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Diritti dei popoli indigeni - Fondazione Roberto Franceschi

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cap. 5: hanno scritto per noi<br />

no dal basso, ma molto più spesso ci troviamo ad avere a che fare con il primo<br />

caso.<br />

“Sia lode al dubbio” diceva il grande Bertold Brecht, ma i sostenitori dell’identità,<br />

talvolta anche in buona fede, sembrano non avere dubbi. Ma il porre<br />

troppo l’accento sull’identità conduce a immaginare un uomo monodimensionale<br />

i cui rapporti sarebbero tutti condizionati proprio da quell’identità.<br />

Invece di esaltarne il valore imprescindibile occorrerebbe prenderne le misure<br />

e valutarne la reale portata. Come sostiene lo storico inglese Eric Hobsbawm<br />

esistono “identità pelle” e “identità maglietta”. Le seconde sono le più numerose<br />

e, come le magliette, più facilmente intercambiabili. Ma soprattutto,<br />

come le magliette alla moda, sono proposte (per non dire imposte) quasi sempre<br />

dall’alto, da chi sta al potere e necessita di schieramenti più o meno artificiali<br />

per giocare le proprie mosse.<br />

Possedere un’identità forte, chiara e che ogni nostra azione debba fare per forza<br />

riferimento a tale identità, sembra essere un’angoscia del nostro tempo, un’ossessione<br />

moderna. È sintomatico che ci si trovi sempre più spesso a parlare di<br />

identità proprio mentre la cosiddetta globalizzazione ci sta avvolgendo ogni<br />

giorno di più nel suo mantello uniforme. Per dirla con Regis Debray: “mentre<br />

gli oggetti si mondializzano, i soggetti si tribalizzano”.<br />

Recentemente è stato fatto un referendum tra gli ispanoamericani di<br />

California per chiedere quale lingua volessero fosse insegnata nelle scuole. La<br />

scelta è stata quasi unanime: l’inglese. Perché grazie a questa lingua i loro figli<br />

avrebbero potuto integrarsi meglio. Una scelta che potrebbe irritare i fautori<br />

delle identità e dell’autenticità, ma è proprio su questo che dobbiamo riflettere.<br />

Tra i diritti <strong>dei</strong> <strong>popoli</strong> c’è, prima di tutto, quello della libera scelta. E non<br />

è detto che la scelta sia quella che desideriamo noi, che l’autodeterminazione<br />

significhi per forza distacco. Si può anche scegliere di non essere diversi in<br />

tutto. Invece di rimarcare continuamente, anche a fin di bene, le differenze<br />

culturali, bisognerebbe inserire tra i diritti dell’uomo quello all’indifferenza.<br />

Questa è la vera autodeterminazione.<br />

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