’ordine<br />

e indietro i poliziotti in acqua, con quelli a<br />

terra costretti a fare il giro lungo della strada, il<br />

Giancolombo ebbe tutto il tempo di infilarsi in<br />

una cabina, spogliarsi di tutto e confondersi con<br />

gli altri bagnanti. Infilandosi prima i rullini dentro<br />

al costume, naturalmente. “Beffai così la polizia,<br />

in piena agitazione, passandole accanto<br />

con gran disinvoltura, come niente fosse”. Di<br />

corsa all’albergo, abiti nuovi, e poi con il rullino<br />

via all’aeroporto di San Nicolò prima possibile.<br />

Un’ora dopo, con l’aereo per Milano in volo e il<br />

rullino al sicuro, il colpo risultava riuscito perfettamente.<br />

E poi, come ogni buon criminale, il<br />

Giancolombo volle ritornare sulla scena del<br />

delitto. Stavolta la polizia, che aveva capito<br />

bene cosa fosse successo, ci mise un attimo a<br />

fermarlo. Ma ormai era fatta. Winston Churchill,<br />

informato degli eventi, fece buon viso a cattivo<br />

gioco. “Seguirono tante scuse al primo ministro<br />

e la pubblicazione delle fotografie su Life”<br />

conclude Giancolombo.<br />

La beffa<br />

delle nozze del secolo<br />

Poi vennero le cosiddette nozze del secolo -<br />

come le definirono i giornali. “Le nozze blindate<br />

a Cannes nel 1952 della contessa fiorentina<br />

Sveva della Gherardesca col principe russo<br />

Nicola Romanov”. Nicola era discendente<br />

dello zar Nicola I e cugino in secondo grado<br />

dell’ultimo zar Nicola II, assassinato durante la<br />

rivoluzione del 1918. A Cannes Giancolombo<br />

c’era andato col giornalista Luigi Vacchi, che<br />

non aveva delle buone notizie per lui: la cerimonia<br />

del matrimonio sarebbe avvenuta all’interno<br />

della chiesa russa locale e a nessun<br />

fotografo sarebbe stato permesso di entrare.<br />

Per l’appunto era un classico invito per il Giancolombo<br />

a nozze… Era come lanciargli una<br />

sfida. Il piano d’azione fu presto pronto e piuttosto<br />

audace: si sarebbe travestito fingendosi<br />

un papavero dell’alta società.<br />

“Affittai un tight col cilindro nel miglior negozio<br />

di Cannes. Mi feci prestare da un teatro una<br />

dozzina di finte decorazioni piuttosto appariscenti.<br />

E tocco finale, noleggiai un’automobile<br />

adeguata: una Hispano Suiza foderata di pelli<br />

di Leopardo”. Perfetto. Vacchi si prestò al<br />

gioco: mise uniforme e cappello da chaffeur,<br />

con tanto di guanti bianchi perché i dettagli in<br />

alta società fanno sempre la differenza. “Arrivammo<br />

davanti alla chiesa un quarto d’ora<br />

prima dell’inizio della cerimonia. E Vacchi,<br />

perfettamente entrato nella parte, scese, si<br />

tolse il cappello, e inchinandosi con gran stile<br />

mi aprì la portiera”. La polizia non capì nulla, e<br />

neanche ci provò. Tutto era studiato nei minimi<br />

dettagli per non destare sospetti. “Come potevano<br />

pensare che sotto il cilindro avevo una<br />

macchina fotografica, una Rolleiflex”.<br />

Neppure il ciambellano di turno ebbe il minimo<br />

dubbio. Giancolombo era esattamente come<br />

doveva apparire. Nella sua dignitosa e nobile<br />

compostezza fu introdotto in chiesa in mezzo<br />

agli altri invitati. I colleghi fotografi lo riconobbero<br />

da dietro le transenne e cominciarono a<br />

protestare. Non ebbero il tempo di parlare che<br />

la polizia intervenne - come racconta un giornale<br />

dell’epoca - e ne manganellò pure qualcuno.<br />

“Ma la copertura non saltò… Quindi arrivarono<br />

gli sposi e le porte furono sbarrate per<br />

dare inizio alla cerimonia”. Era il momento: via<br />

il cilindro e fuori la macchina fotografica.<br />

Cominciarono i flash, molti e veloci perché in<br />

ogni momento poteva essere buttato fuori e i<br />

rullini sequestrati. Ma incredibilmente non<br />

successe nulla. “Gli sposi sorrisero, gli addetti<br />

alla sicurezza non intervennero, e gli invitati<br />

continuarono a seguire la cerimonia come<br />

niente fosse”.<br />

Era fatta: Giancolombo rimase fino alla fine,<br />

fece foto su foto, e poi se ne andò. Non che la<br />

cosa non seccò gli altri fotografi assiepati<br />

dietro le transenne fuori dalla chiesa. Ma il<br />

colpo era troppo audace e divertente perché<br />

non venisse apprezzato anche dai colleghi<br />

della concorrenza. Che naturalmente trasformarono<br />

la sua impresa in notizia del giorno.<br />

“Sui giornali diedero più spazio a me di quanto<br />

non ne ottenne la cronaca della cerimonia<br />

stessa”. Con tanto di foto di Giancolombo,<br />

sorridente e soddisfatto, in tight di fianco alla<br />

limousine.<br />

Da Agenzia<br />

ad archivio storico<br />

L’Agenzia dopo gli anni ’60 subisce una trasformazione<br />

e diventa soprattutto archivio storico.<br />

“Tanti fotografi miei collaboratori se ne erano<br />

ormai andati a cercare la loro strada personale.<br />

Molti giornali avevano a quel punto propri<br />

fotoreporter assunti. E la televisione era diventata<br />

una temibile concorrente per l’editoria. Infine<br />

i costi di gestione erano diventati troppo alti”<br />

spiega Giancolombo. Non è l’unico che deve<br />

fare i conti col cambiato clima editoriale,<br />

economico e sociale. Solo le grandi agenzie<br />

internazionali riescono a tenere il passo. Molti<br />

giornali, l’americano e mitico Life fra tutti, sono<br />

costretti a chiudere per mancanza di lettori e<br />

di inserzionisti. E poi non c’è solo questo: Giancolombo<br />

ha anche ormai una famiglia a cui<br />

deve dedicarsi e riservare tempo. Ma non per<br />

questo smette di scattare immagini. Continua<br />

a realizzare quei reportage che lo hanno fatto<br />

paragonare ai fotografi della Magnum. E,<br />

adeguandosi ai tempi, realizza servizi di moda<br />

e pubblicità. Non rinuncia neppure ad allevare<br />

fotografi: mette su una scuola che rimarrà<br />

aperta fino al 1980.<br />

Interviene nel mondo della fotografia anche a<br />

livello istituzionale. Nel 1964 fonda assieme a<br />

colleghi ed amici la prima Associazione di<br />

Fotoreporters – la Fia, di cui viene eletto presidente.<br />

Continua a detenere la carica per i<br />

successivi dieci anni. Darà le dimissioni in<br />

occasione dell’iscrizione ad honorem nell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti, nel 1974. Partecipa anche<br />

alla fondazione prima dell’Afip - Associazione<br />

fotografi italiani professionisti, e poi dell’Airf –<br />

Associazione italiana reporters fotografici. Nel<br />

1990 viene chiamato per esporre, in una<br />

mostra collettiva al Senato a Roma, ritratti del<br />

mondo del giornalismo e dell’editoria della<br />

prima Repubblica. Oggi Giancolombo ha 82<br />

anni. “Ho smesso di fotografare solo dopo un<br />

incidente in macchina un paio d’anni fa”<br />

racconta. Di certo non ha smesso di avere<br />

tutta quella carica ed energia che lo hanno<br />

reso celebre. Né è uscito dalla storia del fotogiornalismo<br />

italiano, che tanto gli deve.<br />

Alessandro Perna<br />

16 ORDINE 1 <strong>2004</strong>


«Non posso esimermi dal richiamare<br />

l’attenzione del Parlamento<br />

su altre parti della legge che -<br />

per quanto attiene al rispetto<br />

del pluralismo dell’informazione -<br />

appaiono non in linea con la<br />

giurisprudenza della Corte<br />

costituzionale»<br />

Il provvedimento, così com’è stata<br />

approvato, permette «la formazione<br />

di posizioni dominanti», impoverendo<br />

i giornali e arrecando così «grave<br />

pregiudizio» alla libertà di informazione<br />

Roma, 15 dicembre 2003. Il presidente della Repubblica<br />

Carlo Azeglio Ciampi ha rinviato alle Camere la legge Gasparri<br />

sul riordino del sistema radiotelevisivo chiedendone la modifica.<br />

Lo ha comunicato il presidente della Camera, Pier Ferdinando<br />

Casini, che ha letto in Aula le cinque cartelle di cui si<br />

compone il messaggio del Capo dello Stato con le motivazioni<br />

della sua decisione. La legge riparte ora da Montecitorio, ramo<br />

del Parlamento che l’ha esaminata per primo.<br />

PLURALISMO - «Non posso esimermi dal richiamare l’attenzione<br />

del Parlamento su altre parti della legge che - per<br />

quanto attiene al rispetto del pluralismo dell’informazione -<br />

appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale».<br />

È questo uno <strong>dei</strong> passaggi chiave del messaggio<br />

che il presidente della Repubblica ha inviato alle Camere per<br />

motivare il rinvio del ddl Gasparri. Le obiezioni sollevate da<br />

Ciampi sono molto puntuali. Non è possibile - sostiene in<br />

sostanza nelle motivazioni del rinvio - far slittare sine die il<br />

trasferimento sul satellite di Rete4 stabilito da una sentenza<br />

della Corte costituzionale. Ciampi riconosce che il digitale<br />

terrestre è destinato a modificare la situazione esistente,<br />

Signori parlamentari, in data 5 dicembre<br />

2003, mi è stata inviata per la promulgazione<br />

la legge: “Norme di principio in materia di<br />

assetto del sistema radiotelevisivo e della<br />

Rai- Radiotelevisione italiana Spa, nonchè<br />

delega al governo per l’emanazione del testo<br />

unico della radiotelevisione”, approvata alla<br />

Camera <strong>dei</strong> deputati il 3 aprile 2003, modificata<br />

dal Senato il 22 luglio 2003, nuovamente<br />

modificata dalla Camera <strong>dei</strong> deputati il 2<br />

ottobre 2003 e approvata in via definitiva dal<br />

Senato il 2 dicembre 2003.<br />

Il relativo disegno di legge era stato presentato<br />

dal governo alla Camera <strong>dei</strong> deputati il<br />

23 settembre 2002. Successivamente, il 20<br />

novembre 2002, era sopraggiunta la sentenza<br />

della Corte costituzionale n. 466, che<br />

dichiarava la illegittimità costituzionale<br />

dell’articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio<br />

1997, n. 249 (Istituzione della Autorità per le<br />

garanzie nelle comunicazioni e norme sui<br />

sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo),<br />

nella parte in cui non prevede la fissazione<br />

di un termine finale certo, e non prorogabile,<br />

che comunque non oltrepassi il 31<br />

dicembre 2003, entro il quale i programmi<br />

irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui<br />

al comma 6 dello stesso articolo 3, devono<br />

essere trasmessi esclusivamente via satellite<br />

o via cavo.<br />

La data del 31 dicembre 2003 era già stata<br />

indicata, come termine per la cessazione del<br />

regime transitorio di cui all’articolo 3, settimo<br />

comma, della legge n. 249 del 1997, dall’Autorità<br />

per le garanzie nelle comunicazioni<br />

(Deliberazione n. 346 del 7 agosto 2001).<br />

Detto articolo 3 rinvia ai limiti fissati dal sesto<br />

comma dell’articolo 2 della stessa legge n.<br />

249, laddove si stabilisce che ad uno stesso<br />

soggetto o a soggetti controllati o collegati<br />

non possono essere rilasciate concessioni<br />

né autorizzazioni che consentano di irradiare<br />

più del venti per cento rispettivamente<br />

delle reti televisive o radiofoniche analogiche<br />

e <strong>dei</strong> programmi televisivi o radiofonici<br />

numerici, in ambito nazionale, trasmessi su<br />

frequenze terrestri, sulla base del piano delle<br />

frequenze.<br />

La sentenza della Corte n. 466 del 20<br />

novembre 2002 muove dalla considerazione<br />

della situazione di fatto allora esistente che,<br />

a suo giudizio, non garantisce... l’attuazione<br />

del principio del pluralismo informativo esterno,<br />

che rappresenta uno degli ‘imperativi’<br />

ineludibili emergenti dalla giurisprudenza<br />

costituzionale in materia.<br />

Nell’ultima delle considerazioni in diritto, la<br />

Corte precisa che la presente decisione,<br />

concernente le trasmissioni televisive in<br />

ambito nazionale su frequenze terrestri<br />

analogiche, non pregiudica il diverso futuro<br />

assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

La “Gasparri” torna alle Camere<br />

Ciampi<br />

non firma<br />

la legge<br />

sulla<br />

riforma tv<br />

facendo superare le indicazioni della Consulta, ma questo<br />

mutamento - obietta - sarà possibile solo quando il digitale<br />

terrestre sarà una realtà e non un progetto futuro.<br />

PUBBLICITÀ - Ma anche la distribuzione delle risorse<br />

pubblicitarie allarma il Capo dello Stato: la legge Gasparri,<br />

così com’è stata approvata, permette «la formazione di posizioni<br />

dominanti», impoverendo i giornali e arrecando così<br />

«grave pregiudizio» alla libertà di informazione.<br />

Nel messaggio Ciampi chiede al Parlamento di eliminare dal<br />

testo della legge i riferimenti al decreto legislativo 198 sulle<br />

procedure di installazione delle infrastrutture delle tlc, già<br />

dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza<br />

303 del 2003. Allo stesso decreto - sottolinea Ciampi chiedendone<br />

la soppressione - fanno riferimento anche l’articolo<br />

5 e l’articolo 24 dello stesso disegno di legge. In sostanza,<br />

con la bocciatura del 198, i Comuni possono opporsi più efficacemente<br />

alla costruzione di nuovi impianti per le tlc.<br />

ITER - Il messaggio di Ciampi con le motivazioni, letto in Aula<br />

dal presidente Pier Ferdinando Casini, sarà assegnato, con<br />

il testo del provvedimento, alle commissioni competenti, in<br />

Il testo integrale<br />

del messaggio<br />

del Presidente<br />

della tecnica di trasmissione digitale terrestre,<br />

con conseguente aumento delle risorse<br />

tecniche disponibili.<br />

Dalla sentenza i cui contenuti essenziali<br />

sono stati richiamati dai presidenti delle<br />

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni<br />

e dell’Autorità garante della concorrenza e<br />

del mercato, nelle audizioni rese alle<br />

Commissioni riunite VII e IX della Camera<br />

<strong>dei</strong> deputati il 10 settembre 2003, discende<br />

pertanto che per poter considerate maturate<br />

le condizioni del diverso futuro assetto derivante<br />

dall’espansione della tecnica di<br />

trasmissione digitale terrestre e, quindi, per<br />

poter giudicare superabile il limite temporale<br />

fissato nel dispositivo, deve necessariamente<br />

ricorrere la condizione che sia intervenuto<br />

un effettivo arricchimento del pluralismo derivante<br />

da tale espansione.<br />

La legge a me inviata si fa carico di questo<br />

problema. Le norme che disciplinano l’aspetto<br />

sopra considerato sono contenute nell’articolo<br />

25, il cui primo comma stabilisce che,<br />

entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere<br />

rese attive reti televisive digitali terrestri<br />

ponendo, in particolare, a carico della<br />

società concessionaria del servizio pubblico<br />

(secondo comma) l’obbligo di predisporre<br />

impianti (blocchi di diffusione) che consentano<br />

il raggiungimento del cinquanta per cento<br />

della popolazione entro il primo gennaio<br />

<strong>2004</strong> e del settanta per cento entro il primo<br />

gennaio 2005.<br />

L’articolo 25, terzo comma, stabilisce inoltre<br />

che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,<br />

entro i 12 mesi successivi al 31 dicembre<br />

2003, svolge un esame della complessiva<br />

offerta <strong>dei</strong> programmi televisivi digitali<br />

terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di<br />

popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali<br />

terrestri; b) la presenza sul mercato di decoder<br />

a prezzi accessibili; c) l’effettiva offerta al<br />

pubblico su tali reti anche di programmi diversi<br />

da quelli diffusi dalle reti analogiche.<br />

Ciò premesso, ritengo di dover formulare<br />

alcune osservazioni in merito alla compatibilità<br />

di talune disposizioni della legge in<br />

esame con la sentenza n.466/2002 della<br />

Corte costituzionale.<br />

Una prima osservazione riguarda il termine<br />

massimo assegnato all’Autorità per effettua-<br />

re detto esame: “entro i dodici mesi successivi<br />

al 31 dicembre 2003” (articolo 25, terzo<br />

comma). Questo lasso di tempo - molto<br />

ampio rispetto alle presumibili occorrenze<br />

della verifica - si traduce, di fatto, in una<br />

proroga del termine finale indicato dalla<br />

Corte costituzionale.<br />

Una seconda osservazione concerne i poteri<br />

riconosciuti alla Autorità: questa, entro i<br />

trenta giorni successivi al completamento<br />

dell’accertamento, invia una relazione al<br />

Governo e alle competenti Commissioni<br />

parlamentari, nella quale verifica se sia intervenuto<br />

un effettivo ampliamento delle offerte<br />

disponibili e del pluralismo nel settore televisivo<br />

ed eventualmente formula proposte di<br />

interventi diretti a favorire l’ulteriore incremento<br />

dell’offerta di programmi televisivi<br />

digitali terrestri e dell’accesso ai medesimi<br />

(articolo 25, terzo comma). Ne deriva che, se<br />

l’Autorità dovesse accertare, entro il termine<br />

assegnatole, che le supposte condizioni<br />

(raggiungimento della prestabilita quota di<br />

popolazione da parte delle nuove reti digitali<br />

terrestri, presenza sul mercato di decoder a<br />

prezzi accessibili; effettiva offerta al pubblico<br />

su tali reti anche di programmi diversi da<br />

quelli diffusi dalle reti analogiche) non si<br />

sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza<br />

certa. La legge, infatti, non fornisce<br />

indicazioni in ordine al tipo e agli effetti <strong>dei</strong><br />

provvedimenti che dovrebbero seguire all’eventuale<br />

esito negativo dell’accertamento.<br />

Si consideri, inoltre, che il paragrafo 11,<br />

penultimo capoverso, delle considerazioni in<br />

diritto della sentenza n.466, recita: D’altro<br />

canto, la data del 31 dicembre 2003 offre<br />

margini temporali all’intervento del legislatore<br />

per determinare le modalità della definitiva<br />

cessazione del regime transitorio di cui al<br />

comma 7 dell’articolo 3 della legge n. 249<br />

del 1977. Ne consegue che il primo gennaio<br />

<strong>2004</strong> può essere considerato come il dies a<br />

quo non di un nuovo regime transitorio, ma<br />

dell’attuazione delle predette modalità di<br />

cessazione del regime medesimo, che devono<br />

essere determinate dal Parlamento entro<br />

il 31 dicembre 2003. Si rende, inoltre, necessario<br />

indicare il dies ad quem e, cioè, il<br />

termine di tale fase di attuazione.<br />

Tutto ciò detto in relazione alla compatibilità<br />

Dal Corriere<br />

della Sera<br />

di martedì<br />

16 dicembre.<br />

questo caso le commissioni Cultura e Trasporti, cui spetterà<br />

di riferire all’assemblea, al termine dell’istruttoria in sede referente.<br />

L’Aula «può» limitare la discussione alle parti che sono<br />

state oggetto del messaggio. Il provvedimento sarà votato in<br />

assemblea articolo per articolo. Infine il voto finale e il<br />

passaggio al Senato. Se le Camere approvano nuovamente<br />

la legge - recita il secondo comma dell’articolo 74 della Costituzione<br />

- questa deve essere promulgata.<br />

IL PREMIER - La decisione non ha colto di sorpresa il<br />

premier che era stato convocato nel pomeriggio al Quirinale<br />

dove aveva avuto un chiarimento con Ciampi. Non si aprirebbe<br />

un vulnus tra poteri dello Stato e richieste sensate di<br />

modifiche sarebbero accettate dal Parlamento, aveva<br />

commentato con i cronisti Silvio Berlusconi uscendo dalla<br />

Camera, dove più tardi ha avuto un colloquio anche con il<br />

presidente Pier Ferdinando Casini. Il presidente del Consiglio<br />

ha concluso: «Io non credo che sia nulla di eccezionale<br />

il rinvio della legge alle Camere, è già successo molte volte,<br />

dopo di che il capo dello Stato firmerà comunque la legge».<br />

(da www.corriere.it)<br />

delle succitate disposizioni della legge in<br />

esame con la sentenza n. 466 del 20 novembre<br />

2002, non posso esimermi dal richiamare<br />

l’attenzione del Parlamento su altre parti<br />

della legge che - per quanto attiene al rispetto<br />

del pluralismo dell’informazione - appaiono<br />

non il linea con la giurisprudenza della<br />

Corte costituzionale.<br />

Si consideri, a tale proposito, che la sentenza<br />

della Corte costituzionale n. 826 del 1988<br />

poneva come un imperativo la necessità di<br />

garantire “il massimo di pluralismo esterno,<br />

onde soddisfare, attraverso una pluralità di<br />

voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”.<br />

E ancora, nella sentenza n. 420 del<br />

1994, la stessa Corte sottolineava l’indispensabilità<br />

di un’idonea disciplina che prevenga<br />

la formazione di posizioni dominanti.<br />

Nell’ambito <strong>dei</strong> principi fissati dalla richiamata<br />

giurisprudenza della Corte costituzionale<br />

si è mosso il messaggio da me inviato alle<br />

Camere il 23 luglio 2002.<br />

Per quanto riguarda la concentrazione <strong>dei</strong><br />

mezzi finanziari, il Sistema integrato delle<br />

comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in<br />

esame come base di riferimento per il calcolo<br />

<strong>dei</strong> ricavi <strong>dei</strong> singoli operatori della comunicazione<br />

- potrebbe consentire, a causa<br />

della sua dimensione, a chi ne detenga il 20<br />

per cento (articolo 15, secondo comma, della<br />

legge) di disporre di strumenti di comunicazione<br />

in misura tale da dar luogo alla formazione<br />

di posizioni dominanti.<br />

Quanto al problema della raccolta pubblicitaria,<br />

si richiama la sentenza della Corte costituzionale<br />

n. 231 del 1985 che, riprendendo<br />

principi affermati in precedenti decisioni,<br />

richiede che sia evitato il pericolo che la<br />

radiotelevisione, inaridendo una tradizionale<br />

fonte di finanziamento della libera stampa,<br />

rechi grave pregiudizio ad una libertà che la<br />

Costituzione fa oggetto di energica tutela.<br />

Si rende, infine, indispensabile espungere<br />

dal testo della legge il comma 14 dell’articolo<br />

23, che rende applicabili alla realizzazione di<br />

reti digitali terrestri le disposizioni del decreto<br />

legislativo 4 settembre 2002, numero 198,<br />

del quale la Corte costituzionale ha dichiarato<br />

l’illegittimità costituzionale con la sentenza<br />

numero 303 del 25 settembre/1° ottobre<br />

2003. Per la stessa ragione, va soppresso il<br />

riferimento al predetto decreto legislativo<br />

dichiarato incostituzionale, contenuto nell’articolo<br />

5, primo comma, lettera l) e nell’articolo<br />

24, terzo comma.<br />

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo, alle<br />

Camere, a norma dell’articolo 74 primo<br />

comma, della Costituzione, una nuova deliberazione<br />

in ordine alla legge a me trasmessa<br />

il 5 dicembre 2003.<br />

(Roma, Palazzo del Quirinale,<br />

15 dicembre 2003)<br />

17 (25)


SOLIDARIETÀ<br />

Il pezzo che segue è di Roberto Zoldan<br />

e compare nel secondo numero<br />

del mensile VINCERE,<br />

un grande periodico a diffusione<br />

nazionale che racconta<br />

con consapevolezza e ottimismo<br />

il mondo dell’handicap.<br />

Pubblichiamo il servizio per il suo alto<br />

contenuto morale.<br />

VINCERE<br />

è diretto da Massimo Balletti<br />

Il 15 febbraio 1966 in una casa di contadini della Brianza, a<br />

pochi chilometri da Milano, si aspettava il lieto evento. Una<br />

giovane madre stava per dare alla luce una creatura nell’ospedale<br />

locale, gli auguri e i sogni che accompagnano l’arrivo<br />

della cicogna si rincorrevano nei dialoghi <strong>dei</strong> parenti e<br />

nella trepida attesa. Toccò al primario di ostetricia, poche<br />

ore dopo il parto, dire alla puerpera che le era nata una<br />

bambina con il corpicino deforme, forse con lesioni al sistema<br />

nervoso. Nelle settimane che seguirono la diagnosi fu<br />

confermata. I genitori caddero in un dolore cupo, si aggrapparono<br />

alla speranza ma i miglioramenti non vennero. La<br />

battezzarono col nome di Paola, la curarono con apprensione<br />

e amore. Mani e gambine rattrappite, la poppata difficile,<br />

gli occhi assenti, la piccola cresceva passando dalle<br />

braccia al lettino, inutile ogni cura specialistica, difficile l’assistenza.<br />

A 5 anni fu ricoverata all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano<br />

Boscone, in provincia di Milano, dall’altra parte della metropoli.<br />

Paola si trova qui dal 1971. Adagiata su un lettinocarrozzina<br />

accanto agli altri degenti del reparto Santa Teresina,<br />

offre il volto al visitatore, se le si parla sorride, tende il<br />

braccino che termina con una mano atrofizzata cercando<br />

solidarietà o contatto. Gli infermieri l’assistono, i medici intervengono<br />

per ogni complicanza. Viene svegliata, lavata, accudita,<br />

nutrita come gli altri 62 ospiti. Ogni giorno da 32 anni.<br />

Attorno suoni, giocattoli, ombre amiche. Non le manca niente,<br />

se non la vita che del resto nemmeno conosce. I genitori<br />

vengono a trovarla ogni due domeniche con fedeltà immutata:<br />

soltanto quando sono ammalati può accadere che la visita<br />

venga rinviata. Sono persone semplici, soprattutto la<br />

madre che trasmette a Paola un’intensa affettività: durante la<br />

visita le sta accanto, tenendole la mano e sorridendole e il<br />

sorriso che Paola offre a tutti è speculare al suo.<br />

La riflessione<br />

di Roberto Zoldan<br />

C’è un ordine<br />

in questa<br />

sofferenza?<br />

C’è un ordine in questa sofferenza? La fede<br />

suggerisce la lettura di un misterioso disegno<br />

divino, i mistici di ogni appartenenza<br />

danno spiegazioni criptiche alle miserie della<br />

condizione umana. Padre Pio, mistico cattolico<br />

della modernità che poteva leggere al di<br />

là della materia, disse: “del tappeto tessuto<br />

dal Signore vediamo soltanto la trama ruvida<br />

da sotto, sopra essa è luminosa e splendida<br />

di colori”.<br />

E il laico, privo di un proprio Libro, più umilmente<br />

si chiede: “se nell’universo tutto è<br />

giusto e perfetto, se Dio sovrintende alla vita<br />

di ogni creatura, dove risiede l’armonia che<br />

muove il dolore di Paola e <strong>dei</strong> suoi genitori,<br />

di Pietro e di Luisa?” Il dubbio è sempre nella<br />

sacca del viaggiatore. E nel vangelo di<br />

Matteo (5,2 – 12): … “beati voi che ora piangete<br />

perché riderete”. I saniasi, gli illuminati<br />

d’oriente buddisti e induisti, raccontano del<br />

karma samsara, la catena delle vite e delle<br />

morti, della reincarnazione di corpo in corpo<br />

che riequilibrerebbe antiche disarmonie,<br />

ristabilendo col dolore rinnovate felicità spirituali<br />

fino alla liberazione e al distacco eterno<br />

dalla materia. E nel Corano (4:57) “coloro<br />

che hanno creduto e operato per il bene<br />

presto li faremo entrare nei giardini dove<br />

scorrono ruscelli e in cui rimarranno immortali<br />

in perpetuo...”. Una visione del mistero<br />

della vita, se ci pensate, non contraddice l’altra.<br />

Non si può operare per il bene se non c’è<br />

il male, ombra del bene, per la gioia se non<br />

c’è il dolore. E noi non siamo il nostro corpo,<br />

la nostra intima essenza è spirituale, così<br />

come l’Universo, se si può dire, è il corpo di<br />

Dio. E come farlo sapere ai disabili gravi che<br />

essi non sono il loro corpo?<br />

Bagliori<br />

nelle<br />

tenebre<br />

Al piano di sopra tra i gravi c’è una ragazza cerebrolesa,<br />

Luisa, adagiata su una poltroncina-seggiolone, gli occhi<br />

spesso bassi, il volto muto, il corpo piegato. Non comunica.<br />

Riceve ogni giorno la visita di Pietro, 40 anni, autistico, arrivato<br />

qui dalla Liguria nel 1983, la personalità irreparabilmente<br />

ferita da trauma da abbandono. La madre non lo riconobbe<br />

e lo affidò a un istituto. Da quando è ricoverato Pietro<br />

cerca qualcuno che gli dia affetto. Anni fa correva ogni giorno<br />

accanto a una coppia in visita al figlio degente e i due gli<br />

erano diventati amici. Una compensazione affettiva simile a<br />

quella che oggi lui rinnova facendo visita ogni giorno a Luisa.<br />

Sta in piedi accanto a lei, ben vestito, controllato, dialoga col<br />

L’Istituto Sacra Famiglia, alle porte di Milano, ha più di cent’anni<br />

La lunga storia dell’istituto.<br />

Osare la speranza! Curare fino a ...?<br />

Interrogativi sul futuro<br />

Quando fu fondato dava un tetto, un letto, pasti regolari e assistenza a un drappello di<br />

