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Il destino dell'Iguanodonte<br />

(e altri pettegolezzi paleontologici)<br />

seconda edizione riveduta<br />

e ampliata<br />

Davide Mana


Il Destino dell'Iguanodonte by Davide Mana is licensed under a Creative<br />

Commons Attribuzione ­ Non commerciale ­ Non opere derivate 3.0<br />

Unported License.


Gli scienziati si lamentano del fatto che nel nuovo film Dinosaur, i<br />

dinosauri siano mostrati insieme ai lemuri, che non comparvero se non<br />

un milione di anni dopo. Temono che il film darà ai ragazzi una<br />

impressione sbagliata. Che dire del fatto che i dinosauri ballino e<br />

cantino?<br />

Jay Leno, The Tonight Show


Questo <strong>è</strong> dedicato ai miei colleghi dell'Università di Urbino


Introduzione<br />

Sono diventato geologo perché mi piacevano i dinosauri.<br />

Mi sono laureato in geologia in una università (quella di Torino) che<br />

all'epoca non aveva un dipartimento di paleontologia dei vertebrati.<br />

Ho studiato infinite conchiglie.<br />

Oggi sono micropaleontologo – lavoro sul plancton fossile.<br />

Ma la passione per i dinosauri <strong>è</strong> rimasta.<br />

Quello che segue <strong>è</strong> un rimaneggiamento di diversi lavori – articoli,<br />

conferenze, post sul web – che per anni sono serviti come valvola di sfogo<br />

per la mia passione per i dinosauri, e la mia ammirazione per coloro che<br />

per primi li scavarono.<br />

Gli anglosassoni parlano di edutainment – figlio del connubio<br />

di education e entertainment.<br />

Questo ebook non ha pretese né nell'ambito dell'educazione che in quello<br />

dell'intrattenimento.<br />

Si tratta di pettegolezzi paleontologici.<br />

Buona lettura.<br />

Davide Mana<br />

Castelnuovo Belbo, Asti<br />

Estate 2011­Inverno 2012


Parte Prima<br />

Il Vecchio Mondo


Effetti del Clima sul Tempo Libero della Upper<br />

Class Britannica<br />

Fra il 1300 ed il 1800 l’Europa venne interessata da quella che gli addetti<br />

ai lavori chiamano “La Piccola Glaciazione” (Little Ice Age); le cause sono<br />

tutt’ora oggetto di dibattito – forse delle massicce eruzioni vulcaniche<br />

oscurarono i cieli con le loro ceneri, forse un anomalia inceppò la<br />

corrente del golfo. Di sicuro, dopo tre secoli nei quali il tempo si<br />

mantenne tendente al bello ed il clima fu sufficientemente caldo da<br />

garantire l'impiantamento di vigneti nelle isole britanniche, con il<br />

quattordicesimo secolo si avviò una tendenza opposta.<br />

Se tutti gli studiosi concordano invece sulla conclusione dell’Era Glaciale<br />

nella metà del 19° secolo, l’inizio della Piccola era Glaciale <strong>è</strong> oggetto di<br />

discussione, ed a seconda dei dati e delle località considerate potrebbe<br />

coincidere con diversi eventi:<br />

1250, con l’inizio della crescita del Pack Atlantico<br />

1300, con la scomparsa di estati calde regolari in Nord Europa<br />

1315, con l’anno più piovoso del secolo, e la Grande Carestia del<br />

1315/1317<br />

1550, con l'anno in cui si teorizza una globale espansione dei ghiacciai<br />

1650, per coincidenza con il primo minimo termico assoluto<br />

A metà del quindicesimo secolo, scomparvero i vigneti britannici ­ gli<br />

inglesi che fino a quel momento avevano avuto una loro produzione di<br />

vino nazionale, si ritrovarono a secco. E non fu quello il problema più<br />

grave.<br />

Faceva freddo.<br />

A testimonianza della Piccola Era Glaciale – in realtà un'altalena di<br />

temperature variabili ma progressivamente tendenti ad un generale<br />

abbassamento ­ ci rimangono la definitiva scomparsa degli insediamenti<br />

vichinghi in Groenlandia, l'avanzata dei ghiacciai alpini (che raggiunsero<br />

la loro massima estensione nel 1670), le pitture di Brueghel con paesaggi<br />

innevati e laghi gelati a Pasqua, e le Frost Faires che si tennero durante<br />

gli inverni londinesi, con falò, balli e caccia alla volpe sul Tamigi<br />

ghiacciato.<br />

Non furono certo solo gite sui pattini e falò sotto le stelle – le carestie si<br />

susseguirono nel periodo della Piccola Glaciazione, uccidendo migliaia di


persone, complici colture ancora sottosviluppate e amministrazioni<br />

miopi.<br />

Tuttavia le cose cominciarono a migliorare, localmente, attorno ai primi<br />

anni del 1700, quando, forse grazie alla riattivazione della Corrente del<br />

Golfo, il clima si fece nuovamente mite e piacevole in Inghilterra. Il bel<br />

tempo portò ad un incremento nella produzione di grano, che di<br />

conseguenza portò ad una esplosione demografica – in base al principio<br />

che dei primati con la pancia piena hanno una maggior propensione a<br />

riprodursi.<br />

Il boom delle nascite reso possibile dal miglioramento delle condizioni<br />

alimentari costituì il motore di quella parte della rivoluzione industriale<br />

che non poteva andare a vapore – i bambini lavoravano duro e<br />

consumavano poco, occupavano poco spazio ed erano facilmente<br />

rimpiazzabili, perché ce n'erano tanti.<br />

Rese popolari dai romanzi di Dickens, le condizioni terribili nelle quali<br />

versava la forza lavoro minorile nell'Inghilterra vittoriana fanno<br />

impallidire i pur esecrabili moderni casi di sfruttamento della<br />

manodopera.<br />

A titolo di esempio si consideri un caso fortemente atipico: un gentiluomo<br />

di nome Robert Owen gestiva a metà '800, a Londra, una piccola ma ben<br />

avviata industria per bambini – i piccoli risiedevano e lavoravano nello<br />

stesso edificio, minimizzando così i tempi morti, ospitati a gruppi di<br />

trenta in comode stanze da quindici letti, che venivano pulite<br />

(cambiando la paglia dei pagliericci) una volta ogni sei settimane. I<br />

ragazzini mangiavano due volte al giorno, si lavavano una volta ogni due<br />

settimane, estate e inverno, presso la locale pompa pubblica dell'acqua, e<br />

lavoravano appena sedici ore al giorno.<br />

Robert Owen venne duramente criticato per il lassismo della sua<br />

struttura, che non poteva che stimolare le peggiori abitudini dei piccoli<br />

ospiti.<br />

L'ozio <strong>è</strong>, dopotutto, il padre dei vizi. E lo era anche nell'epoca vittoriana.<br />

Non dobbiamo d’altra parte sorprenderci se le successive attività del<br />

pericolosamente sovversivo mister Owen furono nel campo del neonato<br />

movimento socialista.<br />

Accoppiata con la nascente rivoluzione industriale e con il fenomeno<br />

delle enclosures (la privatizzazione di vaste aree di territorio demaniale),<br />

la crescita demografica indotta dal miglioramento del tempo permise lo<br />

sviluppo, in capo ad un paio di generazioni, di una ricca borghesia con<br />

molto danaro e molto tempo libero.


Danaro e tempo libero che le classi superiori inglesi spesero volentieri<br />

con la pratica del Grand Tour, vasto giro del continente per visitare i<br />

luoghi fondamentali dell’antichità classica (e probabilmente anche luoghi<br />

di perdizione quali Parigi e Venezia); in sostanza, una variazione sugli<br />

antichi pellegrinaggi clericali fra una sede universitaria e l’altra, e<br />

l’antenato un po’ più dignitoso dei temibili package tour, quelle cose del<br />

tipo “Visitate tutta l’Europa in dieci giorni”, oggi sinistramente popolari e<br />

che già nel diciannovesimo secolo che erano comunque dietro l’angolo…<br />

Pare che un individuo intraprendente e privo di scrupoli abbia<br />

sviluppato il progetto di condurre quaranta o cinquanta persone<br />

da Londra a Napoli e ritorno, per una tariffa fissa. Per contratto li<br />

trasporterà, darà loro da mangiare, e fornirà l’intrattenimento…<br />

Venuto a conoscenza del piano, mi augurai che una simile<br />

speculazione fallisse. Immagino che la caratteristica indipendenza<br />

degli inglesi si rivoltasse contro un sistema che riduce il<br />

viaggiatore al livello dei suoi bauli ed oblitera ogni traccia e tratto<br />

dell’individuo. Sbagliavo. Mentre scrivo, le città italiane sono<br />

sommerse da una quantità di simili creature.<br />

[Charles Lever, lettera a Blackwood’s Magazine, (1860)]<br />

Fu durante un Grand Tour, anche se piuttosto sui generis, che Lord Byron<br />

si innamorò della Grecia.<br />

E prima di lui, sempre durante un Grand Tour, l’avvocato aspirante<br />

geologo Charles Lyell osservò fori di molluschi fossori su colonne<br />

romane a Pozzuoli e sviluppò le proprie teorie sull’uniformismo,<br />

sbagliando in pieno.<br />

Lyell ragionò che, al fine di produrre dei fori su delle colonne<br />

evidentemente già in posto (gli antichi romani non avevano, insomma,<br />

usato marmi tarlati), gli antichi edifici dovevano aver subito un lento,<br />

graduale, bradisismico fenomeno di inabissamento, e di successivo,<br />

altrettanto lento, innalzamento; al momento dell'osservazione (nel<br />

1828), i ruderi di Pozzuoli stavano nuovamente inabissandosi. Al suo<br />

ritorno in Inghilterra, Lyell decise di scriverci su un libro....<br />

Il tempio di Giove Serapide<br />

– Questo celebre monumento dell'antichità fornisce, da solo,<br />

l'inequivocabile prova che il livello del mare <strong>è</strong> cambiato due volte<br />

a Pozzuoli, dall'inizio dell'era cristiana, e che ciascuno di questi<br />

movimenti di innalzamento e subsidenza ha superato i venti piedi.


[Charles Lyell, Principles of Geology, 1830]<br />

Oggi sappiamo che i movimenti tettonici testimoniati dalle tracce che<br />

Lyell vide sulle colonne a Pozzuoli erano probabilmente episodici, non<br />

graduali (così come sappiamo che quelle sono le colonne di un mercato,<br />

non di un tempio dedicato ad una divinità egizia), ma a partire da quelle<br />

osservazioni – più parecchi anni di lavoro in Gran Bretagna, in Arvernia e<br />

in Italia – Lyell nel 1830 pubblicò i suoi Principles of Geology ­ il primo<br />

grande best­seller geologico – e inventò quasi per caso la geologia<br />

moderna.<br />

Ammesso che non l'avesse già inventata Stenone, naturalmente.<br />

Popolarissimo fra i suoi contemporanei per lo spirito acuto, per le doti<br />

quasi sovrumane di anatomista e per un paio di colorite controversie<br />

accademiche nelle quali venne implicato da colleghi poco scrupolosi,<br />

beatificato dalla Chiesa Cattolica nel 1988, Nicola Stenone (o, nella<br />

grafia danese, Niels Stensen) fu secondo alcuni l’uomo che “inventò” la<br />

geologia, quando questa scienza non aveva ancora un nome. Avendo<br />

riconosciuto i fossili per quello che erano (resti sepolti di organismi un<br />

tempo viventi, e non scherzi della natura), applicò le sue notevoli doti di<br />

osservatore empirico per studiare le successioni rocciose. Ebbe la fortuna<br />

di svolgere le proprie ricerche, sotto l’egida della famiglia Medici, in Italia<br />

centrale, dove l’abbondanza di successioni sedimentarie ricche di fossili<br />

non gli fece mai venire meno la materia prima per i suoi studi.<br />

Stenone non fu certo il primo ad intuire la natura dei fossili. Senofane di<br />

Kolophon, nel sesto secolo avanti Cristo, aveva già descritto le conchiglie<br />

rinvenute fra i monti dell’Italia come prova del fatto che quelle montagne<br />

erano emerse dal mare; e lo stesso Erodoto giunse a conclusioni simili<br />

pochi decenni dopo.<br />

Ma Erodoto e Senofane non erano così popolari, nel diciottesimo secolo,<br />

e non avevano il vantaggio della fama derivata a Stenone dalle sue<br />

famose dissezioni pubbliche.<br />

Le conclusioni alle quali giunse Stenone, pubblicate nel 1769, furono<br />

davvero sorprendenti, probabilmente, anche per lui: se i fossili erano stati<br />

organismi vivi e se le successioni sedimentarie non mentivano, allora il<br />

passato della Terra era molto più complicato e lungo di quanto non si<br />

ricavasse dalla Bibbia.<br />

Il benessere economico ed il tempo libero che stavano a tal punto<br />

stimolando la paleontologia in Gran Bretagna erano pure alla base del


nascente movimento illuminista scozzese. Usciti dalle guerre civili con<br />

una economia sufficientemente solida (basata sul commercio e sulla<br />

lavorazione della lana), con crescenti investimenti all’estero e le casse<br />

ben foderate di monete, i membri della borghesia scozzese potevano ora<br />

dedicarsi alle più varie attività intellettuali.<br />

L’illuminista scozzese James Hutton mise in pratica i principi di Stenone<br />

e si prese semplicemente la briga di calcolare il tempo necessario per<br />

l’erosione e la deposizione di un singolo strato sedimentario, e poi di tutti<br />

gli strati sedimentari che poteva vedere ogni giorno. Hutton ruppe perciò<br />

con la scuola di pensiero dominante, e peraltro già in crisi, che<br />

riconduceva ogni elemento del paesaggio ad eventi biblici quali il Diluvio<br />

Universale, e si limitò a postulare che gli stessi lenti processi che<br />

plasmano il paesaggio sotto i nostri occhi fossero all’opera, con la stessa<br />

velocità e la stessa potenza, nel passato preumano.<br />

Quindi forse la geologia la inventò lui.<br />

Ma Stenone si rifugiò in convento, terrorizzato dalle logiche conclusioni<br />

del proprio lavoro, ed il lavoro di Hutton, per quanto all’avanguardia,<br />

non venne mai applicato, e quindi noi oggi consideriamo Stenone padre<br />

della Stratigrafia, Hutton padre del Tempo Profondo, e Charles Lyell<br />

padre della Geologia, così sono tutti contenti.<br />

La vera forza del lavoro di Lyell <strong>è</strong> da ricercarsi nel titolo completo del suo<br />

lavoro – che oggi apparentemente non viene più letto, perché (pare, da<br />

ciò che mi assicurarono colleghi e docenti a suo tempo) non aiuta a<br />

superare rapidamente gli esami universitari. Notoriamente un bastian<br />

contrario, io me ne procurai una copia prima di affrontare l'esame di<br />

Geologia, e venni prontamente segato.<br />

Il libro di Lyell si intitola Principi di Geologia, ma <strong>è</strong> il sottotitolo ad essere<br />

veramente importante “ovvero un tentativo di spiegare i precedenti<br />

cambiamenti della superficie terrestre facendo riferimento alle cause ora in<br />

atto”.<br />

Ciò che accade oggi <strong>è</strong> accaduto anche in passato, i fenomeni sono gli<br />

stessi. Sui tempi dovremo lavorarci, ma Lyell, con quelle due righe a<br />

caratteri più piccoli sul frontespizio del suo testo, ha delineato le regole<br />

del gioco.<br />

Un’idea all’epoca straordinaria, che andava contro alle posizioni tenute<br />

dai massimi nomi della nascente Geologia, a cominciare da Georges<br />

Cuvier e William Buckland – che oltretutto era stato insegnante di Lyell.<br />

Ma di Buckland parleremo, estesamente, fra poco...


La nascita della Geologia in Gran Bretagna fra la fine del diciottesimo<br />

secolo e la prima metà del diciannovesimo <strong>è</strong> strettamente legata alla<br />

rivoluzione industriale.<br />

Non solo la rivoluzione industriale crea una middle­class con abbastanza<br />

tempo e denaro a sufficienza per dedicarsi ad interessi intellettuali e alle<br />

scienze naturali in particolare, ma lo sviluppo della nascente industria<br />

incide (letteralmente) sul paesaggio, portando alla luce molti dei segreti<br />

delle (moderate) profondità della terra. Lo scavo dei canali e di trincee<br />

ferroviarie, le miniere di carbone il cui prodotto alimenta treni e<br />

piroscafi, sono altrettante finestre aperte su una realtà fino ad allora<br />

sconosciuta ­ rocce stratificate, piegate, dagli stupefacenti contenuti<br />

fossiliferi.<br />

Le meraviglie un tempo limitate alla costa atlantica, all'isola di Wight<br />

(meta di pellegrinaggio di molti dei protagonisti dei prossimi capitoli),<br />

diventano quasi una costante del paesaggio britannico.<br />

Quasi impossibile evitare lo sviluppo di una scienza che se ne interessi.<br />

Intanto, sul continente, le peregrinazioni di Byron per l'Europa<br />

continentale lo portarono a risiedere sulle rive di un certo lago svizzero<br />

con alcuni amici – ed amiche.<br />

Nel corso di una notte di gozzoviglie (si parlò di oppio e scambio delle<br />

coppie, molto in sintonia con la vita un po' da rock star del poeta inglese<br />

– Ken Russel ci fece un film), quando la discussione virò verso gli<br />

esperimenti di Galvani, i limiti della scienza e della ragione umana e il<br />

sovrannaturale, i presenti si sfidarono nella scrittura di un romanzo che<br />

sintetizzasse le rispettive posizioni sull'argomento.<br />

Byron concluse un po' poco.<br />

Il suo amico dottor Polidori scrisse Il Vampiro, prima uscita letteraria di<br />

uno dei pilastri della narrativa orrifica, uno dei “famous monsters of<br />

filmland” dei secoli a venire – chissà quanto ispirato dalle leggende<br />

popolari che Byron aveva probabilmente sentito in Grecia e certamente<br />

raccontato in Svizzera.<br />

Ma il colpaccio lo fece Mary Shelley, che scrisse quello che alcuni (incluso<br />

Brian Aldiss) hanno identificato come il primo romanzo di fantascienza<br />

­ Frankenstein, o il Moderno Prometeo.<br />

Il debito della scienza e della letteratura verso la pratica del Grand Tour <strong>è</strong><br />

quindi enorme.<br />

Ricalcolando oggigiorno il costo di un Gran Tour “medio”, <strong>questo</strong> si<br />

aggirerebbe fra i diecimila ed i quindicimila euro (cinquemila per il Tour


di Byron, che evidentemente era un tipo oculato, nonostante la nomea di<br />

scialacquatore).<br />

Cifre colossali, insomma.<br />

Non fu però una questione di costi a mandare in crisi il grand tour come<br />

attività delle classi abbienti britanniche.<br />

Fra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo, gli effetti della Piccola<br />

Glaciazione si sentivano ancora nell’Europa continentale; il popolo<br />

Francese non aveva pane, e non avendo neppure (nonostante le opinioni<br />

di alcuni VIP dell'epoca) brioches, diede il via ad una “grande sommossa<br />

popolare” (come cita l’autorevole Dizionario Storico Oxford) destinata a<br />

cambiare il volto del continente.<br />

E della narrativa popolare.<br />

A cavallo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo, la Rivoluzione<br />

Francese e, successivamente, quel fastidioso e persistente parvenu corso e<br />

piantagrane, Napoleone Bonaparte, resero improvvisamente la pratica<br />

del Gran Tour quanto meno pericolosa per i cittadini britannici.<br />

Molti continuarono a viaggiare – di solito in uniforme.<br />

La guerra <strong>è</strong> stata per lungo tempo un mostruoso parallelo del turismo.<br />

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli inglesi in cerca di reperti storici,<br />

rovine classiche e del più generale brivido del passato dovettero<br />

accontentarsi di ciò che avevano in casa propria.<br />

Vi fu una rinascita dell'interesse per il druidismo, i siti megalitici e le<br />

leggende arturiane (ci arriveremo), sorsero società antiquarie e circoli nei<br />

quali si dibattevano i lavori dei grandi pensatori dell'epoca – Cuvier e<br />

Buckland, ma anche Lyell, ad esempio, e più tardi Darwin.<br />

Più in generale, le classi medie e superiori inglesi presero ad andare in<br />

vacanza in località di interesse “antiquario”, associando (come sempre)<br />

all'ozio, la solleticazione di interessi intellettuali elevati, e tenendo così i<br />

vizi a bada.<br />

Fra le destinazioni turistiche dell’epoca, oltre alla già citata Isola di<br />

Wight, ebbe notevole successo Bath, località termale già nota ai tempi<br />

della presenza romana in Britannia, molto opportunamente costellata di<br />

antichi marmi e mosaici, ed immortalata quale terminale monumento al<br />

tedio ed alla leziosità nei romanzi di Jane Austen.<br />

A pochi chilometri da Bath si trova la ridente cittadina costiera di Lyme<br />

Regis.<br />

Ed a Lyme Regis ci sono un sacco di fossili.<br />

Punch, la famosa rivista satirica, si riempì di vignette con signore in<br />

crinolina ritratte carponi sulle spiagge a cercare fossili: la paleontologia<br />

era diventata improvvisamente molto popolare in Gran Bretagna.


In capo ad un secolo, sarebbe diventata una passione planetaria.


Eroi Popolari<br />

Stando al Chambers' Journal del 1855, gli affari maggiori delle località di<br />

mare, dopo i bagni di mare, riguardavano ormai "la raccolta di conchiglie<br />

e alghe, e cose che strisciano."<br />

Era il 1855, e la storia naturale era diventata la moda del momento ­<br />

trasformandosi nel corso di trent'anni da stramberia a interesse legittimo<br />

a passatempo popolare. Imperdibile era il volume dell'anno<br />

precedente, Glaucus: or the Wonders of the Shore, del reverendo Charles<br />

Kingsley, testo che prometteva, a chi avesse deciso di dedicarsi alla<br />

ricerca di esemplari naturalistici sulle spiagge inglesi, meraviglie "più<br />

strane di quelle mai sognate da un oppiomane."<br />

Ma già nei decenni precedenti le riviste avevano cavalcato la nuova moda<br />

­ e Penny Magazine, fra il 1833 ed il 1834, aveva pubblicato una serie di<br />

dispense sul Mondo Minerale, inclusa un'ampia sezione sui fossili.<br />

E proprio mentre Kingsley pubblicava le sue meraviglie della spiaggia, nel<br />

1854 Charles Dickens si faceva beffe della mania naturalistica nel<br />

suo Tempi Difficili.<br />

La popolazione britannica era in preda ad una nuova, prepotente<br />

passione.<br />

E come qualsiasi appassionato di sport, musica (opera lirica o jazz o<br />

rock'n'roll), cinema o letteratura non faticherà a confermarvi, le grandi<br />

passioni popolari hanno bisogno di eroi.<br />

Bartali & Coppi, Pelé o Zeno Colò, la Callas o Janis Joplin, Jack Kerouac o<br />

Agatha Christie, Orson Welles o John Wayne, ogni passione ha un proprio<br />

pantheon di numi tutelari, eroi, icone, davanti alle quali gli appassionati<br />

si genuflettono, superando rivalità meschine e interminabili questioni per<br />

ammettere che si, ci fu un tempo in cui i giganti camminavano sulla<br />

terra.<br />

Per la paleontologia non può essere diverso – e lo fu dal momento in cui<br />

decine di seriosissimi cittadini (e gentili consorti) si insabbiarono le<br />

scarpe a Lyme Regis.<br />

Uno dei primi eroi folk della paleontologia popolare anglosassone <strong>è</strong> Mary<br />

Anning, la bambina che scoprì il drago a Lyme Regis.<br />

Cominciamo da lei, in questa carrellata, perché <strong>è</strong> l'unica signora di questa<br />

variegata compagnia, <strong>è</strong> la prima donna alla quale sia stato attribuito il<br />

titolo di paleontologo, ed anche perché la sua storia non manca di una<br />

certa dimensione spettacolare, che il lettore certamente apprezzerà.


