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Il destino dell'Iguanodonte<br />
(e altri pettegolezzi paleontologici)<br />
seconda edizione riveduta<br />
e ampliata<br />
Davide Mana
Il Destino dell'Iguanodonte by Davide Mana is licensed under a Creative<br />
Commons Attribuzione Non commerciale Non opere derivate 3.0<br />
Unported License.
Gli scienziati si lamentano del fatto che nel nuovo film Dinosaur, i<br />
dinosauri siano mostrati insieme ai lemuri, che non comparvero se non<br />
un milione di anni dopo. Temono che il film darà ai ragazzi una<br />
impressione sbagliata. Che dire del fatto che i dinosauri ballino e<br />
cantino?<br />
Jay Leno, The Tonight Show
Questo <strong>è</strong> dedicato ai miei colleghi dell'Università di Urbino
Introduzione<br />
Sono diventato geologo perché mi piacevano i dinosauri.<br />
Mi sono laureato in geologia in una università (quella di Torino) che<br />
all'epoca non aveva un dipartimento di paleontologia dei vertebrati.<br />
Ho studiato infinite conchiglie.<br />
Oggi sono micropaleontologo – lavoro sul plancton fossile.<br />
Ma la passione per i dinosauri <strong>è</strong> rimasta.<br />
Quello che segue <strong>è</strong> un rimaneggiamento di diversi lavori – articoli,<br />
conferenze, post sul web – che per anni sono serviti come valvola di sfogo<br />
per la mia passione per i dinosauri, e la mia ammirazione per coloro che<br />
per primi li scavarono.<br />
Gli anglosassoni parlano di edutainment – figlio del connubio<br />
di education e entertainment.<br />
Questo ebook non ha pretese né nell'ambito dell'educazione che in quello<br />
dell'intrattenimento.<br />
Si tratta di pettegolezzi paleontologici.<br />
Buona lettura.<br />
Davide Mana<br />
Castelnuovo Belbo, Asti<br />
Estate 2011Inverno 2012
Parte Prima<br />
Il Vecchio Mondo
Effetti del Clima sul Tempo Libero della Upper<br />
Class Britannica<br />
Fra il 1300 ed il 1800 l’Europa venne interessata da quella che gli addetti<br />
ai lavori chiamano “La Piccola Glaciazione” (Little Ice Age); le cause sono<br />
tutt’ora oggetto di dibattito – forse delle massicce eruzioni vulcaniche<br />
oscurarono i cieli con le loro ceneri, forse un anomalia inceppò la<br />
corrente del golfo. Di sicuro, dopo tre secoli nei quali il tempo si<br />
mantenne tendente al bello ed il clima fu sufficientemente caldo da<br />
garantire l'impiantamento di vigneti nelle isole britanniche, con il<br />
quattordicesimo secolo si avviò una tendenza opposta.<br />
Se tutti gli studiosi concordano invece sulla conclusione dell’Era Glaciale<br />
nella metà del 19° secolo, l’inizio della Piccola era Glaciale <strong>è</strong> oggetto di<br />
discussione, ed a seconda dei dati e delle località considerate potrebbe<br />
coincidere con diversi eventi:<br />
1250, con l’inizio della crescita del Pack Atlantico<br />
1300, con la scomparsa di estati calde regolari in Nord Europa<br />
1315, con l’anno più piovoso del secolo, e la Grande Carestia del<br />
1315/1317<br />
1550, con l'anno in cui si teorizza una globale espansione dei ghiacciai<br />
1650, per coincidenza con il primo minimo termico assoluto<br />
A metà del quindicesimo secolo, scomparvero i vigneti britannici gli<br />
inglesi che fino a quel momento avevano avuto una loro produzione di<br />
vino nazionale, si ritrovarono a secco. E non fu quello il problema più<br />
grave.<br />
Faceva freddo.<br />
A testimonianza della Piccola Era Glaciale – in realtà un'altalena di<br />
temperature variabili ma progressivamente tendenti ad un generale<br />
abbassamento ci rimangono la definitiva scomparsa degli insediamenti<br />
vichinghi in Groenlandia, l'avanzata dei ghiacciai alpini (che raggiunsero<br />
la loro massima estensione nel 1670), le pitture di Brueghel con paesaggi<br />
innevati e laghi gelati a Pasqua, e le Frost Faires che si tennero durante<br />
gli inverni londinesi, con falò, balli e caccia alla volpe sul Tamigi<br />
ghiacciato.<br />
Non furono certo solo gite sui pattini e falò sotto le stelle – le carestie si<br />
susseguirono nel periodo della Piccola Glaciazione, uccidendo migliaia di
persone, complici colture ancora sottosviluppate e amministrazioni<br />
miopi.<br />
Tuttavia le cose cominciarono a migliorare, localmente, attorno ai primi<br />
anni del 1700, quando, forse grazie alla riattivazione della Corrente del<br />
Golfo, il clima si fece nuovamente mite e piacevole in Inghilterra. Il bel<br />
tempo portò ad un incremento nella produzione di grano, che di<br />
conseguenza portò ad una esplosione demografica – in base al principio<br />
che dei primati con la pancia piena hanno una maggior propensione a<br />
riprodursi.<br />
Il boom delle nascite reso possibile dal miglioramento delle condizioni<br />
alimentari costituì il motore di quella parte della rivoluzione industriale<br />
che non poteva andare a vapore – i bambini lavoravano duro e<br />
consumavano poco, occupavano poco spazio ed erano facilmente<br />
rimpiazzabili, perché ce n'erano tanti.<br />
Rese popolari dai romanzi di Dickens, le condizioni terribili nelle quali<br />
versava la forza lavoro minorile nell'Inghilterra vittoriana fanno<br />
impallidire i pur esecrabili moderni casi di sfruttamento della<br />
manodopera.<br />
A titolo di esempio si consideri un caso fortemente atipico: un gentiluomo<br />
di nome Robert Owen gestiva a metà '800, a Londra, una piccola ma ben<br />
avviata industria per bambini – i piccoli risiedevano e lavoravano nello<br />
stesso edificio, minimizzando così i tempi morti, ospitati a gruppi di<br />
trenta in comode stanze da quindici letti, che venivano pulite<br />
(cambiando la paglia dei pagliericci) una volta ogni sei settimane. I<br />
ragazzini mangiavano due volte al giorno, si lavavano una volta ogni due<br />
settimane, estate e inverno, presso la locale pompa pubblica dell'acqua, e<br />
lavoravano appena sedici ore al giorno.<br />
Robert Owen venne duramente criticato per il lassismo della sua<br />
struttura, che non poteva che stimolare le peggiori abitudini dei piccoli<br />
ospiti.<br />
L'ozio <strong>è</strong>, dopotutto, il padre dei vizi. E lo era anche nell'epoca vittoriana.<br />
Non dobbiamo d’altra parte sorprenderci se le successive attività del<br />
pericolosamente sovversivo mister Owen furono nel campo del neonato<br />
movimento socialista.<br />
Accoppiata con la nascente rivoluzione industriale e con il fenomeno<br />
delle enclosures (la privatizzazione di vaste aree di territorio demaniale),<br />
la crescita demografica indotta dal miglioramento del tempo permise lo<br />
sviluppo, in capo ad un paio di generazioni, di una ricca borghesia con<br />
molto danaro e molto tempo libero.
Danaro e tempo libero che le classi superiori inglesi spesero volentieri<br />
con la pratica del Grand Tour, vasto giro del continente per visitare i<br />
luoghi fondamentali dell’antichità classica (e probabilmente anche luoghi<br />
di perdizione quali Parigi e Venezia); in sostanza, una variazione sugli<br />
antichi pellegrinaggi clericali fra una sede universitaria e l’altra, e<br />
l’antenato un po’ più dignitoso dei temibili package tour, quelle cose del<br />
tipo “Visitate tutta l’Europa in dieci giorni”, oggi sinistramente popolari e<br />
che già nel diciannovesimo secolo che erano comunque dietro l’angolo…<br />
Pare che un individuo intraprendente e privo di scrupoli abbia<br />
sviluppato il progetto di condurre quaranta o cinquanta persone<br />
da Londra a Napoli e ritorno, per una tariffa fissa. Per contratto li<br />
trasporterà, darà loro da mangiare, e fornirà l’intrattenimento…<br />
Venuto a conoscenza del piano, mi augurai che una simile<br />
speculazione fallisse. Immagino che la caratteristica indipendenza<br />
degli inglesi si rivoltasse contro un sistema che riduce il<br />
viaggiatore al livello dei suoi bauli ed oblitera ogni traccia e tratto<br />
dell’individuo. Sbagliavo. Mentre scrivo, le città italiane sono<br />
sommerse da una quantità di simili creature.<br />
[Charles Lever, lettera a Blackwood’s Magazine, (1860)]<br />
Fu durante un Grand Tour, anche se piuttosto sui generis, che Lord Byron<br />
si innamorò della Grecia.<br />
E prima di lui, sempre durante un Grand Tour, l’avvocato aspirante<br />
geologo Charles Lyell osservò fori di molluschi fossori su colonne<br />
romane a Pozzuoli e sviluppò le proprie teorie sull’uniformismo,<br />
sbagliando in pieno.<br />
Lyell ragionò che, al fine di produrre dei fori su delle colonne<br />
evidentemente già in posto (gli antichi romani non avevano, insomma,<br />
usato marmi tarlati), gli antichi edifici dovevano aver subito un lento,<br />
graduale, bradisismico fenomeno di inabissamento, e di successivo,<br />
altrettanto lento, innalzamento; al momento dell'osservazione (nel<br />
1828), i ruderi di Pozzuoli stavano nuovamente inabissandosi. Al suo<br />
ritorno in Inghilterra, Lyell decise di scriverci su un libro....<br />
Il tempio di Giove Serapide<br />
– Questo celebre monumento dell'antichità fornisce, da solo,<br />
l'inequivocabile prova che il livello del mare <strong>è</strong> cambiato due volte<br />
a Pozzuoli, dall'inizio dell'era cristiana, e che ciascuno di questi<br />
movimenti di innalzamento e subsidenza ha superato i venti piedi.
[Charles Lyell, Principles of Geology, 1830]<br />
Oggi sappiamo che i movimenti tettonici testimoniati dalle tracce che<br />
Lyell vide sulle colonne a Pozzuoli erano probabilmente episodici, non<br />
graduali (così come sappiamo che quelle sono le colonne di un mercato,<br />
non di un tempio dedicato ad una divinità egizia), ma a partire da quelle<br />
osservazioni – più parecchi anni di lavoro in Gran Bretagna, in Arvernia e<br />
in Italia – Lyell nel 1830 pubblicò i suoi Principles of Geology il primo<br />
grande bestseller geologico – e inventò quasi per caso la geologia<br />
moderna.<br />
Ammesso che non l'avesse già inventata Stenone, naturalmente.<br />
Popolarissimo fra i suoi contemporanei per lo spirito acuto, per le doti<br />
quasi sovrumane di anatomista e per un paio di colorite controversie<br />
accademiche nelle quali venne implicato da colleghi poco scrupolosi,<br />
beatificato dalla Chiesa Cattolica nel 1988, Nicola Stenone (o, nella<br />
grafia danese, Niels Stensen) fu secondo alcuni l’uomo che “inventò” la<br />
geologia, quando questa scienza non aveva ancora un nome. Avendo<br />
riconosciuto i fossili per quello che erano (resti sepolti di organismi un<br />
tempo viventi, e non scherzi della natura), applicò le sue notevoli doti di<br />
osservatore empirico per studiare le successioni rocciose. Ebbe la fortuna<br />
di svolgere le proprie ricerche, sotto l’egida della famiglia Medici, in Italia<br />
centrale, dove l’abbondanza di successioni sedimentarie ricche di fossili<br />
non gli fece mai venire meno la materia prima per i suoi studi.<br />
Stenone non fu certo il primo ad intuire la natura dei fossili. Senofane di<br />
Kolophon, nel sesto secolo avanti Cristo, aveva già descritto le conchiglie<br />
rinvenute fra i monti dell’Italia come prova del fatto che quelle montagne<br />
erano emerse dal mare; e lo stesso Erodoto giunse a conclusioni simili<br />
pochi decenni dopo.<br />
Ma Erodoto e Senofane non erano così popolari, nel diciottesimo secolo,<br />
e non avevano il vantaggio della fama derivata a Stenone dalle sue<br />
famose dissezioni pubbliche.<br />
Le conclusioni alle quali giunse Stenone, pubblicate nel 1769, furono<br />
davvero sorprendenti, probabilmente, anche per lui: se i fossili erano stati<br />
organismi vivi e se le successioni sedimentarie non mentivano, allora il<br />
passato della Terra era molto più complicato e lungo di quanto non si<br />
ricavasse dalla Bibbia.<br />
Il benessere economico ed il tempo libero che stavano a tal punto<br />
stimolando la paleontologia in Gran Bretagna erano pure alla base del
nascente movimento illuminista scozzese. Usciti dalle guerre civili con<br />
una economia sufficientemente solida (basata sul commercio e sulla<br />
lavorazione della lana), con crescenti investimenti all’estero e le casse<br />
ben foderate di monete, i membri della borghesia scozzese potevano ora<br />
dedicarsi alle più varie attività intellettuali.<br />
L’illuminista scozzese James Hutton mise in pratica i principi di Stenone<br />
e si prese semplicemente la briga di calcolare il tempo necessario per<br />
l’erosione e la deposizione di un singolo strato sedimentario, e poi di tutti<br />
gli strati sedimentari che poteva vedere ogni giorno. Hutton ruppe perciò<br />
con la scuola di pensiero dominante, e peraltro già in crisi, che<br />
riconduceva ogni elemento del paesaggio ad eventi biblici quali il Diluvio<br />
Universale, e si limitò a postulare che gli stessi lenti processi che<br />
plasmano il paesaggio sotto i nostri occhi fossero all’opera, con la stessa<br />
velocità e la stessa potenza, nel passato preumano.<br />
Quindi forse la geologia la inventò lui.<br />
Ma Stenone si rifugiò in convento, terrorizzato dalle logiche conclusioni<br />
del proprio lavoro, ed il lavoro di Hutton, per quanto all’avanguardia,<br />
non venne mai applicato, e quindi noi oggi consideriamo Stenone padre<br />
della Stratigrafia, Hutton padre del Tempo Profondo, e Charles Lyell<br />
padre della Geologia, così sono tutti contenti.<br />
La vera forza del lavoro di Lyell <strong>è</strong> da ricercarsi nel titolo completo del suo<br />
lavoro – che oggi apparentemente non viene più letto, perché (pare, da<br />
ciò che mi assicurarono colleghi e docenti a suo tempo) non aiuta a<br />
superare rapidamente gli esami universitari. Notoriamente un bastian<br />
contrario, io me ne procurai una copia prima di affrontare l'esame di<br />
Geologia, e venni prontamente segato.<br />
Il libro di Lyell si intitola Principi di Geologia, ma <strong>è</strong> il sottotitolo ad essere<br />
veramente importante “ovvero un tentativo di spiegare i precedenti<br />
cambiamenti della superficie terrestre facendo riferimento alle cause ora in<br />
atto”.<br />
Ciò che accade oggi <strong>è</strong> accaduto anche in passato, i fenomeni sono gli<br />
stessi. Sui tempi dovremo lavorarci, ma Lyell, con quelle due righe a<br />
caratteri più piccoli sul frontespizio del suo testo, ha delineato le regole<br />
del gioco.<br />
Un’idea all’epoca straordinaria, che andava contro alle posizioni tenute<br />
dai massimi nomi della nascente Geologia, a cominciare da Georges<br />
Cuvier e William Buckland – che oltretutto era stato insegnante di Lyell.<br />
Ma di Buckland parleremo, estesamente, fra poco...
La nascita della Geologia in Gran Bretagna fra la fine del diciottesimo<br />
secolo e la prima metà del diciannovesimo <strong>è</strong> strettamente legata alla<br />
rivoluzione industriale.<br />
Non solo la rivoluzione industriale crea una middleclass con abbastanza<br />
tempo e denaro a sufficienza per dedicarsi ad interessi intellettuali e alle<br />
scienze naturali in particolare, ma lo sviluppo della nascente industria<br />
incide (letteralmente) sul paesaggio, portando alla luce molti dei segreti<br />
delle (moderate) profondità della terra. Lo scavo dei canali e di trincee<br />
ferroviarie, le miniere di carbone il cui prodotto alimenta treni e<br />
piroscafi, sono altrettante finestre aperte su una realtà fino ad allora<br />
sconosciuta rocce stratificate, piegate, dagli stupefacenti contenuti<br />
fossiliferi.<br />
Le meraviglie un tempo limitate alla costa atlantica, all'isola di Wight<br />
(meta di pellegrinaggio di molti dei protagonisti dei prossimi capitoli),<br />
diventano quasi una costante del paesaggio britannico.<br />
Quasi impossibile evitare lo sviluppo di una scienza che se ne interessi.<br />
Intanto, sul continente, le peregrinazioni di Byron per l'Europa<br />
continentale lo portarono a risiedere sulle rive di un certo lago svizzero<br />
con alcuni amici – ed amiche.<br />
Nel corso di una notte di gozzoviglie (si parlò di oppio e scambio delle<br />
coppie, molto in sintonia con la vita un po' da rock star del poeta inglese<br />
– Ken Russel ci fece un film), quando la discussione virò verso gli<br />
esperimenti di Galvani, i limiti della scienza e della ragione umana e il<br />
sovrannaturale, i presenti si sfidarono nella scrittura di un romanzo che<br />
sintetizzasse le rispettive posizioni sull'argomento.<br />
Byron concluse un po' poco.<br />
Il suo amico dottor Polidori scrisse Il Vampiro, prima uscita letteraria di<br />
uno dei pilastri della narrativa orrifica, uno dei “famous monsters of<br />
filmland” dei secoli a venire – chissà quanto ispirato dalle leggende<br />
popolari che Byron aveva probabilmente sentito in Grecia e certamente<br />
raccontato in Svizzera.<br />
Ma il colpaccio lo fece Mary Shelley, che scrisse quello che alcuni (incluso<br />
Brian Aldiss) hanno identificato come il primo romanzo di fantascienza<br />
Frankenstein, o il Moderno Prometeo.<br />
Il debito della scienza e della letteratura verso la pratica del Grand Tour <strong>è</strong><br />
quindi enorme.<br />
Ricalcolando oggigiorno il costo di un Gran Tour “medio”, <strong>questo</strong> si<br />
aggirerebbe fra i diecimila ed i quindicimila euro (cinquemila per il Tour
di Byron, che evidentemente era un tipo oculato, nonostante la nomea di<br />
scialacquatore).<br />
Cifre colossali, insomma.<br />
Non fu però una questione di costi a mandare in crisi il grand tour come<br />
attività delle classi abbienti britanniche.<br />
Fra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo, gli effetti della Piccola<br />
Glaciazione si sentivano ancora nell’Europa continentale; il popolo<br />
Francese non aveva pane, e non avendo neppure (nonostante le opinioni<br />
di alcuni VIP dell'epoca) brioches, diede il via ad una “grande sommossa<br />
popolare” (come cita l’autorevole Dizionario Storico Oxford) destinata a<br />
cambiare il volto del continente.<br />
E della narrativa popolare.<br />
A cavallo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo, la Rivoluzione<br />
Francese e, successivamente, quel fastidioso e persistente parvenu corso e<br />
piantagrane, Napoleone Bonaparte, resero improvvisamente la pratica<br />
del Gran Tour quanto meno pericolosa per i cittadini britannici.<br />
Molti continuarono a viaggiare – di solito in uniforme.<br />
La guerra <strong>è</strong> stata per lungo tempo un mostruoso parallelo del turismo.<br />
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli inglesi in cerca di reperti storici,<br />
rovine classiche e del più generale brivido del passato dovettero<br />
accontentarsi di ciò che avevano in casa propria.<br />
Vi fu una rinascita dell'interesse per il druidismo, i siti megalitici e le<br />
leggende arturiane (ci arriveremo), sorsero società antiquarie e circoli nei<br />
quali si dibattevano i lavori dei grandi pensatori dell'epoca – Cuvier e<br />
Buckland, ma anche Lyell, ad esempio, e più tardi Darwin.<br />
Più in generale, le classi medie e superiori inglesi presero ad andare in<br />
vacanza in località di interesse “antiquario”, associando (come sempre)<br />
all'ozio, la solleticazione di interessi intellettuali elevati, e tenendo così i<br />
vizi a bada.<br />
Fra le destinazioni turistiche dell’epoca, oltre alla già citata Isola di<br />
Wight, ebbe notevole successo Bath, località termale già nota ai tempi<br />
della presenza romana in Britannia, molto opportunamente costellata di<br />
antichi marmi e mosaici, ed immortalata quale terminale monumento al<br />
tedio ed alla leziosità nei romanzi di Jane Austen.<br />
A pochi chilometri da Bath si trova la ridente cittadina costiera di Lyme<br />
Regis.<br />
Ed a Lyme Regis ci sono un sacco di fossili.<br />
Punch, la famosa rivista satirica, si riempì di vignette con signore in<br />
crinolina ritratte carponi sulle spiagge a cercare fossili: la paleontologia<br />
era diventata improvvisamente molto popolare in Gran Bretagna.
In capo ad un secolo, sarebbe diventata una passione planetaria.
Eroi Popolari<br />
Stando al Chambers' Journal del 1855, gli affari maggiori delle località di<br />
mare, dopo i bagni di mare, riguardavano ormai "la raccolta di conchiglie<br />
e alghe, e cose che strisciano."<br />
Era il 1855, e la storia naturale era diventata la moda del momento <br />
trasformandosi nel corso di trent'anni da stramberia a interesse legittimo<br />
a passatempo popolare. Imperdibile era il volume dell'anno<br />
precedente, Glaucus: or the Wonders of the Shore, del reverendo Charles<br />
Kingsley, testo che prometteva, a chi avesse deciso di dedicarsi alla<br />
ricerca di esemplari naturalistici sulle spiagge inglesi, meraviglie "più<br />
strane di quelle mai sognate da un oppiomane."<br />
Ma già nei decenni precedenti le riviste avevano cavalcato la nuova moda<br />
e Penny Magazine, fra il 1833 ed il 1834, aveva pubblicato una serie di<br />
dispense sul Mondo Minerale, inclusa un'ampia sezione sui fossili.<br />
E proprio mentre Kingsley pubblicava le sue meraviglie della spiaggia, nel<br />
1854 Charles Dickens si faceva beffe della mania naturalistica nel<br />
suo Tempi Difficili.<br />
La popolazione britannica era in preda ad una nuova, prepotente<br />
passione.<br />
E come qualsiasi appassionato di sport, musica (opera lirica o jazz o<br />
rock'n'roll), cinema o letteratura non faticherà a confermarvi, le grandi<br />
passioni popolari hanno bisogno di eroi.<br />
Bartali & Coppi, Pelé o Zeno Colò, la Callas o Janis Joplin, Jack Kerouac o<br />
Agatha Christie, Orson Welles o John Wayne, ogni passione ha un proprio<br />
pantheon di numi tutelari, eroi, icone, davanti alle quali gli appassionati<br />
si genuflettono, superando rivalità meschine e interminabili questioni per<br />
ammettere che si, ci fu un tempo in cui i giganti camminavano sulla<br />
terra.<br />
Per la paleontologia non può essere diverso – e lo fu dal momento in cui<br />
decine di seriosissimi cittadini (e gentili consorti) si insabbiarono le<br />
scarpe a Lyme Regis.<br />
Uno dei primi eroi folk della paleontologia popolare anglosassone <strong>è</strong> Mary<br />
Anning, la bambina che scoprì il drago a Lyme Regis.<br />
Cominciamo da lei, in questa carrellata, perché <strong>è</strong> l'unica signora di questa<br />
variegata compagnia, <strong>è</strong> la prima donna alla quale sia stato attribuito il<br />
titolo di paleontologo, ed anche perché la sua storia non manca di una<br />
certa dimensione spettacolare, che il lettore certamente apprezzerà.