30 derelitti, storpi, ciechi, scemi, scaricati dalle famiglie, ignorati dalla pubblica assistenza,<br />

costretti a mendicare per sopravvivere, quasi a vegetare. Ora accoglie lungodegenti<br />

e malati con deformazioni accentuate, incapacità locomotorie e forte ritardo<br />

mentale. Una gamma sottile di sofferenze si snoda tra terapie e diagnosi, tentativi di<br />

recupero e ineluttabili abbandoni. Dal buio dell’incoscienza alla speranza, ai dialoghi<br />

muti segnati dalla carità e dall’amore.<br />

L’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone,<br />

alle porte di Milano, ha più di cent’anni<br />

di storia. Fondato nel 1896 per gli incurabili<br />

di campagna da don Domenico Pogliani,<br />

parroco del paese, “regalava un tetto, un<br />

letto, pasti regolari e assistenza a un drappello<br />

di 30 derelitti, storpi, ciechi, scemi,<br />

scaricati dalle famiglie, ignorati dalla pubblica<br />

assistenza, costretti a mendicare per<br />

sopravvivere, quasi a vegetare”, racconta<br />

la biografia del prete.<br />

L’Italia povera e contadina di fine ‘800<br />

contava un analfabeta su due e i cattolici<br />

erano in difficoltà dopo la legge voluta dal<br />

governo liberale di Crispi del 1890 che<br />

laicizzava l’assistenza, anche se lo Stato<br />

lasciò ai privati l’istruzione <strong>dei</strong> minori anormali<br />

fino alla riforma Gentile del 1923.<br />

Don Pogliani non respingeva nessuno e in<br />

pochi mesi i letti raddoppiarono: chiamò<br />

volontari e suore alle quali assegnò un<br />

emolumento che oggi sarebbe di 300 euro<br />

l’anno, vitto e alloggio gratis. Schierati dalla<br />

parte degli ultimi, i volontari posero le basi<br />

di una cattedrale di beneficenza. Nel 1921<br />

gli successe don Luigi Moneta che visse gli<br />

anni della prima espansione tra le due<br />

guerre e segnò quella più frenetica dopo il<br />

1950: darà il nome alla fondazione che ora<br />

sovrintende all’intero istituto e dal 1980<br />

promuove per la diocesi progetti e servizi<br />

sociali. Un padiglione ogni anno, si proponeva.<br />

Ampliò reparti, palestre rieducative e<br />

scuole professionali.<br />

Nel 1940 la Sacra Famiglia contava 3000<br />

ricoverati in 25 padiglioni. Quando Luigi<br />

Moneta, diventato monsignore, morì nel<br />

1955 ne aveva 3500. Sono occupati ora<br />

824 posti letto, distribuiti in più palazzine,<br />

la più antica delle quali è sede della Casa<br />

di cura ambrosiana, una clinica per esterni<br />

e per i degenti in aggravamento. L’istituto<br />

assiste in forma diurna 234 ammalati e altri<br />

a domicilio.<br />

Attorno, un complesso sociosanitario per<br />

disabili tra i più qualificati d’Italia, ormai<br />

ingoiato dalla megalopoli che si espande<br />

verso ovest, ai margini delle risaie di un<br />

tempo. L’istituto è specializzato nella lunga<br />

degenza, nell’assistenza ai disabili gravi<br />

come agli autosufficienti, agli anziani come<br />

a chi giace in un lettino da quando è venuto<br />

alla luce. Entre privato onlus dal 1997,<br />

bilancio di 65 milioni di euro, 1600 dipendenti<br />

e collaboratori: ausiliari socioassistenziali,<br />

infermieri, educatori, terapisti<br />

della riabilitazione, medici e psicologi,<br />

personale addetto ai servizi amministrativi,<br />

suo silenzio vigile. Luisa è per lui il simulacro di un’affettività<br />

mancata.<br />

Un giorno segnalò agli infermieri che la ragazza stava male,<br />

loro non se n’erano accorti, lui ne fu orgoglioso. Qualche<br />

volta una benefattrice, diventata sua tutrice, lo porta fuori,<br />

anche in pellegrinaggio fino a Roma, d’estate lo ospita in<br />

vacanza. Quando Pietro esce il suo disagio diminuisce. Gli<br />

assistenti gli affidano piccoli compiti, gli fanno stendere la<br />

biancheria, portare oggetti da un reparto all’altro. E lui si<br />

sente uomo. Come le decine di meno gravi che camminano<br />

nei viali dell’istituto, ogni incontro un saluto per sentirsi vivi e<br />

considerati. E il saluto parte sempre da loro.<br />

generali e alberghieri, quadri e dirigenti.<br />

Filiali a Fagnano di Gaggiano, Abbiategrasso,<br />

Andora (Savona), Cocquio (Varese),<br />

Regoledo di Perledo (Lecco), Verbania.<br />

Qui si fanno convegni di livello, come quello<br />

del 14 giugno scorso dal titolo Osare la<br />

speranza: curare fino a…?, indetto per l’Anno<br />

europeo delle persone disabili. Tema:<br />

c’è una via tra abbandono del paziente<br />

(terminale, costretto alla dipendenza senza<br />

fine, al limite della vita) e accanimento terapeutico?<br />

C’erano a discuterne tra gli altri il ministro<br />

della Sanità Sirchia, il presidente del Comitato<br />

nazionale per la bioetica D’Agostino, il<br />

direttore dell’Istituto di bioetica dell’università<br />

cattolica di Roma Carrasco de Paula e<br />

l’arcivescovo di Milano Tettamanzi. Con alte<br />

implicazioni scientifiche e morali la cui<br />

sintesi era: fino a che punto la solidarietà<br />

umana e la medicina hanno diritto di operare<br />

per la conservazione in vita di pazienti<br />

costretti a volte a una pulsione soltanto<br />

vegetativa?<br />

18 (26) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


L’infermiere Pino<br />

De Caro chinato<br />

su una degente.<br />

Il dialogo con<br />

i pazienti più gravi<br />

è affidato<br />

alla sensibilità<br />

e all’intuizione<br />

<strong>dei</strong> terapeuti.<br />

Savino Lorusso, caposala,<br />

infermiere professionale:<br />

«Ogni rapporto con i disabili<br />

gravi è consolidato<br />

dall’intuizione al di là<br />

della terapia».<br />

Il dottor Carlo Viscardi,<br />

responsabile di gestione <strong>dei</strong><br />

cinque reparti che<br />

ospitano i pazienti più gravi.<br />

Interno di un reparto<br />

dell’Istituto Sacra Famiglia.<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

Viaggio nei reparti del dolore, dove un sorriso<br />

e una carezza valgono una terapia<br />

Il breve viaggio che proponiamo al lettore<br />

all’interno di questa realtà non darà la risposta,<br />

del resto soltanto tratteggiata dai relatori.<br />

Vi racconteremo più umilmente le virtù<br />

nobili <strong>dei</strong> terapeuti e <strong>dei</strong> pazienti, quando<br />

riescono ad accendere nei corpi alla deriva<br />

un bagliore di disponibilità e possono vincere<br />

la disperazione facendo intravvedere un<br />

piccolo traguardo di luce. Carlo Viscardi, 57<br />

anni, è responsabile di gestione <strong>dei</strong> cinque<br />

reparti che ospitano i pazienti più gravi, quelli<br />

con deformazioni accentuate, incapacità<br />

locomotorie e forte ritardo mentale. Cinque<br />

luoghi di carità e dolore nei quali una gamma<br />

sottile di sofferenze si snoda tra terapie e<br />

diagnosi, tentativi di recupero e ineluttabili<br />

abbandoni. Dal buio dell’incoscienza ai lievi<br />

bagliori del dialogo. Il Santa Teresina ha 63<br />

degenti affetti da forti disturbi neuromotori e<br />

gravi problemi di nutrizione alla quale si<br />

sopperisce con la peg (percutaneus endoscopic<br />

gastrostomy), un meccanismo che<br />

porta cibo semiliquido allo stomaco attraverso<br />

una cannuccia. Se il paziente impara a<br />

deglutire la peg può essere tolta: la speranza<br />

di rieducarlo alla nutrizione non muore<br />

mai. Qui c’è anche chi in una vita intera non<br />

si è mosso dal letto, come molti <strong>dei</strong> 60<br />

degenti del reparto Santi Innocenti 1. Simili e<br />

altrettanto gravi sono gli handicap <strong>dei</strong> 66<br />

ricoverati al Santa Rita. Il Santi Innocenti 2<br />

ospita gli autistici (ripiegamento introverso<br />

della personalità) e coloro che hanno ritardi<br />

mentali gravi manifestatisi nei primi anni di<br />

vita. Le rianimazioni oggi salvano molti traumatizzati<br />

ma chi si salva può essere costretto<br />

per sempre all’immobilità.<br />

Se il dolore ha una scala di lettura accettabile,<br />

le malattie degenerative come la sclerosi<br />

multipla e le polipatologie appaiono al secondo<br />

gradino di gravità e trovano ospitalità in<br />

reparti meno numerosi. Al Sant’Agnese ci<br />

sono 19 ospiti alcuni <strong>dei</strong> quali in coma in<br />

seguito a ictus, traumi cranici, complicazioni<br />

cerebrali postoperatorie. Qui la solidarietà<br />

<strong>dei</strong> parenti è ancora viva, le visite sono<br />

frequenti e anche quotidiane. Il paziente non<br />

è caduto nell’oblio, è ancora uno di casa,<br />

ricoverato con la speranza che un giorno ce<br />

la faccia a tornar fuori.<br />

Ogni degente<br />

è un caso<br />

irripetibile...<br />

Il dottor Viscardi entrò all’Istituto Sacra Famiglia<br />

a vent’anni. Era studente universitario,<br />

aveva attitudini all’assistenza e gli affidarono<br />

il recupero <strong>dei</strong> ragazzi disadattati, vittime<br />

dell’immigrazione selvaggia e del disagio<br />

delle periferie. Soggetti ora meno numerosi<br />

e assistiti dalle istituzioni parascolastiche.<br />

Laureatosi, qui si è costruito la carriera.<br />

Conosce bene il lavoro di base, quello degli<br />

ausiliari socioassistenziali ai quali ricorda<br />

sempre che quando curano quest’umanità<br />

sofferente, fanno il bagno ai paraplegici o<br />

imboccano i disfasici, i pazienti che non<br />

vogliono o non sono in grado di nutrirsi, stanno<br />

dialogando, anche in modo indiretto, con<br />

esseri umani, cioè con creature detentrici di<br />

dignità. Ogni degente un caso irripetibile,<br />

nella malattia e nella terapia.<br />

... Mario,<br />

rifiutato<br />

dalla morte<br />

Come quello di Mario, 24 anni, ricoverato per<br />

esito da trauma cranico in seguito a tentato<br />

suicidio. Arrivava dall’ospedale che gli aveva<br />

prestato le prime cure. Una vita di depressioni<br />

e dolori l’aveva spinto a cercare la morte:<br />

si sentiva solo e prigioniero di un labirinto.<br />

Uscito da un lungo coma in semiparesi, rifiutava<br />

il cibo, aveva difficoltà a deglutire e non<br />

poteva esprimersi. Dopo mesi di buio, negli<br />

occhi riapparve la malinconia lontana che<br />

aveva accompagnato la sua intera esistenza,<br />

lo stupore immoto per essere ancora di<br />

qua. Era nutrito meccanicamente. I medici<br />

avevano fatto il possibile con sollecitazioni,<br />

inviti a esprimersi, terapie accurate. Giorno<br />

dopo giorno ci si aspettava un segnale di<br />

vitalità. La morte l’aveva rifiutato ma la vita,<br />

per lui, era al di là di una barriera insormontabile.<br />

Mario non voleva fare il primo passo<br />

verso la luce, aspettava che qualcuno o qualcosa<br />

lo riportasse nel gorgo nero della fine.<br />

Fu affidato a Emanuela Faroldi, educatrice<br />

dal 1983. Giorno dopo giorno le parole tentavano<br />

di far breccia nell’abulia del giovane<br />

che mandava all’infermiera muti segnali di<br />

ostilità. Mario riuscì a strapparsi la peg, il<br />

meccanismo che porta cibo allo stomaco,<br />

voleva farla finita con quel calvario. Emanuela<br />

e la dottoressa Cinzia Rognoni decisero di<br />

intersificare i colloqui: parole sussurrate con<br />

voce calma, inviti ad aprire il cuore alla<br />

speranza. Carezze affettuose, forse le prime<br />

di una vita senz’amore. Un giorno di luglio,<br />

fuori il caldo infernale, Mario rispose. Dapprima<br />

con gli occhi: accettò di incontrare quelli<br />

dell’infermiera. Poi con un sorriso. Dopo due<br />

settimane deglutì il primo boccone. Non<br />

riusciva a parlare ma mosse le mani, a fatica,<br />

impugnando la matita che Emanuela gli<br />

porgeva. Ed ecco la risalita, lenta e costante<br />

fino all’autoalimentazione e ai messaggi<br />

scritti su fogli a quadretti, frammenti di brevi<br />

dialoghi nei quali Mario annota in segni<br />

incerti il suo diario quotidiano fatto di poche<br />

sillabe. Ma riesce a raccontare la sua condizione,<br />

scrive <strong>dei</strong> sogni, quando ci sono, e<br />

degli incubi ancora presenti. Come quello di<br />

un démone che qualche notte gli ricorda<br />

quanto lui sia brutto, indegno di vivere,<br />

condannato alla disperazione, ultima eco<br />

schizofrenica di un passato che sta sfumando.<br />

Emanuela interpreta ogni giorno i tracciati<br />

incerti della matita di Mario. La richiesta<br />

di un bicchiere d’acqua è una conquista, un<br />

sorriso è la speranza. La proiezione verso la<br />

vita una vittoria.<br />

...la ragazza<br />

psicopatica rifiutata<br />

dal padre<br />

La follia a volte s’insinua nella malattia fisica<br />

e il tormento diventa più grande e cupo. A<br />

Enrica, psicologa educatrice, fu assegnata<br />

un giorno una ragazza psicotica che<br />

frequentava il day hospital, 30 anni, inavvicinabile.<br />

Era aggressiva, non riusciva a stabilire<br />

rapporti, il padre l’aveva rifiutata. Dopo<br />

quattro anni di incontri quotidiani la poveretta<br />

si lasciò andare e accettò le attenzioni<br />

dell’infermiera, cominciò a risalire la china, in<br />

seguito socializzò con l’intero reparto. Enrica<br />

era l’unico essere umano al quale aveva<br />

dato fiducia. La ragazza si trasferì in Sicilia e<br />

quell’amicizia tormentata lasciò un segno:<br />

Enrica la ricorda ancora con tenerezza.<br />

Giusy, trent’anni,<br />

muore tra le<br />

braccia di Savino<br />

Il dialogo con un cerebroleso è difficile, legato<br />

a meccanismi imponderabili. Savino<br />

Lorusso, 38 anni, è caposala infermiere<br />

professionale dal 1987. Dice: “Ogni rapporto<br />

con i disabili gravi è consolidato dall’intuizione<br />

al di là della terapia. Quasi sempre il<br />

malato non dialoga e bisogna capire quali<br />

suggestioni lo possono togliere dall’abulia:<br />

una sollecitazione, una parola amica, la<br />

capacità di entrare nella sua anima. È l’unica<br />

strada per stabile un’intesa”. Il paziente<br />

diventa per il terapeuta una persona cara, a<br />

volte oggetto di un transfert affettivo. Giusy<br />

aveva 33 anni, metà passati immobile in un<br />

letto della Sacra Famiglia. Condizioni generali<br />

gravissime, un giorno ebbe un episodio<br />

di abingestis (il cibo di traverso la soffocava).<br />

La portarono alla rianimazione del Policlinico<br />

di Milano e Savino si mise al suo fianco<br />

sull’ambulanza: la conosceva bene, la<br />

sua presenza poteva essere utile. Stette<br />

accanto ai medici per ore sperando di<br />

salvarla. Nell’équipe del Policlinico c’era una<br />

dottoressa che si prodigò per tutto il giorno<br />

attorno alla malata.<br />

Alle 20 la ragazza spirò. Savino, colpito da<br />

quello zelo e da quell’emozione, chiese alla<br />

donna il perché di tanto impegno. “Ho una<br />

sorella come lei”, si sentì rispondere.<br />

Luciana Cimarelli è direttore medico <strong>dei</strong><br />

reparti <strong>dei</strong> disabili da tre anni. È alla Sacra<br />

Famiglia dal 1979, quando si pagava l’università<br />

assistendo gli anziani. Laureatasi con<br />

la specializzazione in geriatria, decise di<br />

rimanere. “Io sono soltanto la punta di quel<br />

grande iceberg che è il nostro complesso<br />

lavoro di équipe”, dice. “Ogni reparto è guidato<br />

da medici qualificati. Non c’è gerarchia, ci<br />

si consulta e ci si aiuta”. I colleghi che facevano<br />

carriera fuori nei primi anni le parlavano<br />

con sufficienza, sotteso l’amaro interrogativo:<br />

che medico è mai quello che sa di<br />

non poter guarire? “Sono felice della mia<br />

scelta”, commenta. “Rimasi qui certa che la<br />

medicina dovesse anche dare conforto al<br />

cammino <strong>dei</strong> disabili gravi. Alcuni vanno<br />

verso la fine lentamente, bisogna accompagnarli<br />

all’ultimo traguardo salvandone la<br />

dignità nel dolore”.<br />

Giovanni,<br />

il disastro<br />

di un cuore nuovo<br />

Ma ci sono anche casi di ripresa imprevedibile.<br />

Giovanni, 65 anni, per tutta la vita non è<br />

stato fortunato con la salute. Soffriva di gravi<br />

cadiopatie e arrivò qui nell’aprile 2002 dopo<br />

il trapianto di cuore subito a Pavia. Un disastro.<br />

Le complicanze postoperatorie lo<br />

avevano gettato in uno stato vegetativo<br />

permanente, non dava segni di vitalità.<br />

Quanto sarebbe durato in quelle condizioni?<br />

Una mattina del gennaio scorso l’infermiere<br />

di turno notò che rispondeva per la prima<br />

volta alle sollecitazioni. Dopo qualche giorno<br />

Giovanni spalancò gli occhi, sorrise al caposala<br />

del quale per mesi aveva sentito la voce<br />

in stato di incoscienza, si tolse il sondino e<br />

cominciò a essere alimentato per bocca. Ora<br />

vuole essere accudito soltanto da quell’infermiere,<br />

rifiuta gli altri. È clinicamente stabile,<br />

non parla ancora ma è stato rieducato all’autoalimetazione.<br />

Avrà Giovanni il tempo biologico<br />

per rimettersi in piedi e tornare a casa<br />

in buone condizioni?<br />

Antonio guarda<br />

le foglie gialle<br />

che cadono<br />

Antonio venne alla luce nel 1959. Era per i<br />

genitori il bimbo tanto atteso, ma il corpo<br />

apparve presto legato nei movimenti, la locuzione<br />

ritardata. Manifestò dopo qualche<br />

tempo un’insufficienza mentale media. La<br />

diagnosi gettò la madre nella disperazione,<br />

poi la donna si riprese e accettò quella sua<br />

creatura con amore assoluto. Il padre osservava<br />

nella penombra del vivere quotidiano la<br />

pena di quel figliolo sfortunato. Lo sguardo<br />

del piccolo cercava interlocutori, le carezze<br />

gli davano gioia, lo si capiva dai balbettii che<br />

sembravano borborigmi. Giorno dopo giorno<br />

la ritualità metodica sorretta dall’affetto: il<br />

lettino, l’imboccamento, la pulizia, il sonno. E<br />

spesso la visita del neurologo. Antonio è<br />

vissuto in casa frequentando il centro diurno<br />

della Sacra Famiglia fino al 1992 allorché la<br />

mamma, ormai vedova e ammalata, non fu<br />

più in grado di accudirlo. Antonio entrò in istituto<br />

in forma residenziale.<br />

È il più presente del reparto, gli occhi neri e<br />

vivi, il volto si accende di fronte al visitatore, è<br />

seduto al centro della stanza, trattenuto dai<br />

sostegni della carrozzina. Il televisore acceso<br />

sullo sfondo emette suoni e musica rassicuranti<br />

per tutti. Alle pareti i disegni colorati dalla<br />

scolaresca assente, ordinata e muta sotto gli<br />

occhi vigili degli assistenti. Attorno tante deformità,<br />

un casco a gabbia difende una ragazza<br />

dalle cadute prodotte da epilessia grave.<br />

Nessuno vede al di là delle finestre le prime<br />

foglie gialle che cadono dagli alberi.<br />

Due volte la settimana la madre viene a far<br />

visita ad Antonio per qualche ora, puntuale da<br />

undici anni, si affaccia il pomeriggio alla porta.<br />

Lui ne percepisce la voce, il volto gli si accende,<br />

il corpo vibra in un dialogo fatto di intese,<br />

pause del respiro, lunghi accorati silenzi. Antonio<br />

e sua madre, vicini, celebrano la loro vittoria<br />

sul dolore stringendosi le mani in un<br />

bagliore di affetto che squarcia le tenebre.<br />

Roberto Zoldan<br />

19 (27)


GIORNALI STORICI<br />

Era difficile esercitare<br />

il mestiere di scrivere<br />

nella seconda metà<br />

dell’Ottocento<br />

di Enzo Magrì<br />

La prima riunione <strong>dei</strong> cronisti milanesi si<br />

tenne nel 1877, in un pomeriggio di luglio. Fu<br />

convocata da Francesco Giarelli, redattore<br />

capo della Ragione (un giornale radicale che<br />

aveva la redazione in via San Pietro all’Orto<br />

16), nella Fiaschetteria Toscana di Aurelio<br />

Franzetti. All’ordine del giorno non c’erano<br />

temi di carattere sindacale, bensì un problema<br />

di marcata rilevanza sociale: l’atteggiamento<br />

che i giornalisti avrebbero dovuto<br />

tenere di fronte al crescente fenomeno <strong>dei</strong><br />

suicidi.<br />

Alla fine di giugno di quell’anno, i dati statistici<br />

del comune di Milano avevano messo in<br />

rilievo che nel primo semestre c’era stato un<br />

chiaro aumento del numero <strong>dei</strong> suicidi e <strong>dei</strong><br />

tentativi di suicidio in città e nella provincia.<br />

Alcuni medici, e tra questi il professor Gaetano<br />

Pini, avevano messo quella lievitazione in<br />

relazione con l’eccessiva sottolineatura che<br />

la cronaca dava alle informazioni intorno a<br />

coloro che avevano deciso di finirla con la<br />

vita. Come oggi si dà la colpa ai mass media<br />

per la recrudescenza di alcuni eventi criminali<br />

(comparsa di serial killer, delitti a sfondo<br />

sessuale, rapine e cosi via), accusandoli di<br />

offrire spunti a psicolabili e a criminali per<br />

commettere certe nefandezze, cosi allora<br />

parecchi sanitari ritenevano che “la frequenza<br />

<strong>dei</strong> suicidi fosse il portato di un fenomeno<br />

di suggestione”. Erano convinti che gli insani<br />

gesti sarebbero diminuiti se la stampa quotidiana<br />

si fosse risolta a sopprimere le notizie<br />

riguardanti quei tragici avvenimenti in quanto<br />

la pubblicità, “quella offerta con lusso di particolari”,<br />

fosse fatta apposta per sviluppare un<br />

pericoloso spirito di imitazione. Gli scienziati<br />

citavano casi nei quali dopo un clamoroso<br />

suicidio, esposto, lumeggiato e particolareggiato<br />

dai giornali “a pascolo della pubblica<br />

curiosità” spessissimo ne seguiva un altro<br />

che era la perfetta riproduzione, o quasi, del<br />

primo.<br />

Nella Milano del 1877<br />

si pubblicavano dieci giornali<br />

Per una settimana circa la questione aveva<br />

occupato largo spazio nei fogli cittadini.<br />

Alcuni di questi si erano schierati a favore<br />

dell’enunciato degli scienziati. Altri l’avevano<br />

contrastato accusando i medici d’inutile<br />

allarmismo. Per mettere a confronto le due<br />

tesi, Giarelli organizza quella che oggi si<br />

chiama una tavola rotonda fra i suoi colleghi.<br />

Nel 1877 a Milano si pubblicavano dieci<br />

giornali. Il più diffuso era Il Secolo (quasi 30<br />

mila copie di vendita), nato il 5 maggio del<br />

1866, con sede in via Pasquirolo. Seguivano:<br />

Il Pungolo, che nella sottotestata recava<br />

la scritta “giornale politico popolare”, La<br />

Perseveranza, conservatore, organo della<br />

classe dirigente cittadina; Il Corriere della<br />

Sera, coeditore proprietario, Eugenio Torelli<br />

Viollier; La Ragione, diretto da Felice Cavallotti;<br />

La Lombardia, periodico affidato alla<br />

direzione di Emilio Broglio; l’Unione, quotidiano<br />

della sinistra che appoggiava Depretis;<br />

Il Sole, organo politico economico<br />

fondato da aderenti al partito radicale; l’Osservatore<br />

Cattolico, foglio politico religioso<br />

diretto da don Davide Albertario, e, infine<br />

Lo Spettatore, di orientamento clerico-liberale.<br />

All’invito di Francesco Giarelli rispondono<br />

Daniele Rubbi, cronista della La Perseveranza,<br />

Luigi Perelli della Lombardia, Luigi Della<br />

Beffa del Sole, Vincenzo Broglio e Leopoldo<br />

Bignami del Pungolo, Luigi Menghini e<br />

Raffaello Barbiera del Corriere della Sera,<br />

Pietro Carboni dell’Unione, Lorenzo Lertora<br />

dell’Osservatore Cattolico ed Aristide<br />

Pecchio Ghiringhelli dello Spettatore.<br />

La riunione fu disertata dal rappresentante<br />

del Secolo con una “comunicazione motiva-<br />

La prima riunione di cronisti a Milano.<br />

Quattro informatori per le notizie di bianca e di nera. Collaboratori pagati in natura.<br />

L’insostituibile figura del dottor Forbice.<br />

Gli austriaci anticipano d’un secolo l’invenzione della regola delle cinque W.<br />