Mary Anning <strong>è</strong> infatti un personaggio degno del miglior polpettone<br />

dickensiano: orfana di padre (scomparso in mare), Mary portava il nome<br />

della sorellina maggiore, morta di malattia mentre era ancora in fasce;<br />

un fulmine uccise la sua balia mentre la reggeva in braccio (Mary ne uscì<br />

incolume, anche se, immaginiamo, lievemente scossa), ed una<br />

mareggiata si portò via il piano terreno di casa sua.<br />

Per aiutare la madre, anch’essa chiamata Mary (e naturalmente malata) a<br />

far quadrare il bilancio domestico, la povera Mary ed il fratello maggiore<br />

Joseph erano soliti battere le scogliere di Lyme, in cerca di fossili da<br />

vendere poi ai turisti.<br />

La raccolta e vendita di fossili ai turisti era pratica diffusissima Lyme<br />

Regis (ricordate ­ seconda voce nel bilancio delle località marittime dopo<br />

i bagni); la madre della Anning era stata essa stessa una cacciatrice di<br />

fossili – e data la loro omonimia, risulta a volte difficile determinare cosa<br />

venne trovato dalla madre e cosa dalla figlioletta.<br />

Una specie di piccola fiammiferaia della paleontologia, Mary Anning.<br />

E faceva anche buoni affari – vendette la sua prima ammonite per una<br />

corona (un ottavo di sterlina) e un cranio di ittiosauro le procurò la cifra<br />

ragguardevole di 23 sterline.<br />

Fino a che, sulla scogliera spazzata dal vento e dalle onde dell'Atlantico,<br />

un giorno Mary ed il fratello fecero il colpo del secolo, rinvenendo un<br />

intero scheletro di Ittiosauro, una grande lucertola (più o meno) simile<br />

ad un delfino.<br />

Fu la consacrazione della Anning a dea della paleontologia.<br />

“La più grande cacciatrice di fossili di tutti i tempi” venne definita<br />

all'epoca, un ruolo che ricoprì informalmente per una trentina d'anni,<br />

fino a che un male incurabile – tragicamente in linea con la sua biografia<br />

­ non la stroncò.<br />

Un suo scritto autografo – la descrizione di uno scheletro di Ittiosauro – <strong>è</strong><br />

esposto al Museo di Scienze Naturali di Londra, a testimonianza del peso<br />

scientifico dell’opera di questa improbabile eroina dickensiana.<br />

La Anning infatti – che era assolutamente autodidatta, oltre che<br />

evidentemente molto intelligente – godeva del rispetto di William<br />

Buckland – del quale discuteremo fra poco – e del di lui pupillo William<br />

Conybeare, considerato da molti il miglior geologo della sua generazione,<br />

anche se non esercitò mai (essendo troppo impegnato a fare il parroco),<br />

così come di gran parte dell’establishment scientifico dell’epoca.<br />

Per l’epoca, il credito del quale godeva Mary Anning era fonte di non<br />

poca compiaciuta sorpresa da parte dei bempensanti.


È certamente una meravigliosa istanza di favore divino – che<br />

questa povera, ignorante ragazza debba essere a tal punto<br />

benedetta, che <strong>attraverso</strong> la lettura e la pratica sia arrivata ad un<br />

grado di conoscenza tale da scrivere abitualmente a professori e<br />

parlar con loro e con altri uomini dotti di tali argomenti, e tutti<br />

riconoscono il fatto che costei comprenda più scienza di chiunque<br />

altro nel regno.<br />

[diario di Lady Silvester, 1824]<br />

Si noti che Mary Anning non scoprì nulla di nuovo ­ il merito di aver<br />

“scoperto” (= osservato per la prima volta e dato un nome a) Ittiosauro<br />

e Plesiosauro se l'era preso comunque, pochi anni prima, il già<br />

menzionato William Conybeare, grazie ad alcuni ritrovamenti parziali e<br />

ad alcune collaborazioni proprio con Mary: la Anning rinvenne in effetti<br />

uno scheletro di Ittiosauro mancante del cranio nel 1820, ma a quel<br />

punto Conybeare aveva già dedotto l’esistenza di un secondo dinosauro<br />

marino sulla base di resti sfusi rinvenuti mescolati a quelli dell’Ittiosauro.<br />

Solo anni dopo, quando la Anning recuperò e vendette un Plesiosauro<br />

completo (venduto per cento sterline al Duca di Buckingham), Conybeare<br />

fu in grado di presentare alla neonata Geological Society l’animale nella<br />

sua interezza – avvalendosi di uno schizzo eseguito proprio da Mary<br />

Anning. E William Conybeare si dimostrò sempre piuttosto ostile alla<br />

Anning ed al suo successo – definendo la donna, nei propri scritti, come<br />

la “proprietaria” dei fossili, non come la scopritrice.<br />

In riconoscimento alla sua femminilità, alla Anning venne impedito di<br />

entrare nella Geological Society – salvo esservi ammessa, ad honorem, da<br />

morta.<br />

La ragazzina abbarbicata ai piedi della scogliera che contempla i resti del<br />

drago marino colpì tuttavia profondamente e prepotentemente<br />

l'immaginario popolare ­ e <strong>attraverso</strong> articoli e pamphlet scritti da altri,<br />

Mary entrò così a far parte di quell'Olimpo di primi cacciatori di fossili.<br />

Al vertice di <strong>questo</strong> Olimpo sedeva idealmente il francese Georges Cuvier,<br />

fisiologo extraordinaire, l'uomo che aveva classificato i sedimenti del<br />

bacino di Parigi e che stava creando dal nulla la paleontologia dei<br />

mammiferi.<br />

Le teorie geologiche di Cuvier erano ancora arcaiche e superficiali, ma il<br />

suo ruolo indiscutibile – aveva definito il Cretaceo e scoperto<br />

lo Pterodattilo, rettile volante e certo uno dei quattro o cinque “dinosauri”<br />

(in senso molto lato) più popolari di tutti i tempi e più presenti nella<br />

cultura e nella narrativa popolari.


Le sue teorie erano apprezzate e dibattute in tutto l'occidente civilizzato,<br />

e le sue pubblicazioni erano la bibbia delle neonate scienze della terra, in<br />

particolare la celebrata Recherches sur les ossements fossiles de<br />

quadrupedes, pubblicata a Parigi nel 1812, con edizioni successive nel<br />

1821 e nel 1825 ed il Discours sur les revolutions de la surface du globe,<br />

pubblicato a Parigi nel 1825.<br />

Ma la fama di Cuvier era dovuta essenzialmente alla pubblicazione<br />

del Regne animal distribué d'apr<strong>è</strong>s son organisation, compendio di tutte le<br />

esperienze dell’autore nel campo dell’anatomia comparata, in quattro<br />

volumi in ottavo (1817), che ebbe una seconda edizione (in cinque<br />

volumi) tra il 1829 e il 1830.<br />

Lo incontreremo ancora, in questa narrativa, e sarà bene allora ricordare<br />

che Cuvier era assolutamente contrario all’ipotesi dell’estinzione – e<br />

vivendo in un mondo ancora in gran parte inesplorato poteva concedersi<br />

la convinzione che tutte le forme di vita create da Dio, comprese quelle<br />

trovate fossili nel bacino di Parigi, fossero ancora vive e pimpanti da<br />

qualche parte, non viste.<br />

Se Cuvier era un gigante ineguagliato nel campo della paleontologia dei<br />

mammiferi, la Gran Bretagna poteva contrapporgli un altro colosso,<br />

l'eccentrico William Buckland, pastore protestante e docente di<br />

Mineralogia e (più tardi) di Geologia ad Oxford e forse a maggior diritto<br />

definibile come il padre della Paleontologia moderna.<br />

Vero, fossili erano stati descritti (limitiamoci all'occidente) da tutti, a<br />

partire da Plinio per arrivare a Leonardo da Vinci, ma si era trattato di<br />

studi scoordinati e poco influenti.<br />

Stenone li aveva usati per definire i suoi principi di sovrapposizione, ma<br />

come abbiamo visto non aveva osato spingersi oltre.<br />

A Buckland si deve la scoperta e la descrizione del Megalosauro, il primo<br />

dinosauro (ma Buckland ancora non lo sapeva) della storia ad essere<br />

oggetto di uno studio pienamente scientifico.<br />

Un osso appartenente ad un arto di megalosauro era stato scoperto nel<br />

1677 da Robert Plot, il quale nel suo The Natural History of Oxfordshire si<br />

era domandato se potesse essere un resto di uno degli elefanti portati in<br />

Britannia dai Romani, ma aveva poi preferito concludere, più<br />

prudentemente, che si trattasse in effetti di un osso di gigante.<br />

Buckland dedusse l’esistenza del Megalosauro da frammenti incompleti<br />

rinvenuti a Stonesfield – un femore “quasi da mammifero” lungo<br />

ottantaquattro centimetri ed una mandibola con denti aguzzi ed a<br />

crescita continua, tipicamente rettiliani. Lavorando sulle misure di questi<br />

ed altri pezzi (ed includendo nello studio anche alcuni reperti trovati a


Tilgate dall'amico Gideon Mantell, del quale diremo in seguito),<br />

Buckland arrivò a descrivere un rettile terrestre gigantesco e bipede – il<br />

genere di creatura che mai prima di allora era stato descritto.<br />

La pubblicazione nel 1824 di Notice on the Megalosaurus or Great Fossil<br />

Lizard of Stonesfield segna la nascita della paleontologia accademica.<br />

Due anni prima, il reverendo aveva scoperto (nella Paviland Cave, nel<br />

Galles Meridionale) e descritto dei resti umani – identificandoli come i<br />

resti di una donna (erano invece resti maschili) ed appartenuti ad una<br />

strega (!); il fatto che si trattasse di una strega sarebbe stato deducibile<br />

dalla presenza, insieme con i resti umani, di una scapola di pecora,<br />

interpretata come primitivo strumento da divinazione (scapolomanzia);<br />

l’ipotesi che si potesse trattare di un semplice resto di cibo era<br />

apparentemente troppo banale per il pirotecnico Buckland.<br />

Fedele al proprio stile colorito e debordante, Buckland non esitò a<br />

ribattezzare il reperto “La Strega Rossa”, per la delizia delle sue molte<br />

ammiratrici fra le classi superiori, salvo poi ripiegare su “la Dama Rossa<br />

di Paviland” per le pubblicazioni più seriose.<br />

Lo stesso Lyell, studente di Buckland, commentò in una occasione che era<br />

spesso difficile capire quando il vecchio professore dicesse sul serio e<br />

quando scherzasse. Un problema, come vedremo che si acuì con la<br />

vecchiaia.<br />

Altro segno di eccentricità tutta britannica, e fonte di imbarazzo per i<br />

bempensanti fu il vezzo gastronomico del reverendo Buckland, di voler<br />

mangiare ogni sorta di creatura anche solo vagamente commestibile –<br />

inclusi porcospini, serpenti, insetti di ogni genere e foggia, sorci e<br />

coccodrilli.<br />

Il peggio, in termini di sapore, stando a Buckland stesso, era il bombo<br />

verdastro noto in inglese come “bluebottle”, seguito dappresso dalla<br />

talpa, di sicuro (a suo dire) il mammifero meno appetibile del lungo e<br />

variato menù di casa Buckland.<br />

Né Buckland si limitò agli animali.<br />

Stando alle memorie di Augustus Hare...<br />

“Le chiacchiere riguardo a strane reliquie portarono alla menzione<br />

del cuore di un Re Francese conservato in una cassetta d’argento a<br />

Nuneham. Il dottor Buckland, guardandolo, esclamò ‘Ho mangiato<br />

un sacco di cose strane, ma non ho mai mangiato il cuore di un<br />

re,’ e prima che qualcuno potesse fermarlo, se n’era fatto un sol<br />

boccone, e quella preziosa reliquia andò così perduta per sempre.”


Pare si trattasse del cuore di Luigi XIV.<br />

I metodi poco ortodossi utilizzati da Buckland nell'esporre le proprie<br />

teorie furono tuttavia molto più criticati delle sue abitudini alimentari,<br />

dei suoi tentativi di conciliare scienza e fede, o delle sue dubbie<br />

identificazioni di resti umani.<br />

Solido ma dispersivo conferenziere, Buckland sosteneva la persistenza di<br />

una catena ininterrotta di organismi dal passato più remoto al presente,<br />

ed era molto apprezzato dal pubblico non specialistico per le sue<br />

indubbie doti teatrali; in un caso prese a correre avanti e indietro<br />

imitando l'andatura di grandi uccelli bipedi che a suo parere avevano<br />

lasciato antiche tracce fossili.<br />

Queste stesse doti teatrali lo rendevano al contempo inviso ai colleghi più<br />

ortodossi, uno dei quali commentò in occasione del “numero” del volatile<br />

gigante “la volgarità dei gigioneggiamenti di Buckland <strong>è</strong> stata per me<br />

come un autentico emetico”.<br />

Evidentemente non aveva mai assaggiato la talpa salmistrata.<br />

Nonostante il suo ruolo indiscusso di primo grande Geologo Inglese,<br />

l'aura della buffonaggine e del dilettantismo gravò sempre su Buckland,<br />

che pubblicò pure, nel 1836, un volume intitolato Geology and<br />

Minerology, parte di The Bridgewater Treatises on the Power, Wisdom and<br />

Goodness of God as Manifested in Creation – allo scopo di conciliare i<br />

crescenti ritrovamenti di fossili e l'evolvere delle conoscenze geologiche<br />

con i dogmi della dottrina cristiana. Era infatti convinzione di Buckland<br />

(e di buona parte degli inglesi timorati di Dio, naturalmente) che la<br />

storia della terra fosse stata caratterizzata da un solo diluvio (e non da<br />

una successione di più eventi catastrofici), e che tutti i resti fossili<br />

appartenessero a faune antidiluviane; a supporto di questa teoria, poteva<br />

portare una notevole esperienza come anatomista comparato.<br />

Giudizi trancianti dei contemporanei a parte, al reverendo Buckland va<br />

pure il merito di aver fondato la coprologia (lo studio degli escrementi<br />

fossili) e la peraltro dubbia distinzione di aver definito chiaramente quale<br />

dovesse essere la tenuta del gentiluomo in campagna a caccia di fossili –<br />

tavole illustrate diffuse a scopo didattico lo ritraggono in un severo abito<br />

scuro, scarpe comode, un gran sacco ed, immancabile, un ombrello.<br />

Un attimo di nostalgica reminiscenza...<br />

Durante il mio primo anno da studente di geologia all'Università degli<br />

Studi di Torino, ebbi modo di seguire i corsi di un anziano e battagliero<br />

geologo “della vecchia scuola”, famoso tanto per le sue divagazioni


durante le lezioni quanto per la volatilità (e l’elevata infiammabilità) in<br />

sede d'esame.<br />

Fu durante il corso di Geografia, mio primo contatto con la geologia<br />

accademica (fino a quel momento avevo incontrato come corpo<br />

insegnante solo quattro o cinque fisici, due matematici e tre chimici) che<br />

mi venne impartita una importante informazione: il geologo sul terreno<br />

si riconosce per il fatto che porta l'ombrello, che lo ripara dalla pioggia<br />

permettendogli al contempo di prendere delle accurate annotazioni sul<br />

suo indispensabile taccuino di campagna.<br />

Pura ortodossia bucklandiana, un secolo e mezzo dopo la morte del<br />

reverendo.<br />

Commovente.<br />

Due anni dopo, un compagno di corso intraprendente prese a ordinare<br />

dagli Stati Uniti degli speciali libretti di campagna appositamente<br />

progettati per i geologi, sulle pagine plastificate dei quali era possibile<br />

scrivere senza problemi anche sotto la pioggia ed in assenza di un<br />

ombrello. Divenne molto popolare fra i docenti, gli unici che si potessero<br />

permettere tali gadgets in grandi quantità, e che presero a rifornirsi da<br />

lui dei libriccini dalla copertina gialla.<br />

Un paio d'anni dopo ancora – era il 1992 – i miei compagni di corso<br />

all'Università di Londra mi mostrarono la potenza dell'evoluzione: basta<br />

infilare un qualsiasi blocco per appunti e le mani in un ampio sacchetto<br />

di plastica trasparente, per poter scrivere sotto le intemperie della<br />

primavera scozzese, con una spesa minima e senza l'ombrello (che il<br />

vento, sempre in agguato quando il geologo esce sul campo, ha la<br />

tendenza a rivoltare come in certe vignette umoristiche).<br />

Per lo meno il mondo anglosassone, e per vie diverse, stava trascendendo<br />

l'insegnamento di Buckland.<br />

Ma torniamo alla nostra storia.<br />

Buckland sostenne pure l’importanza della sperimentazione – al punto di<br />

ospitare a casa propria la iena maculata Billy, allo scopo di verificare la<br />

modalità di masticazione dell’animale, e confrontare i resti dei suoi pasti<br />

con i resti fossili rinvenuti – in associazione con fossili di iena ­ nella<br />

grotta di Kirkdale.<br />

Strenuo sostenitore dell’importanza dell’attività di terreno per chi<br />

pratichi la Geologia, Buckland aveva l’abitudine di attendere una<br />

giornata di pioggia torrenziale per portare i propri studenti a lavorare su<br />

affioramenti marnosi ed argillosi, di modo che le lunghe ore passate<br />

impantanati fino alle ginocchia nel sedimento fradicio imprimessero nella<br />

loro mente il comportamento di certi materiali se esposti all’acqua.


Il ricordo indelebile di lunghi giorni passati con i miei compagni di corso<br />

fra le marne fradice della zona di Ceva (in provincia di Torino) sotto la<br />

pioggia primaverile ad infangarmi fino alle ginocchia in cambio di un<br />

apporto didattico minimo e del ruvido umorismo del docente di<br />

Rilevamento Geologico mi porta a concludere che fossero molti i docenti<br />

dell’Università di Torino che non avevano fatto un solo passo avanti nei<br />

150 anni che li separavano da William Buckland.<br />

Chissà se qualcuno di loro mangiava le talpe?<br />

La cosa non mi sorprenderebbe.<br />

William Buckland concluse la propria carriera accademica e la propria<br />

vita in un manicomio.<br />

L'uomo che aveva popolato la propria casa di animali selvatici ­ oltre alla<br />

iena Billy, anche la scimmia Jacko e l’orso Tiglath Pileser (ma dove li<br />

trovava quei nomi?), oltre a serpenti, sciacalli e quant'altro – e che aveva<br />

l'abitudine di servire animali per lo meno insoliti ai propri ospiti a cena,<br />

non resse lo stress della continua presentazione e confutazione di teorie<br />

volte a spiegare, ad esempio, come fosse possibile, entro i termini della<br />

narrazione biblica, ritrovare animali endemici di climi africani nelle<br />

grotte dell'umida Inghilterra. La contraddizione fra fede e evidenza<br />

scientifica, accoppiata ad un carattere erratico ed eccentrico, lo condusse<br />

alla camera imbottita.<br />

Sarebbe ricaduto su altri il compito di spiegare certe apparenti<br />

contraddizioni: Buckland si ritirò per sempre nei più bui anfratti della<br />

propria mente (o più sinistramente, era solo eccentrico ma i parenti lo<br />

fecero interdire).<br />

Il suo ex­allievo, William Conybeare, più ricco e più fortunato (e<br />

fondamentalmente più antipatico), gli rimase vicino anche in<br />

quest’ultima fase.<br />

Con la prospettiva dei secoli, William Conybeare, rimane quasi suo<br />

malgrado una figura di secondo piano – un buon anatomista versatissimo<br />

in geologia, benestante grazie ad una piccola rendita, capace di notevoli<br />

intuizioni ma perenne gregario di individui che considerava<br />

probabilmente suoi inferiori (Mary Anning, Gideon Mantell); un autore<br />

accademico molto preciso, ma al quale non giovò il fatto di essere spesso<br />

co­autore (o autore­fantasma) di William Buckland.<br />

La ricostruzione del Plesiosauro fatta da William Conybeare <strong>è</strong> tuttavia<br />

estremamente importante per noi, poiché nell’osservare <strong>questo</strong> animale


dal collo lunghissimo – oltre trentacinque vertebre del collo contro le<br />

circa venticinque della giraffa – Conybeare giunse alla conclusione che<br />

l’animale potesse avere le movenze di un cigno (altro animale dal collo<br />

lungo) e l’andatura lenta del rettile.<br />

Esso nuotava in superficie o in prossimità di questa, piegando<br />

indietro il proprio collo, ad arco come un cigno, ed<br />

occasionalmente scagliandosi verso il basso per [catturare] dei<br />

pesci.<br />

[...]<br />

la lunghezza e la flessibilità del suo collo potrebbero aver<br />

compensato la mancanza di forza nelle mascelle, e la sua<br />

incapacità di rapido movimento <strong>attraverso</strong> l’acqua.<br />

[William Conybeare, presentazione alla Geological Society, 20<br />

febbraio 1824 (La stessa sera in cui Buckland presentò la propria<br />

relazione sul Megalosauro)]<br />

Le vertebre del collo del plesiosauro tuttavia non permettono movimenti<br />

verticali come l’inarcare elegantemente il collo.<br />

Tuttavia, l’immagine del rettile lento e ponderoso, che solca le acque con<br />

la testa levata in alto entrarono quasi immediatamente nell’immaginario<br />

popolare – complice anche una illustrazione di Henry De la Beche,<br />

paleontologo ed amico di Conybeare, e frequentemente indicato come<br />

amante o fidanzato di Mary Anning, sebbene non sopravvivano prove<br />

della presunta relazione; nel suo Duria Antiquior or Ancient Dorset, De la<br />

Beche ritrae un Plesiosauro attaccato da un Ittiosauro che gli azzanna il<br />

collo sinuoso, in una prima, influente istantanea di quel mondo selvaggio<br />

e terribile nel quale si pensava vivessero i grandi rettili.<br />

L’immagine avrà la sua importanza – sopravvivendo tanto a De la Beche<br />

che a Conybeare, come vedremo.<br />

Forse <strong>è</strong> vero che la fama di William Conybeare – geologo formidabile e<br />

principale bersaglio delle critiche di Lyell alle riunioni della Geological<br />

Society – venne offuscata dalla sua stretta associazione col vagamente<br />

scandaloso Buckland.<br />

Nel suo appoggiare incondizionatamente Buckland, spesso Conybeare si<br />

ritrovò ad assumere posizioni indifendibili: nel propugnare la tesi<br />

bucklandiana che solo il Grande Diluvio avesse plasmato il paesaggio,<br />

Conybeare si trovò a sostenere che mai un fiume aveva approfondito il<br />

proprio corso, salvo poi lasciare il podio alla lettura di un articolo su<br />

come una piena avesse scalzato un ponte.


L’effetto generale fu tale da causare non poco imbarazzo in Conybeare, e<br />

da causare la cancellazione del secondo volume dell’opera di Buckland<br />

sulle teorie del “diluvianismo”.<br />

O così riteneva Lyell.<br />

Forse le ragioni furono altre.<br />

Di sicuro, il secondo volume di Reliquiae Diluvianae, sui sistemi di<br />

caverne esplorati da Buckland, non venne mai pubblicato. E non fu<br />

quella la faccenda peggiore in cui Conybeare si sarebbe ritrovato per<br />

seguire il suo mentore Buckland.