Mary Anning <strong>è</strong> infatti un personaggio degno del miglior polpettone<br />
dickensiano: orfana di padre (scomparso in mare), Mary portava il nome<br />
della sorellina maggiore, morta di malattia mentre era ancora in fasce;<br />
un fulmine uccise la sua balia mentre la reggeva in braccio (Mary ne uscì<br />
incolume, anche se, immaginiamo, lievemente scossa), ed una<br />
mareggiata si portò via il piano terreno di casa sua.<br />
Per aiutare la madre, anch’essa chiamata Mary (e naturalmente malata) a<br />
far quadrare il bilancio domestico, la povera Mary ed il fratello maggiore<br />
Joseph erano soliti battere le scogliere di Lyme, in cerca di fossili da<br />
vendere poi ai turisti.<br />
La raccolta e vendita di fossili ai turisti era pratica diffusissima Lyme<br />
Regis (ricordate seconda voce nel bilancio delle località marittime dopo<br />
i bagni); la madre della Anning era stata essa stessa una cacciatrice di<br />
fossili – e data la loro omonimia, risulta a volte difficile determinare cosa<br />
venne trovato dalla madre e cosa dalla figlioletta.<br />
Una specie di piccola fiammiferaia della paleontologia, Mary Anning.<br />
E faceva anche buoni affari – vendette la sua prima ammonite per una<br />
corona (un ottavo di sterlina) e un cranio di ittiosauro le procurò la cifra<br />
ragguardevole di 23 sterline.<br />
Fino a che, sulla scogliera spazzata dal vento e dalle onde dell'Atlantico,<br />
un giorno Mary ed il fratello fecero il colpo del secolo, rinvenendo un<br />
intero scheletro di Ittiosauro, una grande lucertola (più o meno) simile<br />
ad un delfino.<br />
Fu la consacrazione della Anning a dea della paleontologia.<br />
“La più grande cacciatrice di fossili di tutti i tempi” venne definita<br />
all'epoca, un ruolo che ricoprì informalmente per una trentina d'anni,<br />
fino a che un male incurabile – tragicamente in linea con la sua biografia<br />
non la stroncò.<br />
Un suo scritto autografo – la descrizione di uno scheletro di Ittiosauro – <strong>è</strong><br />
esposto al Museo di Scienze Naturali di Londra, a testimonianza del peso<br />
scientifico dell’opera di questa improbabile eroina dickensiana.<br />
La Anning infatti – che era assolutamente autodidatta, oltre che<br />
evidentemente molto intelligente – godeva del rispetto di William<br />
Buckland – del quale discuteremo fra poco – e del di lui pupillo William<br />
Conybeare, considerato da molti il miglior geologo della sua generazione,<br />
anche se non esercitò mai (essendo troppo impegnato a fare il parroco),<br />
così come di gran parte dell’establishment scientifico dell’epoca.<br />
Per l’epoca, il credito del quale godeva Mary Anning era fonte di non<br />
poca compiaciuta sorpresa da parte dei bempensanti.
È certamente una meravigliosa istanza di favore divino – che<br />
questa povera, ignorante ragazza debba essere a tal punto<br />
benedetta, che <strong>attraverso</strong> la lettura e la pratica sia arrivata ad un<br />
grado di conoscenza tale da scrivere abitualmente a professori e<br />
parlar con loro e con altri uomini dotti di tali argomenti, e tutti<br />
riconoscono il fatto che costei comprenda più scienza di chiunque<br />
altro nel regno.<br />
[diario di Lady Silvester, 1824]<br />
Si noti che Mary Anning non scoprì nulla di nuovo il merito di aver<br />
“scoperto” (= osservato per la prima volta e dato un nome a) Ittiosauro<br />
e Plesiosauro se l'era preso comunque, pochi anni prima, il già<br />
menzionato William Conybeare, grazie ad alcuni ritrovamenti parziali e<br />
ad alcune collaborazioni proprio con Mary: la Anning rinvenne in effetti<br />
uno scheletro di Ittiosauro mancante del cranio nel 1820, ma a quel<br />
punto Conybeare aveva già dedotto l’esistenza di un secondo dinosauro<br />
marino sulla base di resti sfusi rinvenuti mescolati a quelli dell’Ittiosauro.<br />
Solo anni dopo, quando la Anning recuperò e vendette un Plesiosauro<br />
completo (venduto per cento sterline al Duca di Buckingham), Conybeare<br />
fu in grado di presentare alla neonata Geological Society l’animale nella<br />
sua interezza – avvalendosi di uno schizzo eseguito proprio da Mary<br />
Anning. E William Conybeare si dimostrò sempre piuttosto ostile alla<br />
Anning ed al suo successo – definendo la donna, nei propri scritti, come<br />
la “proprietaria” dei fossili, non come la scopritrice.<br />
In riconoscimento alla sua femminilità, alla Anning venne impedito di<br />
entrare nella Geological Society – salvo esservi ammessa, ad honorem, da<br />
morta.<br />
La ragazzina abbarbicata ai piedi della scogliera che contempla i resti del<br />
drago marino colpì tuttavia profondamente e prepotentemente<br />
l'immaginario popolare e <strong>attraverso</strong> articoli e pamphlet scritti da altri,<br />
Mary entrò così a far parte di quell'Olimpo di primi cacciatori di fossili.<br />
Al vertice di <strong>questo</strong> Olimpo sedeva idealmente il francese Georges Cuvier,<br />
fisiologo extraordinaire, l'uomo che aveva classificato i sedimenti del<br />
bacino di Parigi e che stava creando dal nulla la paleontologia dei<br />
mammiferi.<br />
Le teorie geologiche di Cuvier erano ancora arcaiche e superficiali, ma il<br />
suo ruolo indiscutibile – aveva definito il Cretaceo e scoperto<br />
lo Pterodattilo, rettile volante e certo uno dei quattro o cinque “dinosauri”<br />
(in senso molto lato) più popolari di tutti i tempi e più presenti nella<br />
cultura e nella narrativa popolari.
Le sue teorie erano apprezzate e dibattute in tutto l'occidente civilizzato,<br />
e le sue pubblicazioni erano la bibbia delle neonate scienze della terra, in<br />
particolare la celebrata Recherches sur les ossements fossiles de<br />
quadrupedes, pubblicata a Parigi nel 1812, con edizioni successive nel<br />
1821 e nel 1825 ed il Discours sur les revolutions de la surface du globe,<br />
pubblicato a Parigi nel 1825.<br />
Ma la fama di Cuvier era dovuta essenzialmente alla pubblicazione<br />
del Regne animal distribué d'apr<strong>è</strong>s son organisation, compendio di tutte le<br />
esperienze dell’autore nel campo dell’anatomia comparata, in quattro<br />
volumi in ottavo (1817), che ebbe una seconda edizione (in cinque<br />
volumi) tra il 1829 e il 1830.<br />
Lo incontreremo ancora, in questa narrativa, e sarà bene allora ricordare<br />
che Cuvier era assolutamente contrario all’ipotesi dell’estinzione – e<br />
vivendo in un mondo ancora in gran parte inesplorato poteva concedersi<br />
la convinzione che tutte le forme di vita create da Dio, comprese quelle<br />
trovate fossili nel bacino di Parigi, fossero ancora vive e pimpanti da<br />
qualche parte, non viste.<br />
Se Cuvier era un gigante ineguagliato nel campo della paleontologia dei<br />
mammiferi, la Gran Bretagna poteva contrapporgli un altro colosso,<br />
l'eccentrico William Buckland, pastore protestante e docente di<br />
Mineralogia e (più tardi) di Geologia ad Oxford e forse a maggior diritto<br />
definibile come il padre della Paleontologia moderna.<br />
Vero, fossili erano stati descritti (limitiamoci all'occidente) da tutti, a<br />
partire da Plinio per arrivare a Leonardo da Vinci, ma si era trattato di<br />
studi scoordinati e poco influenti.<br />
Stenone li aveva usati per definire i suoi principi di sovrapposizione, ma<br />
come abbiamo visto non aveva osato spingersi oltre.<br />
A Buckland si deve la scoperta e la descrizione del Megalosauro, il primo<br />
dinosauro (ma Buckland ancora non lo sapeva) della storia ad essere<br />
oggetto di uno studio pienamente scientifico.<br />
Un osso appartenente ad un arto di megalosauro era stato scoperto nel<br />
1677 da Robert Plot, il quale nel suo The Natural History of Oxfordshire si<br />
era domandato se potesse essere un resto di uno degli elefanti portati in<br />
Britannia dai Romani, ma aveva poi preferito concludere, più<br />
prudentemente, che si trattasse in effetti di un osso di gigante.<br />
Buckland dedusse l’esistenza del Megalosauro da frammenti incompleti<br />
rinvenuti a Stonesfield – un femore “quasi da mammifero” lungo<br />
ottantaquattro centimetri ed una mandibola con denti aguzzi ed a<br />
crescita continua, tipicamente rettiliani. Lavorando sulle misure di questi<br />
ed altri pezzi (ed includendo nello studio anche alcuni reperti trovati a
Tilgate dall'amico Gideon Mantell, del quale diremo in seguito),<br />
Buckland arrivò a descrivere un rettile terrestre gigantesco e bipede – il<br />
genere di creatura che mai prima di allora era stato descritto.<br />
La pubblicazione nel 1824 di Notice on the Megalosaurus or Great Fossil<br />
Lizard of Stonesfield segna la nascita della paleontologia accademica.<br />
Due anni prima, il reverendo aveva scoperto (nella Paviland Cave, nel<br />
Galles Meridionale) e descritto dei resti umani – identificandoli come i<br />
resti di una donna (erano invece resti maschili) ed appartenuti ad una<br />
strega (!); il fatto che si trattasse di una strega sarebbe stato deducibile<br />
dalla presenza, insieme con i resti umani, di una scapola di pecora,<br />
interpretata come primitivo strumento da divinazione (scapolomanzia);<br />
l’ipotesi che si potesse trattare di un semplice resto di cibo era<br />
apparentemente troppo banale per il pirotecnico Buckland.<br />
Fedele al proprio stile colorito e debordante, Buckland non esitò a<br />
ribattezzare il reperto “La Strega Rossa”, per la delizia delle sue molte<br />
ammiratrici fra le classi superiori, salvo poi ripiegare su “la Dama Rossa<br />
di Paviland” per le pubblicazioni più seriose.<br />
Lo stesso Lyell, studente di Buckland, commentò in una occasione che era<br />
spesso difficile capire quando il vecchio professore dicesse sul serio e<br />
quando scherzasse. Un problema, come vedremo che si acuì con la<br />
vecchiaia.<br />
Altro segno di eccentricità tutta britannica, e fonte di imbarazzo per i<br />
bempensanti fu il vezzo gastronomico del reverendo Buckland, di voler<br />
mangiare ogni sorta di creatura anche solo vagamente commestibile –<br />
inclusi porcospini, serpenti, insetti di ogni genere e foggia, sorci e<br />
coccodrilli.<br />
Il peggio, in termini di sapore, stando a Buckland stesso, era il bombo<br />
verdastro noto in inglese come “bluebottle”, seguito dappresso dalla<br />
talpa, di sicuro (a suo dire) il mammifero meno appetibile del lungo e<br />
variato menù di casa Buckland.<br />
Né Buckland si limitò agli animali.<br />
Stando alle memorie di Augustus Hare...<br />
“Le chiacchiere riguardo a strane reliquie portarono alla menzione<br />
del cuore di un Re Francese conservato in una cassetta d’argento a<br />
Nuneham. Il dottor Buckland, guardandolo, esclamò ‘Ho mangiato<br />
un sacco di cose strane, ma non ho mai mangiato il cuore di un<br />
re,’ e prima che qualcuno potesse fermarlo, se n’era fatto un sol<br />
boccone, e quella preziosa reliquia andò così perduta per sempre.”
Pare si trattasse del cuore di Luigi XIV.<br />
I metodi poco ortodossi utilizzati da Buckland nell'esporre le proprie<br />
teorie furono tuttavia molto più criticati delle sue abitudini alimentari,<br />
dei suoi tentativi di conciliare scienza e fede, o delle sue dubbie<br />
identificazioni di resti umani.<br />
Solido ma dispersivo conferenziere, Buckland sosteneva la persistenza di<br />
una catena ininterrotta di organismi dal passato più remoto al presente,<br />
ed era molto apprezzato dal pubblico non specialistico per le sue<br />
indubbie doti teatrali; in un caso prese a correre avanti e indietro<br />
imitando l'andatura di grandi uccelli bipedi che a suo parere avevano<br />
lasciato antiche tracce fossili.<br />
Queste stesse doti teatrali lo rendevano al contempo inviso ai colleghi più<br />
ortodossi, uno dei quali commentò in occasione del “numero” del volatile<br />
gigante “la volgarità dei gigioneggiamenti di Buckland <strong>è</strong> stata per me<br />
come un autentico emetico”.<br />
Evidentemente non aveva mai assaggiato la talpa salmistrata.<br />
Nonostante il suo ruolo indiscusso di primo grande Geologo Inglese,<br />
l'aura della buffonaggine e del dilettantismo gravò sempre su Buckland,<br />
che pubblicò pure, nel 1836, un volume intitolato Geology and<br />
Minerology, parte di The Bridgewater Treatises on the Power, Wisdom and<br />
Goodness of God as Manifested in Creation – allo scopo di conciliare i<br />
crescenti ritrovamenti di fossili e l'evolvere delle conoscenze geologiche<br />
con i dogmi della dottrina cristiana. Era infatti convinzione di Buckland<br />
(e di buona parte degli inglesi timorati di Dio, naturalmente) che la<br />
storia della terra fosse stata caratterizzata da un solo diluvio (e non da<br />
una successione di più eventi catastrofici), e che tutti i resti fossili<br />
appartenessero a faune antidiluviane; a supporto di questa teoria, poteva<br />
portare una notevole esperienza come anatomista comparato.<br />
Giudizi trancianti dei contemporanei a parte, al reverendo Buckland va<br />
pure il merito di aver fondato la coprologia (lo studio degli escrementi<br />
fossili) e la peraltro dubbia distinzione di aver definito chiaramente quale<br />
dovesse essere la tenuta del gentiluomo in campagna a caccia di fossili –<br />
tavole illustrate diffuse a scopo didattico lo ritraggono in un severo abito<br />
scuro, scarpe comode, un gran sacco ed, immancabile, un ombrello.<br />
Un attimo di nostalgica reminiscenza...<br />
Durante il mio primo anno da studente di geologia all'Università degli<br />
Studi di Torino, ebbi modo di seguire i corsi di un anziano e battagliero<br />
geologo “della vecchia scuola”, famoso tanto per le sue divagazioni
durante le lezioni quanto per la volatilità (e l’elevata infiammabilità) in<br />
sede d'esame.<br />
Fu durante il corso di Geografia, mio primo contatto con la geologia<br />
accademica (fino a quel momento avevo incontrato come corpo<br />
insegnante solo quattro o cinque fisici, due matematici e tre chimici) che<br />
mi venne impartita una importante informazione: il geologo sul terreno<br />
si riconosce per il fatto che porta l'ombrello, che lo ripara dalla pioggia<br />
permettendogli al contempo di prendere delle accurate annotazioni sul<br />
suo indispensabile taccuino di campagna.<br />
Pura ortodossia bucklandiana, un secolo e mezzo dopo la morte del<br />
reverendo.<br />
Commovente.<br />
Due anni dopo, un compagno di corso intraprendente prese a ordinare<br />
dagli Stati Uniti degli speciali libretti di campagna appositamente<br />
progettati per i geologi, sulle pagine plastificate dei quali era possibile<br />
scrivere senza problemi anche sotto la pioggia ed in assenza di un<br />
ombrello. Divenne molto popolare fra i docenti, gli unici che si potessero<br />
permettere tali gadgets in grandi quantità, e che presero a rifornirsi da<br />
lui dei libriccini dalla copertina gialla.<br />
Un paio d'anni dopo ancora – era il 1992 – i miei compagni di corso<br />
all'Università di Londra mi mostrarono la potenza dell'evoluzione: basta<br />
infilare un qualsiasi blocco per appunti e le mani in un ampio sacchetto<br />
di plastica trasparente, per poter scrivere sotto le intemperie della<br />
primavera scozzese, con una spesa minima e senza l'ombrello (che il<br />
vento, sempre in agguato quando il geologo esce sul campo, ha la<br />
tendenza a rivoltare come in certe vignette umoristiche).<br />
Per lo meno il mondo anglosassone, e per vie diverse, stava trascendendo<br />
l'insegnamento di Buckland.<br />
Ma torniamo alla nostra storia.<br />
Buckland sostenne pure l’importanza della sperimentazione – al punto di<br />
ospitare a casa propria la iena maculata Billy, allo scopo di verificare la<br />
modalità di masticazione dell’animale, e confrontare i resti dei suoi pasti<br />
con i resti fossili rinvenuti – in associazione con fossili di iena nella<br />
grotta di Kirkdale.<br />
Strenuo sostenitore dell’importanza dell’attività di terreno per chi<br />
pratichi la Geologia, Buckland aveva l’abitudine di attendere una<br />
giornata di pioggia torrenziale per portare i propri studenti a lavorare su<br />
affioramenti marnosi ed argillosi, di modo che le lunghe ore passate<br />
impantanati fino alle ginocchia nel sedimento fradicio imprimessero nella<br />
loro mente il comportamento di certi materiali se esposti all’acqua.
Il ricordo indelebile di lunghi giorni passati con i miei compagni di corso<br />
fra le marne fradice della zona di Ceva (in provincia di Torino) sotto la<br />
pioggia primaverile ad infangarmi fino alle ginocchia in cambio di un<br />
apporto didattico minimo e del ruvido umorismo del docente di<br />
Rilevamento Geologico mi porta a concludere che fossero molti i docenti<br />
dell’Università di Torino che non avevano fatto un solo passo avanti nei<br />
150 anni che li separavano da William Buckland.<br />
Chissà se qualcuno di loro mangiava le talpe?<br />
La cosa non mi sorprenderebbe.<br />
William Buckland concluse la propria carriera accademica e la propria<br />
vita in un manicomio.<br />
L'uomo che aveva popolato la propria casa di animali selvatici oltre alla<br />
iena Billy, anche la scimmia Jacko e l’orso Tiglath Pileser (ma dove li<br />
trovava quei nomi?), oltre a serpenti, sciacalli e quant'altro – e che aveva<br />
l'abitudine di servire animali per lo meno insoliti ai propri ospiti a cena,<br />
non resse lo stress della continua presentazione e confutazione di teorie<br />
volte a spiegare, ad esempio, come fosse possibile, entro i termini della<br />
narrazione biblica, ritrovare animali endemici di climi africani nelle<br />
grotte dell'umida Inghilterra. La contraddizione fra fede e evidenza<br />
scientifica, accoppiata ad un carattere erratico ed eccentrico, lo condusse<br />
alla camera imbottita.<br />
Sarebbe ricaduto su altri il compito di spiegare certe apparenti<br />
contraddizioni: Buckland si ritirò per sempre nei più bui anfratti della<br />
propria mente (o più sinistramente, era solo eccentrico ma i parenti lo<br />
fecero interdire).<br />
Il suo exallievo, William Conybeare, più ricco e più fortunato (e<br />
fondamentalmente più antipatico), gli rimase vicino anche in<br />
quest’ultima fase.<br />
Con la prospettiva dei secoli, William Conybeare, rimane quasi suo<br />
malgrado una figura di secondo piano – un buon anatomista versatissimo<br />
in geologia, benestante grazie ad una piccola rendita, capace di notevoli<br />
intuizioni ma perenne gregario di individui che considerava<br />
probabilmente suoi inferiori (Mary Anning, Gideon Mantell); un autore<br />
accademico molto preciso, ma al quale non giovò il fatto di essere spesso<br />
coautore (o autorefantasma) di William Buckland.<br />
La ricostruzione del Plesiosauro fatta da William Conybeare <strong>è</strong> tuttavia<br />
estremamente importante per noi, poiché nell’osservare <strong>questo</strong> animale
dal collo lunghissimo – oltre trentacinque vertebre del collo contro le<br />
circa venticinque della giraffa – Conybeare giunse alla conclusione che<br />
l’animale potesse avere le movenze di un cigno (altro animale dal collo<br />
lungo) e l’andatura lenta del rettile.<br />
Esso nuotava in superficie o in prossimità di questa, piegando<br />
indietro il proprio collo, ad arco come un cigno, ed<br />
occasionalmente scagliandosi verso il basso per [catturare] dei<br />
pesci.<br />
[...]<br />
la lunghezza e la flessibilità del suo collo potrebbero aver<br />
compensato la mancanza di forza nelle mascelle, e la sua<br />
incapacità di rapido movimento <strong>attraverso</strong> l’acqua.<br />
[William Conybeare, presentazione alla Geological Society, 20<br />
febbraio 1824 (La stessa sera in cui Buckland presentò la propria<br />
relazione sul Megalosauro)]<br />
Le vertebre del collo del plesiosauro tuttavia non permettono movimenti<br />
verticali come l’inarcare elegantemente il collo.<br />
Tuttavia, l’immagine del rettile lento e ponderoso, che solca le acque con<br />
la testa levata in alto entrarono quasi immediatamente nell’immaginario<br />
popolare – complice anche una illustrazione di Henry De la Beche,<br />
paleontologo ed amico di Conybeare, e frequentemente indicato come<br />
amante o fidanzato di Mary Anning, sebbene non sopravvivano prove<br />
della presunta relazione; nel suo Duria Antiquior or Ancient Dorset, De la<br />
Beche ritrae un Plesiosauro attaccato da un Ittiosauro che gli azzanna il<br />
collo sinuoso, in una prima, influente istantanea di quel mondo selvaggio<br />
e terribile nel quale si pensava vivessero i grandi rettili.<br />
L’immagine avrà la sua importanza – sopravvivendo tanto a De la Beche<br />
che a Conybeare, come vedremo.<br />
Forse <strong>è</strong> vero che la fama di William Conybeare – geologo formidabile e<br />
principale bersaglio delle critiche di Lyell alle riunioni della Geological<br />
Society – venne offuscata dalla sua stretta associazione col vagamente<br />
scandaloso Buckland.<br />
Nel suo appoggiare incondizionatamente Buckland, spesso Conybeare si<br />
ritrovò ad assumere posizioni indifendibili: nel propugnare la tesi<br />
bucklandiana che solo il Grande Diluvio avesse plasmato il paesaggio,<br />
Conybeare si trovò a sostenere che mai un fiume aveva approfondito il<br />
proprio corso, salvo poi lasciare il podio alla lettura di un articolo su<br />
come una piena avesse scalzato un ponte.
L’effetto generale fu tale da causare non poco imbarazzo in Conybeare, e<br />
da causare la cancellazione del secondo volume dell’opera di Buckland<br />
sulle teorie del “diluvianismo”.<br />
O così riteneva Lyell.<br />
Forse le ragioni furono altre.<br />
Di sicuro, il secondo volume di Reliquiae Diluvianae, sui sistemi di<br />
caverne esplorati da Buckland, non venne mai pubblicato. E non fu<br />
quella la faccenda peggiore in cui Conybeare si sarebbe ritrovato per<br />
seguire il suo mentore Buckland.