Il giornalismo americano e quello milanese.<br />

Scrivere un articolo era come pronunziare un’arringa.<br />

Quando i giornalisti<br />

facevano i commessi<br />

Il manifesto<br />

pubblicitario<br />

de Il Secolo<br />

del 5 maggio<br />

1866<br />

e in basso<br />

il manifesto<br />

per il lancio<br />

de Il Giorno<br />

del 1956.<br />

I due giornali<br />

più innovativi<br />

della storia<br />

del<br />

giornalismo<br />

italiano<br />

scelsero<br />

lo stesso<br />

tema<br />

di lancio<br />

a novant’anni<br />

di distanza.<br />

Il Secolo,<br />

con una<br />

donna<br />

che apre<br />

la finestra<br />

su Milano,<br />

Il Giorno,<br />

nell’illustrazione<br />

di Raymond<br />

Savignac,<br />

con un<br />

omino che la<br />

spalanca<br />

sul mondo.<br />

ta”. Per dare un formale aspetto d’assemblea<br />

a quel meeting (il quale, per la presenza <strong>dei</strong><br />

fiaschi sui tavoli avrebbe potuto essere<br />

confuso per una rimpatriata fra amici), sono<br />

nominati un presidente (Vincenzo Broglio) e<br />

un segretario (Raffaello Barbiera). La serietà<br />

dell’impegno che tutti vogliono profondere<br />

nella trattazione del tema, traspare sin dalle<br />

prime battute del dibattito anche se contemporaneamente<br />

emerge lo spirito di corpo<br />

della categoria usa a pensare “più che con la<br />

testa con la testata”. L’antifona si coglie alle<br />

prime battute quando i due rappresentanti<br />

<strong>dei</strong> giornali confessionali pongono pregiudiziali<br />

di tenore opposto. Lorenzo Lertora informa<br />

(“mellifluamente” sottolinea Giarelli) gli<br />

astanti che si è presentato per puro spirito di<br />

solidarietà e di fraternità giornalistica. Spiega:<br />

“Il suicidio, cari colleghi, è, secondo l’Osservatore<br />

Cattolico, un delitto come un altro<br />

e si deve narrare: e state certi che, per la loro<br />

fede cattolica, i lettori dell’Osservatore certamente<br />

non imiteranno”. Gli fa eco Aristide<br />

Pecchio Ghiringhelli dello Spettatore il quale<br />

sostiene che anch’egli è venuto per non<br />

guastare l’armonia fraterna di quella prima<br />

adunanza. Ma ammonisce: “Tenete bene a<br />

mente che qualunque conclusione dovesse<br />

prendere quest’assemblea, essa sarà irrilevante<br />

per il mio giornale il quale come non<br />

pubblicò prima alcuna notizia sui suicidi e sui<br />

tentativi di suicidio così non ne pubblicherà<br />

in futuro”.<br />

Francesco Giarelli ricorda che dopo quel<br />

“saggio armonico”, la discussione si fece<br />

“ardente e generale”. “Si torturarono la Filosofia,<br />

la Statistica, la Demografia, la Medicina<br />

in pro e contrariamente alla tesi”. Ci fu chi<br />

sostenne essere la minuta descrizione <strong>dei</strong><br />

suicidi una remora e non un incitamento alla<br />

imitazione. E chi propugnò l’opinione opposta.<br />

La discussione durò, serrata, animata,<br />

un paio d’ore. Esaurite tutte le documentazioni<br />

(“e i fiaschi di Chianti”) fu adottato un<br />

ordine del giorno proposto da Giarelli e da<br />

Perelli. Il documento è una breve antologia di<br />

motivazioni adottate per non prendere alcuna<br />

decisione. Intanto, assumendo a pretesto<br />

l’assenza “volontaria e pretestuosa” del<br />

Secolo si decise di continuare la pubblicazione<br />

delle notizie <strong>dei</strong> suicidi. Tutti assunsero<br />

“l’obbligo di scrivere sull’argomento in modo<br />

che mentre si rispettano le convenzioni<br />

sociali, si tutelino il segreto e la dignità della<br />

famiglia”. Contemporaneamente, fu nominata<br />

la “solita commissione incaricata di studiare<br />

la questione e di riferire in una seduta<br />

successiva”.<br />

Di questa struttura furono chiamati a far parte<br />

Broglio, Rubbi, Giarelli e Perelli. I quattro non<br />

vennero a capo di niente. Lascio ancora la<br />

parola a Giarelli: “Si capì subito che il sentimentalismo<br />

di chi voleva la soppressione<br />

delle notizie sui suicidi aveva dato nelle<br />

secche della pratica. La commissione non<br />

aveva dinanzi a sé che un obiettivo affatto<br />

platonico. Non se ne sarebbe fatto più nulla.<br />

Né la cosa poteva differentemente succedere,<br />

dal momento che all’adunanza non aveva<br />

voluto dare adesione Il Secolo, la cui diffusione<br />

superava allora quella di tutti gli altri<br />

giornali milanesi presi assieme. Se quindi<br />

avessimo approvata la soppressione delle<br />

notizie <strong>dei</strong> suicidi, Il Secolo non si sarebbe<br />

minimamente tenuto vincolato a risoluzioni<br />

cui non aveva partecipato; e ci saremmo<br />

trovati perciò di fronte al pubblico in un’inferiorità<br />

informativa incalcolabile, data la<br />

pubblicità che il giornale avrebbe concesso<br />

ai suicidi e ai tentativi di suicidio, che volevansi<br />

sopprimere nel notiziario cittadino”.<br />

La riunione nella Fiaschetteria Toscana non<br />

fu inutile. Approfittando di quella prima, sia<br />

pure infruttuosa, assemblea fra cronisti milanesi,<br />

il promotore “pronunciò un appropriato<br />

discorsetto in cui mostrava il supremo bisogno<br />

<strong>dei</strong> giornalisti di stringersi gli uni agli altri<br />

coi vincoli della vicendevole assistenza e del<br />

mutuo soccorso”. Presentò un ordine del<br />

giorno che fu approvato all’unanimità. Riconosciuta<br />

la necessità di un’associazione solidaristica<br />

fra i redattori <strong>dei</strong> giornali quotidiani,<br />

i presenti deliberarono di dare mandato ad<br />

una speciale commissione “per istudiare la<br />

questione e prendere le misure opportune<br />

mettendosi in comunicazione coll’identica<br />

associazione che si sta costituendo a Roma”.<br />

Un’«orgia cartacea» seguita<br />

alla cacciata degli austriaci<br />

Individualisti come quelli d’oggi (nonostante<br />

l’esistenza d’un’organizzazione sindacale<br />

nazionale e locale), i redattori di allora ubbidivano<br />

alla legge della concorrenza che<br />

contrapponeva fra loro i fogli nei quali militavano.<br />

Le testate che uscivano a Milano a<br />

ridosso degli anni Ottanta erano il risultato<br />

dell’energica selezione che aveva subito la<br />

stampa dopo la fioritura di numerose iniziative<br />

editoriali, frutto dell’euforica “orgia cartacea<br />

seguita alla cacciata degli austriaci”. Allora<br />

accadde quello che successe nello stesso<br />

capoluogo lombardo subito dopo il 25 aprile<br />

1945.<br />

Nel volgere di sei mesi (1859), a Milano<br />

escono 28 diari politici. I più interessanti sono<br />

quattro. La Gazzetta di Lombardia, giornale<br />

ufficioso che si propone di soppiantare La<br />

Gazzetta Ufficiale di Milano, che era stato il<br />

foglio “d’ordine” degli austriaci. Tuttavia aveva<br />

fatto male i suoi conti. Inaugurando una tradi-<br />

20 (28) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

zione, che giungerà intatta fino al 1945, La<br />

Gazzetta Ufficiale di Milano, abolita l’aquila<br />

imperiale ed emendata la testata dall’aggettivo<br />

“ufficiale”, continuò le sue pubblicazione.<br />

Non saltò neppure una copia: dal 133, il<br />

numero di venerdì 2 giugno, stampato durante<br />

il regno austriaco, passò al 134, quello di<br />

sabato 3 giugno, che vide la luce sotto il<br />

governo sabaudo. Una variazione subì il<br />

romanzo d’appendice: I principati danubiani<br />

furono sostituiti da I cento anni di Rovani.<br />

Nello stesso mese di giugno uscì Il Pungolo<br />

di Leone Fortis che era stato soppresso<br />

dall’Austria nel 1858. In novembre apparve<br />

La Perseveranza, l’organo della destra milanese.<br />

Strumenti per diffondere opinioni più che<br />

informazioni nel paese appena unificato,<br />

dove l’analfabetismo raggiunge vette del 74<br />

per cento (gli alunni che nell’anno 1863-1864<br />

frequentano le scuole elementari sono appena<br />

1.100.000 unità), i giornali milanesi assomigliano<br />

a quelli nazionali. Poveri di mezzi,<br />

contano, generalmente, quattro pagine e<br />

hanno due diversi formati: quello grande, è di<br />

solito di 60 centimetri per 43; il piccolo, misura<br />

39 centimetri per 27. Gli articoli sono<br />

composti da tipografi i quali utilizzano caratteri<br />

mobili che sono assemblati dentro<br />

compositori di legno. Questi saranno successivamente<br />

sostituiti da quelli in ferro, inventati<br />

in Francia. Per combinare lettere e numeri<br />

in parole, cifre e righe necessarie e riempire<br />

un foglio di quotidiano, occorrono almeno 12<br />

mila pezzi che un addetto riesce a mettere<br />

insieme nell’arco d’una decina d’ore.<br />

Le pagine, sia quelle <strong>dei</strong> giornali di piccolo<br />

formato sia quelle <strong>dei</strong> fogli di grande formato,<br />

sono piatte. I titoli quasi sempre ad una<br />

colonna risultano alquanto generici. Lo stile<br />

<strong>dei</strong> pezzi è sovente trasandato. Qualche volta<br />

il testo risulta incomprensibile.<br />

Avvocati e procuratori<br />

nel mondo <strong>dei</strong> giornali<br />

Fatte le dovute eccezioni, nel decennio<br />

successivo alla proclamazione dell’Unità, la<br />

stampa italiana, a causa delle magre condizioni<br />

in cui versa e per via delle appassite<br />

idealità risorgimentali, ripiega su impegni<br />

municipalistici e clientelari. Il giornalismo, la<br />

gran parte, “si mette al servizio” (come scrive<br />

Gaspare Barbera, editore in Firenze nel<br />

1873) “di chiesuole politiche, prive dell’appoggio<br />

d’una valida maggioranza”. I professionisti<br />

(in genere notai, avvocati, medici)<br />

avevano rappresentato il nerbo del giornalismo<br />

patriottico. A partire dal 1859, sono<br />

soprattutto gli avvocati e i procuratori che<br />

assumono importanti ruoli nel mondo <strong>dei</strong><br />

giornali.<br />

Dopo la nascita della nazione, continuò la<br />

commistione tra attività giornalistica e fervore<br />

politico. Il fenomeno consentì ad alcuni<br />

periodici, sovvenzionati dal governo, di restare<br />

in vita. Agli ex avvocati si affiancarono giornalisti,<br />

letterati, insegnanti, militanti politici.<br />

Dario Papa, giornalista del Corriere della<br />

Sera, agli inizi degli anni Ottanta si reca insieme<br />

con Ferdinando Fontana negli Stati Uniti<br />

per un giro d’orizzonte sulla stampa di quel<br />

paese. Al suo ritorno, oltre a scrivere un libro,<br />

New York, abbandona Il Corriere della Sera,<br />

lascia le idee monarchico-costituzionali e<br />

abbraccia quelle del centrosinistra. Ammirato,<br />

come non poteva non esserlo, del giornalismo<br />

americano, nel suo volume lo pone a<br />

confronto con quello italiano, anzi con il<br />

lombardo, che è il più moderno. “Gli uffici <strong>dei</strong><br />

giornali americani non sono come i nostri,<br />

infestati da una quantità di uomini di lettere<br />

che non si sentono nati a fare i piccoli servizi<br />

del pubblico, che hanno sempre delle grandi<br />

idee da espettorare, ma rifuggono dalla fatica<br />

di fare del giornale un veicolo di notizie<br />

anziché un’accademia. E cosi avviene che<br />

quei giornali là hanno tutti fra loro un tipo<br />

Articoli-arringa<br />

conditi di retorica<br />

diverso e se ne possono leggere parecchi in<br />

un giorno sicuri di trovarvi sempre del nuovo.<br />

Da noi invece si rassomigliano tutti, eccetto<br />

che per le opinioni propugnate. Ci rassomigliamo<br />

nelle parlate lunghe e retoriche e<br />

magari irte di erudizioni prese dall’Enciclopedia.<br />

Ci rassomigliamo nell’infantilità con cui<br />

sono fatti i giornali che maggiormente pretendono<br />

di avere dello spirito; ci rassomigliamo<br />

nell’amore delle rubriche che mettiamo al<br />

posto di quello delle notizie”.<br />

Il giornalismo italiano è segnato dall’impronta<br />

cavillosa della sua larga componente<br />

avvocatesca e dal tratto aulico dell’altra: la<br />

letteraria. Generalmente, gli articoli sono<br />

costruiti secondo i canoni dell’arringa. Uggiosamente<br />

analitici, sono conditi di retorica.<br />

Iniziano in maniera ariosa, si dispiegano fra<br />

argomentate premesse e giungono alla<br />

sostanza della questione faticosamente.<br />

Tutto il contrario dello schema espositivo<br />

richiesto dal vero giornalismo il quale esige il<br />

metodo sintetico con l’immediata enunciazione<br />

dell’accaduto, corredato dagli elementi<br />

che ne accompagnano la comprensione e<br />

l’interpretazione. Questi canoni, che appartengono<br />

al modo di scrivere di oggi, erano<br />

osservati dalle agenzie che informavano con<br />

dispacci asciutti.<br />

Buona parte <strong>dei</strong> giornali italiani, in particolare<br />

quelli di provincia (e gli altri che non avevano<br />

mezzi sufficienti per mantenere un’adeguata<br />

struttura redazionale), era fatta con i<br />

ritagli di altre pubblicazioni nazionali ed estere.<br />

Sempre Dario Papa, ricorda l’importante<br />

ruolo che svolge “il dottor Forbice” nelle redazioni<br />

<strong>dei</strong> fogli milanesi. Ora siccome quello<br />

del capoluogo lombardo è il giornalismo per<br />

antonomasia, cui la maggior parte <strong>dei</strong> redattori<br />

del resto d’Italia s’ispira, c’è da ritenere<br />

che la figura lumeggiata da Papa sia un insostituibile<br />

primo attore anche negli altri giornali<br />

che si stampano nella Penisola.<br />

Il dottor Forbice, annota il giornalista, è il<br />

mattiniero collaboratore che si dedica allo<br />

spoglio <strong>dei</strong> giornali. Egli lavora “da filosofo,<br />

senza scomporsi, menando colpi di forbice a<br />

dritta e a manca, tagliando il mondo a<br />

pezzetti e a pezzettini cui dispone in ordine<br />

sul tavolo per poi consegnarli, ben titolati al<br />

proto, accorciando di qui, combinando le<br />

notizie <strong>dei</strong> vari giornali, segnando col lapis<br />

questo articolo d’un giornale per il direttore,<br />

quest’altro per il cronista, quest’altro ancora<br />

per l’appendicista a seconda delle diverse<br />

attribuzioni; sfogliandoli uno a uno, e dando,<br />

con una rapidità nota a lui solo, una occhiata<br />

a tutti e singoli settanta od ottanta giornali<br />

che gli stanno dinanzi, anche a quelli delle<br />

più oscure città di provincia e cogliendo, sicuro,<br />

come l’artiglio d’un falco, una notizietta<br />

buona, seppellita in mezzo a un deserto di<br />

inutilità, per trasportarla nel giornale proprio”.<br />

Per la gran parte, il mondo della carta stampata<br />

ha ancora un taglio artigianale. Il dilettantismo<br />

marchia la componente redazionale<br />

e quella editoriale. Qui non mancano i<br />

gabbamondo. Illuminante l’analisi di Fra Zeno<br />

nel suo Quarto potere (1889) su come e<br />

perché nascono certi fogli. “L’individuo che si<br />

sente votato alla direzione di un giornale<br />

proprio, se ha quattrini fonda Il Globo, l’Universo,<br />

Il Paese od altro periodico dal titolo<br />

ampolloso. Se tale individuo è povero in<br />

canna, va in cerca d’un tipografo di buona<br />

fede, d’un fabbricante di carta credenzone e<br />

di collaboratori che sappiano e possano<br />

attendere, anche a lungo, uno stipendio iperbolico.<br />

Trovati i merli, il predestinato alla<br />

proprietà e direzione di un giornale, mette<br />

alla luce, putacaso, l’Asmodeo, come punterebbe<br />

l’ultimo napoleone su una carta. Se il<br />

pubblico, mordendo all’amo, acquista il nuovo<br />

giornale, la speculazione può considerarsi<br />

come avviata ed il direttore proprietario tira<br />

innanzi fidando nella Dea Bendata. Se, viceversa,<br />

il gemito della macchina tipografica fu<br />

gemito buttato e le copie del neonato periodico<br />

finiscono dal pizzicagnolo, l’improvvisato<br />

direttore proprietario si eclissa lasciando a<br />

mani vuote e naso allungato il tipografo, il<br />

cartaio ed i poco avventurati sacerdoti del<br />

‘quarto potere’ che avevano accettato di<br />

essere collaboratori”.<br />

Anche se questa che illustra Fra Zeno è una<br />

situazione al limite, la condizione della<br />

maggior parte <strong>dei</strong> giornali è davvero precaria.<br />

La redazione è generalmente formata dal<br />

direttore e da un paio di redattori: uno che si<br />

occupa degli esteri, l’altro degli interni. Quanto<br />

alle fonti d’informazione, esse sono principalmente<br />

gli altri giornali, l’agenzia Stefani<br />

(per le aziende che se la possono permettere)<br />

e i corrispondenti “che di solito sono amici<br />

del direttore i quali scrivono lunghe e sgrammaticate<br />

lettere”.<br />

Privi d’inquadramento professionale e salariale,<br />

i giornalisti sono considerati “agenti o<br />

commessi degli editori”. Le strutture delle<br />

nostre redazioni sono mediamente scarne<br />

rispetto a quelle straniere. La Neue Freie<br />

Presse di Vienna occupa 600 dipendenti (tra<br />

questi figurano 50 tra redattori e collaboratori<br />

interni, 120 corrispondenti dall’interno e<br />

altrettanti dall’estero e 150 impiegati esclusi<br />

gli operai). Il Corriere della Sera negli anni<br />

dell’esordio dispone di 123 dipendenti:16<br />

redattori, 10 impiegati, 44 tipografi, 47 speditori<br />

e distributori e 6 portieri. Benché per fare<br />

un giornale come il foglio di via Solferino nel<br />

1889 si spendano 177 mila lire l’anno, i<br />

compensi per i giornalisti sono una componente<br />

marginale.<br />

Il Monitore <strong>dei</strong> droghieri<br />

paga… in natura<br />

A quel tempo non sono più di quattro i direttori<br />

di giornale che guadagnano seimila lire<br />

l’anno, vale a dire cinquecento lire il mese.<br />

Cavallotti, quando dirigeva il Gazzettino<br />

Rosa, ne percepiva trecento; Silvio Spaventa,<br />

riceveva per ogni articolo che scriveva<br />

centocinquanta lire. Fatta eccezione per le<br />

personalità professionali, tutti gli altri ricevevano<br />

emolumenti meschini. Con quello che<br />

guadagnavano facendo i redattori, molti non<br />

sarebbero potuti sopravvivere se non avessero<br />

fatto un’altra professione. In parecchi<br />

casi erano anzi i giornalisti che finanziavano i<br />

giornali acquistando carature della testata.<br />

Francesco Giarelli ricorda che non era raro<br />

che il giornalista fosse pagato in natura. Incaricato<br />

di scrivere articoli di fondo per il Monitore<br />

<strong>dei</strong> droghieri per un compenso di dieci<br />

lire, egli stesso, dopo il primo numero, si vide<br />

versare la collaborazione in generi di salsamenteria.<br />

Andato a riscuotere la retribuzione,<br />

trovò il committente, il signor Vincenzo Torta,<br />

con un cartoccio di prodotti che gli sciorinò<br />

su un tavolo. C’erano: un chilogrammo di<br />

caffè, un chilogrammo di zucchero, due<br />

pacchi di steariche, sapone, essenza di<br />

gelsomino, bottiglie di Malaga, Madera,<br />

Alicante, amido, lucido per le scarpe, due<br />

spugne, un pacchetto di tè, cicoria, gomma<br />

profumata e pasta di Napoli.<br />

La mancanza di mezzi si riverberava ovviamente<br />

su tutti i “settori” del giornale, in particolare<br />

sull’organizzazione della cronaca<br />

cittadina. Diversamente dal resto della redazione,<br />

questa era però sostenuta da una<br />

scrittura si può dire “moderna” mutuata da<br />

una sorta d’involontaria lezione di giornalismo<br />

che il mestiere milanese aveva ricevuto<br />

ed ereditato dalla pignoleria degli austriaci.<br />

Per offrire ai giornali, “organi di governo”,<br />

informazioni “all’oggetto di eccitare l’interesse<br />

<strong>dei</strong> lettori”, l’imperiale ministro dell’Interno<br />

aveva incaricato della raccolta delle notizie la<br />

questura, il municipio e la Camera di<br />

commercio. Il dicastero aveva emanato<br />

21 (29)