La Grande Truffa delle Ossa<br />

La nostra creazione non <strong>è</strong> a principio, ma dal quarto giorno o<br />

generazione del Tempo, quando le luci del firmamento vennero<br />

create “per dare luce alla terra”. La storia antecedente del pianeta,<br />

così come scritta da Mosé, dimostrabile dall'applicazione della<br />

fisica più accreditata, non svela che gli scheletri rinsecchiti delle<br />

epoche pre­adamite, per la più chiara comprensione delle quali<br />

nulla può servire che possa essere meglio dell'accumulo<br />

progressivo di Resti Organici Fossili.<br />

[Thomas Hawkins, Memoirs of Ichtyosauri and Plesiosauri –<br />

Extinct Monsters from the Ancient Earth(1834)]<br />

Non tutti gli eroi della paleontologia ottocentesca passarono alla storia,<br />

ed alcuni dei più curiosi sono oggi solo ricordati dagli specialisti.<br />

In compenso, alcuni individui meno che eroici si conquistarono una fama<br />

indelebile.<br />

Fra questi, uno dei più eccentrici fu certamente Thomas Hawkins,<br />

autodidatta e di origine contadina, facoltoso collezionista di fossili liassici<br />

– ed uno dei migliori clienti di Mary Anning.<br />

La sua ricchissima collezione di fossili era probabilmente il principale<br />

(unico?) motivo per il quale paleontologi più seri tolleravano il<br />

francamente insopportabile Hawkins, un individuo appartenente alla<br />

classe sociale sbagliata, capriccioso e fermamente convinto della propria<br />

infallibilità, oltreché, per motivi inspiegabili, convinto del fatto che<br />

l’Ittiosauro possedesse ghiandole mammarie.<br />

Rimane agli atti la profonda diffidenza (come vedremo ben giustificata)<br />

dichiarata dalla Anning nei confronti di Hawkins – nonostante le vendite<br />

a Hawkins costituissero una fetta non indifferente dei suoi introiti.<br />

Memoirs of Ichtyosauri and Plesiosauri – Extinct Monsters from the Ancient<br />

Earth (1834), curiosa miscela di dati oggettivi e eccentriche ipotesi<br />

bibliche, era dedicato da Hawkins proprio a Buckland e Conybeare. I due<br />

– che con quaranta altri scienziati e appassionati pagarono in anticipo il<br />

libro per garantirne la pubblicazione e ne sottoscrissero il valore<br />

scientifico – si sentirono a riguardo, e Conybeare fu drasticamente<br />

tranciante come sua abitudine:<br />

“Che spasso il libro di Hawkins. Mi piacerebbe solo che fosse stato<br />

pubblicato prima della morte di Walter Scott. Avrebbe potuto


fornirgli un nuovo personaggio, un noioso pedante geologico<br />

molto più assurdo di qualsiasi altro avesse messo insieme.”<br />

[lettera di Conybeare a Buckland]<br />

Il primo e forse l'unico paleontologo a basare le proprie teorie più su<br />

motivi estetici che non su solide basi empiriche, Hawkins rifiutava le<br />

ipotesi gradualiste ed attualiste di Hutton e Lyell, definendole “eretiche”,<br />

e sentendosi più affine psicologicamente allo sturm und drang di un<br />

passato apocalittico, costellato di catastrofi e rivolgimenti improvvisi,<br />

dominato da una Divinità assoluta e assolutista, capricciosa ed un po'<br />

carogna; il mondo dei dinosauri di Hawkins apparteneva ai primi tre<br />

giorni della Genesi, ed era avvolto nelle tenebre e popolato di creature<br />

predaci e violente.<br />

In base alla teoria del fantasioso autodidatta, dinosauri e gli altri<br />

organismi fossili erano stati accoppati a più riprese dal Creatore, per<br />

lasciare il posto a forme nuove, la cui somiglianza a creature precedenti<br />

non doveva essere interpretata come prova della catena di organismi<br />

ipotizzata da Buckland, ma piuttosto come dimostrazione dell’inventiva<br />

di bricoleur di Dio.<br />

Le illustrazioni di Scharf – il principale motivo di interesse per i<br />

contemporanei e colleghi nei confronti del libro di Hawkins ­ ritraggono<br />

rettili solitari in vasti paesaggi desolati, sotto cieli perennemente nuvolosi<br />

e privi di astri.<br />

Hawkins aveva anche l’abitudine di creare nuove specie con liberalità,<br />

tramutando l’Ichtiosaurus communis in Ichtiosaurus chiroparamechostinus,<br />

per la dannazione dei tassonomisti. Ma per onestà dobbiamo anche<br />

osservare che le morfospecie utilizzate di Hawkins spesso erano più<br />

vicine alla realtà biologica delle più ortodosse categorie della tassonomia<br />

cuvieriana.<br />

Dilapidato il proprio patrimonio nell'acquisto di fossili, nel 1834 Hawkins<br />

riuscì a convincere alcuni colleghi a certificare il valore della sua<br />

collezione, che poi procedette a rivendere al British Museum – per un<br />

totale di venti tonnellate di materiale, inclusi 4000 piedi quadrati (370<br />

metri quadrati) di lastre di roccia. La sua prima richiesta era stata di<br />

4000 sterline (circa un milione e mezzo di euro al cambio attuale), e<br />

successivamente era stato lo stesso Buckland a perorare la causa<br />

dell’impoverito collezionista, valutando i fossili di Hawkins attorno alle<br />

1500 sterline; alla certificazione di Buckland fecero eco altri famosi<br />

collezionisti e paleontologi, fra loro Clift, Conybeare, De la Beche e<br />

Mantell ­ tutti su richiesta di Buckland.


Gideon Mantell successivamente valutò la collezione a 1250 sterline, e il<br />

museo concluse la transazione. Pare accertato che il nuovo prezzo fosse<br />

stato determinato da Hawkins, e presentato ai potenziali acquirenti da<br />

Buckland e Mantell come favore personale per il collega.<br />

Fu solo successivamente, nel 1835, che il curatore del museo, Charles<br />

König (personaggio di una solerzia inquietante, che nominato curatore<br />

della Collezione Mineralogica, aveva ritenuto opportuno riscrivere di<br />

persona le 12.000 etichette dei campioni), scoprì che la straordinaria<br />

qualità dei reperti acquistati da Thomas Hawkins era essenzialmente<br />

frutto delle manipolazioni dello stesso Hawkins, che non aveva esitato a<br />

completare fossili incompleti con parti estratte da altri, o a ricostruire con<br />

il gesso pezzi mancanti di scheletro – rivelando così il proprio maggior<br />

talento, quello di geniale restauratore di resti fossili danneggiati.<br />

Di fatto sembra che molti dei suoi colleghi sapessero come Hawkins<br />

manipolasse i resti, ed anzi ne ammirassero la perizia di restauratore e<br />

ricostruttore. Ciò che provocò lo scandalo fu, naturalmente, il fatto che<br />

una istituzione statale avesse scucito tanti quattrini per acquistare dei<br />

palesi falsi.<br />

La decisione di rimuovere dalle collezioni i pezzi contraffatti e, nel caso<br />

di un eccellente esemplare di Ittiosauro, di dipingere in colori diversi le<br />

parti autentiche e le parti ricostruite, scatenò la furia dell'oltraggiato<br />

Hawkins, che abbandonò almeno nominalmente la paleontologia e spese<br />

gli ultimi anni della propria vita litigando col proprio padrone di casa,<br />

tentando di fomentare sommosse popolari ed accampando diritti<br />

assolutamente ingiustificati sul titolo di Duca del Kent.<br />

Lo scandalo delle ossa contraffatte, che il Museo avrebbe preferito<br />

passare sotto silenzio per delicatezza verso Buckland, arrivò invece fino<br />

alla camera dei Lords; la consultazione parlamentare che seguì fu<br />

imbarazzante per tutti, e gettò una luce pessima su tutte le persone<br />

coinvolte, ed in particolare su coloro che avevano ingenuamente<br />

certificato il valore della collezione, tra loro il già citato reverendo<br />

William Buckland, il cinico William Conybeare, e Gideon Mantell.<br />

Robert Grant, docente di Anatomia Comparata all’Università di Londra,<br />

affermò che la collezione Londinese rimaneva talmente indietro rispetto<br />

alla sua controparte parigina che qualsiasi paragone era “semplicemente<br />

ridicolo”.<br />

Buckland e Hawkins scivolarono nella follia.<br />

Conybeare scivolò nell’ombra.


Per ciò che riguarda il più grande eroe della paleontologia delle origini, il<br />

dottor Gideon Mantell, la sua tragedia era cominciata molto prima, e<br />

sarebbe finita molto tempo dopo.


La Tragedia dell'Iguanodonte<br />

La sua scoperta dell’analogia fra i denti dell’Iguana ed i denti<br />

fossili <strong>è</strong> molto interessante, ma il nome che lei propone non può<br />

proprio andare, poiché sarebbe ugualmente applicabile ad una<br />

iguana recente. Iguanoides o Iguanodon andrebbero meglio.<br />

[William Conybeare, lettera a Gideon Mantell, 1822]<br />

Amico personale di Charles Lyell, il quale stimolò gli interessi geologici<br />

che il personaggio di Mary Anning aveva risvegliato in lui, Gideon<br />

Algernon Mantell fu, prima di essere un paleontologo, un buon medico.<br />

E' stato fatto notare che in un’epoca in cui il tasso di mortalità delle<br />

puerpere era del tre per cento, Mantell riuscì a far venire al mondo 2400<br />

bambini perdendo solo due pazienti.<br />

Mantell era in gamba.<br />

Quella di medico condotto era d’altra parte la professione ideale per un<br />

cacciatore di fossili: in primis, il curriculum di studi medico era quello<br />

che maggiormente dava spazio alle scienze naturali, comprendendo<br />

materie utili ad un paleontologo quali anatomia e fisiologia, più un bel<br />

po’ di chimica; in secondo luogo perché un medico di campagna, quale<br />

Mantell era, passava gran parte delle proprie giornate in calesse,<br />

spostandosi <strong>attraverso</strong> la regione sotto la sua responsabilità (il Sussex,<br />

nel caso specifico) per visitare i propri assistiti.<br />

Per lasciar spazio alla pratica medica, Mantell lavorava sulle proprie<br />

ricerche paleontologiche di notte.<br />

E’ ironico quindi che il ritrovamento che segnò la fortuna e avviò la<br />

tragedia di Gideon Mantell non sia stato opera sua, ma di sua moglie;<br />

secondo la tradizione, infatti, mentre il buon dottore visitava un<br />

paziente, la signora Mary Ann Mantell si mise a rovistare in un mucchio<br />

di ghiaia (il che ci dà la misura di quanto fosse forte e socialmente<br />

accettabile la passione per i fossili a quel tempo, vignette del Punch a<br />

parte) e rinvenne un dente dentro ad un ciottolo.<br />

Ironico ma in ultima analisi falso; lo stesso Mantell fu spesso piuttosto<br />

vago riguardo al ritrovamento dei primi denti di Iguanodon, e pare<br />

probabile che il coinvolgimento di Mary Mantell sia stato minimo o nullo.<br />

La storia però <strong>è</strong> entrata a far parte del folklore paleontologico.


Successive indagini portarono Mantell ad una certa cava nei dintorni, nel<br />

bosco di Tilgate, ed al ritrovamento di resti di un grosso animale dai<br />

denti simili a quelli di una lucertola.<br />

Comunicazioni con Cuvier (Charles Lyell in persona gli portò un dente da<br />

esaminare) diedero scarsi risultati – il francese identificò i denti come<br />

appartenenti ad un rinoceronte, ed anche se successivamente ci ripensò,<br />

non ebbe mai la cortesia di comunicare il proprio ripensamento a<br />

Mantell. Ed era tra l'altro opinione di Lyell che Cuvier avesse esaminato il<br />

materiale di Mantell dopo una festa fra amici, risentendo ancora dei<br />

postumi di abbondanti libagioni.<br />

Nonostante la crescente ilarità causata dalle sue affermazioni, Mantell<br />

proseguì nelle proprie ricerche, e quasi per caso scoprì la somiglianza dei<br />

denti ritrovati da sua moglie con quelli delle iguana. Giunse perciò alla<br />

conclusione che i suoi campioni fossero i resti di un animale simile ad<br />

un’iguana, e lungo diciotto metri.<br />

Su suggerimento del solito Conybeare, Mantell lo<br />

chiamò Iguanodon (o Iguanodonte), e ne pubblicò una ricostruzione. Su<br />

suggerimento di Buckland, collocò una punta d’osso trovata associata ai<br />

resti sulla cima del muso dell’animale (si sarebbe poi scoperto che era in<br />

realtà un analogo di un pollice primitivo).<br />

E la ricostruzione del fossile fu solo l'inizio.<br />

Nel 1825, Mantell pubblicò l'articolo “Notice on the Iguanodon, a Newly<br />

Discovered Fossil Reptile, from the Sandstone of Tilgate Forest, in Sussex”,<br />

che suscitò scalpore alla Royal Society, che elesse l'autore Fellow alla fine<br />

dello stesso anno.<br />

Sulla scorta di quel solo lavoro, Mantell divenne pure membro onorario<br />

dell'istituto di Parigi, e successivamente, ricevette la Wollaston Medal<br />

della Geological Society di Londra, ed una medaglia dalla Royal Society.<br />

Entusiasta, galvanizzato dal poter perseguire quella che era<br />

evidentemente la sua vera passione, Mantell cominciò a tenere<br />

conferenze a tema naturalistico, dimostrandosi un abile ed apprezzato<br />

oratore; in una occasione accorsero a migliaia per sentirlo dissertare sul<br />

tema “Una rana ed un ciottolo”.<br />

Da sempre collezionista di fossili, prese ad accumularne in quantità<br />

sempre maggiori, con notevole spesa (come si sarà capito, gran parte dei<br />

“fossilisti” del diciannovesimo secolo acquistarono da terzi una parte


ilevante delle proprie collezioni), trasformando la propria casa in una<br />

sorta di informale museo, e favoleggiò di un proprio vero e proprio<br />

museo paleontologico. Ne creò uno a Brighton (altra importante località<br />

turistica dell'epoca) ma <strong>questo</strong> andò fallito ben presto per l'abitudine del<br />

buon dottore di non far pagare il prezzo del biglietto ai visitatori (la<br />

collezione venne poi venduta al British Museum per la cifra di 4000<br />

sterline, nel 1838, per pagare i debiti).<br />

Pubblicò libri.<br />

Pubblicò in particolare, nel 1838, un volume, intitolato Meraviglie della<br />

Geologia, il cui frontespizio era una mezzatinta del popolare pittore John<br />

Martin – specialista nell’illustrare storie gotiche e scene bibliche<br />

catastrofiche quali la Caduta di Babilonia o il Diluvio Universale –<br />

intitolato “Il Paese dell’Iguanodon”.<br />

Fra la folla di visitatori che oggi hanno assediato la mia casa c’era<br />

mister John Martin (con sua figlia), il celebrato, meritatamente<br />

celebrato artista, le opere del quale sono fra i prodotti più raffinati<br />

dell’arte contemporanea. Il signor Martin si <strong>è</strong> dimostrato molto<br />

interessato ai resti dell’Iguanodon eccetera. Vorrei poter<br />

convincerlo a ritrarre il paese dell’Iguanodon: nessun’altra matita<br />

fuorché la sua dovrebbe affrontare un tale soggetto.<br />

[Gideon Mantell, Diario, (1834)]<br />

La stampa <strong>è</strong> a tinte fosche e rivela tutta la sensibilità gotica dell’artista: il<br />

paesaggio <strong>è</strong> scuro e scosceso, costellato qua e là da vaghe forme di piante<br />

simili a palme, che si stagliano contro un cielo nel quale nubi cariche di<br />

pioggia sembrano inseguirsi spinte da un vento furioso.<br />

In primo piano, si consuma il dramma; l’iguanodonte di Mantell, una<br />

specie di cane/lucertola con un corto corno da rinoceronte sul muso ed<br />

una bella cresta frastagliata sulla schiena, come i draghi delle leggende,<br />

si batte contro due predatori simili a coccodrilli; una delle due bestiacce<br />

ne sta azzannando il garrese, e l’iguanodonte <strong>è</strong> colto dall’artista nell’atto<br />

di rivoltarsi, snudando i denti, pronto ad azzannare a sua volta<br />

l’aggressore. Uno pterodattilo che pare un pellicano zannuto osserva la<br />

scena.<br />

Non c’<strong>è</strong> dubbio, nel guardare questa semplice figura, che il paese<br />

dell’Iguanodon sia alieno e pericoloso, popolato di creature selvagge che<br />

rispondono ad una legge violenta e priva di compromessi.


Un autentico mondo alieno.<br />

Meraviglie della geologia.<br />

Tale fu il successo di Meraviglie della Geologia, che gli imitatori si<br />

scatenarono nel tentativo di accaparrarsi una fetta del pubblico.<br />

Fra gli epigoni di Mantell, il più astuto si rivelò ancora una volta il<br />

selvaggiamente eccentrico Thomas Hawkins che nel 1840 pubblicò The<br />

Book of the Great Sea­dragons, Ichthyosauri and Plesiosauri, Gedolim<br />

Taninum of Moses. Extinct Monsters of the Ancient Earth, ricucinando gran<br />

parte del proprio materiale sui dinosauri marini, pubblicato sei anni<br />

prima, ed affidando l'illustrazione del testo allo stesso John Martin che<br />

aveva illustrato il lavoro di Mantell.<br />

Il frontespizio di “Sea­Dragons” ritrae una scena ­ “The Sea Dragons as<br />

They Lived” ­ che <strong>è</strong> palesemente un plagio di Martin verso se stesso, oltre<br />

che verso il vecchio dipinto (1824) di De la Beche su modelli di<br />

Conybeare: di nuovo animali selvatici si combattono, questa volta nelle<br />

tenebre del mondo pre­Adamitico immaginato da Hawkins sulla base<br />

della sua personale interpretazione della Genesi.<br />

Nella risacca di un mare color della pece, un dinosauro molto simile a un<br />

coccodrillo affronta due plesiosauri dagli occhi a fanale, in un<br />

combattimento mortale fra i flutti. Sotto lo sguardo di uno pterodattilo<br />

che sembra un cormorano (se ne intuiscono altri sullo sfondo, ma non<br />

paiono interessati), uno dei rettili risponde all'attacco flettendo il collo ed<br />

attaccando il proprio assalitore.<br />

La stessa scena ritratta tanto da De la Beche che da Martin, appena<br />

adattata alle specifiche quasi gotiche di Thomas Hawkins.<br />

Come andò a finire, per Mantell ed i suoi amici con Hawkins e la sua<br />

famosa collezione lo abbiamo visto.<br />

Spostiamoci allora avanti, ora, di venticinque anni, fino al 1863.<br />

C’<strong>è</strong> un altro libro, con un’altra tavola stampata.<br />

Il volume si intitola La Terra prima del Diluvio, ed <strong>è</strong> opera di Guillamme<br />

Louis Figuier, noto illustratore e divulgatore; la tavola incriminata si<br />

intitola “L’Iguanodon e il Megalosauro (Periodo Cretacico Inferiore)”.<br />

L’immagine <strong>è</strong> relativamente chiara.<br />

In un paesaggio sommariamente forestato, l’Iguanodonte, sempre una<br />

specie di cane/lucertola con un corno da rinoceronte, <strong>è</strong> nuovamente alle


prese con un pericoloso carnivoro. La bestiaccia (un megalosauro, che<br />

sembra un bassotto grasso col muso di coccodrillo), lo sta azzannando ai<br />

quarti posteriori. L’iguanodonte si difende azzannando a sua volta<br />

l’aggressore.<br />

A parte l’assenza di un secondo predatore, <strong>è</strong> quasi la stessa scena,<br />

semplicemente ritratta in controcampo rispetto a quella di Martin: il<br />

paesaggio <strong>è</strong> selvaggio ed alieno, la violenza affatto repressa <strong>è</strong> al suo<br />

apice.<br />

Un mondo diverso dal nostro, crudele, selvaggio, violento.<br />

Eppure ne <strong>è</strong> passata di acqua sotto ai ponti della paleontologia, in questi<br />

venticinque anni...<br />

Gideon Mantell <strong>è</strong> morto, povero e solo, nel 1852, per overdose di oppio<br />

assunto al fine di lenire i dolori dovuti alla scoliosi (frutto di un brutto<br />

incidente), avendo mandato a gambe all’aria tanto la propria professione<br />

medica che il proprio matrimonio per dare la caccia ai fossili.<br />

Un tempo stimato conferenziere, negli ultimi anni della sua vita la sua<br />

credibilità scientifica, minata dallo scandalo delle ossa contraffatte di<br />

Hawkins, <strong>è</strong> stata definitivamente distrutta dagli attacchi ripetuti e<br />

terribili di un personaggio che in Mantell ha trovato l’ideale bersaglio per<br />

il proprio ego straripante: l’astro nascente della paleontologia britannica,<br />

Richard Owen, che gli ha anche “soffiato” l’Iguanodonte.<br />

Definito “pigro ed impudente” da un tutore che in giovane età pronosticò<br />

per lui “una pessima fine”, e bollato come “ideale malvagio della<br />

letteratura vittoriana” da un moderno commentatore, Richard<br />

Owen aveva deciso di dedicarsi alla paleontologia col dichiarato intento<br />

di diventare “il Cuvier Inglese”.<br />

Una misura della personalità di Owen si può forse trovare nel fatto che<br />

definì il truffaldino Hawkins un individuo “valido ed affidabile”.<br />

Intelligente, arrogante, con le connessioni giuste nell'establishment<br />

politico (era amico personale del Primo Minisro Gladstone, ed era stato<br />

istitutore dei rampolli reali), Owen aveva studiato medicina ed era<br />

ferratissimo in campo anatomico – da un frammento d'osso lungo dieci<br />

centimetri riuscì a ricostruire correttamente l'intera struttura anatomica<br />

del Moa o Dinornis, il gigantesco uccello senz'ali della Nuova Zelanda, e<br />

per vent’anni tenne tre seminari alla settimana al Collegio di Medicina,<br />

senza mai ripetere due volte lo stesso argomento. Ma per contro,


sostenne a spada tratta l’ipotesi che la piega verso il basso della coda<br />

dell’Ittiosauro fosse un artefatto del processo di fossilizzazione, solo per<br />

venire smentito sulla base di prove empiriche ineluttabili proprio da<br />

Thomas Hawkins.<br />

Animato da un'ambizione divorante, Owen fece piazza pulita di qualsiasi<br />

concorrenza in campo paleontologico coniando il termine, Dinosauro (un<br />

geniale esempio di marketing), per indicare tutti i grossi rettili estinti, ed<br />

implicitamente appropriandosi dei ritrovamenti di tutti i suoi colleghi e<br />

predecessori, riducendoli a nient’altro che istanze singole del gruppo da<br />

lui “scoperto”.<br />

La popolarità e la fama permisero a Sir Richard Owen di attaccare e<br />

demolire la ricostruzione fatta da Mantell dell’Iguanodonte (e le opinioni<br />

del più anziano paleontologo su molte altre faccende), salvo poi esporre<br />

al Crystal Palace nel 1854 i modelli di dinosauro creati insieme all’artista<br />

Benjamin Waterhouse Hawkins (nessuna parentela con Thomas),<br />

ispiratosi dichiaratamente proprio ai disegni che Martin aveva fatto per<br />

Mantell.<br />

Il complesso che dal 1851 ospitò la Grande Esposizione a Hyde Park, un<br />

colosso di ferro e vetro (oltre un milione di piedi quadrati di vetro) che<br />

guadagnò immediatamente un posto nella storia dell'architettura al<br />

proprio creatore, l'architetto Sir Joseph Paxton,che lo progettò in soli<br />

dieci giorni.<br />

Voluto, e parzialmente progettato, dal Principe consorte Alberto – che<br />

con questa trovata riuscì a liberarsi di parte almeno del ridicolo che da<br />

sempre lo perseguitava – il complesso era circondato da un parco di<br />

duecento acri, con oltre 12000 fontane individuali, <strong>attraverso</strong> le quali<br />

fluiva oltre un milione di litri d'acqua, a ciclo continuo; la più colossale,<br />

innalzava il proprio getto al oltre settantacinque metri da terra.<br />

Una struttura colossale, tempio dell'Impero e monumento alla superiorità<br />

britannica, il Crystal Palace viene oggi prevalentemente paragonato al<br />

Millenium Dome, costruito a Londra dall'amministrazione Blair.<br />

La principale differenza, forse, sta nel successo dell'impresa – con i<br />

proventi dell'Esposizione vennero finanziati tutti i grandi musei londinesi<br />

­ Albert Hall, Science Museum, National History Museum, Victoria and<br />

Albert Museum. Il Millenium Dome ha per ora solo scatenato le ire degli<br />

estimatori dell'architettura classica londinese.<br />

Ma il paragone, se generalmente corretto da un punto di vista ideologico<br />

e strumentale, non esprime il profondo significato dell'esposizione.<br />

Cerchiamo di immaginare: al Crystal Palace c'era tutto.


