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prof. Alessandro Biancalani – AA 2012-2013 Studio ... - Daras

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<strong>prof</strong>. <strong>Alessandro</strong> <strong>Biancalani</strong> <strong>–</strong> <strong>AA</strong> <strong>2012</strong>-<strong>2013</strong> <strong>Studio</strong> Teologico Interdiocesano - Camaiore<br />

Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

Indice delle dispense di Paolo<br />

CAPITOLO I: Introduzione generale<br />

1. Consistenza del materiale<br />

1.1. Luogo e data della raccolta<br />

1.2. La formazione del Corpus Paolino<br />

1.3. Il formulario epistolare<br />

2. Il mondo paolino<br />

2.1. Paolo di fronte alla storia: simpatie e rifiuti<br />

2.2. Un pensiero fuori dal comune<br />

2.3. Paolo e Gesù<br />

CAPITOLO II: l’ambiente umano, culturale e religioso di Paolo<br />

1. Il quadro storico di riferimento<br />

1.1. L’ellenismo come elemento unificante<br />

1.2. La diffusione del cristianesimo<br />

2. Alle fonti del pensiero paolino<br />

2.1. Gli ambiti di riferimento<br />

2.2. Il mondo ebraico<br />

2.3. Il mondo greco<br />

CAPITOLO III: Paolo di Tarso, rabbi ed apostolo<br />

1. Formazione e conversione<br />

1.1. Paolo “Ebreo da ebrei”<br />

1.2. Il persecutore dei cristiani<br />

1.3. L’eredità farisaica rovesciata<br />

2. Missionario cristiano<br />

2.1. Per una cronologia paolina<br />

2.2. Gli eventi databili<br />

2.3. I viaggi missionari<br />

1


<strong>prof</strong>. <strong>Alessandro</strong> <strong>Biancalani</strong> <strong>–</strong> <strong>AA</strong> <strong>2012</strong>-<strong>2013</strong> <strong>Studio</strong> Teologico Interdiocesano - Camaiore<br />

Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

CAPITOLO I: Introduzione generale<br />

1. CONSISTENZA DEL MATERIALE<br />

Le lettere di Paolo entrate a far parte del canone sono tredici alle quali dobbiamo aggiungere la<br />

Lettera agli ebrei, che merita un discorso a parte: nove indirizzate alle singole comunità; quattro a<br />

persone singole. Precedono le lettere indirizzate a comunità e seguono quelle indirizzate a singoli.<br />

All’interno di ognuna di queste due suddivisioni esse sono disposte in ordine decrescente di<br />

lunghezza:<br />

Romani 1Corinti 2Corinti Galati Efesini Filippesi Colossesi<br />

433 437 256 149 155 104 95<br />

1Tessal. 2Tessal. 1Timoteo 2Timoteo Tito Filemone<br />

89 47 113 83 46 25<br />

L’ordine cronologico delle lettere è diverso da quello canonico. Sulla base dei dati contenuti<br />

nelle lettere stesse si può supporre una cronologia quale quella che segue. Vi sono delle incertezze<br />

sulla collocazione delle cosiddette lettere della prigionia. Le prigionie testimoniate da Atti sono due,<br />

quella di Cesarea e quella di Roma 1 .<br />

DATA EVENTO LETTERE<br />

30 d.C. morte di Gesù<br />

31-33ca persecuzione degli ellenisti<br />

34ca conversione di Paolo<br />

36ca primo viaggio a Gerusalemme<br />

secondo Galati (e Atti)<br />

dopo il 36 attività di Paolo “dalle parti della<br />

Siria e della Cilicia” (Gal 1,21)<br />

48ca “concilio di Gerusalemme”<br />

inverno 49/50-estate 51 a Corinto 1-2 Tessalonicesi<br />

52-55 a Efeso Galati<br />

1 Corinti<br />

55 a Filippi? 2 Corinzi<br />

inverno 55/56 a Corinto Romani<br />

Pentecoste 56 arresto di Paolo<br />

56-58 prigionia a Cesarea Filippesi?<br />

Filemone?<br />

Colossesi - Efesini?<br />

inverno 58/59 in viaggio verso Roma e naufragio<br />

con permanenza a Malta<br />

primavera 59 da Malta a Roma<br />

59-61 prigionia a Roma Filippesi?<br />

Filemone?<br />

Colossesi - Efesini?<br />

1 La cronologia a seguire vuole semplicemente completare il quadro informativo. Ritornerò sulla ricostruzione della<br />

cronologia paolina con dovizia di particolare nel III capitolo.<br />

2


<strong>prof</strong>. <strong>Alessandro</strong> <strong>Biancalani</strong> <strong>–</strong> <strong>AA</strong> <strong>2012</strong>-<strong>2013</strong> <strong>Studio</strong> Teologico Interdiocesano - Camaiore<br />

Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

DATA EVENTO LETTERE<br />

Di queste lettere l’esegesi storico-critica all’unanimità ne ha riconosciute come autentiche sette<br />

e cioè: Romani, 1-2Corinti, Galati, Filippesi, 1Tessalonicesi, Filemone. L’autenticità delle altre, a<br />

titolo diverso, è stata messa in dubbio. È importante richiamare i criteri di fondo dell’esegesi<br />

storico-critica con cui questo lavoro di attribuzione è condotto, anche se i risultati che si ottengono<br />

rimangono soggetti a discussione e sono ben lungi dall’essere definitivi. L’autenticità paolina di<br />

diverse epistole oggi viene negata da non pochi esegeti. Nel secolo scorso, Baur, e poi molti dopo di<br />

lui, consideravano autentiche solo la 1 e 2 Corinti, Galati, Romani. Oggi l’autenticità di 1<br />

Tessalonicesi, Filippesi, Filemone viene accettata dai più.<br />

Maggiore discussione, invece, concerne 2 Tessalonicesi, Colossesi, Efesini, 1 e 2 Timoteo,<br />

Tito. Per la lettera agli Ebrei c’è accordo unanime sulla non autenticità. Per le lettere discusse si<br />

parla, in ogni caso, di “scuola paolina”. Il corpus canonico non contiene, purtroppo, tutte le lettere<br />

che, di fatto, Paolo scrisse. In 1Cor 5,9 si parla di una lettera mandata ai Corinti prima della nostra<br />

attuale 1Corinti canonica; in 2Cor 2,3-9 ed in 7,8-13 troviamo un’allusione ad una lettera<br />

precedente, una lettera severa, “dalle molte lacrime”.<br />

Oltre al Corpus Paulinum (14 Lettere), ci sono scritti apocrifi: la terza lettera ai Corinti che, di<br />

fatto, è parte degli Atti apocrifi di Paolo (C.160-170); la lettera ai Laodicesi che è trasmessa da<br />

molti manoscritti latini (manca in manoscritti greci); il frammento Muratoriano (codice) allude<br />

anche ad una lettera agli Alessandrini e afferma che è opera dei Marcioniti; si hanno, poi, 14 lettere<br />

di s. Paolo a Seneca (6) e di Seneca a san Paolo (8), opera del IV secolo di uno scrittore latino 2 .<br />

Non sono le uniche lettere attribuite a Paolo. Il Canone di Muratori, verso la fine del II sec.<br />

a.C. a Roma, afferma: “Fertur etiam ad Laodicenses, alia ad Alexandrinos Pauli nomine finctae ad<br />

heresem Marcionis et alia plura, quae in catholicam ecclesiam recipi non potest: fel enim cum<br />

melle misceri non congruit” 3 .<br />

Non abbiamo lo stesso ordine delle lettere in tutte le Chiese. L’ordine canonico attuale,<br />

tridentino, è quello più usato, fino al secolo IV, nella Chiesa latina. Non si tratta di un ordine<br />

cronologico; di tale ordine, invece, si discute molto tra gli esegeti. Per esempio, da qualche autore la<br />

lettera ai Galati è considerata la prima, anteriore alle due lettere ai Tessalonicesi. Possiamo<br />

ipotizzare: 1Ts; (2Ts), 1Cor, (2Cor 10-13, forse), Fil (?), 2Cor 1-9, Gal, Rm, (Col), Fm, (Ef,<br />

pastorali).<br />

1.1. Luogo e data della raccolta<br />

Quando e dove fu fatta la raccolta delle lettere paoline? Non è possibile saperlo con certezza.<br />

Dalla 2Cor 10,9-11 sappiamo che i cristiani, vivente ancora Paolo, facevano grande uso ed avevano<br />

grande considerazione per le sue lettere. Dalla 2 Pietro si può ricavare che una raccolta di lettere già<br />

esisteva a Roma e probabilmente in Siria, quando questa lettera fu scritta (3,15-16) 4 .<br />

Non pochi autori pensano che il corpus paolino fosse già formato alla fine del I secolo (90-100 e<br />

forse 80); altrimenti è difficile spiegare l’uso antichissimo delle lettere presso gli scrittori<br />

2 Cf. L. BOCCIOLINI PALAGI (a cura di), Epistolario apocrifo di Seneca a S. Paolo, Firenze 1985.<br />

3 “Ci sono in circolazione anche una lettera ai Laodicesi e un’altra agli alessandrini, scritte falsamente a nome di Paolo, e<br />

molti altri scritti che non possono essere accolti nella chiesa cattolica: il miele infatti non deve essere mescolato con l’aceto”<br />

(EB 5).<br />

4 Cf. G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Assisi 1985, 205.<br />

3


<strong>prof</strong>. <strong>Alessandro</strong> <strong>Biancalani</strong> <strong>–</strong> <strong>AA</strong> <strong>2012</strong>-<strong>2013</strong> <strong>Studio</strong> Teologico Interdiocesano - Camaiore<br />

Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

ecclesiastici 5 . Marcione (150 ca.) a Roma stilò un proprio catalogo, elencando, tra gli scritti<br />

cristiani, 10 lettere: Galati, 1 e 2 Corinzi, Romani, 1 e 2 Tessalonicesi, Efesini, Colossesi, Filemone,<br />

Filippesi 6 . Anche il P 46 (Papiro 46 del 200 ca.) riporta 10 lettere in questo ordine: Rm, Eb, 1 e 2<br />

Cor, Ef, Gal, Fil, Col, 1 e 2Ts. Nel canone Muratoriano 7 vengono enumerate tutte le lettere paoline,<br />

eccetto quella agli Ebrei.<br />

Ci possiamo chiedere: furono raccolte insieme o in fasi successive? Alcuni autori affermano che<br />

furono raccolte insieme, altri, invece, pensano ad una prima collezione di 7 lettere cui, poi, si<br />

aggiunsero due raccolte (le 3 pastorali e le 3 dalla prigionia).<br />

Un altro punto discussione riguarda il luogo dove fu fatta la raccolta. Alcune ipotesi propendono<br />

per Corinto 8 , Roma, Alessandria. Probabilmente non sapremo mai con certezza la storia precisa di<br />

tale raccolta 9 . Gli indizi più forti, comunque, sono a favore di due grandi città del mondo antico,<br />

Efeso e Corinto: ambedue infatti, oltre ad essere importanti centri di cultura e di comunicazione,<br />

avevano l’onore di ospitare un’antica e importante comunità paolina. Il posto occupato<br />

originariamente dalle due lettere inviate alla comunità di Corinto fa ritenere che proprio in questa<br />

città si formò la raccolta poi accettata dalle altre chiese. La formazione del corpus paolino e la sua<br />

accettazione come parte del canone biblico ha fissato una volta per tutte l’ambito e i confini del<br />

“paolinismo”, cioè dei tratti fondamentali e specifici del pensiero e del messaggio di Paolo. Ciò non<br />

significa, però, che il <strong>prof</strong>ilo dell’apostolo, quale emerge dalle lettere canoniche a lui attribuite,<br />

corrisponda effettivamente a quella che è stata la sua esperienza storica, in quanto resta aperto il<br />

problema della natura e dell’origine di questi scritti, e di riflesso quello dell’autenticità di alcuni di<br />

essi.<br />

Il testo<br />

In generale si può dire che la situazione, e, quindi, la critica testuale delle lettere paoline, è più<br />

semplice e facile rispetto a quella dei Vangeli e degli Atti. Perduti irrimediabilmente gli autografi,<br />

siamo in possesso di numerosissime copie manoscritte: circa 5000 esemplari! Naturalmente il<br />

valore è proporzionato alla loro antichità. I più antichi sono 10 papiri del III secolo, frammentari,<br />

che precedono la nascita dei primi codici onciali completi: il Vaticano (B) ed il Sinaitico (a)<br />

rispettivamente del IV e V secolo. In assoluto, il manoscritto più antico è il P 46 della collezione<br />

Chester Beatty quasi completo, databile al 200 ca. La ricerca critica ha studiato a fondo l’origine, il<br />

valore, le varianti, i numerosi errori di trascrizione, la classificazione in famiglie di questi<br />

manoscritti. Il risultato è stata la pubblicazione di erudite edizioni critiche dell’epistolario paolino,<br />

che ci offrono un testo ricostruito scientificamente sulla base dei numerosi manoscritti esistenti 10 .<br />

Il metodo letterario accosta i testi in modo da poterne determinare le caratteristiche:<br />

5 Cf. M. G. MARA, Paolo di Tarso e il suo epistolario. Ricerche storico-­‐esegetiche, L’Aquila 1983.<br />

6 Cf. la testimonianza di Epifanio di Salamina, Panarion, 42, 9, 3-­‐4.<br />

7 Scritto in latino volgare, scoperto da Antonio Muratori nella biblioteca Ambrosiana di Milano e da lui pubblicato nel<br />

1740, risalente probabilmente alla fine del secondo secolo. Cf. Introduzione alla Bibbia, Marietti, vol. I, 100.<br />

8 È l’ipotesi di Harnack. Spesso negli elenchi, infatti, vengono nominate per prime la I e la II Corinti.<br />

9 Cf. G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso, 206.<br />

10 C. M. CARREZ, Le lingue delle Bibbia, Milano 1987. Cf. anche B. ALAND, Il testo del Nuovo Testamento, Genova 1987.<br />

Classica è l’editio maior di B. WESCOTT <strong>–</strong> F. J. HORT, The New Testament, in The Original Greek, Cambridge-­‐London 1881;<br />

in forma di manuale bisogna citare l’edizione di successo di Nestle, nata nel 1898 e aggiornata da B. ALAND, Novum<br />

Testamentum Graece, Stuttgart 1979. Molto pratica l’editio minor K. ALAND -­‐ M. BLACK -­‐ C. MARTINI <strong>–</strong> B. METZGER <strong>–</strong> M.<br />

WIKGREN, The Greek New Testament, United Bible Societies, 1975, che segnala le più importanti varianti testuali,<br />

indicandone il diverso grado di probabilità. A distanza di un secolo dall’impresa di Wescott-­‐Hort, si avverte oggi<br />

l’esigenza di una nuova grande edizione critica degli scritti di NT e, quindi, anche delle lettere paoline.<br />

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<strong>prof</strong>. <strong>Alessandro</strong> <strong>Biancalani</strong> <strong>–</strong> <strong>AA</strong> <strong>2012</strong>-<strong>2013</strong> <strong>Studio</strong> Teologico Interdiocesano - Camaiore<br />

Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

1. attribuzione ad un determinato autore (autenticità). Perché un testo possa o non possa essere<br />

attribuito ad un determinato autore debbono essere considerate le seguenti caratteristiche:<br />

a. la diversità di stile rispetto a quello che è lo stile dell’autore. Per Paolo, ad esempio, è<br />

evidente la diversità di stile delle cosiddette lettere pastorali.<br />

b. la diversità di contesto storico. Per rimanere nel discorso delle lettere pastorali, la<br />

struttura gerarchica che queste presuppongono mal si concilia con la struttura delle<br />

comunità paoline.<br />

c. la diversità di visione teologica. Anche in questo caso gli esempi non mancano. 2Ts<br />

presenta un’escatologia diversa da quella di 1Ts e ciò, unito a elementi di natura<br />

letteraria, ha fatto dubitare della sua autenticità. Motivi di ordine teologico militano<br />

contro l’autenticità di lettere come Colossesi ed Efesini<br />

2. unitarietà o compositività del testo. I testi del NT presentano talora delle “rotture” al loro<br />

interno che possono essere indice di fusione di più testi in uno. I criteri che vengono utilizzati<br />

per rilevare questa caratteristica del testo sono:<br />

a. ripetizioni che disturbano<br />

b. tensioni inconciliabili.<br />

“L’individuazione di tensioni e doppioni è solo un lavoro preliminare, cui segue il delicato<br />

compito della loro classificazione: sono tensioni inconciliabili? sono doppioni pesanti?” 11 . Nel<br />

caso delle lettere di Paolo è posto il problema dell’unitarietà di 2Cor e di Fil. Taluni avanzano<br />

ipotesi anche rispetto a 1Ts, 1Cor.<br />

Accanto a questi due primi aspetti ve n’è un terzo che è oggetto dell’attenzione dell’esegesi<br />

storico-critica: l’individuazione all’interno di testi più tardi di materiali provenienti dalla tradizione<br />

precedente. Nel caso delle lettere di Paolo ci si è sforzati di evidenziare al suo interno formule che<br />

Paolo possa aver ricevuto dalla tradizione come ad esempio formule di confessione, inni, ecc. Esse<br />

sono rilevabili da diversi elementi 12 :<br />

a. il testo è esplicitamente introdotto con il termine “tradizione” (para,dosij): 1Cor 15,1ss<br />

(anche 11,23 per l’Eucarestia);<br />

b. l’uso dei verbi pisteu,ein e o`mologei/n per introdurre la formula: ad es. Rm 10,9.<br />

c. Alcuni tratti stilistici come:<br />

1) parallelismus membrorum (Rm 4,25; 1Cor 15,3-5)<br />

2) forma relativa delle proposizioni (Rm 3,25; 4,25)<br />

3) proposizioni in forma participiale (Rm 1,3s)<br />

4) vocabolario singolare che non ricorre altrove nelle lettere<br />

d. una posizione particolare nel contesto come ad es. Rm 1,3<br />

1.2. La formazione del Corpus Paolino<br />

La raccolta delle lettere paoline in un unico corpus avvenne al termine di un lungo processo di cui,<br />

come abbiamo visto, non si conoscono i tempi e le modalità. Ad eccezione di 1-2 Timoteo, Tito e<br />

Filemone, esse furono indirizzate non a individui, ma a singole chiese. Solo la lettera ai Galati si presenta<br />

espressamente come inviata a diverse comunità contigue, ciascuna delle quali deve, quindi, aver ricevuto<br />

il suo esemplare.<br />

11 R. PESCH, La scoperta della più antica lettera di Paolo, Paideia, Brescia 1987, 40.<br />

12 Cf. H. CONZELMANN <strong>–</strong> A. LINDEMANN, Guida allo studio del Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1986,<br />