Notizie nazionali<br />

e notizie cittadine<br />

successivamente una circolare con la quale<br />

esemplificava come in funzionari <strong>dei</strong> tre uffici<br />

avrebbero dovuto scrivere quelle note. Per<br />

evitare che trascendessero nelle forme retoriche<br />

e letterarie in voga all’epoca, gli estensori<br />

erano stati muniti d’un formulario. I diversi<br />

modelli d’annuncio andavano dalla morte<br />

d’un ultracentenario (Salomone N. d... è<br />

morto nell’avanzata età di 113 anni), all’incendio<br />

d’una cascina (un incendio, di cui<br />

s’ignora la causa, è scoppiato...); dalla visita<br />

dell’autorità alle reclute d’una caserma, all’esecuzione<br />

di “un traditore” (Lunedì 9 corrente,<br />

venne passato per le armi a... l’avvocato<br />

N… di... nella cui abitazione fu trovata una<br />

quantità di armi nascosta. Il vescovo di... e<br />

parecchi rispettabili personaggi si erano, ma<br />

invano, interessati per salvargli la vita. Il<br />

supplizio di questo causidico fece una straordinaria<br />

impressione…).<br />

Nonostante il prontuario che anticipa di almeno<br />

un secolo certe regole del giornalismo<br />

moderno (quello delle cinque W, per intenderci),<br />

sui giornali milanesi dell’Italia appena<br />

nata, scarseggia la cronaca, nera o bianca<br />

che sia. La narrazione <strong>dei</strong> fatti accaduti in<br />

città era stata praticamente inventata agli inizi<br />

dell’Ottocento da madame Ester Guimont.<br />

Bella, spiritosa, elegante, la signora era<br />

amica di Balzac e di Dumas i quali frequentavano<br />

il suo salotto insieme con il mondo<br />

elegante parigino.<br />

Pare che sia stata proprio lei (lo racconta<br />

Balzac) a dare ad un redattore del Constitutionnel,<br />

lo stesso giornale che inventerà il<br />

feulletton, il consiglio di raccogliere in una<br />

speciale rubrica tutto ciò che accadeva nella<br />

capitale francese.<br />

Il nuovo modo di fare giornalismo approderà<br />

con molto ritardo nel capoluogo lombardo. La<br />

prima notizia di cronaca pubblicata dal paludato<br />

giornale La Perseveranza (un crollo),<br />

risale al 14 dicembre 1861, vale a dire 748<br />

giorni dopo la sua prima uscita. Successivamente,<br />

i fatti del giorno saranno radunati<br />

sotto due rubriche (una nazionale, l’altra di<br />

rilievo cittadino) intitolate Notizie varie e Notizie<br />

cittadine.<br />

Ad introdurre sistematicamente e organicamente<br />

la cronaca nelle pagine d’un giornale<br />

milanese, fu agli inizi degli anni ‘70, Carlo<br />

Romussi del Secolo (diretto da Teodoro<br />

Moneta) attraverso un’attiva squadra di<br />

reporter. Miniscolo, sfacciato e permaloso,<br />

baffi spioventi e occhiali a pince-nez, Romussi<br />

era un assiduo dell’osteria la Patona e per<br />

questo motivo era stato soprannominato<br />

Bardolino. Divenuto capocronista (“l’uomo<br />

più combattente e più combattuto del mondo<br />

politico giornalistico milanese”), si serviva di<br />

parecchi informatori. La sua cronaca faceva<br />

perno su un gruppo di reporter assunto<br />

stabilmente.<br />

L’impronta popolare, l’oculata amministrazione,<br />

la macchina a stampa Marinoni, ma<br />

soprattutto l’ampio ventaglio di notizie che la<br />

sua cronaca offriva, contribuirono all’affermazione<br />

del Secolo che nel 1871, in una Milano<br />

che contava duecentoquarantaseimila abitanti,<br />

aveva soppiantato il Pungolo di Leone<br />

Fortis. Prima che l’avvocato Carlo Romussi<br />

pubblicasse quotidianamente e sistemarticamente<br />

ciò che era successo nel capoluogo il<br />

giorno precedente attraverso l’operoso staff<br />

<strong>dei</strong> suoi redattori, la cronaca cittadina, (quella<br />

nera e quella bianca) <strong>dei</strong> diversi fogli, era<br />

monopolio d’un pool di quattro persone.<br />

Della nera si occupava Vincenzo Broglio.<br />

Cinquantenne, ex garibaldino, lavorava come<br />

cronista al Pungolo ma raccoglieva le notizie<br />

per la sua e per le altre testate. Fonte principale<br />

era naturalmente la Questura. Sistemato<br />

dapprima nei locali dell’ex sede della polizia<br />

asburgica, in via Santa Margherita 16, il<br />

comando del Corpo delle guardie di pubblica<br />

sicurezza era stato insediato nel 1871 in<br />

piazza San Fedele, nel convento che era<br />

appartenuto ai Gesuiti. Broglio vi si recava<br />

tutte le mattine.<br />

Qui, in un apposito “libro nero”, trovava<br />

segnati e riassunti i dati <strong>dei</strong> rapporti che arrivavano<br />

dai mandamenti della città e le relazioni<br />

delle varie sezioni di Ps.<br />

All’inizio della carriera da solo, successivamente<br />

con l’aiuto di un giovanotto, certo<br />

Bruni (che poco più tardi abbandonò la<br />

carriera di reporter per fare l’agente teatrale),<br />

il giornalista del Pungolo copiava i<br />

rapporti che passava anche agli altri colleghi.<br />

Capitava spesso che l’ex garibaldino e il<br />

suo aiutante indugiassero diffusamente su<br />

fatterelli banali e tralasciassero eventi più<br />

gravi con la scusa che su quei fatti “era stato<br />

mantenuto il silenzio più assoluto perché con<br />

notizie premature non si doveva intralciare<br />

l’opera dell’istruttoria giudiziaria”. Sostenuto<br />

però dall’egregio suo servizio di “riportaggio”,<br />

il Secolo pubblicava all’indomani la faccenda<br />

grossa spingendo i giornali che avevano patito<br />

lo scoop a protestare con i due reporter i<br />

quali non sapevano fare altro che “mandare<br />

a quel paese la Questura e il suo servizio<br />

informazioni”.<br />

Un cronista veterano<br />

delle patrie battaglie<br />

La fonte della cronaca bianca era naturalmente<br />

il Comune. Ad attingervi le notizie era<br />

un impiegato dello stato civile. Felice Venosta,<br />

nobile, “veterano delle patrie battaglie”,<br />

aveva scritto una storia popolare delle<br />

Cinque Giornate e collaborava alla Collana<br />

<strong>dei</strong> Martiri Italiani, una raccolta in volumetti.<br />

Corrispondente ufficiale del Secolo, che gli<br />

passava un assegno speciale, distribuiva<br />

informazioni anche alle altre cronache ma<br />

per mezzo d’un impiegato municipale, ufficiale<br />

sanitario in forza alle pompe funebri, certo<br />

Luigi Bellerio. Sollecitato dai cronisti, che<br />

ambivano a restituire parte <strong>dei</strong> “buchi” che<br />

subivano dall’imbattibile primo quotidiano<br />

cittadino, non di rado il burocrate esagerava.<br />

Anziché limitarsi a fornire soltanto le notizie<br />

comunali, compiva incursioni nel campo della<br />

nera. Apportando marginali modifiche alla<br />

sua tenuta d’impiegato (uniforme nera, sciarpa<br />

bianca, bandoliera e luma nel cappello a<br />

cencio), si faceva passare per un poliziotto e<br />

riusciva ad estorcere informazioni riservate<br />

agli agenti veri oppure a protagonisti e a testimoni<br />

<strong>dei</strong> crimini accaduti. Lo slancio di<br />

rendersi utile, o più probabilmente la brama<br />

del compenso, spingevano il funzionario a<br />

strafare e ad inventare particolari imbarazzanti<br />

per i giornali che si servivano della sua<br />

collaborazione.<br />

Un’informazione così vaga e malsicura<br />

procurava non pochi infortuni al giornalismo<br />

cittadino. La frequenza del fenomeno è<br />

evidenziata da questa storiella che Paolo<br />

Ferrari, spirito caustico e autore drammatico<br />

di successo, amava ripetere. “Se il Pungolo<br />

annuncia oggi che tu sei stato travolto sotto<br />

una carrozza in piazza del Duomo rimanendone<br />

ucciso; e domani tu stesso, in carne e<br />

ossa, vai a pregare il Pungolo, vai a pregare<br />

Broglio, il papa della cronaca cittadina, che<br />

rettifichi, egli metterà, tutt’al più, brontolando,<br />

un secondo articoletto intitolato Nuovi Particolari<br />

che dirà a un di presso così: Abbiamo<br />

naturalmente continuato ad assumere informazioni<br />

intorno al triste fatto di piazza del<br />

Duomo, ieri assai succintamente narrato e<br />

con piacere siamo venuti a conoscere la<br />

conferma (sic) del fatto aggiungendovi anzi<br />

che il nostro egregio amico non solo non è<br />

morto, per causa di quel malnato brumista<br />

del numero tale, ma sta bene ed ha presentato<br />

il dovuto reclamo alla questura. Egregiamente;<br />

così va fatto”.<br />

Enzo Magrì<br />

GIORNALI STORICI<br />

Felice<br />

Cavallotti<br />

Felice Cavallotti in alcune illustrazioni d’epoca:<br />

in carcere e a Villa Cellere a Roma, dove avvenne il 33°<br />

duello contro il deputato-giornalista Ferruccio Macola.<br />

22 (30) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

di Fabrizio de Marinis<br />

La morte lo volle al terzo assalto del trentatreesimo<br />

duello all’arma bianca della sua<br />

esistenza battagliera, vissuta all’insegna<br />

della denuncia e della democrazia, in difesa<br />

<strong>dei</strong> diseredati, giornalista d’impeto e d’impegno.<br />

Quel fiotto di sangue che gli sgorgò<br />

dalla bocca alle tre del pomeriggio del 6<br />

marzo 1898, nei giardini di Villa Cellere, a<br />

mezz’ora di carrozza da Roma, fuori Porta<br />

Maggiore, si trasformò in breve in una grande<br />

tragedia tutta italiana.<br />

La notizia fece il giro della penisola in un<br />

baleno. L’Italia si fermò. Felice Cavallotti era<br />

morto trafitto dalla sciabola del conte<br />

Ferruccio Macola, direttore e proprietario<br />

della Gazzetta di Venezia giornalista anche<br />

lui e deputato liberal-monarchico. La tragedia<br />

scosse a tal punto il paese che i suoi<br />

funerali, tenutisi a Milano il 9 marzo, furono<br />

paragonati, per l’imponente partecipazione,<br />

a quelli di Garibaldi e si trasformarono in<br />

una manifestazione popolare contro le forze<br />

conservatrici e moderate.<br />

Anche Giosue Carducci commemorò Cavallotti<br />

all’Università di Bologna come un eroe<br />

rivoluzionario vittima della reazione governativa.<br />

Non mancò l’accusa a Crispi di vero<br />

mandante della ferreità della mano armata<br />

di Macola, tale era l’odio che correva tra i<br />

due. Il polemista Olindo Guerrini, sotto lo<br />

pseudonimo di Lorenzo Stecchetti accusò<br />

in versi il Verre Crispi capo del Governo che<br />

un anno dopo porterà l’Italia alla tragedia<br />

ben più grave di Adua, che gli costò le<br />

dimissioni. Ed or che in bocca la civil rampogna<br />

il ferro ti recide, Verre beato nella sua<br />

menzogna, Verre il ribaldo ride…Verre t’inganni!<br />

Nel mortal duello non fu tua la vittoria.<br />

Con un colpo di spada o di coltello Non<br />

si uccide la Storia.<br />

Garibaldino e fustigatore<br />

del malcostume politico<br />

Garibaldino, deputato socialista, ferocemente<br />

anticrispino e tuonante fustigatore del<br />

malcostume politico, da anni conduceva<br />

contro il presidente del Consiglio una<br />

campagna durissima, accusandolo innanzitutto<br />

<strong>dei</strong> torbidi della Banca Romana che<br />

sfociarono nel 1893 in uno <strong>dei</strong> più devastanti<br />

scandali bancari nella storia d’Italia, poi di<br />

bigamia, falsa testimonianza, aggiottaggio,<br />

concussione, millantato credito e corruzione.<br />

Ma la scomparsa del Bardo della democrazia,<br />

dell’Arcangelo fiammeggiante dell’ideale,<br />

come lo definivano allora artisti e<br />

letterati, fu in verità una doppia tragedia per<br />

il paese, perché Cavallotti era l’unica personalità<br />

politica che avrebbe potuto mediare<br />

quello che poi accadde. La rivoluzione del<br />

1898 che portò alle cannonate di Bava<br />

Beccaris, il 7 maggio 1898, con 80 morti<br />

ufficiali, oltre 500 secondo i manifestanti, e<br />

migliaia di feriti a Milano e le imponenti<br />

sollevazioni del 26 e 27 aprile 1898 a Faenza,<br />

Bari, Foggia, un incendio che si propagò<br />

anche a Siracusa, Palermo, Reggio Calabria,<br />

Benevento, Avellino, Minervino Murge,<br />

Ascoli Piceno, Caserta, Parma, Piacenza,<br />

Bologna, Ravenna, Livorno, Pisa, Siena,<br />

Brescia, Venezia, Genova. Una lacerazione<br />

devastante che attraversò l’intera penisola.<br />

Famosa di Cavallotti la Lettera agli onesti di<br />

tutti i partiti che fu pubblicata nel giugno del<br />

1895 sul Secolo di Milano del premio Nobel<br />

Ernesto Teodoro Moneta, in un apposito<br />

supplemento, e sul Don Chisciotte di Roma,<br />

nel pieno di una battaglia parlamentare che<br />

riguardava episodi di corruzione e concussione<br />

<strong>dei</strong> quali era accusato il primo ministro<br />

Francesco Crispi. Poeta anticesareo,<br />

come amava definirsi, Felice Cavallotti, nato<br />

a Milano il 6 ottobre del 1842, appartiene a<br />

quella folta schiera di intellettuali nati dalla<br />

Il trentatreesimo duello gli fu fatale. Poeta<br />

“anticesareo”, garibaldino, storico, drammaturgo<br />

e uomo politico anticrispino usò<br />

la sciabola con la stessa abilità della<br />

penna dando vita al Gazzettino Rosa e a<br />

La Ragione<br />

Il D’Artagnan<br />

del giornalismo italiano<br />

Milano <strong>dei</strong> Lumi del Verri e del Beccaria e<br />

forgiatisi nei campi di battaglia delle guerre<br />

d’Indipendenza. Oltre che giornalista fu<br />

storico e drammaturgo, ma soprattutto<br />

uomo politico, deputato radicale fin dal<br />

1873, rieletto per ben dieci legislature<br />

consecutive, sempre all’estrema sinistra.<br />

Iniziò fin da giovanissimo a scrivere poesie,<br />

investito da un sacro fuoco che lo divorerà<br />

fino alla morte, e già negli anni del liceo<br />

pubblicò con continuità articoli patriottici sul<br />

giornale Il Momento. La sua partecipazione<br />

all’Unità d’Italia lo vide nel 1860, fuggito di<br />

casa, nella spedizione di Giacomo Medici<br />

che raggiunse Garibaldi in Sicilia. Partecipò<br />

alla battaglia di Milazzo e iniziò la sua<br />

carriera di giornalista come corrispondente<br />

di guerra per La Gazzetta del Popolo della<br />

Lombardia. Raggiunse Napoli ed entrò nella<br />

redazione dell’Indipendente di cui era direttore<br />

Alessandro Dumas padre, autore <strong>dei</strong><br />

Tre Moschettieri, acceso finanziatore e<br />

sostenitore di Garibaldi.<br />

Una intensa attività<br />

letteraria e teatrale<br />

Tornato a Milano raggiunse Garibaldi in<br />

Trentino e continuò la sua carriera di giornalista,<br />

prima con Il Secolo, poi fondando<br />

nel 1867 il Gazzettino Rosa, il giornale della<br />

Scapigliatura milanese, e nel 1875 La<br />

Ragione, una delle più innovative testate<br />

della storia del giornalismo italiano. E qui è<br />

bene aprire una parentesi.<br />

L’importanza di Felice Cavallotti fu letteraria<br />

e teatrale con un’ampia produzione di opere<br />

quali Storia della insurrezione di Roma nel<br />

1867 (1869), I Pezzenti (1881), Il romanzo<br />

del tutore (1893), Guido e Agnese (1873),<br />

Alcibiade (1874), I Messeni (1877), La<br />

sposa di Menecle (1882), Il libro <strong>dei</strong> versi<br />

(1898).<br />

Ma fu soprattutto nel giornalismo che egli<br />

innovò stile e modalità, prima come inviato<br />

di guerra, poi rivoluzionando la Cronaca e<br />

trasformandola in uno <strong>dei</strong> massimi strumenti<br />

di competizione <strong>dei</strong> giornali che diresse e<br />

fondò, facendo scuola. La cronaca attiva e<br />

concorrenziale fu una scelta che funzionò e<br />

diede al giornalismo italiano nuova vitalità –<br />

scrive Paolo Murialdi in Storia del Giornalismo<br />

italiano - Il metodo adottato da Carlo<br />

Romussi al Secolo di Ernesto Teodoro<br />

Moneta, fu largamente approfondito da<br />

Francesco Giarelli nel giornale di Cavallotti<br />

La Ragione. Si trattava di un metodo di<br />

lavoro apparentemente semplice ma denso<br />

di capacità relazionali e diplomatiche e<br />

nuovo per il tempo. Andare tutti i giorni di<br />

persona, o mandare <strong>dei</strong> collaboratori-reporter,<br />

in municipio, negli uffici della polizia, in<br />

tribunale, all’ospedale; e frequentare con le<br />

orecchie aperte i teatri, i caffè, i salotti, le<br />

innaugurazioni e altri luoghi pubblici per<br />

cogliere ogni particolare, ogni notizia da<br />

riferire tempestivamente in redazione. Per<br />

capire meglio la datità storica di quanto<br />

parliamo dobbiamo fare riferimento all’intenso<br />

periodo innovativo nel quale tutto questo<br />

avveniva. Milano in quegli anni, sin dalla<br />

prima dominazione napoleonica, si<br />

trasformò nella capitale dell’editoria italiana.<br />

Fu il vero centro dell’ampio dibattito culturale<br />

promosso nell’Italia unita da giornali e<br />

riviste quali La Cronaca grigia, La Rivista<br />

minima, Il Gazzettino Rosa, Il Sole, La<br />

Farfalla, La Vita Nuova, Il Peludio. Tutte<br />

ospitavano articoli, recensioni, discussioni,<br />

polemiche i cui autori erano in gran parte i<br />

protagonisti della cultura scapigliata lombarda.<br />

L’intensa attività giornalistica favorì la<br />

nascita di una critica militante e di una<br />

cronaca attentissima, capace di colloquiare<br />

con intellettuali e scrittori di ogni parte del<br />

paese. Sono gli anni, per capirci in cui<br />

nasce, nel 1875 L’Illustrazione Italiana<br />

dell’editore e giornalista Emilio Treves, che<br />

Ebbe la carotide recisa in duello, il 6<br />

marzo 1898, da Ferruccio Macola, direttore<br />

della Gazzetta di Venezia, già fondatore<br />

e direttore del Secolo XIX<br />

grazie alle Tavole di Achille Beltrame e<br />

all’ampio spazio dato alle prime fotografie,<br />

si trasformò in un indice del costume italiano.<br />

Nel maggio del 1866 l’editore risorgimentale<br />

Sonzogno, dà vita a quello che sarà il più<br />

venduto quotidiano popolare italiano dell’epoca,<br />

Il Secolo, su cui trovano ampio<br />

spazio, appunto, le idee democratiche di<br />

Felice Cavallotti. Un ruolo importante svolgono<br />

anche altri due autorevoli quotidiani: il<br />

vecchio Pungolo, diretto da Leone Fortis e<br />

La Perseveranza, giornale di area cattolica.<br />

Nel 1876, l’intellettuale napoletano amico di<br />

Dumas padre, Torelli Viollier, fondò il Corriere<br />

della Sera, dando vita ad una delle più<br />

lunghe e combattute competizioni giornalistiche<br />

nella storia dell’editoria italiana, con il<br />

concorrenteIl Secolo, superato per numero<br />

di lettori solo nel 1904, con la direzione di<br />

Luigi Albertini.<br />

È il 1861, Cavallotti è corrispondente da<br />

Milano dell’Indipendente di Napoli, il giornale<br />

di Dumas. Nel paese si stanno preparando<br />

le elezioni <strong>dei</strong> deputati al primo Parlamento<br />

del Regno d’Italia. L’irruento giornalista<br />

manca per poco il suo primo duello. In<br />

una corrispondenza inviata al giornale se la<br />

prende con Visconti Venosta, già mazziniano<br />

e diventato uno degli esponenti del<br />

mondo politico lombardo. Lo definisce “un<br />

servo umilissimo del Ministro”. Il marchese<br />

Venosta, che non lo conosceva, lo sfida a<br />

duello e Cavallotti accetta. Lo salverà solo<br />

la sua giovane età: diciannove anni. Garibaldi,<br />

dopo la campagna del 1866, chiamerà<br />

quei tempi “ borgiani”. Il Gazzettino<br />

Rosa di Cavallotti li sfiderà. Contrariamente<br />

a quanto sembra promettere il nome della<br />

testata, da presse du coeur, si tratta di un<br />

giornale politico e letterario d’avanguardia.<br />

Vi collaborano firme del tempo come<br />

Tarchetti, Rovani, Praga e poi Fabrizio Galli<br />

(Coq), Icio Polese (Scoglio), Angelo Bonetti<br />

(Azzeccagarbugli), Carlo Arrigoni (Semplicione),<br />

Aristide Montrezza (Verderame e<br />

Demofilo), Achille Ravizza (Virgola), Pietro<br />

Ravizza (Nemo), Fulvio Fulgonio (Farfarello),<br />

Francesco Giarelli (don Lumachino),<br />

Giuseppe Mussi (il galletto di donna Cecca)<br />

Andrea Ghinosi (Anomalo), Giacomo<br />

Raimondi (Economista) e Antonio Briglia<br />

(Trombone). Cavallotti ne è il direttore, si<br />

firma “Poeta anti-Cesareo”, e vi satireggia<br />

persone e istituzioni, incappando con una<br />

certa frequenza in sequestri, arresti e<br />

processi clamorosi.<br />

La prima grande serie di duelli è quella che<br />

lo vede coinvolto nella settimana che va dal<br />

26 gennaio al primo febbraio 1868. Il Cavallotti<br />

su questioni di cuore e di politica ha<br />

gettato lì una parola di troppo contro un ufficiale<br />

del reggimento cavalleria Ussari di<br />

stanza a Milano e viene sfidato. Gli sono<br />

padrini Billia e Ghinosi, due suoi amici, che<br />

cercano di far rientrare la crisi. Ma un<br />

martedì sera davanti al Biffi in Galleria, a<br />

Milano, il maggiore Maglia gli sguaina la<br />

spada sotto il naso.<br />

Il duello trasformato<br />

in torneo cavalleresco<br />

Cavallotti dando notizia dell’accaduto scrive<br />

al comandante del reggimento accusando<br />

di barbarismo e assoluta mancanza di<br />

cavalleria il comportamento del militare (i<br />

duelli avevano una ritualità severissima e<br />

sguainare in pubblica piazza era un gesto<br />

da tagliagole e banditi) e gli chiede se riconosce<br />

o meno il gesto del suo subalterno:<br />

nel caso gli fosse stato solidale si sarebbe<br />

dovuto considerare sfidato.<br />

Risposta: solidale lui e solidali tutti gli ufficiali.<br />

Quello che doveva essere un semplice<br />

duello si trasformò in un vero torneo cavalleresco<br />

con assalti alla sciabola da ambo le<br />

parti. In una sola notte Felice Cavallotti,<br />

23 (31)


I duellanti di Montecitorio<br />

Cavallotti non fu certamente l’unico duellante di Montecitorio. Il<br />

duello in quegli anni era un costume. Chi volesse rileggere l’intensa<br />

storia politica italiana dal 1860 al primo ventennio del Novocento,<br />

sul “filo di una lama d’acciaio affilato”, rimarrebbe sbalordito<br />

nell’elencare una serie congrua di nomi che, in un modo o<br />

nell’altro, hanno avuto a che fare con i complessi urti cavallereschi:<br />

Cavour, Barzilai, Belcredi, Bizzoni, Cavallotti, Bixio, Bonacci,<br />

Bovio, Cairoli, Ciano, Cicciotti, Colaianni, Conte di Torino, Crespi,<br />

Carducci, D’Annunzio, D’Arco, De Felice, Tommaso Villa, Zanardelli,<br />

Sonnino, Santini, Rostignac, Nicotera, Nigra, Minghetti, Ettore<br />

Ferrari, Gioliltti, Depretis. Tutti duellanti.<br />

Ma spesso come nello scontro tra Treves e Federzoni, poiché<br />

erano in pochi a saper usare veramente la sciabola, finiva tutto in<br />

una serie di auliche messe in guardia, tempi lunghissimi di attesa<br />

e qualche fendente di piatto, con fermo al primo sangue. L’unico<br />

duello dove ci scappò il morto fu quello di Cavallotti e Macola.<br />

Negli anni, ad avere la peggio e ad essere messa da parte, fu la<br />

sciabola tradizionale, pericolossissima in mani inesperte, che<br />

apriva vasti squarci e sanguinamenti. Poi la pistola non rigata,<br />

nella stessa caserma degli Ussari, in uno<br />

stanzone adibito alla bisogna, affiancato dal<br />

collega Achille Bizzoni, aveva duellato in<br />

coppia con ben quattro ufficiali. Entrambi ne<br />

uscirono illesi. In breve tempo scenderà in<br />

campo una quindicina di volte e tra i suoi<br />

avversari, il 5 agosto 1869, figurerà un certo<br />

sottotenente Edmondo De Amicis del quale<br />

uscivano allora i bozzetti della Vita militare.<br />

Il duello salta, nonostante De Amicis fosse<br />

lì in attesa, perché nello stesso giorno, sullo<br />

stesso campo, nello scontro precedente<br />

Cavallotti e il luogotenente Ludovico Cisotti,<br />

che si stavano affrontando, si feriscono<br />

vicedendevolmente e il medico proibisce la<br />

successiva contesa tra i due letterati.<br />

Poesie ritenute offensive<br />

della pubblica decenza<br />

Il D’Artagnan del giornalismo italiano è<br />

costretto a riparare a Dagnente, sul lago<br />

Maggiore, perché inseguito da un mandato<br />

di cattura per la pubblicazione di alcune<br />

poesie ritenute offensive la pubblica decenza.<br />

Lì nascosto dà vita all’Alcibiade. La<br />

lunga catena di duelli riprenderà subito<br />

dopo la sua nomina a deputato, che ha il<br />

potere di sottrarlo al pericolo di finire nuovamente<br />

in galera. Ha tanto di immunità parlamentare<br />

ora e il 28 novembre 1873 si<br />

presenta alla Camera, dove lo si attende al<br />

varco del rituale giuramento di fedeltà alla<br />

monarchia sabauda di cui era un acerrimo<br />

fustigatore.<br />

Per farlo firmare dovrà scendere in campo<br />

Garibaldi che alla fine riesce a convincerlo.<br />

Al suo ingresso a Montecitorio si scatena<br />

una baraonda incredibile. Alla fine ci scappa<br />

il solito duello, il primo del suo soggiorno<br />

romano, che durerà venticinque anni. Avversario<br />

di turno il direttore del Fanfulla,<br />

Baldassarre Avanzini, reo di aver scritto un<br />

articolo sulla movimentata seduta che non<br />

era andata a genio al Cavallotti. Lo scontro<br />

alla sciabola avvenne, il 3 dicembre, fuori<br />

Porta San Sebastiano e il neodeputato<br />

venne ferito al braccio destro. Ma nel pomeriggio<br />

era già a tuonare in Parlamento<br />

perché venisse concessa l’autorizzazione<br />

contro di lui richiesta dal Procuraore del Re<br />

di Milano, ottenendola. Intanto telegrafa a<br />

Dario Papa, direttore del Pungolo:“ritenetevi<br />

schiaffeggiato”. Papa risponde “ritenetevi<br />

morto”. Il duello si terrà a Milano nei giorni<br />

del Natale successivo, quando verrà<br />

presentato il suo Alcibiade che in scena<br />

ottiene quaranta chiamate di applausi.<br />

Autorizzazione a procedere<br />

per il reato di duello<br />

Da oggi in poi negli atti parlamentari ricorrerà<br />

a periodi alterni l’annotazione di prammatica<br />

“Il Ministro Guardasigilli trasmette<br />

alla Camera domanda di autorizzazione a<br />

procedere per reato di duello contro il deputato<br />

Cavallotti”. Quasi un rito che accompagna<br />

la caduta del governo di Destra e la<br />

formazione del gabinetto Depretis, l’ascesa<br />

di Crispi e il trasformismo (una cagnetta che<br />

ha in campagna a Dagnente, il Cavallotti la<br />

battezza Lina, che è il nome della terza<br />

moglie di Crispi), la Triplice e l’uccisione di<br />

Oberdan, l’acquisto della baia di Assab e la<br />

questione di Tunisi.<br />

Cavallotti si batte a Bologna con Luigi Lodi,<br />

ancora a Bologna, nel giro di tre giorni, con<br />

quattro membri del Club Felsineo. A Genova<br />

affronta il capitano Araldi, a Roma il Berti<br />

e subito dopo alla sciabola il direttore della<br />

Gazzetta di Mantova, Luzio e il giornalista<br />

Luzzatto. Ma non è finita, mentre sfumano<br />

per motivi tecnici i duelli con il principe<br />

Colonna di Cesarò, con Arturo Lobbia e con<br />

Giovanni Bovio, lo prende di mira il Guerin<br />

andata in disuso per via della “carica addomesticata” dal tecnico<br />

armaiolo. Prevalse, infine, per le questioni cavalleresche, la rigida<br />

spada Greco, dal nome del famoso armaiolo spadaccino di<br />

Roma, con la sede a due passi da Montecitorio, con la quale si<br />

era obbligati a lavorare di sola punta, facile quindi ad essere<br />

governata dal direttore di scontro e perciò, alla peggio, solo in<br />

grado di arrecare ferite non oltre l’avambraccio o l’omero.<br />

Altri clamorosi scontri furono quelli tra il ministro della Guerra<br />

Mocenni, appena fuori Porta del Popolo, a Roma, e Salvatore<br />

Barzilai, che fu costretto a dieci punti di sutura e perse un pezzo<br />

d’orecchio. Niente di fatto si ebbe invece nello scontro tra Mussolini<br />

e Ciccotti Scozzese, che dopo quattordici assalti crollò per<br />

insufficienza cardiaca. Altri ancora, degni di menzione, furono i<br />

duelli tra il sottosegretario alla Giustizia Daneo e Roux e contemporaneamente<br />

tra gli onorevoli Enrico Ungaro e Eugenio Sacerdoti,<br />

direttore del Don Marzio, e Pierantoni e Ottolenghi.<br />

Qui siamo a fine Ottocento. Portare ferite d’arma bianca era spesso<br />

un vezzo di pregio. D’Annunzio si batté a Chieti nel 1885 per<br />

ragioni giornalistiche con tal Magnini e si fregiò di un gran cerotto<br />

per lungo tempo alla tempia destra, dopo breve ebbe un nuovo<br />

duello con Scarfoglio, che finì con una gran pranzo di riappacificazione.<br />

(fdm)<br />

Meschino che parafrasando il titolo di una<br />

sua opera, il Cantico <strong>dei</strong> Cantici, lo apostrofa<br />

Mantice <strong>dei</strong> Mantici e lo accusa a più<br />

riprese di varie incongruenze politiche.<br />

Cavallotti sfida a duello il direttore Giovanni<br />

Pozza e tutta la redazione inclusi i collaboratori.<br />

Ferisce il Bordini, viene ferito da Francesco<br />

Pozza e dopo la guarigione di<br />

Giovanni Pozza, con lo stesso direttore, dal<br />

quale riceve, contraccambiandola una botta<br />

sanguinosa. È quasi in fin di vita a Piacenza,<br />

dove accusa un affondo al torace dal<br />

tenente Ambrosini e nel maggio del 1885<br />

rassegna le dimissioni da deputato. La<br />

Camera le respinge. Guarito ritorna a Roma<br />

dove diventa di fatto il capo riconosciuto e<br />

prezioso dell’estrema sinistra. Poco prima<br />

delle votazioni sul Patto di Roma, si scontra<br />

a villa Ada con il generale Corvetto e lo<br />

colpisce gravemente al volto, il no a Giolitti<br />

e gli scandali bancari vengono seguiti dallo<br />

scontro con Raffaello Giovagnoli, mentre le<br />

leggi eccezionali e la questione morale<br />

sono accompagnate da un’ombra funesta,<br />

quella del Macola, direttore della Gazzetta<br />

di Venezia. La vertenza col Macola nasce<br />

da cose banali.<br />

Il giornale pubblica una notizia in cui asserisce,<br />

che Cavallotti aveva indebitamente<br />

partecipato ad una riunione per un’autorizzazione<br />

a procedere verso un altro deputato.<br />

Nulla di più. La risposta non si fa attendere<br />

e Macola viene indicato come “mentitore<br />

di mestiere”. Basta questo per un primo<br />

scambio di padrini che però non trovano<br />

luogo a procedere.<br />

La risposta della Gazzetta non si fa attendere<br />

e definisce il Cavallotti “il bacchifilo di<br />

Corteolona” La sera del 4 marzo gli onorevoli<br />

Camillo Tassi e Achille Bizzoni s’incontrano<br />

con i padrini del Macola, i deputati<br />

Carlo Donati e Guido Fusinato. L’incontro<br />

avviene in una sala di Montecitorio. La data<br />

è fissata e, il 6 marzo, a Villa Cellere sarà la<br />

stessa contessa di Cellere a fare gli onori di<br />

casa con la cappella di famiglia trasformata<br />

in infermeria. Cavallotti è allegro e definisce<br />

il luogo più adatto ad una scampagnata che<br />

ad un duello. Alle 14,30 i due avversari sono<br />

in guardia.<br />

L’assalto fatale<br />

nel racconto <strong>dei</strong> padrini<br />

Ecco la testimonianza <strong>dei</strong> padrini. “Gli<br />

assalti – annota Bizzoni – direi meglio le<br />

messe in guardia furono tre. Al secondo, il<br />

più vivace, credemmo che Cavallotti fosse<br />

ferito di punta al fianco destro, ma la lama<br />

lo aveva appena sfiorato. Al terzo, fulmineo,<br />

Cavallotti fu ferito di punta alla bocca. Avevo<br />

creduto che soltanto il labbro fosse offeso.<br />

Ahimè no! La lama, entrando di parecchi<br />

centimetri aveva reciso la carotide”. E il<br />

Tassi: “ Al terzo assalto si gridò l’alt essendosi<br />

visto che la puntata del Macola, data<br />

mentre egli scartava a destra, aveva colpito<br />

il Cavallotti alla bocca. Cavallotti non se ne<br />

era accorto. Fermatosi, portò la mano alla<br />

bocca e mentre chiedeva: che cosa è, gli<br />

uscì un fiotto di sangue”. Appoggiato ai<br />

padrini riuscì appena ad arrivare alla cappella.<br />

È la contessa di Cellere a dare la notizia.<br />

L’Arcangelo fiammeggiante dell’Ideale è<br />

spirato. Macola fugge e da allora non sarà<br />

più lo stesso. Nel 1910, emarginato con l’accusa<br />

di essere stato un esecutore omicida<br />

per mano di Crespi, si sparerà un colpo di<br />

pistola alla tempia sui banchi di Montecitorio.<br />

Dopo qualche mese, con la stessa<br />

arma, si suicidò anche l’ultima moglie, Lina.<br />

Il Bardo della democrazia lasciò un vuoto<br />

incolmabile. Non c’è strada, non c’è piazza<br />

in Italia che ancora non porti il suo nome.<br />

“Lugete, Ausoni, doctae lugete Camenae!”.<br />

Piangete, italiani, urlò Carducci, piangete<br />

dotte muse!<br />

Fabrizio de Marinis<br />

GIORNALI STORICI<br />

La stampa<br />

socialista<br />

di Fabrizio de Marinis<br />

Vergognose storie di schiavi bianchi, diseredati<br />

del mondo, che dalla nascita alla morte conoscevano<br />

solo la miseria. Venivano raccontate ora con<br />

toni da Scapigliatura ora con piglio rivoluzionario<br />

e anarchico inneggiante alla lotta di classe. Il<br />

Martello, Italia Operaia, il Reduce Italiano, il<br />

Becco Giallo, La Lotta, La Farfalla e poi i grandi<br />

giornali come Il Secolo, del futuro Nobel per la<br />

pace Ernesto Teodoro Moneta, Il Gazzettino<br />

Rosa, fondato nel 1867 da Achille Bizzoni e Felice<br />

Cavallotti, per citarne alcuni, La Plebe, fondata<br />

a Lodi nel 1868 da Enrico Bignami, e così salutata<br />

da Giuseppe Garibaldi il 15 giugno 1868:<br />

“Carissimo Bignami, il titolo La Plebe con cui<br />

volete fregiare il vostro giornale è molto onorevole.<br />

Dalla feudalità <strong>dei</strong> baroni a quella <strong>dei</strong> monarchi,<br />

dai “bravi” di quell’epoca ai nostri “bravi”<br />

moderni, la “Plebe” è sempre stata oppressa e<br />

oltraggiata. Propugnandone i diritti vi siete assunto<br />

una responsabilità grave. Ma vincerete, avendo<br />

da parte vostra la vera forza, la giustizia”.<br />

Giornali testimoni<br />

degli scontri di classe<br />

Testimoni di un’Italia rivoluzionaria, innovativa,<br />

proiettata nella Modernità, percorsa da fremiti intellettuali<br />

e polemiche, duelli e feroci scontri di classe<br />

o di fazioni, tra conservatori e progressisti, i giornali<br />

operai e il vasto mondo del socialismo reale che,<br />

a metà Ottocento iniziò a delinearsi nelle loro pagine,<br />

diedero finalmente un’identità, uno spazio<br />

umano dove raccontare l’oscuro patimento della<br />

fame e della disperazione, la sofferenza del dover<br />

solo chiedere lavoro, a milioni di persone. La classe<br />

operaia non era ancora nata e allora essere<br />

socialisti era un reato. Ciò nonostante gli intellettuali<br />

radicali italiani, soprattutto nella Milano <strong>dei</strong><br />

Lumi, non si lasciarono intimidire o mettere il bavaglio.<br />

Ne nacque un’epopea, con fatti di una portata<br />

enorme, come la rivoluzione del 1898 che<br />

infiammò tutta l’Italia e portò alle cannonate di<br />

Bava Beccaris sulla indifesa folla, con 80 morti ufficiali<br />

e 500 secondo i manifestanti, e migliaia di feriti<br />

per le vie di Milano. Ma si delineò anche un’epoca<br />

di profonda e variegata crescita intellettuale che<br />

segnerà per sempre l’Italia moderna.<br />

“ Parlare di “Stampa operaia” è senza dubbio<br />

improprio” - racconta lo storico Giancarlo Galli -<br />

Tutta l’area era infatti connotata da pubblicazioni<br />

non periodiche, che duravano lo spazio di qualche<br />

mese, delle quali solo una, la “Tipografia milanese”<br />

operò con periodicità regolare.Tutti gli altri giornali<br />

vicini al mondo operaio avevano una precisa<br />

connotazione politica. Innazitutto “Il Secolo”, che<br />

diventò in breve, con oltre 100 mila copie di tiratura<br />

giornaliera, il più autorevole quotidiano nazionale<br />

oltre che milanese fino al 1904, quando venne<br />

superato nelle vendite dal “Corriere della Sera”..<br />

Fondato da Edoardo Sonzogno, proprietario della<br />

maggiore tipografia milanese, repubblicano-radicale<br />

e promotore di circoli e associazioni operaie,<br />

nonostante l’ampia partecipazione di intellettuali<br />

illuministi e l’apertura sociale, questo giornale,<br />

legato alla borghesia progressista, fu sempre<br />

guardato con un certo sospetto nei circoli operai e<br />

socialisti impegnati. Il socialismo milanese ebbe<br />

poi a disposizione, sia pure in misura diversa, due<br />

altri quotidiani: “Il Gazzettino Rosa” e “La Plebe”.<br />

Cronistico e polemico il primo, più impegnato politicamente<br />

il secondo, che rappresentò l’elemento<br />

di confluenza e di coagulo del socialismo legalitario<br />

sul quale, poco alla volta, finirono con convergere<br />

anche gli anarchici di Bakunin: dal conte<br />

Carlo Cafiero allo stesso Andrea Costa, dopo che<br />

apparve evidente l’impossibilità di cambiare lo<br />

Stato con la forza. Accanto ai grandi giornali,<br />

anche se “Il Gazzettino Rosa” e “La Plebe” in verità<br />

non riuscirono mai a superare il traguardo delle 10<br />

mila copie di vendita, tant’è che chiusero dopo<br />

breve vita, ci fu comunque un fiorire di moltissime<br />

pubblicazioni, segno di una vitalità notevole”.<br />

Un’epopea ricca di profondi fermenti, propositiva e<br />

innovativa nel contempo, che seppe convogliare<br />

attraverso ricchi e battaglieri fogli di propaganda,<br />

24 (32) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


un flusso di idee inarrestabile. Una ricchezza di<br />

vaste proporzioni per la storia del giornalismo<br />

italiano che è emersa nella mostra Socialismo<br />

italiano. Cento anni di storia. Il Psi 1892-1992,<br />

organizzata lo scorso ottobre dalla Fondazione<br />

Anna Kuliscioff all’Arengario di Milano e prossimamente<br />

itinerante perché già richiesta da varie città,<br />

tra cui Mantova, Brescia, Ravenna, Bologna e<br />

Napoli. “ Nel 1875, sulla scena giornalistica milanese<br />

compaiono due quotidiani di colore acceso:<br />

“La Ragione” e “La Plebe” – racconta Paolo Murialdi<br />

in Storia del giornalismo italiano - Il primo è un<br />

foglio della sinistra radicale guidato da Felice<br />

Cavallotti, che orami è diventato il “Bardo della<br />

democrazia”, eletto due anni prima deputato e<br />

famoso per le sue sferzanti arringhe anche contro<br />

i suoi compagni di schieramento. Più significativo<br />

– anche se il tentativo ha breve durata – è il trasferimento<br />

de “La Plebe” a Milano che diventa quotidiano.<br />

Fondato a Lodi nel 1868 da Enrico Bignami,<br />

come bisettimanale, fu sottoposto ad una serie di<br />

interminabili angherie da parte delle autorità con<br />

l’inasprimento <strong>dei</strong> controlli polizieschi e degli intralci<br />

amministrativi iniziati nel 1869 e culminati nel<br />

1871 per i timori sollevati dalla Comune di Parigi.<br />

Si tratta del primo quotidiano socialista italiano.<br />

Nell’articolo di presentazione ai milanesi il 21<br />

novembre, si legge “ La nuova fase in cui è entrata<br />

anche da noi la questione politico-sociale faceva<br />

vivamente deplorare la mancanza di un organo<br />

quotidiano che, mentre ne propugnasse la soluzione,<br />

servisse d’intermediario e diremo quasi di<br />

simbolo di alleanza fra i vari gruppi che costituiscono,<br />

o costituire dovrebbero, il gran partito rivoluzionario<br />

italiano”.<br />

Nell’arco di una giornata<br />

sospesi cento giornali<br />

Ma La Plebe ebbe vita dura, significativa del clima<br />

che regnava in quei tempi dove, spesso, l’arma del<br />

sequestro serviva a mettere in crisi i giornali radicali<br />

e di opposizione alla monarchia. Uno <strong>dei</strong> casi<br />

più eclatanti accadde proprio a Milano nel 1862.<br />

L’Unità italiana, giornale mazziniano, fu praticamente<br />

costretto alla serrata perché erano più le<br />

volte che rimaneva sequestrato in tipografia che<br />

quelle in cui riusciva ad uscire. “ Dopo aver tentato<br />

di impedire la comparsa della Plebe a Milano –<br />

continua Paolo Murialdi - il prefetto e il questore la<br />

tartassarono con frequenti sequestri e denunce.<br />

Per questo motivo, per la debolezza politica e<br />

sindacale del mondo operaio e per la mancanza<br />

di mezzi (“il Bignami non possiede beni di fortuna”<br />

riconosce un rapporto della polizia) Bignami e<br />

Osvaldo Gnocchi Viani, principale articolista, devono<br />

rinunciare dopo tre mesi e mezzo a uscire tutti<br />

i giorni. La Plebe continua fino al 1882: in sedici<br />

anni di vita colleziona venti sequestri e ottantasei<br />

processi.” Ma il clima di quei tempi era così e i<br />

rapporti tra le autorità e il movimento intellettuale<br />

liberale, repubblicano e socialista erano da vera<br />

guerra civile. Basti pensare che la notte stessa<br />

delle cannonate di Bava Beccaris, il 7 maggio<br />

1898, furono arrestati in un sol colpo Fillippo Turati,<br />

Andrea Costa, Leonida Bissolati, il giornalista<br />

Carlo Romussi, Paolo Valera, De Andreis, Nofri,<br />

Morgari, Chiesi, Anna Kuliscioff e don Davide<br />

Albertario. Nell’arco di 24 ore furono soppressi tutti<br />

i circoli socialisti e repubblicani e furono sospesi un<br />

centinaio di giornali tra cui Il Secolo, l’Italia del<br />

Popolo, Lotta di Classe, Il Mattino e L’Osservatore<br />

Cattolico. L’accusa: “aver oltraggiato le istituzioni,<br />

combattuta la Monarchia e suscitato l’odio di classe”.<br />

Il Secolo ritornò in edicola solo dopo tre mesi,<br />

a settembre, un sabato, con una tiratura di 400<br />

mila copie, salutato da una folla di oltre 500 mila<br />

milanesi festanti. Anche il partito clericale fu bersagliato<br />

dalla reazione: furono infatti sospesi 70 comitati<br />

diocesani, 2500 comitati parrocchiali e 3000<br />

associazioni cattoliche legate all’Opera <strong>dei</strong><br />

Congressi. Numerosi socialisti, tra cui Ettore<br />

Ciccotti e Arturo Labriola, ripararono in Svizzera e<br />

dai tribunali militari in rito da corte marziale furono<br />

inflitte gravi condanne. L’onorevole De Andreis fu<br />

condannato a 12 anni di reclusione, l’onorevole<br />

Pescetti a 10 anni, Carlo Romussi a 5 anni e tre<br />

mesi, Don Albertario a 3 anni, Paolo Valera a 5<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