TUTTO.<br />

L'impatto psicologico e culturale dell'esposizione <strong>è</strong> probabilmente<br />

confrontabile, per la sua epoca, e per i sei milioni e duecentomila<br />

visitatori (molti provenienti dall'Europa continentale) che ne percorsero<br />

le sale, con la prima connessione a internet, agli albori della frontiera<br />

elettronica – l'improvvisa accessibilità a milioni di fonti, a milioni di<br />

opzioni, milioni di punti di vista diversi.<br />

Tutto ciò che esisteva era presente a Crystal Palace, e la presenza<br />

all'esposizione era quasi una certificazione di realtà.<br />

Al Crystal Palace convergevano passato e futuro.<br />

L'esposizione – comprendente 13.000 mostre separate sotto uno stesso<br />

tetto – includeva le ultime novità in campo tecnologico (il telaio Jaccard<br />

a schede perforate, l'etichettatrice postale, la mietitrebbia arrivata<br />

direttamente dagli Stati Uniti); le delegazioni di tutti i paesi del mondo<br />

(teoricamente) erano presenti, con in primo piano le porzioni più<br />

esotiche dell'Impero Britannico – India, Australia, Nuova Zelanda.<br />

La storia era rappresentata, dall'antico Egitto al Rinascimento Italiano, ed<br />

erano esposte copie di gran parte dei principali capolavori dell'arte<br />

mondiale.<br />

Nel 1868 venne ospitata la prima mostra dell'aeronautica e nel 1935 –<br />

dopo che la struttura era stata trasferita a Sydenham Hill, South London<br />

– Baird vi dimostrò per la prima volta la televisione a colori, su uno<br />

schermo di tre metri e sessanta per tre metri.<br />

Fra le attrazioni/esposizioni originali di Crystal Palace c'era anche un<br />

settore di parco dedicato – dal 1854 ­ alla ricostruzione di alcune<br />

semplici strutture geologiche, in un paesaggio “primitivo” popolato da<br />

creature preistoriche.<br />

Più dei lavori di Buckland e Cuvier, più della carica mitica di Mary<br />

Anning o delle dotte conferenze di Gideon Mantell, l'esposizione di<br />

Crystal Palace collocò con precisione i dinosauri nella mappa intellettuale<br />

degli europei.<br />

L'interesse generale per la paleontologia – e per i dinosauri – crebbe<br />

ulteriormente.<br />

Fra i ventinove dinosauri del '54, a Crystal Palace c’era, naturalmente,<br />

anche l’Iguanodonte, ed Owen ancora una volta non perse occasione per<br />

dimostrare l’incompetenza di Mantell (che lo aveva “solo” scoperto).<br />

Lo accompagnavano Hyalerosauro, Teleosauro, Pterodattili e Megalosauri<br />

assortiti – mentre Plesiosauro e Ittiosauro, che Owen aveva<br />

commissionato, erano stati cassati per motivi di costi e vennero inclusi<br />

solo successivamente.


Ciascun rettile era rappresentato in quello che si riteneva il suo ambiente<br />

naturale (sulla base dei sedimenti all'interno dei quali erano stati<br />

ritrovati i resti) e in posizioni ricostruite a partire dalla disposizione dei<br />

resti.<br />

Alcuni di questi modelli contenevano trenta tonnellate di argilla,<br />

che doveva essere sorretta da quattro zampe, poiché le loro<br />

caratteristiche naturali non mi consentivano di ricorrere ad alcuno<br />

di quegli espedienti usati dagli scultori in situazioni ordinarie. Non<br />

potevo usare alberi o rocce, o cespugli, per sorreggere questi<br />

grandi corpi che, per essere naturali, dovevano essere sorretti per<br />

bene dalle loro quattro gambe. Nel caso dell'Iguanodonte, non fu<br />

diverso da costruire una casa su quattro colonne, e per ciò che<br />

riguarda i materiali di cui <strong>è</strong> fatto l'Iguanodonte, questi<br />

comprendono quattro colonne di ferro lunghe nove piedi e di sette<br />

pollici di diametro, 600 mattoni, 650 tegole da canaletta<br />

semicircolari da cinque pollici, 900 piastrelle normali, 38 sacchi di<br />

cemento, 90 sacchi di roccia macinata...<br />

[Benjamin Waterhouse Hawkins, conferenza tenuta presso la<br />

Society of Arts, 1854]<br />

La notte di capodanno del 1853, per celebrare l'installazione dei<br />

dinosauri al Christal Palace, Owen organizzò una cena sontuosa servita<br />

all'interno di un modello di Iguanodonte per venti luminari invitati<br />

all'uopo.<br />

L’invito venne recapitato inciso su una falsa ala di pterodattilo.<br />

Mantell, invitato, declinò cortesemente – soffriva molto per i danni alla<br />

schiena riportati in un incidente col calesse, e non aveva simpatia per<br />

simili ostentazioni (e probabilmente ancor meno simpatia per Owen).<br />

Il padrone di casa non mancò di manipolare l'informazione ancora una<br />

volta – il colosso all'interno del quale si svolse la cena non era infatti uno<br />

dei modelli di Hawkins, ma il calco vuoto all'interno del quale uno degli<br />

iguanodonti era stato modellato.<br />

Non che gli ospiti fossero nelle condizioni di poterci fare molto caso –<br />

stando alle cronache dell’epoca, i ventuno scienziati si ubriacarono come<br />

carrettieri, tanto da causare con il loro canto a squarciagola le proteste<br />

dei residenti nell’area.<br />

E sì che il Crystal Palace era parecchio distante dalle abitazioni<br />

circostanti.<br />

Per i più curiosi, il testo della canzoncina intonata dai dotti avvinazzati<br />

all'interno del calco dell'Iguanodonte faceva così:


Piuttosto imbarazzante.<br />

Ché mostri saggi sono i nostri Sauri<br />

E saggiamente regneranno<br />

Per divulgare rapida la conoscenza in ogni dove<br />

sono tornati in vita<br />

...<br />

Il gaio animale antico<br />

non <strong>è</strong> morto<br />

c’<strong>è</strong> ancora vita in lui.<br />

Se Gideon Mantell fu sempre il bersaglio di elezione di Owen, questi fu<br />

altrettanto sbrigativo e tranciante nel gestire i propri rapporti con l’ex<br />

amico Charles Darwin.<br />

Cristiano devoto, Owen vedeva la storia della vita sulla terra come una<br />

serie di esperimenti da parte del Creatore, una serie di successive<br />

Creazioni in cerca della perfezione. La casualità e la natura strettamente<br />

meccanicistica delle teorie di Darwin lo riempì di orrore e risentimento, e<br />

quasi istintivamente, passò al contrattacco.<br />

Il volume in ottavo di oltre cinquecento pagine, che ha fatto la sua<br />

comparsa verso la fine dell'anno passato, <strong>è</strong> stato ricevuto e<br />

consultato con avidità, non solo dai naturalisti di professione, ma<br />

da una classe intellettuale ben più ampia che ora si interessa nelle<br />

più ampie generalizzazioni delle principali scienze. Lo stesso stile<br />

piacevole che contraddistingue i primi lavori del signor Darwin, ed<br />

una certa disposizione artistica ed il succedersi ordinato delle sue<br />

argomentazioni principali, hanno attirato più dappresso<br />

l'attenzione dei pensatori verso l'ipotesi dell'inconsistenza e<br />

trasmutazione delle specie, rispetto a quanto fosse accaduto con i<br />

precedenti sostenitori di simili vedute. Perciò molti, e forse la<br />

maggioranza, dei nostri naturalisti più giovani sono stati sedotti e<br />

portati ad accettare la forma omeopatica di ipotesi di<br />

trasmutazione ora presentata loro dal signor Darwin con<br />

l'espressione “Selezione Naturale”.


[Anonimo (Richard Owen),”Darwin on the Origin of Species”,<br />

Edinburgh Review, 3, 1860]<br />

Si noti la soave velenosità del breve passaggio riportato (l'articolo<br />

completo <strong>è</strong> di 55 pagine). Il riferimento all'appeal della teoria darwiniana<br />

per i “non professionisti” e per i giovani (ovviamente poveri sventati, ma<br />

meritevoli di una certa indulgenza), attratti dai toni artistici e<br />

dall'esposizione ordinata delle proprie ipotesi (come se fosse un artificio<br />

e non un requisito di una buona analisi scientifica) – tutto <strong>è</strong> studiato per<br />

sminuire non tanto le ipotesi dell'autore, ma la lucidità dei suoi lettori,<br />

fin dall'inizio. E non si tratta neppure di idee originali, butta lì Owen,<br />

preparando il successivo attacco, nel quale si rivolgerà tanto contro<br />

Darwin quanto contro i suoi predecessori e contemporanei. Ma se il resto<br />

dell'articolo attacca lentamente ed inesorabilmente il lavoro di Darwin, al<br />

contempo non manca di profondersi in lodi sperticate per il lavoro dello<br />

stesso Owen (che pubblicò il lavoro anonimamente).<br />

Un pessimo esempio di disonestà intellettuale. È stato ipotizzato che una<br />

componente notevole della velenosità di Owen derivasse dal fatto che, in<br />

qualità di amico di Charles Darwin, era stato lui a fornire tutte le<br />

interpretazioni sui fossili raccolti durante la crociera del Beagle, senza<br />

sapere che sarebbero state utilizzate per sostenere una tesi alla quale egli<br />

era fermamente opposto; ed in effetti Charles Darwin si guardò bene, in<br />

quel periodo, di menzionare all’amico la direzione che stavano<br />

prendendo i suoi studi.<br />

Charles Darwin, come Gideon Mantel, fu un personaggio schivo e poco<br />

avvezzo ai bagni di folla, quasi indifeso davanti all'irruenza del fin troppo<br />

espansivo Owen, potente, ben inserito e rispettatissimo; ma a differenza<br />

di Mantell, Darwin poteva contare su due fondamentali vantaggi. In<br />

primo luogo, la novità e la complessità delle argomentazioni di Darwin a<br />

supporto della teoria dell'evoluzione della specie <strong>attraverso</strong> la selezione<br />

naturale erano tali da impedire un semplice “dirottamento” come quello<br />

che aveva permesso ad Owen di appropriarsi del lavoro di Mantell.<br />

Secondariamente, Darwin poteva contare sul supporto di Thomas Huxley,<br />

tradizionalmente definito “il bulldog di Darwin”, strenuo difensore delle<br />

teorie evoluzioniste e abile polemista. Fu quindi impossibile per Owen<br />

mettere in ombra Darwin e le sue teorie, nonostante i ripetuti attacchi<br />

alla teoria dell'evoluzione.<br />

Al massimo del suo potere, Richard Owen veniva ritratto dal Punch<br />

seduto a capotavola ad un banchetto al quale partecipavano mostri


anziché esseri umani: una metafora azzeccata del destino ultimo del<br />

Cuvier Britannico, che finì la propria esistenza circondato da fossili ma<br />

privo di rapporti umani.<br />

Leader incontrastato della paleontologia britannica nonostante l'astro<br />

nascente di Darwin, Owen si batté per oltre venticinque anni per riuscire<br />

ad ottenere dal governo imperiale e dall'amministrazione londinese un<br />

nuovo museo dedicato alle scienze naturali, ed in particolare alla<br />

geologia ed alla Zoologia, che rimpiazzasse quello al quale Thomas<br />

Hawkins aveva piazzato i propri fossili manipolati.<br />

L'apertura del museo proprio sul sito originariamente occupato dalla<br />

Grande esposizione fu per Owen un trionfo personale, e l'occasione per<br />

ribadire la propria avversione per le teorie di Darwin ventidue anni dopo<br />

la pubblicazione de L'Origine della Specie.<br />

Molte colonne dell'edificio ­ così simile ad una cattedrale nella sua<br />

miscela di stili antiquati, dal neogotico al romanico ­ sono ornate da<br />

piante stilizzate, sulle quali scimmiette scolpite sono intente ad<br />

arrampicarsi, in aperto sberleffo alla teoria che forme di vita superiore si<br />

siano sviluppate e siano ascese a partire da semplici animali.<br />

Ad oltre un secolo di distanza, solo alcuni creazionisti si compiacciono di<br />

<strong>questo</strong> dettaglio – e non capiscono le implicazioni più profonde del<br />

lavoro di Owen ­ mentre la maggior parte dei visitatori si lascia<br />

affascinare dal contenuto, più che dall'ornamentazione del contenitore.<br />

Frattanto, il Megalosauro, fra tutti i fossili della prima generazione di<br />

cacciatori di mostri antidiluviani, aveva fatto il proprio ingresso nella<br />

letteratura popolare, grazie ai buoni auspici di Charles Dickens.<br />

Nel Marzo del 1852, infatti, il primo capitolo del nuovo romanzo seriale<br />

di Dickens, Bleak House, si apriva con un passaggio paleontologicamente<br />

significativo...<br />

Londra. Sessione autunnale da poco conclusa e il Lord Cancelliere<br />

tiene udienza a Lincoln’s Inn Hall. Impeccabile clima di novembre.<br />

Tento fango che nelle vie pare che le acque si siano da poco<br />

ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un<br />

megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una<br />

lucertola gigantesca lungo Holborn Hill.<br />

[Charles Dickens, Casa Desolata, 1852]<br />

Owen fu un grande estimatore di Dickens, che lo menzionò pure in uno<br />

dei suoi romanzi – Our Mutual Friend – ed esiste una sorta di giustizia


poetica anche in paleontologia, e la vita di Owen, personaggio tanto<br />

“rampante” quanto spiacevole, ha in effetti un cinico finale Dickensiano –<br />

vecchissimo e potentissimo, con oltre seicento articoli scientifici<br />

pubblicati, inaridito e bilioso, quasi un modello per il personaggio di<br />

Scrooge, Owen sopravvisse a tutti i propri rivali (ed anche al proprio<br />

figlio, che morì suicida), solo per vedere il defunto Darwin trionfare<br />

inesorabilmente.<br />

Come Owen aveva attaccato e distrutto Mantell, così Huxley attaccò e<br />

distrusse la ricostruzione e l’interpretazione data da Owen<br />

dell’Archaeopterix, minando la reputazione di anatomista massimo del<br />

collega ed al contempo segnando un punto fondamentale per il campo<br />

evoluzionista.<br />

Richard Owen morì nel 1892.<br />

L’uomo che aveva perduto la presidenza della Geological Society of<br />

London per aver pubblicato un cattivissimo necrologio alla morte<br />

prematura di Mantell (insinuando che Mantell si avvalesse di consulenti<br />

anonimi per compilare i propri articoli, mancandogli la preparazione<br />

accademica), e che aveva poi fatto asportare parte della colonna<br />

vertebrale del defunto per conservarla in formalina su uno scaffale (andò<br />

perduta durante la Seconda Guerra Mondiale), venne infine liquidato,<br />

poche ore dopo l’inumazione, come “un dannato bugiardo, che mentiva<br />

per Dio e per malizia” da un suo stimato collega.<br />

Tutti ormai lo detestavano.<br />

Frattanto, il 28 febbraio 1878, a Bernissart, in Belgi, i minatori Jules<br />

Créteur e Alphonse Blanchard (membri della più bassa lower<br />

class immaginabile) rinvennero, a 322 metri di profondità in una miniera<br />

di carbone, il più grande giacimento di Iguanodonti della<br />

storia. Inizialmente i due credettero di aver imbattuto un pezzo di legno<br />

pietrificato – ma il loro ritrovamento si rivelò poi essere il primo resto<br />

fossile di un acumulo di trentotto iguanodonti, che vennero estratti a<br />

partire dal maggio successivo, e montati a partire dal 1882, ad opera di<br />

del paleontologo belga Louis Dollo.<br />

Dollo – che dovette ingegnarsi, insieme con il collega Luis de Pauw, per<br />

preservare i resti, che si deterioravano rapidamente per via<br />

dell'ossidazione della pirite contenuta nelle ossa pietrificate – montò i<br />

dinosauri in aperta contraddizione alle ricostruzioni di Owen, avendo a<br />

disposizione materiale più che sufficiente per dimostrare gli errori<br />

dell'inglese.<br />

Per la prima volta il “corno” nasale dell'Iguanodonte britannico veniva<br />

così piazzato nel posto che anatomicamente gli competeva – in


corrispondenza del pollice. La presenza di tendini ossificati permise<br />

anche di stabilire che l'animale, bipede, non piegava la coda, ma la<br />

teneva tesa dietro di sé.<br />

Insomma, la ricostruzione di Owen era completamente sbagliata –<br />

probabilmente di più di quella di Mantell, dopotutto basata su uno<br />

scheletro parziale.<br />

Se fate un salto a Beissart alcuni degli scheletri montati da Dollo sono<br />

ancora là – al momento di scrivere queste righe, l'ingresso costa quattro<br />

euro.<br />

Ma forse la beffa più colossale giocata dalla storia a Richard Owen fu<br />

proprio lo strano destino delle sue “terribili lucertole” ­ che in capo a<br />

pochi anni avrebbero cessato di avere validità come classe tassonomica,<br />

per venire consegnate a quel pubblico non specialistico ed entusiasta che<br />

tanto egli aveva deriso in vita.<br />

Quanto ad Benjamin W. Hawkins ed ai suoi sauri, quando problemi<br />

finanziari impedirono la collocazione al Crystal Palace di altri modelli, di<br />

fauna terziaria e quaternaria (compreso un Mammuth), l'artista si trasferì<br />

negli Stati Uniti per popolare di ricostruzioni simili il neonato Central<br />

Park di New York, nel quale ancora i newyorkesi pascolavano greggi di<br />

pecore.<br />

Il successo del parco dei dinosauri a Sydenham aveva risvegliato<br />

l’interesse dei membri del Comitato dei Commissari per il Central Park di<br />

New York, e questi nel 1868 decisero di replicare nella metropoli<br />

statunitense i fasti della Londra vittoriana.<br />

Andrew Green, presidente del Comitato e principale fautore del<br />

progetto, contattò perciò Hawkins per l’allestimento del Grande Museo<br />

Paleozoico di New York, un’area coperta da una tettoia di ferro battuto e<br />

rampicanti sorretta da colonne neoclassiche, gli animali di calcestruzzo e<br />

mattoni di Hawkins avrebbero affascinato ed istruito i newyorkesi.<br />

Una specie di catacomba fossile nella quale il visitatore,<br />

trattenendo il proprio sconcerto ed incoraggiando la propria<br />

comprensione, avrebbe vagolato circondato da forme di esistenza<br />

preadamitca, per poi fuggire nuovamente nella luce del sole come<br />

Marcello e Bernardo, ‘ridotti quasi in gelatina dall’effetto<br />

dell’orrore’.<br />

... come avrebbe commentato uno scienziato dell’epoca.


Hawkins, allettato dalla proposta di Green, cominciò con l’acquisire la<br />

ricostruzione dell’Adrosauro dell’accademia delle scienze di Philadelphia.<br />

Il suo progetto era di mostrare l’Adrosauro attaccato da Laelaps, mentre<br />

altri due Laelaps si sarebbero accaniti su una forma abbattuta. Poco<br />

lontano, un Elasmosauro sistemato in una piscina avrebbe osservato la<br />

scena.<br />

Sullo sfondo, un armadillo gigante, un mastodonte, alci e bradipi tipici<br />

della fauna preistorica americana avrebbero fatto da contorno a una<br />

scena che – cambiando gli interpreti principali – poco si sarebbe<br />

comunque discostata dalla scena originariamente tracciata da Martin per<br />

il volume di Mantel.<br />

Il tutto, al prezzo di 30.000 dollari dell’epoca.<br />

Della cosa non si fece nulla.<br />

Il famigerato William M. “Boss” Tweed arrivò sulla scena, e non<br />

riuscendo ad intascare una fetta delle spese per il Museo Paleozoico,<br />

boicottò il progetto presentandolo al pubblico come troppo costoso.<br />

Tweed era il leader della Tammany Hall, una organizzazione politica il<br />

cui peso sull'amministrazione di New York era tanto pervasivo quanto<br />

perverso; Tweed aveva contatti a tutti i livelli nella politica e<br />

nell'economia cittadina, e non esitava ad usarli per i propri<br />

fini. Incarcerato nel 1870 per aver intascato una cifra imprecisata fra i 75<br />

e i 200 milioni in fondi statali, Boss Tweed morirà in carcere nel 1878.<br />

Tuttavia, Quando Hawkins decise di ignorare la stampa negativa<br />

(sperando che la neonata Smithsonoian Institution potesse subentrare<br />

come committente), vandali non identificati si introdussero nel suo<br />

laboratorio e distrussero a colpi di maglio tutti i modelli in lavorazione;<br />

Henry Hilton, braccio destro di Tweed, consiglò a Hawkins di smettere di<br />

occuparsi di animali morti, quando ce n’erano così tanti vivi di cui<br />

interessarsi.<br />

Un'offerta che non si poteva rifiutare.<br />

E Benjamin Waterhouse Hawkins cessa così di avere una parte attiva<br />

nella nostra storia.<br />

In Gran Bretagna, il Crystal Palace venne distrutto da un incendio nel<br />

1936, ed i terreni circostanti subirono i bombardamenti della Seconda<br />

Guerra mondiale. Il parco venne ricostruito, ed oggi <strong>è</strong> possibile vedere i<br />

dinosauri di Hawkins e Owen, restaurati nel sobborgo di Bromley. I lavori<br />

di restauro si sono svolti fra il 1994 ed il 1996, preservando l'ormai


superatissima ricostruzione di Hawkins come monumento ad un<br />

momento preciso dell'evoluzione concettuale dei grandi rettili.<br />

Eppure, l’iguanodonte ritratto da Figuier nel 1863, se <strong>è</strong> figlio di Mantell e<br />

Martin per una certa linea iconografica, se porta sul naso il corno<br />

immaginato da Buckland, da Owen ed Hawkins prende il suo tratto più<br />

immediatamente evidente – la staticità.<br />

In <strong>questo</strong> senso, a differenza dell’immagine di Martin, che potremmo<br />

definire “quasi puramente” scientifica, l’immagine di Figuier porta anche<br />

e soprattutto un contenuto “ideologico” – non vuole solo illustrarci un<br />

episodio di vita del passato, ma anche e soprattutto veicolare le ipotesi<br />

dell’autore, forte sostenitore del dinosauro come creatura lenta, stupida,<br />

torpida. Non c’<strong>è</strong> infatti, nel disegno di Figuier, la frenesia plastica del<br />

lavoro di Martin; se là assistiamo allo scontro caotico e sanguinoso fra<br />

bestie selvagge, qui assistiamo al lento e sistematico macello di due<br />

creature torpide, forse addirittura troppo stupide per provare dolore per<br />

le ferite che si stanno reciprocamente infliggendo.<br />

La scena ritratta da Figuier ha l’inevitabilità di uno scontro fra automobili<br />

ripreso al rallentatore.


Viaggi Staordinari<br />

Mi accingo a sostenere quella che ai più parrà una strana tesi.<br />

Affermo che i primi libri da mettere nelle mani dei più giovani<br />

che, mossi i primi passi della conoscenza, abbiano imparato a<br />

leggere, dovrebbero essere di Storia Naturale; che anziché<br />

risvegliare le capacità delle giovani menti all’ammirazione,<br />

<strong>attraverso</strong> le favole […] di prodotti della pura immaginazione,<br />

sarebbe meglio dirigerle la loro attenzione ammirata verso il<br />

semplice spettacolo della natura – alla struttura dell’albero, la<br />

composizione del fiore, gli organi degli animali, la perfezione delle<br />

forme cristalline dei minerali e soprattutto la storia del mondo in<br />

cui viviamo; la disposizione della sua stratificazione, e la storia<br />

della sua nascita, come riferiteci dai resti dei suoi molti<br />

rivolgimenti che possiamo cogliere nelle rocce sotto ai nostri piedi.<br />

[Guillamme Luois Figuier, Tesi introduttiva a La Terra prima del<br />

Diluvio, (1863)]<br />

Proprio nel 1863, mentre il francese Figuier pubblicava il suo Mondo<br />

prima del Diluvio, l’altrettanto francese Jules Verne (1828­1905), decise<br />

di imperniare la propria ultima fatica letteraria a quella che era la<br />

principale controversia scientifica del momento.<br />

Verne era un ex seminarista, studente di legge e agente di cambio di<br />

Nantes che si era riciclato con un certo successo come librettista di<br />

operette prima e successivamente come popolare autore di narrativa<br />

avventurosa, forse influenzata da una giovanile passione per la geografia<br />

e l'esplorazione, instillatagli probabilmente dal suo insegnante di<br />

matematica e disegno Brutus de Villeroi, l'uomo che successivamente<br />

avrebbe sviluppato, per conto della marina degli Stati Uniti, il primo<br />

sottomarino.<br />

L'incontro con l'editore Pierre­Jules Hertzel segnò la svolta per la carriera<br />

letteraria di Verne, che fino a quel momento aveva visto molti dei propri<br />

lavori rifiutati perché “troppo scientifici” (e deprimenti).<br />

Hertzel svolse un indispensabile lavoro di editing sui primi lavori di<br />

Verne, aiutandolo a rafforzare il plot avventuroso senza annacquare<br />

eccessivamente i contenuti scientifici ed a stemperare di umorismo storie<br />

che all'origine erano state troppo politicamente impegnate e spesso<br />

stroncate da finali tragici.