110s.<br />

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Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

Le lettere erano lette nei raduni comunitari (cf. 1Ts 5,27) e venivano conservate con venerazione. In<br />

un solo caso si accenna a uno scambio di scritti paolini (Col 4,16); ma è facile immaginare che i<br />

destinatari di una missiva la trasmettessero anche ad altre comunità, le quali la conservavano e la<br />

leggevano con pari attenzione e rispetto. Diverse comunità poterono così avere una loro raccolta di lettere<br />

paoline (o considerate come tali). L’esistenza di una di queste raccolte è attestata verso la fine del I secolo<br />

nella 2 Pietro, dove si legge:<br />

2Pt 3,15-16<br />

“La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza,<br />

come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza<br />

che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose.<br />

In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili<br />

le travisano, al pari delle altre Scritture, per la propria rovina”.<br />

L’autore di questo testo ritiene che le lettere di Paolo siano dotate di una particolare “sapienza”, in<br />

forza della quale esse si collocano sullo stesso piano delle altre Scritture. Purtroppo non dice quante e<br />

quali fossero le lettere a lui note, ma afferma che in esse l’apostolo parla dell’imminente ritorno del<br />

Signore: si può, quindi, supporre che egli si riferisse almeno a quelle in cui Paolo tratta direttamente<br />

questo tema, e cioè Romani (cf. 13,11-14), 1 Corinzi (cf. 7,29-32), Filippesi (cf. 2,15-16) e 1<br />

Tessalonicesi (cf. 5,1-11).<br />

A partire dalla fine del I secolo si moltiplicano gli indizi di una diffusa conoscenza dell’epistolario<br />

paolino:<br />

1. Scrivendo ai Corinzi nel 95-96, Clemente Romano dimostra di conoscere Rm e 1Cor, nonché<br />

la lettera agli Ebrei, e probabilmente anche Gal, Fil e Ef.<br />

2. Nelle sue lettere, composte verso il 110, Ignazio di Antiochia cita Rm, 1Cor, Gal, Ef, Fil, Col,<br />

1Ts e forse anche 2Ts; non si può escludere, anche se è poco probabile, che conoscesse le<br />

Lettere pastorali.<br />

3. Verso il 135 Policarpo utilizza Rm, 1Cor, Gal, Ef, Fil, 2Ts e, forse, 1-2 Timoteo.<br />

4. Marcione, il quale si trova a Roma verso il 140, accetta nella sua Bibbia dieci lettere paoline,<br />

tralasciando non solo Ebrei, ma anche le Pastorali;<br />

5. Durante il II sec. le stesse dieci lettere sono le uniche conosciute, come risulta dai Prologhi in<br />

lingua latina posti all’inizio degli scritti paolini e dal manoscritto P 46 compilato alla fine del<br />

secolo.<br />

6. Infine il Canone muratoriano, composto a Roma verso la fine del II sec., elenca tredici lettere<br />

paoline, cioè tutte ad esclusione della lettera agli Ebrei.<br />

Originariamente le due lettere ai Corinzi erano collocate al primo posto della lista: questo ordine<br />

risulta, forse, già dalla lettera di Clemente Romano (47,2-3), ma diventa esplicito nel Canone<br />

muratoriano e, poi, in Tertulliano, Cipriano e Origene. In seguito la lettera ai Romani fu collocata<br />

all’inizio dell’epistolario paolino sia per la sua importanza teologica, sia per il ruolo che nel frattempo la<br />

comunità di Roma aveva assunto nel cristianesimo primitivo. Dopo di essa le altre lettere furono ordinate<br />

in ragione della loro lunghezza.<br />

Dalla missione alle lettere<br />

È per mantenere i contatti con le chiese, per aiutarle a risolvere i loro problemi e per rendere più<br />

efficace la loro testimonianza nel mondo circostante che Paolo divenne scrittore: le sue lettere sono nate<br />

dalla missione e in vista della missione. La “preoccupazione per tutte le chiese” rappresenta, infatti, come<br />

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egli stesso afferma, il suo “assillo quotidiano” (2Cor 11,28).<br />

La lettera più antica dell’epistolario paolino è quasi certamente quella che l’apostolo inviò alla<br />

comunità di Tessalonica, quando, poco tempo dopo la sua fondazione (1Ts 3,1-2.6), era impegnato<br />

nell’evangelizzazione di Corinto (cf. At 18,5). Le altre lettere sicuramente paoline videro la luce durante<br />

quello che viene comunemente chiamato il periodo efesino dell’apostolo (cf. At 19,1-20,3). Le<br />

informazioni in esse contenute mostrano che allora Paolo si teneva in stretto contatto con le comunità da<br />

lui fondate sia in Anatolia che in Grecia, contribuendo in modo determinante alla loro maturazione nella<br />

fede. A tale scopo scrisse a Corinto, oltre alle due lettere canoniche, almeno altre due missive (cf. 1Cor<br />

5,9; 2Cor 1,15-16) andate perdute, che, però, secondo alcuni studiosi sono parzialmente conservate<br />

all’interno delle altre due. Egli, inoltre, ebbe uno scambio epistolare con la chiesa di Filippi, a cui<br />

indirizzò forse diverse missive che almeno in parte sono confluite nell’attuale lettera ai Filippesi. Inoltre<br />

prese contatti con comunità che non erano state fondate direttamente da lui: è questo il caso della lettera<br />

indirizzata a Filemone, un cristiano che probabilmente era il responsabile della comunità di Colossi.<br />

Infine da Corinto, prima di mettersi in viaggio per Gerusalemme, Paolo scrisse la lettera ai Romani. Le<br />

circostanze in cui queste lettere furono composte sono, dunque, conosciute, anche se restano incertezze<br />

circa numerosi dettagli di tempo e di luogo.<br />

Durante la sua attività missionaria Paolo si trovò spesso nella necessità di difendersi nei confronti di<br />

altri cristiani che mettevano in discussione non solo le sue idee, ma anche l’autenticità del suo apostolato.<br />

Purtroppo l’identità e le posizioni di questi oppositori non sono note. Paolo, infatti, non parla<br />

espressamente di loro o a loro, ma si rivolge ai membri delle sue comunità per distoglierli dagli errori in<br />

cui rischiano di cadere. Le posizioni degli avversari, quindi, possono essere colte solo indirettamente, a<br />

partire da allusioni e spunti polemici contenuti nelle lettere stesse. Il metodo utilizzato per ricostruire il<br />

loro pensiero viene oggi chiamato mirror-reading, o “analisi speculare”, in quanto si suppone che gli<br />

avversari sostenessero quanto l’apostolo contesta e negassero quanto egli si sforza di inculcare. Questo<br />

modo di “leggere tra le righe” offre notevoli vantaggi, ma rischia anche di far dire ai testi quello che<br />

l’autore non intendeva. La conoscenza dei punti di vista degli avversari sarebbe assai importante per<br />

precisare l’effettiva portata di molte affermazioni dell’apostolo. Purtroppo il moltiplicarsi delle ipotesi<br />

dimostra che non sono stati ancora raggiunti risultati veramente convincenti.<br />

Nelle lettere deuteropaoline il rapporto diretto tra Paolo e le sue comunità viene ormai a mancare.<br />

Esse risultano composte in circostanze estranee al corso della sua vita, quale risulta dalle lettere<br />

precedenti e dagli Atti. Sono stati fatti, è vero, diversi tentativi per trovare loro una collocazione<br />

adeguata, ma si tratta per lo più di ipotesi difficilmente verificabili. Inoltre manca in esse un aggancio<br />

diretto e immediato con la situazione e i problemi di coloro ai quali sono indirizzate. In definitiva le<br />

lettere deuteropaoline sembrano rivolte ad un uditorio più ampio, con lo scopo di inculcare alcune idee e<br />

di correggere certi errori. In esse si rispecchia un periodo storico successivo nel quale la Chiesa sente<br />

ormai la necessità di preservare le autentiche tradizioni apostoliche e di difenderle nei confronti di coloro<br />

che divulgano false dottrine. Le lettere di Paolo non hanno, dunque, nulla in comune con gli scritti di un<br />

teologo che elabora a tavolino le sue dottrine. Al contrario esse furono concepite in funzione della<br />

situazione concreta in cui l’apostolo si trovava, cioè per la crescita e la maturazione di giovani comunità,<br />

con tutti i loro problemi e difficoltà: esse quindi devono essere lette e comprese nel contesto specifico in<br />

cui hanno visto la luce.<br />

1.3. Il formulario epistolare<br />

Nel mondo antico le lettere erano composte in base a un formulario abbastanza rigido. Di seguito<br />

propongo la descrizione delle parti di cui si componeva una lettera nell’antichità:<br />

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Corso N.T. (Corpus Paulinum)<br />

Iniziavano con un “prescritto”, in cui si indicava il nome del mittente al nominativo (superscriptio),<br />

seguito da quello del destinatario al dativo (adscriptio) e da un saluto augurale (salutatio), solitamente<br />

cai,rein (“salve”) all’infinito, ed eventualmente da un breve esordio o ringraziamento dettato dalle<br />

circostanze.<br />

Veniva poi il “corpo della lettera” in cui si affrontava l’argomento che ne aveva occasionato la<br />

stesura.<br />

La lettera terminava con un “postscritto”, che conteneva gli auguri e i saluti, espressi normalmente<br />

con le forme verbali e;rrwso, e;rrwsqe “sta(te) bene!” (cf. At 15,23-29; Gc 1,1).<br />

Inizio Prescritto cai,rein “salve”<br />

Contenuto Corpo lettera Sviluppo dell’argomento<br />

Conclusione Postscritto e;rrwso, e;rrwsqe “sta(te) bene!”<br />

Nel mondo giudaico questo formulario subiva qualche leggera variazione: nel prescritto il saluto<br />

augurale era sostituito dal termine “pace” (~Al+v' ’., eivrh,nh) ed era spesso seguito da una formula di<br />

benedizione a carattere religioso. Paolo fa proprio questo formulario, adattandolo, però, al suo scopo<br />

specifico.<br />

Nel prescritto, ai nomi del mittente e dei destinatari aggiunge le loro qualifiche teologiche e<br />

religiose: per esempio si presenta come “apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio” e si rivolge “alla<br />

chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi ... ”<br />

(1Cor 1, 1-2).<br />

Nel saluto iniziale unisce al termine “pace” (eivrh,nh), tipico dello stile orientale, la formula greca,<br />

trasformata in un augurio di “grazia” (ca,rij): ne deriva così un’espressione (ca,rij u`mi/n kai. eivrh,nh) che<br />

riecheggia la benedizione che i sacerdoti pronunziavano su Israele (cf. Nm 6,25-26).<br />

Tra il saluto e il corpo della lettera introduce un ringraziamento a Dio per la vita cristiana della<br />

comunità a cui è inviata. Nella Seconda lettera ai Corinzi questo ringraziamento prende l’andamento di<br />

una benedizione, mentre nella lettera ai Galati è sostituito da una dura ammonizione.<br />

Le lettere di Paolo terminano con il “postscritto”, nel quale ai saluti fa seguito una benedizione di<br />

carattere liturgico, che può essere più o meno estesa e a volte assume un andamento trinitario: “La grazia<br />

del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù” (1Cor 16,23-24); “La grazia del<br />

Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor<br />

13,13).<br />

Inizio Prescritto cai,rein “salve” + ~Al+v', eivrh,nh<br />

Inserto Ringraziamento Euvcaristou/men tw/| qew/|<br />

Contenuto Corpo lettera Sviluppo dell’argomento<br />

Conclusione Postscritto e;rrwso, e;rrwsqe “sta(te) bene!” + benedezione<br />

Nell’antichità era frequente il caso in cui il mittente non scriveva personalmente la lettera, ma si<br />

serviva di uno “scrivano” al quale dettava parola per parola il suo messaggio, oppure ne affidava il senso<br />

generale, con il compito di formularlo nel modo più opportuno. In questo secondo caso lo scriba<br />

assumeva il ruolo tipico del “segretario”: il suo apporto personale nella stesura dello scritto risultava<br />

quindi maggiore, anche se spesso la familiarità con il mittente lo portava spontaneamente ad assumerne<br />

la terminologia e lo stile. Il mittente autenticava, poi, la lettera apponendovi la firma o anche<br />

aggiungendo di proprio pugno i saluti finali.<br />

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Paolo si adegua senza difficoltà alle usanze dell’epoca. È possibile che abbia scritto personalmente<br />

la breve lettera a Filemone (cf. Fm 19). Di solito, però, si serve di uno scrivano: al termine della lettera ai<br />

Romani si trova, infatti, una breve postilla in cui un certo Terzo, presentandosi come colui che ha scritto<br />

la lettera, unisce i suoi saluti a quelli dell’apostolo (cf. Rm 16,22); questi, inoltre, segnala a volte che il<br />

saluto finale è di sua mano (cf. 1Cor 16,21; Gal 6,11), lasciando, così, supporre che il resto della lettera è<br />

opera di uno scrivano.<br />

Non è, invece, possibile stabilire con certezza se Paolo dettava le sue lettere parola per parola o ne<br />

affidava la stesura a un segretario. Nel primo caso, non essendo possibile un’adeguata limatura del testo,<br />

si spiegherebbero alcune disarmonie proprie del suo stile. Nel secondo, invece, lo stile dovrebbe essere<br />

attribuito almeno in parte all’amanuense-segretario: qualora l’apostolo abbia fatto ricorso a tale<br />

collaborazione nel caso delle lettere cosiddette deuteropaoline, la loro diversità da quelle sicuramente<br />

autentiche risulterebbe più facilmente spiegabile.<br />

Roller ha studiato questo aspetto singolare, rifacendosi alle condizioni antiche del comporre 13 .<br />

In sintesi possiamo affermare che si impiegava molto più tempo e fatica rispetto ad oggi. Per queste<br />

difficoltà, Roller ritiene che gli antichi non scrivessero direttamente le lettere più lunghe né che le<br />

dettassero. Si servivano di amanuensi <strong>–</strong> non solo scribi <strong>–</strong> ai quali davano solo i concetti. L’autore,<br />

poi, rileggeva e correggeva. Altri autori hanno contestato le posizioni di Roller. In generale, si può<br />

dire che in gran parte Paolo si serviva di uno scriba 14 .<br />

Secondo l’uso dei poveri le lettere erano scritte su papiro, un materiale più economico, ma più<br />

fragile e più difficilmente lavorabile della pergamena: ciò spiega la rapida scomparsa dei testi originali.<br />

Paolo, dunque, ha fatto proprio il genere epistolare del suo tempo, arricchendolo però di notevoli<br />

contributi, suggeriti in parte dalla sua fede e dalla sua esperienza cristiana, in parte dal suo talento<br />

letterario e dalle sue qualità personali.<br />

Vere “Lettere” o “Epistole”<br />

Nell’antichità lo stile epistolare veniva utilizzato per comporre non solo “lettere” vere e<br />

proprie, ma anche scritti di altro tipo. A. Deissmann, che per primo studiò la corrispondenza privata<br />

contenuta nei papiri greci, distingue nella epistolografia antica due generi letterari diversi: la<br />

“lettera” vera e propria e l’“epistola”. La lettera “per sua natura è intima e personale, valevole solo<br />

per i destinatari o il destinatario, ma non per il grande pubblico”. Essa “è aletteraria come un<br />

contratto d’affitto o un testamento... non si adatta a nessuno se non a colui che l’ha scritta e a chi<br />

deve aprirla... Il suo contenuto è molteplice quanto la vita”.<br />

L’epistola, invece, è “una forma d’arte letteraria, un genere della letteratura, come per<br />

esempio il dialogo, il discorso, il dramma. Con la lettera essa condivide soltanto la forma della<br />

corrispondenza scritta... Il contenuto dell’epistola tiene conto del grande pubblico, che essa vuole<br />

interessare. Se la lettera è un segreto, l’epistola è una merce da mercato; chiunque può e deve<br />

leggerla: quanti più lettori essa trova, tanto più ha ottenuto il suo scopo. Ciò che per la lettera è<br />

cosa essenziale, cioè l’indirizzo e i particolari propri della corrispondenza, per l’epistola invece è<br />

13 O. ROLLER, Das formular der paulinischen Briefe. Ein Beitrag zur Lehre vom autiken Brief, BWANT 4,6, Stuttgart 1933.<br />

14 Cf. G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso, 183. Si è voluto introdurre (Deismann) una distinzione nelle lettere dell’antichità e,<br />

quindi, in quelle di Paolo: lettere: scritti privati, semplici, familiari, mandati a singoli o a poche persone; epistole: scritti<br />

più solenni, quasi dei trattati, miranti a formulare un pensiero, una dottrina, un insegnamento e volti alle cose semplici<br />

della vita personale e quotidiana. Deismann ritiene che, in generale, quelle di Paolo siano lettere. Tale distinzione non è,<br />

comunque, da enfatizzare troppo. A questo argomento dedico uno spazio congruo nel paragrafo successivo.<br />

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semplice ornamento esterno, con il quale viene data l’illusione della forma "epistolare"... La lettera<br />

