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Ravenna - Menabó Group

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È verità universalmente riconosciuta<br />

anche da coloro che non hanno<br />

una particolare dimestichezza con<br />

le discipline storiche, che la seconda<br />

metà del XX secolo ha rappresentato<br />

un mutamento repentino e<br />

profondo negli stili di vita della società<br />

italiana. Anche <strong>Ravenna</strong>, ovviamente,<br />

non ha fatto eccezione.<br />

Su queste pagine si è narrato di tante<br />

manifestazioni che non hanno<br />

retto alla furia della modernizzazione<br />

novecentesca. Una di queste,<br />

e fra le più tipiche, era la passione<br />

tutta ravennate per la caccia.<br />

La sua diffusione fu strettamente<br />

correlata, fin da tempi antichissimi,<br />

alla condizione ambientale del<br />

territorio, con la presenza di vaste<br />

aree incolte e selvagge, delle paludi<br />

e dei boschi, e poi delle pinete,<br />

che fornivano un’ampia gamma<br />

di prede. Si andava da una ricca<br />

schiera di volatili (pernici, fagiani,<br />

quaglie, merli, anatre e vari uccelli<br />

di valle) a piccola selvaggina come<br />

le lepri, fino a prede di stazza maggiore<br />

che, almeno fino ad un certo<br />

periodo, popolarono le pinete,<br />

come cervi, caprioli, e anche lupi.<br />

Se per i nobili, a partire dal Medioevo,<br />

l’attività venatoria era uno<br />

status symbol che univa diletto e affermazione<br />

di ruolo sociale, per i<br />

più poveri costituiva un’importante<br />

fonte di sostentamento, integrativa<br />

di quella agricola o anche esclusiva,<br />

nel caso di quelli che i “cacciatori”<br />

lo facevano di mestiere. Mentre i<br />

primi si esercitavano nell’uccellagione<br />

con lo sparviero o il falco, borghesi<br />

e popolani si avvalevano della<br />

balestra, sostituita dall’archibugio<br />

a partire dal XVII secolo. Tutti, ov-<br />

28 | IN Magazine<br />

viamente, con l’immancabile ausilio<br />

del cane da caccia. I documenti<br />

antichi testimoniano poi dell’esistenza,<br />

almeno fino al ‘500, delle<br />

“pantere”, strutture semi-stabili costituite<br />

da un fossato e da una rete,<br />

utilizzate per la cattura degli uccelli<br />

nelle zone di valle o di pineta.<br />

Ma non c’era solo l’aspetto strettamente<br />

utilitaristico. La caccia era anche,<br />

e forse soprattutto, un’attitudine<br />

mentale, uno stile di vita in cui l’atto<br />

in sé era solo un elemento fra i tanti<br />

che distinguevano il vero seguace<br />

di Sant’Uberto. Gli altri erano un<br />

vasto contorno fatto di rapporto<br />

con la natura, segni identitari come<br />

l’abbigliamento tipico (la sacona,<br />

giacca di velluto dall’ampio tascone<br />

alla base della schiena), riti sociali<br />

In alto, un “rastello” ravennate.<br />

Sotto due cacciatori posano, assieme<br />

al loro cane, dopo un’ottima battuta<br />

di caccia in valle.<br />

(Foto tratte dal volume “Curiosità<br />

ravignane” di U. Foschi e G. Ravaldini,<br />

<strong>Ravenna</strong>, Tonini, 1981).

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