Verne era infatti pesantemente critico e pessimista nei confronti della<br />

tecnologia – contrariamente alla sua immagine popolare, in effetti frutto<br />

della giudiziosa guida di Hertzel.<br />

Hertzel non vide invece motivo per editare un certo pesante sciovinismo<br />

anti­britannico insito in molte delle opere di Verne, e che obbligò l'editore<br />

inglese dell'autore a tagliare dalle traduzioni lunghi paragrafi (o<br />

addirittura cassare personaggi secondari tout­court) perché politicamente<br />

imbarazzanti. Le edizioni inglesi vennero ulteriormente danneggiate<br />

dalla scarsa dimestichezza di traduttori ed editor con il sistema metrico. I<br />

calcoli e la matematica nelle storie di Verne, normalmente molto accurati,<br />

ne risultarono spesso stravolti, provocando all'autore francese una<br />

immeritata fama di trascuratezza nel mondo anglosassone.<br />

Avventura, scienza d'avanguardia, umorismo e happy end divennero i<br />

quattro pilastri della produzione di Verne.<br />

Ben conscio della formula vincente, Verne tenne d'occhio l'ambiente<br />

scientifico francese, all'epoca alquanto effervescente, in cerca di<br />

ispirazione.<br />

Fra le idee possibili, quella dell'esplorazione dell'interno della terra parve<br />

piuttosto attraente.<br />

Da alcuni anni, infatti, il mondo accademico era diviso riguardo alla<br />

questione dell'origine delle rocce granitiche in particolare,e più in<br />

generale fra coloro che sostenevano che tutte le rocce fossero di origine<br />

vulcanica (i plutonisti) e coloro che invece ne spiegavano l’origine<br />

esclusivamente <strong>attraverso</strong> i processi sedimentari (i nettunisti).<br />

Il principale sostenitore del nettunismo era il tedesco Abraham Gottlob<br />

Werner, descritto come “un ometto grassottello e azzimato”, ma certo la<br />

persona che aveva fatto di più, in assoluto, per lo sviluppo di uno studio<br />

scientifico delle formazioni rocciose, e pertanto il padre fondatore, spesso<br />

dimenticato, della geologia moderna. Sua l’osservazione che le rocce<br />

stratificate avevano un proprio definito ordine di deposizione, sua la<br />

teoria che tale deposizione fosse avvenuta in ambiente marino, per fasi<br />

successive.<br />

Da cui, la teoria del “Nettunismo”.<br />

Hutton, introducendo il gradualismo, aveva in un certo senso complicato<br />

la faccenda, e dal dibattito non si erano astenuti neppure personaggi del<br />

calibro di Darwin (plutonista convinto).<br />

La posizione di Hutton era che solo una minima parte delle rocce<br />

stratificate (le rocce sedimentarie) si fosse deposta in ambiente marino,<br />

mentre le altre erano invece il prodotto di processi vulcanici e magmatici<br />

(le rocce ignee).


Il romanzo a sfondo geologico di Giulio Verne si intitolava Viaggio al<br />

Centro della Terra, terzo nella serie dei Viaggi Straordinari e vide la luce<br />

in volume unico il 25 Novembre 1864; il suo successo fu tale che Verne<br />

abbandonò l’attività finanziaria per diventare scrittore a tempo pieno. Si<br />

tratta di un romanzo dichiaratamente plutonista (ampio spazio viene<br />

riservato ai fuochi interni della terra) e gradualista – tanto che lo si può<br />

considerare uno dei testi principali che contribuirono a familiarizzare il<br />

pubblico con la nuova scienza.<br />

La storia si apre con la scoperta di un misterioso testo da parte del<br />

professor Otto Lindenbrock, docente di mineralogia ad Amburgo. Una<br />

volta decifrato, il messaggi contiene le indicazioni per raggiungere il<br />

centro della Terra <strong>attraverso</strong> il vulcano Snæffels, in Islanda. Il professore<br />

e il nipote Axel partono quindi con molta fretta da Amburgo per l'Islanda,<br />

dove raggiungono il cratere Jökull del vulcano Snæffels, da cui parte la<br />

via già percorsa dall’alchimista Arne Saknussemm verso il centro della<br />

terra, nel sedicesimo secolo. Il professore e il nipote sono accompagnati<br />

in questa impresa da Hulja, una guida locale . Il viaggio verso il centro<br />

della terra <strong>è</strong> opportunamente segnato da tracce lasciate da Saknussemm,<br />

e costellato di imprevisti, avventure e scoperte. I viaggiatori arrivano poi<br />

in una grande “caverna” descritta come il centro della terra, ed occupata<br />

da un mare, che i nostri eroi tentano di attraversare su una zattera.<br />

Durante “l’attraversata” assistono ad una lotta spettacolare tra un<br />

ittiosauro e un plesiosauro. Tornati inaspettatamente al punto di<br />

partenza, Liddenbrock e compagni esplorano la costa, incontrando un<br />

“troglodita” alto 12 piedi che pascola una mandria di mastodonti e<br />

rinvenendo uno scheletro. I viaggiatori ritrovano le tracce di<br />

Saknussemm ma il passaggio <strong>è</strong> bloccato da una frana. Cercando di aprirsi<br />

la strada con l’esplosivo, vengono scagliati nella bocca di un vulcano in<br />

eruzione. Risalendo <strong>attraverso</strong> un condotto magmatico, si ritrovano alle<br />

pendici dello Stromboli.<br />

Del romanzo esistono decine di versioni e adattamenti – film, sceneggiati<br />

televisivi, cartoni animati, fumetti.<br />

Nel 1959, il romanzo venne adattato per il grande schermo, con James<br />

Mason nel ruolo del professor Lindenbrock (inopinatamente tramutato in<br />

scozzese), il cantante Pat Boone in quella di suo nipote, e l'aggiunta di<br />

una statuaria Diane Baker in un poco probabile ruolo femminile creato<br />

per l'occasione. La vedova Göteborg affronta il viaggio al centro della<br />

terra con impeccabili tacchi a spillo e deve il proprio cognome alla


malsana convinzione di uno sceneggiatore – che si disse che se un nome<br />

geografico <strong>è</strong> accettabile come cognome in inglese (London, York), deve<br />

esserlo anche in Svedese. La cosa non mancò di suscitare l'ilarità del<br />

pubblico svedese.<br />

Terzo film tratto da Verne dopo 20.000 Leghe sotto i Mari della Disney<br />

(1954) e Il Giro del Mondo in 80 Giorni (1956) di Todd, e prodotto<br />

essenzialmente per incassare il successo delle pellicole tratte da Verne,<br />

anche “Journey” sbancò il botteghino, pur trattando piuttosto male il<br />

testo di origine.<br />

I rimaneggiamenti della trama non si limitarono all'aggiunta di un<br />

personaggio femminile e di un paio di occasioni per Pat Boone di<br />

sfoderare le proprie doti canore.<br />

Gran parte delle meraviglie descritte da Verne vennero eliminate per<br />

limitare i costi, ed il peggio toccò alla fauna preistorica, ridotta a poche<br />

lucertole ed una foresta di funghi giganti. La sezione finale del romanzo<br />

di Verne, con l'incontro con il troglodita, venne tagliata, e l’azione<br />

spostata ad Atlantide (perché no?) riciclando alcune scenografie di film<br />

peplum.<br />

I dinosauri vennero messi in scena truccando pesantemente alcune<br />

lucertole domestiche, agghindate con flaccide creste dorsali. Le povere<br />

bestie, imbambolate e confuse, vennero obbligare a muoversi sotto la<br />

stimolazione del getto caldo di un asciugacapelli.<br />

Il risultato <strong>è</strong> moderatamente divertente, ma terribilmente senz'anima, ed<br />

il finale a baci e abbracci (con tanto di matrimonio per la coppia<br />

Lindenbrock­Göteborg) <strong>è</strong> molto al di là di quanto Hertzel ebbe mai il<br />

coraggio di richiedere a Verne in nome della vendita, e che Verne avrebbe<br />

mai accettato di scrivere.<br />

E il 18 gennaio 1974, alla Royal Albert Hall di Londra, Rick Wakeman,<br />

tastierista di formazione classica divenuto famoso con il gruppo<br />

progressive degli Yes eseguì ed incise dal vivo “Journey to the Center of<br />

the Earth”, ad oggi considerato da molti il suo lavoro migliore.<br />

Durante l’esecuzione del concerto per gruppo, coro e orchestra, brani del<br />

romanzo di Verne sono letti da David Hemmings, e la Sinfonica di Londra<br />

fa la sa sporca figura, come si suol dire, spalleggiando il Moog ed il<br />

clavicembalo di Wakeman – che si dice avesse ipotecato la casa e venduto<br />

parte dei propri beni per raccogliere il danaro necessario per questa<br />

incisione, e che subì un infarto poco dopo aver terminato l’esecuzione.<br />

Noi tuttavia siamo molto più interessati alla ristampa del 1867 di Viaggio<br />

al centro della Terra, un volume in ottavo dell’editore Hetzel, illustrata


con le tavole di Edouard Riou; ed in particolare ci interessa la tavola che<br />

illustra il trentesimo capitolo, “Terrificante scontro fra sauri” (la scena<br />

alla quale Wakeman nel ‘74 dedicherà uno dei quattro movimenti del suo<br />

concerto).<br />

Gli eroi del romanzo, senza poco plausibili presenza femminili, sono<br />

abbarbicati ad una zattera persa all’orizzonte, testimoni dello scontro fra<br />

i flutti, fra un Ittiosauro ed un Plesiosauro, i due popolari fossili di Lyme<br />

Regis scoperti da Coynbeare e già illustrati nel libro di Hawkins.<br />

L’ittiosauro, con il muso da coccodrillo, sta azzannando i quarti posteriori<br />

del plesiosauro che, col suo lungo collo serpentiforme, si volta ed<br />

azzanna a sua volta l’aggressore.<br />

E’ di nuovo la stessa scena.<br />

E non ci deve sorprendere la somiglianza col lavoro di Figuier (che nel<br />

suo Mondo prima del Diluvio aveva presentato anche un incontro in mare<br />

fra ittiosauro e plesiosauro).<br />

Riou <strong>è</strong> uno stimato paesaggista che ha già illustrato Cinque Settimane in<br />

Pallone, primo successo della premiata ditta Verne & Hertzel, ed illustrerà<br />

altri tre Viaggi Straordinari, ed <strong>è</strong> stato l’assistente di Figuier nel suo<br />

lavoro sui dinosauri, e proprio per la sua familiarità non solo con<br />

l’argomento, ma anche con lo stile dell’illustrazione scientifica dell’epoca,<br />

venne incaricato di illustrare i lavori di Verne (che all’epoca erano, non<br />

dimentichiamolo, anche divulgazione scientifica).<br />

Con quello che <strong>è</strong> essenzialmente il plagio di una illustrazione scientifica<br />

(ma, come si <strong>è</strong> detto, anche e soprattutto “ideologica”) a fini spettacolari,<br />

con l’”autentica” rappresentazione di una scena inventata, i dinosauri<br />

sono penetrati prepotentemente nel mondo della narrativa popolare.<br />

Ironico, considerando la tesi di Figuier, che suggeriva di iniziare i giovani<br />

alla lettura mediante testi di Storia Naturale anziché favole e storie<br />

avventurose.<br />

I commentatori satirici del Punch temono che la popolarità delle<br />

immagini di “mostri”, ormai pubblicate con estrema frequenza, possano<br />

turbare i sonni tranquilli della gioventù. Non hanno capito, forse, che da<br />

alcuni anni la narrativa mira ad eccitare, spaventare e sorprendere il<br />

pubblico.<br />

Lo hanno capito invece gli amici di Byron riuniti a Villa Deodati, che<br />

hanno acceso dibattiti con il successo del Frankenstein, e tirato la volata


al penny dreadful, la rivista popolare che pubblica romanzi d'appendice,<br />

antesignana del pulp magazine, con Il vampiro di Polidori.<br />

Lo scontro fra dinosauri aggiunge al brivido del mostruoso l'altrettanto<br />

vivido brivido della realtà.<br />

Col nuovo secolo, la rappresentazione delle due bestie allacciate nel loro<br />

scontro epico ed insensato <strong>è</strong> ormai patrimonio dell’immaginario<br />

collettivo.<br />

Col nuovo secolo, ci penseranno Arthur Conan Doyle e il suo Professor<br />

Challenger a familiarizzare una volta per tutte il grande pubblico con la<br />

figura poderosa e affascinante del dinosauro.<br />

Ma questa <strong>è</strong> un'altra storia.


Parte Seconda<br />

Il Nuovo Mondo


Sana e Robusta Costituzione<br />

Washington, 14 Luglio 1808: A Monsieur de la Cepede. Se la<br />

memoria non mi inganna, la collezione di resti<br />

dell'animale incognitum dell'Ohio (talvolta chiamato mammoth)<br />

in possesso del Gabinetto di Storia Naturale di Parigi non <strong>è</strong><br />

particolarmente abbondante....<br />

[Thomas Jefferson]<br />

Nel 1962 John Fitzgerald Kennedy intrattenne per cena alla Casa Bianca<br />

49 premi Nobel, e descrisse l’evento come “la più straordinaria collezione<br />

di talento e di conoscenze umane mai raccolta alla Casa Bianca, con la<br />

sola possibile eccezione di quando Jefferson ci cenava da solo.”<br />

Ma nel 1781, Thomas Jefferson non era ancora alla Casa Bianca, aveva<br />

parecchi problemi.<br />

Da una parte, le vicende militari della Guerra d'Indipendenza Americana<br />

(quella che gli inglesi si ostinano a chiamare Rivoluzione) stavano<br />

volgendo al peggio per i ribelli – la Virginia era stata nuovamente invasa<br />

dalle truppe al comando di Banedict Arnold, ed il futuro della repubblica<br />

appariva oscuro.<br />

Dall'altra nientemeno che il conte di Buffon, naturalista massimo della<br />

Francia pre­rivoluzionaria, aveva apparentemente preso di mira<br />

l'America, discutendo in un dotto saggio come il nuovo continente non<br />

risultasse, all'occhio allenato dell'esperto, in grado di sostenere un<br />

ecosistema particolarmente attivo e quindi – per estensione ­ la vasta<br />

popolazione di uno stato sovrano.<br />

Paragonati alle loro controparti europee, gli animali che popolavano il<br />

continente americano erano più piccoli, osservava Buffon; le specie<br />

endemiche scarseggiavano, o per lo meno erano presenti in numero<br />

molto minore rispetto alle specie esclusivamente europee, e quegli<br />

animali europei che erano stati introdotti sul territorio americano erano<br />

invariabilmente degenerati.<br />

Facile, a <strong>questo</strong> punto, prevedere il peggio anche per la nuova repubblica<br />

di fresco fondata sul suolo americano.<br />

Thomas Jefferson, naturalista dilettante e genio multiforme,<br />

ambasciatore americano alla corte di Francia, aveva preso molto male la<br />

cosa – rendendosi conto di come anche una semplice opinione avversa in<br />

un campo tanto distante quale le scienze naturali, potesse rivelarsi una<br />

nuova arma per i nemici degli Stati Uniti ­ e durante la sua permanenza a


Parigi aveva invitato personalmente a cena Buffon, assicurandosi che tutti<br />

gli americani presenti fossero sopra il metro e ottanta di statura, in modo<br />

da sovrastare l'ospite (notoriamente piuttosto bassino).<br />

Tornato in patria si era quindi messo all'opera per confutare le<br />

osservazioni del francese su quella che egli intendeva come la<br />

costituzione (in senso fisico) dell'America e degli americani.<br />

Le Note sullo Stato della Virginia vennero scritte e pubblicate da Jefferson<br />

col chiaro intento di confutare definitivamente l'opinione di Buffon. Forse<br />

Buffon credeva, notò Jefferson a mo' di prologo, “che la natura sia meno<br />

attiva, meno energica su un lato del mondo rispetto all'altro, come se<br />

entrambi i lati non fossero scaldati dallo stesso sole geniale.”<br />

E quale migliore esempio, della sana e robusta costituzione che, per lo<br />

meno in potenza, caratterizzava gli abitanti del nuovo continente, che<br />

l'incognitum americano, animale mai visto che aveva lasciato le proprie<br />

ossa sparse in varie paludi e torbiere degli stati ribelli.<br />

In Europa non c'era equivalente dell'incognitum, che taluni chiamavano<br />

volgarmente mastodonte, altri mammoth.<br />

L'incognitum, quale che fosse la sua natura, prometteva davvero bene: in<br />

primo luogo, le sue ossa lasciavano immaginare un animale di gran lunga<br />

più grande e massiccio del più grande e massiccio animale del vecchio<br />

continente, l'elefante. In secondo luogo, la presenza di abbondanti resti<br />

testimoniava l'abbondanza della creatura stessa, che aveva quindi trovato<br />

sollazzo e sostentamento nelle praterie del Nuovo Mondo. E per finire,<br />

ma certo non ultima delle frecce all'arco retorico di Jefferson, c'era il<br />

fatto che i tre quarti del continente americano erano ancora inesplorati, e<br />

niente lasciava escludere che l'incognitum, lungi dall'essere estinto, non<br />

galoppasse libero e felice appena oltre l'orizzonte, in terre visitate solo da<br />

Johnny Seme di Mela.<br />

Tanto più che, stando agli indiani, i loro antenati erano stati soliti<br />

cacciare e nutrirsi dell'incognitum, che era grande abbastanza da<br />

soddisfare le richieste alimentari di un villaggio di medie dimensioni per<br />

un bel po' di tempo.<br />

La spedizione di Lewis e Clark, resa famosa da innumerevoli libri e da un<br />

film con Spencer Tracy, venne organizzata anche e soprattutto per<br />

allargare la ricerca dell'incognitum – vivo o fossile che fosse.<br />

Jefferson desiderava altri resti o, meglio ancora, un esemplare vivo, e<br />

pagò di tasca sua la deviazione che portò i due esploratori a Big Bone<br />

Lick, nel Kentucky. L'idea di scavare proprio lì gli era venuta da un<br />

discorso fatto da uno degli anziani della popolazione Delaware:


In tempi antichi una mandria di questi animali tremendi vennero a<br />

Big Bone Lick, e cominciarono una universale distruzione di orsi,<br />

cervi, alci, bufali ed altri animali, che erano stati creati per l'uso<br />

degli indiani.<br />

[T.Jefferson, Notes on the State of Virginia, 1781]<br />

La spedizione a Big Bone Lick ebbe successo.<br />

Dal canto loro, gli indiani consideravano le grandi ossa per lo meno di<br />

malaugurio, e probabilmente accolsero con una certa perplessità il<br />

desiderio dei visi pallidi di andarle a cercare apposta per disseppellirle.<br />

L'interesse di Jefferson per la paleontologia <strong>è</strong> confermato dalla sua<br />

attività, come relatore e (dal 1797) come presidente della American<br />

Philosophical Society: nel 1792 Jefferson raccolse una cifra<br />

considerevole, per l'epoca, allo scopo di inviare il botanico Andrew<br />

Michaud in un lungo viaggio esplorativo verso il Pacifico per ritrovare<br />

(fra le altre cose) ossa di mammuth...<br />

Dovrete, nel corso del vostro viaggio, osservare il territorio che<br />

attraverserete, il suo aspetto generale, il suolo, i fiumi, le<br />

montagne, le sue risorse animali, vegetali & minerali che ci siano<br />

nuove & possano esserci utili o estremamente curiose; le latitudini<br />

dei luoghi o dei materiali calcolate coi semplici metodi che la<br />

situazione vi permetterà. I nomi, i numeri e le sedi degli abitanti, e<br />

tutti quei particolari della loro storia che potrete apprendere, le<br />

connessioni reciproche, le lingue, gli usi, lo stato della società &<br />

delle arti & dei commerci fra loro.<br />

Alla voce Storia Animale, quella del Mammoth <strong>è</strong> particolarmente<br />

raccomandata fra le vostre ricerche, così come lo <strong>è</strong> scoprire se il<br />

Lama, o Paca del Perù si trovi in quelle parti del continente, o<br />

quanto a Nord si spinga.<br />

[Thomas Jefferson, Lettera a Andrew Michaud, 23 gennaio 1793]<br />

La missione di Michaud venne successivamente deragliata da questioni<br />

strettamente politiche (Michaud era cittadino francese, ed il console<br />

francese lo usò per cartografare non i giacimenti di fossili, ma le<br />

tendenze politiche degli abiotanti del Kentucky) ma comunque<br />

nell'Agosto del 1796, Jefferson presentò un rendiconto sul ritrovamento<br />

di ossa dalle dimensioni straordinarie oltre le Blue Mountains, in<br />

Virginia.


Le ossa erano state trovate nella contea di Greenbriar, e si supponeva<br />

appartenessero ad un mammuth di qualche genere. Vennero inviate<br />

perciò a Jefferson, a Monticello. Jefferson le identificò come appartenenti<br />

ad “un animale carnivoro dotato di artigli finora sconosciuto alla<br />

scienza”.<br />

Insieme con il saggio, intitolato "A Memoir of the Discovery of Certain<br />

Bones of an Unknown Quadruped, of the Clawed Kind, in the Western<br />

Part of Virginia”, Jefferson consegnò le ossa al Dr. Wistar, naturalista<br />

residente della American Philosophical Society; Jefferson le aveva portate<br />

con sé mentre si recava a Philadelphia per prestare giuramento come<br />

vicepresidente degli Stati Uniti.<br />

L'animale venne successivamente battezzato Megalonyx jefersoni, il primo<br />

bradipo gigante ritrovato in America settentrionale.<br />

Jefferson aveva ormai confermato oltre ogni ragionevole dubbio la<br />

solidità della propria ipotesi: l'invio di ossa di mammuth all'accademia<br />

francese, nel 1808, proprio nel giorno della Bastiglia, fu perciò l'ultima<br />

frecciata alla grandeur transalpina in un confronto strettamente politico,<br />

per quanto fondato su resti fossili e considerazioni ecologiche.<br />

L'animale fossile oggetto della regalia era stato descritto e classificato con<br />

cura da Jefferson stesso, che aveva destinato una parte dei resti alla<br />

American Philosophical Society di Philadelphia ed una ai colleghi<br />

parigini.<br />

Parte dei resti rimasero tuttavia nella sua casa di Monticello, in un museo<br />

privato....<br />

Su un lato sono appese la testa e le corna di un alce, un cervo ed<br />

un bufalo; un'altra parete <strong>è</strong> coperta delle curiosità che Lewis e<br />

Clark trovarono durante la loro lunga e pericolosa spedizione.<br />

Sulla terza, fra molti altri oggetti sorprendenti, c'<strong>è</strong> la testa di un<br />

mammuth o, come lo chiama Cuvier, un mastodonte, contenente<br />

l'unico os frontis, da quel che mi dice Mr. Jefferson, che sia stato<br />

finora ritrovato<br />

[Lettera di George Ticknor, 1818]<br />

Tutte le grandi nazioni hanno bisogno di un grande passato.<br />

L'antica Roma si costruisce una eredità ellenica (o Troiana) nel momento<br />

in cui si prepara a fare il salto di qualità a superpotenza imperiale;<br />

l'America del secondo dopoguerra lancia un'offensiva di film biblici e<br />

mitologici il cui principale significato ideologico <strong>è</strong> quello di rafforzare il<br />

legame fra cultura eroica classica, Cristianesimo delle origini e l'attuale<br />

dominatore della politica mondiale. Fra le due guerre, d'altra parte,


mentre gli Stati Uniti manovravano per sostituire l'Impero Britannico in<br />

posizione dominante sullo scacchiere internazionale, Hollywood mostra<br />

una certa ossessione con le vicende coloniali inglesi (gli adattamenti di<br />

Kipling, Gunga Din, o La Carica dei Seicento), o per le avventure navali<br />

imperniate su imprese eroiche di naviganti inglesi (gli adattamenti dei<br />

romanzi di Rafael Sabatini, la serie di Hornblower), quasi a voler si<br />

appropriare dell'immagine connessa ai fasti imperiali vittoriani.<br />

In <strong>questo</strong> senso, la battaglia combattuta da Jefferson per far riconoscere<br />

la sana e robusta costituzione del clima e della fauna americane fanno<br />

parte della medesima strategia, e lo stesso Jefferson non esitò ad usare la<br />

metafora del mammuth come primo simbolo della potenza americana.<br />

Un simbolo che rimase indiscusso fino a che, con la Teoria<br />

dell'Evoluzione ed il concetto di tempo profondo, i resti fossili non<br />

divennero un pericoloso simbolo della negazione delle Scritture.<br />

Con le sue donazioni ai musei e la sua personale ossessione per i fossili,<br />

Jefferson contribuì a creare una forte passione per il passato preistorico<br />

al cuore della cultura americana delle origini.<br />

E con l'ipotesi che, da qualche parte, in una valle nascosta nota solo ai<br />

pellirosse, i mastodonti ed i mammuth pascolassero ancora, fornì la base<br />

teorica per infinite rielaborazioni narrative – dal Mondo Perduto di<br />

Conan Doyle (dopotutto, un'isola di fauna preistorica sul continente<br />

americano) al Turok dei fumetti.<br />

Strenuamente antievoluzionista, Jefferson non poteva d’altra parte<br />

ammettere la realtà delle estinzioni globali – e se qualcosa era stato<br />

creato da Dio, da qualche parte doveva ancora trovarsi, vivo e vegeto.<br />

L'unica cosa che Jefferson, il “Mammoth President” degli Stati Uniti che<br />

volle una sala delle ossa alla Casa Bianca, non riuscì a fornire alla propria<br />

nazione furono dei veri dinosauri.<br />

L'assenza di dinosauri negli stati orientali dell'America del Nord avrebbe<br />

segnato profondamente l'immaginario americano, da una parte,<br />

associando indelebilmente i grandi rettili con il west, e dall'altra dando<br />

fuoco alle polveri della Grande Guerra delle Ossa.