è un pezzo di vita, l’epistola è il prodotto dell’arte letteraria” 15 .<br />

In base a questa distinzione il Deissmann afferma che le missive autentiche dell’apostolo Paolo<br />

sono vere e proprie lettere, che non si distinguono dai semplici fogli di papiro dell’Egitto se non in<br />

quanto lettere “di Paolo”; classificandole come epistole si toglierebbe ad esse il meglio. Questo<br />

giudizio è sostanzialmente esatto. Le lettere di Paolo sono scritti occasionali, che egli invia a<br />

comunità da poco fondate con l’intento di aiutarle ad affrontare i problemi che incontrano nel loro<br />

cammino di fede. Delle “lettere” in senso proprio esse hanno lo stile immediato e diretto, che<br />

manifesta al vivo la personalità del loro autore.<br />

Per difendere il suo operato e per rafforzare il suo ruolo apostolico Paolo rivela a volte<br />

circostanze e momenti della sua vita e della sua attività. Se affronta temi dottrinali, lo fa in funzione<br />

di situazioni concrete, riprendendo l’insegnamento impartito oralmente e correggendo eventuali<br />

errori di interpretazione. A questa norma non fa eccezione neppure la lettera ai Romani, la quale,<br />

pur contenendo una esposizione abbastanza sistematica del pensiero di Paolo, è stata anch’essa<br />

composta per rispondere a precise necessità di carattere pastorale. Queste osservazioni non valgono<br />

invece per le lettere deuteropaoline, nelle quali lo stile non è più familiare e diretto, ma diventa<br />

attento e a volte ricercato, mentre il dialogo con i destinatari lascia il posto a una trattazione più<br />

astratta di temi teologici o pastorali.<br />

Tuttavia anche le lettere autentiche di Paolo si avvicinano sotto qualche aspetto alle “epistole”:<br />

non sono infatti documenti privati, poiché sono dirette a una o più comunità e devono essere lette in<br />

pubblico. La stessa lettera a Filemone, sebbene inviata a un privato, presenta un insegnamento che<br />

deve servire a tutta la comunità che si raduna nella sua casa (cf. Fm 1-2). Se questi scritti, pur<br />

essendo indirizzati a piccole comunità della Grecia e dell’Anatolia, ebbero la fortuna di essere<br />

raccolti e meditati per secoli, ciò è dovuto anche al fatto che già in partenza il loro genere letterario<br />

non era quello della pura e semplice “lettera”.<br />

Nuova luce sulle caratteristiche proprie delle lettere paoline viene oggi dal confronto con un<br />

più abbondante materiale di origine egiziana o greco-romana; particolarmente utili per comprendere<br />

l’epistolario paolino si sono dimostrate anche le lettere giudaiche, sia della Palestina che della<br />

diaspora, scritte da responsabili delle comunità. Paolo dunque, pur ispirandosi a modelli presenti nel<br />

suo mondo culturale, ha saputo creare un genere letterario nuovo, adatto alle esigenze di una<br />

comunicazione diretta e immediata con le sue comunità lontane. La sua personalità religiosa e<br />

letteraria ha contribuito a impedire che le sue lettere cadessero nell’oblio e a far sì che lungo i secoli<br />

cristiani e non cristiani continuassero a sentirsi interpellati direttamente e personalmente da esse.<br />

Uno stile immediato e personale<br />

La lingua usata dall’apostolo è la koinè, cioè quella forma di greco che era diventata “comune” in<br />

tutto l’impero romano. Essa si differenzia dal greco classico in molte particolarità grammaticali e<br />

stilistiche e risente l’influsso di altre lingue, quali il latino e soprattutto l’aramaico e l’ebraico (semitismi).<br />

Diversamente da altri autori del NT che, pur scrivendo in greco, dimostrano di pensare in ebraico o in<br />

aramaico, Paolo elabora direttamente i suoi concetti e le sue riflessioni in greco, che dimostra di<br />

possedere come lingua materna. Lo stile di Paolo è molto personale e spontaneo.<br />

Nelle sue lettere abbondano le metafore (cf. Rm 11,17-24), le similitudini (1Cor 12,12-27) e le<br />

immagini (1Cor 9,24-27; 2Cor 11,2). Caratteristici sono anche l’antitesi e l’anacoluto. La prima consiste<br />

15 A. DEISSMANN, Licht vom Osten. das Neue Testament und die neuentdeckten Texte der hellenistisch-­‐römischen Welt, 194-­‐<br />

195.<br />

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nel presentare la realtà in due poli contrapposti (vita-morte, legge-fede, carne-spirito, schiavitù-libertà<br />

ecc.), con l’effetto di mettere il lettore di fronte alla necessità di operare una scelta: l’uso di questo<br />

artificio è espressione di un animo che non ama i chiaroscuri e tende quasi inavvertitamente a<br />

radicalizzare le posizioni. L’anacoluto consiste nella mancanza di collegamento tra due elementi di una<br />

frase, uno dei quali appare perciò, come dice il termine stesso, “privo di compagnia”, quasi sospeso in<br />

aria, e per ciò stesso riceve una particolare sottolineatura 16 : anche questo procedimento rivela una foga<br />

espressiva che poco si adatta alle regole della sintassi, tipica dello stile di Paolo la capacità di adottare una<br />

grande varietà di forme letterarie.<br />

Nelle sue lettere si incontrano formule liturgiche tradizionali 17 , invocazioni (Rm 15,32), preghiere<br />

(Rm 15,13), dossologie (Rm 16,25-27), inni 18 e confessioni di fede 19 . Numerosi sono i brani<br />

autobiografici: Paolo parla di se stesso per mettere in luce i suoi rapporti con i destinatari (cf. 1Ts 3,13),<br />

per difendersi dalle accuse che gli sono rivolte (2Cor 1,12-2,11) o per polemizzare con gli avversari (Gal<br />

1,11-2,14).<br />

Altre forme letterarie frequentemente usate sono la parenesi 20 e i cataloghi di vizi e virtù (Gal 5,19-<br />

23). Spesso Paolo fonda le sue tesi sull’AT, che cita solitamente nella versione greca della LXX e<br />

interpreta secondo i metodi dei rabbini del suo tempo (cf. Gal 3,6-14); egli, però, fa anche ricorso al<br />

metodo della diatriba, comunemente usata dai filosofi popolari, che consiste nell’introdurre un fittizio<br />

interlocutore con cui si dialoga e discute (Rm 3,1-8). A volte l’apostolo ha inserito nelle sue lettere brani<br />

appartenenti alla tradizione orale 21 , debitamente adattati al suo discorso.<br />

Nel corpo delle lettere Paolo esprime i suoi pensieri secondo una logica interna il cui movimento<br />

non è sempre facilmente rilevabile. In passato gli studiosi hanno spesso ravvisato in esse due parti, una<br />

dottrinale e l’altra parenetica; in realtà questa divisione è piuttosto artificiosa, perché nel discorso di Paolo<br />

teoria e prassi si mescolano in modo quasi inestricabile. Attualmente la ricerca intorno al modo in cui<br />

Paolo dispone il suo materiale si è notevolmente sviluppata. Ad una metodologia basata quasi<br />

esclusivamente sul contenuto è subentrata da parte di numerosi studiosi l’attenzione a tutti quegli<br />

elementi formali e stilistici con i quali ogni autore indica le articolazioni del suo scritto.<br />

Alcuni studiosi recenti hanno esaminato i testi del NT alla luce delle regole tipiche della retorica<br />

classica, teorizzata specialmente da Aristotele, Cicerone e Quintiliano. Questo metodo, noto come<br />

“rhetorical criticism”, è stato applicato a volte in modo piuttosto drastico, imponendo al testo uno<br />

schema predefinito, che in gran parte gli è estraneo 22 . A questi eccessi hanno reagito altri studiosi i quali,<br />

16 Cf. per es.: Rm 2,15-­‐16; 2,20-­‐21.<br />

17 Per es.: amen, maranathà, abbà; ecc.<br />

18 Fil 2,6-­‐11; 1Cor 13; Rm 11,33-­‐36.<br />

19 1Cor 15,3-­‐5; Rm 1,34.<br />

20 Rm 12; 13,1-­‐7.<br />

21 Fil 2,6-­‐11; Rm 1,3-­‐4.<br />

22 Per farsi un’idea del panorama degli studi si può consultare:<br />

• J.D.H. AMADOR, Where Could Rhetorical Criticism (Still) Take Us?, Currents in Research: Biblical<br />

Studies 7(1999) 195-­‐222; E. BLACK, Rhetorical Criticism: A Study in Method. The University of Wisconsin<br />

Press, 1978.<br />

• B. CAMPBELL, Flesh and Spirit in 1Cor 5:5: An Exercise in Rhetorical Criticism of the NT, Journal of the<br />

Evangelical Theological Society 36.3 (Sept. 1993) 331-­‐342.<br />

• F.F. CHURCH, Rhetorical Structure and Design in Paul’s Letter to Philemon, Harvard Theological<br />

Review 91(1978) 17-­‐33.<br />

• K.P. DONFRIED, The Epistolary and Rhetorical Context of 1 Thessalonians 2:1-­‐12, Karl P. Donfried &<br />

Johannes Beutler, The Thessalonnians Debate. Methodological Discord or Methological Synthesis? Grand<br />

Rapids/Cambridge, UK: Eerdmans, 2000.<br />

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invece di partire da regole prestabilite, esaminano a fondo la composizione di un testo per scoprirvi<br />

possibili influssi di carattere retorico (“retorica letteraria”). In questa forma moderata l’analisi retorica<br />

può aiutare a comprendere più in <strong>prof</strong>ondità gli antichi scritti cristiani i quali, salva la libertà e originalità<br />

dei loro autori, sono e restano opere di persuasione, sorte in un mondo in cui questa tecnica aveva<br />

raggiunto notevoli sviluppi teorici e pratici. In definitiva, Paolo ha adottato la lingua e i procedimenti<br />

letterari del suo tempo allo scopo di farsi comprendere da coloro che nelle assemblee cristiane avrebbero<br />

ascoltato la lettura dei suoi scritti e di convincerli ad adottare una mentalità e una prassi conformi al<br />

vangelo.<br />

Con le lettere deuteropaoline lo stile cambia: esse appaiono come scritti anonimi e dottrinali,<br />

composti in modo più accurato e grammaticalmente corretto, ma senza più la foga del Paolo storico e la<br />

sua immedesimazione negli argomenti trattati.<br />

Paolo e la sua “Scuola”<br />

L’autenticità delle lettere tradizionalmente attribuite all’apostolo Paolo è stata messa in discussione<br />

nel secolo scorso, quando il problema è stato sollevato dagli studiosi della scuola di Tubinga. In base alla<br />

teoria dialettica della storia, F. Ch. Baur sosteneva che Paolo aveva composto solo le quattro lettere<br />

maggiori (Rm, 1-2 Corinzi e Galati), le uniche in cui si rispecchiano le idee proprie del cosiddetto<br />

“partito paolino”, contrarie a quelle della corrente che fa capo a Pietro (“partito petrino”). Il problema è<br />

stato affrontato successivamente su un piano non più ideologico, ma letterario, storico e teologico. A<br />

un’attenta analisi alcune lettere hanno rivelato non solo uno stile, ma anche un lessico e una sintassi<br />

diversi; il loro genere letterario si avvicina maggiormente a quello dell’“epistola”. Il rapporto tra mittente<br />

e destinatari diventa più generico; nuovi temi fanno la loro comparsa 23 , mentre altri sono ripresi e<br />

sviluppati in modo diverso 24 . Il contesto storico non è più quello in cui è vissuto e ha operato Paolo,<br />

mentre la sua figura e il suo ruolo sono fortemente idealizzati.<br />

In base a questi rilievi si è fatta strada tra gli studiosi l’opinione secondo cui le Pastorali (1-2<br />

• Y. GITAY, A Study of Amos’s Art of Speech: A Rhetorical Analysis of Amos 3:1-­‐15, Catholic Biblical<br />

Quarterly 42(1980) 293-­‐309.<br />

• R. HOPPE, The Epistolary and Rhetorical Context of 1 Thessalonians 2:1-­‐12: A Response to Karl P. Donfried,<br />

Karl P. Donfried & Johannes Beutler, The Thessalonnians Debate. Methodological Discord or<br />

Methological Synthesis? Grand Rapids/Cambridge, UK: Eerdmans, 2000.<br />

• D.M. HOWARD JR., Rhetorical Criticism in Old Testament Studies, Bulletin for Biblical Research 4(1994) 87-­‐<br />

104.<br />

• G.A. KENNEDY, New Testament Interpretation Through Rhetorical Criticism. The University of North<br />

Carolina Press, 1984.<br />

• E. KRENTZ, 1 Thessalonians: Rhetorical Flourishes and Formal Contraints, Karl P. Donfried & Johannes<br />

Beutler, The Thessalonnians Debate. Methodological Discord or Methological Synthesis? Grand<br />

Rapids/Cambridge, UK: Eerdmans, 2000.<br />

• K. MÖLLER, “Hear THis Word Against You”: A Fresh Look at the Arrangement and the Rhetorical Strategy of<br />

the Book of Amos, Vetus Testamentum 50.4 (2000) 499-­‐518.<br />

• S. WALTON, What Has Aristotle to Do with Paul? Rhetorical Criticism and 1 Thessalonians, Tyndale<br />

Bulletin 46.2 (1995) 229-­‐250.<br />

• S. WALTON, Rhetorical Criticism: An Introduction, Themelios 21.2 (January 1996) 4-­‐9.<br />

• C.A. WANAMAKER, Epistolary vs. Rhetorical Analysis: Is a Synthesis Possible?, Karl P. Donfried & Johannes<br />

Beutler, The Thessalonnians Debate. Methodological Discord or Methological Synthesis? Grand<br />

Rapids/Cambridge, UK: Eerdmans, 2000, 255-­‐286.<br />

• J.A.D. WEIMA, The Function of 1 Thessalonians 2:1-­‐12 and the Use of Rhetorical Criticism: A Response to<br />

Otto Merk, Karl P. Donfried & Johannes Beutler, The Thessalonnians Debate. Methodological Discord or<br />

Methological Synthesis? Grand Rapids/Cambridge, UK: Eerdmans, 2000, 114-­‐131.<br />

23 Per es.: Cristo capo della Chiesa e del cosmo in Col ed Ef, i ministeri ecclesiali nelle Pastorali.<br />

24 Per es.: in 1Ts la parusia è imminente, mentre in 2Ts si allontana nel tempo.<br />

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Timoteo e Tito) non sono state composte da Paolo, mentre è ancora discusso il caso della 2 Tessalonicesi<br />

e di quelle inviate alle chiese dell’Asia (Efesini e Colossesi). Questo orientamento è stato rafforzato<br />

recentemente dagli studi sulla pseudoepigrafia, i quali hanno dimostrato che questo fenomeno era assai<br />

diffuso nell’antichità: nel mondo biblico-giudaico il nome dell’autore di un’opera è spesso fittizio, mentre<br />

in quello greco è nota l’attribuzione a personaggi famosi come Orfeo, Omero, Pitagora e Platone di scritti<br />

composti successivamente.<br />

Molte obiezioni contro la presenza di opere pseudoepigrafiche nel canone cristiano sono cadute<br />

quando si è distinto nettamente il problema dell’ispirazione di uno scritto da quello della sua autenticità.<br />

La composizione di lettere paoline non autentiche non fu opera di individui isolati, ma si iscrive nel<br />

contesto di un vasto movimento di pensiero e di vita che oggi viene chiamato comunemente “scuola<br />

paolina”. Esso prende inizio da tutte quelle persone che circondavano l’apostolo ed erano legate a lui da<br />

<strong>prof</strong>ondi vincoli di fede e di collaborazione: nei loro confronti egli si attribuiva il ruolo di padre e di<br />

madre 25 e proponeva se stesso come modello da imitare 26 . Tra costoro un posto speciale spetta a Tito e a<br />

Timoteo, ma non bisogna dimenticare tanti altri il cui nome appare spesso nel corso delle lettere e<br />

soprattutto nei saluti finali 27 . All’interno della scuola paolina si giunse ben presto a una idealizzazione<br />

della persona di Paolo, ma soprattutto si sentì la necessità di preservare dall’oblio il suo messaggio,<br />

eliminando i malintesi e cercando in esso una risposta ai nuovi problemi delle comunità.<br />

A tale scopo vennero raccolte le lettere autentiche, ma al tempo stesso furono divulgati con il suo<br />

nome e sotto la sua autorità nuovi scritti, con i quali persone dotate di un’ap<strong>prof</strong>ondita conoscenza del<br />

suo messaggio ne esplicitavano il contenuto in vista di situazioni nuove e difficili. L’autenticità di alcune<br />

importanti lettere paoline, pur essendo stata negata da vasti settori del mondo esegetico, resta tuttavia un<br />

problema aperto al quale vengono date, come si vedrà nell’introduzione a ciascuna di esse, le soluzioni<br />

più diverse.<br />

In ogni caso queste opere sono utili per ricostruire non tanto l’azione e il pensiero dell’apostolo,<br />

quanto piuttosto l’impatto che esso ha avuto nel periodo immediatamente successivo alla sua scomparsa.<br />

Scritti unitari o antologie<br />

L’unità interna delle lettere paoline è più apparente che reale. Alcune di esse presentano, infatti,<br />

disarmonie e bruschi cambiamenti di argomento e di tono che sono difficilmente spiegabili in un’opera<br />

uscita di getto dalla penna del suo autore.<br />

A questo fenomeno sono state date le spiegazioni più svariate. Non si può però escludere che esso<br />

derivi dal fatto che, quando cominciò a prendere forma l’epistolario paolino, frammenti di scritti diversi<br />

vennero accostati per formare un’unica lettera. Paolo stesso segnala l’esistenza di lettere che non trovano<br />

posto nel suo epistolario 28 . È mai possibile che la scuola paolina abbia lasciato scomparire testi così<br />

preziosi? Non potrebbero essere stati conservati come parti di altre lettere? Gli studiosi sono oggi<br />

generalmente del parere che la Seconda lettera ai Corinzi e la lettera ai Filippesi siano in realtà antologie<br />

di scritti indirizzati da Paolo a quelle comunità in occasioni e tempi diversi.<br />

In questa prospettiva molti ritengono che la lettera scritta “tra molte lacrime” (2Cor 2,4) sia stata<br />

conservata all’interno della Seconda lettera ai Corinzi. Restano aperti, come si vedrà, numerosi problemi<br />

riguardanti il contesto storico e geografico in cui hanno avuto origine le missive originarie, nonché i<br />

25 Cf. 1Ts 2,7-­‐8.11; 1Cor 4,15; Gal 4,19.<br />

26 Cf. 1Cor 4,6.9-­‐10; 1Ts 4,1-­‐2; Gal 1,6-­‐9.<br />

27 Cf. Rm 16,1-­‐16.21-­‐23.<br />

28 Cf. 1Cor 5,9; 2Cor 2,4.<br />

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criteri con cui le diverse parti sono state collegate.<br />

Un’analoga ipotesi è stata avanzata, ma senza troppo successo, anche a proposito della 1<br />

Tessalonicesi e soprattutto della 1 Corinzi, nella quale potrebbe essere inclusa la missiva a cui l’apostolo<br />

allude in 1Cor 5,9. Sembra infine che i saluti contenuti nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani (Rm<br />

16,1-23), pur essendo autentici, facessero parte originariamente di una lettera autonoma indirizzata alla<br />

chiesa di Efeso; ma questa ipotesi è oggi fortemente contestata da numerosi studiosi.<br />