I giornali radicali e operai tra la metà<br />

dell’Ottocento e i primi anni del Novecento<br />

cambiarono definitivamente il volto<br />

della nazione ed emanciparono la classe<br />

operaia.<br />

Il Secolo, La Plebe, il Gazzettino Rosa, il<br />

Martello, La Farfalla, Lotta di Classe, Tito<br />

anni e sei mesi, Costantino Lazzeri a un anno, la<br />

Kuliscioff a 2 anni di detenzione, Turati, in difesa<br />

del quale testimoniò Edmondo De Amicis, fu<br />

condannato, come De Andreis a 12 anni di reclusione.<br />

Benché molti dirigenti del Partito socialista<br />

fossero estranei all’organizzazione <strong>dei</strong> tumulti, che<br />

in molti casi erano nati spontaneamente mossi<br />

dalla fame come le disorganizzate tipiche rivolte<br />

contadine, il governo e gran parte della stampa filogovernativa<br />

(dopo i tumulti del 1898 non ne esisteva<br />

altra) sostennero la tesi opposta, accreditando<br />

presso l’opinione pubblica che i tumulti erano stati<br />

organizzati da associazioni sovversive di sinistra.<br />

Bissolati, ad esempio, che era stato arrestato e<br />

scontò pure due mesi in carcere, al processo riuscì<br />

a dimostrare che in quei giorni <strong>dei</strong> tumulti non era<br />

né a Milano e nemmeno in Italia. La repressione<br />

raggiunse livelli così alti e di tale veemenza contro<br />

la stampa e il mondo <strong>dei</strong> giornali, socialisti, operai<br />

e di area, in modo particolare, che a Roma, l’11<br />

maggio 1898, furono arrestati in una sola volta tutti<br />

i redattori dell’Avanti!, il giornale socialista fondato<br />

nella capitale, il 25 dicembre del 1896, e diretto da<br />

Leonida Bissolati. Il 12 maggio fu chiusa anche<br />

l’Università per impedire la commemorazione <strong>dei</strong><br />

morti e le manifestazioni di solidarietà con i fatti di<br />

Milano, Pavia, Firenze e Napoli.<br />

Siamo d’altronde nel pieno dell’innovazione epocale.<br />

L’Italia sta entrando nella Modernità e i conflitti<br />

di classe sono vastissimi e profondi. Il dinamismo<br />

produttivo e un radicale processo di trasformazione<br />

ed ammodernamento delle risorse tecnologiche,<br />

costituirono il tratto distintivo dell’economia<br />

milanese, rappresentativa dello sforzo economico<br />

del paese, degli ultimi decenni dell’Ottocento, dove<br />

andava affermandosi con forza una borghesia<br />

progressista ed innovativa. Gli investimenti nelle<br />

industrie tessili, meccaniche, chimiche e poligrafiche<br />

collocavano la città più europea dell’Italia del<br />

tempo, al centro di uno straordinario processo di<br />

trasformazione e di crescita economica. Negli anni<br />

che vanno dal 1880 al 1890 Milano diventa punto<br />

nevralgico del sistema bancario e assicurativo<br />

italiano. La “capitale morale” fu punto di attrazione<br />

anche degli imprenditori stranieri come Falck,<br />

Mylius, Bauer, Richard, che richiamarono denaro<br />

e grandi iniziative. Nomi come Pirelli, Breda si affermarono<br />

a Milano, mentre a Torino emergeva la<br />

famiglia Agnelli. I nuovi capitali venivano attratti<br />

soprattutto dalla carta stampata, e i nuovi industriali,<br />

molti <strong>dei</strong> quali progressisti ed illuminati, investirono<br />

ingenti capitali nel giornalismo, con le case<br />

editrici gestite sulla base di nuovi ed aggiornati<br />

criteri imprenditoriali. Nel 1892 l’industria poligrafica<br />

si collocava al terzo posto per numero di addetti<br />

ed era ancora in una fase di espansione. Undici<br />

quotidiani tra cui La Perseveranza, Il Secolo e il<br />

Corriere della Sera, nonché un’attivissima attività<br />

tipografica, svolta da piccole e piccolissime imprese,<br />

collegata alla stampa di libri e materiali cartacei<br />

di propaganda e per l’industria, sviluppavano<br />

lavoro e benessere.<br />

Scrittori professionisti, giornalisti “militanti”, autori di<br />

teatro e intellettuali impegnati erano gli artefici di<br />

una fervida attività culturale, costruita su una fitta<br />

trama di relazioni e d’iniziative.<br />

Anni di tumulti, di lotte<br />

e di grandi conquiste<br />

È questo il clima dove il crescente numero di giornali<br />

operai e di area cerca di farsi strada e attecchisce.<br />

“ Ci troviamo in una delle fasi più importanti<br />

per la nascita <strong>dei</strong> movimenti democratici italiani –<br />

sostiene Walter Galbusera, segretario della Uil milanese<br />

– avvenimenti di portata epocale che segnarono<br />

l’ingresso dell’Italia nel mondo Moderno. La<br />

base e le radici del movimento socialista, laico e<br />

liberaldemocratico nel nostro paese. Anni di tumulti<br />

e lotte di incredibile forza. Anni che andrebbero<br />

ristudiati e rivissuti per ritrovare la memoria. C’è un<br />

filo continuo tra repressione ed evoluzione. Non a<br />

caso la fase risorgimentale, che con i principi di<br />

libertà, eguaglianza, innovazione, crescita della<br />

qualità del lavoro e <strong>dei</strong> rapporti tra padroni ed<br />

operai, impose una svolta sostanziale alla storia<br />

del nostro paese, trovò come contraltare atti repressivi<br />

gravissimi come quelli che portarono alle<br />

Vezio, Critica Sociale e Avanti furono<br />

bandiere d’innovazione e di battaglia.<br />

Quell’epoca di grandi mutamenti è stata<br />

ripercorsa nella rassegna “Cento anni di<br />

storia del socialismo italiano (il Psi 1892-<br />

1992)” promossa dalla Fondazione Kuliscioff<br />

all’Arengario di Milano<br />

Storie di schiavi bianchi<br />

nell’Italia appena unita<br />

cannonate di Bava Beccaris e alle rivolte del 1898.<br />

Certo allora la grande molla fu la fame, ma era<br />

come se si raccogliessero i frutti di decenni di lotte<br />

illuministiche, socialiste e democratiche, poi nuovamente<br />

fermate con il fascismo. La continuazione di<br />

quei valori risorgimentali riprese, in certo qual<br />

modo, nel dopoguerra, con i grandi movimenti di<br />

solidarietà che hanno costituito la storia della lotta<br />

di classe in Italia. Allora si sviluppò un movimento<br />

innovativo che fu trasversale in tutte le classi e che<br />

determinò anche la nascita di una borghesia<br />

progressista, coraggiosa e riformista, nel segno di<br />

una nuova modernità. Prendiamo, ad esempio<br />

della qualità di certe pubblicazioni progressiste e<br />

vicine al mondo operaio, che furono sostanziali ed<br />

importantissime per diffondere idee e creare solidarietà<br />

e relazioni, giornali come la “Vita internazionale”<br />

del premio Nobel ErnestoTeodoro Moneta,<br />

che era, allora, ben superiore per la qualità degli<br />

interventi al New York Times, con firme del calibro<br />

di Tolstoj e <strong>dei</strong> migliori enomisti europei del tempo”.<br />

«L’avvenire operaio<br />

è opera degli operai»<br />

Ecco allora Il Martello, settimanale fondato nel<br />

1872 da Vincenzo Pezza, un collaboratore del<br />

Gazzettino Rosa, che si pone come portavoce del<br />

Circolo Operaio di Milano, una sezione socialista<br />

nata da poco in stretta corrispondenza con l’Internazionale<br />

londinese di Marx ed Engels. Il suo esordio,<br />

il 4 gennaio 1872, è caratterizzato dal sequestro<br />

della pubblicazione. Italia Operaia, esce nel<br />

1880, quando già c’è nell’aria l’allargamento del<br />

suffragio elettorale e la costituzione del Partito<br />

Operaio. Il programma del giornale si fonda su<br />

queste dichiarazioni: “L’avvenire operaio è opera<br />

puramente degli operai. Il nostro scopo principale<br />

è l’emancipazione intellettuale ed economica <strong>dei</strong><br />

lavoratori.” La Rivista internazionale del Socialismo,<br />

merita di essere ricordata, anche se non<br />

andò mai alle stampe, perché rappresenta proprio<br />

un segno <strong>dei</strong> tempi e del clima nel quale molti giornalisti<br />

e tipografi dovevano lavorare. In via Cappellari,<br />

a Milano stavano lavorando al progetto,<br />

Andrea Costa e Anna Kuliscioff, quando vi fu<br />

un’improvvisa irruzione della polizia che sequestrò<br />

manoscritti e bozzoni di stampa arrestando i due<br />

socialisti. Il Reduce Italiano, esce nel 1880, ma non<br />

riuscirà mai a far parlare di sé più che tanto. Molto<br />

significativo per il livello dello scontro di classe allora<br />

in atto è La Lotta che esce il primo luglio 1870 e<br />

si definisce subito “La voce della canaglia” e dichiara<br />

nelle prime righe di un editoriale di fuoco “ La<br />

Lotta scende in campo armata di zappone a<br />

demolire il putrescente edificio. Non rispetterà né<br />

istituzioni, né uomini, né partiti per quanto venerabili,<br />

destre, sinistre, preti, repubblicani, ambiziosi<br />

farabutti che si contendono a date ore il potere, la<br />

prebenda, la croce, verranno da noi ridotti malconci<br />

e pesti. Porterà in piazza vizi, turpitudini, miseria,<br />

odi, dolori, ire, lacrime, vendete, maledizioni,<br />

trionfi, disfatte”. Il giornale Tito Vezio, che esce a<br />

Milano nell’agosto del 1880 al quarto piano di via<br />

Cesare Beccaria, diretto da Cesare Cova, dirigente<br />

dell’associazione “I figli del Lavoro”, viene salutato<br />

così in una lettera, del 30 agosto, scritta da<br />

Giuseppe Garibaldi, ad uno <strong>dei</strong> suoi redattori,<br />

l’operaio Cappello. “Caro Cappello, Tito Vezio<br />

significa emancipazione degli schiavi bianchi. Io<br />

saluto di cuore i militi della Liberazione”. Da ricordare<br />

anche La Farfalla, perché fondata a Milano, il<br />

16 aprile del 1882, da Filippo Turati. A questi seguiranno<br />

a ritmo continuo altre decine di pubblicazioni<br />

come L’Avvenire <strong>dei</strong> Lavoratori, Il Becco Giallo di<br />

Alberto Giannini, Libertà, il bollettino d’informazione<br />

Italia, di Filipo Turati, Non Mollare, L’asino,<br />

L’Avanguardia, il giornale della gioventù socialista<br />

italiana, La Voce d’Italia, Il Quarto Stato, rivista<br />

socialista di cultura politica, Il Lavoro di Genova,<br />

Lotta di Classe, nato nel 1892, Pasquino, uscito a<br />

Torino, nel 1902, La Sera, il Fascio <strong>dei</strong> Lavoratori,<br />

uscito nel 1894 e forse il più importante, per quanto<br />

attiene il livello di dibattito ideologico e politico,<br />

Critica Sociale, fondata da Filippo Turati nel 1891.<br />

Giornali che hanno segnato un’epoca e che<br />

rappresentano le radici della democrazia italiana.<br />

Fabrizio de Marinis<br />

25 (33)


CENTENARI<br />

Vigevano<br />

ricorda<br />

Besozzi<br />

Vigevano, 5 dicembre 2003. Quando<br />

Bernardo Valli ha preso la parola dal palco<br />

del teatro Cagnoni nella serata in ricordo di<br />

Tommaso Besozzi, giornalista-principe originario<br />

di Vigevano, la platea ha capito che le<br />

sue parole ne avrebbero tracciato il ritratto<br />

più vicino alla realtà.<br />

Sapeva che si stava andando oltre il ricordo<br />

di maniera, e che dalle parole dell’editorialista<br />

di Repubblica non sarebbe uscita una<br />

riflessione sul giornalismo d’inchiesta o sul<br />

cambiamento <strong>dei</strong> media.<br />

Argomenti, questi, lasciati da Valli a Ferruccio<br />

de Bortoli, ex direttore del Corriere della<br />

Sera, a Massimo Fini giornalista e scrittore,<br />

al caporedattore di Sette Antonio D’Orrico, e<br />

ad Enrico Mannucci coordinatore della serata<br />

e autore di una biografia di Besozzi. Valli<br />

conobbe Tommaso Besozzi, con lui lavorò al<br />

Giorno e lo incontrò poco prima che si<br />

togliesse la vita, quando ormai il suo stato di<br />

depressione ne aveva minato la voglia di<br />

scrivere e di vivere.<br />

“L’ultima volta che ho incontrato Tommaso –<br />

ha cominciato a raccontare l’editorialista di<br />

Repubblica pescando nella propria memoria<br />

– eravamo a Roma. Lui era dall’altra parte<br />

della strada. Aveva la solita andatura e i<br />

vestiti più in disordine del solito”.<br />

Valli ha rammentato poi gli anni trascorsi con<br />

Besozzi al Giorno, quando il grande cronista<br />

vigevanese scriveva in una stanzina al primo<br />

piano in via Settala. “Lui stava davanti alla<br />

macchina da scrivere con il pavimento attorno<br />

cosparso di fogli appallottolati”.<br />

Per Besozzi lo scrivere da sempre costituiva<br />

fatica. Non fu mai giornalista dalla<br />

penna facile. Provava e riprovava, accartocciando<br />

fogli e buttandoli via dopo due<br />

righe, prima di trovare il giusto attacco.<br />

“Quando dovette occuparsi dell’esondazione<br />

del Po – continua Valli – perse un intero<br />

Il “Codice” di Abruzzo e un<br />

articolo di Giovanni Rossi<br />

Pubblichiamo la lettera che il presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia ha indirizzato a Michele Urbano, direttore di <strong>Giornalisti</strong><br />

(mensile degli enti di categoria).<br />

Giovanni Rossi, nel pur pregevole articolo sull’esame di Stato (<strong>Giornalisti</strong>, n.<br />

5/2003), esprime “il suo stupore per aver trovato testi nei quali si critica e si<br />

polemizza con il contenuto del contratto di lavoro Fnsi-Fieg”. Si riferisce al<br />

mio manuale “Codice dell’Informazione” (Centro di documentazione giornalistica,<br />

Roma aprile 2003). Rossi aggiunge: “Ognuno può far giungere la<br />

propria propaganda a chi vuole, ma certo questa non può essere veicolata<br />

come testo tecnico consigliato per un esame professionale”.<br />

Giovanni Rossi, ne sono sicuro, non ha sfogliato i due volumi (per 2607 pagine).<br />

Il codice dedica al contratto l’intera parte V (che racchiude 16 paragrafi<br />

dedicati a leggi, regolamenti e statuti) nonché il paragrafo 10 della parte VII<br />

(da pagina 1642 a pagina 1816). Il paragrafo 10 (<strong>Giornalisti</strong>, leggi <strong>dei</strong> media,<br />

contratto, previdenza) in 65 domande spiega questi argomenti: il contratto di<br />

lavoro; le leggi sull’editoria e sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato; le<br />

regole Fnsi, Inpgi, Casagit, Fondo pensionistico integrativo; il giornalismo<br />

on-line e gli uffici stampa nella pubblica amministrazione. Il paragrafo è arricchito<br />

con cinque mie analisi pubblicate tutte su riviste giuridiche. Il paragrafo<br />

10 alla domanda 577 ha un titolo eloquente (“Commenti e analisi della Fnsi<br />

sul nuovo Contratto 2001-2005”) e si sviluppa da pagina 1654 a pagina<br />

1671 (quindi per ben 17 pagine). In sostanza sul contratto ho pubblicato per<br />

intero i commenti e le analisi della Fnsi tratti dal sito www.fnsi.it. Offro, quindi,<br />

ai praticanti giornalisti non una lettura, ma più letture critiche con l’aggiunta<br />

di una ricerca giurisprudenziale di 41 pagine (1775-1816) sugli istituti<br />

contrattuali e previdenziali.<br />

In conclusione ribadisco che Giovanni Rossi non ha sfogliato il mio manuale,<br />

che è completo, esaustivo, pluralista e di livello scientifico, frutto di una ricerca<br />

trentennale. Vivo il giornalismo come “informazione critica”.<br />

Grazie per l’ospitalità, cordialità<br />

prof. Francesco Abruzzo<br />

Premiati<br />

due<br />

studenti<br />

che<br />

hanno<br />

approfondito<br />

la figura<br />

del<br />

giornalista<br />

pomeriggio alla ricerca della frase precisa<br />

pronunciata dall’ingegnere mandato dal<br />

Tribunale del Po’, per l’attacco. Solo in<br />

serata si decise a scegliere un altro inizio<br />

per il proprio articolo”.<br />

Una precisione quasi maniacale, la ricerca<br />

della verità a tutti i costi e la voglia di andare<br />

sempre sul posto, hanno fatto di Besozzi un<br />

giornalista atipico per il proprio tempo e<br />

incollocabile nella schiera <strong>dei</strong> cronisti di oggi.<br />

La televisione, i telefoni e i nuovi media<br />

hanno contribuito a far scomparire queste<br />

figure, delle quali pure si avverte ancora<br />

bisogno. “L’eredità di Besozzi – ha commentato<br />

Ferruccio de Bortoli – è quella di un<br />

grande inviato, una figura eccentrica che<br />

cerca di scoprire le linee, che stanno sotto<br />

gli avvenimenti. Le tante piccole e grandi<br />

storie che ha raccontato hanno offerto un<br />

prezioso spaccato della storia d’Italia del<br />

dopoguerra”. L’osservazione per le piccole<br />

“Basta con i viaggi<br />

della speranza”<br />

Abbiamo ricevuto la lettera che segue da un praticante. Le considerazioni<br />

e le esperienze vissute ripropongono una serie di interrogativi<br />

sulla professione che meritano ampie riflessioni.<br />

Caro presidente,<br />

sono reduce dalla prova scritta dell’esame da giornalista<br />

professionista svoltasi il 31 ottobre a Roma. Le<br />

scrivo perché il punto è proprio questo: le sembra<br />

normale che per sostenere un esame di abilitazione<br />

professionale si debba andare a Roma? Perché non<br />

è ancora possibile sostenere questo esame nelle sedi<br />

degli Ordini regionali?<br />

La mia lettera potrebbe avere in coda centinaia di<br />

firme, quelle di tutti i colleghi che da Torino a Palermo,<br />

ad ovvia eccezione <strong>dei</strong> laziali, hanno dovuto raggiungere<br />

Roma per svolgere la prova. All’unanimità siamo<br />

convinti che tale regola sia un’assurdità. Siamo in<br />

piena epoca federalista, poteri ben più importanti<br />

stanno passando nelle mani delle Regioni e noi, aspiranti<br />

giornalisti professionisti, dobbiamo ancora fare il<br />

“ viaggio della speranza” a Roma per prendere un titolo?<br />

Quello che abbiamo appena fatto non è un<br />

concorso, non vinceremo nessun posto di lavoro.<br />

Eppure, a molti questo viaggio ha ricordato quei<br />

concorsi degli anni ‘80 e ‘90, quando l’Ergife si riempiva<br />

di aspiranti impiegati al ministero delle Finanze o<br />

alle ex Poste e Telecomunicazioni.<br />

In termini economici questo esame è già abbastanza<br />

proibitivo. Sinora abbiamo speso ben oltre i mille euro<br />

tra tasse, libri e seminario. E, dulcis in fundo, abbiamo<br />

dovuto aggiungere il costo del viaggio e quello dell’<br />

albergo (Ergife) dove una camera singola, per una<br />

Vigevano. L’immagine che ne dà chi lo ha conosciuto è quella<br />

di un uomo schivo e lontano dai riflettori. Tommaso Besozzi<br />

non fu mai sicuro delle proprie capacità di cronista né<br />

riuscì mai a sopportare la fama. Anche per questi motivi la<br />

sua figura è stata quasi totalmente dimenticata. L’Associazione<br />

<strong>dei</strong> giornalisti vigevanesi “Giancarlo Rolandi” ha deciso di<br />

rendere omaggio, nel centenario della sua nascita, al giornalista<br />

e scrittore nato a Vigevano, promuovendo un convegno<br />

tenutosi venerdì 5 novembre al teatro Cagnoni e dedicandogli<br />

un’intera sezione del sito internet (www.assorolandi.it). Vi<br />

saranno pubblicati le ricerche di Laura Mattioli e Andrea<br />

Ballone, due studenti di sociologia dell’Università di Milano<br />

Bicocca. Laura Mattioli ha realizzato nell’ambito del corso di<br />

Storia del giornalismo, tenuto dal professor Franco Abruzzo,<br />

una ricerca sul giornalismo di inchiesta con particolare attenzione<br />

al caso della morte del bandito Giuliano trattato da<br />

Tommaso Besozzi. Andrea Ballone, invece, nella propria tesi<br />

di laurea in Storia del giornalismo, con relatore il professor<br />

Franco Abruzzo, ha analizzato i vari aspetti del giornalismo<br />

della Lomellina, dedicando un capitolo all’inviato dell’Europeo<br />

e del Giorno. Entrambi gli studenti sono stati premiati<br />

dagli organizzatori del convegno nell’ambito del convegno<br />

per ricordare Tommaso Besozzi.<br />

“Il più grande inviato degli anni 50”<br />

cose e l’attenzione quasi maniacale per i<br />

particolari erano tra le caratteristiche di<br />

Tommaso Besozzi, considerato “il più scrittore<br />

tra i giornalisti” pur avendo pubblicato un<br />

solo libro.<br />

Su questo punto si è soffermato Massimo<br />

Fini che lo ha definito “uno scrittore che<br />

aveva bisogno della cronaca” facendo eco al<br />

ritratto conclusivo di Tommaso Besozzi che<br />

ha tracciato Bernardo Valli: “Era un prigioniero<br />

della realtà e della cronaca cui è rimasto<br />

fedele. In tutti i suoi reportage c’è sempre il<br />

gusto del racconto”. Della cronaca e del<br />

racconto Besozzi in un certo senso è rimasto<br />

realmente prigioniero.<br />

È successo quando il suo valore di giornalista<br />

fu universalmente riconosciuto. Fu lì che<br />

trovò sempre meno argomenti ai quali interessarsi,<br />

che non riuscì più a riempire le<br />

pagine, cadendo nel baratro della depressione<br />

che lo condusse al suicidio. A.B.<br />

sola notte, costa 115 euro. Stiamo scherzando? Il<br />

problema si potrebbe risolvere in un attimo facendo<br />

diventare sedi d’esame gli Ordini presenti in ogni<br />

capoluogo di regione. Inoltre gli Ordini regionali<br />

potrebbero disporre di un numero di computer sufficienti<br />

da far usare per la prova scritta. Ciò eviterebbe<br />

anche la circolazione “giurassica” della macchina per<br />

scrivere. Avere a disposizione 700 computer è certamente<br />

più difficile che averne 10 o al massimo 20.<br />

Stessa logica si potrebbe applicare al seminario.<br />

Perché per prepararsi all’esame da professionista si<br />

è costretti ad andare a Fiuggi? Perché gli Ordini regionali<br />

non organizzano corsi in completa autonomia<br />

come fa già la Lombardia? In Puglia abbiamo meno<br />

forze giornalistiche capaci di sostenere un seminario<br />

di preperazione per un esame di abilitazione professionale?<br />

Io non credo che le cose stiano in questi termini,<br />

credo solo che Roma non voglia mollare lo scettro di<br />

“caput mundi”, singolarità che le riconosciamo a livello<br />

storico ma non certamente per un esame di Stato.<br />

Con apposite riforme e con un rapporto più diretto<br />

con gli Ordini regionali anche questo esame potrebbe<br />

umanizzarsi.<br />

Dalla Puglia alla Sicilia, dal Piemonte all’Emilia, dalla<br />

Sardegna al Friuli, passando per tutte le restanti<br />

regioni italiane (Lazio esclusa), la richiesta è unica<br />

“BASTA AI VIAGGI DELLA SPERANZA”!<br />

26 (34) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


Paolo Gussoni<br />

Un amore impari<br />

di Carmen Del Vecchio<br />

Fin dove può arrivare lo stato<br />

lirico di un poeta che vuole<br />

esprimere in versi la propria<br />

relazione con la figura paterna?<br />

Fino a dire. “Riduttivo/<br />

pensarti padre, genitore: / eri<br />

migliore”. Come fa Paolo<br />

Gussoni in una sua raccolta<br />

di liriche dedicate a suo padre.<br />

I pensieri dell’autore si<br />

snodano con un linguaggio<br />

estremamente semplice e accessibile<br />

addirittura prosastico<br />

in molti versi tesi a riprodurre<br />

una quotidianità borghese<br />

in cui era immersa l’adolescenza<br />

e la giovinezza di<br />

Gussoni, come quando pensa<br />

al padre che parla “con la<br />

mia compagna di classe<br />

Francesca Forino/ quella che<br />

suonava il violino”.<br />

Non mancano comunque interessanti<br />

figure poetiche e rime<br />

dal tenore assai musicale:<br />

“Eri dotto, invadente./ Intervenivo<br />

raramente”.<br />

Da rilevare anche l’ispirazione<br />

autobiografica nei versi sciolti<br />

che rievocano l’amore del pa-<br />

Vito Antonio Leuzzi<br />

Bari 28 luglio 1943 –<br />

Memoria di una strage<br />

di Massimiliano Ancona<br />

Avrebbero voluto festeggiare<br />

la fine del regime e incontrare<br />

gli intellettuali antifascisti, come<br />

Tommaso Fiore, Giulio<br />

Butticci, Giuseppe Laterza, direttore<br />

della libreria omonima,<br />

«e numerosi giovani esponenti<br />

del gruppo liberal-socialista»,<br />

che quel giorno sarebbero<br />

stati scarcerati.<br />

Morirono in via Niccolò<br />

dell’Arca, colpiti dai soldati e<br />

dagli squadristi. Morirono in<br />

venti a Bari. Forse ventitré - la<br />

verità, a 60 anni dall’accaduto,<br />

è ancora sconosciuta - la mattina<br />

del 28 luglio 1943.<br />

Cioè tre giorni dopo la caduta<br />

della dittatura fascista e l’arresto<br />

di Benito Mussolini per ordine<br />

del re Vittorio Emanuele<br />

III. Fra le vittime, un ragazzo di<br />

15 anni e Graziano Fiore, figlio<br />

di Tommaso, che aveva compiuto<br />

18 anni quattro mesi prima.<br />

I feriti furono trentotto. Fra<br />

loro, un bambino di 8 anni e<br />

Fabrizio Canfora, che sarebbe<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

