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Diritti dei popoli indigeni - Fondazione Roberto Franceschi

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<strong>Fondazione</strong> <strong>Roberto</strong> <strong>Franceschi</strong><br />

infatti, costituisce un peso eccessivo per le risorse locali; influenza il mercato del<br />

lavoro e fa lievitare i prezzi delle merci e delle proprietà nella zona; ma anche piccoli<br />

gruppi o viaggiatori solitari, non importa quanto sensibili, possono provocare<br />

inconsapevolmente effetti distruttivi sulla cultura locale, soprattutto se la comunità<br />

ospitante ha pochissimi contatti con la società “trainante”, come nel caso di alcune<br />

popolazioni tribali. Nei loro confronti, il rischio più evidente è quello che i visitatori<br />

possano essere portatori di malattie verso cui le comunità indigene non<br />

hanno difese immunitarie, come è successo con gli Yanomami: quando i cercatori<br />

d’oro hanno invaso il loro territorio nel 1980 hanno portato con sé il ceppo mortale<br />

della malaria, l’influenza e la tubercolosi.<br />

Troppo spesso i tour operator trattano i <strong>popoli</strong> tribali come oggetti esotici da esibire<br />

come parte dello scenario. Per molti turisti, cultura indigena è sinonimo di<br />

danze, canti, costumi e utensili e non ha più nulla a che fare con le idee, i valori,<br />

le credenze, i modelli sociali e gli stili di vita <strong>dei</strong> <strong>popoli</strong> che visitano. Ci si aspetta<br />

che eseguano musiche e danze tradizionali per i turisti: negli anni ’80,<br />

nell’Amazzonia peruviana, intere comunità di Yagua furono costrette dai tour operator<br />

a spostarsi in zone più accessibili ai turisti, che potevano così fotografarli più<br />

facilmente mentre si esibivano nelle loro sacre danze rituali. Allontanati dalla loro<br />

terra, gli Yagua non furono più in grado di sopravvivere se non dipendendo dal<br />

turismo. Avulsi dal loro originario contesto cerimoniale, tali aspetti della cultura<br />

tribale perdono di significato e vengono banalizzati, utensili che un tempo venivano<br />

prodotti per usi particolari, oggi si sono trasformati in chincaglieria. La cultura<br />

e le tradizioni <strong>indigeni</strong> vengono così sottovalutate, gli stereotipi rafforzati e perpetuati.<br />

Come Rigoberta Menchù, indigena guatemalteca Quiche vincitrice del Premio<br />

Nobel per la Pace 1992, ha recentemente commentato: “Quello che ferisce di più<br />

noi Indiani è vedere che i nostri costumi sono considerati bellissimi ma è come se<br />

la persona che li indossa non esista”.<br />

D’altra parte, molti <strong>popoli</strong> <strong>indigeni</strong> interagiscono da generazioni e in larga misura<br />

col “mondo” e possono anche avere attivamente incoraggiato il turismo e il commercio.<br />

L’interesse turistico spesso può favorire una rinascita culturale, a difesa del<br />

patrimonio storico e culturale di quella popolazione.<br />

In risposta agli effetti più negativi del turismo, molti tour operator hanno cominciato<br />

a definirsi “verdi” e hanno abbracciato la causa dell’“ecoturismo”. La definizione<br />

di ecoturismo è oggetto di grande dibattito. Sicuramente non è chiaro se l’ecoturismo<br />

sia in grado di fornire delle soluzioni ai problemi generati dal turismo.<br />

L’ecoturismo spera di cambiare la disparità di rapporto col turismo convenzionale.<br />

Quindi incoraggia l’uso di guide indigene e di prodotti locali. Tour educativi mirano<br />

a combinare un atteggiamento civile verso l’ambiente con un minimo di<br />

comfort nel viaggio, aiutano a proteggere flora e fauna locali e forniscono incentivi<br />

economici alle popolazioni locali per la salvaguardia del loro territorio. Per<br />

esempio, l’ecoturista può ora unirsi a un progetto di ricerca sulla foresta pluviale,<br />

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