La Grande Truffa delle Ossa<br />
La nostra creazione non <strong>è</strong> a principio, ma dal quarto giorno o<br />
generazione del Tempo, quando le luci del firmamento vennero<br />
create “per dare luce alla terra”. La storia antecedente del pianeta,<br />
così come scritta da Mosé, dimostrabile dall'applicazione della<br />
fisica più accreditata, non svela che gli scheletri rinsecchiti delle<br />
epoche preadamite, per la più chiara comprensione delle quali<br />
nulla può servire che possa essere meglio dell'accumulo<br />
progressivo di Resti Organici Fossili.<br />
[Thomas Hawkins, Memoirs of Ichtyosauri and Plesiosauri –<br />
Extinct Monsters from the Ancient Earth(1834)]<br />
Non tutti gli eroi della paleontologia ottocentesca passarono alla storia,<br />
ed alcuni dei più curiosi sono oggi solo ricordati dagli specialisti.<br />
In compenso, alcuni individui meno che eroici si conquistarono una fama<br />
indelebile.<br />
Fra questi, uno dei più eccentrici fu certamente Thomas Hawkins,<br />
autodidatta e di origine contadina, facoltoso collezionista di fossili liassici<br />
– ed uno dei migliori clienti di Mary Anning.<br />
La sua ricchissima collezione di fossili era probabilmente il principale<br />
(unico?) motivo per il quale paleontologi più seri tolleravano il<br />
francamente insopportabile Hawkins, un individuo appartenente alla<br />
classe sociale sbagliata, capriccioso e fermamente convinto della propria<br />
infallibilità, oltreché, per motivi inspiegabili, convinto del fatto che<br />
l’Ittiosauro possedesse ghiandole mammarie.<br />
Rimane agli atti la profonda diffidenza (come vedremo ben giustificata)<br />
dichiarata dalla Anning nei confronti di Hawkins – nonostante le vendite<br />
a Hawkins costituissero una fetta non indifferente dei suoi introiti.<br />
Memoirs of Ichtyosauri and Plesiosauri – Extinct Monsters from the Ancient<br />
Earth (1834), curiosa miscela di dati oggettivi e eccentriche ipotesi<br />
bibliche, era dedicato da Hawkins proprio a Buckland e Conybeare. I due<br />
– che con quaranta altri scienziati e appassionati pagarono in anticipo il<br />
libro per garantirne la pubblicazione e ne sottoscrissero il valore<br />
scientifico – si sentirono a riguardo, e Conybeare fu drasticamente<br />
tranciante come sua abitudine:<br />
“Che spasso il libro di Hawkins. Mi piacerebbe solo che fosse stato<br />
pubblicato prima della morte di Walter Scott. Avrebbe potuto
fornirgli un nuovo personaggio, un noioso pedante geologico<br />
molto più assurdo di qualsiasi altro avesse messo insieme.”<br />
[lettera di Conybeare a Buckland]<br />
Il primo e forse l'unico paleontologo a basare le proprie teorie più su<br />
motivi estetici che non su solide basi empiriche, Hawkins rifiutava le<br />
ipotesi gradualiste ed attualiste di Hutton e Lyell, definendole “eretiche”,<br />
e sentendosi più affine psicologicamente allo sturm und drang di un<br />
passato apocalittico, costellato di catastrofi e rivolgimenti improvvisi,<br />
dominato da una Divinità assoluta e assolutista, capricciosa ed un po'<br />
carogna; il mondo dei dinosauri di Hawkins apparteneva ai primi tre<br />
giorni della Genesi, ed era avvolto nelle tenebre e popolato di creature<br />
predaci e violente.<br />
In base alla teoria del fantasioso autodidatta, dinosauri e gli altri<br />
organismi fossili erano stati accoppati a più riprese dal Creatore, per<br />
lasciare il posto a forme nuove, la cui somiglianza a creature precedenti<br />
non doveva essere interpretata come prova della catena di organismi<br />
ipotizzata da Buckland, ma piuttosto come dimostrazione dell’inventiva<br />
di bricoleur di Dio.<br />
Le illustrazioni di Scharf – il principale motivo di interesse per i<br />
contemporanei e colleghi nei confronti del libro di Hawkins ritraggono<br />
rettili solitari in vasti paesaggi desolati, sotto cieli perennemente nuvolosi<br />
e privi di astri.<br />
Hawkins aveva anche l’abitudine di creare nuove specie con liberalità,<br />
tramutando l’Ichtiosaurus communis in Ichtiosaurus chiroparamechostinus,<br />
per la dannazione dei tassonomisti. Ma per onestà dobbiamo anche<br />
osservare che le morfospecie utilizzate di Hawkins spesso erano più<br />
vicine alla realtà biologica delle più ortodosse categorie della tassonomia<br />
cuvieriana.<br />
Dilapidato il proprio patrimonio nell'acquisto di fossili, nel 1834 Hawkins<br />
riuscì a convincere alcuni colleghi a certificare il valore della sua<br />
collezione, che poi procedette a rivendere al British Museum – per un<br />
totale di venti tonnellate di materiale, inclusi 4000 piedi quadrati (370<br />
metri quadrati) di lastre di roccia. La sua prima richiesta era stata di<br />
4000 sterline (circa un milione e mezzo di euro al cambio attuale), e<br />
successivamente era stato lo stesso Buckland a perorare la causa<br />
dell’impoverito collezionista, valutando i fossili di Hawkins attorno alle<br />
1500 sterline; alla certificazione di Buckland fecero eco altri famosi<br />
collezionisti e paleontologi, fra loro Clift, Conybeare, De la Beche e<br />
Mantell tutti su richiesta di Buckland.
Gideon Mantell successivamente valutò la collezione a 1250 sterline, e il<br />
museo concluse la transazione. Pare accertato che il nuovo prezzo fosse<br />
stato determinato da Hawkins, e presentato ai potenziali acquirenti da<br />
Buckland e Mantell come favore personale per il collega.<br />
Fu solo successivamente, nel 1835, che il curatore del museo, Charles<br />
König (personaggio di una solerzia inquietante, che nominato curatore<br />
della Collezione Mineralogica, aveva ritenuto opportuno riscrivere di<br />
persona le 12.000 etichette dei campioni), scoprì che la straordinaria<br />
qualità dei reperti acquistati da Thomas Hawkins era essenzialmente<br />
frutto delle manipolazioni dello stesso Hawkins, che non aveva esitato a<br />
completare fossili incompleti con parti estratte da altri, o a ricostruire con<br />
il gesso pezzi mancanti di scheletro – rivelando così il proprio maggior<br />
talento, quello di geniale restauratore di resti fossili danneggiati.<br />
Di fatto sembra che molti dei suoi colleghi sapessero come Hawkins<br />
manipolasse i resti, ed anzi ne ammirassero la perizia di restauratore e<br />
ricostruttore. Ciò che provocò lo scandalo fu, naturalmente, il fatto che<br />
una istituzione statale avesse scucito tanti quattrini per acquistare dei<br />
palesi falsi.<br />
La decisione di rimuovere dalle collezioni i pezzi contraffatti e, nel caso<br />
di un eccellente esemplare di Ittiosauro, di dipingere in colori diversi le<br />
parti autentiche e le parti ricostruite, scatenò la furia dell'oltraggiato<br />
Hawkins, che abbandonò almeno nominalmente la paleontologia e spese<br />
gli ultimi anni della propria vita litigando col proprio padrone di casa,<br />
tentando di fomentare sommosse popolari ed accampando diritti<br />
assolutamente ingiustificati sul titolo di Duca del Kent.<br />
Lo scandalo delle ossa contraffatte, che il Museo avrebbe preferito<br />
passare sotto silenzio per delicatezza verso Buckland, arrivò invece fino<br />
alla camera dei Lords; la consultazione parlamentare che seguì fu<br />
imbarazzante per tutti, e gettò una luce pessima su tutte le persone<br />
coinvolte, ed in particolare su coloro che avevano ingenuamente<br />
certificato il valore della collezione, tra loro il già citato reverendo<br />
William Buckland, il cinico William Conybeare, e Gideon Mantell.<br />
Robert Grant, docente di Anatomia Comparata all’Università di Londra,<br />
affermò che la collezione Londinese rimaneva talmente indietro rispetto<br />
alla sua controparte parigina che qualsiasi paragone era “semplicemente<br />
ridicolo”.<br />
Buckland e Hawkins scivolarono nella follia.<br />
Conybeare scivolò nell’ombra.
Per ciò che riguarda il più grande eroe della paleontologia delle origini, il<br />
dottor Gideon Mantell, la sua tragedia era cominciata molto prima, e<br />
sarebbe finita molto tempo dopo.
La Tragedia dell'Iguanodonte<br />
La sua scoperta dell’analogia fra i denti dell’Iguana ed i denti<br />
fossili <strong>è</strong> molto interessante, ma il nome che lei propone non può<br />
proprio andare, poiché sarebbe ugualmente applicabile ad una<br />
iguana recente. Iguanoides o Iguanodon andrebbero meglio.<br />
[William Conybeare, lettera a Gideon Mantell, 1822]<br />
Amico personale di Charles Lyell, il quale stimolò gli interessi geologici<br />
che il personaggio di Mary Anning aveva risvegliato in lui, Gideon<br />
Algernon Mantell fu, prima di essere un paleontologo, un buon medico.<br />
E' stato fatto notare che in un’epoca in cui il tasso di mortalità delle<br />
puerpere era del tre per cento, Mantell riuscì a far venire al mondo 2400<br />
bambini perdendo solo due pazienti.<br />
Mantell era in gamba.<br />
Quella di medico condotto era d’altra parte la professione ideale per un<br />
cacciatore di fossili: in primis, il curriculum di studi medico era quello<br />
che maggiormente dava spazio alle scienze naturali, comprendendo<br />
materie utili ad un paleontologo quali anatomia e fisiologia, più un bel<br />
po’ di chimica; in secondo luogo perché un medico di campagna, quale<br />
Mantell era, passava gran parte delle proprie giornate in calesse,<br />
spostandosi <strong>attraverso</strong> la regione sotto la sua responsabilità (il Sussex,<br />
nel caso specifico) per visitare i propri assistiti.<br />
Per lasciar spazio alla pratica medica, Mantell lavorava sulle proprie<br />
ricerche paleontologiche di notte.<br />
E’ ironico quindi che il ritrovamento che segnò la fortuna e avviò la<br />
tragedia di Gideon Mantell non sia stato opera sua, ma di sua moglie;<br />
secondo la tradizione, infatti, mentre il buon dottore visitava un<br />
paziente, la signora Mary Ann Mantell si mise a rovistare in un mucchio<br />
di ghiaia (il che ci dà la misura di quanto fosse forte e socialmente<br />
accettabile la passione per i fossili a quel tempo, vignette del Punch a<br />
parte) e rinvenne un dente dentro ad un ciottolo.<br />
Ironico ma in ultima analisi falso; lo stesso Mantell fu spesso piuttosto<br />
vago riguardo al ritrovamento dei primi denti di Iguanodon, e pare<br />
probabile che il coinvolgimento di Mary Mantell sia stato minimo o nullo.<br />
La storia però <strong>è</strong> entrata a far parte del folklore paleontologico.
Successive indagini portarono Mantell ad una certa cava nei dintorni, nel<br />
bosco di Tilgate, ed al ritrovamento di resti di un grosso animale dai<br />
denti simili a quelli di una lucertola.<br />
Comunicazioni con Cuvier (Charles Lyell in persona gli portò un dente da<br />
esaminare) diedero scarsi risultati – il francese identificò i denti come<br />
appartenenti ad un rinoceronte, ed anche se successivamente ci ripensò,<br />
non ebbe mai la cortesia di comunicare il proprio ripensamento a<br />
Mantell. Ed era tra l'altro opinione di Lyell che Cuvier avesse esaminato il<br />
materiale di Mantell dopo una festa fra amici, risentendo ancora dei<br />
postumi di abbondanti libagioni.<br />
Nonostante la crescente ilarità causata dalle sue affermazioni, Mantell<br />
proseguì nelle proprie ricerche, e quasi per caso scoprì la somiglianza dei<br />
denti ritrovati da sua moglie con quelli delle iguana. Giunse perciò alla<br />
conclusione che i suoi campioni fossero i resti di un animale simile ad<br />
un’iguana, e lungo diciotto metri.<br />
Su suggerimento del solito Conybeare, Mantell lo<br />
chiamò Iguanodon (o Iguanodonte), e ne pubblicò una ricostruzione. Su<br />
suggerimento di Buckland, collocò una punta d’osso trovata associata ai<br />
resti sulla cima del muso dell’animale (si sarebbe poi scoperto che era in<br />
realtà un analogo di un pollice primitivo).<br />
E la ricostruzione del fossile fu solo l'inizio.<br />
Nel 1825, Mantell pubblicò l'articolo “Notice on the Iguanodon, a Newly<br />
Discovered Fossil Reptile, from the Sandstone of Tilgate Forest, in Sussex”,<br />
che suscitò scalpore alla Royal Society, che elesse l'autore Fellow alla fine<br />
dello stesso anno.<br />
Sulla scorta di quel solo lavoro, Mantell divenne pure membro onorario<br />
dell'istituto di Parigi, e successivamente, ricevette la Wollaston Medal<br />
della Geological Society di Londra, ed una medaglia dalla Royal Society.<br />
Entusiasta, galvanizzato dal poter perseguire quella che era<br />
evidentemente la sua vera passione, Mantell cominciò a tenere<br />
conferenze a tema naturalistico, dimostrandosi un abile ed apprezzato<br />
oratore; in una occasione accorsero a migliaia per sentirlo dissertare sul<br />
tema “Una rana ed un ciottolo”.<br />
Da sempre collezionista di fossili, prese ad accumularne in quantità<br />
sempre maggiori, con notevole spesa (come si sarà capito, gran parte dei<br />
“fossilisti” del diciannovesimo secolo acquistarono da terzi una parte
ilevante delle proprie collezioni), trasformando la propria casa in una<br />
sorta di informale museo, e favoleggiò di un proprio vero e proprio<br />
museo paleontologico. Ne creò uno a Brighton (altra importante località<br />
turistica dell'epoca) ma <strong>questo</strong> andò fallito ben presto per l'abitudine del<br />
buon dottore di non far pagare il prezzo del biglietto ai visitatori (la<br />
collezione venne poi venduta al British Museum per la cifra di 4000<br />
sterline, nel 1838, per pagare i debiti).<br />
Pubblicò libri.<br />
Pubblicò in particolare, nel 1838, un volume, intitolato Meraviglie della<br />
Geologia, il cui frontespizio era una mezzatinta del popolare pittore John<br />
Martin – specialista nell’illustrare storie gotiche e scene bibliche<br />
catastrofiche quali la Caduta di Babilonia o il Diluvio Universale –<br />
intitolato “Il Paese dell’Iguanodon”.<br />
Fra la folla di visitatori che oggi hanno assediato la mia casa c’era<br />
mister John Martin (con sua figlia), il celebrato, meritatamente<br />
celebrato artista, le opere del quale sono fra i prodotti più raffinati<br />
dell’arte contemporanea. Il signor Martin si <strong>è</strong> dimostrato molto<br />
interessato ai resti dell’Iguanodon eccetera. Vorrei poter<br />
convincerlo a ritrarre il paese dell’Iguanodon: nessun’altra matita<br />
fuorché la sua dovrebbe affrontare un tale soggetto.<br />
[Gideon Mantell, Diario, (1834)]<br />
La stampa <strong>è</strong> a tinte fosche e rivela tutta la sensibilità gotica dell’artista: il<br />
paesaggio <strong>è</strong> scuro e scosceso, costellato qua e là da vaghe forme di piante<br />
simili a palme, che si stagliano contro un cielo nel quale nubi cariche di<br />
pioggia sembrano inseguirsi spinte da un vento furioso.<br />
In primo piano, si consuma il dramma; l’iguanodonte di Mantell, una<br />
specie di cane/lucertola con un corto corno da rinoceronte sul muso ed<br />
una bella cresta frastagliata sulla schiena, come i draghi delle leggende,<br />
si batte contro due predatori simili a coccodrilli; una delle due bestiacce<br />
ne sta azzannando il garrese, e l’iguanodonte <strong>è</strong> colto dall’artista nell’atto<br />
di rivoltarsi, snudando i denti, pronto ad azzannare a sua volta<br />
l’aggressore. Uno pterodattilo che pare un pellicano zannuto osserva la<br />
scena.<br />
Non c’<strong>è</strong> dubbio, nel guardare questa semplice figura, che il paese<br />
dell’Iguanodon sia alieno e pericoloso, popolato di creature selvagge che<br />
rispondono ad una legge violenta e priva di compromessi.
Un autentico mondo alieno.<br />
Meraviglie della geologia.<br />
Tale fu il successo di Meraviglie della Geologia, che gli imitatori si<br />
scatenarono nel tentativo di accaparrarsi una fetta del pubblico.<br />
Fra gli epigoni di Mantell, il più astuto si rivelò ancora una volta il<br />
selvaggiamente eccentrico Thomas Hawkins che nel 1840 pubblicò The<br />
Book of the Great Seadragons, Ichthyosauri and Plesiosauri, Gedolim<br />
Taninum of Moses. Extinct Monsters of the Ancient Earth, ricucinando gran<br />
parte del proprio materiale sui dinosauri marini, pubblicato sei anni<br />
prima, ed affidando l'illustrazione del testo allo stesso John Martin che<br />
aveva illustrato il lavoro di Mantell.<br />
Il frontespizio di “SeaDragons” ritrae una scena “The Sea Dragons as<br />
They Lived” che <strong>è</strong> palesemente un plagio di Martin verso se stesso, oltre<br />
che verso il vecchio dipinto (1824) di De la Beche su modelli di<br />
Conybeare: di nuovo animali selvatici si combattono, questa volta nelle<br />
tenebre del mondo preAdamitico immaginato da Hawkins sulla base<br />
della sua personale interpretazione della Genesi.<br />
Nella risacca di un mare color della pece, un dinosauro molto simile a un<br />
coccodrillo affronta due plesiosauri dagli occhi a fanale, in un<br />
combattimento mortale fra i flutti. Sotto lo sguardo di uno pterodattilo<br />
che sembra un cormorano (se ne intuiscono altri sullo sfondo, ma non<br />
paiono interessati), uno dei rettili risponde all'attacco flettendo il collo ed<br />
attaccando il proprio assalitore.<br />
La stessa scena ritratta tanto da De la Beche che da Martin, appena<br />
adattata alle specifiche quasi gotiche di Thomas Hawkins.<br />
Come andò a finire, per Mantell ed i suoi amici con Hawkins e la sua<br />
famosa collezione lo abbiamo visto.<br />
Spostiamoci allora avanti, ora, di venticinque anni, fino al 1863.<br />
C’<strong>è</strong> un altro libro, con un’altra tavola stampata.<br />
Il volume si intitola La Terra prima del Diluvio, ed <strong>è</strong> opera di Guillamme<br />
Louis Figuier, noto illustratore e divulgatore; la tavola incriminata si<br />
intitola “L’Iguanodon e il Megalosauro (Periodo Cretacico Inferiore)”.<br />
L’immagine <strong>è</strong> relativamente chiara.<br />
In un paesaggio sommariamente forestato, l’Iguanodonte, sempre una<br />
specie di cane/lucertola con un corno da rinoceronte, <strong>è</strong> nuovamente alle
prese con un pericoloso carnivoro. La bestiaccia (un megalosauro, che<br />
sembra un bassotto grasso col muso di coccodrillo), lo sta azzannando ai<br />
quarti posteriori. L’iguanodonte si difende azzannando a sua volta<br />
l’aggressore.<br />
A parte l’assenza di un secondo predatore, <strong>è</strong> quasi la stessa scena,<br />
semplicemente ritratta in controcampo rispetto a quella di Martin: il<br />
paesaggio <strong>è</strong> selvaggio ed alieno, la violenza affatto repressa <strong>è</strong> al suo<br />
apice.<br />
Un mondo diverso dal nostro, crudele, selvaggio, violento.<br />
Eppure ne <strong>è</strong> passata di acqua sotto ai ponti della paleontologia, in questi<br />
venticinque anni...<br />
Gideon Mantell <strong>è</strong> morto, povero e solo, nel 1852, per overdose di oppio<br />
assunto al fine di lenire i dolori dovuti alla scoliosi (frutto di un brutto<br />
incidente), avendo mandato a gambe all’aria tanto la propria professione<br />
medica che il proprio matrimonio per dare la caccia ai fossili.<br />
Un tempo stimato conferenziere, negli ultimi anni della sua vita la sua<br />
credibilità scientifica, minata dallo scandalo delle ossa contraffatte di<br />
Hawkins, <strong>è</strong> stata definitivamente distrutta dagli attacchi ripetuti e<br />
terribili di un personaggio che in Mantell ha trovato l’ideale bersaglio per<br />
il proprio ego straripante: l’astro nascente della paleontologia britannica,<br />
Richard Owen, che gli ha anche “soffiato” l’Iguanodonte.<br />
Definito “pigro ed impudente” da un tutore che in giovane età pronosticò<br />
per lui “una pessima fine”, e bollato come “ideale malvagio della<br />
letteratura vittoriana” da un moderno commentatore, Richard<br />
Owen aveva deciso di dedicarsi alla paleontologia col dichiarato intento<br />
di diventare “il Cuvier Inglese”.<br />
Una misura della personalità di Owen si può forse trovare nel fatto che<br />
definì il truffaldino Hawkins un individuo “valido ed affidabile”.<br />
Intelligente, arrogante, con le connessioni giuste nell'establishment<br />
politico (era amico personale del Primo Minisro Gladstone, ed era stato<br />
istitutore dei rampolli reali), Owen aveva studiato medicina ed era<br />
ferratissimo in campo anatomico – da un frammento d'osso lungo dieci<br />
centimetri riuscì a ricostruire correttamente l'intera struttura anatomica<br />
del Moa o Dinornis, il gigantesco uccello senz'ali della Nuova Zelanda, e<br />
per vent’anni tenne tre seminari alla settimana al Collegio di Medicina,<br />
senza mai ripetere due volte lo stesso argomento. Ma per contro,
sostenne a spada tratta l’ipotesi che la piega verso il basso della coda<br />
dell’Ittiosauro fosse un artefatto del processo di fossilizzazione, solo per<br />
venire smentito sulla base di prove empiriche ineluttabili proprio da<br />
Thomas Hawkins.<br />
Animato da un'ambizione divorante, Owen fece piazza pulita di qualsiasi<br />
concorrenza in campo paleontologico coniando il termine, Dinosauro (un<br />
geniale esempio di marketing), per indicare tutti i grossi rettili estinti, ed<br />
implicitamente appropriandosi dei ritrovamenti di tutti i suoi colleghi e<br />
predecessori, riducendoli a nient’altro che istanze singole del gruppo da<br />
lui “scoperto”.<br />
La popolarità e la fama permisero a Sir Richard Owen di attaccare e<br />
demolire la ricostruzione fatta da Mantell dell’Iguanodonte (e le opinioni<br />
del più anziano paleontologo su molte altre faccende), salvo poi esporre<br />
al Crystal Palace nel 1854 i modelli di dinosauro creati insieme all’artista<br />
Benjamin Waterhouse Hawkins (nessuna parentela con Thomas),<br />
ispiratosi dichiaratamente proprio ai disegni che Martin aveva fatto per<br />
Mantell.<br />
Il complesso che dal 1851 ospitò la Grande Esposizione a Hyde Park, un<br />
colosso di ferro e vetro (oltre un milione di piedi quadrati di vetro) che<br />
guadagnò immediatamente un posto nella storia dell'architettura al<br />
proprio creatore, l'architetto Sir Joseph Paxton,che lo progettò in soli<br />
dieci giorni.<br />
Voluto, e parzialmente progettato, dal Principe consorte Alberto – che<br />
con questa trovata riuscì a liberarsi di parte almeno del ridicolo che da<br />
sempre lo perseguitava – il complesso era circondato da un parco di<br />
duecento acri, con oltre 12000 fontane individuali, <strong>attraverso</strong> le quali<br />
fluiva oltre un milione di litri d'acqua, a ciclo continuo; la più colossale,<br />
innalzava il proprio getto al oltre settantacinque metri da terra.<br />
Una struttura colossale, tempio dell'Impero e monumento alla superiorità<br />
britannica, il Crystal Palace viene oggi prevalentemente paragonato al<br />
Millenium Dome, costruito a Londra dall'amministrazione Blair.<br />
La principale differenza, forse, sta nel successo dell'impresa – con i<br />
proventi dell'Esposizione vennero finanziati tutti i grandi musei londinesi<br />
Albert Hall, Science Museum, National History Museum, Victoria and<br />
Albert Museum. Il Millenium Dome ha per ora solo scatenato le ire degli<br />
estimatori dell'architettura classica londinese.<br />
Ma il paragone, se generalmente corretto da un punto di vista ideologico<br />
e strumentale, non esprime il profondo significato dell'esposizione.<br />
Cerchiamo di immaginare: al Crystal Palace c'era tutto.