Un accostamento alle lettere paoline basata sull’idea di una loro sostanziale unità non è più, almeno<br />

in certi casi, del tutto accettabile. Non si può escludere, infatti, che i discepoli di Paolo abbiano in qualche<br />

modo rifuso il materiale a loro disposizione, disponendolo nel modo che sembrava loro più conveniente<br />

per garantirne la preservazione e una corretta interpretazione. Tuttavia le ipotesi avanzate restano<br />

largamente discutibili, almeno finché non saranno identificate in modo convincente le modalità con cui i<br />

redattori finali hanno compiuto la loro opera.<br />

Il mondo teologico di Paolo<br />

A partire dalle sue Lettere si è parlato di una teologia di Paolo. Essa, infatti, segue un<br />

itinerario, uno sviluppo diacronico riscontrabile nella sua vita e nei suoi scritti. Non c’è<br />

contraddizione nel suo pensiero, e neppure immobilismo, ma sviluppo per le differenti situazioni<br />

che è stato chiamato ad affrontare, e maturazione a partire soprattutto dal suo impegno nella<br />

missione. Guardando il mondo teologico di Paolo al suo punto di arrivo, sincronicamente, possiamo<br />

identificare questi aspetti fondamentali:<br />

• l’iniziativa di Dio 29 , nata in Dio, si manifesta e si attua al di fuori di Lui, divenendo “mistero”<br />

rivelato 30 ;<br />

• il Vangelo: è l’annuncio di Cristo morto e risorto, che l’iniziativa di Dio porta a contatto<br />

dell’uomo. L’uomo, così interpellato, deve fare una scelta di accettazione o di rifiuto, scelta<br />

dalla quale dipende il suo futuro escatologico e totale;<br />

• la fede: è l’atteggiamento per il quale si accoglie l’annuncio del Vangelo. Ha tre livelli di<br />

sviluppo: prima adesione, crescita fino a penetrare tutti gli aspetti della vita, sbocco<br />

comunitario;<br />

• la giustificazione: è la situazione che si determina nell’uomo il quale, ascoltato il Vangelo,<br />

reagisce con la adesione di fede. È liberazione dalla peccaminosità, inserimento in Cristo<br />

mediante il Battesimo, filiazione divina mediante il dono dello Spirito;<br />

• la Chiesa: la giustificazione, data alla singola persona, immette nella collettività di tutte le<br />

persone che hanno ricevuto lo stesso dono. Si ha così la Chiesa che è l’insieme universale<br />

del nuovo popolo di Dio; essa si realizza e si scopre tale nelle singole comunità e nel<br />

contesto generale (cosmico) in cui è situata; costituisce il “Corpo di Cristo” in fase di<br />

crescita;<br />

• l’uomo: come individuo e come componente della Chiesa si salva nella storia che<br />

comprende un passato 31 , un presente 32 e, soprattutto, un futuro 33 che costituisce la fase<br />

escatologica finale. In essa si realizza pienamente l’iniziativa divina.<br />

29 Si possono ricordare termini quali elezione, chiamata, pre-­‐determinazione.<br />

30 Cf. R. PENNA, Il “Mysterion” paolino, Brescia 1978: livello del divenire; livello delle componenti intrinseche: teologico,<br />

cristologico, ecclesiologico, antropologico.<br />

31 L’AT e gli eventi storici di Cristo<br />

32 Le circostanze concrete in cui si realizza l’impegno religioso.<br />

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2. IL MONDO PAOLINO<br />

2.1. Paolo di fronte alla storia: simpatie e rifiuti<br />

Paolo svolse la sua attività apostolica in mezzo a insuccessi e incomprensioni, e solo con grandi<br />

difficoltà ottenne che venisse riconosciuta l’autenticità del suo vangelo. Dopo la morte egli fu accettato<br />

come una delle figure più rappresentative del cristianesimo primitivo. Tuttavia non sono mancati nei suoi<br />

confronti atteggiamenti di sospetto o addirittura di aperta contestazione.<br />

Gli scritti del NT<br />

L’autore che più ha contribuito alla conoscenza e all’esaltazione della figura di Paolo è stato Luca, il<br />

quale nel suo secondo volume non si è limitato a descriverne l’opera, ma ha voluto trasmettere anche<br />

alcuni punti essenziali del suo insegnamento. Egli è dunque il rappresentante più esimio della scuola<br />

paolina.<br />

Tuttavia da un confronto ap<strong>prof</strong>ondito tra gli Atti e le lettere autentiche sembra assodato che Luca<br />

non avesse una conoscenza diretta di questi scritti: ne è prova il fatto che, anche quando riprende la<br />

terminologia dell’apostolo, egli dimostra di non essere più sensibile al significato specifico che questi le<br />

attribuiva. Più che difendere la persona e la teologia di Paolo, l’autore degli Atti vuole garantire,<br />

mediante l’autorità indiscussa dell’apostolo dei gentili, la legittimità di quel processo storico che ha<br />

portato alla nascita di un cristianesimo ormai sganciato dalla sua matrice giudaica.<br />

Testimoni di una devozione incondizionata a Paolo sono le lettere deuteropaoline (Colossesi ed<br />

Efesini, Seconda ai Tessalonicesi e Pastorali), che, come si è visto, sono attribuite da molti studiosi alla<br />

scuola paolina. In esse la figura dell’apostolo è fortemente idealizzata, ma il suo messaggio viene<br />

reinterpretato in funzione di problemi e orientamenti teologici nuovi.<br />

Molto vicino alla scuola paolina è anche la Prima lettera di Pietro, uno scritto di carattere<br />

chiaramente pseudepigrafico composto verso la fine del secolo. In essa si trovano numerosi brani che<br />

riecheggiano espressioni e temi propri delle lettere ai Romani e agli Efesini, anche se una vera e propria<br />

dipendenza letteraria da questi scritti non è dimostrabile. L’autore della Seconda lettera di Pietro rivela<br />

per primo una conoscenza diretta dell’epistolario paolino: egli ne afferma l’autorità e l’accettazione da<br />

parte della Chiesa, ma si premura di mettere in guardia i lettori da interpretazioni erronee (cf. 2Pt 3,15-<br />

16). È chiaro che al suo tempo gli scritti dell’apostolo cominciavano ad essere interpretati dagli eretici in<br />

senso non ortodosso.<br />

Molto controversi sono, invece, i rapporti delle lettere paoline con altri due scritti canonici di questo<br />

periodo, la lettera agli Ebrei e la lettera di Giacomo. La prima è stata per lungo tempo annoverata tra gli<br />

scritti paolini, e di fatto vi si riscontrano non poche analogie tematiche e letterarie con la tradizione<br />

paolina. È significativo tuttavia il fatto che Paolo non vi sia mai nominato, mentre l’universo teologico e<br />

letterario dell’autore è chiaramente diverso da quello dell’apostolo. L’autore della lettera di Giacomo si<br />

oppone espressamente alla teoria paolina della giustificazione mediante la fede (Gc 2,20-24); tuttavia<br />

sembra che non voglia correggere quanto è affermato dall’apostolo, ma una presentazione distorta che ne<br />

veniva fatta in ambienti giudeo-cristiani. Non è escluso che in questo scritto sia contenuta una riflessione<br />

in gran parte autonoma rispetto a quella di Paolo. Estranei alla tradizione paolina risultano i vangeli di<br />

Matteo e di Marco, nonché tutta la letteratura che va sotto il nome dell’apostolo Giovanni.<br />

33 Morte, resurrezione, pienezza raggiunta.<br />

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L’antica letteratura cristiana<br />

Reticenze o addirittura silenzi intenzionali nei confronti di Paolo si notano in alcune opere della<br />

prima metà del II sec., quali la Didaché, la Seconda lettera di Clemente, la Lettera di Barnaba, il Pastore<br />

di Erma e le opere di Papia. Un rifiuto esplicito della figura di Paolo si trova però soltanto tra gli Ebioniti<br />

e gli Elcesaiti, movimenti ereticali di stampo giudeo-cristiano, e nelle omelie Pseudoclementine.<br />

A parte questa zona d’ombra, la figura di Paolo è ricordata e i suoi scritti sono frequentemente<br />

utilizzati dagli scrittori ecclesiastici. Nella Lettera ai Corinzi di Clemente Romano (composta verso il<br />

95/96), nelle lettere di Ignazio di Antiochia (databili all’anno 110 circa) e nelle due lettere di Policarpo ai<br />

Filippesi (rispettivamente del 110 e del 135) il ricordo e la venerazione del grande apostolo vanno di pari<br />

passo con una conoscenza non sempre precisa e ap<strong>prof</strong>ondita del suo pensiero.<br />

Nel corso del II sec. si impossessano della figura e dell’opera dell’apostolo i movimenti ereticali. Le<br />

correnti gnostiche cristiane, in modo particolare quelle che fanno capo a Valentino, si rifanno<br />

all’insegnamento di Paolo. Per Marcione “c’è insanabile opposizione tra Paolo e gli altri apostoli, tra<br />

giudaismo e cristianesimo, tra Nuovo e Antico Testamento, tra legge e vangelo, tra creazione e<br />

redenzione, tra il Dio dell’AT, della legge, della creazione e dei giudei, e il Dio del NT, del vangelo, della<br />

redenzione e dei cristiani, e infine tra Gesù, messia apparso nell’anno 15° dell’impero di Tiberio (Lc 3),<br />

morto e risorto, e il Messia annunziato dai <strong>prof</strong>eti, promesso nell’AT e che apparirà alla fine della<br />

storia, ma per essere annientato da Gesù nella sua parusia” 34 . In base a tali concezioni Marcione elabora<br />

un canone delle Scritture che comprende soltanto un vangelo, quello di Luca, che secondo lui contiene<br />

l’insegnamento di Paolo, e dieci lettere dell’apostolo: sono escluse le Pastorali ed Ebrei, mentre Efesini è<br />

identificata con la lettera ai Laodicesi di cui si parla in Col 4,16.<br />

L’appropriazione di Paolo da parte degli eretici rischiava di provocarne il rifiuto definitivo da parte<br />

della grande Chiesa. Ciò fu evitato soprattutto per merito delle chiese da lui fondate in Anatolia e in<br />

Grecia, oltre che naturalmente per l’appoggio della chiesa di Roma e l’opera di Ireneo di Lione. Questi si<br />

richiama spesso a motivi paolini, pur interpretandoli in modo a volte originale; ma soprattutto conferisce<br />

alle lettere di Paolo la stessa autorità delle Scritture <strong>prof</strong>etiche dell’AT e dei vangeli, riconoscendo nel<br />

loro autore un apostolo al quale il Signore Gesù si è rivelato.<br />

La leggenda<br />

La figura di Paolo divenne ben presto oggetto di leggende popolari, le quali si svilupparono tra i<br />

cristiani dell’Asia Minore già nel corso del II secolo. Tali leggende confluirono negli Atti di Paolo,<br />

un’opera in nove sezioni, di cui la seconda è rappresentata dagli Atti di Paolo e di Tecla: vi si racconta la<br />

conversione dell’apostolo, la sua attività missionaria in Asia e in Grecia, il viaggio verso l’Italia e il<br />

martirio. È chiaro che in questo contesto non interessano più la figura storica di Paolo, il suo messaggio e<br />

la sua collocazione all’interno del cristianesimo primitivo, ma piuttosto il suo zelo missionario, i suoi<br />

miracoli e le sue sofferenze; per quanto riguarda l’insegnamento, esso viene focalizzato soprattutto sul<br />

valore ascetico della continenza e della verginità e sulla polemica contro gli idolatri e contro gli eretici.<br />

Infine l’apostolo viene presentato come modello di bontà, di virtù e di preghiera.<br />

Paolo è stato causa di scandalo e di contrasto non solo durante la sua vita, ma anche dopo la sua<br />

scomparsa. Malgrado i silenzi, i rifiuti e i travisamenti di cui è stato fatto oggetto, egli ha tuttavia<br />

continuato a esercitare un influsso determinante nella storia del cristianesimo di ogni tempo. Anche se<br />

spesso non è stato capito dai suoi stessi ammiratori e seguaci, le sue lettere hanno costituito, specialmente<br />

nei momenti di crisi, una sorgente inesausta di intuizioni e di stimoli per il rinnovamento della Chiesa e<br />

34 G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso e le origini cristiane, 379.<br />

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dei singoli credenti.<br />

2.2. Un pensiero fuori dal comune<br />

La lettura degli scritti di Paolo non lascia indifferenti. Se la genialità di Paolo colpisce, altre<br />

colte alcune sue affermazioni lasciano perplessi. Non è sempre facile, in effetti, seguire<br />

l’argomentare dell’apostolo fatto, insieme, di affermazioni perentorie e di interpellanze improvvise.<br />

La successione dei temi affrontati non viene colta immediatamente nella sua logica, nella sua<br />

pertinenza. Così, a titolo di esempio, perché mai la Prima Lettera ai Corinti si presenta, alla rinfusa,<br />

accanto a grandi affermazioni sulla croce 35 , la risurrezione 36 , alcune esortazioni sul celibato 37 , il<br />

matrimonio 38 , i tribunali civili 39 e il cibo 40 ? Simili discorsi che appaiono confusi anche a causa di<br />

alcune citazioni dell’AT, che rendono difficile la comprensione 41 , ci lasciano perplessi perché noi<br />

ignoriamo i problemi concreti cui rispondono 42 , senza peraltro voler negare che tali problemi<br />

corrispondano a quelli che abbiamo anche noi.<br />

Del resto, il tono che Paolo usa è sorprendente ed, in alcuni casi, addirittura disturba 43 . Paolo è<br />

colmo di affetto per i Tessalonicesi, da lui qualificati come “amatissimi nel Signore” 44 , ma<br />

tremendo con i Galati che tratta, senza mezzi termini, da stolti e insensati 45 . Perché mai si permette<br />

di trattare i cristiani in un modo che noi volentieri qualificheremo come ingiusto? Nella lista dei<br />

rimproveri rivolti a Paolo figura, dunque, in un posto di rilievo, quello dell’intolleranza. Viene<br />

accusato anche di misoginia 46 . Viene tacciato, inoltre, di lassismo, come uno che denuncia la carne<br />

per esaltare lo spirito 47 . Questo atteggiamento, che noi interpretiamo come autoritario, pare imporre<br />

la sua volontà alle comunità non soltanto per ciò che riguarda la fede, ma anche nei costumi 48 . Si<br />

arriva addirittura a pretendere ch’egli sia il fondatore del cristianesimo. Per riassumere il tutto, è la<br />

sua personalità stessa che ci disturba, perché il suo “io” è onnipresente.<br />

Un pensiero insostituibile<br />

Bisogna riconoscerlo: gli scritti Paolini sono esigenti quando li si avvicina perché un buon<br />

numero di espressioni, che l’autore utilizza ci sono diventate estranee 49 . Il lettore di oggi accosta le<br />

lettere con gli stereotipi che 2000 anni di una storia fatta di passioni, di dispute teologiche hanno<br />

accumulato sulla persona di Paolo e sui suoi iscritti. I testi dell’apostolo sono diventati ermetici<br />

perché noi non troviamo più in essi la fonte assolutamente originale, che li ha ispirati. Tuttavia il<br />

35 Cf. 1Cor 1,18-­‐25.<br />

36 Cf. 1Cor 15,1ss.<br />

37 Cf. 1Cor 7,1ss.<br />

38 Cf. 1Cor 5,1ss; 7,7ss.<br />

39 Cf. 1Cor 6,1-­‐8.<br />

40 Cf. 1Cor 8,1-­‐13.<br />

41 Cf. 1Cor 9,8-­‐10.<br />

42 Per es.: il battesimo per i morti, ricordato in 1Cor 15,29.<br />

43 Cf. 1Cor 14,18-­‐19: “Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dir cinque parole<br />

intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua”.<br />

44 Cf. 1Ts 1,4.<br />

45 Cf. Gal 1,6ss.<br />

46 Cf. 1Tm 2,11-­‐15: “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né<br />

d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Perché Adamo fu formato il primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la<br />

donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione nondimeno sarà salvata partorendo figliuoli, se persevererà nella fede,<br />

nell’amore e nella santificazione con modestia”.<br />

47 Cf. Rm 7,25-­‐8,4.<br />

48 Cf. 1Cor 11,1-­‐16.<br />

49 Cf. 2Cor 2,14-­‐17.<br />

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dovere di leggerlo è imprescindibile perché Paolo è un testimone insostituibile, per l’incontro<br />

eccezionale che il risorto gli ha concesso di se stesso, per la sua missione universale per le sue<br />

lettere che ci rivelano Cristo. La comunità ecclesiale di oggi è invitata ritrovare sempre di più il<br />

senso delle scritture in generale degli scritti di Paolo in particolare, se vuole rimanere viva nella<br />

fede. Essa non deve lasciarsi respingere dalla reale difficoltà che la lettura di questi testi presenta.<br />

Essi appartengono alla rivelazione e, a questo titolo, sono indispensabili per la conoscenza di Cristo.<br />

Scritti in un tempo determinato, essi hanno un valore per tutti tempi, non avendo altro contenuto<br />

che l’evento Cristo.<br />

Le vie di accesso a Paolo<br />

Per scoprire o riscoprire la personalità di Paolo il carattere insostituibile del suo messaggio è<br />

indispensabile partire dalle sue Lettere. Tali missive sono state redatte, a partire dagli anni 50, dallo<br />

stesso apostolo, almeno per sette di esse 50 . La lettera ai Colossesi e quella agli Efesini sono tardive,<br />

tanto che la loro autenticità viene contestata; tuttavia, senza voler risolvere adesso questo problema,<br />

non si può in alcun modo eliminare il carattere paolino di queste due lettere che rappresentano, di<br />

fatto, il coronamento di un medesimo pensiero. Quanto alle lettere dette pastorali, vengono<br />

considerate posteriori all’apostolo. Questo corpus epistolare è il luogo per eccellenza per scoprire<br />

Paolo, il suo messaggio, la sua vita, la sua opera.<br />

2.3. Paolo e Gesù<br />

Il vangelo che Paolo ha annunziato in Anatolia e in Grecia si ricollega espressamente alla<br />

predicazione fatta pochi anni prima da Gesù di Nazareth nei villaggi della Galilea. Tuttavia il suo<br />

messaggio non si identifica semplicemente con quello di Gesù.<br />

Paolo, infatti, ha di Gesù una conoscenza indiretta, mediata cioè dalle prime comunità cristiane di<br />

lingua aramaica e greca. Per di più egli vive e opera in un ambiente diverso, quello delle grandi città<br />

romane, in cui la tradizione giudaica deve confrontarsi con la cultura ellenistica.<br />