dre per la musica, i grandi interpreti<br />

del pianoforte e la sua<br />

padronanza della cultura e<br />

dell’esperienza musicale.<br />

Per questo nel lettore può<br />

sorgere un forte disappunto<br />

nei versi di chiusura dove<br />

Gussoni si dichiara stanco di<br />

un riciclare senza senso.<br />

“Voglio qualcosa di eterno per<br />

la mia esistenza”.<br />

Parlando tuttavia della figura<br />

del padre nella poesia italiana<br />

non si può non pensare ad un<br />

grande ermetico del ‘900:<br />

Camillo Sbarbaro.<br />

In due celeberrime liriche<br />

Sbarbaro si rivolse al padre<br />

dicendogli: “Padre, se anche<br />

tu non fossi mio padre”…<br />

“Padre che muori tutti i giorni<br />

un poco”, con un linguaggio<br />

apparentemente molto più<br />

umile di quello di Gussoni per<br />

la semplicità delle scene rievocate<br />

ma destinate a vera<br />

immortalità per la sua forza<br />

trascendente.<br />

Paolo Gussoni,<br />

Un amore impari,<br />

Edizioni Libroitaliano Poeti<br />

Italiani Contemporanei,<br />

pagine 56, euro 9,29<br />

diventato uno <strong>dei</strong> maggiori<br />

esponenti del partito comunista.<br />

Morirono o furono feriti<br />

perché il fascismo – di fatto –<br />

non era ancora terminato.<br />

Morirono o furono feriti perché<br />

«salvaguardare gli interessi di<br />

casa Savoia e garantire la<br />

continuità dello Stato furono i<br />

princìpi ispiratori delle forze<br />

monarchico-badogliane nei<br />

quarantacinque giorni che separarono<br />

il 25 luglio dall’8 settembre»,<br />

giorno in cui venne<br />

reso noto l’armistizio con le<br />

forze angloamericane.<br />

Morirono o furono feriti perché<br />

i soldati applicarono alla lettera<br />

il decreto del generale<br />

Mario Roatta del 26 luglio<br />

1943 - ma ispirato dal maresciallo<br />

Pietro Badoglio, nuovo<br />

capo del governo – nel quale<br />

era scritto: «È fatto tassativo<br />

divieto di riunione in pubblico<br />

di più di tre persone, di tenere<br />

in locali chiusi adunate, manifestazioni,<br />

conferenze… Le<br />

truppe, le pattuglie, gli agenti<br />

della forza pubblica e dell’ordi-<br />

LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Goffredo Giovannetti<br />

Magnus<br />

di Vito Soavi<br />

Quando sono arrivato alla<br />

conclusione del romanzo di<br />

Giovannetti, a pagina 315, mi<br />

è dispiaciuto di non trovarne<br />

altrettante, da leggere, come<br />

le prime, tutte di un fiato.<br />

Perché la storia del conto cifrato<br />

Magnus depositato alle<br />

isole Cayman è affascinante<br />

e coinvolgente, e fa emergere<br />

le doti di cronista di classe<br />

dell’autore, che dalla realtà<br />

sa cogliere tutti gli spunti di<br />

fantasia, necessari a cucire<br />

una vicenda di sorprendente<br />

realismo.<br />

Partendo da un’inchiesta sui<br />

lavoratori schiavi del nazismo,<br />

ne, comunque alle mie dipendenze,<br />

sono incaricati della<br />

imposizione, occorrendo anche<br />

con le armi… Nella situazione<br />

attuale col nemico che<br />

preme, qualunque perturbamento<br />

dell’ordine pubblico anche<br />

minimo, et di qualsiasi tinta,<br />

costituisce tradimento et<br />

può condurre, ove non represso<br />

at conseguenze gravissime;<br />

qualunque pietà e qualunque<br />

riguardo nella repressione<br />

sarebbe pertanto delitto.<br />

Poco sangue versato inizialmente<br />

risparmia fiumi di sangue<br />

in seguito. Perciò ogni<br />

movimento deve essere<br />

stroncato in origine…». Così<br />

fu a Bari il 28 luglio del ‘43.<br />

Questo episodio «può considerarsi<br />

la prima strage<br />

dell’Italia all’indomani del crollo<br />

della dittatura e può aiutare a<br />

comprendere i pesanti condizionamenti<br />

del vecchio apparato<br />

statuale nel processo di<br />

transizione dal fascismo al dopo-fascismo»<br />

scrive lo storico<br />

e giornalista Vito Antonio<br />

in un futuribile anno 2009, che<br />

si conclude con uno spietato<br />

assassinio, l’autore ci trasporta,<br />

attraverso una fittissima rete<br />

di eventi e di capovolgimenti,<br />

ad un ricatto atomico all’Europa,<br />

finanziato da uno<br />

sceicco di Hamas, per detronizzare<br />

il suo avversario, il re<br />

dell’Arabia Saudita.<br />

Tutto viene narrato in modo<br />

perfettamente coerente, chiamando<br />

alla ribalta e coinvolgendo,<br />

di volta in volta, il fondamentalismo<br />

islamico, il servizio<br />

israeliano Mossad, la<br />

Jihad, e tutti i servizi di intelligence<br />

delle potenze mondiali<br />

in eterna lotta per il possesso<br />

della principale fonte energetica,<br />

il petrolio.<br />

Luciano Vaccaro e Claudio Stroppa<br />

Ora et labora. Le comunità religiose<br />

nella società contemporanea<br />

di Margherita Santagostino<br />

Il volume contiene gli atti del<br />

Convegno omonimo tenutosi<br />

presso l’Abbazia di Chiaravalle<br />

nel settembre 2002, promosso<br />

oltre che dalla stessa<br />

Fondazione Ambrosiana Paolo<br />

VI, dall’Università di Pavia e<br />

dall’Università Cattolica di Milano,<br />

da Banca Intesa, dalla<br />

Fondazione Cariplo, dal Comune<br />

e dalla Provincia di<br />

Milano e dalla Regione Lombardia.<br />

Esso è diviso in due<br />

parti: la prima curata da Luciano<br />

Vaccaro, segretario generale<br />

della Fondazione Ambrosiana<br />

Paolo VI, divisa in quattro<br />

sezioni, ognuna indicata<br />

da una frase di san Benedetto,<br />

e vi partecipano sociologi,<br />

filosofi della politica e della<br />

scienza, storici, psichiatri e<br />

diversi giuristi; la seconda<br />

parte è curata dal prof. Claudio<br />

Stroppa, sociologo del<br />

territorio dell’Università di<br />

Pavia ed ideatore del Convegno<br />

in cui sono presenti con<br />

saggi padre Giovanni Spinelli,<br />

storico del monachesimo dell’Abbazia<br />

di Pontida (Bg) e<br />

Maria Antonietta Crippa, storica<br />

dell’architettura del Politecnico<br />

di Milano, lo stesso prof.<br />

Stroppa con un saggio sul<br />

rapporto tempo-spazio e il<br />

monastero e una serie di<br />

schede in cui vengono illustrati<br />

monasteri benedettini e<br />

cistercensi - “le case madri<br />

degli ordini”, in Italia (ad es.<br />

Montecassino), in Francia (ad<br />

es. Beuron), in Austria (ad es.<br />

Kremsmunster) e in Spagna<br />

(ad es. Montserrat). Essendo il<br />

volume ricco di splendide fotografie,<br />

ne risulta una splendida<br />

poderosa opera, degna di<br />

un collezionista di libri d’arte (il<br />

prezzo è di 25 euro più spese<br />

di spedizione). Perché un lavoro<br />

a più specializzazioni sul<br />

monachesimo? Se da una<br />

parte esistono ottimi volumi<br />

sulla storia del monachesimo<br />

(ad es. padre Penco, lo stesso<br />

padre Spinelli, il prof. Picasso,<br />

benedettino docente dell’Università<br />

Cattolica di Milano), un<br />

dibattito interculturale sul ruolo<br />

del monachesimo rappresenta<br />

una novità. San Benedetto<br />

con la sua Regola ha introdotto<br />

in Europa (di cui è patrono)<br />

un nuovo modo di vivere nelle<br />

comunità monastiche: Ora et<br />

Labora non è solamente un<br />

nuovo modo di vivere la fede,<br />

ma per le stesse Università<br />

che sorgeranno sette secoli<br />

dopo (le prime in Italia a Bologna<br />

e Padova) fornisce la<br />

conservazione di importanti<br />

libri, scritti e documenti, per cui<br />

il monachesimo, specie nell’Alto<br />

Medioevo, ha significato<br />

la cultura. Non solo,- e l’Abbazia<br />

di Chiaravalle lo attesta- i<br />

monaci erano grandi costruttori<br />

e architetti e attiravano<br />

pittori e scultori per abbellire i<br />

Leuzzi nell’introduzione del volume<br />

Bari 28 luglio 1943 –<br />

Memoria di una strage (edizioni<br />

Dal Sud), realizzato per<br />

l’Istituto pugliese per la Storia<br />

dell’antifascismo e dell’Italia<br />

contemporanea. Il volume ha<br />

anche l’obiettivo di ricordare<br />

una verità troppo spesso (volutamente)<br />

dimenticata: la<br />

Puglia (e tutto il Sud) non fu<br />

quella terra che, secondo la<br />

storiografia ufficiale - che è poi<br />

quella insegnata a scuola - si<br />

adeguò senza combattere prima<br />

al fascismo, poi all’occupazione<br />

alleata, lasciando al<br />

Nord d’Italia l’epopea della<br />

Resistenza. In Puglia (come<br />

nel resto del Sud), si resistette.<br />

E tanto. La strage del 28 luglio<br />

ne è solo un esempio, proprio<br />

come l’opposizione spontanea<br />

(e vittoriosa), nel porto e nel<br />

borgo antico di Bari, da parte<br />

di militari e civili guidati dal generale<br />

Nicola Bellomo alle<br />

truppe tedesche, il 9 settembre<br />

dello stesso anno.<br />

Il volume comprende una raccolta<br />

di documenti – alcuni ufficiali,<br />

altri personali, altri inediti,<br />

come la lettera scritta dal<br />

carcere da Tommaso Fiore al<br />

figlio Graziano, che sarebbe<br />

stato ucciso in via Niccolò<br />

dell’Arca – e descrive ciò che<br />

avvenne quel 28 luglio 1943<br />

nel capoluogo pugliese.<br />

«L’ufficiale al comando delle<br />

truppe autrici della strage – il<br />

Il romanzo si ambienta a<br />

Bruxelles, a Lugano, a New<br />

York, a Londra, a Napoli, per<br />

concludersi a Capri, ed ogni<br />

incontro con queste località è<br />

ricco di citazioni logistiche che<br />

fanno sì che il lettore, riconoscendo<br />

con il pensiero luoghi<br />

famosi e a lui familiari, si trovi a<br />

suo agio e viva più intensamente,<br />

a fianco <strong>dei</strong> protagonisti,<br />

le vicende che vi vengono<br />

narrate. Spaccanapoli, il negozio<br />

di cravatte Marinella e i<br />

bar con due caffè (uno sospeso),<br />

a Napoli, il Grand Central<br />

Terminal di Midtown a New<br />

York, la pensione Primerose<br />

sulla collina di Paradiso a Lugano,<br />

condotta da Margherita<br />

Bernasconi, cognome ticine-<br />

propri monasteri: il canto<br />

gregoriano, uno <strong>dei</strong> primi<br />

momenti della musica, non<br />

solamente religiosa, nasce nei<br />

monasteri (ad es. Solesmes in<br />

Francia è famosa per questo),<br />

e l’agricoltura lombarda deve<br />

molto ai monaci che attorno a<br />

Chiaravalle crearono “le marcite”.<br />

Tutta Milano è presente<br />

con monasteri, da Santa<br />

Maria delle Grazie, domenicana,<br />

ai monasteri della periferia,<br />

Viboldone e Mirasole,<br />

senza poi parlare di Morimondo<br />

fino alla celebre Certosa di<br />

Pavia. Ma se la storia ci<br />

consegna il monachesimo del<br />

passato, come si evidenzia<br />

quella attuale? Sono i saggi di<br />

Padre Sterchal, <strong>dei</strong> professori<br />

Clemente Lanzetti, Stefano<br />

Martelli e Silvano Burgalassi<br />

ad illustrarli con la presenza di<br />

dati di ricerca, di una sociologia<br />

della religione che si<br />

presenta come una disciplina<br />

originale a sé stante. E i saggi<br />

sono tutti interessanti specie<br />

per i cultori di determinate<br />

discipline: qui possiamo citare<br />

primo colpo fu sparato dal sergente<br />

Domenico Carbonara –<br />

ricevette un elogio dal generale<br />

Roatta», scrive Leuzzi.<br />

Nelle ore e nella notte seguenti<br />

la manifestazione affogata<br />

nel sangue, furono arrestate<br />

molte delle duecento<br />

persone che vi avevano partecipato.<br />

Tra queste, Luigi De<br />

Secly, redattore capo del quotidiano<br />

La Gazzetta del<br />

Mezzogiorno, che il mattino<br />

del 28 luglio aveva annunciato<br />

in un articolo, sotto il titolo<br />

Viva la libertà, la scarcerazione<br />

<strong>dei</strong> detenuti politici, e lo<br />

stesso Canfora, piantonato<br />

mentre giaceva in un letto d’ospedale.<br />

Nei giorni che seguirono,<br />

scrive ancora Leuzzi, «a<br />

Bari e nel resto della regione<br />

si registrò un clima di vero e<br />

proprio stato d’assedio… La<br />

censura di guerra impedì che<br />

la notizia dell’eccidio di via<br />

Niccolò dell’Arca si propagasse<br />

e le salme <strong>dei</strong> caduti furono<br />

tumulate di notte in un clima di<br />

intimidazione anche nei confronti<br />

<strong>dei</strong> familiari… L’unico segno<br />

pubblico furono gli scarni<br />

necrologi riportati dalla Gazzetta<br />

del Mezzogiorno per alcune<br />

delle vittime».<br />

Sui fatti del 28 luglio 1943 vennero<br />

poi avviati due procedimenti<br />

giudiziari da parte dell’autorità<br />

militare. Il primo a<br />

Bari, su denuncia del questore<br />

Pennetta che «cercò con<br />

sissimo, il Grand Hotel<br />

Quisisana di Capri, sono<br />

realtà in un contesto virtuale,<br />

sapientemente inserite anche<br />

per allentare la tensione creata<br />

dal ritmo frenetico degli avvenimenti<br />

che l’autore riesce a<br />

costruire, e per dare, quando<br />

è necessario, attimi di respiro<br />

al racconto.<br />

Per concludere, due perle: nel<br />

racconto scopriamo che Carlo<br />

d’Inghilterra è succeduto al<br />

trono alla madre Elisabetta e<br />

che Al Quaeda è stata distrutta<br />

anni fa. Un’osservazione è<br />

doverosa: questa avvincente<br />

spy-story non è facilmente reperibile<br />

anche nelle librerie più<br />

fornite. Forse l’editore dovrebbe<br />

prestare più attenzione alla<br />

diffusione di Magnus; ne vale<br />

la pena.<br />

Goffredo Giovanetti,<br />

Magnus,<br />

Ananke 2003,<br />

pagine 317, euro 17<br />

Giovanni Cordini, Giorgio Recchia<br />

e Luciano Musselli, giuristi,<br />

Roberto De Vita, Sabino<br />

Acquaviva, Salvatore Abruzzese<br />

e Silvano Burgalassi,<br />

sociologi, Giorgio Picasso, storico<br />

medioevale, Giorgio Rumi,<br />

storico moderno, Sergio<br />

Zaninelli, economista, Giulio<br />

Giorello e Pietro Adamo, filosofi<br />

della scienza, Danilo Castellano,<br />

filosofo della politica.<br />

Sono inseriti anche saggi <strong>dei</strong><br />

cardinali Cheli e Martini, degli<br />

onorevoli Formigoni e Colli e<br />

del Sindaco Albertini.<br />

Ora et labora.<br />

Le comunità religiose<br />

nella società<br />

contemporanea,<br />

a cura di Luciano Vaccaro<br />

e Claudio Stroppa,<br />

pubblicato a cura della<br />

Fondazione Ambrosiana<br />

Paolo VI, Nomos Edizioni,<br />

Busto Arsizio, 2003<br />

(da richiedersi alla<br />

Fondazione Ambrosiana<br />

Paolo VI,Villa Cagnola,<br />

Gazzada - Varese)<br />

ogni mezzo di addossare la<br />

responsabilità dell’accaduto<br />

ad alcuni intellettuali che avevano<br />

preso parte alla manifestazione».<br />

Ma il Tribunale militare<br />

barese, sulla base delle<br />

notizie riferite dagli arrestati,<br />

come – ad esempio – De<br />

Secly e Canfora, e dopo le indagini<br />

affidate – tra gli altri –<br />

ad Aldo Moro, che prestava<br />

servizio alla Procura militare,<br />

ritenne invece di non dover<br />

dar seguito alla richiesta del<br />

questore.<br />

Il secondo procedimento giudiziario,<br />

a carico di Domenico<br />

Carbonara, il sergente del battaglione<br />

San Marco che per<br />

primo aveva sparato sui manifestanti,<br />

venne invece affidato<br />

per competenza al Tribunale<br />

militare di Taranto (l’imputato<br />

infatti faceva parte della<br />

Marina) e fu, di fatto, insabbiato.<br />

In questo modo, scrive<br />

Leuzzi «s’intese… porre una<br />

pietra sepolcrale sull’eccidio».<br />

Ma non sulla memoria, come<br />

risultò l’anno dopo in un articolo<br />

pubblicato dal settimanale<br />

“Italia del Popolo”, nel quale<br />

si sottolineò come «un capovolgimento<br />

maggiore <strong>dei</strong> fatti<br />

è difficile da riscontrare negli<br />

annali giudiziari».<br />

Vito Antonio Leuzzi,<br />

Bari 28 luglio 1943 –<br />

Memoria di una strage,<br />

Edizioni Dal Sud,<br />

pagine 167, euro 10<br />

27 (35)


LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Mauro Paissan<br />

Privacy<br />

e Giornalismo<br />

di Sabrina Peron<br />

Il volume Privacy e Giornalismo.<br />

Diritto di cronaca e<br />

diritti <strong>dei</strong> cittadini, a cura di<br />

Mauro Paissan (membro,<br />

peraltro dell’Autorità Garante<br />

per la protezione <strong>dei</strong> dati<br />

personali), edito dal Garante<br />

per la protezione <strong>dei</strong> dati<br />

personali, è una raccolta delle<br />

decisioni più significative<br />

rese dal Garante, negli anni<br />

1997-2003, in materia di<br />

informazione e tutela della<br />

privacy.<br />

Il libro si apre con una presentazione<br />

dello stesso<br />

Paissan che tratteggia in modo<br />

efficace i passi più significativi<br />

del codice deontologico<br />

relativo al trattamento <strong>dei</strong> dati<br />

personali nell’esercizio dell’attività<br />

giornalistica e sintetizza<br />

i vari aspetti ed argomenti<br />

che hanno caratterizzato<br />

le pronunce del Garante.<br />

Segue la parte dedicata<br />

alla pubblicazione <strong>dei</strong> provvedimenti<br />

del Garante organizzata<br />

per grandi temi e preceduta<br />

da una breve scheda<br />

riassuntiva degli aspetti più<br />

significativi. Per finire, il volume<br />

è completato da alcuni allegati<br />

normativi.<br />

La lettura di Privacy e Giornalismo<br />

si consiglia a tutti coloro<br />

che intendono schiarirsi<br />

le idee su questa delicata<br />

materia, sia perché è la prima<br />

opera che raccoglie in modo<br />

sistematico le pronunce del<br />

Garante che riguardano l’esercizio<br />

dell’attività giornalistica<br />

sia, perché fa il punto delle<br />

problematiche emerse e degli<br />

orientamenti espressi dal<br />

Garante in un momento in cui<br />

si è alle soglie dell’entrata in<br />

vigore - 1° gennaio <strong>2004</strong> - del<br />

Testo Unico in materia di riservatezza<br />

<strong>dei</strong> dati personali,<br />

meglio noto come Codice<br />

Privacy (che assorbe la<br />

Legge 675/1996, riordinando<br />

l’intera materia).<br />

A quest’ultimo riguardo, recentemente,<br />

tra l’Autorità<br />

Garante e l’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />

<strong>dei</strong> giornalisti si è decisa la<br />

costituzione di un gruppo di<br />

lavoro con il compito di elaborare<br />

testi e documenti utili per<br />

dare un concreto contributo<br />

all’attività di chi opera nel<br />

mondo dell’informazione. Il<br />

gruppo di lavoro si occuperà<br />

anche di alcuni aspetti applicativi<br />

riguardanti il nuovo testo<br />

unico in materia di protezione<br />

<strong>dei</strong> dati personali che<br />

entrerà in vigore a partire dal<br />

1° gennaio <strong>2004</strong>.<br />

Proprio con riferimento alla<br />

ormai prossima entrata in vigore<br />

del Codice Privacy si<br />

segnala che è già diventato<br />

tema di dibattito il valore normativo<br />

del Codice deontologico<br />

relativo al trattamento<br />

<strong>dei</strong> dati, personali nell’esercizio<br />

dell’attività giornalistica.<br />

Difatti, come ricordato da<br />

Paissan nel suo volume, sotto<br />

il vigore della Legge<br />

675/1996, il Codice deontologico<br />

doveva considerarsi<br />

quale fonte di diritto di rango<br />

secondario; tuttavia, poiché<br />

detto codice si trova oggi allegato<br />

(Allegato A) al Codice<br />

Privacy, si è affermato che<br />

“come Allegato A, il Codice è<br />

qualcosa di più di una norma<br />

secondaria: ha sostanzialmente<br />

il rango di norma primaria!”<br />

(così, F. Abruzzo, in<br />

Diritto di cronaca giustizia e<br />

privacy, pubblicato quale<br />

dossier allegato a questa rivista<br />

nel numero di novembre<br />

2003, che, tra l’altro, contiene<br />

un’ampia rassegna delle decisioni<br />

adottate dal Consiglio<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />

Lombardia, nella sua veste<br />

di giudice amministrativo disciplinare<br />

in materia di tutela<br />

della riservatezza).<br />

Dalla lettura del libro di<br />

Paissan si evince che gli<br />

aspetti della privacy che più<br />

hanno indaffarato il Garante<br />

sono quelli relativi la tutela<br />

<strong>dei</strong> minori e dell’identità personale,<br />

la pubblicazione di<br />

fotografie, la tutela <strong>dei</strong> dati<br />

sensibili (sanitari e sessuali),<br />

l’essenzialità dell’informazione<br />

e la lealtà nella raccolta<br />

dati.<br />

Partendo proprio da quest’ultima<br />

problematica si segnala<br />

la decisione del Garante sulla<br />

messa in onda, da parte di un<br />

programma satirico, delle dichiarazioni<br />

registrate ad insaputa<br />

dell’interessato (un noto<br />

parlamentare).<br />

Il Garante muovendo dal presupposto<br />

che i dati e le informazioni<br />

devono essere rac-<br />

Enzo Macrì<br />

L’alfabeto della vita<br />

di Filippo Senatore<br />

“Daremo forse il nome d’eternità<br />

alla parola non detta che<br />

lega per quell’attimo la favilla,<br />

alla stella, la terra al cielo, la<br />

nostra mente all’immensità<br />

del cosmo? Quando, come<br />

succede appunto nella poesia,<br />

l’intero fluire della nostra<br />

vita psichica sembra mescolarsi<br />

al fluire della realtà?”<br />

Queste domande si pone<br />

Donatella Bisutti ne La poesia<br />

salva la vita la quale conclude:<br />

“La poesia non ci può<br />

dare una vera risposta. Può<br />

solo continuare a suggerire...”.<br />

Solo con questa premessa<br />

possiamo distinguere la dualità<br />

come sbocco poetico necessario.<br />

Nella poesia di Enzo Macrì,<br />

L’alfabeto della vita, appare<br />

colti dal giornalista con realtà<br />

e correttezza, “senza violenza<br />

o inganno e in un quadro<br />

di trasparenza” (come peraltro<br />

evidenziato dal Codice<br />

deontologico che prevede il<br />

dovere di evitare “artifici e<br />

pressioni indebite”), ha ritenuto<br />

che i responsabili della trasmissione<br />

avrebbero dovuto<br />

tempestivamente informare<br />

l’interessato, al fine di consentirgli<br />

di poter dare la sua opinione<br />

e, eventualmente, di<br />

opporsi all’eventuale trattamento<br />

(Autorità Garante<br />

22.07.1998).<br />

Quanto all’essenzialità dell’informazione,<br />

al giornalista è<br />

fatto obbligo di applicare i principi<br />

etici della sua professione<br />

tutelando la dignità della persona<br />

e rispettando la verità <strong>dei</strong><br />

fatti senza travalicare i limiti<br />

dell’essenzialità dell’informazione<br />

riguardo a notizie di interesse<br />

pubblico. L’essenzialità<br />

dell’informazione, inoltre, impone<br />

ai giornalisti di effettuare<br />

“un attento vaglio sulle notizie<br />

acquisite e sulle modalità della<br />

loro acquisizione, evitando di<br />

diffondere quelle che attengono<br />

a comportamenti o persone<br />

non direttamente connessi<br />

alla vicenda riportata” (Autorità<br />

Garante 10.04.2002).<br />

A ciò si aggiunga, che il segreto<br />

professionale sulla fonte<br />

della notizia, non fa venir<br />

meno il dovere del giornalista<br />

di acquisire in modo lecito la<br />

documentazione inerente il<br />

pezzo che si accinge a redigere<br />

e di utilizzarla, tenendo<br />

conto del principio di pertinenza<br />

rispetto alle finalità<br />

perseguite (Autorità Garante<br />

16.10.1997).<br />

Lesiva del principio dell’essenzialità<br />

è stata pertanto<br />

considerata la prassi adottata<br />

da un quotidiano di<br />

pubblicare (all’interno di<br />

una sezione dedicata alle<br />

informazioni su traffico e sui<br />

trasporti pubblici) i numeri<br />

delle targhe ed altre informazioni<br />

relative alle automobili<br />

parcheggiate irregolarmente:<br />

ad avviso del<br />

Garante, tali dati non potevano<br />

considerarsi essenziali<br />

in relazione alla finalità<br />

informativa dell’articolo, potendo<br />

questa “essere perseguita<br />

limitandosi ad indicare,<br />

per esempio, il tipo di<br />

autovetture che ostacolavano<br />

il traffico” (Autorità<br />

Garante 11.03.2002).<br />

Ne consegue che quando<br />

una vicenda riveste un particolare<br />

interesse pubblico, gli<br />

operatori dell’informazione<br />

sono tenuti ad alcune cautele<br />

riguardanti il rispetto <strong>dei</strong> diritti<br />

l’ulteriore operazione di segmentazione<br />

del verso, come<br />

prodotto chimico biologico.<br />

Per evitare la frammentazione<br />

l’autore compie un’operazione<br />

di assemblaggio con<br />

una carica di ironia e simpatia<br />

che invita ad innamorarsi<br />

del mondo, così come è, pieno<br />

di contaminazioni e di limiti.<br />

Intelligenza e sensibilità<br />

ripercorrono momenti dolorosi.<br />

<strong>dei</strong> soggetti coinvolti nella vicenda<br />

stessa.<br />

Ad esempio, l’obbligo di trattare<br />

dati personali completi esige<br />

che i mezzi di informazione,<br />

nel riferire vicende giudiziarie,<br />

evidenzino correttamente<br />

lo stato iniziale dell’inchiesta<br />

e la posizione processuale<br />

del soggetto indagato riguardo<br />

ad essa: ciò al fine di<br />

evitare che detta posizione<br />

possa essere confusa, agli<br />

occhi dell’opinione pubblica,<br />

con quella di un altro soggetto<br />

già imputato o addirittura condannato<br />

(Autorità Garante<br />

19.02.2002).<br />

Non va, inoltre, dimenticato il<br />

divieto di pubblicare l’indirizzo<br />

di una persona, quando<br />

questo realizzi una interferenza<br />

alla sfera privata altrui<br />

non giustificata ai fini dell’esercizio<br />

del diritto di cronaca,<br />

con la precisazione che “l’ulteriore<br />

diffusione <strong>dei</strong> dati relativi<br />

al nome, all’immagine<br />

ed alla professione può ritenersi<br />

giustificata solo quando<br />

la loro conoscenza posa risultare<br />

essenziale in ragione<br />

dell’eventuale ulteriore sviluppo<br />

<strong>dei</strong> fatti” (Autorità<br />

Garante 12.10.1998).<br />

Con riguardo agli altri aspetti<br />

della privacy trattati dal<br />

Garante, dai provvedimenti<br />

pubblicati emerge che questi,<br />

più volte, ha richiamato l’attenzione<br />

alla necessità di rispettare<br />

l’art. 7 del Codice<br />

deontologico che prescrive al<br />

giornalista di astersi dal pubblicare<br />

nomi o altri elementi<br />

(ad esempio fotografie) idonei<br />

ad identificare minori coinvolti<br />

in fatti di cronaca (salvo che il<br />

giornalista non reputi sotto la<br />

sua responsabilità che tale<br />

scelta risponda ed un’effettiva<br />

rilevanza pubblica e sia fatta<br />

nell’interesse oggettivo del<br />

minore), precisando che l’eventuale<br />

consenso del genitore<br />

alla diffusione di tali dati<br />

non esime il giornalista dall’obbligo<br />

di verificare l’esistenza<br />

di un interesse oggettivo<br />

del minore alla diffusione delle<br />

informazioni che lo riguardavano<br />

(Autorità Garante<br />

15.11.2001).<br />

Del resto, come giustamente<br />

rimarca Paissan, i minori sono<br />

i soggetti più indifesi ed<br />

esposti al rischio di una lesione<br />

<strong>dei</strong> diritti fondamentali da<br />

parte <strong>dei</strong> mezzi di informazione.<br />

Per tale motivo, ad esempio,<br />

il Garante è ripetutamente<br />

intervenuto sul delicato caso<br />

del “delitto di Cogne”, inibendo<br />

la pubblicazione di<br />

informazioni e di immagini<br />

del fratellino di sette anni della<br />

vittima, del quale “erano<br />

Così il paradosso può vestirsi<br />

di speranza. “La poesia<br />

allora mette in salvo colui<br />

che scrive ed ad essa è<br />

richiesto lo stesso compito<br />

dell’acqua, ripulire cioè la<br />

vissuta coscienza”.<br />

L’autore denuncia l’emarginazione<br />

con una mitologia<br />

polemica della realtà urbana.<br />

Il mondo dell’handicap è<br />

il filtro da cui vedere la sintesi<br />

di una società malata.<br />

Solo la forza rigeneratrice<br />

dello spirito può risolvere<br />

con un colpo d’ala una situazione<br />

paradossale d’immobilità.<br />

“Parlare con i dinosauri impossibili”<br />

è forse la chiave di<br />

lettura più autentica <strong>dei</strong> versi<br />

state diffuse immagini (scattate<br />

con teleobiettivo), frasi,<br />

stati d’animo dichiarazioni rese<br />

al magistrato” (Autorità<br />

Garante 10.04.2002).<br />

Particolare cautela si impone<br />

poi al giornalista che raccoglie<br />

dati personali presso una<br />

struttura sanitaria. In questo<br />

caso le persone interessate<br />

devono venire informate, nei<br />

modi previsti dell’art. 2 del<br />

Codice deontologico, e devono<br />

inoltre adottarsi opportune<br />

modalità che consentano ai<br />

malati interessati di comprendere<br />

appieno le finalità della<br />

raccolta delle informazione e<br />

la loro destinazione ad<br />

un’ampia diffusione che può<br />

renderli riconoscibili, in questo<br />

caso il consenso non può<br />

considerarsi un adempimento<br />

meramente formale, dovendo<br />

basarsi su un’idonea<br />

informativa (Autorità Garante<br />

20.06.2001).<br />

Interessante, infine, la pronuncia<br />

del Garante che qualifica<br />

l’intervista (al pari di qualsiasi<br />

altra dichiarazione, opinione<br />

o manifestazione del<br />

pensiero) come fonte di<br />

“informazioni che riguardano<br />

una persona e, come tali, dati<br />

personali”, rimanendo “irrilevante<br />

la forma in cui sono<br />

trattate o gli supporti che le<br />

contengono”, con conseguente<br />

diritto dell’interessato,<br />

una volta che gli venga confermata<br />

l’esistenza <strong>dei</strong> propri<br />

dati personali, di ottenere “la<br />

comunicazione in forma chiaramente<br />

intelligibile (attraverso,<br />

ad esempio, la riproduzione<br />

su supporto sonoro o cartaceo,<br />

da trasmettere allo<br />

stesso interessato), a cura<br />

dell’editore o, direttamente,<br />

della giornalista” (Autorità<br />

Garante, 28.11.1998).<br />

A conclusione di questa breve<br />

panoramica di alcune delle<br />

decisioni adottate dal<br />

Garante, non si può che concordare<br />

con quanto affermato<br />

dall’Autore, ossia che in tema<br />

di privacy non esiste una<br />

ricetta valida sempre e comunque,<br />

così da poterla applicare<br />

ai singoli casi concreti:<br />

“la responsabilità del giornalista<br />

è sempre preminente. È<br />

il giornalista a dover alla fine<br />

decidere, spesso sotto pressione<br />

dell’urgenza della messa<br />

in onda o della chiusura<br />

della pagine del giornale. E<br />

deve decidere in base alle<br />

norme, al codice deontologico<br />

e alla propria etica”. E tra i<br />

problemi che i giornalisti si<br />

trovano quotidianamente ad<br />

affrontare in materia di privacy,<br />

si va dal dubbio se dare<br />

o meno una notizia (ma ram-<br />

di Macrì il quale non maschera<br />

il disagio con parole<br />

che celano, ma svela con disincanto<br />

la realtà cruda della<br />

poesia.<br />

A volte i versi si fanno “pietrosi”<br />

per evitare di cadere<br />

nel pietoso. Una lucida scelta<br />

che condividiamo.<br />

L’autore ha effettuato un taglio<br />

chirurgico del superfluo<br />

ed è andato al cuore del<br />

problema, aprendo un varco<br />

prezioso di comunicazione<br />

con un lettore disincantato,<br />

ma pronto agli<br />

slanci illuminanti del poeta<br />

il quale, in alcuni momenti,<br />

sembra attingere alla saggezza<br />

del Simposio di<br />

Platone.<br />

menta Paissan che il giornalismo<br />

è selezione e che spesso<br />

una notizia si può dare<br />

senza dettagli che possano<br />

offendere gratuitamente delle<br />

persone), alla decisione se<br />

affidarsi - più o meno passivamente<br />

- ad una fonte, o ancora,<br />

alla scelta di “pubblicare<br />

tutto” quando il personaggio<br />

è un uomo pubblico, a causa<br />

dell’affievolimento della sua<br />

sfera privata, facendo però i<br />

conti con il codice deontologico<br />

che esige comunque il rispetto<br />

della sfera privata<br />

dell’homo publicus, se la notizia<br />

o i dati non hanno alcun<br />

rilievo sul suo ruolo o sulla<br />

sua vita pubblica.<br />

Mauro Paissan constata anche<br />

un utilizzo regressivo della<br />

legge sulla privacy, a volte<br />

impiegata in modo strumentale<br />

per giustificare il rifiuto alla<br />

trasparenza, in particolare<br />

da parte delle pubbliche amministrazioni,<br />

mortificando<br />

così il diritto di accesso agli<br />

atti amministrativi di cui alla<br />

legge n. 241/1990.<br />

L’autore segnala, infine, i problemi<br />

supplementari apportati<br />

alla necessità della tutela<br />

della riservatezza, dall’utilizzo<br />

di internet, grazie al quale<br />

è possibile reperire, accumulare<br />

e trattare, senza limiti di<br />

spazio e di tempo, un vastissimo<br />

numero di informazioni.<br />

Questi sono: da un lato, il rischio<br />

che venga meno il c.d.<br />

“diritto all’oblio”, che mira a<br />

salvaguardare il riserbo imposto<br />

dal tempo ad un notizia<br />

già resa di dominio pubblico,<br />

poiché una volta nella rete<br />

sarà difficile per il soggetto interessato<br />

impedire la circolazione<br />

del dato che lo riguarda;<br />

dall’altro lato, il rischio<br />

che, la diffusione in rete una<br />

notizia falsa (o anche solo imprecisa),<br />

renda estremamente<br />

difficoltosa per l’interessato<br />

la correzione del dato falso<br />

che lo riguarda.<br />

In definitiva lo sviluppo della<br />

società dell’informazione, anche<br />

grazie alle nuove frontiere<br />

aperte da internet, ha ampliato<br />

il potenziale conflitto tra<br />

la tutela della vita privata e<br />

dell’identità personale ed il libero<br />

flusso delle informazioni:<br />

la ricerca dell’equilibrio tra<br />

questi valori rappresenta la<br />

chiave di volta per assicurare,<br />

anche nell’era digitale, i diritti<br />

fondamentali di libertà e democrazia.<br />

Mauro Paissan,<br />

Privacy e Giornalismo,<br />

Editore Garante<br />

per la protezione<br />

<strong>dei</strong> dati personali<br />

Enzo Macrì,<br />

L’alfabeto della vita,<br />

Edizioni del Leone,<br />

Venezia 2003,<br />

72 pagine, euro 6,20<br />

28 (36) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


Franco Capelvenere<br />

Meucci. L’uomo<br />

che ha inventato il telefono<br />

di Vittorio Franchini<br />

Cronache dall’Ottocento, pagine<br />

minute, fatte di cose modeste<br />

ma che assumono nuovi<br />

interessi se si pensa che<br />

protagonista della storia è tale<br />

Antonio Meucci, 1808, da<br />

Firenze, “l’uomo che ha inventato<br />

il telefono”, ma al quale,<br />

solo un anno fa, è stata riconosciuta<br />

l’invenzione, attribuita<br />

fino ad allora a<br />

quell’Alexander Graham Bell<br />

che aveva vinto una causa rimasta<br />

famosa.<br />

Bisognerà dunque riscrivere i<br />

libri di storia per restituire a<br />

questo italiano ciò che gli è<br />

dovuto, anche se il riconoscimento<br />

giunge a più di un secolo<br />

dalla sua morte avvenuta<br />

nel 1889.<br />

Se pensiamo all’Ottocento la<br />

storia di Meucci può sembrare<br />

una favola: secolo della<br />

carrozza l’Ottocento che sul<br />

finire, come per miracolo, si è<br />

trasformato nel secolo delle<br />

invenzioni. In Europa era al<br />

culmine il grande fenomeno<br />

letterario, filosofico e artistico<br />

del Romanticismo quando,<br />

negli Stati Uniti, Sholes, nel<br />

1868, aveva inventato la macchina<br />

per scrivere senza pen-<br />

Romano Battaglia<br />

Il mare in discesa<br />

di Olimpia Gargano<br />

Per gli amanti del New Age di<br />

buona fattura, il nuovo libro di<br />

Romano Battaglia sarà una<br />

corroborante immersione nel<br />

pensiero positivo.<br />

Il viaggio iniziatico del protagonista<br />

del Mare in discesa<br />

si svolge nell’elemento forse<br />

più caro all’autore, il mare,<br />

appunto. Un mare che accoglie<br />

e nutre, che ammalia e<br />

cattura, a volte per sempre.<br />

“Il mare è come la vita”, dice<br />

Adelmo, navigante in solitario<br />

dopo che il mare gli ha<br />

portato via la donna amata.<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