TUTTO.<br />
L'impatto psicologico e culturale dell'esposizione <strong>è</strong> probabilmente<br />
confrontabile, per la sua epoca, e per i sei milioni e duecentomila<br />
visitatori (molti provenienti dall'Europa continentale) che ne percorsero<br />
le sale, con la prima connessione a internet, agli albori della frontiera<br />
elettronica – l'improvvisa accessibilità a milioni di fonti, a milioni di<br />
opzioni, milioni di punti di vista diversi.<br />
Tutto ciò che esisteva era presente a Crystal Palace, e la presenza<br />
all'esposizione era quasi una certificazione di realtà.<br />
Al Crystal Palace convergevano passato e futuro.<br />
L'esposizione – comprendente 13.000 mostre separate sotto uno stesso<br />
tetto – includeva le ultime novità in campo tecnologico (il telaio Jaccard<br />
a schede perforate, l'etichettatrice postale, la mietitrebbia arrivata<br />
direttamente dagli Stati Uniti); le delegazioni di tutti i paesi del mondo<br />
(teoricamente) erano presenti, con in primo piano le porzioni più<br />
esotiche dell'Impero Britannico – India, Australia, Nuova Zelanda.<br />
La storia era rappresentata, dall'antico Egitto al Rinascimento Italiano, ed<br />
erano esposte copie di gran parte dei principali capolavori dell'arte<br />
mondiale.<br />
Nel 1868 venne ospitata la prima mostra dell'aeronautica e nel 1935 –<br />
dopo che la struttura era stata trasferita a Sydenham Hill, South London<br />
– Baird vi dimostrò per la prima volta la televisione a colori, su uno<br />
schermo di tre metri e sessanta per tre metri.<br />
Fra le attrazioni/esposizioni originali di Crystal Palace c'era anche un<br />
settore di parco dedicato – dal 1854 alla ricostruzione di alcune<br />
semplici strutture geologiche, in un paesaggio “primitivo” popolato da<br />
creature preistoriche.<br />
Più dei lavori di Buckland e Cuvier, più della carica mitica di Mary<br />
Anning o delle dotte conferenze di Gideon Mantell, l'esposizione di<br />
Crystal Palace collocò con precisione i dinosauri nella mappa intellettuale<br />
degli europei.<br />
L'interesse generale per la paleontologia – e per i dinosauri – crebbe<br />
ulteriormente.<br />
Fra i ventinove dinosauri del '54, a Crystal Palace c’era, naturalmente,<br />
anche l’Iguanodonte, ed Owen ancora una volta non perse occasione per<br />
dimostrare l’incompetenza di Mantell (che lo aveva “solo” scoperto).<br />
Lo accompagnavano Hyalerosauro, Teleosauro, Pterodattili e Megalosauri<br />
assortiti – mentre Plesiosauro e Ittiosauro, che Owen aveva<br />
commissionato, erano stati cassati per motivi di costi e vennero inclusi<br />
solo successivamente.
Ciascun rettile era rappresentato in quello che si riteneva il suo ambiente<br />
naturale (sulla base dei sedimenti all'interno dei quali erano stati<br />
ritrovati i resti) e in posizioni ricostruite a partire dalla disposizione dei<br />
resti.<br />
Alcuni di questi modelli contenevano trenta tonnellate di argilla,<br />
che doveva essere sorretta da quattro zampe, poiché le loro<br />
caratteristiche naturali non mi consentivano di ricorrere ad alcuno<br />
di quegli espedienti usati dagli scultori in situazioni ordinarie. Non<br />
potevo usare alberi o rocce, o cespugli, per sorreggere questi<br />
grandi corpi che, per essere naturali, dovevano essere sorretti per<br />
bene dalle loro quattro gambe. Nel caso dell'Iguanodonte, non fu<br />
diverso da costruire una casa su quattro colonne, e per ciò che<br />
riguarda i materiali di cui <strong>è</strong> fatto l'Iguanodonte, questi<br />
comprendono quattro colonne di ferro lunghe nove piedi e di sette<br />
pollici di diametro, 600 mattoni, 650 tegole da canaletta<br />
semicircolari da cinque pollici, 900 piastrelle normali, 38 sacchi di<br />
cemento, 90 sacchi di roccia macinata...<br />
[Benjamin Waterhouse Hawkins, conferenza tenuta presso la<br />
Society of Arts, 1854]<br />
La notte di capodanno del 1853, per celebrare l'installazione dei<br />
dinosauri al Christal Palace, Owen organizzò una cena sontuosa servita<br />
all'interno di un modello di Iguanodonte per venti luminari invitati<br />
all'uopo.<br />
L’invito venne recapitato inciso su una falsa ala di pterodattilo.<br />
Mantell, invitato, declinò cortesemente – soffriva molto per i danni alla<br />
schiena riportati in un incidente col calesse, e non aveva simpatia per<br />
simili ostentazioni (e probabilmente ancor meno simpatia per Owen).<br />
Il padrone di casa non mancò di manipolare l'informazione ancora una<br />
volta – il colosso all'interno del quale si svolse la cena non era infatti uno<br />
dei modelli di Hawkins, ma il calco vuoto all'interno del quale uno degli<br />
iguanodonti era stato modellato.<br />
Non che gli ospiti fossero nelle condizioni di poterci fare molto caso –<br />
stando alle cronache dell’epoca, i ventuno scienziati si ubriacarono come<br />
carrettieri, tanto da causare con il loro canto a squarciagola le proteste<br />
dei residenti nell’area.<br />
E sì che il Crystal Palace era parecchio distante dalle abitazioni<br />
circostanti.<br />
Per i più curiosi, il testo della canzoncina intonata dai dotti avvinazzati<br />
all'interno del calco dell'Iguanodonte faceva così:
Piuttosto imbarazzante.<br />
Ché mostri saggi sono i nostri Sauri<br />
E saggiamente regneranno<br />
Per divulgare rapida la conoscenza in ogni dove<br />
sono tornati in vita<br />
...<br />
Il gaio animale antico<br />
non <strong>è</strong> morto<br />
c’<strong>è</strong> ancora vita in lui.<br />
Se Gideon Mantell fu sempre il bersaglio di elezione di Owen, questi fu<br />
altrettanto sbrigativo e tranciante nel gestire i propri rapporti con l’ex<br />
amico Charles Darwin.<br />
Cristiano devoto, Owen vedeva la storia della vita sulla terra come una<br />
serie di esperimenti da parte del Creatore, una serie di successive<br />
Creazioni in cerca della perfezione. La casualità e la natura strettamente<br />
meccanicistica delle teorie di Darwin lo riempì di orrore e risentimento, e<br />
quasi istintivamente, passò al contrattacco.<br />
Il volume in ottavo di oltre cinquecento pagine, che ha fatto la sua<br />
comparsa verso la fine dell'anno passato, <strong>è</strong> stato ricevuto e<br />
consultato con avidità, non solo dai naturalisti di professione, ma<br />
da una classe intellettuale ben più ampia che ora si interessa nelle<br />
più ampie generalizzazioni delle principali scienze. Lo stesso stile<br />
piacevole che contraddistingue i primi lavori del signor Darwin, ed<br />
una certa disposizione artistica ed il succedersi ordinato delle sue<br />
argomentazioni principali, hanno attirato più dappresso<br />
l'attenzione dei pensatori verso l'ipotesi dell'inconsistenza e<br />
trasmutazione delle specie, rispetto a quanto fosse accaduto con i<br />
precedenti sostenitori di simili vedute. Perciò molti, e forse la<br />
maggioranza, dei nostri naturalisti più giovani sono stati sedotti e<br />
portati ad accettare la forma omeopatica di ipotesi di<br />
trasmutazione ora presentata loro dal signor Darwin con<br />
l'espressione “Selezione Naturale”.
[Anonimo (Richard Owen),”Darwin on the Origin of Species”,<br />
Edinburgh Review, 3, 1860]<br />
Si noti la soave velenosità del breve passaggio riportato (l'articolo<br />
completo <strong>è</strong> di 55 pagine). Il riferimento all'appeal della teoria darwiniana<br />
per i “non professionisti” e per i giovani (ovviamente poveri sventati, ma<br />
meritevoli di una certa indulgenza), attratti dai toni artistici e<br />
dall'esposizione ordinata delle proprie ipotesi (come se fosse un artificio<br />
e non un requisito di una buona analisi scientifica) – tutto <strong>è</strong> studiato per<br />
sminuire non tanto le ipotesi dell'autore, ma la lucidità dei suoi lettori,<br />
fin dall'inizio. E non si tratta neppure di idee originali, butta lì Owen,<br />
preparando il successivo attacco, nel quale si rivolgerà tanto contro<br />
Darwin quanto contro i suoi predecessori e contemporanei. Ma se il resto<br />
dell'articolo attacca lentamente ed inesorabilmente il lavoro di Darwin, al<br />
contempo non manca di profondersi in lodi sperticate per il lavoro dello<br />
stesso Owen (che pubblicò il lavoro anonimamente).<br />
Un pessimo esempio di disonestà intellettuale. È stato ipotizzato che una<br />
componente notevole della velenosità di Owen derivasse dal fatto che, in<br />
qualità di amico di Charles Darwin, era stato lui a fornire tutte le<br />
interpretazioni sui fossili raccolti durante la crociera del Beagle, senza<br />
sapere che sarebbero state utilizzate per sostenere una tesi alla quale egli<br />
era fermamente opposto; ed in effetti Charles Darwin si guardò bene, in<br />
quel periodo, di menzionare all’amico la direzione che stavano<br />
prendendo i suoi studi.<br />
Charles Darwin, come Gideon Mantel, fu un personaggio schivo e poco<br />
avvezzo ai bagni di folla, quasi indifeso davanti all'irruenza del fin troppo<br />
espansivo Owen, potente, ben inserito e rispettatissimo; ma a differenza<br />
di Mantell, Darwin poteva contare su due fondamentali vantaggi. In<br />
primo luogo, la novità e la complessità delle argomentazioni di Darwin a<br />
supporto della teoria dell'evoluzione della specie <strong>attraverso</strong> la selezione<br />
naturale erano tali da impedire un semplice “dirottamento” come quello<br />
che aveva permesso ad Owen di appropriarsi del lavoro di Mantell.<br />
Secondariamente, Darwin poteva contare sul supporto di Thomas Huxley,<br />
tradizionalmente definito “il bulldog di Darwin”, strenuo difensore delle<br />
teorie evoluzioniste e abile polemista. Fu quindi impossibile per Owen<br />
mettere in ombra Darwin e le sue teorie, nonostante i ripetuti attacchi<br />
alla teoria dell'evoluzione.<br />
Al massimo del suo potere, Richard Owen veniva ritratto dal Punch<br />
seduto a capotavola ad un banchetto al quale partecipavano mostri
anziché esseri umani: una metafora azzeccata del destino ultimo del<br />
Cuvier Britannico, che finì la propria esistenza circondato da fossili ma<br />
privo di rapporti umani.<br />
Leader incontrastato della paleontologia britannica nonostante l'astro<br />
nascente di Darwin, Owen si batté per oltre venticinque anni per riuscire<br />
ad ottenere dal governo imperiale e dall'amministrazione londinese un<br />
nuovo museo dedicato alle scienze naturali, ed in particolare alla<br />
geologia ed alla Zoologia, che rimpiazzasse quello al quale Thomas<br />
Hawkins aveva piazzato i propri fossili manipolati.<br />
L'apertura del museo proprio sul sito originariamente occupato dalla<br />
Grande esposizione fu per Owen un trionfo personale, e l'occasione per<br />
ribadire la propria avversione per le teorie di Darwin ventidue anni dopo<br />
la pubblicazione de L'Origine della Specie.<br />
Molte colonne dell'edificio così simile ad una cattedrale nella sua<br />
miscela di stili antiquati, dal neogotico al romanico sono ornate da<br />
piante stilizzate, sulle quali scimmiette scolpite sono intente ad<br />
arrampicarsi, in aperto sberleffo alla teoria che forme di vita superiore si<br />
siano sviluppate e siano ascese a partire da semplici animali.<br />
Ad oltre un secolo di distanza, solo alcuni creazionisti si compiacciono di<br />
<strong>questo</strong> dettaglio – e non capiscono le implicazioni più profonde del<br />
lavoro di Owen mentre la maggior parte dei visitatori si lascia<br />
affascinare dal contenuto, più che dall'ornamentazione del contenitore.<br />
Frattanto, il Megalosauro, fra tutti i fossili della prima generazione di<br />
cacciatori di mostri antidiluviani, aveva fatto il proprio ingresso nella<br />
letteratura popolare, grazie ai buoni auspici di Charles Dickens.<br />
Nel Marzo del 1852, infatti, il primo capitolo del nuovo romanzo seriale<br />
di Dickens, Bleak House, si apriva con un passaggio paleontologicamente<br />
significativo...<br />
Londra. Sessione autunnale da poco conclusa e il Lord Cancelliere<br />
tiene udienza a Lincoln’s Inn Hall. Impeccabile clima di novembre.<br />
Tento fango che nelle vie pare che le acque si siano da poco<br />
ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un<br />
megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una<br />
lucertola gigantesca lungo Holborn Hill.<br />
[Charles Dickens, Casa Desolata, 1852]<br />
Owen fu un grande estimatore di Dickens, che lo menzionò pure in uno<br />
dei suoi romanzi – Our Mutual Friend – ed esiste una sorta di giustizia
poetica anche in paleontologia, e la vita di Owen, personaggio tanto<br />
“rampante” quanto spiacevole, ha in effetti un cinico finale Dickensiano –<br />
vecchissimo e potentissimo, con oltre seicento articoli scientifici<br />
pubblicati, inaridito e bilioso, quasi un modello per il personaggio di<br />
Scrooge, Owen sopravvisse a tutti i propri rivali (ed anche al proprio<br />
figlio, che morì suicida), solo per vedere il defunto Darwin trionfare<br />
inesorabilmente.<br />
Come Owen aveva attaccato e distrutto Mantell, così Huxley attaccò e<br />
distrusse la ricostruzione e l’interpretazione data da Owen<br />
dell’Archaeopterix, minando la reputazione di anatomista massimo del<br />
collega ed al contempo segnando un punto fondamentale per il campo<br />
evoluzionista.<br />
Richard Owen morì nel 1892.<br />
L’uomo che aveva perduto la presidenza della Geological Society of<br />
London per aver pubblicato un cattivissimo necrologio alla morte<br />
prematura di Mantell (insinuando che Mantell si avvalesse di consulenti<br />
anonimi per compilare i propri articoli, mancandogli la preparazione<br />
accademica), e che aveva poi fatto asportare parte della colonna<br />
vertebrale del defunto per conservarla in formalina su uno scaffale (andò<br />
perduta durante la Seconda Guerra Mondiale), venne infine liquidato,<br />
poche ore dopo l’inumazione, come “un dannato bugiardo, che mentiva<br />
per Dio e per malizia” da un suo stimato collega.<br />
Tutti ormai lo detestavano.<br />
Frattanto, il 28 febbraio 1878, a Bernissart, in Belgi, i minatori Jules<br />
Créteur e Alphonse Blanchard (membri della più bassa lower<br />
class immaginabile) rinvennero, a 322 metri di profondità in una miniera<br />
di carbone, il più grande giacimento di Iguanodonti della<br />
storia. Inizialmente i due credettero di aver imbattuto un pezzo di legno<br />
pietrificato – ma il loro ritrovamento si rivelò poi essere il primo resto<br />
fossile di un acumulo di trentotto iguanodonti, che vennero estratti a<br />
partire dal maggio successivo, e montati a partire dal 1882, ad opera di<br />
del paleontologo belga Louis Dollo.<br />
Dollo – che dovette ingegnarsi, insieme con il collega Luis de Pauw, per<br />
preservare i resti, che si deterioravano rapidamente per via<br />
dell'ossidazione della pirite contenuta nelle ossa pietrificate – montò i<br />
dinosauri in aperta contraddizione alle ricostruzioni di Owen, avendo a<br />
disposizione materiale più che sufficiente per dimostrare gli errori<br />
dell'inglese.<br />
Per la prima volta il “corno” nasale dell'Iguanodonte britannico veniva<br />
così piazzato nel posto che anatomicamente gli competeva – in
corrispondenza del pollice. La presenza di tendini ossificati permise<br />
anche di stabilire che l'animale, bipede, non piegava la coda, ma la<br />
teneva tesa dietro di sé.<br />
Insomma, la ricostruzione di Owen era completamente sbagliata –<br />
probabilmente di più di quella di Mantell, dopotutto basata su uno<br />
scheletro parziale.<br />
Se fate un salto a Beissart alcuni degli scheletri montati da Dollo sono<br />
ancora là – al momento di scrivere queste righe, l'ingresso costa quattro<br />
euro.<br />
Ma forse la beffa più colossale giocata dalla storia a Richard Owen fu<br />
proprio lo strano destino delle sue “terribili lucertole” che in capo a<br />
pochi anni avrebbero cessato di avere validità come classe tassonomica,<br />
per venire consegnate a quel pubblico non specialistico ed entusiasta che<br />
tanto egli aveva deriso in vita.<br />
Quanto ad Benjamin W. Hawkins ed ai suoi sauri, quando problemi<br />
finanziari impedirono la collocazione al Crystal Palace di altri modelli, di<br />
fauna terziaria e quaternaria (compreso un Mammuth), l'artista si trasferì<br />
negli Stati Uniti per popolare di ricostruzioni simili il neonato Central<br />
Park di New York, nel quale ancora i newyorkesi pascolavano greggi di<br />
pecore.<br />
Il successo del parco dei dinosauri a Sydenham aveva risvegliato<br />
l’interesse dei membri del Comitato dei Commissari per il Central Park di<br />
New York, e questi nel 1868 decisero di replicare nella metropoli<br />
statunitense i fasti della Londra vittoriana.<br />
Andrew Green, presidente del Comitato e principale fautore del<br />
progetto, contattò perciò Hawkins per l’allestimento del Grande Museo<br />
Paleozoico di New York, un’area coperta da una tettoia di ferro battuto e<br />
rampicanti sorretta da colonne neoclassiche, gli animali di calcestruzzo e<br />
mattoni di Hawkins avrebbero affascinato ed istruito i newyorkesi.<br />
Una specie di catacomba fossile nella quale il visitatore,<br />
trattenendo il proprio sconcerto ed incoraggiando la propria<br />
comprensione, avrebbe vagolato circondato da forme di esistenza<br />
preadamitca, per poi fuggire nuovamente nella luce del sole come<br />
Marcello e Bernardo, ‘ridotti quasi in gelatina dall’effetto<br />
dell’orrore’.<br />
... come avrebbe commentato uno scienziato dell’epoca.
Hawkins, allettato dalla proposta di Green, cominciò con l’acquisire la<br />
ricostruzione dell’Adrosauro dell’accademia delle scienze di Philadelphia.<br />
Il suo progetto era di mostrare l’Adrosauro attaccato da Laelaps, mentre<br />
altri due Laelaps si sarebbero accaniti su una forma abbattuta. Poco<br />
lontano, un Elasmosauro sistemato in una piscina avrebbe osservato la<br />
scena.<br />
Sullo sfondo, un armadillo gigante, un mastodonte, alci e bradipi tipici<br />
della fauna preistorica americana avrebbero fatto da contorno a una<br />
scena che – cambiando gli interpreti principali – poco si sarebbe<br />
comunque discostata dalla scena originariamente tracciata da Martin per<br />
il volume di Mantel.<br />
Il tutto, al prezzo di 30.000 dollari dell’epoca.<br />
Della cosa non si fece nulla.<br />
Il famigerato William M. “Boss” Tweed arrivò sulla scena, e non<br />
riuscendo ad intascare una fetta delle spese per il Museo Paleozoico,<br />
boicottò il progetto presentandolo al pubblico come troppo costoso.<br />
Tweed era il leader della Tammany Hall, una organizzazione politica il<br />
cui peso sull'amministrazione di New York era tanto pervasivo quanto<br />
perverso; Tweed aveva contatti a tutti i livelli nella politica e<br />
nell'economia cittadina, e non esitava ad usarli per i propri<br />
fini. Incarcerato nel 1870 per aver intascato una cifra imprecisata fra i 75<br />
e i 200 milioni in fondi statali, Boss Tweed morirà in carcere nel 1878.<br />
Tuttavia, Quando Hawkins decise di ignorare la stampa negativa<br />
(sperando che la neonata Smithsonoian Institution potesse subentrare<br />
come committente), vandali non identificati si introdussero nel suo<br />
laboratorio e distrussero a colpi di maglio tutti i modelli in lavorazione;<br />
Henry Hilton, braccio destro di Tweed, consiglò a Hawkins di smettere di<br />
occuparsi di animali morti, quando ce n’erano così tanti vivi di cui<br />
interessarsi.<br />
Un'offerta che non si poteva rifiutare.<br />
E Benjamin Waterhouse Hawkins cessa così di avere una parte attiva<br />
nella nostra storia.<br />
In Gran Bretagna, il Crystal Palace venne distrutto da un incendio nel<br />
1936, ed i terreni circostanti subirono i bombardamenti della Seconda<br />
Guerra mondiale. Il parco venne ricostruito, ed oggi <strong>è</strong> possibile vedere i<br />
dinosauri di Hawkins e Owen, restaurati nel sobborgo di Bromley. I lavori<br />
di restauro si sono svolti fra il 1994 ed il 1996, preservando l'ormai
superatissima ricostruzione di Hawkins come monumento ad un<br />
momento preciso dell'evoluzione concettuale dei grandi rettili.<br />
Eppure, l’iguanodonte ritratto da Figuier nel 1863, se <strong>è</strong> figlio di Mantell e<br />
Martin per una certa linea iconografica, se porta sul naso il corno<br />
immaginato da Buckland, da Owen ed Hawkins prende il suo tratto più<br />
immediatamente evidente – la staticità.<br />
In <strong>questo</strong> senso, a differenza dell’immagine di Martin, che potremmo<br />
definire “quasi puramente” scientifica, l’immagine di Figuier porta anche<br />
e soprattutto un contenuto “ideologico” – non vuole solo illustrarci un<br />
episodio di vita del passato, ma anche e soprattutto veicolare le ipotesi<br />
dell’autore, forte sostenitore del dinosauro come creatura lenta, stupida,<br />
torpida. Non c’<strong>è</strong> infatti, nel disegno di Figuier, la frenesia plastica del<br />
lavoro di Martin; se là assistiamo allo scontro caotico e sanguinoso fra<br />
bestie selvagge, qui assistiamo al lento e sistematico macello di due<br />
creature torpide, forse addirittura troppo stupide per provare dolore per<br />
le ferite che si stanno reciprocamente infliggendo.<br />
La scena ritratta da Figuier ha l’inevitabilità di uno scontro fra automobili<br />
ripreso al rallentatore.
Viaggi Staordinari<br />
Mi accingo a sostenere quella che ai più parrà una strana tesi.<br />
Affermo che i primi libri da mettere nelle mani dei più giovani<br />
che, mossi i primi passi della conoscenza, abbiano imparato a<br />
leggere, dovrebbero essere di Storia Naturale; che anziché<br />
risvegliare le capacità delle giovani menti all’ammirazione,<br />
<strong>attraverso</strong> le favole […] di prodotti della pura immaginazione,<br />
sarebbe meglio dirigerle la loro attenzione ammirata verso il<br />
semplice spettacolo della natura – alla struttura dell’albero, la<br />
composizione del fiore, gli organi degli animali, la perfezione delle<br />
forme cristalline dei minerali e soprattutto la storia del mondo in<br />
cui viviamo; la disposizione della sua stratificazione, e la storia<br />
della sua nascita, come riferiteci dai resti dei suoi molti<br />
rivolgimenti che possiamo cogliere nelle rocce sotto ai nostri piedi.<br />
[Guillamme Luois Figuier, Tesi introduttiva a La Terra prima del<br />
Diluvio, (1863)]<br />
Proprio nel 1863, mentre il francese Figuier pubblicava il suo Mondo<br />
prima del Diluvio, l’altrettanto francese Jules Verne (18281905), decise<br />
di imperniare la propria ultima fatica letteraria a quella che era la<br />
principale controversia scientifica del momento.<br />
Verne era un ex seminarista, studente di legge e agente di cambio di<br />
Nantes che si era riciclato con un certo successo come librettista di<br />
operette prima e successivamente come popolare autore di narrativa<br />
avventurosa, forse influenzata da una giovanile passione per la geografia<br />
e l'esplorazione, instillatagli probabilmente dal suo insegnante di<br />
matematica e disegno Brutus de Villeroi, l'uomo che successivamente<br />
avrebbe sviluppato, per conto della marina degli Stati Uniti, il primo<br />
sottomarino.<br />
L'incontro con l'editore PierreJules Hertzel segnò la svolta per la carriera<br />
letteraria di Verne, che fino a quel momento aveva visto molti dei propri<br />
lavori rifiutati perché “troppo scientifici” (e deprimenti).<br />
Hertzel svolse un indispensabile lavoro di editing sui primi lavori di<br />
Verne, aiutandolo a rafforzare il plot avventuroso senza annacquare<br />
eccessivamente i contenuti scientifici ed a stemperare di umorismo storie<br />
che all'origine erano state troppo politicamente impegnate e spesso<br />
stroncate da finali tragici.