In questa nuova situazione egli elabora il suo pensiero in modo originale e autonomo, dando inizio a<br />

un cristianesimo che, pur senza sacrificare i suoi legami con l’ambiente giudaico originario, è più aperto e<br />

disponibile al dialogo con la cultura ellenistica. La sua persona e il suo insegnamento si pongono dunque<br />

a un crocevia importante del cristianesimo primitivo, sul quale hanno esercitato un forte influsso, non<br />

senza provocare polemiche e anche rifiuti.<br />

Il titolo con cui Paolo si presenta ai suoi cristiani e che difende con fermezza nei confronti degli<br />

avversari è quello di apostolo di Gesù Cristo. Tuttavia egli non fu discepolo di Gesù durante la sua vita<br />

terrena, anzi probabilmente non lo conobbe neppure di persona: il suo apostolato deriva dal fatto che<br />

sulla via di Damasco il Risorto apparve anche a lui, “come a un aborto” (1Cor 15,8-9), cioè fuori<br />

tempo, quando ormai si era chiuso il ciclo delle apparizioni ufficiali. È, dunque, legittimo chiedersi se<br />

esiste effettivamente un rapporto di continuità tra Gesù di Nazareth, la sua vita e il suo insegnamento, e la<br />

predicazione dell’apostolo dei gentili.<br />

Epistolario e tradizione evangelica a confronto<br />

Il rapporto che intercorre tra Paolo e Gesù può essere precisato solo attraverso un confronto tra le sue<br />

lettere e i vangeli, supponendo che questi, sebbene composti in un momento successivo, rispecchino in<br />

modo attendibile la figura e l’insegnamento di Gesù. Da questo studio appaiono alcuni fatti a prima vista<br />

sconcertanti.<br />

50 Rm; 1 e 2Cor; Gal; Fil; 1Ts; Fm.<br />

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Paolo non conosce, o almeno non mostra di conoscere se non in minima parte, le tradizioni<br />

riguardanti la vita terrena di Gesù. Egli infatti non menziona il battesimo di Gesù, le sue tentazioni, il suo<br />

annunzio incentrato sulla venuta imminente del Regno, le controversie con i farisei, i miracoli e le<br />

parabole; malgrado l’importanza da lui attribuita alla morte e risurrezione di Gesù, non ricorda alcun<br />

dettaglio della passione o delle apparizioni ai discepoli.<br />

Dall’epistolario paolino si possono ricavare solo pochi dati circa la vita terrena di Gesù:<br />

• di lui dice che appartiene al popolo di Israele (Rm 9,5);<br />

• che è un discendente di Davide (Rm 1,3);<br />

• nato da donna, sotto la legge (Gal 4,4);<br />

• e che compì la sua opera come “servitore dei circoncisi” (Rm 15,8);<br />

• tra i suoi discepoli si distingue il gruppo dei Dodici, nel quale emerge Cefa/Pietro;<br />

• mentre tra i suoi “fratelli” (1Cor 9,5) spicca Giacomo, colonna della chiesa di Gerusalemme 51 ;<br />

• nella notte in cui veniva tradito Gesù istituì l’eucaristia (1Cor 11,23);<br />

• morì in croce 52 ;<br />

• fu sepolto e risuscitò il terzo giorno, dopo di che apparve ai Dodici e ad altri discepoli (1Cor<br />

15,6).<br />

Ancora più scarsi sono i detti di Gesù che l’apostolo ricorda esplicitamente:<br />

• la moglie non si separi dal marito e questi non ripudi la propria moglie 53 ;<br />

• “quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo” 54 .<br />

• Di Gesù egli cita anche le parole pronunziate sul pane e sul vino durante l’ultima cena 55 .<br />

• Due volte si appella a una parola del Signore che però non è conservata nei vangeli 56 .<br />

Più numerose, ma anche più vaghe, sono le allusioni a particolari insegnamenti di Gesù:<br />

• bisogna vivere in pace 57 ;<br />

• senza rendere male per male 58 ;<br />

• anzi benedicendo i persecutori 59 ;<br />

• l’amore del prossimo è la sintesi di tutta la legge 60 ;<br />

• è necessario evitare lo scandalo 61 ;<br />

• e pagare le tasse dovute 62 ;<br />

• nulla deve essere più considerato come impuro 63 .<br />

Se si confronta il nucleo centrale del messaggio di Gesù con quello di Paolo, appaiono senza dubbio<br />

innegabili somiglianze, che possono essere riassunte nell’iniziativa gratuita di Dio in favore del suo<br />

popolo e di tutta l’umanità. Non meno chiare sono però le differenze: mentre Gesù pone al centro del suo<br />

annunzio il regno di Dio, compiendo le opere che ne manifestano la venuta, Paolo concentra la sua<br />

51 Gal 1,19; 2,9.12; cf. 1Cor 15,7.<br />

52 Gal 3,1; 1Cor 2,2 ecc..<br />

53 1Cor 7,10-­‐12; cf. Mc 10,9.<br />

54 1Cor 9,14; cf. Lc 10,7.<br />

55 1Cor 11,24-­‐25; cf. Lc 22,19-­‐20.<br />

56 1Cor 14,37; 1Ts 4,15.<br />

57 1Ts 5,13b; cf. Mc 9,50.<br />

58 1Ts 5,15; Rm 12,17.<br />

59 Rm 12,14; cf. Mt 5,44; Lc 6,28.<br />

60 Rm 13,9; cf. Mc 12,28-­‐31.<br />

61 Rm 12,13; cf. Mc 9,42.<br />

62 Rm 13,7; cf. Mc 12,17.<br />

63 Rm 14,14; cf. Mc 7,15.<br />

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attenzione sull’evento della morte e della risurrezione di Cristo, nel quale Dio stesso è all’opera per la<br />

giustificazione dell’uomo peccatore. Pur rivendicando un ruolo di primo piano nel disegno di Dio, Gesù<br />

non si attribuisce espressamente i titoli di Messia, Signore e Figlio di Dio; Paolo, invece, incentra su di<br />

essi tutta la sua cristologia. Sia Gesù che Paolo prendono posizione contro la legge mosaica: ma mentre il<br />

primo ne relativizza le disposizioni subordinandole alla pratica dell’amore, il secondo squalifica la legge<br />

opponendo ad essa la fede come unica via per ottenere la giustificazione. In questo bilancio sono<br />

particolarmente significativi i silenzi dell’apostolo, che si situano proprio là dove sarebbe stato opportuno<br />

e spontaneo un riferimento esplicito alla tradizione evangelica. Ma è soprattutto la sua teologia, a prima<br />

vista così diversa da quella del <strong>prof</strong>eta di Nazareth, a porre un problema oggettivo, al quale sono state<br />

date le soluzioni più disparate.<br />

Continuità e sviluppo<br />

La conversione e la prima formazione cristiana di Paolo avvenne nell’ambito delle prime comunità<br />

di lingua greca, dalle quali ricevette gli elementi fondamentali della fede; tuttavia durante tutto il suo<br />

ministero egli mantenne rapporti stretti e continuati con le prime comunità palestinesi di lingua aramaica.<br />

Sia alle une che alle altre egli è pertanto debitore del suo messaggio, che ap<strong>prof</strong>ondì mediante categorie<br />

riprese tanto dal mondo culturale giudaico che da quello ellenistico. La dipendenza di Paolo dalla fede<br />

delle prime comunità palestinesi ed ellenistiche è stata recentemente messa in risalto dalla ricerca storicomorfologica,<br />

la quale ha evidenziato nelle sue lettere un materiale più antico, che egli riprende talora in<br />

modo quasi letterale, facendone spesso il punto di partenza delle sue riflessioni teologiche.<br />

A volte è Paolo stesso che segnala l’utilizzazione di materiale arcaico, quando ad esempio afferma di<br />

aver trasmesso ciò che lui stesso ha ricevuto riguardo alla Cena del Signore 64 e alla risurrezione di Cristo<br />

(1Cor 15,3), oppure quando, per affermare l’indissolubilità del matrimonio, si appella a un comando del<br />

Signore 65 . Analogamente si può pensare che si ispiri a tradizioni della comunità primitiva allorché<br />

descrive la prassi battesimale 66 e i carismi 67 , oppure raccomanda il celibato per il regno 68 . Un chiaro<br />

marchio di arcaicità hanno anche alcune espressioni liturgiche quali amen 69 , maranathà (Signore, vieni!)<br />

(1Cor 16,22), abbà (papà) 70 . Il fatto che queste parole siano conservate in aramaico postula che Paolo le<br />

abbia ricevute dalla comunità di Gerusalemme.<br />

Nelle lettere si possono individuare antiche formule con cui la comunità esprimeva la propria fede.<br />

Alcune assumono la forma caratteristica della “omologia”, solenne dichiarazione riguardante l’identità di<br />

Gesù 71 . Altre invece sono <strong>prof</strong>essioni di fede in senso proprio, che ricordano un evento salvifico che si è<br />

attuato nel passato 72 . A volte esse presentano una teologia più arcaica di quella sviluppata da Paolo, come<br />

quando si dice che il vangelo di Dio, promesso nelle sacre Scritture, riguarda “il Figlio suo, nato dalla<br />

stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di<br />

santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 1,34). Una chiara<br />

origine prepaolina rivelano alcuni testi in forma innica, tra i quali spicca l’inno cristologico di Fil 2,6-11,<br />

ove l’opera di Gesù viene presentata secondo lo schema insolito dell’abbassamento e della glorificazione.<br />

64 Cf. 1Cor 11,23-­‐25; cf. Lc 22,19-­‐20.<br />

65 1Cor 7,10-­‐11; cf. Mc 10,11 e par.<br />

66 Rm 6,1-­‐7; cf. At 2,41.<br />

67 1Cor 12-­‐14; cf. At 2,4; 10,46; 19,6.<br />

68 1Cor 7,26; cf. Mt 19,12.<br />

69 Rm 1,25; 1Cor 14,16 ecc.<br />

70 Gal 4,6; Rm 8,15.<br />

71 Cf. 1Cor 12,3; Fil 2,11; 1Cor 8,6.<br />

72 Cf. 1Ts 1,9b-­‐10; 4,14a; 1Cor 15,3-­‐5; Rm 4,25; 14,9.<br />

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Altri inni analoghi si trovano nelle lettere deuteropaoline 73 . Ciò appare anche nell’uso della<br />

“benedizione” 74 e della “dossologia” 75 , dei “cataloghi” di virtù 76 e di vizi 77 e delle “tavole domestiche” 78 .<br />

Il vangelo di Paolo è, dunque, <strong>prof</strong>ondamente radicato nella fede della Chiesa primitiva, che l’apostolo fa<br />

sua e ap<strong>prof</strong>ondisce in funzione della vita delle comunità da lui fondate nel mondo greco-romano. Anche<br />

se non ripercorre le tappe della catechesi contenuta nei vangeli sinottici, egli non si presenta come un<br />

innovatore, ma come un apostolo e un pastore interessato a mantenere l’integrità della fede, pur<br />

adattandola alla nuova situazione in cui si trova ad operare.<br />

I rapporti tra Gesù e Paolo sono stati oggetto di un lungo dibattito. Le differenze che separano l’uno<br />

dall’altro furono evidenziate per la prima volta circa un secolo e mezzo fa da F. C. Baur, fondatore della<br />

scuola di Tubinga: secondo questo studioso le loro posizioni sono inconciliabili, in quanto Gesù predicò<br />

“una religione che respira il più puro spirito morale”, mentre Paolo elaborò un sofisticato sistema<br />

teologico.<br />

L’idea di un divario insanabile venne ripresa all’inizio di questo secolo da W. Wrede, per il quale<br />

l’apostolo, influenzato dall’apocalittica giudaica, già prima della sua conversione credeva in un essere<br />

celeste, una specie di Cristo divino, che poi identificò con Gesù di Nazareth quando questi gli apparve<br />

come il Risorto: sarebbe questo l’elemento nuovo che impresse una svolta decisiva al pensiero di Paolo.<br />

Secondo W. Heitmüller, invece, l’elemento nuovo consisterebbe nello sviluppo che il messaggio di<br />

Gesù subì dopo la sua risurrezione nell’ambito della comunità primitiva e soprattutto del cristianesimo<br />

ellenistico, che trasformò il messia giudaico nel trascendente figlio di Dio e nel divino Signore.<br />

A questa linea di pensiero, che afferma una netta differenza o addirittura una contrapposizione tra<br />

Paolo e Gesù, si oppose A. Schweitzer, il quale mise in primo piano la continuità che esiste tra i due sul<br />

terreno dell’attesa escatologica: sia Gesù che Paolo annunziarono l’imminente irruzione nella storia della<br />

signoria di Dio; la differenza sta nel fatto che per l’apostolo, che si colloca in un momento successivo a<br />

quello di Gesù, la salvezza è già stata inaugurata mediante la sua morte e risurrezione ed è disponibile per<br />

coloro che si uniscono misticamente a Lui.<br />

Il paolinismo sarebbe, dunque, l’unico autentico sviluppo del vangelo di Gesù. Una posizione in<br />

qualche modo intermedia è stata adottata da R. Bultmann, il quale, se da un lato riconosce la dipendenza<br />

di Paolo dal cristianesimo ellenistico, dall’altro afferma che la vera differenza tra Gesù e Paolo sta nel<br />

fatto che “la cosa decisiva che Gesù attende per Paolo si è già compiuta”. Per lui, quindi, i contenuti<br />

della predicazione di Gesù avrebbero perso la loro importanza in favore del kerygma primitivo, cioè<br />

dell’annunzio con il quale Dio chiama efficacemente l’uomo perduto a decidersi per il dono della<br />

salvezza che gli viene offerto gratuitamente nel Cristo risorto. La dissociazione operata da Bultmann tra il<br />

Gesù della storia e il Cristo della fede è stata superata dai suoi discepoli, secondo i quali Gesù,<br />

annunziando l’imminente venuta del regno escatologico di Dio, collocò se stesso al centro dell’iniziativa<br />

salvifica divina.<br />

Esiste pertanto una continuità tra la cristologia implicita di Gesù e quella esplicita di Paolo, il quale<br />

però, non avendo avuto un’esperienza diretta di quanto Gesù disse e fece durante la sua vita terrena,<br />

focalizzò la sua attenzione sull’evento della sua morte e risurrezione, nel quale vide il culmine e la<br />

pienezza di tutta la sua opera salvifica.<br />

73 Cf. Col 1, 15-­‐20; Ef 1, 3-­‐14; 1Tm 3,16.<br />

74 Cf. Rm 1,25; 9,5; 2Cor 1,3.<br />

75 Cf. Gal 1,5; Rm 11,36; 16,25-­‐27; Fil 4,20.<br />

76 Cf. Gal 5,22-­‐23; 2Cor 6,6; Fil 4,8.<br />

77 Cf. Gal 5,19-­‐21; 1Cor 5, 10-­‐11; 6,9-­‐10; Rm 1,29-­‐30.<br />

78 Cf. Col 3,18-­‐4,1; Ef 5,22-­‐6,9; 1Tm 2,9-­‐15.<br />

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Il dibattito sui rapporti tra Paolo e Gesù ha messo in luce due fatti importanti: da una parte non esiste<br />

tra i due un abisso invalicabile, dall’altra non si può semplicemente affermare che i rispettivi punti di<br />

vista coincidono. L’apostolo non ha alterato il vangelo di Gesù, ma lo ha ripreso esplicitando il ruolo che<br />

questi, in forza della sua morte e risurrezione, svolse nel piano salvifico di Dio. Nel fare ciò egli si è<br />

ispirato alla fede della comunità primitiva, che ha colto nel delicato passaggio dal mondo culturale<br />

giudaico a quello greco-romano.<br />

Proviamo a ripercorre con attenzione queste tappe. La ricerca si è impegnata a trovare una<br />

spiegazione “storica” della teologia paolina, su tre direttrici diverse:<br />

- l’annuncio di Gesù di Nazareth (Gesù storico);<br />

- il cristianesimo primitivo;<br />

- fattori culturali e religiosi dell’ambiente.<br />

I risultati della prima direttrice sono stati e non potevano non essere deludenti. Nella<br />

predicazione di Gesù non è possibile scorgere la chiave del pensiero paolino. Paolo non ha<br />

conosciuto Gesù. Il suo epistolario rivela uno stacco dalla predicazione di Gesù così come possiamo<br />

conoscerla dai sinottici.<br />

La scuola di Tubinga ha, invece, privilegiato la seconda direttrice: il Cristianesimo primitivo<br />

visto in una sua intrinseca e supposta dialettica tra il partito di Pietro, ligio alle osservanze e allo<br />

spirito del Giudaismo e quello aperto al mondo pagano, egemonizzato da Paolo. Domina in questa<br />

impostazione lo schema idealista della tesi e dell’antitesi. Il Vangelo di Paolo si spiega in forza di<br />

questa lotta contro la segregazione del Vangelo nella cittadella del Giudaismo. I discepoli di Baur si<br />

sono mantenuti su questa linea pur con qualche significativo cambiamento. In ogni caso la scuola di<br />

Tubinga non ha pensato ad influssi esterni: il cristianesimo di Paolo, una monade priva di porte e<br />

finestre, un fenomeno storico isolato dall’ambiente. Oggi si prende il meglio di questa attenzione.<br />

Fuori di schematizzazioni semplicistiche si cerca di precisare quanto Paolo ha ricevuto e, quindi,<br />

quanto è dipendente dall’esperienza ecclesiale.<br />

Se, infatti, la principale ispirazione della teologia di Paolo fu la rivelazione concessagli<br />

nell’esperienza ineffabile della conversione, quell’evento non fu l’unica fonte della sua conoscenza<br />

di Cristo e del movimento cristiano. Egli non fu il fondatore di tale movimento, ma vi si inserì in un<br />

secondo momento. È del tutto normale, allora, che Paolo abbia ereditato dalla tradizione primitiva<br />

della Chiesa alcune idee fondamentali sull’identità di Cristo e sulla sua opera. Pertanto è da<br />

prendere “cum grano salis” e da comprendere nel contesto polemico l’affermazione dell’Apostolo <strong>–</strong><br />

contenuta all’inizio della lettera ai Galati <strong>–</strong> circa la sua totale autonomia dall’ambiente ecclesiale.<br />

Di fatto, vi sono nelle lettere paoline chiare implicazioni della dipendenza dalla tradizione<br />

apostolica della Chiesa primitiva: dal suo kerigma, dalla sua liturgia, dalla sua terminologia<br />

teologica, dalla sua parenesi. Paolo trasmette ciò che ha ricevuto 79 , si richiama alle abitudini della<br />

Chiesa 80 , raccomanda fedeltà alla tradizione. Attraverso affinità lessicali e tematiche tra i diversi<br />

documenti neotestamentari è possibile recepire le tracce della primitiva predicazione ed il fondo<br />

comune della catechesi e ciò che da esso è passato negli scritti paolini. È possibile, allora,<br />

individuare con sufficiente sicurezza:<br />

a) frammenti del kerigma primitivo 81 ;<br />

79 Cf. 1Cor 11,2.23; 15,1.3.<br />

80 Cf. 2Cor 1l,16.<br />

81 Esempi a riguardo possono essere: 1Ts 1,10; Gal 1,3-­‐4; 1Cor 15,2-­‐5; Rm 1,2-­‐4; 8,34; 10,8-­‐9. Si può utilmente<br />

documentarsi con C. H. DODD, La predicazione apostolica ed il suo sviluppo. Paideia, Brescia 1973 (I cap.); T.<br />