La Grande Guerra delle Ossa<br />

La storia della “Grande Guerra delle Ossa” (definizione ormai canonica<br />

degli eventi che andiamo a descrivere), <strong>è</strong> la storia dei più grandi e famosi<br />

dinosauri della terra, ed <strong>è</strong> la storia di due paleontologi: Edward Cope e<br />

Othniel Marsh.<br />

Consideriamo i due gentiluomini.<br />

Giudicato “sfaticato ed irrispettoso” dal proprio stesso padre, che predisse<br />

per lui “niente di buono” (proprio come Owen), il piccoloborghese<br />

Othniel Marsh aveva messo fine alle proprie gozzoviglie<br />

giovanili decidendo “a tavolino” di intraprendere lo studio della<br />

paleontologia, allo scopo dichiarato di diventare il primo ed il più famoso<br />

paleontologo americano. Aveva perciò studiato a fondo la materia,<br />

sviluppato un’ottima rete di relazioni pubbliche a livello istituzionale, e<br />

badava bene a non perdere mai occasione per mettersi in mostra o per<br />

screditare i colleghi.<br />

Edward Drinker Cope era invece un giovane di buona famiglia, con alle<br />

spalle alcuni successi nel campo dell’erpetologia (lo studio delle serpi –<br />

molto appropriato), che vedeva nei dinosauri un’opportunità tattica per<br />

ampliare la propria fama ed il proprio curriculum. Paleontologo meno<br />

dotato di Marsh, Cope era tuttavia un eccellente paleo­ecologo ante<br />

litteram, con un ottimo occhio per la visione d’insieme.<br />

Entrambi paleontologi di belle speranze alla corte del massimo zoologo e<br />

anatomista americano, autentico gigante dell’accademia, Joseph Leidy,<br />

personaggio mite e cauto, Cope e Marsh – che non erano né miti né cauti<br />

­ partirono subito col piede sbagliato.<br />

Nel 1868, Cope pubblicò in collaborazione con Leidy uno studio<br />

dell’Elasmosaurus – un dinosauro dal lungo collo serpentino; per un<br />

errore, nelle tavole fornite all’editore, la testa della creatura risultava<br />

montata in cima alla coda anziché sul collo.<br />

Succede.<br />

L’errore, oltretutto, era probabilmente di Leidy, e non di Cope.<br />

Resosi comunque conto dell’errore, Cope si affrettò ad acquistare tutte le<br />

copie della rivista incriminata, tentando disperatamente di salvare la<br />

faccia.<br />

Othniel Marsh informò la stampa nazionale.<br />

La carriera di Edward Cope colò a picco.


La cosa non deve sorprenderci.<br />

E’ pratica comune, fra i primati, quando un nuovo maschio alfa entra di<br />

diritto nella posizione dominante, provvede non solo ad eliminare il<br />

proprio predecessore, ma anche tutti i cuccioli di quest’ultimo.<br />

E il mondo accademico <strong>è</strong> una giungla.<br />

Marsh era ormai ben avviato a sostituire Leidy nel suo ruolo di<br />

Paleontologo Americano, ed eliminare l'ex amico e collega Cope faceva<br />

parte di una strategia ben precisa. Dopo la debacle dell’Elasmosauro,<br />

mentre Leidy ripiegava sulla sistematica dei mammiferi quaternari, Cope<br />

avrebbe dovuto avere la decenza di togliersi dai piedi – tornare a studiare<br />

le serpi, o qualcosa del genere.<br />

Ostinato come già altri erano stati prima di lui, Cope proseguì invece i<br />

propri studi in privato, in una competizione con Marsh – rispettato,<br />

perfettamente inserito nel mondo accademico, ottimamente finanziato –<br />

che si sarebbe risolta con la rovina economica, la decadenza sociale e<br />

fisica, e la follia.<br />

Ma prima di arrivare alla shakespeariana scena della follia, sia Cope che<br />

Marsh puntarono i propri mirini sul Far West – dove altrimenti trovare<br />

fossili di dinosauro nel continente nordamericano?<br />

L’est era caratterizzato da sedimenti quaternari zeppi di mastodonti e<br />

cervi, dominio incontrastato di Joe Leidy, ma non presentava condizioni<br />

tali per cui dei resti più antichi avrebbero potuto conservarsi. L’Ovest<br />

inesplorato, invece pareva piuttosto promettente.<br />

Frattanto, proprio nel 1869, un gruppo di operai incaricati di scavare un<br />

pozzo nei pressi di Cardiff, New York, rinvennero i “resti fossilizzati” di<br />

un uomo dalle proporzioni gigantesche – era alto almeno tre metri, con<br />

dei grossi piedoni, e le braccia incrociate sul petto.<br />

La cosa fece non poco scalpore, e mentre i curiosi si affrettavano a<br />

Cardiff per pagare 50 centesimi e vedere il prodigio, archeologi,<br />

paleontologi e studiosi della Bibbia si accapigliarono discutendo<br />

animatamente l’ipotetica autenticità di quella che, anche all’occhio meno<br />

allenato, pareva proprio una scultura fatta ad arte.<br />

Ed era infatti così – un certo George Hull, fabbricante di sigari ed ateo<br />

convinto, prendendo lo spunto dalla Bibbia,<br />

C'erano i giganti sulla terra a quei tempi – e anche dopo – quando<br />

i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste<br />

partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini<br />

famosi.<br />

[Genesi, 6:4]


aveva speso l’anno precedente 2600 dollari per fare scolpire la statua,<br />

che poi aveva seppellito nel terreno di un amico, suo complice.<br />

L’idea era, almeno apparentemente, quella di farsi due risate alle spalle<br />

dei bigotti, ed intanto rifarsi della spesa non indifferente proprio<br />

vendendo i biglietti ai curiosi. Ed in effetti, l’astuto imbroglione<br />

raggranellò con questa trovata attorno ai trentamila dollari di allora –<br />

una bella cifretta, per l’epoca.<br />

P.T. Barnum – l’uomo che inventò il circo e portò Bufalo Bill e i pellirosse<br />

in Europa per la delizia del pubblico – decise che il Gigante di Cardiff era<br />

esattamente il tipo di attrazione che avrebbe potuto impreziosire i suoi<br />

spettacoli – e quando Hull decise di non vendere, Barnum<br />

(evidentemente un cartesiano puro quando si trattava di affari) non esitò<br />

a farsi scolpire il proprio, di Gigante, che poi espose avanti e indietro per<br />

gli Stati Uniti, affermando si trattasse dell’originale e ricavandone un<br />

guadagno non indifferente.<br />

Della cosa avrebbe poi approfittato Mark Twain, con una velenosa storia<br />

nella quale il narratore si trova a confrontare lo spettro del Gigante, in<br />

piena crisi di identità (<strong>è</strong> quello di Hull o quello di Barnum? E’ vero o <strong>è</strong><br />

falso?)<br />

Se Hull era animato solo da un predace spirito imprenditoriale,<br />

accoppiato ad una laica irriverenza, non mancarono coloro che diedero al<br />

Gigante un valore strettamente ideologico.<br />

I fondamentalisti cristiani, in particolare, lo sbandierarono come una<br />

prova della verità letterale della Bibbia, testimonianza dell’epoca in cui i<br />

giganti avevano camminato sulla terra per poi essere intrappolati nella<br />

roccia dalla furia divina; alla faccia di tutto ciò che gli scienziati stavano<br />

cominciando a sostenere sull’età del nostro pianeta, l'evoluzione e tutto<br />

quel genere di cose.<br />

Non pochi giornali cavalcarono l’onda popolare, e fra questi il New York<br />

Herald, una strana macchina per la produzione di notizie ed introiti della<br />

quale parleremo a breve, ad abundantia.<br />

Quando i paleontologi passarono alla riscossa rivelando il palese falso<br />

(era una statua scolpita nel gesso, dopotutto), non mancarono di calcare<br />

la mano con la stampa, colpevole di approfittare della credulità popolare<br />

quanto e forse più di Hull, Barnum e compagni.<br />

L’autore degli attacchi più feroci e taglientemente ironici fu un il<br />

promettente astro nascente della paleontologia americana, Othniel Marsh<br />

­ e l’Herald, uno dei quotidiani più in vista dell’epoca, fu un prima fila<br />

per prendersi una bella strapazzata.


Quattro anni dopo, nel 1873, l’anno in cui Jules Verne pubblicava – come<br />

sempre per i tipi di Hertzel ­ Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni, lo<br />

scontro decisivo si scatenò nell’area di Como Bluff, in Wyoming; in un<br />

paesaggio brullo e lunare, le squadre di scavatori di Cope e di Marsh si<br />

affrontarono in una gara di velocità nella ricerca e nello scavo che<br />

degenerò ben presto nel boicottaggio reciproco, nell’occasionale<br />

pistolettata, nella rissa da vecchio film di John Wayne; affioramenti<br />

vennero sommariamente saccheggiati e poi distrutti con la dinamite per<br />

negarne l’accesso agli avversari; in una occasione il team di Marsh montò<br />

falsi fossili (mescolando ossa più o meno a caso) per trarre in inganno il<br />

team di Cope.<br />

Cope dal canto suo non esitò a mettere spie alle calcagna degli uomini di<br />

Marsh, ed un paio di volte si recò di soppiatto nei laboratori/magazzini<br />

del collega per ficcanasare. Scese pure a patti con i Corvi, belligerante<br />

tribù indiana presso la quale era noto come “Denti magici” per il suo<br />

potere di sfilarsi la dentiera.<br />

Nella corsa all’ampliamento dell’area di scavo, Marsh non mancò di<br />

coinvolgere il gran capo Nuvola Rossa, e violare il trattato con i<br />

pellirosse, a rischio di scatenare una nuova guerra indiana.<br />

Nuvola Rossa, dal canto suo, da abile politico approfittò dell’opportunità<br />

per mettere in imbarazzo il governo americano e dimostrare quanto poco<br />

fondata fosse l’immagine di selvaggi privi di sofisticazione che si<br />

appiccicava ingiustamente al suo popolo – lo vediamo ritratto in una foto<br />

con Marsh, entrambi impettiti in abito da cerimonia.<br />

Dall’episodio, Marsh imparò a presentarsi sulla stampa nazionale come<br />

impavido cacciatore di dinosauri, pronto a sfidare il deserto ed i selvaggi<br />

per amore della scienza. In quest’impresa egli era attorniato da studenti<br />

volenterosi e un po’ imbranati, spesso oggetto di aneddoti tanto<br />

divertenti per il lettore quanto umilianti per le persone coinvolte – come<br />

il brano in cui Marsh descrive divertito i suoi “damerini di città” costretti<br />

a rifugiarsi in mutande in mezzo al corso di un torrente per sfuggire ad<br />

“un semplice serpentello a sonagli”.<br />

L’articolo venne pubblicato con tanto di illustrazione, gli studenti in<br />

mutandoni con l'acqua al polpaccio, ed un serpentello che li minaccia<br />

dalla riva, salvo poi essere messo in fuga da un ridanciano Othniel Marsh<br />

che pare un Babbo Natale cattivo al campeggio.<br />

Peccato che molto spesso Marsh non fosse neppure sul terreno, e si<br />

limitasse a pagare (coi fondi dell’Università prima e del Servizio<br />

Geologico poi) degli scagnozzi residenti nell’area, solo vagamente<br />

ammaestrati nell’arte dell’escavazione di fossili, affinché gli spedissero i


esti direttamente a Washington ed intanto ostacolassero i mercenari<br />

prezzolati di Cope.<br />

La più famosa foto di Marsh, che lo ritrae con la sua squadra di agguerriti<br />

cacciatori di rettili estinti, armati fino ai denti, <strong>è</strong> in effetti un falso<br />

clamoroso, scattata in studio con un cast di comparse assoldate all'uopo.<br />

D'altro canto, <strong>è</strong> giusto osservare come Marsh fu sempre estremamente<br />

rispettoso dei suoi collaboratori nativi americani – molto più rispettoso<br />

delle loro opinioni e della loro cultura di quanto non fosse rispettoso<br />

dell'amor proprio e dell'incolumità dei propri studenti.<br />

Cope, dal canto suo, non definì mai i pellirosse come qualcosa di più che<br />

“selvaggi”.<br />

Sia Nuvola Rossa che i Crow dimostrarono, secondo alcuni, di<br />

considerare Marsh e Cope come eccentrici buoni a nulla, a caccia d'ossa<br />

inutili di animali scomparsi da tempo – se volevano i fossili che se li<br />

prendessero.<br />

Oltretutto, portavano male.<br />

La storia avrebbe dimostrato il fondamento di quelle superstizioni.<br />

Una volta a casa (si fa per dire), fra decine e decine di tonnellate di resti<br />

fossili, fu lo scatenarsi di una gara di velocità per pubblicare i dati<br />

raccolti sul terreno, identificare nuove specie (spesso commettendo<br />

clamorosi errori di nomenclatura e dovendo poi pubblicare affrettate<br />

correzioni), screditare l’avversario con accuse di furto, spionaggio,<br />

malversazione.<br />

Con Marsh che poteva attingere alle casse del neonato Servizio Geologico<br />

americano, non ci fu mai una vera possibilità per Cope, che finì con<br />

l’indebitarsi per acquistare fossili, e nel raccogliere un ossessivo dossier<br />

su tutte le cattive pratiche e le scorciatoie prese dal rivale. In capo a<br />

pochi anni, Cope scomparve virtualmente dalla storia, col solo conforto<br />

dell'amicizia di alcuni colleghi, fra i quali un suo giovane studente con la<br />

passione per i primati (nel senso delle grandi scimmie), Henry Fairfield<br />

Osborn.<br />

Con l'avvicinarsi del nuovo secolo, la Grande Guerra delle Ossa pareva<br />

conclusa una volta per sempre, e destinata all'oblio al quale molto<br />

volentieri l'avrebbero consegnata i membri della comunità scientifica,<br />

una nota a pi<strong>è</strong> pagina della storia della paleontologia.<br />

Se non fosse stato ancora una volta, indirettamente, per Giulio Verne.


Regolamenti di Conti<br />

Nel 1989, l’attore inglese Michael Palin, fino a quel punto famoso come<br />

membro dei Monty Python (<strong>è</strong> quello che interpreta, fra gli altri, il bleso<br />

Ponzio Pilato in Brian di Nazareth), partì dal Pall Mall Club di Londra per<br />

tentare il giro del mondo in 80 giorni, ripetendo esattamente le tappe<br />

descritte dal libro di Jules Verne.<br />

Dall’esperienza, piuttosto faticosa ma conclusa con successo, Palin ricavò<br />

una serie televisiva, un libro ad essa abbinato che entrò nella classifica<br />

dei best­seller ed un’idea che avrebbe ripetuto numerose volte<br />

(attraversando il Sahara a piedi, percorrendo un meridiano da polo a<br />

polo, mettendosi sulle tracce di Ernest Hemingway, esplorando il<br />

paesaggio Himalayano e così via), costruendosi una carriera parallela<br />

come esploratore televisivo e divulgatore.<br />

Non male, considerando che non si trattava neppure di un’idea originale.<br />

Il romanzo di Verne era stato pubblicato, come abbiamo visto, proprio nel<br />

1873, parte della serie dei Viaggi Straordinari che avevano fatto la<br />

fortuna dell’autore.<br />

Nell’edizione inglese il romanzo venne decurtato di tutta una serie di<br />

osservazioni poco piacevoli sulla politica coloniale britannica, ma<br />

nessuno ne notò l'assenza.<br />

Il Giro del Mondo venne più volte adattato per lo schermo, in particolare<br />

in una produzione sontuosa e colossale del 1956, interpretata da David<br />

Niven; il film che coniò l'espressione “cameo” per indicare la<br />

partecipazione en­passant di una star famosa (43 artisti – da Frank<br />

Sinatra a Fernandel a sir John Gielgud a Marlene Dietrich fecero una<br />

comparsata) la pellicola si conquistò un posto d'onore nel Guinnes dei<br />

primati con il maggior numero di animali mai impiegati in una pellicola,<br />

il maggior numero di costumi mai realizzati per una singola produzione<br />

(34.685) il maggior numero di comparse mai ingaggiate (68.894<br />

persone) e ben 140 set. Seguirono un paio di serie televisive (una con<br />

Pierce Brosnan da giovane), un secondo film (interpretato da Jackie<br />

Chan) e numerosi adattamenti a cartoni animati. E molto prima del pur<br />

simpatico Michael Palin, qualcun altro aveva pensato di emulare il<br />

protagonista del romanzo, lanciandosi in una corsa contro il tempo<br />

attorno al globo.<br />

Molto prima: esattamente cento anni prima di Michael Palin, nel 1889, la<br />

venticinquenne americana Nellie Bly, con la sola compagnia di una<br />

scimmietta e di un pappagallo, si era infatti imbarcata ad Hoboken, New


Jersey (che, ammettiamolo, suona un po’ meno romantico del Pall Mall<br />

Club di Londra) per farvi ritorno circa settantadue giorni dopo, avendo<br />

completato il giro del mondo e migliorato il record di Phineas Fogg.<br />

Nellie Bly (nata Elizabeth Jane Cochran, 1864­1922) lavorava per il New<br />

York World, quotidiano di proprietà di Joseph Pulitzer, che<br />

quotidianamente (appunto) aveva provveduto a pubblicarne i resoconti<br />

di viaggio.<br />

L’impresa era stata finanziata quasi interamente dal New York World,<br />

ultimo arrivato sul mercato rampante dei quotidiani newyorkesi, ma<br />

Nellie Bly poteva anche contare su una quantità di sponsorizzazioni – da<br />

un noto grande magazzino, che aveva fornito il suo abito da viaggio a<br />

scacchi con cappellino coordinato “alla Nellie Bly”, alle varie industrie<br />

(dai produttori di cibi in scatola alle farmacie) che sponsorizzavano le<br />

figurine della serie "Nellie Bly Intorno al Mondo in 80 Giorni", molto<br />

popolari fra i lettori di tutte le età.<br />

Personaggio chiave nella storia del movimento suffragista per la parità<br />

politica e sociale fra i sessi, ma anche elemento cardine per comprendere<br />

il fenomeno tutto americano dell’infotainment, Nellie Bly aveva compiuto<br />

in effetti imprese più giornalisticamente dignitose – culminate con il suo<br />

internamento, nel 1888, in un manicomio femminile, per poterne esporre<br />

dall’interno gli orrori ed i soprusi; avrebbe chiuso la propria carriera<br />

sposando un ricco imprenditore, e subentrando dopo la morte di questi<br />

alla guida dell’azienda di famiglia.<br />

Una donna piena di risorse, Nellie Bly.<br />

Il giro del mondo, d’altra parte, per quanto “facile”, fece di lei una<br />

leggenda.<br />

E fece infuriare James Gordon Bennett, Jr.<br />

Definito “uno spiacevole sociopatico” anche dal suo biografo ufficiale,<br />

James Gordon Bennet, Jr., aveva ereditato nel 1841 il New York Herald<br />

dal padre, James Gordon Bennet, Sr., seguendone e radicalizzandone la<br />

politica.<br />

Rispettato quotidiano populista e conservatore sotto la guida paterna,<br />

l’Herald di Bennett Jr. era descritto come una sorta di galea sulla quale i<br />

giornalisti erano incatenati ai banchi dei rematori, ed il proprietario<br />

batteva il ritmo delle vogate sul tamburo. Alcune delle imposizioni<br />

dell’editore sono oggidì impensabili: i giornalisti che lavoravano per<br />

Bennett, ad esempio, non avevano diritto alla firma dei propri articoli. E<br />

l’unico nome che apparisse sul giornale, alla voce “Proprietario”, era<br />

proprio quello di J.G. Bennett.


Per gli appassionati di fumetti, Bennet <strong>è</strong> caricaturato/celebrato nella<br />

figura dell’autocratico J.J. Jameson, direttore del Daily Buggle per il<br />

quale lavora, angariatissimo fotografo freelance, il povero Peter Parker<br />

(alias l’Uomo Ragno). Ma la caricatura non regge il confronto con<br />

l’originale – anche perché alcuni dei tratti più distintivi di Bennett, come<br />

vedremo, non potrebbero essere pubblicati in un fumetto.<br />

Capriccioso, mentalmente instabile, pericolosamente dedito all’alcool,<br />

J.G. Bennett Jr. , nelle notti d’inverno, era solito porsi alla guida della<br />

propria carrozza e, “seriamente inebriato”, percorrere al galoppo la<br />

Quinta strada a Manhattan, nudo come un verme, in piedi a cassetta,<br />

frustando i cavalli come un ossesso ed ululando alla luna.<br />

Un altro suo passatempo consisteva nel pedalare infiniti giri di bicicletta<br />

attorno al palazzo dell’Herald, afferrando al volo bicchieri di brandy che<br />

un cameriere in posizione strategica doveva rifornire ad ogni nuovo,<br />

sempre più erratico giro. Queste incontinenze, oltre al fatto di aver<br />

utilizzato come orinatoio a parete il caminetto del salone delle feste della<br />

casa dei suoi futuri suoceri la sera della festa del fidanzamento (era già<br />

arrivato ubriaco), facevano di Bennett un personaggio rischioso e mal<br />

visto in società.<br />

“Matto, cattivo e pericoloso da conoscere”, e senza nessuno dei tratti<br />

positivi di Lord Byron, ma con un’eccellente comprensione istintiva per<br />

ciò che il pubblico desiderava: nel 1869, lo stesso anno in cui i<br />

paleontologi avevano (metaforicamente) sculacciato Bennett in pubblico<br />

per aver sostenuto l’autenticità del ridicolo Gigante di Cardiff, l’Herald<br />

aveva finanziato la spedizione di Henry Morton Stanley alla ricerca del<br />

Dottor David Livingstone, da tempo scomparso in Africa.<br />

Stanley avrebbe successivamente accettato l'incarico da parte di re<br />

Leopoldo del Belgio per negoziare l'acquisizione del Congo –<br />

intersecando con la propria traiettoria la carriera di Arthur Conan Doyle,<br />

come vedremo più avanti.<br />

La pubblicazione dei diari di Stanley – culminanti in quella che proprio<br />

Michael Palin avrebbe definito un secolo più tardi “la frase più banale<br />

dell’epica vittoriana” ­ aveva deliziato il pubblico dell’Herald, e Bennet<br />

aveva continuato ad intrattenere i propri lettori con imprese avventurose<br />

in luoghi esotici – arrivando nel 1879 a finanziare la spedizione di G.W.<br />

De Long nell’artico, alla ricerca del Passaggio a Nord Ovest ­ Lo stesso che<br />

un secolo prima, per ordine di Jefferson, avevano cercato invano Lewis &<br />

Clarke. De Long e tutto l’equipaggio della sua nave, la Jeanette,<br />

scomparvero e non vennero mai più ritrovati.