Verne era infatti pesantemente critico e pessimista nei confronti della<br />
tecnologia – contrariamente alla sua immagine popolare, in effetti frutto<br />
della giudiziosa guida di Hertzel.<br />
Hertzel non vide invece motivo per editare un certo pesante sciovinismo<br />
antibritannico insito in molte delle opere di Verne, e che obbligò l'editore<br />
inglese dell'autore a tagliare dalle traduzioni lunghi paragrafi (o<br />
addirittura cassare personaggi secondari toutcourt) perché politicamente<br />
imbarazzanti. Le edizioni inglesi vennero ulteriormente danneggiate<br />
dalla scarsa dimestichezza di traduttori ed editor con il sistema metrico. I<br />
calcoli e la matematica nelle storie di Verne, normalmente molto accurati,<br />
ne risultarono spesso stravolti, provocando all'autore francese una<br />
immeritata fama di trascuratezza nel mondo anglosassone.<br />
Avventura, scienza d'avanguardia, umorismo e happy end divennero i<br />
quattro pilastri della produzione di Verne.<br />
Ben conscio della formula vincente, Verne tenne d'occhio l'ambiente<br />
scientifico francese, all'epoca alquanto effervescente, in cerca di<br />
ispirazione.<br />
Fra le idee possibili, quella dell'esplorazione dell'interno della terra parve<br />
piuttosto attraente.<br />
Da alcuni anni, infatti, il mondo accademico era diviso riguardo alla<br />
questione dell'origine delle rocce granitiche in particolare,e più in<br />
generale fra coloro che sostenevano che tutte le rocce fossero di origine<br />
vulcanica (i plutonisti) e coloro che invece ne spiegavano l’origine<br />
esclusivamente <strong>attraverso</strong> i processi sedimentari (i nettunisti).<br />
Il principale sostenitore del nettunismo era il tedesco Abraham Gottlob<br />
Werner, descritto come “un ometto grassottello e azzimato”, ma certo la<br />
persona che aveva fatto di più, in assoluto, per lo sviluppo di uno studio<br />
scientifico delle formazioni rocciose, e pertanto il padre fondatore, spesso<br />
dimenticato, della geologia moderna. Sua l’osservazione che le rocce<br />
stratificate avevano un proprio definito ordine di deposizione, sua la<br />
teoria che tale deposizione fosse avvenuta in ambiente marino, per fasi<br />
successive.<br />
Da cui, la teoria del “Nettunismo”.<br />
Hutton, introducendo il gradualismo, aveva in un certo senso complicato<br />
la faccenda, e dal dibattito non si erano astenuti neppure personaggi del<br />
calibro di Darwin (plutonista convinto).<br />
La posizione di Hutton era che solo una minima parte delle rocce<br />
stratificate (le rocce sedimentarie) si fosse deposta in ambiente marino,<br />
mentre le altre erano invece il prodotto di processi vulcanici e magmatici<br />
(le rocce ignee).
Il romanzo a sfondo geologico di Giulio Verne si intitolava Viaggio al<br />
Centro della Terra, terzo nella serie dei Viaggi Straordinari e vide la luce<br />
in volume unico il 25 Novembre 1864; il suo successo fu tale che Verne<br />
abbandonò l’attività finanziaria per diventare scrittore a tempo pieno. Si<br />
tratta di un romanzo dichiaratamente plutonista (ampio spazio viene<br />
riservato ai fuochi interni della terra) e gradualista – tanto che lo si può<br />
considerare uno dei testi principali che contribuirono a familiarizzare il<br />
pubblico con la nuova scienza.<br />
La storia si apre con la scoperta di un misterioso testo da parte del<br />
professor Otto Lindenbrock, docente di mineralogia ad Amburgo. Una<br />
volta decifrato, il messaggi contiene le indicazioni per raggiungere il<br />
centro della Terra <strong>attraverso</strong> il vulcano Snæffels, in Islanda. Il professore<br />
e il nipote Axel partono quindi con molta fretta da Amburgo per l'Islanda,<br />
dove raggiungono il cratere Jökull del vulcano Snæffels, da cui parte la<br />
via già percorsa dall’alchimista Arne Saknussemm verso il centro della<br />
terra, nel sedicesimo secolo. Il professore e il nipote sono accompagnati<br />
in questa impresa da Hulja, una guida locale . Il viaggio verso il centro<br />
della terra <strong>è</strong> opportunamente segnato da tracce lasciate da Saknussemm,<br />
e costellato di imprevisti, avventure e scoperte. I viaggiatori arrivano poi<br />
in una grande “caverna” descritta come il centro della terra, ed occupata<br />
da un mare, che i nostri eroi tentano di attraversare su una zattera.<br />
Durante “l’attraversata” assistono ad una lotta spettacolare tra un<br />
ittiosauro e un plesiosauro. Tornati inaspettatamente al punto di<br />
partenza, Liddenbrock e compagni esplorano la costa, incontrando un<br />
“troglodita” alto 12 piedi che pascola una mandria di mastodonti e<br />
rinvenendo uno scheletro. I viaggiatori ritrovano le tracce di<br />
Saknussemm ma il passaggio <strong>è</strong> bloccato da una frana. Cercando di aprirsi<br />
la strada con l’esplosivo, vengono scagliati nella bocca di un vulcano in<br />
eruzione. Risalendo <strong>attraverso</strong> un condotto magmatico, si ritrovano alle<br />
pendici dello Stromboli.<br />
Del romanzo esistono decine di versioni e adattamenti – film, sceneggiati<br />
televisivi, cartoni animati, fumetti.<br />
Nel 1959, il romanzo venne adattato per il grande schermo, con James<br />
Mason nel ruolo del professor Lindenbrock (inopinatamente tramutato in<br />
scozzese), il cantante Pat Boone in quella di suo nipote, e l'aggiunta di<br />
una statuaria Diane Baker in un poco probabile ruolo femminile creato<br />
per l'occasione. La vedova Göteborg affronta il viaggio al centro della<br />
terra con impeccabili tacchi a spillo e deve il proprio cognome alla
malsana convinzione di uno sceneggiatore – che si disse che se un nome<br />
geografico <strong>è</strong> accettabile come cognome in inglese (London, York), deve<br />
esserlo anche in Svedese. La cosa non mancò di suscitare l'ilarità del<br />
pubblico svedese.<br />
Terzo film tratto da Verne dopo 20.000 Leghe sotto i Mari della Disney<br />
(1954) e Il Giro del Mondo in 80 Giorni (1956) di Todd, e prodotto<br />
essenzialmente per incassare il successo delle pellicole tratte da Verne,<br />
anche “Journey” sbancò il botteghino, pur trattando piuttosto male il<br />
testo di origine.<br />
I rimaneggiamenti della trama non si limitarono all'aggiunta di un<br />
personaggio femminile e di un paio di occasioni per Pat Boone di<br />
sfoderare le proprie doti canore.<br />
Gran parte delle meraviglie descritte da Verne vennero eliminate per<br />
limitare i costi, ed il peggio toccò alla fauna preistorica, ridotta a poche<br />
lucertole ed una foresta di funghi giganti. La sezione finale del romanzo<br />
di Verne, con l'incontro con il troglodita, venne tagliata, e l’azione<br />
spostata ad Atlantide (perché no?) riciclando alcune scenografie di film<br />
peplum.<br />
I dinosauri vennero messi in scena truccando pesantemente alcune<br />
lucertole domestiche, agghindate con flaccide creste dorsali. Le povere<br />
bestie, imbambolate e confuse, vennero obbligare a muoversi sotto la<br />
stimolazione del getto caldo di un asciugacapelli.<br />
Il risultato <strong>è</strong> moderatamente divertente, ma terribilmente senz'anima, ed<br />
il finale a baci e abbracci (con tanto di matrimonio per la coppia<br />
LindenbrockGöteborg) <strong>è</strong> molto al di là di quanto Hertzel ebbe mai il<br />
coraggio di richiedere a Verne in nome della vendita, e che Verne avrebbe<br />
mai accettato di scrivere.<br />
E il 18 gennaio 1974, alla Royal Albert Hall di Londra, Rick Wakeman,<br />
tastierista di formazione classica divenuto famoso con il gruppo<br />
progressive degli Yes eseguì ed incise dal vivo “Journey to the Center of<br />
the Earth”, ad oggi considerato da molti il suo lavoro migliore.<br />
Durante l’esecuzione del concerto per gruppo, coro e orchestra, brani del<br />
romanzo di Verne sono letti da David Hemmings, e la Sinfonica di Londra<br />
fa la sa sporca figura, come si suol dire, spalleggiando il Moog ed il<br />
clavicembalo di Wakeman – che si dice avesse ipotecato la casa e venduto<br />
parte dei propri beni per raccogliere il danaro necessario per questa<br />
incisione, e che subì un infarto poco dopo aver terminato l’esecuzione.<br />
Noi tuttavia siamo molto più interessati alla ristampa del 1867 di Viaggio<br />
al centro della Terra, un volume in ottavo dell’editore Hetzel, illustrata
con le tavole di Edouard Riou; ed in particolare ci interessa la tavola che<br />
illustra il trentesimo capitolo, “Terrificante scontro fra sauri” (la scena<br />
alla quale Wakeman nel ‘74 dedicherà uno dei quattro movimenti del suo<br />
concerto).<br />
Gli eroi del romanzo, senza poco plausibili presenza femminili, sono<br />
abbarbicati ad una zattera persa all’orizzonte, testimoni dello scontro fra<br />
i flutti, fra un Ittiosauro ed un Plesiosauro, i due popolari fossili di Lyme<br />
Regis scoperti da Coynbeare e già illustrati nel libro di Hawkins.<br />
L’ittiosauro, con il muso da coccodrillo, sta azzannando i quarti posteriori<br />
del plesiosauro che, col suo lungo collo serpentiforme, si volta ed<br />
azzanna a sua volta l’aggressore.<br />
E’ di nuovo la stessa scena.<br />
E non ci deve sorprendere la somiglianza col lavoro di Figuier (che nel<br />
suo Mondo prima del Diluvio aveva presentato anche un incontro in mare<br />
fra ittiosauro e plesiosauro).<br />
Riou <strong>è</strong> uno stimato paesaggista che ha già illustrato Cinque Settimane in<br />
Pallone, primo successo della premiata ditta Verne & Hertzel, ed illustrerà<br />
altri tre Viaggi Straordinari, ed <strong>è</strong> stato l’assistente di Figuier nel suo<br />
lavoro sui dinosauri, e proprio per la sua familiarità non solo con<br />
l’argomento, ma anche con lo stile dell’illustrazione scientifica dell’epoca,<br />
venne incaricato di illustrare i lavori di Verne (che all’epoca erano, non<br />
dimentichiamolo, anche divulgazione scientifica).<br />
Con quello che <strong>è</strong> essenzialmente il plagio di una illustrazione scientifica<br />
(ma, come si <strong>è</strong> detto, anche e soprattutto “ideologica”) a fini spettacolari,<br />
con l’”autentica” rappresentazione di una scena inventata, i dinosauri<br />
sono penetrati prepotentemente nel mondo della narrativa popolare.<br />
Ironico, considerando la tesi di Figuier, che suggeriva di iniziare i giovani<br />
alla lettura mediante testi di Storia Naturale anziché favole e storie<br />
avventurose.<br />
I commentatori satirici del Punch temono che la popolarità delle<br />
immagini di “mostri”, ormai pubblicate con estrema frequenza, possano<br />
turbare i sonni tranquilli della gioventù. Non hanno capito, forse, che da<br />
alcuni anni la narrativa mira ad eccitare, spaventare e sorprendere il<br />
pubblico.<br />
Lo hanno capito invece gli amici di Byron riuniti a Villa Deodati, che<br />
hanno acceso dibattiti con il successo del Frankenstein, e tirato la volata
al penny dreadful, la rivista popolare che pubblica romanzi d'appendice,<br />
antesignana del pulp magazine, con Il vampiro di Polidori.<br />
Lo scontro fra dinosauri aggiunge al brivido del mostruoso l'altrettanto<br />
vivido brivido della realtà.<br />
Col nuovo secolo, la rappresentazione delle due bestie allacciate nel loro<br />
scontro epico ed insensato <strong>è</strong> ormai patrimonio dell’immaginario<br />
collettivo.<br />
Col nuovo secolo, ci penseranno Arthur Conan Doyle e il suo Professor<br />
Challenger a familiarizzare una volta per tutte il grande pubblico con la<br />
figura poderosa e affascinante del dinosauro.<br />
Ma questa <strong>è</strong> un'altra storia.
Parte Seconda<br />
Il Nuovo Mondo
Sana e Robusta Costituzione<br />
Washington, 14 Luglio 1808: A Monsieur de la Cepede. Se la<br />
memoria non mi inganna, la collezione di resti<br />
dell'animale incognitum dell'Ohio (talvolta chiamato mammoth)<br />
in possesso del Gabinetto di Storia Naturale di Parigi non <strong>è</strong><br />
particolarmente abbondante....<br />
[Thomas Jefferson]<br />
Nel 1962 John Fitzgerald Kennedy intrattenne per cena alla Casa Bianca<br />
49 premi Nobel, e descrisse l’evento come “la più straordinaria collezione<br />
di talento e di conoscenze umane mai raccolta alla Casa Bianca, con la<br />
sola possibile eccezione di quando Jefferson ci cenava da solo.”<br />
Ma nel 1781, Thomas Jefferson non era ancora alla Casa Bianca, aveva<br />
parecchi problemi.<br />
Da una parte, le vicende militari della Guerra d'Indipendenza Americana<br />
(quella che gli inglesi si ostinano a chiamare Rivoluzione) stavano<br />
volgendo al peggio per i ribelli – la Virginia era stata nuovamente invasa<br />
dalle truppe al comando di Banedict Arnold, ed il futuro della repubblica<br />
appariva oscuro.<br />
Dall'altra nientemeno che il conte di Buffon, naturalista massimo della<br />
Francia prerivoluzionaria, aveva apparentemente preso di mira<br />
l'America, discutendo in un dotto saggio come il nuovo continente non<br />
risultasse, all'occhio allenato dell'esperto, in grado di sostenere un<br />
ecosistema particolarmente attivo e quindi – per estensione la vasta<br />
popolazione di uno stato sovrano.<br />
Paragonati alle loro controparti europee, gli animali che popolavano il<br />
continente americano erano più piccoli, osservava Buffon; le specie<br />
endemiche scarseggiavano, o per lo meno erano presenti in numero<br />
molto minore rispetto alle specie esclusivamente europee, e quegli<br />
animali europei che erano stati introdotti sul territorio americano erano<br />
invariabilmente degenerati.<br />
Facile, a <strong>questo</strong> punto, prevedere il peggio anche per la nuova repubblica<br />
di fresco fondata sul suolo americano.<br />
Thomas Jefferson, naturalista dilettante e genio multiforme,<br />
ambasciatore americano alla corte di Francia, aveva preso molto male la<br />
cosa – rendendosi conto di come anche una semplice opinione avversa in<br />
un campo tanto distante quale le scienze naturali, potesse rivelarsi una<br />
nuova arma per i nemici degli Stati Uniti e durante la sua permanenza a
Parigi aveva invitato personalmente a cena Buffon, assicurandosi che tutti<br />
gli americani presenti fossero sopra il metro e ottanta di statura, in modo<br />
da sovrastare l'ospite (notoriamente piuttosto bassino).<br />
Tornato in patria si era quindi messo all'opera per confutare le<br />
osservazioni del francese su quella che egli intendeva come la<br />
costituzione (in senso fisico) dell'America e degli americani.<br />
Le Note sullo Stato della Virginia vennero scritte e pubblicate da Jefferson<br />
col chiaro intento di confutare definitivamente l'opinione di Buffon. Forse<br />
Buffon credeva, notò Jefferson a mo' di prologo, “che la natura sia meno<br />
attiva, meno energica su un lato del mondo rispetto all'altro, come se<br />
entrambi i lati non fossero scaldati dallo stesso sole geniale.”<br />
E quale migliore esempio, della sana e robusta costituzione che, per lo<br />
meno in potenza, caratterizzava gli abitanti del nuovo continente, che<br />
l'incognitum americano, animale mai visto che aveva lasciato le proprie<br />
ossa sparse in varie paludi e torbiere degli stati ribelli.<br />
In Europa non c'era equivalente dell'incognitum, che taluni chiamavano<br />
volgarmente mastodonte, altri mammoth.<br />
L'incognitum, quale che fosse la sua natura, prometteva davvero bene: in<br />
primo luogo, le sue ossa lasciavano immaginare un animale di gran lunga<br />
più grande e massiccio del più grande e massiccio animale del vecchio<br />
continente, l'elefante. In secondo luogo, la presenza di abbondanti resti<br />
testimoniava l'abbondanza della creatura stessa, che aveva quindi trovato<br />
sollazzo e sostentamento nelle praterie del Nuovo Mondo. E per finire,<br />
ma certo non ultima delle frecce all'arco retorico di Jefferson, c'era il<br />
fatto che i tre quarti del continente americano erano ancora inesplorati, e<br />
niente lasciava escludere che l'incognitum, lungi dall'essere estinto, non<br />
galoppasse libero e felice appena oltre l'orizzonte, in terre visitate solo da<br />
Johnny Seme di Mela.<br />
Tanto più che, stando agli indiani, i loro antenati erano stati soliti<br />
cacciare e nutrirsi dell'incognitum, che era grande abbastanza da<br />
soddisfare le richieste alimentari di un villaggio di medie dimensioni per<br />
un bel po' di tempo.<br />
La spedizione di Lewis e Clark, resa famosa da innumerevoli libri e da un<br />
film con Spencer Tracy, venne organizzata anche e soprattutto per<br />
allargare la ricerca dell'incognitum – vivo o fossile che fosse.<br />
Jefferson desiderava altri resti o, meglio ancora, un esemplare vivo, e<br />
pagò di tasca sua la deviazione che portò i due esploratori a Big Bone<br />
Lick, nel Kentucky. L'idea di scavare proprio lì gli era venuta da un<br />
discorso fatto da uno degli anziani della popolazione Delaware:
In tempi antichi una mandria di questi animali tremendi vennero a<br />
Big Bone Lick, e cominciarono una universale distruzione di orsi,<br />
cervi, alci, bufali ed altri animali, che erano stati creati per l'uso<br />
degli indiani.<br />
[T.Jefferson, Notes on the State of Virginia, 1781]<br />
La spedizione a Big Bone Lick ebbe successo.<br />
Dal canto loro, gli indiani consideravano le grandi ossa per lo meno di<br />
malaugurio, e probabilmente accolsero con una certa perplessità il<br />
desiderio dei visi pallidi di andarle a cercare apposta per disseppellirle.<br />
L'interesse di Jefferson per la paleontologia <strong>è</strong> confermato dalla sua<br />
attività, come relatore e (dal 1797) come presidente della American<br />
Philosophical Society: nel 1792 Jefferson raccolse una cifra<br />
considerevole, per l'epoca, allo scopo di inviare il botanico Andrew<br />
Michaud in un lungo viaggio esplorativo verso il Pacifico per ritrovare<br />
(fra le altre cose) ossa di mammuth...<br />
Dovrete, nel corso del vostro viaggio, osservare il territorio che<br />
attraverserete, il suo aspetto generale, il suolo, i fiumi, le<br />
montagne, le sue risorse animali, vegetali & minerali che ci siano<br />
nuove & possano esserci utili o estremamente curiose; le latitudini<br />
dei luoghi o dei materiali calcolate coi semplici metodi che la<br />
situazione vi permetterà. I nomi, i numeri e le sedi degli abitanti, e<br />
tutti quei particolari della loro storia che potrete apprendere, le<br />
connessioni reciproche, le lingue, gli usi, lo stato della società &<br />
delle arti & dei commerci fra loro.<br />
Alla voce Storia Animale, quella del Mammoth <strong>è</strong> particolarmente<br />
raccomandata fra le vostre ricerche, così come lo <strong>è</strong> scoprire se il<br />
Lama, o Paca del Perù si trovi in quelle parti del continente, o<br />
quanto a Nord si spinga.<br />
[Thomas Jefferson, Lettera a Andrew Michaud, 23 gennaio 1793]<br />
La missione di Michaud venne successivamente deragliata da questioni<br />
strettamente politiche (Michaud era cittadino francese, ed il console<br />
francese lo usò per cartografare non i giacimenti di fossili, ma le<br />
tendenze politiche degli abiotanti del Kentucky) ma comunque<br />
nell'Agosto del 1796, Jefferson presentò un rendiconto sul ritrovamento<br />
di ossa dalle dimensioni straordinarie oltre le Blue Mountains, in<br />
Virginia.
Le ossa erano state trovate nella contea di Greenbriar, e si supponeva<br />
appartenessero ad un mammuth di qualche genere. Vennero inviate<br />
perciò a Jefferson, a Monticello. Jefferson le identificò come appartenenti<br />
ad “un animale carnivoro dotato di artigli finora sconosciuto alla<br />
scienza”.<br />
Insieme con il saggio, intitolato "A Memoir of the Discovery of Certain<br />
Bones of an Unknown Quadruped, of the Clawed Kind, in the Western<br />
Part of Virginia”, Jefferson consegnò le ossa al Dr. Wistar, naturalista<br />
residente della American Philosophical Society; Jefferson le aveva portate<br />
con sé mentre si recava a Philadelphia per prestare giuramento come<br />
vicepresidente degli Stati Uniti.<br />
L'animale venne successivamente battezzato Megalonyx jefersoni, il primo<br />
bradipo gigante ritrovato in America settentrionale.<br />
Jefferson aveva ormai confermato oltre ogni ragionevole dubbio la<br />
solidità della propria ipotesi: l'invio di ossa di mammuth all'accademia<br />
francese, nel 1808, proprio nel giorno della Bastiglia, fu perciò l'ultima<br />
frecciata alla grandeur transalpina in un confronto strettamente politico,<br />
per quanto fondato su resti fossili e considerazioni ecologiche.<br />
L'animale fossile oggetto della regalia era stato descritto e classificato con<br />
cura da Jefferson stesso, che aveva destinato una parte dei resti alla<br />
American Philosophical Society di Philadelphia ed una ai colleghi<br />
parigini.<br />
Parte dei resti rimasero tuttavia nella sua casa di Monticello, in un museo<br />
privato....<br />
Su un lato sono appese la testa e le corna di un alce, un cervo ed<br />
un bufalo; un'altra parete <strong>è</strong> coperta delle curiosità che Lewis e<br />
Clark trovarono durante la loro lunga e pericolosa spedizione.<br />
Sulla terza, fra molti altri oggetti sorprendenti, c'<strong>è</strong> la testa di un<br />
mammuth o, come lo chiama Cuvier, un mastodonte, contenente<br />
l'unico os frontis, da quel che mi dice Mr. Jefferson, che sia stato<br />
finora ritrovato<br />
[Lettera di George Ticknor, 1818]<br />
Tutte le grandi nazioni hanno bisogno di un grande passato.<br />
L'antica Roma si costruisce una eredità ellenica (o Troiana) nel momento<br />
in cui si prepara a fare il salto di qualità a superpotenza imperiale;<br />
l'America del secondo dopoguerra lancia un'offensiva di film biblici e<br />
mitologici il cui principale significato ideologico <strong>è</strong> quello di rafforzare il<br />
legame fra cultura eroica classica, Cristianesimo delle origini e l'attuale<br />
dominatore della politica mondiale. Fra le due guerre, d'altra parte,
mentre gli Stati Uniti manovravano per sostituire l'Impero Britannico in<br />
posizione dominante sullo scacchiere internazionale, Hollywood mostra<br />
una certa ossessione con le vicende coloniali inglesi (gli adattamenti di<br />
Kipling, Gunga Din, o La Carica dei Seicento), o per le avventure navali<br />
imperniate su imprese eroiche di naviganti inglesi (gli adattamenti dei<br />
romanzi di Rafael Sabatini, la serie di Hornblower), quasi a voler si<br />
appropriare dell'immagine connessa ai fasti imperiali vittoriani.<br />
In <strong>questo</strong> senso, la battaglia combattuta da Jefferson per far riconoscere<br />
la sana e robusta costituzione del clima e della fauna americane fanno<br />
parte della medesima strategia, e lo stesso Jefferson non esitò ad usare la<br />
metafora del mammuth come primo simbolo della potenza americana.<br />
Un simbolo che rimase indiscusso fino a che, con la Teoria<br />
dell'Evoluzione ed il concetto di tempo profondo, i resti fossili non<br />
divennero un pericoloso simbolo della negazione delle Scritture.<br />
Con le sue donazioni ai musei e la sua personale ossessione per i fossili,<br />
Jefferson contribuì a creare una forte passione per il passato preistorico<br />
al cuore della cultura americana delle origini.<br />
E con l'ipotesi che, da qualche parte, in una valle nascosta nota solo ai<br />
pellirosse, i mastodonti ed i mammuth pascolassero ancora, fornì la base<br />
teorica per infinite rielaborazioni narrative – dal Mondo Perduto di<br />
Conan Doyle (dopotutto, un'isola di fauna preistorica sul continente<br />
americano) al Turok dei fumetti.<br />
Strenuamente antievoluzionista, Jefferson non poteva d’altra parte<br />
ammettere la realtà delle estinzioni globali – e se qualcosa era stato<br />
creato da Dio, da qualche parte doveva ancora trovarsi, vivo e vegeto.<br />
L'unica cosa che Jefferson, il “Mammoth President” degli Stati Uniti che<br />
volle una sala delle ossa alla Casa Bianca, non riuscì a fornire alla propria<br />
nazione furono dei veri dinosauri.<br />
L'assenza di dinosauri negli stati orientali dell'America del Nord avrebbe<br />
segnato profondamente l'immaginario americano, da una parte,<br />
associando indelebilmente i grandi rettili con il west, e dall'altra dando<br />
fuoco alle polveri della Grande Guerra delle Ossa.
