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Testo della relazione in formato pdf - SPVet.it

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i quali <strong>in</strong>trodussero un’altra fondamentale <strong>in</strong>novazione: le vocali. L’alfabeto<br />

fenicio, come ancora avviene per l’ebraico e l’arabo moderni, era puramente<br />

consonantico - struttura ered<strong>it</strong>ata dalla scr<strong>it</strong>tura egizia - , ma questa<br />

caratteristica permetteva ambigu<strong>it</strong>à (come se <strong>in</strong> <strong>it</strong>aliano scrivessimo ‘cono’, ‘cane’<br />

e ‘conio’ allo stesso modo). I Greci, circa nel IX secolo a.C. , adattarono alcuni<br />

segni del fenicio, <strong>in</strong>utilizzati nella propria l<strong>in</strong>gua, per rappresentare le vocali. Dai<br />

Greci l’alfabeto si trasmise agli Etruschi e ai Lat<strong>in</strong>i. L’imperialismo <strong>della</strong> piccola<br />

nazione del Tevere diffuse l’alfabeto romano <strong>in</strong> tutta l’Europa occidentale e,<br />

qu<strong>in</strong>dici secoli più tardi, la colonizzazione europea <strong>in</strong> Oriente e nel Nuovo Mondo<br />

lo esportò <strong>in</strong> molte altre regioni. 6 Raramente però l’alfabeto lat<strong>in</strong>o riuscì a<br />

soppiantare precedenti forme di scr<strong>it</strong>tura, che erano divenute ormai elemento<br />

sostanziale delle culture locali.<br />

I numeri.<br />

Nei documenti tecnico-scientifici la rappresentazione scr<strong>it</strong>ta dei numeri è<br />

importante tanto quella delle parole. Difficile è raccontare la storia delle notazioni<br />

numeriche <strong>in</strong> così breve spazio - basti pensare che lo storico Georges Ifrah vi<br />

dedica ben seicento pag<strong>in</strong>e nel suo ponderoso “The Universal History of Numbers” 7<br />

- ma cercherò di concentrarmi sugli aspetti più rilevanti, lim<strong>it</strong>andomi a cenni<br />

sulla cosiddetta ‘notazione posizionale’. Con questo term<strong>in</strong>e si <strong>in</strong>dica il sistema<br />

che utilizza segni il cui valore dipende, non solo dal segno stesso, ma anche dalla<br />

posizione che questo occupa (ad esempio, nel numero 3378 il primo 3 <strong>in</strong>dica<br />

tremila, mentre il secondo 3, alla sua destra, rappresenta trecento). La<br />

superior<strong>it</strong>à <strong>della</strong> notazione posizionale è evidente: con soli dieci segni diversi (0, 1,<br />

2 ….9) possiamo scrivere qualunque numero; allo stesso modo con cui l’alfabeto,<br />

come abbiamo visto, permette di scrivere qualunque parola con meno di una<br />

trent<strong>in</strong>a di segni.<br />

La notazione posizionale comparve <strong>in</strong> India a tra il IV e il VI secolo d.C. 8 e fu<br />

adottata dagli arabi, dai quali prese il nome di cifre arabe. 9 Questi la trasmisero<br />

all’Europa cristiana nell’undicesimo secolo, 10 dove la sua accettazione fu molto<br />

lenta e solo nel Seicento sost<strong>it</strong>uì def<strong>in</strong><strong>it</strong>ivamente l’<strong>in</strong>efficiente numerazione<br />

romana. Secondo il matematico Laplace: “ … l’idea di esprimere tutte le quant<strong>it</strong>à<br />

con nove [sic.] cifre, dove si impartisce ad esse sia un valore assoluto, sia uno<br />

6 Altre l<strong>in</strong>ee di evoluzione parallele produssero diversi alfabeti. Oltre ad arabo, aramaico, ebraico e persiano,<br />

discendenti più o meno diretti dal Fenicio, abbiamo il cirillico e il glagol<strong>it</strong>ico nei paesi slavi e il futhark <strong>in</strong> Scand<strong>in</strong>avia,<br />

entrambi derivati dal greco. L’unico ‘alfabeto’ non riconducibile al proto-s<strong>in</strong>a<strong>it</strong>ico è lo hangul <strong>della</strong> Corea, risalente al<br />

XV secolo d.C.<br />

7 Op. c<strong>it</strong>.<br />

8 La datazione esatta dei documenti <strong>in</strong>diani è molto difficile; la prima testimonianza scr<strong>it</strong>ta delle cifre <strong>in</strong>diane, databile<br />

col nostro calendario, è dovuta al vescovo nestorianio Severus Sebokht, nel 662 d.C. Altre notazioni posizionali furono<br />

<strong>in</strong>ventate <strong>in</strong>dipendentemente dai Babilonesi (con base 60), dai C<strong>in</strong>esi (con base 10) e dai Maya (con base 20). Solo i<br />

Maya e gli Indiani utilizzarono lo ‘zero’.<br />

9 All’<strong>in</strong>izio del nono secolo lo studioso Abu Ja’fr Muhammad Ben Musa al Khuwarizmi (790- 850 d.C.) ne descrisse le<br />

proprietà <strong>in</strong> un trattato dal t<strong>it</strong>olo K<strong>it</strong>ab al jami’ wa’l tafriq bi hisab al h<strong>in</strong>d (“Tecniche <strong>in</strong>diane di addizione e<br />

sottrazione”). Dal nome dello studioso deriva il term<strong>in</strong>e ‘algor<strong>it</strong>mo’. Al Khuwarizmi fu anche l’<strong>in</strong>ventore dell’algebra,<br />

discipl<strong>in</strong>a che deve il nome al t<strong>it</strong>olo del suo trattato Al-k<strong>it</strong>ab al-mukhtasar fi hisab al-jabr wa'l-muqabalah, cioè “ L’arte<br />

di ridurre e di riunire”.<br />

10 I numeri <strong>in</strong>do-arabici furono per la prima volta importati <strong>in</strong> Europa da Gerberto di Aurillac (ca. 955-1003) eletto poi<br />

Papa Silvestro II; fu solo due secoli più tardi che Leonardo Pisano (1170-1240), detto Fibonacci, grazie ai suoi viaggi<br />

<strong>in</strong> Eg<strong>it</strong>to e <strong>in</strong> Siria, riscoprì i numeri arabi e li presentò ai matematici europei, nel suo Liber abaci del 1202.<br />

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