Ora, nel 1889, il successo di Nellie Bly e del rivale World era esattamente<br />

la cosa che un personaggio instabile come Bennett poteva prendere come<br />

un attacco personale.<br />

Ed il calo di vendite era comunque reale.<br />

L’editore si mise quindi alla ricerca di qualcosa, qualcosa di grosso e<br />

impressionante, che gli permettesse di tornare al comando nella corsa.<br />

In risposta alle preghiere di Bennet, si fece dunque avanti un certo<br />

William H. Ballou, un anonimo pennivendolo che si era inventato una<br />

distinta (ed assolutamente falsa) carriera come divulgatore scientifico.<br />

Ciò che Ballou offriva a Bennet andava oltre le più selvagge aspettative di<br />

quest’ultimo.<br />

Non solo si trattava dell’opportunità di spazzar via Nellie Bly ed il suo<br />

viaggio intorno al mondo, mettendo in piazza una storia di malaffare e<br />

corruzione, ma anche di “fare la festa” proprio al professor Othniel<br />

Marsh, reo di aver insultato personalmente Bennett (o così lui pensava)<br />

durante l’affare del Gigante di Cardiff.<br />

Ciò che Ballou offriva era nientemeno che La Grande Guerra delle Ossa,<br />

nella sua fase più esacerbata, artificiosa, inutile e velenosa.<br />

Dati aggiustati, dati falsificati, dati addomesticati.<br />

Accuse di furto.<br />

Accuse di corruzione ed uso a scopo privato di fondi pubblici.<br />

Per decenni, progressivamente sempre più frustrato e infelice, e<br />

paranoico, Edward Drinker Cope aveva documentato ogni irregolarità<br />

commessa di Othniel Marsh – e molte altre, anche solo presunte, o<br />

ipotetiche.<br />

E fu proprio una versione del dossier di Cope che arrivò sulla scrivania di<br />

Gordon Bennett nel 1889.<br />

I mesi che seguirono rappresentano uno dei momenti più tristi della<br />

storia della paleontologia, ma intrattennero il pubblico dell’Herald con il<br />

sempre popolare spettacolo degli scienziati che si accapigliano. Agli<br />

articoli seguirono le repliche degli interessati, e le controrepliche.<br />

Lettere infuocate.<br />

Insulti.<br />

Accuse di sottrazione di dati e di campioni.<br />

Pur ammettendo che Edward Cope si potesse trovare su un terreno di<br />

superiorità morale rispetto all'avversario – se non altro per il modo in cui<br />

Marsh aveva sabotato la sua carriera ed intralciato le sue ricerche ­ il<br />

sostegno fornitogli da Bennett finì per comprometterne ulteriormente la<br />

credibilità.


L'etilico editore e il suo giornale affamato di scandali non erano gli alleati<br />

più opportuni da avere al proprio fianco nell'arena accademica. L'Herald,<br />

d'altra parte, era ben deciso a sfruttare l'occasione per rimettere al suo<br />

posto tutta la genia degli scienziati, rappresentati tout court come palloni<br />

gonfiati truffaldini e meschini, per la delizia di una platea di lettori non<br />

esageratamente sofisticati.<br />

La comunità scientifica pensò bene di prendere le distanze.<br />

Poi, la vecchiaia: Cope, brillante e in anticipo sui tempi ma troppo<br />

vanitoso, morì solo e poco considerato, potendo contare solo<br />

sull’appoggio del giovane Henry Fairfield Osborn, suo ex studente e<br />

futuro direttore del Museo di Storia Naturale di New York.<br />

Marsh, autentico pescecane del mondo accademico, ora deriso dal Punch<br />

che lo rappresentò – per il colmo dell’ironia storica – come un Barnum<br />

della scienza, passò comunque alla storia come il più grande<br />

paleontologo americano, e lo scopritore di quel dinosauro che per quasi<br />

un secolo avrebbe rappresentato (nell’opinione di Theodore Roosevelt)<br />

“la potenza e la tenacia dello spirito americano” – il brontosauro, il più<br />

grande dinosauro mai esistito.<br />

Nel 1914, il brontosauro scoperto da Marsh divenne il protagonista di un<br />

cartone animato, ad opera di Winsor McCay, fumettista famoso per il<br />

surreale "Little Nemo in Slumberland", cronaca delle avventure oniriche di<br />

un bambino curioso, a metà strada fra Lewis Carroll e Giulio Verne, pietra<br />

miliare nella storia del fumetto.<br />

Secondo la leggenda, McCay ebbe modo di visitare la collezione di<br />

dinosauri di Marsh conservata al museo di Storia Naturale di Chicago in<br />

seguito ad un incidente stradale – aveva un paio d'ore da trascorrere in<br />

attesa che gli venisse cambiata una gomma forata.<br />

La visita ispirò a McCay l'idea di una storia che avesse per protagonista<br />

un simpatico brontosauro.<br />

Gertie the Dinosaur debuttò nel 1914.<br />

McCay e il suo assistente John A. Fitzsimmons (responsabile dei fondali)<br />

crearono 10.000 disegni, inchiostrati su carta di riso e successivamente<br />

montati su cartoncino. Negli anni successivi, gli animatori avrebbero<br />

imparato a lavorare con fondali fissi, comprendenti tutti gli elementi<br />

statici dell'immagine, sui quali sovrapporre un foglio di celluloide con le


parti in movimento, riducendo così drasticamente il lavoro, i tempi ed i<br />

costi.<br />

Ma McCay non aveva precedenti ­ stava effettivamente inventando un<br />

nuovo genere di cinematografia – e perciò scelse di ridisegnare ogni<br />

fotogramma del breve film come se fosse una vignetta in un fumetto<br />

statico.<br />

Il risultato <strong>è</strong> impressionante – dopo un'introduzione filmata che ribadisce<br />

e rafforza la leggenda della genesi del film al quale stiamo assistendo,<br />

McCay come un prestigiatore evoca il brontosauro Gertie su un blocco da<br />

disegno. Il dinosauro, dapprima timido, esegue alcuni semplici esercizi,<br />

sbocconcella un boschetto, si mangia un uccellaccio (o <strong>è</strong> uno<br />

pterodattilo?) ed un mammuth, si abbevera ad un laghetto,<br />

prosciugandolo.<br />

Poi cortesemente si congeda si congeda e si ritira.<br />

Certo non si tratta di Akira o di Jurassic Park, ma gran parte<br />

dell'iconografia appare ben delineata nei pochi minuti di Gertie – il<br />

panorama brullo e privo di vegetazione (anche a causa dell'appetito del<br />

rettile), il dinosauro voracissimo un po' impacciato e lento – come vuole<br />

la concezione più popolare – che tuttavia riesce ad eseguire semplici<br />

giochetti.<br />

Con un profilo da brontosauro “da manuale”, Gertie <strong>è</strong> bianca come lo<br />

sfondo e come il terreno – il film <strong>è</strong> monocromatico (vista l'età), ma<br />

McCay non si pone il problema di quale sia il colore del suo rettile<br />

ammaestrato.<br />

Nessuno si pone, a <strong>questo</strong> punto della storia, quel genere di problema, in<br />

effetti – neanche i paleontologi.<br />

Quello del colore della pelle dei dinosauri <strong>è</strong> un problema ancora di là da<br />

venire.<br />

Allo stato attuale, il dinosauro di McCay <strong>è</strong> quasi l'idea platonica di<br />

brontosauro – rappresenta lo stato delle conoscenze ed ignora ciò che la<br />

scienza non ha ancora preso in considerazione.<br />

L'impatto di Gertie the Dinosaur fu tale, che a riguardo si <strong>è</strong> tramandata<br />

una significativa leggenda, secondo la quale si tratterebbe del primo<br />

cartone animato della storia. Per quanto suggestiva, l'informazione <strong>è</strong><br />

errata – lo stesso McCay aveva già prodotto due cartoni animati, Little<br />

Nemo (1911) e How a Mosquito Operates (1912), ed esistono vari esempi<br />

precedenti. Ma Gertie fu tutta un'altra cosa.<br />

L’America, già cresciuta ad ossa e resti di mastodonte e mammuth, <strong>è</strong><br />

ormai in preda alla “dinomania” – i dinosauri vengono usati in pubblicità<br />

(dalla nascente industria petrolifera) ed editoria, e a tal punto <strong>è</strong>


infiammata l’immaginazione popolare che la maggior parte degli incontri<br />

con creature venute dallo spazio di testimoni oculari isterici fra fine ‘800<br />

e primi del ‘900 descrivono uomini­rettile (che solo dagli anni ’50 del 20°<br />

secolo saranno rimpiazzati dai “grigi” nell’immaginario popolare).<br />

In questi stessi anni, Conan Doyle comincia a pensare ad un modo per<br />

mettere definitivamente in pensione Sherlock Holmes e rimpiazzarlo.<br />

E col nuovo secolo, si avvicina la consacrazione di Marsh ad icona<br />

letteraria appena mascherata da uno pseudonimo.<br />

Il Mondo Perduto, vede la luce nel 1912.


Il Ritorno dell'Iguanodonte<br />

La radura degli iguanodonti era la scena di una orrenda<br />

carneficina.<br />

[…] Esaminando più da vicino i resti scoprimmo che tutto <strong>questo</strong><br />

macello era il prodotto di uno solo di quei goffi mostri, che era<br />

stato letteralmente fatto a pezzi da una qualche creatura forse non<br />

più grande, ma certo molto più feroce.<br />

[…]”Il nostro giudizio deve restare ancora in sospeso,” disse il<br />

professor Challenger […] “Tutti gli indizi sembrerebbero<br />

consistenti con la presenza di una tigre dai denti a sciabola, come<br />

quelle che si trovano ancora nelle brecce delle nostre caverne; ma<br />

la creatura che abbiamo visto era certamente più grande, e di<br />

carattere più rettiliano. Personalmente, io direi un allosauro.”<br />

“O un megalosauro,” disse Summerlee.<br />

“Esattamente. Qualsiasi dinosauro carnivoro soddisferebbe le<br />

condizioni. Fra di essi si trovano tutti i più terribili esempi di vita<br />

animale che abbiano mai maledetto la terra o benedetto un<br />

museo.”<br />

[Arthur Conan Doyle, Il Mondo Perduto (1910)]<br />

Conan Doyle, un uomo “le cui doti intellettuali si avvicinavano di più a<br />

quelle di Watson che non a quelle di Sherlock Holmes” (per dirla con J.K.<br />

Chesterton), e che comparirà a più riprese nella nostra storia, creò il<br />

professor Challenger in un inutile tentativo di evasione dal popolare<br />

personaggio che lo aveva intrappolato.<br />

Le velleità di Conan Doyle quale serio autore di romanzi storici e di<br />

epigono di Walter Scott erano infatti regolarmente frustrate dal successo<br />

del “popolare” Sherlock Holmes, il quale oltre a “distrarre il pubblico” dai<br />

legnosissimi romanzi storici di Conan Doyle, relegava pure il proprio<br />

autore alla penombra ed un ruolo secondario; i fan, dopotutto, le lettere<br />

le indirizzavano a Holmes, non a Conan Doyle!<br />

E se uccidere Holmes nel 1893 non aveva funzionato, forse rimpiazzarlo<br />

con un eroe altrettanto cerebrale, attivo nel genere emergente<br />

dello scientific romance reso popolare da Verne e Wells, e mirato ad un<br />

pubblico giovanile, avrebbe sortito l’effetto desiderato.


La vicenda <strong>è</strong> narrata da Edward Malone, giornalista del Daily Gazette,<br />

che si trova coinvolto con il burbero e grossolano professore George<br />

Challenger, noto zoologo e scienziato.<br />

Challenger ha qualche anno prima visitato un altopiano in Sud America,<br />

trovandovi resti di vita preistorica, e giungendo alla conclusione di avere<br />

trovato una terra ancora abitata da animali del Giurassico. Sbeffeggiato<br />

dai colleghi (ha perduto tutte le prove – incluso uno pterodattilo!)<br />

Challenger si propone dunque di partire per una seconda spedizione<br />

verso il Sud America, cui prenderanno parte (assieme allo stesso<br />

Challenger) il suo rivale accademico, il professor Summerlee, il baronetto<br />

e cacciatore John Roxton e lo stesso Malone.<br />

Giunti sull’altopiano (battezzato Terra di Maple White) i nostri eroi<br />

osservano animali preistorici quali l'iguanodonte e il tirannosauro, oltre<br />

ad incontrare una razza di uomini­scimmia ed una primitiva tribù di<br />

indios (che gli esploratori istruiranno su come massacrare gli uominiscimmia).<br />

Tornano infine in, con un altro pterodattilo vivo come prova di<br />

ciò che hanno scoperto.<br />

Il romanzo deve più all’opera di Sir Henry Rider Haggard, autore di bestseller<br />

su popoli e città perdute (Le Miniere di Re Salomone, 1886, e Lei,<br />

1887) che non alle accurate fantasie scientifiche di Verne.<br />

E se con Sherlock Holmes <strong>è</strong> uno strenuo propugnatore della logica<br />

deduttiva, nelle storie di Challenger Conan Doyle rimane più<br />

apertamente pessimista riguardo agli effetti generali del progresso<br />

scientifico.<br />

Come spesso accade, i personaggi del romanzo sono stati modellati da<br />

Conan Doyle sull’impronta di personaggi reali, e secondo quanto lo stesso<br />

Doyle affermò a suo tempo, il Professor Challenger sarebbe basato su<br />

William Rutherford, mentre il Professor Summerlee <strong>è</strong> in parte delineato<br />

sui tratti di Sir Robert Christison.<br />

Esiste però una seconda fonte di ispirazione, che pare sia stata trascurata<br />

dai biografi.<br />

Uscite successive aggiungeranno sfaccettature al personaggio, ma alla sua<br />

prima comparsa, ne Il Mondo Perduto, il professor Challenger, massiccio,<br />

brutale, barbuto e insopportabile, dotato di un umorismo greve e<br />

distorto, <strong>è</strong> la trasposizione fedele e accurata (e neppure troppo<br />

lusinghiera, tutto considerato) del professor Othniel Marsh.<br />

Marsh fu – come vedremo ­ un paleontologo brillante, se affrettato, ma fu<br />

anche e soprattutto (come Owen prima di lui) un abile manipolatore dei<br />

media. Ciò che Conan Doyle acquisisce e perpetua col proprio romanzo,


endendola universalmente popolare <strong>è</strong>, almeno in parte, una<br />

mistificazione.<br />

Difficilmente Conan Doyle poteva essere all’oscuro dello scontro fra i due<br />

paleontologi americani; non solo <strong>questo</strong> aveva avuto – come vedremo fra<br />

poco ­ ampia eco sulla stampa (due scienziati che si accapigliano fanno<br />

sempre notizia), ma l’autore di Sherlock Holmes aveva numerosi contatti<br />

con la comunità paleontofila britannica, che avrebbero portato, pochi<br />

anni dopo, al suo coinvolgimento nella faccenda dell’Uomo di Piltdown .<br />

Nella campagna inglese, piovosa e ammantata di brume, nella regione<br />

del Sussex (proprio dove aveva scorrazzato felice Gideon Mantel), a<br />

ridosso della Prima Guerra Mondiale, nel 1912, un gentiluomo di nome<br />

Charles Dawson, paleontologo dilettante, ritrovò i resti di quello che, dal<br />

nome della località, prese il nome di Uomo di Piltdown.<br />

Negli scavi successivi, Dawson coinvolse pure un suo vecchio amico, Sir<br />

Arthur Smith Woodward, curatore del Dipartimento di Storia Naturale<br />

del British Museum, un corrispondente francese, Padre Theillard de<br />

Chardin, successivamente portavoce di una poco ortodossa teoria<br />

teologico­evolutiva, ed infine un vicino di casa, Arthur Conan Doyle, di<br />

professione scrittore e appassionato di antichità, che proprio in quegli<br />

anni stava scrivendo il primo romanzo di Challenger, Il Mondo Perduto,<br />

nonché personaggio notoriamente incline a venire menato per il naso da<br />

astuti ciarlatani.<br />

Nel caso dell’Uomo di Piltdown, per lo meno, Conan Doyle non fu l’unico.<br />

Perché solo quarant’anni dopo si sarebbe scoperto che si trattava di<br />

un’ardito accoppiamento di cranio di ominide e mascella di gorilla, e nel<br />

frattempo la stampa specializzata e non avrebbe strombazzato ai quattro<br />

venti la scoperta del secolo.<br />

Fasullo fino all’inverosimile (per la nostra epoca abituata alle datazioni al<br />

radiocarbonio), l’Uomo di Piltdown svolgeva due importanti funzioni.<br />

In primo luogo si trattava del primo ritrovamento di resti di ominidi nelle<br />

isole britanniche. Ne avevano trovati dappertutto, in Germania<br />

(Neanderthal, 1856), in Francia (Cro Magnon, 1869), persino a Giava<br />

(l’Uomo di Giava, 1890) ed in Cina (Uomo di Pechino, 1903), e se ogni<br />

passo di questa strada sembrava confermare le teorie esposte da Darwin<br />

nel suo The Descent of Man (1871), la Gran Bretagna restava<br />

spiacevolmente, imbarazzantemente priva di ominidi.<br />

Inammissibile.<br />

Con l’Uomo di Piltdown, l’orgoglio britannico era salvo.


Mentre salvava l'orgoglio nazionale della più importante potenza<br />

occidentale, l’Uomo di Piltdown svolgeva perfettamente era quello per il<br />

quale era stato progettato da Dawson e Woodward (e probabilmente de<br />

Chardin), quando avevano originariamente mescolato e sepolto quelle<br />

ossa variegate – l’Uomo di Piltdown era l’Anello Mancante, individuo<br />

dotato di tratti intermedi fra l’uomo (la calotta cranica ampia che<br />

testimoniava intelligenza e capacità verbali ed associative avanzate) e la<br />

scimmia (la mascella massiccia, primitiva, coi dentoni).<br />

Oggi, mentre gli anatomisti funzionali possono guardare ai resti di<br />

Piltdown e scoppiare a ridere (come poteva avere un cervello adatto a<br />

parlare ed una mascella che ostacola l’eloquio?), sappiamo che l’Anello<br />

Mancante non esiste e non <strong>è</strong> mai esistito.<br />

Tornando alla letteratura, non possiamo infine escludere che il<br />

personaggio di Challenger fosse, per Conan Doyle, una sorta di alter ego<br />

ideale, più borghesemente dignitoso e letterariamente gestibile di<br />

Holmes, più fermamente radicato nella realtà; e l'autore si fece ritrarre in<br />

alcune foto promozionali nei panni di Challenger. Con indosso il costume<br />

di Challenger e spacciandosi per un medico tedesco, Conan Doyle riuscì<br />

anche a farsi beffe di suo cognato, piombandogli a casa come ospite<br />

inatteso; scoprendo l'inganno, la vittima non esitò a buttare fuori di casa<br />

a calci lo spiritoso parente acquisito.<br />

"Ci sono momenti, ragazzo mio, in cui ognuno di noi deve<br />

prendere una posizione precisa a favore dei diritti umani e della<br />

giustizia, o non ci si potrà mai più sentire puliti."<br />

[Lord John Roxton, in The Lost World, Sir Arthur Conan Doyle]<br />

Altre fonti di ispirazione per il romanzo vennero cooptate dalla realtà<br />

immediata – i personaggi di Edward Malone e Lord John Roxton vennero<br />

costruiti sul modello di Edmund Dene Morel e Roger Casement, fondatori<br />

della Congo Reform Association.<br />

Morel e Casement avevano portato la situazione del popolo del Congo<br />

Belga al pubblico londinese, e Conan Doyle ne aveva ricavato il pamphlet<br />

"The Crime of the Congo", scritto in otto giorni sull'onda della furia<br />

suscitata dalle rivelazioni di Morel e Casement.<br />

Su incarico del re del Belgio Leopoldo Secondo, l'esploratore e giornalista<br />

Henry Stanley (l'uomo che aveva ritrovato il dottor Livingstone) aveva<br />

negoziato, tra il 1879 ed il 1884, una serie di accordi con i capitribù del<br />

bacino del Congo, portandoli sotto la sfera di influenza delle autorità<br />

belghe. L'autorità belga venne ratificata nel 1885 e immediatamente


venne messa in atto nell'area congolese – con un costo in termini di vite<br />

umane devastante.<br />

Conan Doyle pubblicò il suo testo indignato, e proseguì l'attività<br />

contattando giornali e capi di stato nel tentativo di creare un fronte di<br />

indignazione popolare.<br />

Ironicamente, durante la Grande Guerra, sia Morel che Casement<br />

vennero accusati di tradimento e processati – con l'illusione di perorare la<br />

causa dell'indipendenza irlandese, avevano cercato un accordo con le<br />

autorità tedesche per supportarne l'azione contro la Gran Bretagna.<br />

Nel romanzo, Challenger, Summerlee e compagni esplorano un altopiano<br />

sudamericano sul quale la vita <strong>è</strong> rimasta in gran parte ferma al<br />

Mesozoico. Fra le molte meraviglie di cui sono testimoni, i nostri eroi si<br />

trovano pure al margine di uno scontro mortale fra un iguanodonte ed<br />

un carnivoro non meglio identificato.<br />

In un magistrale esempio di economia drammatica, Conan Doyle si limita<br />

a descriverci gli effetti sonori dello scontro e le sue conseguenze.<br />

L’immagine delle due bestie avvinghiate, i lettori ormai la posseggono già,<br />

mutuata da cento anni di illustrazioni scientifiche.<br />

Quando nel 1925 il cinema ci proporrà una versione filmica de Il Mondo<br />

Perduto, lo scontro fra titani sarà immancabile.<br />

Il Mondo perduto non <strong>è</strong> solo il primo film proiettato su un aereo in volo,<br />

tra Londra e Parigi, nell’Aprile 1925.<br />

Si tratta anche del primo film a fare uso di animazione in stop­motion: la<br />

lentezza postulata dai paleontologi ben si adatta all’animazione a passo<br />

uno degli effetti speciali del film – che <strong>è</strong> comunque tanto preciso da darci<br />

non solo una ricostruzione esatta dei dinosauri (con gli erbivori che<br />

ruminano!), ma anche nell’interpretazione di Wallace Beery, una<br />

rilettura fedelissima di Marsh in versione pulp.


aby even the losers,<br />

keep a little bit of pride,<br />

they get lucky sometimes<br />

[Tom Petty]<br />

E potrebbe anche finire così, no?<br />

Una guerra dimenticata, una faida tra un prepotente e un insicuro, la<br />

vendetta di un personaggio seriamente deviato, e poi i media che si<br />

impossessano della storia e la trasformano in una leggenda.<br />

Cope scompare.<br />

Marsh trionfa, ma cade.<br />

Ci fanno un film che ha uno strepitoso successo.<br />

Ci si potrebbe addirittura appiccicare una bella morale.<br />

E sopravvissuto ai due paleontologi, il Brontosauro, definito “il più<br />

americano dei dinosauri” nientemeno che da Teddy Roosevelt.<br />

Usato come testimonial per la pubblicità di una nota compagnia<br />

petrolifera.<br />

Nelle vesti di “Gertie the Dinosaur” il primo protagonista del primo<br />

cartone animato della storia.<br />

Lo si vede ruminare contento ne “Il Mondo Perduto” del 1925.<br />

Ma la storia non <strong>è</strong> finita, perché anche gli sconfitti, di quando in quando,<br />

hanno un momento di rivalsa.<br />

Forse marginale.<br />

Forse postuma.<br />

Ma innegabile.<br />

E così, nel 1983, alcuni studiosi che stavano risistemando le collezioni<br />

dello Smithsonian, scoprirono che Othniel Marsh aveva avuto troppa<br />

fretta nel montare i resti provenienti da Como Bluff.<br />

Un problema classico di molti dei campioni raccolti da Cope e Marsh, in<br />

effetti.<br />

Marsh aveva avuto troppa fretta di pubblicare una nuova specie – e ciò<br />

che era noto al mondo intero come il brontosauro risultò essere in effetti<br />

il mix di resti di diplodoco e apatosauro.<br />

E chi ricorda la vicenda dell'elasmosauro di Cope e del professor Leidy<br />

non mancherà di notare l'ironia.<br />

Per quanto mantenuto in circolazione dalla consuetudine, il Brontosauro<br />

non ha più alcun valore scientifico.<br />

Il più americano dei dinosauri non esiste più.<br />

Non <strong>è</strong> mai esistito.


