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La mafia americana: trapianto o ibridazione? - Rivista Meridiana

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Reti di mafie<br />

cifico di società e culture nazionali, regionali, locali, anche quando<br />

vanno alla conquista del mondo, quando passano a perpetrare il loro<br />

malaffare in contesti più ricchi. Ecco perché l’emigrazione ha un grande<br />

ruolo nel definire lo stesso concetto di cui ci occupiamo, a cominciare<br />

dalla <strong>mafia</strong> propriamente detta, quella siculo-italo-<strong>americana</strong>.<br />

Dagli americani come dagli italiani, la <strong>mafia</strong> viene dunque immaginata<br />

come una creatura di tipo tradizionale, vecchia di secoli se non di<br />

millenni: eppure la parola <strong>mafia</strong> arrivata intorno al 1890 sulle coste del<br />

Nuovo mondo era comparsa in Sicilia non molto prima, nel 1863.<br />

Torneremo su questo aspetto più avanti, ma voglio dire sin d’ora che<br />

la comunità di «costumi» e «filosofie criminali» tra le due sponde 7 non<br />

deriva solo da un mitico incipit, che la vicenda non può essere descritta<br />

come l’esportazione, da un continente all’altro, di un’altrettanto mitica<br />

organizzazione, completa di strutture centrali e periferiche. Lungo<br />

un secolo, hanno passato e ripassato l’oceano, in entrambe le direzioni,<br />

uomini, merci e modelli di associazionismo criminale, nonché<br />

nomi per definire tutto questo, producendo un effetto che è molto più<br />

quello dell’<strong>ibridazione</strong> che quello del <strong>trapianto</strong>: ed in tal senso, credo,<br />

il caso «originario» della <strong>mafia</strong> siciliana/<strong>americana</strong> può dirci qualcosa<br />

di importante sulle altre cosiddette mafie etniche moltiplicatesi nel secolo<br />

XX. Non esiste una <strong>mafia</strong> siciliana originaria e Doc, perché per<br />

quasi tutta la sua storia la <strong>mafia</strong> agisce a cavallo tra le due sponde. C’è<br />

di più. È certamente a causa della centralità dell’esperienza statunitense<br />

che oggi la parola <strong>mafia</strong> viene adoperata in tutto il mondo quale<br />

equivalente di grande criminalità. Ed ancora. Criminali e gente per bene<br />

hanno bisogno di pensare che il mafioso siciliano, o giapponese, o<br />

cinese, rappresenti l’elemento arcaico comune a noi tutti, l’interprete<br />

di un qualcosa che si va perdendo, che potremmo rimpiangere: un<br />

qualcosa che può essere un peccato o una virtù, un fattore relativo<br />

all’espressione delle nostre pulsioni violente o al contrario alla nostra<br />

capacità di tenerle sotto controllo – parlando a bassa voce, trovando<br />

una mediazione, portando nel gioco il concetto di autorità informale e<br />

quello di carisma. Solo lo scintillante palcoscenico fornito dalla grande<br />

industria <strong>americana</strong> della rappresentazione ha potuto dare alla <strong>mafia</strong><br />

pact, Washington 1986, p. 51. Tra i testi italiani che per vari aspetti mettono a confronto i<br />

due versanti cfr.: U. Santino-G. <strong>La</strong> Fiura, L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti,<br />

FrancoAngeli, Milano 1990; D. Gambetta, <strong>La</strong> <strong>mafia</strong> siciliana. Un’industria della protezione<br />

privata, Einaudi, Torino 1992; A. Becchi, Criminalità organizzata. Paradigmi e scenari delle<br />

organizzazioni mafiose in Italia, Donzelli, Roma 2000.<br />

8 A. Block, East Side-West Side. Organizing crime in New York, 1930-1950, University<br />

Colledge Cardiff Press, Cardiff 1980, p. 1.<br />

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