La Grande Guerra delle Ossa<br />
La storia della “Grande Guerra delle Ossa” (definizione ormai canonica<br />
degli eventi che andiamo a descrivere), <strong>è</strong> la storia dei più grandi e famosi<br />
dinosauri della terra, ed <strong>è</strong> la storia di due paleontologi: Edward Cope e<br />
Othniel Marsh.<br />
Consideriamo i due gentiluomini.<br />
Giudicato “sfaticato ed irrispettoso” dal proprio stesso padre, che predisse<br />
per lui “niente di buono” (proprio come Owen), il piccoloborghese<br />
Othniel Marsh aveva messo fine alle proprie gozzoviglie<br />
giovanili decidendo “a tavolino” di intraprendere lo studio della<br />
paleontologia, allo scopo dichiarato di diventare il primo ed il più famoso<br />
paleontologo americano. Aveva perciò studiato a fondo la materia,<br />
sviluppato un’ottima rete di relazioni pubbliche a livello istituzionale, e<br />
badava bene a non perdere mai occasione per mettersi in mostra o per<br />
screditare i colleghi.<br />
Edward Drinker Cope era invece un giovane di buona famiglia, con alle<br />
spalle alcuni successi nel campo dell’erpetologia (lo studio delle serpi –<br />
molto appropriato), che vedeva nei dinosauri un’opportunità tattica per<br />
ampliare la propria fama ed il proprio curriculum. Paleontologo meno<br />
dotato di Marsh, Cope era tuttavia un eccellente paleoecologo ante<br />
litteram, con un ottimo occhio per la visione d’insieme.<br />
Entrambi paleontologi di belle speranze alla corte del massimo zoologo e<br />
anatomista americano, autentico gigante dell’accademia, Joseph Leidy,<br />
personaggio mite e cauto, Cope e Marsh – che non erano né miti né cauti<br />
partirono subito col piede sbagliato.<br />
Nel 1868, Cope pubblicò in collaborazione con Leidy uno studio<br />
dell’Elasmosaurus – un dinosauro dal lungo collo serpentino; per un<br />
errore, nelle tavole fornite all’editore, la testa della creatura risultava<br />
montata in cima alla coda anziché sul collo.<br />
Succede.<br />
L’errore, oltretutto, era probabilmente di Leidy, e non di Cope.<br />
Resosi comunque conto dell’errore, Cope si affrettò ad acquistare tutte le<br />
copie della rivista incriminata, tentando disperatamente di salvare la<br />
faccia.<br />
Othniel Marsh informò la stampa nazionale.<br />
La carriera di Edward Cope colò a picco.
La cosa non deve sorprenderci.<br />
E’ pratica comune, fra i primati, quando un nuovo maschio alfa entra di<br />
diritto nella posizione dominante, provvede non solo ad eliminare il<br />
proprio predecessore, ma anche tutti i cuccioli di quest’ultimo.<br />
E il mondo accademico <strong>è</strong> una giungla.<br />
Marsh era ormai ben avviato a sostituire Leidy nel suo ruolo di<br />
Paleontologo Americano, ed eliminare l'ex amico e collega Cope faceva<br />
parte di una strategia ben precisa. Dopo la debacle dell’Elasmosauro,<br />
mentre Leidy ripiegava sulla sistematica dei mammiferi quaternari, Cope<br />
avrebbe dovuto avere la decenza di togliersi dai piedi – tornare a studiare<br />
le serpi, o qualcosa del genere.<br />
Ostinato come già altri erano stati prima di lui, Cope proseguì invece i<br />
propri studi in privato, in una competizione con Marsh – rispettato,<br />
perfettamente inserito nel mondo accademico, ottimamente finanziato –<br />
che si sarebbe risolta con la rovina economica, la decadenza sociale e<br />
fisica, e la follia.<br />
Ma prima di arrivare alla shakespeariana scena della follia, sia Cope che<br />
Marsh puntarono i propri mirini sul Far West – dove altrimenti trovare<br />
fossili di dinosauro nel continente nordamericano?<br />
L’est era caratterizzato da sedimenti quaternari zeppi di mastodonti e<br />
cervi, dominio incontrastato di Joe Leidy, ma non presentava condizioni<br />
tali per cui dei resti più antichi avrebbero potuto conservarsi. L’Ovest<br />
inesplorato, invece pareva piuttosto promettente.<br />
Frattanto, proprio nel 1869, un gruppo di operai incaricati di scavare un<br />
pozzo nei pressi di Cardiff, New York, rinvennero i “resti fossilizzati” di<br />
un uomo dalle proporzioni gigantesche – era alto almeno tre metri, con<br />
dei grossi piedoni, e le braccia incrociate sul petto.<br />
La cosa fece non poco scalpore, e mentre i curiosi si affrettavano a<br />
Cardiff per pagare 50 centesimi e vedere il prodigio, archeologi,<br />
paleontologi e studiosi della Bibbia si accapigliarono discutendo<br />
animatamente l’ipotetica autenticità di quella che, anche all’occhio meno<br />
allenato, pareva proprio una scultura fatta ad arte.<br />
Ed era infatti così – un certo George Hull, fabbricante di sigari ed ateo<br />
convinto, prendendo lo spunto dalla Bibbia,<br />
C'erano i giganti sulla terra a quei tempi – e anche dopo – quando<br />
i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste<br />
partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini<br />
famosi.<br />
[Genesi, 6:4]
aveva speso l’anno precedente 2600 dollari per fare scolpire la statua,<br />
che poi aveva seppellito nel terreno di un amico, suo complice.<br />
L’idea era, almeno apparentemente, quella di farsi due risate alle spalle<br />
dei bigotti, ed intanto rifarsi della spesa non indifferente proprio<br />
vendendo i biglietti ai curiosi. Ed in effetti, l’astuto imbroglione<br />
raggranellò con questa trovata attorno ai trentamila dollari di allora –<br />
una bella cifretta, per l’epoca.<br />
P.T. Barnum – l’uomo che inventò il circo e portò Bufalo Bill e i pellirosse<br />
in Europa per la delizia del pubblico – decise che il Gigante di Cardiff era<br />
esattamente il tipo di attrazione che avrebbe potuto impreziosire i suoi<br />
spettacoli – e quando Hull decise di non vendere, Barnum<br />
(evidentemente un cartesiano puro quando si trattava di affari) non esitò<br />
a farsi scolpire il proprio, di Gigante, che poi espose avanti e indietro per<br />
gli Stati Uniti, affermando si trattasse dell’originale e ricavandone un<br />
guadagno non indifferente.<br />
Della cosa avrebbe poi approfittato Mark Twain, con una velenosa storia<br />
nella quale il narratore si trova a confrontare lo spettro del Gigante, in<br />
piena crisi di identità (<strong>è</strong> quello di Hull o quello di Barnum? E’ vero o <strong>è</strong><br />
falso?)<br />
Se Hull era animato solo da un predace spirito imprenditoriale,<br />
accoppiato ad una laica irriverenza, non mancarono coloro che diedero al<br />
Gigante un valore strettamente ideologico.<br />
I fondamentalisti cristiani, in particolare, lo sbandierarono come una<br />
prova della verità letterale della Bibbia, testimonianza dell’epoca in cui i<br />
giganti avevano camminato sulla terra per poi essere intrappolati nella<br />
roccia dalla furia divina; alla faccia di tutto ciò che gli scienziati stavano<br />
cominciando a sostenere sull’età del nostro pianeta, l'evoluzione e tutto<br />
quel genere di cose.<br />
Non pochi giornali cavalcarono l’onda popolare, e fra questi il New York<br />
Herald, una strana macchina per la produzione di notizie ed introiti della<br />
quale parleremo a breve, ad abundantia.<br />
Quando i paleontologi passarono alla riscossa rivelando il palese falso<br />
(era una statua scolpita nel gesso, dopotutto), non mancarono di calcare<br />
la mano con la stampa, colpevole di approfittare della credulità popolare<br />
quanto e forse più di Hull, Barnum e compagni.<br />
L’autore degli attacchi più feroci e taglientemente ironici fu un il<br />
promettente astro nascente della paleontologia americana, Othniel Marsh<br />
e l’Herald, uno dei quotidiani più in vista dell’epoca, fu un prima fila<br />
per prendersi una bella strapazzata.
Quattro anni dopo, nel 1873, l’anno in cui Jules Verne pubblicava – come<br />
sempre per i tipi di Hertzel Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni, lo<br />
scontro decisivo si scatenò nell’area di Como Bluff, in Wyoming; in un<br />
paesaggio brullo e lunare, le squadre di scavatori di Cope e di Marsh si<br />
affrontarono in una gara di velocità nella ricerca e nello scavo che<br />
degenerò ben presto nel boicottaggio reciproco, nell’occasionale<br />
pistolettata, nella rissa da vecchio film di John Wayne; affioramenti<br />
vennero sommariamente saccheggiati e poi distrutti con la dinamite per<br />
negarne l’accesso agli avversari; in una occasione il team di Marsh montò<br />
falsi fossili (mescolando ossa più o meno a caso) per trarre in inganno il<br />
team di Cope.<br />
Cope dal canto suo non esitò a mettere spie alle calcagna degli uomini di<br />
Marsh, ed un paio di volte si recò di soppiatto nei laboratori/magazzini<br />
del collega per ficcanasare. Scese pure a patti con i Corvi, belligerante<br />
tribù indiana presso la quale era noto come “Denti magici” per il suo<br />
potere di sfilarsi la dentiera.<br />
Nella corsa all’ampliamento dell’area di scavo, Marsh non mancò di<br />
coinvolgere il gran capo Nuvola Rossa, e violare il trattato con i<br />
pellirosse, a rischio di scatenare una nuova guerra indiana.<br />
Nuvola Rossa, dal canto suo, da abile politico approfittò dell’opportunità<br />
per mettere in imbarazzo il governo americano e dimostrare quanto poco<br />
fondata fosse l’immagine di selvaggi privi di sofisticazione che si<br />
appiccicava ingiustamente al suo popolo – lo vediamo ritratto in una foto<br />
con Marsh, entrambi impettiti in abito da cerimonia.<br />
Dall’episodio, Marsh imparò a presentarsi sulla stampa nazionale come<br />
impavido cacciatore di dinosauri, pronto a sfidare il deserto ed i selvaggi<br />
per amore della scienza. In quest’impresa egli era attorniato da studenti<br />
volenterosi e un po’ imbranati, spesso oggetto di aneddoti tanto<br />
divertenti per il lettore quanto umilianti per le persone coinvolte – come<br />
il brano in cui Marsh descrive divertito i suoi “damerini di città” costretti<br />
a rifugiarsi in mutande in mezzo al corso di un torrente per sfuggire ad<br />
“un semplice serpentello a sonagli”.<br />
L’articolo venne pubblicato con tanto di illustrazione, gli studenti in<br />
mutandoni con l'acqua al polpaccio, ed un serpentello che li minaccia<br />
dalla riva, salvo poi essere messo in fuga da un ridanciano Othniel Marsh<br />
che pare un Babbo Natale cattivo al campeggio.<br />
Peccato che molto spesso Marsh non fosse neppure sul terreno, e si<br />
limitasse a pagare (coi fondi dell’Università prima e del Servizio<br />
Geologico poi) degli scagnozzi residenti nell’area, solo vagamente<br />
ammaestrati nell’arte dell’escavazione di fossili, affinché gli spedissero i
esti direttamente a Washington ed intanto ostacolassero i mercenari<br />
prezzolati di Cope.<br />
La più famosa foto di Marsh, che lo ritrae con la sua squadra di agguerriti<br />
cacciatori di rettili estinti, armati fino ai denti, <strong>è</strong> in effetti un falso<br />
clamoroso, scattata in studio con un cast di comparse assoldate all'uopo.<br />
D'altro canto, <strong>è</strong> giusto osservare come Marsh fu sempre estremamente<br />
rispettoso dei suoi collaboratori nativi americani – molto più rispettoso<br />
delle loro opinioni e della loro cultura di quanto non fosse rispettoso<br />
dell'amor proprio e dell'incolumità dei propri studenti.<br />
Cope, dal canto suo, non definì mai i pellirosse come qualcosa di più che<br />
“selvaggi”.<br />
Sia Nuvola Rossa che i Crow dimostrarono, secondo alcuni, di<br />
considerare Marsh e Cope come eccentrici buoni a nulla, a caccia d'ossa<br />
inutili di animali scomparsi da tempo – se volevano i fossili che se li<br />
prendessero.<br />
Oltretutto, portavano male.<br />
La storia avrebbe dimostrato il fondamento di quelle superstizioni.<br />
Una volta a casa (si fa per dire), fra decine e decine di tonnellate di resti<br />
fossili, fu lo scatenarsi di una gara di velocità per pubblicare i dati<br />
raccolti sul terreno, identificare nuove specie (spesso commettendo<br />
clamorosi errori di nomenclatura e dovendo poi pubblicare affrettate<br />
correzioni), screditare l’avversario con accuse di furto, spionaggio,<br />
malversazione.<br />
Con Marsh che poteva attingere alle casse del neonato Servizio Geologico<br />
americano, non ci fu mai una vera possibilità per Cope, che finì con<br />
l’indebitarsi per acquistare fossili, e nel raccogliere un ossessivo dossier<br />
su tutte le cattive pratiche e le scorciatoie prese dal rivale. In capo a<br />
pochi anni, Cope scomparve virtualmente dalla storia, col solo conforto<br />
dell'amicizia di alcuni colleghi, fra i quali un suo giovane studente con la<br />
passione per i primati (nel senso delle grandi scimmie), Henry Fairfield<br />
Osborn.<br />
Con l'avvicinarsi del nuovo secolo, la Grande Guerra delle Ossa pareva<br />
conclusa una volta per sempre, e destinata all'oblio al quale molto<br />
volentieri l'avrebbero consegnata i membri della comunità scientifica,<br />
una nota a pi<strong>è</strong> pagina della storia della paleontologia.<br />
Se non fosse stato ancora una volta, indirettamente, per Giulio Verne.
Regolamenti di Conti<br />
Nel 1989, l’attore inglese Michael Palin, fino a quel punto famoso come<br />
membro dei Monty Python (<strong>è</strong> quello che interpreta, fra gli altri, il bleso<br />
Ponzio Pilato in Brian di Nazareth), partì dal Pall Mall Club di Londra per<br />
tentare il giro del mondo in 80 giorni, ripetendo esattamente le tappe<br />
descritte dal libro di Jules Verne.<br />
Dall’esperienza, piuttosto faticosa ma conclusa con successo, Palin ricavò<br />
una serie televisiva, un libro ad essa abbinato che entrò nella classifica<br />
dei bestseller ed un’idea che avrebbe ripetuto numerose volte<br />
(attraversando il Sahara a piedi, percorrendo un meridiano da polo a<br />
polo, mettendosi sulle tracce di Ernest Hemingway, esplorando il<br />
paesaggio Himalayano e così via), costruendosi una carriera parallela<br />
come esploratore televisivo e divulgatore.<br />
Non male, considerando che non si trattava neppure di un’idea originale.<br />
Il romanzo di Verne era stato pubblicato, come abbiamo visto, proprio nel<br />
1873, parte della serie dei Viaggi Straordinari che avevano fatto la<br />
fortuna dell’autore.<br />
Nell’edizione inglese il romanzo venne decurtato di tutta una serie di<br />
osservazioni poco piacevoli sulla politica coloniale britannica, ma<br />
nessuno ne notò l'assenza.<br />
Il Giro del Mondo venne più volte adattato per lo schermo, in particolare<br />
in una produzione sontuosa e colossale del 1956, interpretata da David<br />
Niven; il film che coniò l'espressione “cameo” per indicare la<br />
partecipazione enpassant di una star famosa (43 artisti – da Frank<br />
Sinatra a Fernandel a sir John Gielgud a Marlene Dietrich fecero una<br />
comparsata) la pellicola si conquistò un posto d'onore nel Guinnes dei<br />
primati con il maggior numero di animali mai impiegati in una pellicola,<br />
il maggior numero di costumi mai realizzati per una singola produzione<br />
(34.685) il maggior numero di comparse mai ingaggiate (68.894<br />
persone) e ben 140 set. Seguirono un paio di serie televisive (una con<br />
Pierce Brosnan da giovane), un secondo film (interpretato da Jackie<br />
Chan) e numerosi adattamenti a cartoni animati. E molto prima del pur<br />
simpatico Michael Palin, qualcun altro aveva pensato di emulare il<br />
protagonista del romanzo, lanciandosi in una corsa contro il tempo<br />
attorno al globo.<br />
Molto prima: esattamente cento anni prima di Michael Palin, nel 1889, la<br />
venticinquenne americana Nellie Bly, con la sola compagnia di una<br />
scimmietta e di un pappagallo, si era infatti imbarcata ad Hoboken, New
Jersey (che, ammettiamolo, suona un po’ meno romantico del Pall Mall<br />
Club di Londra) per farvi ritorno circa settantadue giorni dopo, avendo<br />
completato il giro del mondo e migliorato il record di Phineas Fogg.<br />
Nellie Bly (nata Elizabeth Jane Cochran, 18641922) lavorava per il New<br />
York World, quotidiano di proprietà di Joseph Pulitzer, che<br />
quotidianamente (appunto) aveva provveduto a pubblicarne i resoconti<br />
di viaggio.<br />
L’impresa era stata finanziata quasi interamente dal New York World,<br />
ultimo arrivato sul mercato rampante dei quotidiani newyorkesi, ma<br />
Nellie Bly poteva anche contare su una quantità di sponsorizzazioni – da<br />
un noto grande magazzino, che aveva fornito il suo abito da viaggio a<br />
scacchi con cappellino coordinato “alla Nellie Bly”, alle varie industrie<br />
(dai produttori di cibi in scatola alle farmacie) che sponsorizzavano le<br />
figurine della serie "Nellie Bly Intorno al Mondo in 80 Giorni", molto<br />
popolari fra i lettori di tutte le età.<br />
Personaggio chiave nella storia del movimento suffragista per la parità<br />
politica e sociale fra i sessi, ma anche elemento cardine per comprendere<br />
il fenomeno tutto americano dell’infotainment, Nellie Bly aveva compiuto<br />
in effetti imprese più giornalisticamente dignitose – culminate con il suo<br />
internamento, nel 1888, in un manicomio femminile, per poterne esporre<br />
dall’interno gli orrori ed i soprusi; avrebbe chiuso la propria carriera<br />
sposando un ricco imprenditore, e subentrando dopo la morte di questi<br />
alla guida dell’azienda di famiglia.<br />
Una donna piena di risorse, Nellie Bly.<br />
Il giro del mondo, d’altra parte, per quanto “facile”, fece di lei una<br />
leggenda.<br />
E fece infuriare James Gordon Bennett, Jr.<br />
Definito “uno spiacevole sociopatico” anche dal suo biografo ufficiale,<br />
James Gordon Bennet, Jr., aveva ereditato nel 1841 il New York Herald<br />
dal padre, James Gordon Bennet, Sr., seguendone e radicalizzandone la<br />
politica.<br />
Rispettato quotidiano populista e conservatore sotto la guida paterna,<br />
l’Herald di Bennett Jr. era descritto come una sorta di galea sulla quale i<br />
giornalisti erano incatenati ai banchi dei rematori, ed il proprietario<br />
batteva il ritmo delle vogate sul tamburo. Alcune delle imposizioni<br />
dell’editore sono oggidì impensabili: i giornalisti che lavoravano per<br />
Bennett, ad esempio, non avevano diritto alla firma dei propri articoli. E<br />
l’unico nome che apparisse sul giornale, alla voce “Proprietario”, era<br />
proprio quello di J.G. Bennett.
Per gli appassionati di fumetti, Bennet <strong>è</strong> caricaturato/celebrato nella<br />
figura dell’autocratico J.J. Jameson, direttore del Daily Buggle per il<br />
quale lavora, angariatissimo fotografo freelance, il povero Peter Parker<br />
(alias l’Uomo Ragno). Ma la caricatura non regge il confronto con<br />
l’originale – anche perché alcuni dei tratti più distintivi di Bennett, come<br />
vedremo, non potrebbero essere pubblicati in un fumetto.<br />
Capriccioso, mentalmente instabile, pericolosamente dedito all’alcool,<br />
J.G. Bennett Jr. , nelle notti d’inverno, era solito porsi alla guida della<br />
propria carrozza e, “seriamente inebriato”, percorrere al galoppo la<br />
Quinta strada a Manhattan, nudo come un verme, in piedi a cassetta,<br />
frustando i cavalli come un ossesso ed ululando alla luna.<br />
Un altro suo passatempo consisteva nel pedalare infiniti giri di bicicletta<br />
attorno al palazzo dell’Herald, afferrando al volo bicchieri di brandy che<br />
un cameriere in posizione strategica doveva rifornire ad ogni nuovo,<br />
sempre più erratico giro. Queste incontinenze, oltre al fatto di aver<br />
utilizzato come orinatoio a parete il caminetto del salone delle feste della<br />
casa dei suoi futuri suoceri la sera della festa del fidanzamento (era già<br />
arrivato ubriaco), facevano di Bennett un personaggio rischioso e mal<br />
visto in società.<br />
“Matto, cattivo e pericoloso da conoscere”, e senza nessuno dei tratti<br />
positivi di Lord Byron, ma con un’eccellente comprensione istintiva per<br />
ciò che il pubblico desiderava: nel 1869, lo stesso anno in cui i<br />
paleontologi avevano (metaforicamente) sculacciato Bennett in pubblico<br />
per aver sostenuto l’autenticità del ridicolo Gigante di Cardiff, l’Herald<br />
aveva finanziato la spedizione di Henry Morton Stanley alla ricerca del<br />
Dottor David Livingstone, da tempo scomparso in Africa.<br />
Stanley avrebbe successivamente accettato l'incarico da parte di re<br />
Leopoldo del Belgio per negoziare l'acquisizione del Congo –<br />
intersecando con la propria traiettoria la carriera di Arthur Conan Doyle,<br />
come vedremo più avanti.<br />
La pubblicazione dei diari di Stanley – culminanti in quella che proprio<br />
Michael Palin avrebbe definito un secolo più tardi “la frase più banale<br />
dell’epica vittoriana” aveva deliziato il pubblico dell’Herald, e Bennet<br />
aveva continuato ad intrattenere i propri lettori con imprese avventurose<br />
in luoghi esotici – arrivando nel 1879 a finanziare la spedizione di G.W.<br />
De Long nell’artico, alla ricerca del Passaggio a Nord Ovest Lo stesso che<br />
un secolo prima, per ordine di Jefferson, avevano cercato invano Lewis &<br />
Clarke. De Long e tutto l’equipaggio della sua nave, la Jeanette,<br />
scomparvero e non vennero mai più ritrovati.