sare che avrebbe trasformato<br />

la narrativa, accellerandone i<br />

ritmi, quando Meucci nel<br />

1876 aveva inventato il telefono<br />

(ma la scoperta fu attribuita<br />

a Bell) non immaginava<br />

che il suo apparecchio avrebbe<br />

eliminato l’isolamento delle<br />

comunità rurali e posto fine<br />

alla produzione di lettere,<br />

quando Edison un anno più<br />

tardi aveva inventato il modo<br />

di registrare voci e suoni, incidendo<br />

lui stesso, su un cilindro,<br />

una filastrocca infantile,<br />

Mary had a little lamb, non<br />

poteva neppure supporre<br />

quale grande industria del<br />

suono e della musica ne sarebbe<br />

scaturita, quando<br />

Watermann, nel 1884 aveva<br />

creato la penna stilografica<br />

non immaginava che avrebbe<br />

smantellato la torre d’avorio<br />

dello scrittore inchiodato all’immobilità<br />

del suo calamaio<br />

e quando Mergenthaler, un<br />

anno dopo, era arrivato alla linotype,<br />

chi avrebbe potuto<br />

supporre che quella strana<br />

macchina avrebbe mutato<br />

addirittura la faccia della società?<br />

Anni di grandi scoperte, dunque,<br />

ma anche di viaggi che<br />

coinvolgevano sempre più<br />

persone, musicisti, letterati, fi-<br />

“Ha profondità abissali e superfici<br />

calme. Nella sua<br />

profondità vivono mostri e sirene<br />

che, con le loro improvvise<br />

apparizioni, da sempre<br />

rappresentano l’allegoria della<br />

vita piena di tentazioni e<br />

distruzione.” Mostri, sirene,<br />

abissi marini come cifre simboliche<br />

del “viaggio” per eccellenza:<br />

la vita umana.<br />

Ecco, se un appunto si può<br />

muovere alla seduzione affabulatoria<br />

di Romano Battaglia,<br />

narratore dal ritmo fluido<br />

come il mare azzurro di una<br />

giornata serena, è proprio<br />

questa troppo generosa sollecitudine<br />

nel rendere esplici-<br />

Nicoletta Picchio<br />

L’Italia che conta<br />

di Giacomo Ferrari<br />

Piccola impresa, in Italia, è<br />

spesso sinonimo di innovazione,<br />

di originalità, ma anche<br />

di coraggio e impegno personale.<br />

Dietro ciascuna realtà<br />

aziendale c’è sempre un’idea<br />

vincente. E c’è anche un uomo<br />

che quella idea ha maturato<br />

e poi ha lottato per imporla.<br />

Nicoletta Picchio, che dalle<br />

colonne del Sole-24 Ore racconta<br />

quotidianamente la cosiddetta<br />

economia reale, ha<br />

individuato una serie di “storie”<br />

di successo e le ha raccontate<br />

in modo impeccabile:<br />

con un linguaggio brillante ma<br />

senza indulgere alla retorica;<br />

utilizzando numeri e date, ma<br />

senza mai annoiare il lettore.<br />

Il risultato? Una lettura istruttiva<br />

(oltre che piacevole) per<br />

chi vuole affermarsi nell’era<br />

LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

losofi, artisti, ma anche gente<br />

semplice che lasciava la vita<br />

di borgata per cercare l’avventura.<br />

Meucci fu uno di questi<br />

“ pionieri”. Per la verità il padre<br />

non credeva molto in quel<br />

suo rampollo che affermava<br />

di voler diventare famoso, ma<br />

che nulla sembrava fare per<br />

acquistare almeno un posto<br />

decente nella civile Firenze.<br />

Anzi era finito addirittura in<br />

prigione.<br />

Poi un impiego come attrezzista<br />

al Teatro della Pergola,<br />

quindi il volo: Cuba dove,<br />

all’Avana, aveva lavorato al<br />

teatro Tacon e cominciato i<br />

suoi primi esperimenti. Da lì<br />

agli Stati Uniti, America amara,<br />

che non gli aveva dato<br />

niente per realizzare le sue<br />

scoperte, che lo aveva costreto<br />

ad una vita di fatica e di<br />

stenti e con una vecchiaia<br />

consumata in povertà a<br />

Staten Island, dove aveva<br />

ospitato addirittura Garibaldi.<br />

E chi era questo Bell che per<br />

113 anni ha avuto la paternità<br />

del telefono?<br />

Era nato a Edimburgo nel<br />

1847, in una famiglia borghese<br />

e intellettuale, si era trasferito<br />

a Londra per completare i<br />

suoi studi, era anche diventato<br />

insegnante. Il padre,<br />

ti i “segni” di cui è costellato il<br />

suo universo creativo. Un po’<br />

come fare sogni corredati di<br />

testo a fronte che ne spiegasse<br />

il significato. Il bello <strong>dei</strong><br />

sogni è nella loro - apparente<br />

- insensatezza: trovarne le<br />

chiavi di lettura dovrebbe essere<br />

lasciato a cura del sognatore.<br />

L’andar per mare di Adelmo<br />

è trasparente metafora del<br />

viaggio quotidiano che ognuno<br />

di noi compie intorno e<br />

dentro di sé. Questo mare<br />

che è “dimora di tutto ciò che<br />

abbiamo perduto, di quello<br />

che non abbiamo avuto, <strong>dei</strong><br />

desideri infranti, <strong>dei</strong> dolori,<br />

della competitività globale. Da<br />

ogni singola vicenda aziendale<br />

narrata – una ventina –<br />

emerge un dettaglio, una particolarità,<br />

un risvolto che in<br />

realtà rappresentano la chiave<br />

per comprendere i motivi<br />

del successo ottenuto.<br />

I protagonisti sono personaggi<br />

i cui nomi ricorrono spesso<br />

nelle cronache economiche,<br />

pur non essendo frequentatori<br />

abituali del jet-set. Ci sono per<br />

esempio la regina della grappa<br />

Giannola Nonino e l’editore<br />

Alessandro Laterza; il patron<br />

della It Holding Tonino Perna e<br />

il nobile siciliano Lucio Tasca<br />

d’Almerita; il re delle piastrelle<br />

Filippo Marazzi e quello degli<br />

occhiali Vittorio Tabacchi. E<br />

Alexander Melville, aveva inventato<br />

un complicato sistema<br />

fonetico, che aveva chiamato<br />

“parola visibile” costituito<br />

da una serie di simboli<br />

scritti che rappresentavano i<br />

suoni, una sorta di alfabeto<br />

universale.<br />

Erano anni in cui molti studiosi<br />

lavoravano attorno alla possibilità<br />

di creare una “macchina<br />

parlante” e il giovane Bell<br />

aveva studiato, in modo particolare,<br />

un testo del tedesco<br />

Helmholtz.<br />

“Sull’analisi <strong>dei</strong> suoni mediante<br />

l’orecchio”. Poi era finito in<br />

Canada, quindi all’università<br />

di Boston, dove aveva iniziato<br />

a fare degli esperimenti che<br />

certo dovevano parere assurdi,<br />

ed anche atroci, a coloro<br />

che gli stavano vicini: aveva<br />

ottenuto un orecchio umano,<br />

staccato da un cadavere, lo<br />

aveva collegato con una cannuccia<br />

e attraverso questa,<br />

urlando nel padiglione auricolare,<br />

era riuscito a tracciare<br />

<strong>dei</strong> segni su un vetro affumicato.<br />

Queste storie, affascinanti come<br />

un romanzo, appaiono in<br />

questa nuova edizione del libro<br />

di Franco Capelvenere,<br />

un libro scritto con rigore, ma<br />

anche con una bella vena<br />

narrativa: lo si legge in un fiato<br />

e, una volta arrivati alla parola<br />

fine, si è diventati grandi amici<br />

dello sfortunato Meucci.<br />

Franco Capelvenere,<br />

Meucci. L’uomo che ha<br />

inventato il telefono,<br />

Vallecchi editore,<br />

pagine 262, euro 18<br />

delle lacrime che abbiamo<br />

versato” richiama alla memoria<br />

il vallone lunare che<br />

nell’Orlando Furioso conserva,<br />

oltre al senno perduto di<br />

Orlando, “le lacrime e i sospiri<br />

degli amanti, l’inutil tempo<br />

che si perde a giuoco, e l’ozio<br />

lungo d’uomini ignoranti...”.<br />

Le profondità marine, che nel<br />

nostro immaginario continuano<br />

a essere fonte di mistero<br />

al pari della luna, sono<br />

luoghi che nascondono segreti.<br />

Vi si possono trovare<br />

rottami, relitti di naufragi, o<br />

tesori inestimabili. Come negli<br />

abissi dell’anima, immergervisi<br />

è un rischio ma anche<br />

una scommessa, dove la posta<br />

in gioco è la conoscenza<br />

di sé.<br />

Romano Battaglia,<br />

Il mare in discesa,<br />

Rizzoli, pagine 152,<br />

euro 14<br />

molti altri ancora. Alcuni noti<br />

anche perché ricoprono un<br />

ruolo pubblico o perché il loro<br />

nome è legato a specifiche iniziative<br />

(come Giancarlo Cerutti,<br />

vicepresidente di Confindustria,<br />

o come Diego Della<br />

Valle, il creatore delle scarpe<br />

Tod’s). Tutti imprenditori con<br />

una caratteristica comune:<br />

hanno alle spalle un percorso<br />

vincente. C’è chi l’azienda l’ha<br />

ereditata e chi l’ha creata ex<br />

novo. Ma ciascuno di loro in<br />

ogni caso ha fatto scuola.<br />

Ricostruire (e Picchio lo ha fatto<br />

con precisione) le tappe <strong>dei</strong><br />

loro cammini personali e professionali<br />

significa, come scrive<br />

il ministro delle Attività produttive<br />

Antonio Marzano nella<br />

Francesco Alberoni<br />

Il mistero<br />

dell’innamoramento<br />

di Vittorio Franchini<br />

Indagare sull’innamoramento<br />

è un vecchio “vizio” di Alberoni.<br />

Ricordo bene l’interesse<br />

suscitato, nel 1979, dal suo<br />

Innamoramento e amore.<br />

Nessuno ancora aveva cercato<br />

di sondare l’animo umano<br />

in quel particolare e felice momento<br />

in cui due individui, inspiegabilmente<br />

fascinati l’uno<br />

dall’altro, si mettono insieme.<br />

La psicanalisi ci aveva parlato<br />

di “regressione”, cioè l’amore<br />

visto come ricupero delle<br />

esperienze infantili provate<br />

nei confronti della madre, ma<br />

l’uomo della fine del<br />

Novecento non sembrava<br />

convinto da questa idea.<br />

Credo che, piuttosto, preferisse<br />

pensare ad una sorta di<br />

slancio istintivo, magari imparentato,<br />

sia pure alla lontana,<br />

con l’estro degli animali. Ma<br />

Alberoni, già allora, aveva delineato<br />

una sua teoria originale,<br />

ovvero lo “ stato nascente<br />

di un movimento collettivo a<br />

due”, inteso come sradicamente<br />

dal passato, spinta in<br />

avanti, come una improvvisa<br />

rivoluzione pronta a lasciarsi<br />

tutto alle spalle per proiettarsi<br />

in una nuova vita. Una rinascita,<br />

insomma, e ripensandoci,<br />

magari anche banalmente,<br />

senza avere la cultura dello<br />

studioso, davvero l’amore ci<br />

appare spesso come un momento<br />

rivoluzionario, grazie al<br />

quale ci si stacca dalla madre,<br />

dalla famiglia, dagli amici, per<br />

chiudersi nel bozzolo sensazionale<br />

di uno scambio a due.<br />

Ora con questo nuovo lavoro<br />

Alberoni approfondisce il suo<br />

studio e lo alimenta con altre<br />

intuizioni. Per esempio distingue<br />

fra amore a prima vista,<br />

quel love at first sight, come<br />

dicono gli inglesi, dall’innamoramento<br />

che, dice, è invece il<br />

frutto di un processo. La fascinazione<br />

è il primo impatto, ma<br />

non basta a dare seguito ai<br />

sentimenti. “ Il vero innamoramento<br />

– scrive lo studioso – è<br />

la sua capacità di fondere<br />

sempre più profondamente<br />

due individui distinti.<br />

L’innamorato, ogni tanto, rimane<br />

come incantato davanti<br />

all’amata. Scopre in lei cose<br />

che non aveva mai visto pri-<br />

prefazione, portare alla luce il<br />

ruolo dell’imprenditore “come<br />

agente dello sviluppo, non solo<br />

economico ma anche sociale<br />

e morale”.<br />

Sono questi, insomma, i rappresentanti<br />

di una classe imprenditoriale<br />

che non solo fa<br />

onore al nostro Paese, ma<br />

che resiste alla volatilità <strong>dei</strong> cicli<br />

economici. Non a caso il titolo<br />

del libro è L’Italia che<br />

conta. Se, infatti, le grandi imprese<br />

spesso hanno dovuto<br />

confrontarsi con le ricorrenti,<br />

pesanti crisi, nel loro complesso<br />

quelle medio-piccole<br />

hanno saputo superare più<br />

agevolmente le difficoltà.<br />

Grazie proprio a fantasia e innovazione.<br />

ma e ne resta rapito e si meraviglia<br />

che quella creatura<br />

stupenda lo ricambi.” In pratica,<br />

dunque, un continuo succedersi<br />

di “colpi di fulmine”<br />

che, dopo il primo impatto,<br />

prendono corpo, creano legami<br />

sempre più stretti, realizzano<br />

una unione che può anche<br />

durare decenni, senza mai<br />

perdere di intensità.<br />

Il libro spiega e confuta pareri<br />

di illustri studiosi, filosofi o<br />

neuropsicologi, parla del momento<br />

della nascita come di<br />

una liberazione contrapponendo<br />

questa sua idea a<br />

quella degli esistenzialisti che<br />

la definivano un “essere gettati”<br />

nel mondo, un incontro<br />

negativo, dunque, con il freddo,<br />

la fame, la sete. E ancora<br />

si sofferma sul mistero dell’altro<br />

e distingue fra l’attrazione<br />

erotica e quella, assai più<br />

complessa, dell’amore.<br />

Chiude, infine, con un breve<br />

accenno alla storia, quando la<br />

società imponeva il matrimonio<br />

e, quindi, l’innamoramento<br />

appariva come una forza<br />

devastante che si opponeva<br />

ad ogni regola. E basterebbe<br />

citare la vicenda d’amore di<br />

Lancillotto e Ginevra, per capire<br />

quale era la situazione.<br />

Un libro, dal quale forse non<br />

potremo trarre utili suggerimenti<br />

comportamentali, ma di<br />

facile lettura che, in qualche<br />

modo, ci spinge a guardare in<br />

noi stessi e, magari, ci aiuta a<br />

vivere nel quotidiano.<br />

Francesco Alberoni,<br />

Il mistero<br />

dell’innamoramento,<br />

Rizzoli, pagine 169,<br />

euro 15<br />

Nicoletta Picchio,<br />

L’Italia che conta,<br />

Edizioni Il Sole-24 Ore,<br />

pagine 210, euro 23<br />

29 (37)


LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Milza, Berstein, Tranfaglia, Mantelli<br />