SCHREINER (a cura di), Forma ed esigenze del Nuovo Testamento, Bari 1983, 77.<br />

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b) elementi della liturgia, quali ad esempio la formula eucaristica 82 . Sempre dell’esperienza<br />

liturgica sono da ricordare alcune dossologie che erano comune patrimonio ecclesiale 83 , ed alcuni<br />

inni così come si trovano, pur non senza qualche ritocco 84 . Infine, l’uso di formule confessionali<br />

echeggia la prassi della Chiesa primitiva: Gesù è il Signore 85 ; Gesù è il Cristo 86 .<br />

c) alcuni termini evocativi di precise visioni teologiche emergono dal retroterra ecclesiale:<br />

Figlio di Dio 87 ; la triade: fede, speranza e carità 88 ; Chiesa di Dio 89 ; apostolo 90 , ecc.<br />

d) infine, certe parti esortative delle lettere paoline fanno pensare ad un’incorporazione del<br />

materiale parenetico in uso nella comunità.<br />

In conclusione, l’applicazione del metodo della storia delle forme ha consentito di ritrovare<br />

in Paolo l’eco di pensieri comuni e tracce di un comune linguaggio, anche se non possiamo<br />

dimenticare i limiti di un metodo come questo quando è applicato ad un materiale quale è<br />

l’epistolario paolino. Esso, infatti, non è il risultato di una lenta evoluzione letteraria, ma nasce dalla<br />

personalità dell’Apostolo in debito, sì, con la tradizione, ma anche vigorosamente originale.<br />

Dagli inizi del Novecento, è la terza direttrice, l’attenzione degli storici si è volta alle forze<br />

religiose e culturali del duplice milieu 91 : quello greco-pagano e quello giudaico. Paolo è cittadino di<br />

Gerusalemme o di Atene? Questa è stata la direttrice più esplorata. In sintesi si possono indicare<br />

queste tappe della ricerca:<br />

a) a favore di un Paolo fortemente ellenizzato si espresse la scuola storico-religiosa<br />

(Reitzenstein 92 , Bousset 93 );<br />

b) il Vangelo di Paolo trova la sua spiegazione nelle religioni misteriche di stampo grecoorientale,<br />

nel dualismo gnostico e nel culto di divinità salvatrici.<br />

Il procedimento metodologico di questi studiosi è alquanto discutibile: constatata una serie di<br />

analogie della teologia paolina con molteplici espressioni della religiosità greco-orientale hanno<br />

concluso la dipendenza di questa da quelle 94 . Già Wrede (1904) aveva spiegato il Vangelo paolino<br />

come applicazione a Gesù della sua credenza in un Messia trascendente proprio della apocalittica<br />

82 Cf. 1Cor 11,23-­‐25; la prassi battesimale che traspare in alcuni testi quali Rm 6,1ss; preghiere ed invocazioni quali:<br />

amen, maranathà, Abbà, ecc.<br />

83 Quali Gal 1,5; Fil 4,20; Rm 11,36; Ef 3,21.<br />

84 Per esempio in Fil 2,6-­‐11; Col 1,15-­‐20; Ef 5,14.<br />

85 1Cor 12,13; Rm 10,9.<br />

86 1Cor 3,11.<br />

87 Cf. Rm 1,4.9; 2Cor 1,19; Gal 2,20; Ef 4,13.<br />

88 Cf. 1Ts 1,3; 5,8.<br />

89 Cf. 1Cor 1,2; 10,32; 11,22; 12,28; 15,9; Gal 1,13; Ef 3,10; 1Tm 3,5.15.<br />

90 Cf. Rm 1,1; 11,13; 1Cor 1,1; 9,1.2; 15,9; 2Cor 1,1; 12,12; Gal 1,1; 2,8; Ef 1,1; Col 1,1; 1Tm 1,1; 2,7; 2Tm 1,1; Tt 1,1.<br />

91 Milieu è una parola di origine francese adottata in italiano, che significa “contesto, ambito, ambiente” in special modo<br />

usata dal punto di vista sociale e culturale, ad esempio per indicare appunto l’ambito sociale e culturale in cui opera un<br />

artista, o da cui emerge una corrente di pensiero. Nell’originale francese può però anche indicare un ambiente<br />

malavitoso, un giro d’affari losco, come testimonia anche il termine di Le Milieu attribuito a delle organizzazioni<br />

criminali.<br />

92 L’influsso dell’ambiente ellenistico sul pensiero di Paolo è stato enfatizzato soprattutto dalla scuola storico-­‐religiosa,<br />

fiorita nel periodo che precedette la prima guerra mondiale. Antesignano di questa scuola fu P. Wendland, la cui opera è<br />

stata tradotta di recente in italiano: egli sostiene che la gnosi orientale ha influito sulla religiosità di Paolo, e che il<br />

cristianesimo, come religione redentiva, si può comprendere solo sullo sfondo di una mistica prettamente pagana. Sulla<br />

stessa linea si colloca l’opera già citata di W. Heitmüller. Due anni prima R. Reitzenstein aveva scritto un libro sulle<br />

religioni misteriche, nel quale dipingeva Paolo come uno gnostico, buon conoscitore della letteratura ellenistica, che<br />

condivide con i mistici ellenistici il senso estatico dello sdoppiamento della propria personalità.<br />

93 Secondo W. Bousset le caratteristiche specifiche della teologia di Paolo sono dovute in massima parte all’influsso che<br />

esercitarono su di lui da una parte il dualismo gnostico, dall’altra le religioni misteriche e i culti delle divinità salvatrici,<br />

chiamate Kúptot (Signori).<br />

94 Oggi questa posizione è poco seguita e, gradualmente, si è privilegiata l’attenzione al mondo biblico.<br />

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giudaica del 4 Esdra e dell’Apocalisse di Baruc. Ma è soprattutto con Schweitzer che abbiamo la<br />

reazione più precisa all’indirizzo della scuola storico-religiosa e contro ogni tentativo di fare di<br />

Paolo un greco 95 . La sua tesi è riassumibile in queste preposizioni:<br />

- come Gesù, Paolo è debitore dell’escatologia e dell’apocalittica giudaica, tutta protesa<br />

verso l’instaurazione del Regno messianico, che sarebbe sorto sulle ceneri di questo<br />

mondo, verso la finale resurrezione dei morti e la realizzazione del Regno di Dio;<br />

- il paolinismo ed il pensiero greco non hanno nulla in comune;<br />

- la mistica della redenzione e la dottrina sacramentaria di Paolo appartengono alle idee e<br />

al linguaggio dell’apocalittica.<br />

Weiss (1913) si è opposto ad ogni soluzione unilaterale del problema, proponendo l’ipotesi<br />

di molteplici influssi 96 . Siamo, poi, al periodo immediatamente successivo alla prima guerra<br />

mondiale: il campo continua ad essere dominato dall’opinione del Paolo greco, tuttavia emerge un<br />

elemento nuovo. Siamo alla valorizzazione della letteratura rabbinica. Billerbeck pubblica (1922-<br />

1928) una ricca raccolta di materiale rabbinico. Importante è il terzo volume dell’opera<br />

“Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch” dedicato a Paolo. Anche per Kittel,<br />

accanto e avanti a tutte le analogie ellenistiche medio-orientali, per lo studio del Cristianesimo<br />

primitivo sussiste la questione dei rapporti di questo con il tardo giudaismo palestinese. Ancora<br />

Schweitzer nel 1930 torna alla carica con l’opera “La mistica dell’Apostolo Paolo”, ribadendo<br />

l’intuizione di venti anni prima: Paolo è un mistico incentrato sulla persona di Cristo. In lui sono<br />

presenti tre concezioni salvifiche: escatologica, mistica e giuridica. La prima è fondata nell’attesa di<br />

Cristo, la seconda è caratterizzata dall’essere in Cristo, la terza consiste nella dottrina della<br />

giustificazione. La salvezza mistica anticipa nella storia la salvezza attesa per la fine del mondo.<br />

Dopo la seconda guerra mondiale, si continua ad oscillare tra il polo greco-pagano e quello<br />

giudaico. Nell’alveo della scuola religionistica si colloca anche R. Bultmann, il quale<br />

precedentemente aveva affermato la dipendenza e al tempo stesso l’originalità di Paolo nei<br />

confronti della cultura greca. In seguito egli sottolineò le analogie tra il pensiero di Paolo e il mito<br />

gnostico del redentore, sceso dai cieli e apparso in terra per risvegliare la coscienza delle anime<br />

decadute: su questa linea richiamò pure l’attenzione sulla gnosi giudaico-orientale attestata nei testi<br />

mandaici.<br />

Una certa dipendenza di Paolo dalla cultura greca viene oggi riconosciuta senza difficoltà, ma<br />

nei singoli casi gli studiosi si pronunziano con grande cautela. È fuori discussione per esempio che<br />

l’apostolo abbia spesso adottato, pur con i dovuti correttivi, il metodo della diatriba cinico-stoica.<br />

Dalla filosofia popolare, nella quale predominavano elementi di origine stoica, ha assunto termini<br />

come fu,sij 97 , sunei,dhsij 98 , evleuqeri,a 99 , avreth, 100 , auvta,rkeia 101 . Lo stesso si può dire dei cataloghi<br />

95 All’inizio del XX secolo W. Wrede e A. Schweitzer attribuirono alcune peculiarità del pensiero di Paolo all’influsso<br />

dell’apocalittica giudaica. In seguito diversi studiosi misero in luce la sua dipendenza da altri settori del mondo giudaico.<br />

L’importanza dell’ambiente rabbinico è stata evidenziata soprattutto da P. Billerbeck, il quale all’indomani della prima<br />

guerra mondiale raccolse in un’opera monumentale un ricco materiale rabbinico parallelo al NT. Sulla stessa linea si<br />

colloca W. D. Davies, il quale mostra come i principali temi della teologia paolina traggono ispirazione dalla sua<br />

formazione rabbinica.<br />

96 Altri studiosi infine, come J. Weiss, pensano che nel pensiero di Paolo sia confluita, insieme al messaggio etico di Gesù<br />

e della comunità primitiva, una serie di correnti spirituali dell’epoca: religiosità ellenistico-­‐giudaica ed etica stoica,<br />

mistica sincretistico-­‐ellenistica e gnosi dualistico-­‐ascetica.<br />

97 Rm 1,26-­‐27; 2,14; ecc.<br />

98 1Cor 8,7.10.12; Rm 2,15; ecc.<br />

99 Cf. 1Cor 10,29; 2Cor 3,17; Gal 5,1.13; ecc.<br />

100 Fil 4,8.<br />

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di vizi e di virtù 102 , i quali però erano già stati adottati dal giudaismo ellenistico. L’utilizzazione da<br />

parte di Paolo di termini o espressioni di chiara matrice ellenistica non deve però ingannare: spesso<br />

infatti egli conferisce loro un significato nuovo, facendone il veicolo di concetti che affondano le<br />

loro radici nel mondo biblico. In questo egli segue un metodo ampiamente diffuso nell’ambito del<br />

giudaismo ellenistico. Per quanto riguarda le religioni misteriche, sembra che a volte Paolo faccia<br />

suoi alcuni dei loro concetti preferiti, come avviene per esempio a proposito del battesimo (cf. Rm<br />

6,33), ma si tratta per lo più di contatti puramente formali.<br />

Bultmann, che già aveva evidenziato il debito di Paolo verso la diatriba cinico-stoica in<br />

un’opera sintetica “Il Cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche” (1948, ed. it.<br />

1964) afferma che il Cristianesimo primitivo è un fenomeno sincretistico; in esso si mescolano<br />

elementi culturali, valori etici e credenze religiose del mondo giudaico, dell’ambiente greco, della<br />

“pietà” orientale. Riprendendo la teoria di Heitmüller e Bousset, sottolinea la differenza<br />

fondamentale tra Cristianesimo ellenistico, matrice del pensiero paolino, e quello palestinese:<br />

l’attesa escatologica di questo aveva lasciato il posto al culto di Gesù Kyrios, presente nei<br />

sacramenti, e alla “sapienza” propria del mito gnostico. Rileva la analogia tra la teologia paolina<br />

della redenzione con l’antropologia e la soteriologia dei sistemi gnostici. Pure nelle diversità,<br />

tuttavia Paolo vi si sarebbe ispirato.<br />

Nel frattempo la scoperta dei manoscritti di Qumran suggerì nuove somiglianze tra questo<br />

ambiente giudaico di matrice essena e le lettere paoline. H. J. Schoeps attirò, invece, l’attenzione<br />

sul giudaismo ellenistico, mentre altri studiosi, quali R. Le Déaut e M. McNamara posero l’accento<br />

sulle versioni aramaiche dell’AT (targumim). Le radici giudaiche di Paolo sono state ap<strong>prof</strong>ondite<br />

da numerosi studiosi cattolici, tra i quali emergono L. Cerfaux, S. Lyonnet e J. Dupont.<br />

Dopo la pubblicazione dei testi di Nag-Hammadi 103 , espressioni di una setta cristiana<br />

gnosticizzante, l’interesse per la gnosi ha catalizzato l’attenzione nell’ultimo ventennio. Tuttavia,<br />

per quanto riguarda la gnosi, oggi si fa notare la distinzione tra testi gnostici per lo più abbastanza<br />

tardivi rispetto all’inizio del Cristianesimo, e teorie gnostiche, presenti fino dal primo secolo.<br />

Non si può escludere che esistesse una corrente di pensiero comunemente chiamata<br />

“pregnosticismo” o “protognosticismo”, nella quale circolava un complesso di idee e concezioni<br />

che preludono allo gnosticismo vero e proprio: è possibile che questo gnosticismo allo stato ancora<br />

embrionale abbia avuto un influsso non tanto su Paolo, quanto piuttosto sui suoi avversari, i quali lo<br />

costrinsero a utilizzare in una certa misura la loro terminologia nella elaborazione del suo pensiero.<br />

L’attenzione, poi, si è spostata sul versante giudaico dalla scoperta dei testi di Qumran.<br />

All’inizio si sono notati molti punti di contatto, enfatizzando eccessivamente la vicinanza tra<br />

Cristianesimo primitivo e la setta dei monaci del Mar Morto; per esempio:<br />

a) l’antitesi luce-tenebre e carne-spirito;<br />

b) la dottrina della corruzione radicale dell’uomo;<br />

101 2Cor 9,8.<br />

102 Cf. Rm 1,18-­‐32; Gal 5,19-­‐23.<br />

103 Nag Hammâdi è una cittadina situata nel Governatorato di Qina (Egitto centrorientale), con una popolazione<br />

di circa 30.000 abitanti. È importante centro agricolo per la produzione di zucchero, a cui si affianca l'industria<br />

dell'alluminio e del cemento. Fu nota anticamente con il nome di χηνοβόσκιον (Chenoboskion, “recinto per oche”).<br />

Sulla curiosa denominazione Erodiano riporta un sapida freddura: “ Chenoboschia o Chenoboschio, città<br />

egiziana. <strong>Alessandro</strong> disse che la città non riportava nulla del nome, infatti nessuno vi potrebbe scorgere oche al<br />

pascolo, visto l'impegno dei suoi abitanti nel rispetto dei coccodrilli” (De prosodia catholica, ed. A. Lentz,<br />

Grammatici Graeci, vol. 3.1. Leipzig, Teubner, 1867), È soprattutto nota per la scoperta, nel 1945, di una<br />

biblioteca di scritti gnostici cristiani scritti in lingua copta noti come codici di Nag Hammâdi.<br />

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c) l’interesse per la conoscenza dei misteri divini riguardanti il destino del mondo;<br />

d) la febbrile attesa escatologica alcuni rituali (bagni purificatori e cene sacre);<br />

e) l’organizzazione e la disciplina della comunità;<br />

f) la tecnica esegetica applicata alle scritture la polemica contro il culto gerosolimitano.<br />

Dopo un primo momento, la convinzione di un contatto stretto tra Cristianesimo primitivo e,<br />

quindi, Paolo con Qumran si è notevolmente allentata. Si sono poste altre sottolineature quali:<br />

- L’incidenza del rabbinismo: la fede cristiana costituisce la piena fioritura del giudaismo<br />

(Davies). Paolo, un rabbi che ha creduto nella venuta del Messia traendone le<br />

conseguenze: abrogazione della legge mosaica e promulgazione della legge del Messia;<br />

effusione dello Spirito; ingresso dei pagani nel popolo di Dio.<br />

- Difensori di un <strong>prof</strong>ondo radicamento di Paolo nel mondo giudaico (escatologia,<br />

apocalittica, corrente sapienziale) si sono fatti molti studiosi cattolici anche se non si<br />

misconosce l’apporto dell’ellenismo essenzialmente per quanto riguarda il linguaggio<br />

dell’Apostolo.<br />

Il punto di arrivo della ricerca attuale:<br />

- riconoscimento di una osmosi culturale e religiosa tra giudaismo ed ellenismo;<br />

- non è più possibile contrapporre il giudaismo palestinese, impermeabile ad influssi greci,<br />

ad un giudaismo della diaspora più o meno ellenizzato: l’uno e l’altro erano aperti ad<br />

apporti esterni;<br />

- Gerusalemme o Atene, Paolo ebreo o ellenista sono dilemmi semplicistici.<br />

Recentemente P. Sanders ha posto a confronto le strutture religiose del giudaismo palestinese con<br />

quelle di Paolo: se nel giudaismo predomina il “nomismo del patto”, in forza del quale l’osservanza della<br />

legge è la condizione per rimanere nell’alleanza donata gratuitamente da Dio, per Paolo è determinante<br />

l’escatologia partecipazionista, ossia l’unica via di salvezza è l’essere in Cristo mediante la fede.<br />

Attualmente gli studiosi convergono nell’affermare che Paolo illustra il mistero di Cristo attraverso<br />

categorie desunte in gran parte dall’esperienza religiosa di Israele, così come è stata delineata nell’AT,<br />

che egli legge prevalentemente nella versione greca dei LXX.<br />

Di qui derivano i grandi temi paolini, quali il peccato che corrompe tutta l’umanità, la giustizia<br />

salvifica di Dio che si rivela nella persona di Cristo, la redenzione e la giustificazione mediante la fede,<br />

l’amore del prossimo come sintesi di tutta la legge, la chiamata non solo di Israele, ma di tutti gli uomini<br />

alla salvezza, la Chiesa come nuovo popolo di Dio.<br />

Tuttavia l’atteggiamento di Paolo verso l’AT è complesso. “In parte l’AT per Paolo è obsoleto e da<br />

rifiutare (AT come legge); in parte, esso è preannunzio, cioè preparazione e quindi valorizzazione in<br />

senso positivo (AT come promessa); in parte, conserva intatta l’autorità di libri ispirati e divini (AT<br />

come Scrittura); infine, e come conseguenza, esso fornisce a Paolo in maniera determinante abbondanza<br />

di materiale concettuale e lessicale, come imprescindibile mezzo espressivo (AT come linguaggio)” 104 .<br />

