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(i ritrovi di gruppo, i racconti di imprese venatorie vere o<br />
presunte, le mangiate, gli scherzi a la ravgnâna destinati a<br />
fare epoca). Elementi che s’impressero sempre più nella<br />
mentalità comune (quasi che essere un buon cacciatore<br />
fosse un attributo indispensabile del vero “ravignano”)<br />
anche perché caratterizzavano in particolare la caccia in<br />
pineta, dove la dimensione collettiva era assai importante.<br />
La tecnica tipica, in questo ambiente, era quella del “rastello”,<br />
ossia “una adunata tattico-strategica di una quindicina<br />
di cacciatori – così la definì Paolo Poletti, l’avuchet Pulett di<br />
stecchettiana memoria ed egli stesso accanito cacciatore<br />
– che si raccoglie ai primi chiarori dell’alba in un determinato<br />
punto della pineta”. Il rastello aveva un “capitano”<br />
(carica altamente onorifica attribuita a vita), coadiuvato<br />
da un “furiere” (incaricato di organizzare il gruppo dei<br />
partecipanti) e dai “baroni” (umili portatori di viveri). “Il<br />
capitano dirige l’azione e dà il segnale dell’avanzata: la<br />
compagnia avanza a semicerchio: ad un punto designato<br />
il rastello si chiude. È quello più emozionante. I tordi saettano<br />
da tutte la parti e la fucileria si sgrana vertiginosa”.<br />
L’operazione veniva ripetuta più volte nel corso della giornata<br />
e non era priva di rischi per i partecipanti, che a volte finiva-<br />
La tecnica del “rastello”<br />
no col ricevere la scarica di piombo destinata alle prede. Non<br />
è difficile immaginare la competizione fra i diversi rastelli, i<br />
momenti di tensione nel caso d’incontro fortuito nel folto<br />
del bosco, i sotterfugi per accaparrarsi le posizioni migliori.<br />
In effetti, i rastelli non erano aggregazioni estemporanee<br />
ma parte di vere e proprie compagnie stabili, di cui abbiamo<br />
notizia almeno dal ‘700. Assai celebre, verso il 1820,<br />
fu quella degli “Americani”, così chiamata perché sorta<br />
attorno al ritrovo dell’osteria al “Cacciatore americano” di<br />
Antonio Ghirardini detto Buraccina, in borgo San Rocco,<br />
e che celava in realtà una setta di carbonari che elesse<br />
come proprio capo nientemeno che George Byron. Verso<br />
il 1870 le maggiori erano la “Compagnia di caccia”, i cui<br />
membri si ritrovavano nel caffè della piazza di fronte alla<br />
prefettura, e la “Capanna”, con sede in vicolo Violino. In<br />
seguito le compagnie iniziarono a moltiplicarsi, ognuna<br />
con un proprio nome e una propria caratterizzazione.