Appendice – Cadillac e Dinosauri<br />

Con buonapace di Quentin Tarantino, la narrativa “pulp” deve il proprio<br />

nome – lo si <strong>è</strong> ormai ripetuto fino alla noia – alle riviste popolari che<br />

sommersero le edicole statunitensi fra il 1901 ed il 1950; stampate su<br />

carta di bassissima qualità (pulp paper), con copertine sgargianti e titoli<br />

improbabili, specializzate nel fornire al pubblico un intrattenimento<br />

sensazionalistico ed avventuroso, generalmente disimpegnato, vendevano<br />

in media cinque milioni di copie la settimana.<br />

La “pulp fiction” ci ha dato Chandler, Hammett, Lovecraft, Tennessee<br />

Williams ma, da un punto di vista contenutistico, <strong>è</strong> figlia di un solo uomo<br />

che, nel tentativo di sfuggire ad una monotona vita da imprenditore<br />

fallito e di mantenere la propria famiglia (moglie e tre figli), creò un<br />

nuovo genere letterario, divenne ricchissimo, e fondò una città in<br />

California.<br />

Si chiamava Edgar Rice Burroughs, ed era un grande narratore.<br />

"...se c'era gente pagata per scrivere porcherie come quelle che<br />

leggevo in alcune di quelle riviste [mi dissi] che io potevo scrivere<br />

storie altrettanto brutte. E in effetti, anche se non avevo mai<br />

scritto una storia, sapevo con assoluta certezza che sarei stato<br />

capace di scrivere storie altrettanto divertenti, e probabilmente<br />

molto più divertenti, di quelle che leggevo in quelle riviste. "<br />

Edgar Rice Burroughs sulle motivazioni del suo esordio letterario<br />

Nato nel 1875 a Chicago, aveva studiato in varie scuole prima di entrare<br />

in accademia militare, prima alla Phillips Academy di Andover e poi alla<br />

Michigan Military Academy. Fallito il tentativo di entrare a West Point nel<br />

1895, aveva servito nel Settimo Cavalleria in Arizona, per due anni,<br />

prima che un problema cardiaco non lo spingesse a lasciare le armi.<br />

Da civile, Burroughs lavorò come cowboy e manovale, fino ad entrare<br />

nell'azienda del padre, che lasciò comunque nel 1904 in cerca di stipendi<br />

ed opportunità migliori che tuttavia non si concretizzarono.<br />

Quando pubblicò il suo primo romanzo, Under the Moons of Mars (1912 –<br />

lo stesso anno di Lost World e dell'uomo di Piltdown), introducendo al<br />

pubblico il personaggio di John Carter, Burroughs aveva alle spalle una<br />

decina d'anni di stipendi minimi e lavori precari, ed era impiegato come<br />

rappresentante di temperamatite.


Under the Moons of Mars gli fruttò 400 dollari, certo molto di più di<br />

quanto facesse a vendere temperamatite, e Burroughs capì di aver<br />

trovato la tranquillità finanziaria.<br />

Nell'ottobre del 1912, diede alle stampe, a puntate, Tarzan of the Apes.<br />

La città di Tarzana, sorta attorno al ranch che Burroughs acquistò in<br />

California coi proventi dei propri libri, conta oggi 16.000 abitanti.<br />

Poco importa che Tarzan, la sua opera più famosa, plagi Il Libro della<br />

Giungla di Kipling (che apprezzò il complimento implicito e si dichiarò<br />

fan di Tarzan); Burroughs ci mette abbastanza del suo per fare della<br />

storia di Lord Greystoke un lavoro indipendente da quello di Kipling,<br />

un’opera forse meno letterariamente ispirata, ma certo altrettanto<br />

potente, ibrido del “buon selvaggio” di illuministica memoria e di certi<br />

strani turbamenti pseudo­darwiniani che avrebbero spazzato l’opinione<br />

pubblica americana per alcuni decenni; il tutto cucinato in una salsa<br />

avventurosa che in capo a pochi anni Burroughs avrebbe perfezionato<br />

trasformandola in uno stile ed in un metodo: inizio col botto, colpi di<br />

scena a raffica, capitoli che si chiudono con un momento da brivido.<br />

Linguaggio semplice, prosa scorrevole, nomi assolutamente orecchiabili e<br />

facili da ricordare.<br />

Donne poco vestite, eroi leali ed indomabili, bestie feroci.<br />

Burroughs aveva un buon occhio per ciò che interessava al pubblico: con<br />

Tarzan, a riguardo, si mise in aperto disaccordo con gli “esperti”,<br />

lanciando il proprio personaggio <strong>attraverso</strong> tutti i media disponibili –<br />

romanzi, strisce settimanali a fumetti, film, radiodrammi. Anziché la<br />

pericolosa e controproducente saturazione pronosticata dai tecnici,<br />

Burroughs creò un'icona culturale, e fece un sacco di soldi.<br />

Il mercato abituale di Burroughs erano le riviste di<br />

avventura “Argosy” e “All­Stories”, ma fu “Blue Book”, uno dei precursori<br />

del “pulp”, a pubblicare nel 1918, in tre puntate, una storia di Burroughs<br />

zeppa di dinosauri e uomini primitivi, intitolata La Terra dimenticata dal<br />

Tempo.<br />

Il romanzo narra le avventure di Bowen J. Tyler, passeggero americano di<br />

una nave affondata da un U­Boot, l'U­33, nel 1916. Preso il controllo del<br />

sottomarino grazie all'aiuto di altri naufraghi, Tyler si trova alla deriva<br />

nell'Atlantico Meridionale.<br />

Ormai in acque antartiche, l'U­33 raggiunge un'isola misteriosa, forse la<br />

mitica Caprona segnalata dall'esploratore (immaginario) italiano Caproni<br />

nel 18° secolo. Caprona si rivelerà popolata di animali preistorici, il cui<br />

grado di evoluzione sembra variare per area geografica. Seguiranno


incontri con popolazioni primitive, battaglie, inseguimenti, il rapimento<br />

della bella di turno, e un “gacio” per eventuali storie successive (due<br />

– People that Time Forgot e Out of Time's Abyss)<br />

L’America, a ridosso del primo conflitto mondiale, era in preda alla<br />

dinomania, solleticata dall’edizione economica del romanzo di Conan<br />

Doyle e dall’esposizione di cui avevano goduto Cope e Marsh, e non era<br />

la prima volta che Burroughs flirtava con i dinosauri.<br />

Nel 1914 il primo romanzo del ciclo di Pellucidar, ambientato in una<br />

Terra cava popolata di dinosauri assortiti e pterodattili partenogenetici,<br />

telepatici e malvagi, aveva permesso a Burroughs di diventare un<br />

romanziere a tempo pieno.<br />

Probabilmente ispirato a Verne, il ciclo di Pellucidar si basava su una<br />

teoria che, se all’epoca stava già perdendo punti molto rapidamente, era<br />

ancora considerata accettabile da più parti, secondo la quale la Terra <strong>è</strong><br />

costruita per gusci concentrici. Burroughs aveva per un breve periodo<br />

insegnato geologia (in un’accademia militare), traendone spunto per le<br />

proprie successive imprese letterarie.<br />

In <strong>questo</strong> senso Pellucidar, mondo primitivo e vastissimo, popolato di<br />

tutte le creature primitive che possono servire all’autore per mantenere<br />

alta la tensione, <strong>è</strong> a tutti gli effetti un romanzo di fantascienza e “di<br />

attualità”, costruito (come i lavori di Verne) su un importante dibattito<br />

scientifico contemporaneo. In effetti, anche se solo il lavoro di Burroughs<br />

sopravvive oggi sugli scaffali dei librai, a cavallo del secolo comparvero<br />

non meno di dieci romanzi ambientati nella Terra Cava, opera di autori<br />

solitamente legati alla Teosofia.<br />

“Contrariamente alle predizioni di George Orwell sugli effetti<br />

deleteri della narrativa popolare sulle giovani menti, da grande<br />

non sono diventato un fascista, un razzista o un massacratore<br />

casuale di animali e uomini per aver letto Burroughs. “<br />

[Michael Moorcock, (2005)]<br />

La Terra dimenticata dal Tempo, romanzo che vedrà la pubblicazione in<br />

volume unico solo nel 1924, appartiene comunque al “secondo periodo”<br />

burroughsiano, nel quale l’autore comincia a dedicare maggiore<br />

attenzione all’elemento scientifico delle sue storie, probabilmente in


isposta alla nascita della science fiction pubblicata con successo da Hugo<br />

Gernsback.<br />

Il luogo dell’azione, Caspak, isola nella quale l’evoluzione <strong>è</strong> ciclica, ma<br />

avviene con tempi storici anziché geologici, <strong>è</strong> più credibile e solida, come<br />

costruzione concettuale, del pur divertente Pellucidar, ed il romanzo <strong>è</strong><br />

scritto infinitamente meglio; si tratta certo di una delle prove più<br />

interessanti di Burroughs, e mostra un indubbio coraggio nel trattare<br />

spassionatamente (ed in modo piuttosto divertente, tutto considerato)<br />

quelle teorie darwiniane che proprio in quegli stessi anni tante accalorate<br />

discussioni causavano negli Stati Uniti.<br />

La copertina dell'edizione Ace ciu ripresenta il solito vecchio iguanodonte<br />

col corno sul naso, dato insolito, vista la tendenza generale: gli<br />

illustratori di Land that Time Forgot, da J. Allen St. John in poi, si sono<br />

sempre concentrati di più sul topless della protagonista femminile o sui<br />

confronti tecnologici (plesiosauro contro u­boot, pterodattilo contro<br />

idroplano), che non sul contenuto pseudo­paleontologico del romanzo e<br />

il grande Frank Frazetta (che fu anche un apprezzato illustratore<br />

scientifico) si costrui una carriera ed una leggenda con le donnine ed i<br />

dinosauri di Burroughs.<br />

E da Burroughs e Frazetta discendono in fondo tutti i fumetti che hanno<br />

al loro nucleo dinosauri (Turok, curioso dino­western prodotto dagli anni<br />

’50 da uno degli sceneggiatori di Bonanza) e donne avvenenti (Cave<br />

Girl e Xenozoic Tales/Cadillacs & Dinosaurs fra gli esempi più dignitosi e<br />

purtroppo meno noti).<br />

“La bestia <strong>è</strong> così grande, e l’organizzazione del suo sistema<br />

nervoso di così basso livello, che ci <strong>è</strong> voluto tutto <strong>questo</strong> tempo<br />

perché l’informazione relativa alla sua morte raggiungesse il suo<br />

cervello minuscolo. La bestia <strong>è</strong> morta quando le vostre pallottole<br />

l’hanno colpita; ma non se ne <strong>è</strong> resa conto per parecchi secondi –<br />

forse un minuto. Se non sbaglio si tratta di un allosauro del<br />

Giurassico Superiore, i resti del quale vennero rinvenuti nel<br />

Wyoming Centrale, alla periferia di New York.”<br />

[Edgar Rice Burroughs, La Terra dimenticata dal Tempo (1918)]<br />

Ci sono forse iguanodonti nel romanzo di Burroughs?<br />

Probabilmente no. In verità, un protagonista del romanzo assiste,<br />

durante le proprie esplorazioni dell’isola misteriosa, ad uno scontro fra<br />

due lucertole giganti, ma l’illustrazione di Williamson & Crandall per la<br />

scena, nella ristampa Ace degli anni’70, <strong>è</strong> paleontologicamente priva di


significato – i due mostri sembrano più imparentati con serpenti che con<br />

dinosauri.<br />

Eppure, quasi contemporaneamente, nel 1971 La Terra dimenticata dal<br />

Tempo di Burroughs compare per la prima volta in Giappone, pubblicata<br />

in tre volumi dall’editore Hakayama (che approfitta probabilmente del<br />

fatto che sono scaduti i diritti d’autore).<br />

La copertina del secondo tomo, Il popolo dimenticato dal tempo, di<br />

Kazuaki Saito, <strong>è</strong> significativa: abbarbicati ad un picco a strapiombo sul<br />

mare, quasi un faraglione preistorico, un eroe (opportunamente<br />

tarzaniano) e la sua compagna dalle chiome al vento osservano lo<br />

scontro che si svolge sotto di loro.<br />

Nell’acqua, un iguanodonte (<strong>è</strong> proprio lui, con il corno da rinoceronte e<br />

tutto il resto) <strong>è</strong> stretto nelle spire di un serpente marino che pare<br />

strettamente imparentato con il plesiosauro di Verne e Riou; mentre il<br />

plesiosauro (?) si avventa con le fauci zannute alla gola dell’iguanodonte,<br />

<strong>questo</strong> si volta e, con un movimento che abbiamo già visto in Martin e in<br />

Figuier e in Riou, si lancia a sua volta contro l’aggressore.<br />

Sono passati centotrentacinque anni, e siamo molto distanti dalla<br />

campagna del Sussex nella quale il dottor Mantell e signora<br />

scorrazzavano col calesse.<br />

Non solo, ma il progredire delle conoscenza ha radicalmente trasformato<br />

in questi anni l’immagine che Mantell, Owen ed i loro contemporanei<br />

avevano dell’Iguanodon: non più una specie di cane/rinoceronte con una<br />

estesa voglia di lucertola, ma ormai riconosciuto come un sauro bipede,<br />

vistosamente privo del corno sul naso (che si <strong>è</strong> scoperto essere l’artiglio<br />

del pollice).<br />

E se i cinici possono affermare che l’iguanodonte di Kazuaki Saito <strong>è</strong> più<br />

imparentato con Godzilla che con Gideon Mantell, <strong>è</strong> indubbio che<br />

l’aspetto generale del rettile sia in <strong>questo</strong> caso molto più vicino alla realtà<br />

scientifica di quanto non fosse nelle illustrazioni precedenti; l’artista<br />

tuttavia non ha potuto esimersi dall’inserire alcuni dettagli sbagliati<br />

ma iconici (il corno, la cresta frastagliata sulla schiena), e dal replicare<br />

una situazione che, nella sua semplicità, riassume l’ostilità e l’alienità di<br />

un intero mondo, e che <strong>è</strong> parte del bagaglio culturale dei lettori.<br />

E poi perché disprezzare Godzilla?<br />

Lucertola mutata e risvegliata dai test atomici, attratta<br />

dall’inquinatissima baia di Tokyo e votata alla distruzione ed al<br />

caos, Godzilla ha fra i suoi ispiratori anche un personagio dalle<br />

credenziali scientifiche ineccepibili.


Fu la lettura del più famoso libro di Rachel Carson, quel Silent Spring che<br />

denunciava i pericoli dell’inquinamento (e del DDT in particolare), e<br />

costò all’autrice accuse di allarmismo e di “sabotaggio dello spirito<br />

imprenditoriale statunitense”, che ispirò gli sceneggiatori della Toho nel<br />

creare e delineare il campo di attività della più famosa lucertola di<br />

gommapiuma della storia del cinema. Il mostro come metafora<br />

dell’inquinamento e degli esperimenti umani sfuggiti al controllo.<br />

Il fantastico ha spesso goduto di queste curiose impollinazioni incrociate.<br />

Come quando nel 1933 la RKO chiese a due documentaristi di filmare<br />

“una bella storia romantica”, e quelli filmarono King Kong – ambientato<br />

su un’isola dimenticata dal tempo (echi di Conan Doyle e Burroughs) e<br />

nel quale il gorilla mostra per la prima volta tutta la propria vitalità<br />

selvaggia combattendo con un dinosauro (che, sì, caro lettore, si volta di<br />

scatto e tira ad azzannarlo).<br />

E nel 1960 Irwin Allen, un documentarista specializzato in film<br />

naturalistici dirigerà una nuova versione de “Il Mondo Perduto” di Conan<br />

Doyle; quattro anni prima, Allen si <strong>è</strong> per così dire “fatto le ossa” con The<br />

Animal World, documentario “alla Disney” sulla vita animale nel presente<br />

e nel passato; i dinosauri sono animati dal team di Ray Harryhousen, il<br />

valore documentaristico di The Animal World <strong>è</strong> molto opportunamente<br />

subordinato al valore spettacolare, e per la delizia del pubblico un<br />

iguanodonte incarognito, con corno regolamentare, si avventa su un<br />

malcapitato stegosauro, che si volta di scatto e lo azzanna a sua volta.<br />

Non c’<strong>è</strong> dubbio, per gli spettatori, che il Mondo Animale fosse, almeno a<br />

quell’epoca, un posto piuttosto violento.<br />

Infine, dinosauri di gommapiuma faranno la loro comparsa nel pallido<br />

adattamento cinematografico de La Terra dimenticata dal Tempo, a metà<br />

degli anni ’70.<br />

Avevo più potere di tanti altri durante la lavorazione di quel film<br />

perché la ERB Inc. insisteva (per qualche misteriosa ragione) che<br />

io fossi l'unica persona che avrebbe potuto fare la sceneggiatura<br />

alla maniera di Burroughs. Jim [Cawthorn, NdT] ed io la<br />

suddividemmo in parti e la scrivemmo – rendendo il tedesco molto<br />

più sensibile (ed il portavoce delle idee) – e l'unico serio<br />

cambiamento fu quel ridicolo finale (fatto senza consultarmi<br />

specificatamente dopo che avevo detto che non ci avrei messo<br />

vulcani etc. etc. ­­ avevo preparato un finale molto più lirico, che<br />

avrebbe funzionato molto meglio semplicemente in termini<br />

commerciali) – ma dovevano usare la Grimpen Mire da qualche<br />

parte, suppongo (<strong>è</strong> zuppa d'avena, quella roba). Gli effetti erano


da pochi soldi (quello pterodattilo rigido) ma riuscimmo a<br />

metterci un po' di atmosfera qua e là, e riuscimmo abbastanza a<br />

conservare l'idea di base. Il motivo per cui avevo accettato di farlo<br />

era che c'erano delle idee là dentro. Tuttavia, John Dark l'orribile<br />

piccolo produttore australiano che si comportava come la tipica<br />

caricatura del nano mastica­sigari hollywoodiano preso da qualche<br />

parodia degli anni '30; la descrizione non <strong>è</strong> mia, <strong>è</strong> di Doug<br />

McClure – non un grande attore, ma un tipo veramente simpatico<br />

– la sua laconica, inespressiva risposta a quel piccolo idiota – che<br />

mi aveva detto che Mai Zetterling (una buona amica) proprio non<br />

accettava consigli dopo che lui aveva cercato di aiutarla... Il tipo<br />

che faceva la parte del tedesco si considerava superiore al film in<br />

toto, e perciò Anton Diffrin dovette ridoppiarlo, perché era troppo<br />

fuori parte[...] Era un film meno stupido di quanto risultò poi alla<br />

fine, ma mano deludente per me del When Dinosaurs Ruled The<br />

Earth di Ballard! Non ne ho una copia. Una quantità sorprendente<br />

di adulti mi dicono che <strong>è</strong> il loro film preferito dei loro ragazzi,<br />

perciò devo aver pur fatto qualcosa di giusto...<br />

Gran parte dei dinosauri erano burattini. Io non ho nulla contro i<br />

burattini o la gente in costume da dinosauro – spesso sono più<br />

convincenti. Ma i brutti effetti speciali non mi hanno mai<br />

scoraggiato...<br />

[Michael Moorcock, lettera a David Langford]<br />

Sceneggiato da Michael Moorcock e James Cawthorn (che si<br />

dissoceranno dall’impresa dopo aver visionato la pellicola) ed<br />

interpretato dal colosso del B­movie Doug McClure (oggi famoso<br />

soprattutto per essere regolarmente parodiato nei cartoni animati dei<br />

Simpson), il film schiera il solito armamentario di serie B fatto di<br />

dinosauri di plastica e attricette tanto avvenenti quanto sconosciute –<br />

oltre ad un cattivo così barbarico e selvaggio che adorna la propria sala<br />

del trono con poster di Frazetta ­ e rappresenta un’ottima occasione<br />

perduta. Lo stesso vale per l’adattamento del primo Pellucidar (sempre<br />

con Doug McClure!), che bastò da solo a far chiudere i battenti alla casa<br />

produttrice.<br />

Oggi i diritti cinematografici sulle opere di Burroughs sono di proprietà<br />

della Disney, e <strong>questo</strong> ci lascia poco in cui sperare per il futuro.<br />

Ma restiamo in Giappone, per chiudere questa carrellata multimediale.<br />

Sempre nel 1971, in contemporanea con l’uscita del romanzo di<br />

Burroughs, la Toei mette in produzione una serie di 22 episodi a cartoni


animati, intitolata “Genshi Shoonen Ryu” (arriverà in Italia nel 1979 col<br />

titolo di “Ryu, il Ragazzo delle Caverne”); burroughsiana per tema e<br />

ambientazione (un’età della pietra in cui umani e dinosauri convivono ed<br />

il nostro eroe deve vedersela con avversari umani ed animali, oltre che<br />

con disastri naturali assortiti) la serie si apre con una sequenza di titoli di<br />

un didatticismo e di un valore iconico che farebbero inorgoglire Martin o<br />

Figuier: dopo un avvio con una nube di materia interstellare che si<br />

condensa a formare il nostro pianeta, si formano i primi bacini, la<br />

vegetazione conquista le terre emerse, i rettili emergono dalle loro uova,<br />

gli pterodattili solcano i cieli. Vulcani esplodono all’orizzonte ed un<br />

dinosauro non identificato, forse un tirannosauro, azzanna al garrese un<br />

plesiosauro, che per reazione si volta di scatto, e lo azzanna a sua volta.<br />

Su <strong>questo</strong> montaggio velocissimo (meno di 20 secondi) la canzone dei<br />

titoli passa da una fanfara roboante ad un ponte pop­rock alla prima<br />

strofa che recita “Un mondo ostile/che a tutti quanti paura fa”.<br />

Una figura e la sua didascalia, l'istantanea di un mondo, immutata<br />

<strong>attraverso</strong> 135 anni.


Ringraziamenti<br />

Questo lavoro <strong>è</strong> rimasto sul mio hard disc per quasi sei anni, mutando<br />

forma, contenuti, tono.<br />

È stato ampliato, riciclato, tramutato in conferenza, pubblicato<br />

parzialmente in varie forme.<br />

Ringrazio quindi la CoopStdi e la rivista LibriNuovi per aver ospitato<br />

parte di queste mie chiacchiere.<br />

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alle mie conferenze, e tutti<br />

coloro che apprezzarono il mio poster alle Giornate di Paleontologia di<br />

Urbino, tanti anni or sono.<br />

Ringrazio i miei complici abituali, la Squadra del Giovedì, mio fratello<br />

Alessandro, i miei vecchi compagni di corso del Birkbeck College.<br />

Grazie infine ai membri del Lemuria Social Club.<br />

DM<br />

Nota sulla seconda edizione.<br />

Il testo <strong>è</strong> stato revisionato, e gran parte dei refusi e delle brutture<br />

eliminati.<br />

Sono state aggiunte un migliaio di parole ­ non molto, ma ci auguriamo<br />

che le informazioni in più possano divertire tutti coloro che avevano letto<br />

la prima edizione nonostante i problemi del testo.


Bibliografia Minima<br />

Alvarez, W., T­Rex and the Crater of Doom ­ Princeton University Press,<br />

2008<br />

Bakker, R.T., The Dinosaur Heresies: New Theories Unlocking the<br />

Mystery of the Dinosaurs and Their Extinction ­ William Morrow & Co,<br />

1986<br />

Cadbury, D., Dinosaur Hunters – Bertrams Print on Demand, 2001<br />

Emling, S., The Fossil Hunter: Dinosaurs, Evolution, and the Woman<br />

Whose Discoveries Changed the World ­ Macmillan, 2011<br />

Fagan, B., The Little Ice Age: How Climate Made History 1300­1850 –<br />

Basic Books, 2001<br />

Fortey, R., Trilobite! Eyewitness to Evolution – Flamingo, 2001<br />

Fortey, R., Dry Store Room No. 1: The Secret Life of the Natural History<br />

Museum – HarperPress, 2008<br />

Freeman, M., Victorians and the Prehistoric ­ Yale University Press, 2004<br />

Gould, S.J., Bully for Brontosaurus ­ Radius, 1991<br />

Matsen, B. & Troll, R. ­ Planet Ocean: Story of Life, the Sea and Dancing<br />

to the Fossil Record ­ Ten Speed Press, 1995<br />

Mitchell, W.J.T., The Last Dinosaur Book: The Life and Times of a<br />

Cultural Icon – University of Chicago Press; 2nd edition, 1998<br />

Pierce, P., Jurassic Mary: Mary Anning and the Primeval Monsters ­ The<br />

History Press, 2008<br />

Preston, D.J., Dinosaurs in the Attic – St. Martin's Griffin, 1994<br />

Sanz, J.L., Starring T.Rex!: Dinosaur Mythology and Popular Culture<br />

­ Indiana University Press, 2003<br />

Weishampel & White, The Dinosaur Papers, 1676­1906 – Smithsonian<br />

Books, 2004<br />

Winchester, S., The Map That Changed the World: A Tale of Rocks, Ruin<br />

and Redemption – Penguin, 2002


Agili Volumetti del Fantastico e del<br />

Misterioso<br />

Per saperne di più, visitate il Lemuria Social Club:<br />

http://lemuria­socialclub.blogspot.com

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