Paolo legge l’AT secondo le modalità proprie del giudaismo del tempo, ora utilizzando i metodi<br />

dell’esegesi rabbinica 105 , ora introducendo motivi e spunti tipici delle correnti apocalitticoescatologiche<br />

106 . Quando sembra mettere in discussione certi concetti biblici, per esempio la legge, in<br />

realtà non si contrappone all’AT in quanto tale, ma a una sua interpretazione che prescinde da Cristo e<br />

dalla sua opera salvifica. In questo caso egli sostituisce concetti ormai logori con altri, per esempio la<br />

104 R. PENNA, Atteggiamenti di Paolo verso L’antico Testamento, in RivBib 32(1984) 175-­‐210.<br />

105 Cf. Gal 3,6-­‐14; 4,21-­‐31; Rm 4; 1Cor 10,1-­‐5,<br />

106 Cf. 1Ts 4,13-­‐5,10; 1Cor 15,51-­‐53; 2Cor 5,1-­‐10; Fil 3,11.20-­‐21.<br />

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giustificazione e fede, che però derivano anch’essi dal mondo biblico.<br />

Pur rifacendosi continuamente alla fede, alla cultura e alle attese del popolo giudaico, Paolo elabora<br />

il suo pensiero teologico a partire dall’evento di Cristo morto e risuscitato. Se nelle sue lettere si notano<br />

gli influssi culturali più disparati, egli però li utilizza in modo autonomo, senza mai legarsi ad un sistema<br />

precostituito. “Nelle sue lettere Paolo appare come chi basa la spiegazione del suo evangelo, la sua<br />

teologia, sul significato della morte e della risurrezione di Gesù, non come chi ha adattato la morte e<br />

risurrezione di Cristo in uno schema preesistente, dove esse possano assumere il posto di altri motivi con<br />

funzioni simili” 107 .<br />

107 P. SANDERS, Paolo ed il giudaismo palestinese, 760.<br />

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CAPITOLO II<br />

l’ambiente umano, culturale e religioso<br />

1. IL QUADRO STORICO DI RIFERIMENTO<br />

Abbiamo visto nel precedente capitolo la consistenza del materiale con la quale dovremo<br />

misurarci. questo primo momento ci è servito per prendere contatto con questa complessa ed<br />

affascinante figura. Adesso volgiamo il nostro sguardo all’ambiente umano, culturale e religioso<br />

che hanno contributo a far nascere la personalità dell’apostolo delle genti. Per fare ciò non si può<br />

separare la storia del primo cristianesimo da quella dell’ambiente in cui esso nacque e si sviluppò,<br />

cioè l’impero romano nelle sue diverse componenti nel I sec. d.C.<br />

Roma nel passaggio dalla repubblica all’impero<br />

Il I sec. d.C. è dominato da due dinastie la Giulio-Claudia, che ha inizio con Ottaviano<br />

(Augusto) e la Flavia che ha inizio con Vespasiano.<br />

Augusto Tiberio 108 Gaio 109 Claudio 110 Nerone 111 Vespasiano Tito Domiziano<br />

31 a. C.<strong>–</strong>14 d. C. 14-37 d. C. 37-41 d.C. 41-54 d. C. 54-68 d. C. 69-79 d. C. 79-81 d. C. 81-96 d. C.<br />

Alcune caratteristiche<br />

1. L’inizio dell’impero di Augusto cade in un momento di <strong>prof</strong>onda attesa dopo le <strong>prof</strong>onde<br />

guerre intestine che hanno sconvolto Roma per tutto il I sec. a.C. Si fa interprete di questa<br />

attesa Virgilio nella IV ecloga 112 .<br />

2. Augusto, che riceve tale nome dal senato nel 27 a.C., intende restituire al popolo romano la<br />

propria sovranità. Le cariche che gli vengono conferite sono ancora cariche inquadrabili nella<br />

configurazione repubblicana: egli detiene il comando delle truppe di stanza fuori di Italia, ha<br />

la potestà consolare e tribunizia. Tutto questo tende lentamente a modificarsi a favore di un<br />

potere autocratico che riunisce in sé tutto il potere.<br />

3. La pace universale che favorisce l’osmosi tra le diverse culture che costituivano l’impero.<br />

1.1. L’ellenismo come elemento unificante<br />

Vie e commerci<br />

L’unità di tutto il bacino mediterraneo intorno a Roma favorisce gli scambi in ogni senso. Per<br />

ragioni militari e commerciali una rete stradale unisce in diversi centri del bacino mediterraneo.<br />

Alcuni dati:<br />

108 Ricordato in Lc 3,1: VEn e;tei de. pentekaideka,tw| th/j h`gemoni,aj Tiberi,ou Kai,saroj.<br />

109 Gaio (Caligola) dal marzo 37 al gennaio 41 d.C. Non è ricordato nel Nuovo Testamento. Secondo Penna 109, può essere<br />

un riferimento a lui Mc 13.14: {Otan de. i;dhte to. bde,lugma th/j evrhmw,sewj e`sthko,ta o[pou ouv dei/( o` avnaginw,skwn noei,tw.<br />

110 È ricordato in At 11,28 a proposito della carestia e in 18,2 per l’editto di espulsione del 49 (secondo Orosio).<br />

Vedremo più avanti la questione intorno a questa datazione.<br />

111 È citato indirettamente nel Nuovo Testamento: quando Paolo in At 25,11-­‐12 si appella a Cesare si appella a Nerone<br />

che è imperatore in quel momento. Sotto Nerone inizia la guerra in Palestina che terminerà nel 70 con la conquista di<br />

Gerusalemme.<br />

112 R. PENNA, L’ambiente, 91.<br />

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- Comunicazioni per nave: in primavera ed estate era il modo ci comunicazione più veloce è<br />

più semplice, come ci è riferito dal testo di Atti 113 . Con il vento favorevole si potevano<br />

percorrere perciò più di 100 km.<br />

- Comunicazioni fluviali, molto più limitate;<br />

- comunicazioni via terra: a cavallo e cambiando cavallo alle stazioni si potevano percorrere<br />

alcune centinaia di km; in alternativa i carri potevano percorrere una cinquantina di Km al<br />

giorno; a piedi non più di 40 114 .<br />

Importanza della polis<br />

Già <strong>Alessandro</strong> Magno aveva fatto delle città fondate ex novo (ad es. Alessandria) o rifondate<br />

secondo il concetto greco il punto fondamentale della diffusione della cultura greca in oriente. Con i<br />

suoi successori questo processo continua così come avviene successivamente con i romani<br />

soprattutto a partire da Augusto quando ormai è necessario dare stabilità a tutta la serie di conquiste<br />

avvenute nel corso del I sec. a.C.: tra le città di primaria importanza per il NT una di quelle fondate<br />

dai romani è Filippi.<br />

Le polis, collegate tra di loro da un sistema viario assai sviluppato, divengono punto di incontro<br />

delle diverse culture tutte unificate dalla lingua e dalla cultura greca, più in oriente che in occidente.<br />

Aumenta la mobilità. Nelle lettere di Paolo sono un esempio di mobilità i due coniugi Aquila e<br />

Priscilla: li troviamo a Corinto, provenendo da Roma; essi però erano originari del Ponto; a Efeso<br />

hanno una casa e, quando Paolo scrive ai Romani, sono di nuovo a Roma.<br />

Lo scambio religioso e culturale<br />

Di conseguenza si accentuano gli scambi tra le diverse parti dell’impero. Questo non favorisce<br />

solo i commerci ma anche la dimensione religiosa e culturale. Lo scambio religioso è favorito dalla<br />

mobilità della popolazioni. Chi giunge alla città per un qualunque motivo si porta dietro i suoi<br />

legami etnici e religiosi. Ancora una volta il NT fornisce l’esempio del giudaismo che è diffuso in<br />

tutto il bacino del Mediterraneo Orientale con le sue sinagoghe e le sue leggi. Il primo cristianesimo<br />

segue la stessa prassi.<br />

Giudaismo: diffusione e organizzazione<br />

All’interno di questo quadro di pone il giudaismo con la fisionomia che lo caratterizza nel I sec.<br />

Il giudaismo entra nell’orbita greca con la conquista di <strong>Alessandro</strong> nel 331 a.C. I romani compaiono<br />

con Pompeo nel 63 a.C. Negli anni a cavallo tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C. la Palestina, sotto<br />

dominio romano, riceve in toto od in parte lo status di regno indipendente sotto la famiglia di<br />

Erode:<br />

Erode 115 Archelao 116 Erode Antipa 117 Filippo 118 Erode Agrippa I 119 Erode Agrippa II 120<br />

37-4 a.C. 4 a.C. - 6 d.C. 4 a.C. - 39 d.C. 4 a.C.- 34 d.C. 39-44 d. C. 50-100 d. C.<br />

113 Cf. At 28,11-­‐13: “Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola, recante l’insegna dei<br />

Diòscuri. Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno<br />

seguente si levò lo scirocco e così l’indomani arrivammo a Pozzuoli”.<br />

114 Da Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, 36-­‐37.<br />

115 È il famoso Erode il Grande, quello della strage degli innocenti. Governa dal 37 al 4 a. C. A lui succedono i suoi tre figli.<br />

116 È etnarca in Giudea, Samaria ed Idumea e viene mandato in esilio dai Romani nel 6 d.C. per il suo governo brutale.<br />

117 Etnarca in Galilea e Perea sino al 39.<br />

118 Governa nella Transgiordania sino al 34.<br />

119 Muore nel 44 e governa dapprima il regno di Antipa per poi estendere il suo dominio su tutta la Palestina con il<br />

favore di Caligola.<br />

120 È figlio di Agrippa I, che governa la Transgiordania dal 50 al 100 circa.<br />

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A tutto questo dobbiamo aggiungere la differenziazione fra il giudaismo palestinese e<br />

giudaismo della diaspora. Il primo ruota intorno a Gerusalemme ed il suo tempio, inteso come<br />

Legge e culto. È diviso nelle sette di sadducei, farisei, esseni e zeloti. Sarà movimentato dalla<br />

rivolta a Roma del 66 d.C., con la conseguente fine del Tempio. Il secondo, quello della diaspora,<br />

ha i suoi grandi centri in Babilonia ed Alessandria, con un riferimento generale all’interno del<br />

bacino del mediterraneo.<br />

Vale la pena precisare i passaggi di carattere storico appena accennati. Dopo la rivolta contro la<br />

Siria guidata da Giuda Maccabeo negli anni 167-164 a.C., la Palestina riconquistò per un breve<br />

periodo (circa un secolo) l’indipendenza con la dinastia degli Asmonei, iniziata nel 143 a.C. con<br />

Simone, che fu proclamato sommo sacerdote ed etnarca (capo del popolo, cioè re).<br />

In quell’epoca presero consistenza le correnti principali del giudaismo, i Farisei e i Sadducei,<br />

delle quali si parla nel NT. Il contrasto tra queste due correnti e le lotte fratricide fra gli appartenenti<br />

alla dinastia degli Asmonei diedero spunto all’intervento dei romani, i quali occuparono la Palestina<br />

(con Pompeo nel 63 a.C.) e la inglobarono nei loro possedimenti, appoggiandosi al partito sadduceo<br />

capeggiato da Ircano. Costui venne proclamato sommo sacerdote, ma non etnarca. Così la Palestina<br />

tornò ad essere suddita di un altro Stato, avendo perso l’indipendenza riconquistata un secolo prima.<br />

Contro il nuovo oppressore che, tra l’altro, imponeva gravosi tributi, si manifestò subito una forte<br />

opposizione. Gli stessi Esseni, setta religiosa aliena da ogni tipo di violenza, sorta nel II secolo a.C.,<br />

accusavano l’impero romano di divorare i popoli come l’aquila.<br />

Prima di continuare con i cenni storici è opportuno soffermarci sull’ellenismo. Esso è definito<br />

come la civiltà e la storia in genere del bacino del Mediterraneo medio e orientale, inizia a partire<br />

dal 333 a.C. (anno della partenza di <strong>Alessandro</strong> il Macedone alla conquista dell’oriente) e viene<br />

fatto concludere convenzionalmente con il 31 a.C. (anno della battaglia navale di Azio). Ma anche<br />

successivamente l’ellenismo continuò ad improntare per più di un secolo la cultura e le<br />

consuetudini dei popoli tra i quali si era esteso e perfino quelle della stessa Roma. L’ellenismo si<br />

formò nel contatto tra la civiltà greca classica ormai matura e le civiltà orientali (iranico-babilonese,<br />

ebraica, egiziana). I successori di <strong>Alessandro</strong> Magno nei vari regni ellenistici favorivano sempre i<br />

greci e la fondazione di città e di colonie greche. La lingua greca (Κοινὴ Ἑλληνική) anche dopo la<br />

conquista romana, divenne la lingua franca cioè di uso comune e la più diffusa del bacino del<br />

Mediterraneo orientale, in sostituzione dell’aramaico, del fenicio e dell’egiziano. Chiaramente le<br />

varie culture di quella zona furono fortemente influenzate da quella greca.<br />

Gli orientali furono colpiti dalla diversa concezione dell’uomo portata dai greci, i quali lo<br />

consideravano libero e non servo del re o di Dio. Si diffuse una nuova concezione del rapporto tra<br />

uomo e Stato, inteso questo non più come comunità di sangue, ma come comunità di partecipazione<br />

ai diritti e ai doveri comuni sulle stesso territorio. In quel periodo ebbe grande diffusione il<br />

fenomeno della diaspora degli ebrei, che costituirono comunità molto importanti ad Alessandria e a<br />

Leontopoli in Egitto e ad Antiochia in Siria e si insediarono perfino a Roma.<br />

Gli ebrei della diaspora parlavano greco e raccoglievano numerosi proseliti e i soldati giudei<br />

che avevano prestato servizio presso altri re al ritorno in patria portavano la lingua greca, nuove<br />

abitudini e una visione del mondo molto diversa da quella del giudaismo. Molte persone delle classi<br />

più elevate cominciarono ad assumere nomi greci a partire dal II secolo a.C.<br />

Dopo la battaglia di Azio ebbe fine la repubblica romana e si costituì l’impero con Cesare<br />

Ottaviano Augusto che visse fino al 14 d.C. Proprio durante il suo regno, in piena “pax romana”,<br />

avvenne la nascita di Cristo. Ad Augusto successe Tiberio, che regnò dal 14 al 37 d.C., quindi<br />

durante gli anni della predicazione, della morte e della resurrezione di Gesù e della fondazione della<br />

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Chiesa. Dopo Tiberio regnarono Caligola (dal 37 al 41), Claudio (dal 41 al 54) e Nerone (dal 54 al<br />

68). All’epoca di Claudio nella numerosa comunità giudaica di Roma iniziò l’evangelizzazione, che<br />

era stata estesa anche ai pagani, probabilmente ad opera dello stesso Pietro il quale, secondo<br />

Eusebio (“Storia ecclesiastica”) si recò nella capitale dell’impero intorno al 44. I contrasti tra i<br />

giudei osservanti e giudei convertiti al cristianesimo (seguaci di Cristo) provocarono l’espulsione di<br />

questi ultimi da Roma nel 49. Qualche anno dopo e principalmente in Roma avvenne con Nerone<br />

(dal 64 al 67) la grande persecuzione dei cristiani accusati di odio del genere umano e di avere<br />

causato l’incendio della capitale. Negli ultimi anni del regno di Nerone, proprio in coincidenza con<br />

la persecuzione, viene collocata l’epoca del martirio in Roma di Pietro (per crocefissione) e di<br />

Paolo (per decapitazione).<br />

Il primo incontro fra la fede cristiana e il mondo romano è indicato negli Atti degli Apostoli (At<br />

2,10) dove si dice che al discorso di Pietro subito dopo l’evento della Pentecoste in Gerusalemme<br />

assistettero anche alcuni “stranieri di Roma”. Al momento della morte di Gesù la Palestina faceva<br />

parte della provincia della Siria governata dal legato di Roma. Il potere, nonostante la presenza di<br />

un etnarca (o re) giudeo, era saldamente nelle mani dei romani i quali avevano lasciato al sinedrio<br />

alcune competenze politiche, religiose e sociali riguardanti la vita e gli affari dei giudei,<br />

riservandosi i gradi più elevati della giustizia, ivi compresa la comminazione della pena di morte. Il<br />

sinedrio, in ebraico sanhedrin e in greco synedrion era il supremo consesso politico, religioso e<br />

giudiziario ebraico. attivo in Palestina fino alla distruzione del tempio, fu trasferito a Jahvè nel 70<br />

d.C. dopo aver perso i poteri politici ed essere diventato completamente fariseo. L’insofferenza dei<br />

giudei per il dominio romano si manifestò con sommosse e ribellioni più volte represse. Queste<br />

ribellioni culminarono la prima volta con la guerra insurrezionale dal 66 al 70 terminata con la<br />

distruzione del tempio e di parte della città di Gerusalemme, il massacro di molti cittadini e la<br />

riduzione in schiavitù dei superstiti; la seconda volta con la guerra giudaica dal 131 al 134<br />

conclusasi nuovamente con la vittoria dei romani i quali distrussero Gerusalemme e la riedificarono<br />

come colonia romana interdetta agli ebrei.<br />

1.2. La diffusione del cristianesimo<br />

Le fonti a nostra disposizione testimoniano la diffusione del euvagge,lion secondo linee di<br />

diramazione che hanno il loro centro in Gerusalemme, il luogo dove si sono svolti gli eventi<br />

culminanti della nuova fede. Se diamo alle parole di Paolo in Rm 10,18 un valore letterale ciò<br />

significa che in pochi decenni lo euvagge,lion si è diffuso a tutti i territori allora conosciuti: “Ora io<br />

dico: Non hanno forse udito? Tutt’altro: per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino ai confini del<br />

mondo le loro parole”. La stessa opera di Paolo procede in questa direzione secondo la notizia che<br />

egli stesso ne da in Rom 15,19: “Così da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria, ho portato a<br />

termine la predicazione del vangelo di Cristo”.<br />

La diffusione geografica<br />

Alla luce dei dati che emergono non solo dal Nuovo Testamento ma anche da altre<br />

testimonianze si può supporre che le linee di diffusione del cristianesimo tra il I ed il II sec. d.C.<br />

seguano tre direttrici legate alle grandi strade di collegamento dell’impero 121 :<br />