Ora, nel 1889, il successo di Nellie Bly e del rivale World era esattamente<br />
la cosa che un personaggio instabile come Bennett poteva prendere come<br />
un attacco personale.<br />
Ed il calo di vendite era comunque reale.<br />
L’editore si mise quindi alla ricerca di qualcosa, qualcosa di grosso e<br />
impressionante, che gli permettesse di tornare al comando nella corsa.<br />
In risposta alle preghiere di Bennet, si fece dunque avanti un certo<br />
William H. Ballou, un anonimo pennivendolo che si era inventato una<br />
distinta (ed assolutamente falsa) carriera come divulgatore scientifico.<br />
Ciò che Ballou offriva a Bennet andava oltre le più selvagge aspettative di<br />
quest’ultimo.<br />
Non solo si trattava dell’opportunità di spazzar via Nellie Bly ed il suo<br />
viaggio intorno al mondo, mettendo in piazza una storia di malaffare e<br />
corruzione, ma anche di “fare la festa” proprio al professor Othniel<br />
Marsh, reo di aver insultato personalmente Bennett (o così lui pensava)<br />
durante l’affare del Gigante di Cardiff.<br />
Ciò che Ballou offriva era nientemeno che La Grande Guerra delle Ossa,<br />
nella sua fase più esacerbata, artificiosa, inutile e velenosa.<br />
Dati aggiustati, dati falsificati, dati addomesticati.<br />
Accuse di furto.<br />
Accuse di corruzione ed uso a scopo privato di fondi pubblici.<br />
Per decenni, progressivamente sempre più frustrato e infelice, e<br />
paranoico, Edward Drinker Cope aveva documentato ogni irregolarità<br />
commessa di Othniel Marsh – e molte altre, anche solo presunte, o<br />
ipotetiche.<br />
E fu proprio una versione del dossier di Cope che arrivò sulla scrivania di<br />
Gordon Bennett nel 1889.<br />
I mesi che seguirono rappresentano uno dei momenti più tristi della<br />
storia della paleontologia, ma intrattennero il pubblico dell’Herald con il<br />
sempre popolare spettacolo degli scienziati che si accapigliano. Agli<br />
articoli seguirono le repliche degli interessati, e le controrepliche.<br />
Lettere infuocate.<br />
Insulti.<br />
Accuse di sottrazione di dati e di campioni.<br />
Pur ammettendo che Edward Cope si potesse trovare su un terreno di<br />
superiorità morale rispetto all'avversario – se non altro per il modo in cui<br />
Marsh aveva sabotato la sua carriera ed intralciato le sue ricerche il<br />
sostegno fornitogli da Bennett finì per comprometterne ulteriormente la<br />
credibilità.
L'etilico editore e il suo giornale affamato di scandali non erano gli alleati<br />
più opportuni da avere al proprio fianco nell'arena accademica. L'Herald,<br />
d'altra parte, era ben deciso a sfruttare l'occasione per rimettere al suo<br />
posto tutta la genia degli scienziati, rappresentati tout court come palloni<br />
gonfiati truffaldini e meschini, per la delizia di una platea di lettori non<br />
esageratamente sofisticati.<br />
La comunità scientifica pensò bene di prendere le distanze.<br />
Poi, la vecchiaia: Cope, brillante e in anticipo sui tempi ma troppo<br />
vanitoso, morì solo e poco considerato, potendo contare solo<br />
sull’appoggio del giovane Henry Fairfield Osborn, suo ex studente e<br />
futuro direttore del Museo di Storia Naturale di New York.<br />
Marsh, autentico pescecane del mondo accademico, ora deriso dal Punch<br />
che lo rappresentò – per il colmo dell’ironia storica – come un Barnum<br />
della scienza, passò comunque alla storia come il più grande<br />
paleontologo americano, e lo scopritore di quel dinosauro che per quasi<br />
un secolo avrebbe rappresentato (nell’opinione di Theodore Roosevelt)<br />
“la potenza e la tenacia dello spirito americano” – il brontosauro, il più<br />
grande dinosauro mai esistito.<br />
Nel 1914, il brontosauro scoperto da Marsh divenne il protagonista di un<br />
cartone animato, ad opera di Winsor McCay, fumettista famoso per il<br />
surreale "Little Nemo in Slumberland", cronaca delle avventure oniriche di<br />
un bambino curioso, a metà strada fra Lewis Carroll e Giulio Verne, pietra<br />
miliare nella storia del fumetto.<br />
Secondo la leggenda, McCay ebbe modo di visitare la collezione di<br />
dinosauri di Marsh conservata al museo di Storia Naturale di Chicago in<br />
seguito ad un incidente stradale – aveva un paio d'ore da trascorrere in<br />
attesa che gli venisse cambiata una gomma forata.<br />
La visita ispirò a McCay l'idea di una storia che avesse per protagonista<br />
un simpatico brontosauro.<br />
Gertie the Dinosaur debuttò nel 1914.<br />
McCay e il suo assistente John A. Fitzsimmons (responsabile dei fondali)<br />
crearono 10.000 disegni, inchiostrati su carta di riso e successivamente<br />
montati su cartoncino. Negli anni successivi, gli animatori avrebbero<br />
imparato a lavorare con fondali fissi, comprendenti tutti gli elementi<br />
statici dell'immagine, sui quali sovrapporre un foglio di celluloide con le
parti in movimento, riducendo così drasticamente il lavoro, i tempi ed i<br />
costi.<br />
Ma McCay non aveva precedenti stava effettivamente inventando un<br />
nuovo genere di cinematografia – e perciò scelse di ridisegnare ogni<br />
fotogramma del breve film come se fosse una vignetta in un fumetto<br />
statico.<br />
Il risultato <strong>è</strong> impressionante – dopo un'introduzione filmata che ribadisce<br />
e rafforza la leggenda della genesi del film al quale stiamo assistendo,<br />
McCay come un prestigiatore evoca il brontosauro Gertie su un blocco da<br />
disegno. Il dinosauro, dapprima timido, esegue alcuni semplici esercizi,<br />
sbocconcella un boschetto, si mangia un uccellaccio (o <strong>è</strong> uno<br />
pterodattilo?) ed un mammuth, si abbevera ad un laghetto,<br />
prosciugandolo.<br />
Poi cortesemente si congeda si congeda e si ritira.<br />
Certo non si tratta di Akira o di Jurassic Park, ma gran parte<br />
dell'iconografia appare ben delineata nei pochi minuti di Gertie – il<br />
panorama brullo e privo di vegetazione (anche a causa dell'appetito del<br />
rettile), il dinosauro voracissimo un po' impacciato e lento – come vuole<br />
la concezione più popolare – che tuttavia riesce ad eseguire semplici<br />
giochetti.<br />
Con un profilo da brontosauro “da manuale”, Gertie <strong>è</strong> bianca come lo<br />
sfondo e come il terreno – il film <strong>è</strong> monocromatico (vista l'età), ma<br />
McCay non si pone il problema di quale sia il colore del suo rettile<br />
ammaestrato.<br />
Nessuno si pone, a <strong>questo</strong> punto della storia, quel genere di problema, in<br />
effetti – neanche i paleontologi.<br />
Quello del colore della pelle dei dinosauri <strong>è</strong> un problema ancora di là da<br />
venire.<br />
Allo stato attuale, il dinosauro di McCay <strong>è</strong> quasi l'idea platonica di<br />
brontosauro – rappresenta lo stato delle conoscenze ed ignora ciò che la<br />
scienza non ha ancora preso in considerazione.<br />
L'impatto di Gertie the Dinosaur fu tale, che a riguardo si <strong>è</strong> tramandata<br />
una significativa leggenda, secondo la quale si tratterebbe del primo<br />
cartone animato della storia. Per quanto suggestiva, l'informazione <strong>è</strong><br />
errata – lo stesso McCay aveva già prodotto due cartoni animati, Little<br />
Nemo (1911) e How a Mosquito Operates (1912), ed esistono vari esempi<br />
precedenti. Ma Gertie fu tutta un'altra cosa.<br />
L’America, già cresciuta ad ossa e resti di mastodonte e mammuth, <strong>è</strong><br />
ormai in preda alla “dinomania” – i dinosauri vengono usati in pubblicità<br />
(dalla nascente industria petrolifera) ed editoria, e a tal punto <strong>è</strong>
infiammata l’immaginazione popolare che la maggior parte degli incontri<br />
con creature venute dallo spazio di testimoni oculari isterici fra fine ‘800<br />
e primi del ‘900 descrivono uominirettile (che solo dagli anni ’50 del 20°<br />
secolo saranno rimpiazzati dai “grigi” nell’immaginario popolare).<br />
In questi stessi anni, Conan Doyle comincia a pensare ad un modo per<br />
mettere definitivamente in pensione Sherlock Holmes e rimpiazzarlo.<br />
E col nuovo secolo, si avvicina la consacrazione di Marsh ad icona<br />
letteraria appena mascherata da uno pseudonimo.<br />
Il Mondo Perduto, vede la luce nel 1912.
Il Ritorno dell'Iguanodonte<br />
La radura degli iguanodonti era la scena di una orrenda<br />
carneficina.<br />
[…] Esaminando più da vicino i resti scoprimmo che tutto <strong>questo</strong><br />
macello era il prodotto di uno solo di quei goffi mostri, che era<br />
stato letteralmente fatto a pezzi da una qualche creatura forse non<br />
più grande, ma certo molto più feroce.<br />
[…]”Il nostro giudizio deve restare ancora in sospeso,” disse il<br />
professor Challenger […] “Tutti gli indizi sembrerebbero<br />
consistenti con la presenza di una tigre dai denti a sciabola, come<br />
quelle che si trovano ancora nelle brecce delle nostre caverne; ma<br />
la creatura che abbiamo visto era certamente più grande, e di<br />
carattere più rettiliano. Personalmente, io direi un allosauro.”<br />
“O un megalosauro,” disse Summerlee.<br />
“Esattamente. Qualsiasi dinosauro carnivoro soddisferebbe le<br />
condizioni. Fra di essi si trovano tutti i più terribili esempi di vita<br />
animale che abbiano mai maledetto la terra o benedetto un<br />
museo.”<br />
[Arthur Conan Doyle, Il Mondo Perduto (1910)]<br />
Conan Doyle, un uomo “le cui doti intellettuali si avvicinavano di più a<br />
quelle di Watson che non a quelle di Sherlock Holmes” (per dirla con J.K.<br />
Chesterton), e che comparirà a più riprese nella nostra storia, creò il<br />
professor Challenger in un inutile tentativo di evasione dal popolare<br />
personaggio che lo aveva intrappolato.<br />
Le velleità di Conan Doyle quale serio autore di romanzi storici e di<br />
epigono di Walter Scott erano infatti regolarmente frustrate dal successo<br />
del “popolare” Sherlock Holmes, il quale oltre a “distrarre il pubblico” dai<br />
legnosissimi romanzi storici di Conan Doyle, relegava pure il proprio<br />
autore alla penombra ed un ruolo secondario; i fan, dopotutto, le lettere<br />
le indirizzavano a Holmes, non a Conan Doyle!<br />
E se uccidere Holmes nel 1893 non aveva funzionato, forse rimpiazzarlo<br />
con un eroe altrettanto cerebrale, attivo nel genere emergente<br />
dello scientific romance reso popolare da Verne e Wells, e mirato ad un<br />
pubblico giovanile, avrebbe sortito l’effetto desiderato.
La vicenda <strong>è</strong> narrata da Edward Malone, giornalista del Daily Gazette,<br />
che si trova coinvolto con il burbero e grossolano professore George<br />
Challenger, noto zoologo e scienziato.<br />
Challenger ha qualche anno prima visitato un altopiano in Sud America,<br />
trovandovi resti di vita preistorica, e giungendo alla conclusione di avere<br />
trovato una terra ancora abitata da animali del Giurassico. Sbeffeggiato<br />
dai colleghi (ha perduto tutte le prove – incluso uno pterodattilo!)<br />
Challenger si propone dunque di partire per una seconda spedizione<br />
verso il Sud America, cui prenderanno parte (assieme allo stesso<br />
Challenger) il suo rivale accademico, il professor Summerlee, il baronetto<br />
e cacciatore John Roxton e lo stesso Malone.<br />
Giunti sull’altopiano (battezzato Terra di Maple White) i nostri eroi<br />
osservano animali preistorici quali l'iguanodonte e il tirannosauro, oltre<br />
ad incontrare una razza di uominiscimmia ed una primitiva tribù di<br />
indios (che gli esploratori istruiranno su come massacrare gli uominiscimmia).<br />
Tornano infine in, con un altro pterodattilo vivo come prova di<br />
ciò che hanno scoperto.<br />
Il romanzo deve più all’opera di Sir Henry Rider Haggard, autore di bestseller<br />
su popoli e città perdute (Le Miniere di Re Salomone, 1886, e Lei,<br />
1887) che non alle accurate fantasie scientifiche di Verne.<br />
E se con Sherlock Holmes <strong>è</strong> uno strenuo propugnatore della logica<br />
deduttiva, nelle storie di Challenger Conan Doyle rimane più<br />
apertamente pessimista riguardo agli effetti generali del progresso<br />
scientifico.<br />
Come spesso accade, i personaggi del romanzo sono stati modellati da<br />
Conan Doyle sull’impronta di personaggi reali, e secondo quanto lo stesso<br />
Doyle affermò a suo tempo, il Professor Challenger sarebbe basato su<br />
William Rutherford, mentre il Professor Summerlee <strong>è</strong> in parte delineato<br />
sui tratti di Sir Robert Christison.<br />
Esiste però una seconda fonte di ispirazione, che pare sia stata trascurata<br />
dai biografi.<br />
Uscite successive aggiungeranno sfaccettature al personaggio, ma alla sua<br />
prima comparsa, ne Il Mondo Perduto, il professor Challenger, massiccio,<br />
brutale, barbuto e insopportabile, dotato di un umorismo greve e<br />
distorto, <strong>è</strong> la trasposizione fedele e accurata (e neppure troppo<br />
lusinghiera, tutto considerato) del professor Othniel Marsh.<br />
Marsh fu – come vedremo un paleontologo brillante, se affrettato, ma fu<br />
anche e soprattutto (come Owen prima di lui) un abile manipolatore dei<br />
media. Ciò che Conan Doyle acquisisce e perpetua col proprio romanzo,
endendola universalmente popolare <strong>è</strong>, almeno in parte, una<br />
mistificazione.<br />
Difficilmente Conan Doyle poteva essere all’oscuro dello scontro fra i due<br />
paleontologi americani; non solo <strong>questo</strong> aveva avuto – come vedremo fra<br />
poco ampia eco sulla stampa (due scienziati che si accapigliano fanno<br />
sempre notizia), ma l’autore di Sherlock Holmes aveva numerosi contatti<br />
con la comunità paleontofila britannica, che avrebbero portato, pochi<br />
anni dopo, al suo coinvolgimento nella faccenda dell’Uomo di Piltdown .<br />
Nella campagna inglese, piovosa e ammantata di brume, nella regione<br />
del Sussex (proprio dove aveva scorrazzato felice Gideon Mantel), a<br />
ridosso della Prima Guerra Mondiale, nel 1912, un gentiluomo di nome<br />
Charles Dawson, paleontologo dilettante, ritrovò i resti di quello che, dal<br />
nome della località, prese il nome di Uomo di Piltdown.<br />
Negli scavi successivi, Dawson coinvolse pure un suo vecchio amico, Sir<br />
Arthur Smith Woodward, curatore del Dipartimento di Storia Naturale<br />
del British Museum, un corrispondente francese, Padre Theillard de<br />
Chardin, successivamente portavoce di una poco ortodossa teoria<br />
teologicoevolutiva, ed infine un vicino di casa, Arthur Conan Doyle, di<br />
professione scrittore e appassionato di antichità, che proprio in quegli<br />
anni stava scrivendo il primo romanzo di Challenger, Il Mondo Perduto,<br />
nonché personaggio notoriamente incline a venire menato per il naso da<br />
astuti ciarlatani.<br />
Nel caso dell’Uomo di Piltdown, per lo meno, Conan Doyle non fu l’unico.<br />
Perché solo quarant’anni dopo si sarebbe scoperto che si trattava di<br />
un’ardito accoppiamento di cranio di ominide e mascella di gorilla, e nel<br />
frattempo la stampa specializzata e non avrebbe strombazzato ai quattro<br />
venti la scoperta del secolo.<br />
Fasullo fino all’inverosimile (per la nostra epoca abituata alle datazioni al<br />
radiocarbonio), l’Uomo di Piltdown svolgeva due importanti funzioni.<br />
In primo luogo si trattava del primo ritrovamento di resti di ominidi nelle<br />
isole britanniche. Ne avevano trovati dappertutto, in Germania<br />
(Neanderthal, 1856), in Francia (Cro Magnon, 1869), persino a Giava<br />
(l’Uomo di Giava, 1890) ed in Cina (Uomo di Pechino, 1903), e se ogni<br />
passo di questa strada sembrava confermare le teorie esposte da Darwin<br />
nel suo The Descent of Man (1871), la Gran Bretagna restava<br />
spiacevolmente, imbarazzantemente priva di ominidi.<br />
Inammissibile.<br />
Con l’Uomo di Piltdown, l’orgoglio britannico era salvo.
Mentre salvava l'orgoglio nazionale della più importante potenza<br />
occidentale, l’Uomo di Piltdown svolgeva perfettamente era quello per il<br />
quale era stato progettato da Dawson e Woodward (e probabilmente de<br />
Chardin), quando avevano originariamente mescolato e sepolto quelle<br />
ossa variegate – l’Uomo di Piltdown era l’Anello Mancante, individuo<br />
dotato di tratti intermedi fra l’uomo (la calotta cranica ampia che<br />
testimoniava intelligenza e capacità verbali ed associative avanzate) e la<br />
scimmia (la mascella massiccia, primitiva, coi dentoni).<br />
Oggi, mentre gli anatomisti funzionali possono guardare ai resti di<br />
Piltdown e scoppiare a ridere (come poteva avere un cervello adatto a<br />
parlare ed una mascella che ostacola l’eloquio?), sappiamo che l’Anello<br />
Mancante non esiste e non <strong>è</strong> mai esistito.<br />
Tornando alla letteratura, non possiamo infine escludere che il<br />
personaggio di Challenger fosse, per Conan Doyle, una sorta di alter ego<br />
ideale, più borghesemente dignitoso e letterariamente gestibile di<br />
Holmes, più fermamente radicato nella realtà; e l'autore si fece ritrarre in<br />
alcune foto promozionali nei panni di Challenger. Con indosso il costume<br />
di Challenger e spacciandosi per un medico tedesco, Conan Doyle riuscì<br />
anche a farsi beffe di suo cognato, piombandogli a casa come ospite<br />
inatteso; scoprendo l'inganno, la vittima non esitò a buttare fuori di casa<br />
a calci lo spiritoso parente acquisito.<br />
"Ci sono momenti, ragazzo mio, in cui ognuno di noi deve<br />
prendere una posizione precisa a favore dei diritti umani e della<br />
giustizia, o non ci si potrà mai più sentire puliti."<br />
[Lord John Roxton, in The Lost World, Sir Arthur Conan Doyle]<br />
Altre fonti di ispirazione per il romanzo vennero cooptate dalla realtà<br />
immediata – i personaggi di Edward Malone e Lord John Roxton vennero<br />
costruiti sul modello di Edmund Dene Morel e Roger Casement, fondatori<br />
della Congo Reform Association.<br />
Morel e Casement avevano portato la situazione del popolo del Congo<br />
Belga al pubblico londinese, e Conan Doyle ne aveva ricavato il pamphlet<br />
"The Crime of the Congo", scritto in otto giorni sull'onda della furia<br />
suscitata dalle rivelazioni di Morel e Casement.<br />
Su incarico del re del Belgio Leopoldo Secondo, l'esploratore e giornalista<br />
Henry Stanley (l'uomo che aveva ritrovato il dottor Livingstone) aveva<br />
negoziato, tra il 1879 ed il 1884, una serie di accordi con i capitribù del<br />
bacino del Congo, portandoli sotto la sfera di influenza delle autorità<br />
belghe. L'autorità belga venne ratificata nel 1885 e immediatamente
venne messa in atto nell'area congolese – con un costo in termini di vite<br />
umane devastante.<br />
Conan Doyle pubblicò il suo testo indignato, e proseguì l'attività<br />
contattando giornali e capi di stato nel tentativo di creare un fronte di<br />
indignazione popolare.<br />
Ironicamente, durante la Grande Guerra, sia Morel che Casement<br />
vennero accusati di tradimento e processati – con l'illusione di perorare la<br />
causa dell'indipendenza irlandese, avevano cercato un accordo con le<br />
autorità tedesche per supportarne l'azione contro la Gran Bretagna.<br />
Nel romanzo, Challenger, Summerlee e compagni esplorano un altopiano<br />
sudamericano sul quale la vita <strong>è</strong> rimasta in gran parte ferma al<br />
Mesozoico. Fra le molte meraviglie di cui sono testimoni, i nostri eroi si<br />
trovano pure al margine di uno scontro mortale fra un iguanodonte ed<br />
un carnivoro non meglio identificato.<br />
In un magistrale esempio di economia drammatica, Conan Doyle si limita<br />
a descriverci gli effetti sonori dello scontro e le sue conseguenze.<br />
L’immagine delle due bestie avvinghiate, i lettori ormai la posseggono già,<br />
mutuata da cento anni di illustrazioni scientifiche.<br />
Quando nel 1925 il cinema ci proporrà una versione filmica de Il Mondo<br />
Perduto, lo scontro fra titani sarà immancabile.<br />
Il Mondo perduto non <strong>è</strong> solo il primo film proiettato su un aereo in volo,<br />
tra Londra e Parigi, nell’Aprile 1925.<br />
Si tratta anche del primo film a fare uso di animazione in stopmotion: la<br />
lentezza postulata dai paleontologi ben si adatta all’animazione a passo<br />
uno degli effetti speciali del film – che <strong>è</strong> comunque tanto preciso da darci<br />
non solo una ricostruzione esatta dei dinosauri (con gli erbivori che<br />
ruminano!), ma anche nell’interpretazione di Wallace Beery, una<br />
rilettura fedelissima di Marsh in versione pulp.
aby even the losers,<br />
keep a little bit of pride,<br />
they get lucky sometimes<br />
[Tom Petty]<br />
E potrebbe anche finire così, no?<br />
Una guerra dimenticata, una faida tra un prepotente e un insicuro, la<br />
vendetta di un personaggio seriamente deviato, e poi i media che si<br />
impossessano della storia e la trasformano in una leggenda.<br />
Cope scompare.<br />
Marsh trionfa, ma cade.<br />
Ci fanno un film che ha uno strepitoso successo.<br />
Ci si potrebbe addirittura appiccicare una bella morale.<br />
E sopravvissuto ai due paleontologi, il Brontosauro, definito “il più<br />
americano dei dinosauri” nientemeno che da Teddy Roosevelt.<br />
Usato come testimonial per la pubblicità di una nota compagnia<br />
petrolifera.<br />
Nelle vesti di “Gertie the Dinosaur” il primo protagonista del primo<br />
cartone animato della storia.<br />
Lo si vede ruminare contento ne “Il Mondo Perduto” del 1925.<br />
Ma la storia non <strong>è</strong> finita, perché anche gli sconfitti, di quando in quando,<br />
hanno un momento di rivalsa.<br />
Forse marginale.<br />
Forse postuma.<br />
Ma innegabile.<br />
E così, nel 1983, alcuni studiosi che stavano risistemando le collezioni<br />
dello Smithsonian, scoprirono che Othniel Marsh aveva avuto troppa<br />
fretta nel montare i resti provenienti da Como Bluff.<br />
Un problema classico di molti dei campioni raccolti da Cope e Marsh, in<br />
effetti.<br />
Marsh aveva avuto troppa fretta di pubblicare una nuova specie – e ciò<br />
che era noto al mondo intero come il brontosauro risultò essere in effetti<br />
il mix di resti di diplodoco e apatosauro.<br />
E chi ricorda la vicenda dell'elasmosauro di Cope e del professor Leidy<br />
non mancherà di notare l'ironia.<br />
Per quanto mantenuto in circolazione dalla consuetudine, il Brontosauro<br />
non ha più alcun valore scientifico.<br />
Il più americano dei dinosauri non esiste più.<br />
Non <strong>è</strong> mai esistito.