Dizionario <strong>dei</strong> fascismi<br />

di Dario Fertilio<br />

Per molti di coloro che hanno<br />

vissuto con preoccupazione<br />

l’amara stagione politica<br />

del Sessantotto, il termine<br />

“fascista” resta tutt’ora carico<br />

di significati ambigui, intimidatori.<br />

“Fascista”, durante<br />

quegli anni, serviva a designare<br />

estensivamente, ad<br />

additare al pubblico disprezzo,<br />

chiunque si differenziasse<br />

dal pensiero unico dominante,<br />

una vulgata marxistapopulista-maoista<br />

fin dall’inizio<br />

di fondo egemonico e<br />

dottrinario. I “fascisti” dovevano<br />

essere tenuti lontani<br />

dai luoghi in cui si esprimevano<br />

i “democratici”, e se necessario<br />

messi in condizione<br />

di non nuocere, magari a<br />

suon di bastonate. Per questo,<br />

in seguito, la polemica<br />

intorno al significato del fascismo<br />

come “malattia morale”<br />

ed “eterna”, una specie<br />

di virus sempre in agguato<br />

contro le forze sane e progressiste<br />

del popolo, ha costantemente<br />

allungato dietro<br />

di sé, persino quando è stata<br />

rilanciata da studiosi di storia<br />

degni di ogni rispetto, un’ombra<br />

vagamente sinistra.<br />

Tanto più importante, quanto<br />

a completezza e pragmatismo,<br />

la pubblicazione del<br />

Dizionario <strong>dei</strong> fascismi compilato<br />

da Pierre Milza e Serge<br />

Berstein per il pubblico<br />

francese, ma adattato con<br />

efficacia da Nicola Tranfaglia<br />

e Brunello Mantelli agli interessi<br />

di casa nostra.<br />

L’idea di fondo, che cioè sia<br />

possibile apparentare tra loro<br />

le varie forme di fascismo<br />

sviluppatesi in Europa nella<br />

prima metà del Novecento,<br />

tiene doverosamente conto<br />

delle differenze tra un regime<br />

e l’altro, e non pretende<br />

di ridurle ad alcun denominatore<br />

comune, morale o<br />

spirituale. La grande varietà<br />

delle voci, dalla “notte <strong>dei</strong><br />

lunghi coltelli” alla biografia<br />

di Claretta Petacci, dalle<br />

guardie di ferro di Codreanu<br />

agli intellettuali fiancheggiatori<br />

del nazismo, fa del<br />

Dizionario un ottimo strumento<br />

di consultazione non<br />

solo per lo studioso, ma anche<br />

per il semplice amante<br />

della storia.<br />

Il che non ci esenta dal passare<br />

brevemente in rassegna<br />

le tesi esposte da Nicola<br />

Tranfaglia nell’introduzione,<br />

perché essa è in gran parte<br />

dedicata “all’uso pubblico e<br />

politico della storiografia”,<br />

dunque riveste un particolare<br />

interesse per i giornalisti.<br />

Tranfaglia spiega il “primato”<br />

italiano nella nascita del primo<br />

fascismo europeo, che<br />

poi servì da modello a Hitler<br />

e ad altri, con le scarse radici<br />

democratiche e il forte nazionalismo<br />

interno italiani,<br />

oltre che con il fallimento<br />

precedente della classe politica<br />

liberale. Queste premesse<br />

lo conducono a una conclusione<br />

in linea con la scuola<br />

di pensiero post-marxista,<br />

secondo la quale il fascismo<br />

non fu un fenomeno di massa<br />

e “di sinistra” (tesi cara a<br />

De Felice) ma piuttosto un<br />

movimento nato fin dall’inizio<br />

in funzione anticomunista, e<br />

sorto in difesa delle classi<br />

possidenti. Nazionalismo e<br />

anticomunismo, dunque,<br />

avrebbero avviato il regime<br />

in quella direzione “totalitaria”<br />

destinata ad essere raggiunta<br />

ben più rapidamente<br />

dal nazionalsocialismo tedesco.<br />

Se il processo non ven-<br />

Ariberto Segàla<br />

Sultano delle nevi<br />

di Guido Re<br />

Ci sono vari modi di andare in<br />

montagna. Questo bel libro di<br />

Segàla, giornalista di lungo<br />

corso, scrittore e fotografo, ci<br />

insegna forse il modo più appagante:<br />

guardare, anche ciò<br />

che magari si è già visto mille<br />

volte, e ascoltare, anche<br />

quando tutt’intorno ci pare<br />

che sia solo silenzio. Perché<br />

la natura è ricca di misteri, di<br />

sorprese, di incontri inattesi,<br />

di rumori che ancora non percepisci<br />

ma che si stanno formando:<br />

e sono quelli di<br />

ghiaioni pronti a scivolare a<br />

fondovalle, di valanghe appena<br />

sopite sui pendii impennacchiati<br />

di neve, di vecchi rami<br />

che aspettano un soffio di<br />

vento per schiantarsi a terra<br />

con un colpo secco. In montagna,<br />

soprattutto lassù, nulla<br />

resta identico a se stesso, ma<br />

cambia di continuo, attimo dopo<br />

attimo. «Puoi percorrere<br />

cento volte lo stesso sentiero»,<br />

scrive Luciano Violante<br />

nella introduzione, «mettere<br />

le mani cento volte sulla stessa<br />

pietra, guardare cento volte<br />

lo stesso tratto di torrente, o<br />

lo stesso albero o lo stesso<br />

cespuglio, e ogni volta vedi<br />

una cosa leggermente diversa».<br />

La storia di Sultano non<br />

sfugge alla regola.<br />

È una storia vera, dice il sottotitolo,<br />

e poeticamente si dipana<br />

come un’elegia di sapore<br />

antico, arricchita da immagini<br />

preziose, più d’una mozzafiato.<br />

L’ambiente della storia è<br />

l’alta valle di Rhêmes, nel<br />

comprensorio del Gran<br />

Paradiso. I protagonisti sono<br />

tanti: sono gli uomini e gli animali,<br />

le rocce e le piante che<br />

animano il parco aostano, il<br />

ne mai completato del tutto,<br />

fu perché ne mancò il tempo,<br />

oltre che per influenza<br />

della chiesa cattolica e delle<br />

stesse organizzazioni degli<br />

imprenditori. Il fascismo, insomma,<br />

si collocò secondo<br />

Tranfaglia all’incirca a metà<br />

di una scala ideale che include,<br />

sul gradino più alto, il genocida<br />

nazionalsocialismo<br />

hitleriano, e su quello più<br />

basso i relativamente blandi<br />

autoritarismi “cattolici” di<br />

Spagna e Portogallo.<br />

Ancora: un elemento comune<br />

a tutti i fascismi fu un certo<br />

grado di “disordine interno”,<br />

con relativi scontri fra i<br />

gerarchi alla conquista di posizione<br />

di potere (sia pure<br />

nell’ombra del capo).<br />

Queste interpretazioni del<br />

fascismo certo non tengono<br />

conto del suo carattere intimamente<br />

anti-borghese, anti-liberale<br />

e, nella linea di<br />

tendenza (come dimostra il<br />

programma della Repubblica<br />

sociale italiana) avversario<br />

della proprietà privata.<br />

Inoltre non spiegano le affinità,<br />

in qualche caso addirittura<br />

le alleanze con i regimi<br />

primo creato in Italia, e lo fanno<br />

vivere e sopravvivere nonostante<br />

gli assalti spesso<br />

sconsiderati <strong>dei</strong> suoi visitatori.<br />

Ma protagonista assoluto è<br />

lui: uno stambecco dal portamento<br />

maestoso e dal trofeo<br />

superbo e inconfondibile. Due<br />

corna a scimitarra eccezionalmente<br />

lunghe (111 centimetri<br />

il destro, due di più il sinistro:<br />

come dire oltre 20 centimetri<br />

la misura considerata<br />

straordinaria) e divaricate alle<br />

punte di ben 108 centimetri,<br />

quasi 30 più di un’apertura<br />

già fuori del comune.<br />

Tutto ha inizio una mattina di<br />

giugno del 1985. Nel cannocchiale<br />

del guardaparco Provino<br />

Chabod, 51 anni, una<br />

lunga barba grigia e due occhi<br />

penetranti, si staglia l’ombra<br />

di uno stambecco bellissimo,<br />

mai visto prima da quelle<br />

parti, né da lui che pure conosce<br />

la valle di Rhêmes come<br />

le sue tasche né dai suoi colleghi<br />

che sono soliti annotare<br />

giorno per giorno ogni “novità”<br />

sui loro quaderni. L’animale<br />

«avanzava con alterigia e il<br />

corpo sembrava, in controluce,<br />

un antichissimo idolo nero.<br />

Le corna parevano gettate<br />

totalitari comunisti, in testa<br />

l’Unione Sovietica. Hanno<br />

però il pregio di liberare la<br />

storiografia progressista dal<br />

fardello ormai insostenibile<br />

del “doppiopesismo”: che a<br />

lungo le ha impedito di accettare<br />

i confronti fra comunismo<br />

sovietico e nazionalsocialismo<br />

tedesco, e addirittura<br />

di applicare la categoria<br />

di totalitarismo al bolscevismo<br />

genocida di Lenin e di<br />

Stalin. Tranfaglia, nella sua<br />

introduzione al Dizionario,<br />

chiarisce in modo esplicito<br />

che il dibattito su questi punti<br />

si può considerare ormai<br />

concluso, e le tesi considerate<br />

a suo tempo “revisionistiche”<br />

sono ormai di dominio<br />

comune.<br />

Non risparmia, infine, un accenno<br />

alle democrazie “plebiscitarie”<br />

di oggi, e ai rischi<br />

che diano vita a nuove incarnazioni<br />

semi-fasciste. Un tema<br />

delicato e controverso,<br />

sul quale il Dizionario ovviamente<br />

non può dire nulla, e<br />

che resterà probabilmente<br />

un nodo da sciogliere nelle<br />

interpretazioni degli anni a<br />

venire.<br />

Pierre Milza,<br />

Serge Berstein,<br />

Nicola Tranfaglia,<br />

Brunello Mantelli,<br />

Dizionario <strong>dei</strong> fascismi.<br />

Personaggi,<br />

partiti, culture e istituzioni<br />

in Europa dalla Grande<br />

guerra a oggi,<br />

Bompiani,<br />

pagine 800, euro 38<br />

all’indietro in atto di sfida. Una<br />

scultura, pensò la guardia,<br />

una scultura intagliata nel legno».<br />

Contando gli anelli sulla<br />

parte posteriore delle corna,<br />

Chabod ne calcola l’età: otto<br />

anni. Ma dove si è nascosta<br />

una bestia così fantastica per<br />

tutto questo tempo? Da dove<br />

proviene? Come ha fatto a<br />

passare inosservata?<br />

Domande destinate a restare<br />

senza risposta. Un altro mistero<br />

della montagna.<br />

Con quella mole possente e<br />

quelle corna regali, che certamente<br />

durante la stagione<br />

degli amori scoraggiano i rivali<br />

e attirano le femmine del<br />

branco, il nome Sultano diventa<br />

d’obbligo. Chabod gli si<br />

mette alle calcagna, ne spia i<br />

movimenti, cerca di carpirne i<br />

segreti. E Sultano si fa leggenda.<br />

Scrive Segàla: «Sorprenderlo<br />

sulla vertigine di uno strapiombo<br />

era come affrontare<br />

un viaggio a ritroso, secolo<br />

dopo secolo, fino a raggiungere<br />

quella sterminata tenebra<br />

luminosa dove sono nati i<br />

miti e abitano ancora oggi i<br />

grandi archetipi dell’universo.<br />

Soprattutto Sultano sembrò<br />

Romano F. Tagliati<br />

Dopo l’esilio<br />

di Fabrizio de Marinis<br />

L’esilio come segno del destino<br />

o come fuga rigenerativa<br />

per navigare il vasto oceano<br />

dell’esistenza. Andare, cambiare,<br />

crescere per resistere<br />

ad un mondo dalla morale<br />

sempre più dubbia, dove la<br />

realtà ha, spesso, di gran lunga<br />

superato la fantasia.<br />

Cogliere il segno forte del fato<br />

e non resistergli perché ci sono<br />

momenti in cui è bene<br />

cambiare rotta. Chi di noi non<br />

ha vissuto o desiderato un<br />

suo piccolo grande esilio? E<br />

Simone Ventura intuisce che<br />

a volte il destino è più forte di<br />

ogni altra cosa. Il momento riflessivo<br />

del personaggio dell’ultimo<br />

romanzo di Romano<br />

F. Tagliati, per anni collaboratore<br />

del Resto del Carlino, La<br />

Voce, La Gazzetta di Mantova<br />

e direttore della rivista letteraria<br />

La Corte, si dipana in<br />

una lunga storia di emozioni,<br />

di riflessioni, di premonizioni.<br />

E il bilancio di una vita avviene<br />

una giornata di fine ottobre,<br />

dalle sette del mattino alle<br />

otto di sera, il giorno del suo<br />

cinquantesimo compleanno,<br />

in cui il protagonista passa in<br />

rassegna le fasi principali della<br />

sua esistenza, attraverso il<br />

lungo viaggio del ricordo.<br />

Uomo d’intuito e d’intelligenza<br />

con ambizioni politiche e letterarie,<br />

partendo da un casuale<br />

part time in una banca<br />

milanese, emigra in giovane<br />

età negli Stati Uniti con la giovane<br />

moglie e si ritrova dopo<br />

una carriera internazionale ai<br />

massimi vertici di una holding<br />

bancaria multinazionale. Da<br />

quel momento ha inizio un<br />

processo interiore di revisione<br />

attraverso il quale scopre di<br />

aver tradito la propria vocazio-<br />

vivere per preparare un capolavoro:<br />

la sua morte».<br />

La fine arriva il 16 marzo<br />

1994: ma Provino Chabod<br />

non c’è, non se l’è sentita di<br />

dare l’addio a quel compagno<br />

che ha seguito passo passo<br />

per un decennio, e che gli ha<br />

cambiato la vita. Così il compito<br />

di filmare la morte dello<br />

stambecco viene affidato alla<br />

guardia Stefano Borney.<br />

Sultano si è faticosamente arrampicato<br />

su un terrazzino erboso.<br />

Il suo ultimo trono: davanti<br />

gli si spalanca la cerchia<br />

<strong>dei</strong> monti sui quali ha lungamente<br />

regnato. L’animale è<br />

immobile, di tanto in tanto un<br />

lieve sussulto. Se non fosse<br />

per quelle corna, sarebbe irriconoscibile<br />

dato che ha perso<br />

metà del suo peso. È allo stremo<br />

delle forze. Con il poco di<br />

energia vitale che gli è rimasta<br />

cerca di sollevarsi. Uno<br />

sforzo immenso, ma ce la fa. Il<br />

trofeo svetta con orgoglio sulle<br />

montagne che l’hanno visto<br />

dominare incontrastato. Poi<br />

pesantemente ricade sul petto.<br />

I maschi giovani del branco,<br />

i suoi competitori in amore,<br />

gli si avvicinano per rendergli<br />

omaggio, sostano per<br />

ne, sacrificando a logiche paradossali<br />

quelle forze che, secondo<br />

la sua indole liberale e<br />

le sue origini, avrebbe dovuto<br />

invece impiegare in favore di<br />

coloro che avrebbe dovuto difendere.<br />

In un attimo di coraggio<br />

lascia il prestigioso incarico<br />

e torna in Italia. Genova lo<br />

accoglie con le sue dinamiche<br />

secolari e molti onori con<br />

un prestigioso incarico finanziario.<br />

Ma quello per lui è orami<br />

un mondo che lo inaridisce.<br />

Le crisi affettive con la<br />

moglie Veronica, l’amante<br />

Sissy, il ritrovato rapporto con<br />

il figlio, dopo un lungo tunnel<br />

di incomprensioni. Quella di<br />

Simone Ventura è la storia del<br />

desiderio di fuga e d’esilio,<br />

che ognuno di noi porta dentro,<br />

è l’odissea di un uomo,<br />

che impara a leggere i segni<br />

del destino e che con lui si allea.<br />

Mantovano d’origine dalla<br />

poetica antica, Romano F.<br />

Tagliati intrattiene il lettore sulle<br />

grandi tematiche della vita<br />

e dell’esistenza e sugli intricati<br />

rapporti della provincia italiana<br />

di cui è un profondo studioso<br />

e conoscitore. Ha al suo<br />

attivo dodici libri tradotti in<br />

molte lingue e un’intensa vita<br />

vissuta all’estero, soprattutto<br />

in Germania, negli Stati Uniti<br />

e in Estremo Oriente. Da ricordare<br />

Discorso in Piazza<br />

(1968), Icaro (1987), Le mani<br />

in tasca (1990), Elogio al<br />

prodigo (1993), Un uomo di<br />

provincia (1998) e La ragazza<br />

rumena (2002). Il libro, con<br />

prefazione del luminare di<br />

medicina Mario Tiengo, è tra i<br />

testi della biblioteca virtuale<br />

dell’Associazione Italiana Lotta<br />

al Dolore, Ailad.<br />

Romano F. Tagliati<br />

Dopo l’esilio,<br />

MNL Editore,<br />

pagine 188, euro 16<br />

qualche attimo a guardarlo e<br />

se ne vanno mogi.<br />

Termina così una delle più<br />

straordinarie avventure svoltesi<br />

nel Gran Paradiso. Ma del<br />

suo protagonista il ricordo<br />

non è svanito: lo dimostrano<br />

le migliaia di persone che<br />

presso il Centro del parco a<br />

Chavaney si soffermano ogni<br />

anno ad ammirare il corpo imbalsamato<br />

dello stambecco<br />

più famoso che abbia scorrazzato<br />

in Val di Rhêmes.<br />

Ariberto Segàla,<br />

Sultano delle nevi,<br />

Arca Edizioni<br />

Daniela Piazza Editore,<br />

pagine 191, euro 18<br />

30 (38) ORDINE 1 <strong>2004</strong>


LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Vittorio Agnoletto<br />

Prima persone<br />

di Massimo Cobelli<br />

In occasione del secondo<br />

Forum sociale europeo, tenutosi<br />

a Parigi Saint-Denis a<br />

metà novembre, le cronache<br />

del quotidiano Libération<br />

erano permeate da uno<br />

scetticismo sintetizzato da<br />

alcune dichiarazioni <strong>dei</strong> partecipanti:<br />

“C’è sempre più<br />

povertà e indigenza, bisogna<br />

reagire”; “Bisogna battersi<br />

perché ci siano meno<br />

ineguaglianze fra i paesi poveri<br />

e i paesi ricchi. Come<br />

del resto fra Parigi e la sua<br />

periferia”; “La logica di mercato,<br />

ecco cosa dobbiamo<br />

contrastare… anche se si innervosiscono,<br />

e cosa ci importa<br />

se i politici sono i loro<br />

servi”; “un altro mondo è<br />

possibile, ma non sappiamo<br />

ancora quale”; “nelle loro<br />

manifestazioni c’è di tutto. E<br />

ciascuno rivendica quello<br />

che gli interessa difendere. È<br />

una prassi poco chiara”.<br />

Queste affermazioni tornano<br />

alla mente leggendo le pagine<br />

di Prima persone, storia<br />

privata di Vittorio Agnoletto,<br />

una storia che si fa progressivamente<br />

sempre più pubblica,<br />

cioè politica. E dove la<br />

Storia, quella con la esse<br />

maiuscola, viene giudicata e<br />

vissuta da una sensibilità e<br />

da una cultura di parte, dove<br />

dubbio e scetticismo sono<br />

quasi del tutto assenti.<br />

Vittorio Agnoletto non è “nato”<br />

con il G8 di Genova o come<br />

portavoce del Genova<br />

social forum e neppure con il<br />

vestito “no global”, ma è<br />

giunto come tanti alla militanza<br />

nel movimento contro<br />

la globalizzazione attraverso<br />

un percorso specifico e preciso.<br />

Il suo attuale attivismo<br />

ORDINE 1 <strong>2004</strong><br />

è la diretta conseguenza di<br />

una militanza sociale ultradecennale<br />

nel mondo associativo<br />

e del volontariato. Nel<br />

1987 insieme ad altri ha fondato<br />

la Lila e da allora per<br />

quindici anni si è occupato a<br />

tempo pieno, in campo<br />

scientifico e sociale, della<br />

lotta all’Aids e della difesa<br />

<strong>dei</strong> diritti delle persone sieropositive.<br />

Come scrive lo<br />

stesso Agnoletto, egli ha vissuto<br />

questa esperienza nell’interezza<br />

della sua dimensione<br />

umana, senza separare<br />

il cervello dal cuore, la razionalità<br />

dai sentimenti, il rigore<br />

scientifico dall’emotività.<br />

Con questo libro si pone l’obiettivo<br />

di illustrare la storia,<br />

le ragioni ed anche le difficoltà<br />

del movimento <strong>dei</strong> movimenti<br />

e soprattutto di rendere<br />

chiare a tutti le principali<br />

proposte. Il tentativo è duplice:<br />

fornire uno strumento<br />

utile al confronto dentro il<br />

movimento e informare chi<br />

del movimento non fa parte<br />

e magari non ne condivide<br />

neppure le idee, ma non rinuncia<br />

a “camminare do-<br />

mandando”. “Procederò anche<br />

attraverso il racconto di<br />

episodi <strong>dei</strong> quali sono stato<br />

diretto protagonista o testimone,<br />

episodi a volte noti<br />

(almeno nella loro versione<br />

ufficiale), a volte sconosciuti”,<br />

scrive l’autore.<br />

Prima persone sintetizza l’obiettivo<br />

ultimo del movimento:<br />

ogni persona, indipendentemente<br />

dal genere, dalla<br />

religione, dal colore della<br />

pelle e dalla regione del pianeta<br />

dove ha avuto il destino<br />

di nascere, deve essere al<br />

centro <strong>dei</strong> nostri progetti e<br />

delle nostre preoccupazioni<br />

per il mondo futuro che stiamo<br />

costruendo; ma con le<br />

parole Prima persone Agnoletto<br />

desidera anche sottolineare<br />

come in questo cammino<br />

verso un nuovo mondo<br />

possibile ognuno di noi, e<br />

quindi anche lui stesso, mette<br />

in gioco direttamente se<br />

stesso e la propria storia.<br />

Un movimento, quindi, che<br />

pone in discussione la vita<br />

quotidiana di ciascuno di<br />

noi, ad esempio ricordandoci<br />

come tutti i giorni, quando<br />

facciamo la spesa, mentre<br />

scegliamo il prodotto da acquistare,<br />

compiamo un gesto<br />

con una precisa valenza<br />

sociale. Non a caso le realtà<br />

impegnate nel consumo critico<br />

ci ricordano che “ogni<br />

volta che entri in un supermercato<br />

entri in una cabina<br />

elettorale”. Affermazione che<br />

dovrebbe essere tenuta presente<br />

ogni volta che si entra<br />

una chiesa o in una sede politica,<br />

ogni volta che si utilizza<br />

la “cultura” accendendo il<br />

televisore o entrando in un<br />

cinema o teatro o libreria,<br />

frustrati come siamo da una<br />

società virtuale il cui comune<br />

denominatore è la logica del<br />

mercato.<br />

È però come portavoce del<br />

Genova social forum nel luglio<br />

2001 che Agnoletto acquista<br />

una forte visibilità mediatica:<br />

par condicio oblige<br />

(vista l’ormai dilagante controinformazione<br />

sostenuta<br />

da controprove documentali<br />

Candida Morvillo<br />

La repubblica delle veline<br />

di Paolo A. Paganini<br />

Anche le “veline”, dunque, come<br />

tutto quello che in Italia<br />

passa per “nazional-popolare”,<br />

da fenomeno televisivo,<br />

hanno rischiato di diventare<br />

un caso socio-politico. Nei primi<br />

giorni dello scorso mese di<br />

luglio, è stata pubblicata la notizia<br />

che, su iniziativa della<br />

Regione Campania, con una<br />

consistente borsa europea di<br />

un milione e 280 mila euro,<br />

sarà aperta la prima scuola<br />

ufficiale delle “veline”. Da carne<br />

privilegiata per schermi tv<br />

e calciatori zuzzurelloni, le<br />

“veline” stanno per avere titolo<br />

professionale con tanto di ufficialità<br />

sancita da un diploma.<br />

La notizia non è passata inosservata.<br />

Da An a Rifondazione si è<br />

scatenata una travolgente rid-<br />

da di critiche contro la Regione<br />

Campania, che perpetuerebbe,<br />

attraverso l’ipocrita<br />

titolo di “figuranti dello spettacolo”,<br />

l’indegno mercato dello<br />

sfruttamento del corpo femminile.<br />

Si è scomodata perfino<br />

la Costituzione. È stata presentata<br />

un’interrogazione<br />

parlamentare. Sono scesi in<br />

campo sociologi, psicologi,<br />

scrittori, saggisti e moralisti.<br />

Tutto per un po’ di ragazzotte<br />

in mutande.<br />

Questa nostra premessa, che<br />

riguarda soprattutto la cronaca,<br />

serve a capire il sorprendente<br />

e spregiudicato libro di<br />

Candida Morvillo, La repubblica<br />

delle veline, che, con<br />

fantascientifica malizia, verrebbe<br />

voglia di pensare sia<br />

stato propiziato ad arte dal<br />

gran parapiglia sollevato dai<br />

giornali sul caso della Regione<br />

Campania. Non è certo<br />

così. Ma, leggendo il suo coraggioso<br />

libro, sembra che la<br />

Morvillo sia capace di tutto.<br />

Possiede la colorita ed accattivante<br />

abilità della narratrice<br />

con impavido gusto anche<br />

per i più scabrosi argomenti e<br />

vanta la stupefacente disinvoltura<br />

di una disinibita cronista<br />

di razza. Indaga, raccoglie<br />

e svela, con certosino accanimento,<br />

lavorando su notizie e<br />

pettegolezzi indifferente alle<br />

presumibili, fatali inimicizie<br />

che inevitabilmente si sarà<br />

procurata. D’altra parte non<br />

avrebbe potuto fare altrimenti<br />

dedicandosi a una specie di<br />

diario di bordo della scemenza<br />

femminile nello starnazzante<br />

carrozzone Tv.<br />

Incurante, determinata, e con<br />

qualche tentazione alla ferocia,<br />

la Morvillo fa la storia delle<br />

veline, o comunque siano<br />

state chiamate, letterine, mi-<br />

che la tecnologia ci mette a<br />

disposizione) che nelle cronache<br />

<strong>dei</strong> fatti di Genova si<br />

dia spazio per una lettura <strong>dei</strong><br />

fatti anche al portavoce del<br />

movimento <strong>dei</strong> movimenti:<br />

chi è questa persona minuta<br />

dalla voce ferma ed appassionata<br />

che non perde occasione<br />

per ricordarci i diritti<br />

quotidianamente negati ai<br />

più deboli ed emarginati?<br />

L’ingiustizia e l’inutilità della<br />

guerra come risolutrice della<br />

conflittualità e il progressivo<br />

deterioramento della qualità<br />

della vita e dell’ambiente,<br />

subìto non solo dai più deboli<br />

ma anche da tutti gli altri,<br />

ricchi e straricchi inclusi, che<br />

portano ciecamente avanti<br />

queste contraddizioni boomerang.<br />

Il Capitale di Marx e i Vangeli<br />

riportati ai loro veri e soli valori<br />

di fondo: carità sì ma nel<br />

contempo lottare per eliminare<br />

le cause che rendono<br />

necessaria questa carità.<br />

L’una senza l’altra sono solo<br />

vuote parole, parole prive di<br />

dignità, di pari dignità.<br />

Ma dove il libro delude, è<br />

nell’affrontare la tematica<br />

con la quale il movimento<br />

<strong>dei</strong> movimenti deve confrontarsi,<br />

quella della sua rappresentatività<br />

politica istituzionale.<br />

Dibattito e confronto<br />

assolutamente non rinviabili,<br />

un tema al quale si dovrebbe<br />

dedicare almeno un intero<br />

social forum, vitale per lo<br />

stesso movimento, che contrariamente<br />

rischia di farsi<br />

consumare e strumentalizzare<br />

dalla sua generica e ripetitiva<br />

riaffermazione di diritti<br />

negati invece di “incarnarsi”<br />

in prima persona nelle<br />

istituzioni democratiche.<br />

Vittorio Agnoletto liquida il<br />

“problema <strong>dei</strong> problemi” in<br />

poche righe: “La rinuncia del<br />

movimento ad un’autorappresentazione<br />

nelle sedi istituzionali<br />

– la non identificazione<br />

con partiti o ideologie<br />

di riferimento – non può essere<br />

confusa con la rinuncia<br />

all’auto-organizzazione e all’autogestione<br />

delle nostre<br />

crofonine, biscardine, schedine,<br />

postine, prezzemoline,<br />

calcioline eccetera, a cominciare<br />

dalla mitica Edy<br />

Campagnoli fino alle veline di<br />

“Striscia la notizia”, fino agli<br />

ultimi maliziosi sculettamenti.<br />

Una storia lunga mezzo secolo<br />

attraverso l’immaginario<br />

erotico televisivo. E attraverso<br />

il mito, il miraggio, il grande<br />

sogno, l’eterna illusione ch’è<br />

la Televisione, facile e redditizio<br />

viatico per arrivare, con un<br />

paio di disinvolte apparizioni,<br />

a un successo tanto strepitoso,<br />

quanto effimero. Orde di<br />

fanciulle, non sempre in fiore,<br />

di ogni ceto e di ogni stazza,<br />

si presentano alle varie selezioni<br />

indifferenti ad ogni brutta<br />

figura. D’altronde, a fronte della<br />

possibilità d’un lavoro facile<br />

(non si richiede nessuna particolare<br />

abilità, se non quella<br />

dell’esibizione della propria<br />

A cura di Gianni Rizzoni<br />

Agenda letteraria<br />

<strong>2004</strong><br />

di Massimo Cobelli<br />

La prima Agenda letteraria<br />

è nata nel 1991. Ad essa<br />

sono seguite nel corso degli<br />

anni le altre agende<br />

specializzate. Per il <strong>2004</strong><br />

infatti sono stati programmati<br />

cinque titoli (Letteratura,<br />

Arte, Scienza, Musica<br />

e Moda) più due agende<br />

di formato maggiore dedicate<br />

a Dante Alighieri<br />

(con le illustrazioni di Doré<br />

per il Purgatorio ed il<br />

Paradiso) e a Francesco<br />

Petrarca in occasione del<br />

settimo centenario della<br />

nascita.<br />

Ma torniamo alla decana,<br />

all’Agenda letteraria. Con<br />

l’edizione del <strong>2004</strong> ha raggiunto<br />

la tredicesima edizione.<br />

È diventata ormai<br />

un’agenda “mito”, un volume<br />

da collezione, oltre che<br />

un indispensabile strumento<br />

di lavoro per giornalisti<br />

culturali, bibliotecari, insegnanti,<br />

librai.<br />

Realizzata in collaborazione<br />

con Mondolibri e, da alcuni<br />

anni, con il premio<br />

Grinzane Cavour e con la<br />

Società Dante Alighieri, l’agenda<br />

si apre con un utile<br />

elenco <strong>dei</strong> “Centenari” culturali<br />

che cadono nel <strong>2004</strong>:<br />

nascita e morte di scrittori,<br />

proposte. Negli anni recenti il<br />

mondo politico e i media non<br />

hanno potuto fare a meno di<br />

porre al centro della loro attenzione<br />

molte delle tematiche<br />

sollevate dal movimento;<br />

anche se le risposte sono<br />

state spesso diverse da<br />

quelle attese, siamo diventati<br />

un interlocutore dal quale<br />

nessuno può prescindere”.<br />

Ma c’è una contraddizione di<br />

fondo. Agnoletto infatti afferma:<br />

“Il movimento, oggi, è<br />

dotato di una grande forza,<br />

che sempre di più riesce a<br />

coinvolgere soggetti sociali<br />

anche molto diversi e a spingerne<br />

altri a ricercare comunque<br />

un colloquio con noi<br />

su alcuni temi importanti:<br />

questo fatto è in grado di<br />

bellezza) e ben retribuito (si<br />

può arrivare a prendere anche<br />

15 mila euro al mese con<br />

le varie comparsate pubblicitarie!),<br />

ogni sacrifico diventa<br />

legittimo.<br />

Scrupolosa, precisa, quasi<br />

maniacale nella sua ricerca,<br />

la ventinovenne scrittrice (è<br />

attualmente giornalista di<br />

Vanity Fair dopo aver militato<br />

a Oggi), mette sulla graticola<br />

qualcosa come 650 nomi, rivelando<br />

scene e retroscene,<br />

non sempre edificanti, suddivise<br />

meticolosamente in capitoli,<br />

con l’accuratezza impietosa<br />

d’un entomologo che<br />

non concede nulla ad ombre<br />

ed ipotesi. Annota, rivela, e<br />

basta. “Uno specchio dell’Italia<br />

che ci ritroviamo”, chiosa<br />

giustamente. Ecco, dunque,<br />

partendo dai primordi di<br />

“Lascia e raddoppia”, la storia<br />

<strong>dei</strong> nostri ultimi cinquant’anni,<br />

“delle nostre passioni, <strong>dei</strong> nostri<br />

miti, delle bugie che ogni<br />

tanto amiamo raccontarci...”<br />

Anche i duri talvolta amano<br />

intenerirsi. Appena un poco,<br />

perché il prezzo della celebrità<br />

è quasi sempre spietato,<br />

e dietro sorrisi smaglianti, curve<br />

vertiginose, sederi e cosce<br />

di uomini di cultura, pubblicazione<br />

di libri celebri,<br />

eventi culturali.<br />

Il volumetto si chiude con<br />

un’appendice di una quarantina<br />

di pagine dedicate<br />

a premi letterari, alle case<br />

editrici italiane, alle pagine<br />

letterarie di quotidiani e periodici,<br />

a catene librarie, librerie<br />

virtuali, agenti letterari,<br />

associazioni, parchi<br />

letterari… fornendoci date,<br />

il nome <strong>dei</strong> responsabili, indirizzi<br />

e numeri telefonici. Il<br />

tutto intercalato da splendide<br />

illustrazioni in bicromia.<br />

Agenda letteraria <strong>2004</strong>,<br />

a cura di Gianni Rizzoni,<br />

Libri Scheiwiller,<br />

pagine 160, euro 12<br />

modificare i rapporti cui eravamo<br />

abituati tra movimento<br />

e società politica. La forza<br />

del movimento sembra in<br />

grado di mettere in moto anche<br />

un processo di trasformazione<br />

del quadro politico”.<br />

In queste parole egli afferma<br />

indirettamente la necessità<br />

che solo chi vive all’interno<br />

del movimento è in<br />

grado di rappresentarne e<br />

concretizzarne la forza propositiva,<br />

di tutte le sue anime,<br />

per “muoversi globalmente<br />

e agire localmente”.<br />

Vittorio Agnoletto,<br />

Prima persone,<br />

Editori Laterza,<br />

pagine 248, euro 14<br />

della più perfetta ed estatica<br />

ammirazione (costruita quasi<br />

sempre da abili chirurghi), si<br />

celano drammi umani, qualche<br />

volta risolti con un buon<br />

matrimonio, altre volte sul lettino<br />

dello psicanalista, dopo<br />

aver conosciuto altri letti.<br />

Candida Morvillo,<br />

La repubblica<br />

delle veline -<br />

Vita, vezzi e vizi<br />

della ragazze della tivù<br />

dagli anni ‘50<br />

ai giorni nostri, Rizzoli,<br />

pagine 270, euro 12<br />

31 (39)


Aumentano<br />

le quote<br />

per coniugi<br />

e genitori<br />

Ritoccato il tariffario Casagit:<br />

rimborsi e contributi più pesanti<br />

Innanzi tutto l’aumento medio previsto è<br />

del 10%, anche se i ritocchi sono a pioggia.<br />

Ad essere privilegiate sono state le<br />

prestazioni più richieste, quelle dove la<br />

differenza fra i massimali previsti e la spesa<br />

effettiva era più elevata e quelle per le<br />

patologie più gravi. È necessario ricordare<br />

però che tutti i giornalisti iscritti alla cassa<br />

riceveranno a casa il nuovo tariffario insieme<br />

alle convenzioni in atto in tutta Italia.<br />

E sarà inoltre disponibile sul sito della<br />

cassa www.casagit.it. Gli esempi più<br />

eloquenti sono quelli delle visite specialistiche<br />

che, nel nuovo elenco, passano da<br />

61,97 a 80 euro, mentre le visite omeopatiche<br />

da 41,32 a 50 euro.<br />

A loro volta, la degenza retta giornaliera<br />

passa da 232,41 a 250 euro, la retta per<br />

malattie nervose da 154,94 a 200 euro,<br />

quella per lungodegenza da 30,99 a 35<br />

euro. Per la chirurgia generale invece l’aumento<br />

medio è del 10% come per le cure<br />

dentarie, mentre la fisioterapia lievita del<br />

20 ed entra la nuova voce dell’assistenza<br />

di Francesca Romanelli<br />

Rivoluzione Casagit al via dal 1° gennaio<br />

<strong>2004</strong>. Con il nuovo cambia il tariffario della<br />

Cassa <strong>dei</strong> giornalisti e i soci troveranno nelle<br />

loro tasche rimborsi più pesanti per tutta una<br />

valanga di prestazioni mediche. Ma, sull’altro<br />

piatto della bilancia, arrivano ritocchi ai<br />

contributi da versare per tutte le categorie<br />

degli operatori dell’informazione. E l’adozione<br />

di nuove procedure basate sul silenzio<br />

LE VARIAZIONI PER LE PRESTAZIONI<br />

ai malati terminali (150 euro al giorno). Il<br />

settore psicoterapia vede un aumento delle<br />

sedute da 35 a 40 euro l’anno e del<br />

concorso per visita da 25,82 a 30 euro. La<br />

diagnostica, infine, assiste anch’essa<br />

all’aumento medio del 10%.<br />

Tutto questo, ossia l’onere complessivo<br />

dell’aumento <strong>dei</strong> rimborsi, costerà circa<br />

4.600.000 euro l’anno pari a 9 miliardi del<br />

vecchio conio. E a finanziare la spesa<br />

sono, per oltre il 90%, i colleghi tutelati dal<br />

contratto nazionale di lavoro giornalistico.<br />

Per l’aumento di contributi <strong>dei</strong> soci non<br />

contrattualizzati è previsto infatti un introito<br />

aggiuntivo di 400.000 euro l’anno, mentre<br />

resterà stabile il contributo <strong>dei</strong> pensionati.<br />

Il resto della spesa per il nuovo tariffario è<br />

coperto dalla lievitazione delle trattenute<br />

Casagit dovuta per agli aumenti conquistati<br />

dalla categoria con l’ultimo contratto e<br />

per l’aumento dallo 0,50 allo 0,95% del<br />

contributo per la salute a carico degli editori,<br />

strappato dal sindacato nel corso della<br />

vertenza contrattuale.<br />

VARIAZIONI TARIFFARIO<br />

prima dopo<br />

visite specialistiche 61,97 euro 80 euro<br />

visite omeopatiche 41,32 euro 50 euro<br />

degenza retta giornaliera 232,41 euro 250 euro<br />

retta per malattie nervose 154,94 euro 200 euro<br />

retta per lungodegenza 30,99 euro 35 euro<br />

assistenza malati terminali - 150 euro al giorno<br />

psicoterapia aumento delle sedute 35 euro 40 euro<br />

psicoterapia aumento del concorso per visita 25,82 euro 30 euro<br />

VARIAZIONI CONTRIBUTO ASSISTENZA FAMILIARI<br />

prima dopo<br />

quota per coniuge o convivente more uxorio 703 euro 744 euro<br />

quota per figli dai 26 e fino ai 30 anni 1.055 euro 1.116 euro<br />

quota per figli di età superiore ai 30 e fino ai 35 anni 1.406 euro 1.488 euro<br />

quota per un genitore 1.406 euro 1.488 euro<br />

quota per entrambi i genitori 2.112 euro 2.232 euro<br />

I 4 modi<br />

per pagare<br />

la quota<br />

annuale<br />

dovuta<br />

all’<strong>Ordine</strong><br />

■Il tradizionale<br />

sportello<br />

esattoriale<br />

assenso per l’invio di documentazione fiscale<br />

come l’attribuzione ad una determinata<br />

fascia di reddito. Numeri e modalità di azione<br />

che modificano il rapporto degli iscritti con la<br />

cassa, perché il tariffario era ormai datato, i<br />

rimborsi erano fermi dal 1998, l’elenco delle<br />

prestazioni previste era in vigore da più<br />

tempo ancora. Tutte le novità dell’anno che<br />

verrà, e che ora è alle porte, sono state varate<br />

dal Consiglio di amministrazione della<br />

Casagit il 12 novembre scorso. A quella data<br />

TRATTENUTE SU STIPENDI E PENSIONI<br />

Chi ha la fortuna di lavorare con lo scudo del<br />

contratto giornalistico, ma anche i pensionati,<br />

continueranno a pagare per la Casagit il<br />

3,50% su stipendi e pensioni. L’incremento è<br />

stato infatti virtuale, nel senso che l’aliquota<br />

risale infatti la revisione del tariffario, che ha<br />

riscritto l’elenco delle prestazioni e ha accresciuto<br />

l’entità <strong>dei</strong> rimborsi. Una rivisitazione<br />

che è stata anticipata il 25 novembre scorso<br />

all’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti, in<br />

viale Montesanto 7, per un’assemblea<br />

straordinaria degli iscritti che ha visto la<br />

presenza del presidente Casagit Andrea<br />

Leone e della fiduciaria lombarda Bianca<br />

Mazzoni. Quali sono però, in concreto, le<br />

innovazioni in arrivo?<br />

trattenuta è rimasta numericamente invariata,<br />

ma i giornalisti hanno già visto lievitare il<br />

contributo Casagit con gli aumenti derivati<br />

dal rinnovo del contratto nazionale di lavoro<br />

<strong>dei</strong> giornalisti.<br />

CONTRIBUTO SOCI NON CONTRATTUALIZZATI<br />

Cambia radicalmente il criterio di calcolo<br />

del contributo. Non sarà più presa in considerazione<br />

come punto di riferimento la retribuzione<br />

convenzionale sulla base della<br />

quale ogni anno veniva ricalcolato il contributo<br />

<strong>dei</strong> non contrattualizzati, bensì la<br />

spesa media sostenuta dalla cassa per<br />

ciascun associato.<br />

Il tutto ricordando che per retribuzione<br />

convenzionale si intende una sorta di stipendio<br />

medio dell’operatore dell’informazione.<br />

Viene inoltre introdotta anche fra i soci non<br />

contrattualizzati una forma di mutualità e<br />

solidarietà: chi guadagna di più pagherà di<br />

più. Quest’anno, calcolando il contributo con<br />

il vecchio sistema ancorato allo stipendio<br />

medio della categoria, il contributo sarebbe<br />

stato di 2.400 euro l’anno.<br />

Con i nuovi conteggi invece i versamenti<br />

saranno di 2.256 euro per chi non supera il<br />

reddito annuo di 71.315,00 euro, di 2.496<br />

euro per chi ha un reddito fra i 71.315,00 e i<br />

100.000,00 euro e di 2.748 per chi supera il<br />

reddito annuo indicato in precedenza. In tutti<br />

questi casi il contributo, con le vecchie<br />

normative, sarebbe stato di 2.400 euro.<br />

CONTRIBUTO PRE L’ASSISTENZA AI FAMILIARI<br />

In questo caso invece, e sino alla fine del<br />

<strong>2004</strong>, il sistema per riconteggiare la quota<br />

aggiuntiva finalizzata all’assistenza <strong>dei</strong> familiari<br />

rimane quello della retribuzione del giornalista<br />

medio, valore incrementato dal rinnovo<br />

del contratto di lavoro di categoria.<br />

Perciò le nuove quote ammontano a 744 per<br />

coniuge o convivente more uxorio, a 1.116<br />

ASSEMBLEA DEGLI ISCRITTI<br />

“Esiste la necessità di far pagare di più a chi<br />

ha di più” afferma Leone durante l’incontro<br />

del 25 novembre. “Gli aumenti sono dovuti al<br />

rinnovo del contratto.<br />

presso il quale è possibile effettuare i pagamenti senza<br />

nessun costo (a Milano ce ne sono uno in via San<br />

Gregorio 53 ed un altro in via Temolo 6, altri sono presenti<br />

in tutti i capoluoghi e nei maggiori centri delle provincie<br />

di Milano, Brescia, Pavia, Varese e Lodi)<br />

■Il telefono,<br />

con carta di credito<br />

chiamando il Servizio TAXTEL<br />

al numero 199.191.191,<br />

nei giorni feriali dalle ore 8.30 alle 17, al costo di € 2,32<br />

per versamenti fino all’importo di € 258,00. La quietanza<br />

viene tempestivamente recapitata per posta all’indirizzo<br />

indicato dal contribuente. Carte di credito abilitate: VISA –<br />

MASTERCARD – MONETA – AMERICAN EXPRESS –<br />

AURA – DINERS<br />

■Internet,<br />

collegandosi al sito<br />

www.taxtel.it<br />

con modalità identiche a quelle telefoniche, a parte l’orario,<br />

ovviamente.<br />

Le agenzie bancarie e quelle postali, utilizzando i bollettini<br />

Rav allegati all’avviso di pagamento;<br />

per i figli dai 26 fino a 30 anni, a 1.488 per i<br />

figli di età superiore a 30 e fino a 35 anni, a<br />

1.488 per un genitore e a 2.232 per entrambi.<br />

la prima eventualità vede un incremento<br />

di 41 euro rispetto al 2003, la seconda vede<br />

lievitare il contributo di 61 euro. La terza<br />

conosce un aumento di ben 82 euro e la<br />

quarta di 120.<br />

Per quanto riguarda invece i parenti come<br />

figli e genitori rimane in vigore la normativa<br />

precedente alla revisione di fine <strong>2004</strong>”<br />

conclude Leone.<br />

■In conto corrente<br />

bancario-Rid<br />

Da quest’anno è possibile richiedere l’addebito permanente<br />

in conto corrente bancario-Rid.<br />

Non si devono più ricordare le scadenze e si risparmia<br />

tempo!<br />

Confermata l’adesione al servizio Rid, secondo le modalità<br />

ed i termini sotto indicati, Esatri provvederà, ad ogni<br />

scadenza, a partire dalla quota addebitata con l’avviso di<br />

pagamento di quest’anno e per i prossimi anni, al pagamento<br />

automatico con addebito degli importi sul conto<br />

corrente bancario.<br />

Per aderire al servizio Rid è sufficiente:<br />

• compilare il modulo Rid contenuto nell’avviso di pagamento<br />

che sarà inviato agli iscritti e trasmetterlo ad<br />

Esatri via fax al 199.160.771.071, attenzione!, non<br />

deve essere presentato alla propria banca;<br />

• oppure compilare il modulo Rid elettronico disponibile<br />

su Internet al sito www.taxtel.it;<br />

• oppure comunicare via telefono i dati richiesti nel<br />

modulo Rid al n. 199 104 343 (dal lunedì al venerdì<br />

dalle 8.30 alle 17.00), disponibile anche per informazioni<br />

relative al Rid;<br />

Avvertenze<br />

• Chi aderisce al Rid non dovrà effettuare direttamente<br />

nessun pagamento;<br />

• I pagamenti addebitati saranno verificabili dall’estratto<br />

conto corrente bancario;<br />

• Il costo del servizio fissato per l’anno <strong>2004</strong> è di 2,07<br />

euro per ogni addebito effettuato.<br />

32 (40) ORDINE 1 <strong>2004</strong>

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!