Appendice – Cadillac e Dinosauri<br />
Con buonapace di Quentin Tarantino, la narrativa “pulp” deve il proprio<br />
nome – lo si <strong>è</strong> ormai ripetuto fino alla noia – alle riviste popolari che<br />
sommersero le edicole statunitensi fra il 1901 ed il 1950; stampate su<br />
carta di bassissima qualità (pulp paper), con copertine sgargianti e titoli<br />
improbabili, specializzate nel fornire al pubblico un intrattenimento<br />
sensazionalistico ed avventuroso, generalmente disimpegnato, vendevano<br />
in media cinque milioni di copie la settimana.<br />
La “pulp fiction” ci ha dato Chandler, Hammett, Lovecraft, Tennessee<br />
Williams ma, da un punto di vista contenutistico, <strong>è</strong> figlia di un solo uomo<br />
che, nel tentativo di sfuggire ad una monotona vita da imprenditore<br />
fallito e di mantenere la propria famiglia (moglie e tre figli), creò un<br />
nuovo genere letterario, divenne ricchissimo, e fondò una città in<br />
California.<br />
Si chiamava Edgar Rice Burroughs, ed era un grande narratore.<br />
"...se c'era gente pagata per scrivere porcherie come quelle che<br />
leggevo in alcune di quelle riviste [mi dissi] che io potevo scrivere<br />
storie altrettanto brutte. E in effetti, anche se non avevo mai<br />
scritto una storia, sapevo con assoluta certezza che sarei stato<br />
capace di scrivere storie altrettanto divertenti, e probabilmente<br />
molto più divertenti, di quelle che leggevo in quelle riviste. "<br />
Edgar Rice Burroughs sulle motivazioni del suo esordio letterario<br />
Nato nel 1875 a Chicago, aveva studiato in varie scuole prima di entrare<br />
in accademia militare, prima alla Phillips Academy di Andover e poi alla<br />
Michigan Military Academy. Fallito il tentativo di entrare a West Point nel<br />
1895, aveva servito nel Settimo Cavalleria in Arizona, per due anni,<br />
prima che un problema cardiaco non lo spingesse a lasciare le armi.<br />
Da civile, Burroughs lavorò come cowboy e manovale, fino ad entrare<br />
nell'azienda del padre, che lasciò comunque nel 1904 in cerca di stipendi<br />
ed opportunità migliori che tuttavia non si concretizzarono.<br />
Quando pubblicò il suo primo romanzo, Under the Moons of Mars (1912 –<br />
lo stesso anno di Lost World e dell'uomo di Piltdown), introducendo al<br />
pubblico il personaggio di John Carter, Burroughs aveva alle spalle una<br />
decina d'anni di stipendi minimi e lavori precari, ed era impiegato come<br />
rappresentante di temperamatite.
Under the Moons of Mars gli fruttò 400 dollari, certo molto di più di<br />
quanto facesse a vendere temperamatite, e Burroughs capì di aver<br />
trovato la tranquillità finanziaria.<br />
Nell'ottobre del 1912, diede alle stampe, a puntate, Tarzan of the Apes.<br />
La città di Tarzana, sorta attorno al ranch che Burroughs acquistò in<br />
California coi proventi dei propri libri, conta oggi 16.000 abitanti.<br />
Poco importa che Tarzan, la sua opera più famosa, plagi Il Libro della<br />
Giungla di Kipling (che apprezzò il complimento implicito e si dichiarò<br />
fan di Tarzan); Burroughs ci mette abbastanza del suo per fare della<br />
storia di Lord Greystoke un lavoro indipendente da quello di Kipling,<br />
un’opera forse meno letterariamente ispirata, ma certo altrettanto<br />
potente, ibrido del “buon selvaggio” di illuministica memoria e di certi<br />
strani turbamenti pseudodarwiniani che avrebbero spazzato l’opinione<br />
pubblica americana per alcuni decenni; il tutto cucinato in una salsa<br />
avventurosa che in capo a pochi anni Burroughs avrebbe perfezionato<br />
trasformandola in uno stile ed in un metodo: inizio col botto, colpi di<br />
scena a raffica, capitoli che si chiudono con un momento da brivido.<br />
Linguaggio semplice, prosa scorrevole, nomi assolutamente orecchiabili e<br />
facili da ricordare.<br />
Donne poco vestite, eroi leali ed indomabili, bestie feroci.<br />
Burroughs aveva un buon occhio per ciò che interessava al pubblico: con<br />
Tarzan, a riguardo, si mise in aperto disaccordo con gli “esperti”,<br />
lanciando il proprio personaggio <strong>attraverso</strong> tutti i media disponibili –<br />
romanzi, strisce settimanali a fumetti, film, radiodrammi. Anziché la<br />
pericolosa e controproducente saturazione pronosticata dai tecnici,<br />
Burroughs creò un'icona culturale, e fece un sacco di soldi.<br />
Il mercato abituale di Burroughs erano le riviste di<br />
avventura “Argosy” e “AllStories”, ma fu “Blue Book”, uno dei precursori<br />
del “pulp”, a pubblicare nel 1918, in tre puntate, una storia di Burroughs<br />
zeppa di dinosauri e uomini primitivi, intitolata La Terra dimenticata dal<br />
Tempo.<br />
Il romanzo narra le avventure di Bowen J. Tyler, passeggero americano di<br />
una nave affondata da un UBoot, l'U33, nel 1916. Preso il controllo del<br />
sottomarino grazie all'aiuto di altri naufraghi, Tyler si trova alla deriva<br />
nell'Atlantico Meridionale.<br />
Ormai in acque antartiche, l'U33 raggiunge un'isola misteriosa, forse la<br />
mitica Caprona segnalata dall'esploratore (immaginario) italiano Caproni<br />
nel 18° secolo. Caprona si rivelerà popolata di animali preistorici, il cui<br />
grado di evoluzione sembra variare per area geografica. Seguiranno
incontri con popolazioni primitive, battaglie, inseguimenti, il rapimento<br />
della bella di turno, e un “gacio” per eventuali storie successive (due<br />
– People that Time Forgot e Out of Time's Abyss)<br />
L’America, a ridosso del primo conflitto mondiale, era in preda alla<br />
dinomania, solleticata dall’edizione economica del romanzo di Conan<br />
Doyle e dall’esposizione di cui avevano goduto Cope e Marsh, e non era<br />
la prima volta che Burroughs flirtava con i dinosauri.<br />
Nel 1914 il primo romanzo del ciclo di Pellucidar, ambientato in una<br />
Terra cava popolata di dinosauri assortiti e pterodattili partenogenetici,<br />
telepatici e malvagi, aveva permesso a Burroughs di diventare un<br />
romanziere a tempo pieno.<br />
Probabilmente ispirato a Verne, il ciclo di Pellucidar si basava su una<br />
teoria che, se all’epoca stava già perdendo punti molto rapidamente, era<br />
ancora considerata accettabile da più parti, secondo la quale la Terra <strong>è</strong><br />
costruita per gusci concentrici. Burroughs aveva per un breve periodo<br />
insegnato geologia (in un’accademia militare), traendone spunto per le<br />
proprie successive imprese letterarie.<br />
In <strong>questo</strong> senso Pellucidar, mondo primitivo e vastissimo, popolato di<br />
tutte le creature primitive che possono servire all’autore per mantenere<br />
alta la tensione, <strong>è</strong> a tutti gli effetti un romanzo di fantascienza e “di<br />
attualità”, costruito (come i lavori di Verne) su un importante dibattito<br />
scientifico contemporaneo. In effetti, anche se solo il lavoro di Burroughs<br />
sopravvive oggi sugli scaffali dei librai, a cavallo del secolo comparvero<br />
non meno di dieci romanzi ambientati nella Terra Cava, opera di autori<br />
solitamente legati alla Teosofia.<br />
“Contrariamente alle predizioni di George Orwell sugli effetti<br />
deleteri della narrativa popolare sulle giovani menti, da grande<br />
non sono diventato un fascista, un razzista o un massacratore<br />
casuale di animali e uomini per aver letto Burroughs. “<br />
[Michael Moorcock, (2005)]<br />
La Terra dimenticata dal Tempo, romanzo che vedrà la pubblicazione in<br />
volume unico solo nel 1924, appartiene comunque al “secondo periodo”<br />
burroughsiano, nel quale l’autore comincia a dedicare maggiore<br />
attenzione all’elemento scientifico delle sue storie, probabilmente in
isposta alla nascita della science fiction pubblicata con successo da Hugo<br />
Gernsback.<br />
Il luogo dell’azione, Caspak, isola nella quale l’evoluzione <strong>è</strong> ciclica, ma<br />
avviene con tempi storici anziché geologici, <strong>è</strong> più credibile e solida, come<br />
costruzione concettuale, del pur divertente Pellucidar, ed il romanzo <strong>è</strong><br />
scritto infinitamente meglio; si tratta certo di una delle prove più<br />
interessanti di Burroughs, e mostra un indubbio coraggio nel trattare<br />
spassionatamente (ed in modo piuttosto divertente, tutto considerato)<br />
quelle teorie darwiniane che proprio in quegli stessi anni tante accalorate<br />
discussioni causavano negli Stati Uniti.<br />
La copertina dell'edizione Ace ciu ripresenta il solito vecchio iguanodonte<br />
col corno sul naso, dato insolito, vista la tendenza generale: gli<br />
illustratori di Land that Time Forgot, da J. Allen St. John in poi, si sono<br />
sempre concentrati di più sul topless della protagonista femminile o sui<br />
confronti tecnologici (plesiosauro contro uboot, pterodattilo contro<br />
idroplano), che non sul contenuto pseudopaleontologico del romanzo e<br />
il grande Frank Frazetta (che fu anche un apprezzato illustratore<br />
scientifico) si costrui una carriera ed una leggenda con le donnine ed i<br />
dinosauri di Burroughs.<br />
E da Burroughs e Frazetta discendono in fondo tutti i fumetti che hanno<br />
al loro nucleo dinosauri (Turok, curioso dinowestern prodotto dagli anni<br />
’50 da uno degli sceneggiatori di Bonanza) e donne avvenenti (Cave<br />
Girl e Xenozoic Tales/Cadillacs & Dinosaurs fra gli esempi più dignitosi e<br />
purtroppo meno noti).<br />
“La bestia <strong>è</strong> così grande, e l’organizzazione del suo sistema<br />
nervoso di così basso livello, che ci <strong>è</strong> voluto tutto <strong>questo</strong> tempo<br />
perché l’informazione relativa alla sua morte raggiungesse il suo<br />
cervello minuscolo. La bestia <strong>è</strong> morta quando le vostre pallottole<br />
l’hanno colpita; ma non se ne <strong>è</strong> resa conto per parecchi secondi –<br />
forse un minuto. Se non sbaglio si tratta di un allosauro del<br />
Giurassico Superiore, i resti del quale vennero rinvenuti nel<br />
Wyoming Centrale, alla periferia di New York.”<br />
[Edgar Rice Burroughs, La Terra dimenticata dal Tempo (1918)]<br />
Ci sono forse iguanodonti nel romanzo di Burroughs?<br />
Probabilmente no. In verità, un protagonista del romanzo assiste,<br />
durante le proprie esplorazioni dell’isola misteriosa, ad uno scontro fra<br />
due lucertole giganti, ma l’illustrazione di Williamson & Crandall per la<br />
scena, nella ristampa Ace degli anni’70, <strong>è</strong> paleontologicamente priva di
significato – i due mostri sembrano più imparentati con serpenti che con<br />
dinosauri.<br />
Eppure, quasi contemporaneamente, nel 1971 La Terra dimenticata dal<br />
Tempo di Burroughs compare per la prima volta in Giappone, pubblicata<br />
in tre volumi dall’editore Hakayama (che approfitta probabilmente del<br />
fatto che sono scaduti i diritti d’autore).<br />
La copertina del secondo tomo, Il popolo dimenticato dal tempo, di<br />
Kazuaki Saito, <strong>è</strong> significativa: abbarbicati ad un picco a strapiombo sul<br />
mare, quasi un faraglione preistorico, un eroe (opportunamente<br />
tarzaniano) e la sua compagna dalle chiome al vento osservano lo<br />
scontro che si svolge sotto di loro.<br />
Nell’acqua, un iguanodonte (<strong>è</strong> proprio lui, con il corno da rinoceronte e<br />
tutto il resto) <strong>è</strong> stretto nelle spire di un serpente marino che pare<br />
strettamente imparentato con il plesiosauro di Verne e Riou; mentre il<br />
plesiosauro (?) si avventa con le fauci zannute alla gola dell’iguanodonte,<br />
<strong>questo</strong> si volta e, con un movimento che abbiamo già visto in Martin e in<br />
Figuier e in Riou, si lancia a sua volta contro l’aggressore.<br />
Sono passati centotrentacinque anni, e siamo molto distanti dalla<br />
campagna del Sussex nella quale il dottor Mantell e signora<br />
scorrazzavano col calesse.<br />
Non solo, ma il progredire delle conoscenza ha radicalmente trasformato<br />
in questi anni l’immagine che Mantell, Owen ed i loro contemporanei<br />
avevano dell’Iguanodon: non più una specie di cane/rinoceronte con una<br />
estesa voglia di lucertola, ma ormai riconosciuto come un sauro bipede,<br />
vistosamente privo del corno sul naso (che si <strong>è</strong> scoperto essere l’artiglio<br />
del pollice).<br />
E se i cinici possono affermare che l’iguanodonte di Kazuaki Saito <strong>è</strong> più<br />
imparentato con Godzilla che con Gideon Mantell, <strong>è</strong> indubbio che<br />
l’aspetto generale del rettile sia in <strong>questo</strong> caso molto più vicino alla realtà<br />
scientifica di quanto non fosse nelle illustrazioni precedenti; l’artista<br />
tuttavia non ha potuto esimersi dall’inserire alcuni dettagli sbagliati<br />
ma iconici (il corno, la cresta frastagliata sulla schiena), e dal replicare<br />
una situazione che, nella sua semplicità, riassume l’ostilità e l’alienità di<br />
un intero mondo, e che <strong>è</strong> parte del bagaglio culturale dei lettori.<br />
E poi perché disprezzare Godzilla?<br />
Lucertola mutata e risvegliata dai test atomici, attratta<br />
dall’inquinatissima baia di Tokyo e votata alla distruzione ed al<br />
caos, Godzilla ha fra i suoi ispiratori anche un personagio dalle<br />
credenziali scientifiche ineccepibili.
Fu la lettura del più famoso libro di Rachel Carson, quel Silent Spring che<br />
denunciava i pericoli dell’inquinamento (e del DDT in particolare), e<br />
costò all’autrice accuse di allarmismo e di “sabotaggio dello spirito<br />
imprenditoriale statunitense”, che ispirò gli sceneggiatori della Toho nel<br />
creare e delineare il campo di attività della più famosa lucertola di<br />
gommapiuma della storia del cinema. Il mostro come metafora<br />
dell’inquinamento e degli esperimenti umani sfuggiti al controllo.<br />
Il fantastico ha spesso goduto di queste curiose impollinazioni incrociate.<br />
Come quando nel 1933 la RKO chiese a due documentaristi di filmare<br />
“una bella storia romantica”, e quelli filmarono King Kong – ambientato<br />
su un’isola dimenticata dal tempo (echi di Conan Doyle e Burroughs) e<br />
nel quale il gorilla mostra per la prima volta tutta la propria vitalità<br />
selvaggia combattendo con un dinosauro (che, sì, caro lettore, si volta di<br />
scatto e tira ad azzannarlo).<br />
E nel 1960 Irwin Allen, un documentarista specializzato in film<br />
naturalistici dirigerà una nuova versione de “Il Mondo Perduto” di Conan<br />
Doyle; quattro anni prima, Allen si <strong>è</strong> per così dire “fatto le ossa” con The<br />
Animal World, documentario “alla Disney” sulla vita animale nel presente<br />
e nel passato; i dinosauri sono animati dal team di Ray Harryhousen, il<br />
valore documentaristico di The Animal World <strong>è</strong> molto opportunamente<br />
subordinato al valore spettacolare, e per la delizia del pubblico un<br />
iguanodonte incarognito, con corno regolamentare, si avventa su un<br />
malcapitato stegosauro, che si volta di scatto e lo azzanna a sua volta.<br />
Non c’<strong>è</strong> dubbio, per gli spettatori, che il Mondo Animale fosse, almeno a<br />
quell’epoca, un posto piuttosto violento.<br />
Infine, dinosauri di gommapiuma faranno la loro comparsa nel pallido<br />
adattamento cinematografico de La Terra dimenticata dal Tempo, a metà<br />
degli anni ’70.<br />
Avevo più potere di tanti altri durante la lavorazione di quel film<br />
perché la ERB Inc. insisteva (per qualche misteriosa ragione) che<br />
io fossi l'unica persona che avrebbe potuto fare la sceneggiatura<br />
alla maniera di Burroughs. Jim [Cawthorn, NdT] ed io la<br />
suddividemmo in parti e la scrivemmo – rendendo il tedesco molto<br />
più sensibile (ed il portavoce delle idee) – e l'unico serio<br />
cambiamento fu quel ridicolo finale (fatto senza consultarmi<br />
specificatamente dopo che avevo detto che non ci avrei messo<br />
vulcani etc. etc. avevo preparato un finale molto più lirico, che<br />
avrebbe funzionato molto meglio semplicemente in termini<br />
commerciali) – ma dovevano usare la Grimpen Mire da qualche<br />
parte, suppongo (<strong>è</strong> zuppa d'avena, quella roba). Gli effetti erano
da pochi soldi (quello pterodattilo rigido) ma riuscimmo a<br />
metterci un po' di atmosfera qua e là, e riuscimmo abbastanza a<br />
conservare l'idea di base. Il motivo per cui avevo accettato di farlo<br />
era che c'erano delle idee là dentro. Tuttavia, John Dark l'orribile<br />
piccolo produttore australiano che si comportava come la tipica<br />
caricatura del nano masticasigari hollywoodiano preso da qualche<br />
parodia degli anni '30; la descrizione non <strong>è</strong> mia, <strong>è</strong> di Doug<br />
McClure – non un grande attore, ma un tipo veramente simpatico<br />
– la sua laconica, inespressiva risposta a quel piccolo idiota – che<br />
mi aveva detto che Mai Zetterling (una buona amica) proprio non<br />
accettava consigli dopo che lui aveva cercato di aiutarla... Il tipo<br />
che faceva la parte del tedesco si considerava superiore al film in<br />
toto, e perciò Anton Diffrin dovette ridoppiarlo, perché era troppo<br />
fuori parte[...] Era un film meno stupido di quanto risultò poi alla<br />
fine, ma mano deludente per me del When Dinosaurs Ruled The<br />
Earth di Ballard! Non ne ho una copia. Una quantità sorprendente<br />
di adulti mi dicono che <strong>è</strong> il loro film preferito dei loro ragazzi,<br />
perciò devo aver pur fatto qualcosa di giusto...<br />
Gran parte dei dinosauri erano burattini. Io non ho nulla contro i<br />
burattini o la gente in costume da dinosauro – spesso sono più<br />
convincenti. Ma i brutti effetti speciali non mi hanno mai<br />
scoraggiato...<br />
[Michael Moorcock, lettera a David Langford]<br />
Sceneggiato da Michael Moorcock e James Cawthorn (che si<br />
dissoceranno dall’impresa dopo aver visionato la pellicola) ed<br />
interpretato dal colosso del Bmovie Doug McClure (oggi famoso<br />
soprattutto per essere regolarmente parodiato nei cartoni animati dei<br />
Simpson), il film schiera il solito armamentario di serie B fatto di<br />
dinosauri di plastica e attricette tanto avvenenti quanto sconosciute –<br />
oltre ad un cattivo così barbarico e selvaggio che adorna la propria sala<br />
del trono con poster di Frazetta e rappresenta un’ottima occasione<br />
perduta. Lo stesso vale per l’adattamento del primo Pellucidar (sempre<br />
con Doug McClure!), che bastò da solo a far chiudere i battenti alla casa<br />
produttrice.<br />
Oggi i diritti cinematografici sulle opere di Burroughs sono di proprietà<br />
della Disney, e <strong>questo</strong> ci lascia poco in cui sperare per il futuro.<br />
Ma restiamo in Giappone, per chiudere questa carrellata multimediale.<br />
Sempre nel 1971, in contemporanea con l’uscita del romanzo di<br />
Burroughs, la Toei mette in produzione una serie di 22 episodi a cartoni
animati, intitolata “Genshi Shoonen Ryu” (arriverà in Italia nel 1979 col<br />
titolo di “Ryu, il Ragazzo delle Caverne”); burroughsiana per tema e<br />
ambientazione (un’età della pietra in cui umani e dinosauri convivono ed<br />
il nostro eroe deve vedersela con avversari umani ed animali, oltre che<br />
con disastri naturali assortiti) la serie si apre con una sequenza di titoli di<br />
un didatticismo e di un valore iconico che farebbero inorgoglire Martin o<br />
Figuier: dopo un avvio con una nube di materia interstellare che si<br />
condensa a formare il nostro pianeta, si formano i primi bacini, la<br />
vegetazione conquista le terre emerse, i rettili emergono dalle loro uova,<br />
gli pterodattili solcano i cieli. Vulcani esplodono all’orizzonte ed un<br />
dinosauro non identificato, forse un tirannosauro, azzanna al garrese un<br />
plesiosauro, che per reazione si volta di scatto, e lo azzanna a sua volta.<br />
Su <strong>questo</strong> montaggio velocissimo (meno di 20 secondi) la canzone dei<br />
titoli passa da una fanfara roboante ad un ponte poprock alla prima<br />
strofa che recita “Un mondo ostile/che a tutti quanti paura fa”.<br />
Una figura e la sua didascalia, l'istantanea di un mondo, immutata<br />
<strong>attraverso</strong> 135 anni.
Ringraziamenti<br />
Questo lavoro <strong>è</strong> rimasto sul mio hard disc per quasi sei anni, mutando<br />
forma, contenuti, tono.<br />
È stato ampliato, riciclato, tramutato in conferenza, pubblicato<br />
parzialmente in varie forme.<br />
Ringrazio quindi la CoopStdi e la rivista LibriNuovi per aver ospitato<br />
parte di queste mie chiacchiere.<br />
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alle mie conferenze, e tutti<br />
coloro che apprezzarono il mio poster alle Giornate di Paleontologia di<br />
Urbino, tanti anni or sono.<br />
Ringrazio i miei complici abituali, la Squadra del Giovedì, mio fratello<br />
Alessandro, i miei vecchi compagni di corso del Birkbeck College.<br />
Grazie infine ai membri del Lemuria Social Club.<br />
DM<br />
Nota sulla seconda edizione.<br />
Il testo <strong>è</strong> stato revisionato, e gran parte dei refusi e delle brutture<br />
eliminati.<br />
Sono state aggiunte un migliaio di parole non molto, ma ci auguriamo<br />
che le informazioni in più possano divertire tutti coloro che avevano letto<br />
la prima edizione nonostante i problemi del testo.
Bibliografia Minima<br />
Alvarez, W., TRex and the Crater of Doom Princeton University Press,<br />
2008<br />
Bakker, R.T., The Dinosaur Heresies: New Theories Unlocking the<br />
Mystery of the Dinosaurs and Their Extinction William Morrow & Co,<br />
1986<br />
Cadbury, D., Dinosaur Hunters – Bertrams Print on Demand, 2001<br />
Emling, S., The Fossil Hunter: Dinosaurs, Evolution, and the Woman<br />
Whose Discoveries Changed the World Macmillan, 2011<br />
Fagan, B., The Little Ice Age: How Climate Made History 13001850 –<br />
Basic Books, 2001<br />
Fortey, R., Trilobite! Eyewitness to Evolution – Flamingo, 2001<br />
Fortey, R., Dry Store Room No. 1: The Secret Life of the Natural History<br />
Museum – HarperPress, 2008<br />
Freeman, M., Victorians and the Prehistoric Yale University Press, 2004<br />
Gould, S.J., Bully for Brontosaurus Radius, 1991<br />
Matsen, B. & Troll, R. Planet Ocean: Story of Life, the Sea and Dancing<br />
to the Fossil Record Ten Speed Press, 1995<br />
Mitchell, W.J.T., The Last Dinosaur Book: The Life and Times of a<br />
Cultural Icon – University of Chicago Press; 2nd edition, 1998<br />
Pierce, P., Jurassic Mary: Mary Anning and the Primeval Monsters The<br />
History Press, 2008<br />
Preston, D.J., Dinosaurs in the Attic – St. Martin's Griffin, 1994<br />
Sanz, J.L., Starring T.Rex!: Dinosaur Mythology and Popular Culture<br />
Indiana University Press, 2003<br />
Weishampel & White, The Dinosaur Papers, 16761906 – Smithsonian<br />
Books, 2004<br />
Winchester, S., The Map That Changed the World: A Tale of Rocks, Ruin<br />
and Redemption – Penguin, 2002
Agili Volumetti del Fantastico e del<br />
Misterioso<br />
Per saperne di più, visitate il Lemuria Social Club:<br />
http://lemuriasocialclub.blogspot.com