121 P. SINISCALCO, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, 51-­‐52.<br />

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Oriente Sud Ovest Nord Ovest<br />

Anatolia - Mesopotamia - Edessa -<br />

Oriente<br />

Da Alessandria <strong>–</strong>coste Africa - colonne<br />

d’Ercole<br />

32<br />

Creta - la Sicilia - Gallia -<br />

Spagna<br />

- La direttrice orientale, quella che partendo dall’Anatolia entrava in Mesopotamia attraverso<br />

Edessa e quindi si spingeva verso oriente.<br />

- La direttrice di sud ovest che da Alessandria, costeggiando le coste dell’Africa, raggiungeva<br />

le colonne di Ercole; qui nel II sec. si incontrano fiorenti centri cristiani e qui nasce la prima<br />

produzione letteraria latina.<br />

- La direttrice di nord ovest che, passando attraverso Creta, la Sicilia, si volge verso l’Italia e<br />

quindi da qui verso la Gallia e la Spagna.<br />

Gli Atti degli Apostoli<br />

Gli Atti contengono già una linea di diffusione geografica 122 . A questo enunciato essi<br />

rimangono fedeli nello svolgimento del libro fornendone una struttura. All’interno di questa trama<br />

si notano, però, linee di diffusione che si discostano dalla linea principale. Ad esempio in At 9,2 si<br />

apprende che a Damasco vi erano dei discepoli del Signore.<br />

È possibile schematizzare i dati provenienti da Atti:<br />

- Gerusalemme è il centro della narrazione nei primi cinque capitoli. I testi in cui è possibile<br />

cogliere i diversi aspetti della comunità gerosolimitana:<br />

o 1,12-15: sono riuniti insieme gli undici (poi dodici con Mattia); in tutto circa 120<br />

persone (1,15);<br />

o 2,41.47: ai 120 si uniscono ora circa tremila persone (v. 41) e continuamente altri (v.<br />

47);<br />

o 4,4: dopo le parole di Pietro a proposito della guarigione del paralitico, altri credono<br />

ed il numero raggiunge le 5000 persone circa;<br />

o 5,14: continua la crescita di quelli che credono nel Signore;<br />

- Damasco nel cap. 9 come luogo a cui Saulo si dirige ed in cui esiste una comunità di cui è<br />

parte Anania (9,10);<br />

- Lidda in 9,32-37: Pietro vi si reca e guarisce un paralitico (Enea);<br />

- Ioppe in 9,36-42 con la guarigione di Dorcade (cf 10,23; alcuni fratelli di Ioppe<br />

accompagnano Pietro nel viaggio verso Cesarea);<br />

- Cesarea in 8,40 come luogo in cui vi giunge Filippo, dopo aver evangelizzato le città della<br />

costa da Azoto a Cesarea; in 10,44 vi si forma una piccola comunità intorno a Cornelio; in<br />

21,8 vi giunge Paolo ed è ospite in casa di Filippo; alcuni discepoli di Cesarea lo<br />

accompagnano a Gerusalemme (21,16).<br />

- Antiochia di Siria compare per la prima volta in At 11,19-26 e si dice come la parola<br />

evangelica per la prima volta venga rivolta anche a non ebrei. Essa rimane il centro della<br />

missione paolina.<br />

Gerusalemme Damasco Lidda Ioppe Cesarea Antiochia di Siria<br />

1,12-15; 2,41.47; 4,4; 5,14 9,1-31 9,32-37 9,36-42 8,40; 10,44; 21,8.16 11,19-26<br />

122 È la famosa risposta di Gesù agli apostoli che gli chiedono quando si manifesterà il Regno di Dio in At 1,8: e;sesqe, mou<br />

ma,rturej e;n te VIerousalh.m kai. ÎevnÐ pa,sh| th/| VIoudai,a| kai. Samarei,a| kai. e[wj evsca,tou th/j gh/j .


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Altri testi del NT<br />

Da altri testi del Nuovo Testamento si apprendono i nomi di altri luoghi: Colossi (Col 1,12);<br />

Laodicea (Col 2,1; 4,13.15.16); Gerapoli (Col 4,13); Smirne (Ap 1,11; 2,8); Pergamo (Ap 1,11;<br />

2,12); Tiatira, Sardi, Filadelfia tutte nominate dall’Apocalisse (le sette chiese).<br />

Dalla Prima di Pietro si apprende che esistono comunità nella Cappadocia, nella Bitinia, nel<br />

Ponto (1Pt 1,1). Gal 1,17 parla dell’Arabia. Creta è ricordata in Tt 1,5; la Dalmazia in 2Tm 4,10;<br />

Nicopoli nell’Epiro (Tt 3,12); l’Illiria in Rom 15,19.<br />

Manca in queste fonti una direzione “orientale” della diffusione del Vangelo. Ma ciò è dovuto<br />

al carattere delle fonti. Stando ad Eusebio, ad Epifanio ed a scritti apocrifi è possibile pensare ad<br />

una diffusione del cristianesimo in direzione orientale.<br />

I grandi centri<br />

La diffusione del cristianesimo procede a raggiera partendo dai grandi centri. In particolar<br />

modo ne vanno segnalati tre.<br />

Gerusalemme. Come Atti dimostrano Gerusalemme è il primo grande centro di irraggiamento.<br />

Secondo 8,4 è la dispersione conseguente alla morte di Stefano che favorisce questa diffusione; in<br />

realtà essa doveva essere iniziata già prima se è vero che esisteva una comunità a Damasco di cui<br />

non si parla antecedentemente. È probabile che questa diffusione procedesse per iniziativa<br />

individuale e in base alle situazioni, come mostra la narrazione di At 8, dove l’occasione è la<br />

persecuzione. Comunque sia Gerusalemme mantiene la sua centralità: secondo At 8,14 la notizia<br />

della conversione della Samaria ad opera di Filippo spinge gli apostoli a mandare Pietro e Giovanni<br />

per verificare ciò che è accaduto. La comunità di Gerusalemme mantiene il suo controllo della<br />

situazione anche nel caso della conversione di Cornelio ad opera di Pietro chiedendogli conto di<br />

quanto è avvenuto (11,1-3). Lo stesso avviene con Antiochia: dopo l’opera dei primi ignoti<br />

missionari, la Chiesa di Gerusalemme invia Barnaba a verificare e confermare quanto è accaduto<br />

(11,22-24). In At 15 essa è il luogo per dirimere la questione riguardante i pagani che credono nel<br />

vangelo. Anche nei viaggi di Paolo essa rimane il punto di riferimento. Al termine del secondo<br />

viaggio Paolo sale a Gerusalemme per salutare la Chiesa (18,22: katelqw.n eivj Kaisa,reian( avnaba.j<br />

kai. avspasa,menoj th.n evkklhsi,an( kate,bh eivj VAntio,ceian). Il terzo viaggio si conclude a<br />

Gerusalemme dove Paolo è preso prigioniero.<br />

Le lettere di Paolo testimoniano a loro volta la centralità di Gerusalemme:<br />

- Galati. Paolo compie due viaggi a Gerusalemme (uno dopo tre anni e uno dopo quattordici):<br />

a Gerusalemme infatti vi sono le “colonne” (2,9: stu/loi) ed è nel confronto con loro che<br />

Paolo sa di non correre od aver corso invano.<br />

- Romani. Scrivendo ai romani Paolo giustifica la colletta per i poveri di Gerusalemme con<br />

queste parole: “Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella<br />

comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri<br />

che sono nella comunità di Gerusalemme. L’hanno voluto perché sono ad essi debitori:<br />

infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un<br />

servizio sacro nelle loro necessità materiali” (15,25-27). I santi di Gerusalemme appaiono<br />

qui come la fonte della conoscenza evangelica a cui è necessario rispondere con un aiuto<br />

materiale.<br />

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Antiochia<br />

Sull’Oronte era insieme a Roma ed Alessandria una delle tre grandi città dell’impero, nodo i<br />

comunicazione tra nord e sud (dall’Egitto alle province anatoliche) e da ovest ad est (la<br />

Mesopotamia e la Persia). Antiochia compare per la prima volta in 11,19ss: qui il vangelo è<br />

annunziato ai pagani e fa breccia. In questo modo Antiochia balza alla ribalta della storia del primo<br />

cristianesimo come comunità etnica. Rapidamente essa assurge a centro propulsore della missione.<br />

Qui operano Barnaba e Paolo; da qui partono i viaggi missionari.<br />

Alessandria<br />

Questa città non compare negli itinerari di evangelizzazione del primo cristianesimo. L’unica<br />

indicazione che emerge dagli Atti è quella riguardante Apollo, il quale è di Alessandria e, a<br />

riguardo della sua fede, è così descritto in At 18,25: ou-toj h=n kathchme,noj th.n o`do.n tou/ kuri,ou kai.<br />

ze,wn tw/| pneu,mati evla,lei kai. evdi,dasken avkribw/j ta. peri. tou/ VIhsou/( evpista,menoj mo,non to.<br />

ba,ptisma VIwa,nnou. Questa notizia cosa può indicare a riguardo di una comunità cristiana a<br />

Alessandria? Se era presente una comunità cristiana formatasi all’interno di quella giudaica, doveva<br />

essere un cristianesimo particolare dal momento che era a conoscenza solo del battesimo di<br />

Giovanni. Di fatto sulle origini di questa importante comunità non si sa nulla. La datazione di<br />

partenza certa è il 189 d.C. quando Demetrio diviene vescovo di Alessandria. Il fatto, però, che alla<br />

fine del II sec. si sviluppi una fiorente scuola e nasca una linea teologica di primaria importanza<br />

indica che deve esservi stato un humus precedente. Da tenere presente che due importanti autori<br />

gnostici che vivo intorno alla metà del II sec. sono egiziani: Basilide e Valentino 123 .<br />

Alcuni elementi di carattere sociologico<br />

I tempi della pax romana<br />

Paolo nasce nella parte orientale dell’impero romano. Dopo la vittoria di Azio (30 a.C.), questo<br />

impero ha trovato veramente la pace. Nel primo secolo i suoi confini hanno una certa stabilità.<br />

Vanno dalla Spagna alla Siria e alla Palestina, passando per la macedonia, l’Asia minore (l’attuale<br />

Turchia), l’Egitto e i paesi del Nord Africa (l’attuale Maghreb). Certo, questa estensione estrema,<br />

nella quale Augusto ha organizzato le condizioni della “pace romana” (pax romana), presenta<br />

ancora alcuni residui focolai di instabilità, soprattutto in Giudea, ma anche in Pisidia e Licaonia,<br />

nell’entroterra montagnoso di queste regioni dell’Asia minore visitate da Paolo. Tuttavia queste<br />

guerre civili non occupano più la ribalta. Il brigantaggio endemico ed alcune rivolte non rimettono<br />

in discussione i fondamenti dell’autorità di Roma.<br />

Il motivo per il quale la supremazia di Roma è accettata risiede, soprattutto, nella sua<br />

amministrazione. Alcune province sono amministrate direttamente: sono affidate ad un governatore,<br />

un proconsole, per esempio l’Acaia o l’Asia. Altre zone sono gestite in modo indiretto, per esempio<br />

mediante una dinastia locale, come nel caso della Giudea.<br />

Una società viva ed asimmetrica<br />

In questo vasto impero gli abitanti sono distribuiti in modo molto disuguale. La popolazione vive<br />

123 G. FILORAMO, Il cristianesimo in Egitto, in Humanitas 51(1996), 178-­‐182.<br />

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essenzialmente nelle città. Nella società le differenze sono assai discriminanti. Coloro che hanno<br />

ottenuto la cittadinanza romana rappresentano una élite internazionale. Più in generale, sono forti le<br />

differenze tra le città e la campagna. I rapporti preminenti sono quelli verticali, che siano di<br />

parentela, di amicizia o di patronato. Quello dell’epoca non è un mondo fossilizzato. Il primo secolo<br />

è caratterizzato da un risveglio economico di alcune parti dell’impero. Lo sfruttamento, in Italia ma<br />

anche in Grecia, nelle isole del Mar Egeo ed in Egitto, fornisce materie prime che vengono<br />

trasportate nel bacino del Mediterraneo. La circolazione delle persone è favorita da una relativa<br />

sicurezza. Gli atti degli apostoli riflettono questa vitalità, confermata, del resto, dall’archeologia<br />

delle fonti letterarie.<br />

Una cultura comune<br />

La circolazione delle merci delle persone favorisce quella delle idee. L’impero, in effetti, è anche<br />

una cultura comune. In questo modo la lingua è uno dei fattori di coesione. Dunque si parla greco,<br />

anche se a parlarlo non sono tutti: sussistono, infatti, numerosi dialetti quali il licaonio, l’aramaico,<br />

il frigio. Si parla anche latino. La civiltà greca è onnipresente, tanto che si viene a delineare una<br />

uniformazione non solo a livello dei monumenti, ma anche dei culti. Questa cultura comune<br />

permetterà a Paolo di orientarsi nel corso dei suoi molteplici viaggi. Il politeismo, nella sua<br />

diversità, ed il monoteismo giudaico costituiscono due mondi opposti. Questi due mondi religiosi si<br />

distinguono sia per il numero dei fedeli che per le loro pratiche. La religione trasmette la presenza<br />

degli dei e dei riti comunitari. Le divinità che fondano le città, creavano coesione attorno ai sacrifici<br />

pubblici. Alcuni dei passano dall’oriente all’Occidente, dove il loro culto incontra un grande<br />

successo. La cosa importante è la pratica collettiva, rispetto ad una credenza individuale. La<br />

condizione religiosa dell’impero, contrassegnata da una ricerca della salvezza, mescola spesso<br />

superstizione, magia, astrologia filosofia. Tutti aspetti di fronte ai quali si troverà Paolo.<br />

Il giudaismo, al contrario, è fondato sulla confessione di un Dio unico che si rivela nella storia ad<br />

un unico popolo ed ha coscienza della propria particolarità in mezzo alle nazioni. A differenza degli<br />

dei delle nazioni Israele chiede un’adesione del cuore. Una parte del popolo abita la Palestina,<br />

mentre una diaspora forte e antica è presente in tutto il bacino del Mediterraneo. La sua dimensione<br />

demografica non è trascurabile: le grandi città sono abitate da un 10º della popolazione giudaica, a<br />

quanto pare. I giudei pongono ai romani un problema strettamente politico con la Giudea.<br />

Determinate usanze locali della provincia di Giudea i romani le accettano, fra queste il sinedrio.<br />

In cambio dell’esercizio della giurisdizione civile e penale i romani volevano pesanti imposte, che<br />

causano malcontento tra le popolazioni. I nazionalisti vogliono cacciare l’occupante della terra che<br />

Dio ha dato al suo popolo. Travolti da un fervore messianico, suscitano la rivolta contro Roma che<br />

sfocerà nella guerra del 66. È in questo contesto di torbidi politici e rivendicazioni popolari<br />

d’indipendenza in nome della legge che Gesù annuncia un regno che non è di questo mondo (cf. Gv<br />

18,36).<br />

I romani riconoscono ad ogni popolo diritto di praticare il proprio culto ancestrale. Nel caso<br />

particolare di giudei, Cesare Augusto concesse loro le esenzioni necessari per poter osservare la<br />

legge di Mosé, a condizione di non fare proseliti turbando così l’ordine pubblico. Il fatto religioso<br />

sarà, comunque, fonte di conflitti permanenti. I romani non si scontrano con il contenuto di una<br />

religione che, peraltro, non cercano di comprendere; ma nella città greche si verificano spesso degli<br />

scontri a proposito di abitudini quotidiane che appaiono come un impedimento all’ordine pubblico.<br />

Così, Paolo appare spesso quale fautore di disordini della città. Quando giudei di Giudea,<br />

porteranno, in nome della legge, la lotta sul terreno politico, Paolo non li seguirà. Tale lotta<br />

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condurrà Israele alle guerre del 66-70 e del 132-135.<br />

Il mondo greco offre un universalismo culturale dal punto di vista della lingua, dell’educazione,<br />

ma anche dal punto di vista politico, in quanto integra le diverse nazioni; i giudei, da parte loro, pur<br />

partecipando alla cultura comune, sono dispersi nell’impero senza mescolarsi alle nazioni. Essi<br />

volgono lo sguardo verso Gerusalemme.<br />

2. ALLE FONTI DEL PENSIERO PAOLINO<br />

2.1. Gli ambiti di riferimento<br />

Abbiamo già visto alcuni ambiti di riferimento significativi della formazione di Paolo, ma<br />

adesso dobbiamo concentrare la nostra attenzione sul quel mondo ebraico e greco, nel quale<br />

l’apostolo crebbe. Prima, comunque, di affrontare i riferimenti culturali di Paolo, ne farò una breve<br />

presentazione degli ambiti che dobbiamo tener presente, fornendone una panoramica iniziale.<br />

L’ellenismo<br />

Fra le componenti da tenere presenti dell’ambiente ellenistico possiamo elencare 124 :<br />

- stoicismo e filosofia popolare incentrata sull’ideale civile, la libertà personale,<br />

l’interpretazione religiosa della vita. Interessante l’influsso sulla morale: somiglianze e<br />

differenze.<br />

- la religione dei misteri. Si pone come una via di salvezza, con il suo ciclo di morte e vita del<br />

dio, un linguaggio cultuale e religioso strutturato. Nel recente passato, come si è detto, vi era<br />

un atteggiamento di grande considerazione circa i possibili influssi sul linguaggio cultuale e<br />

sul pensiero teologico dell’Apostolo. Oggi si registra una posizione più cauta e molto più<br />

puntuale.<br />

- la gnosi, è un’atmosfera culturale, una soteriologia per via di conoscenza, che comprende<br />

una cosmologia ed un’antropologia.<br />

Potremmo chiederci come mai gli esegeti protestanti e cattolici si sono buttati sullo studio della<br />

gnosi? Gli esegeti protestanti della “Religionsgheschichtlische schule” per sostenere che il<br />

124 Di seguito fornisco una breve presentazione bibliografica sull’ellenismo:<br />

• F. PRAT, La teologia di san Paolo, vol. II, 34-­‐39.377, nota 2. Prat si muove sulla linea di un’eccessiva<br />

polemica, nondimeno l’indirizzo dell’esegesi attuale gli ha dato ragione.<br />

• C. H. DODD, L’interpretazione del quarto Vangelo, Brescia 1974. Dodd fa il suo studio in riferimento al<br />

Vangelo di Giovanni, ma il discorso vale anche per Paolo. Importante il cap. II: “La religione ellenistica<br />

nella sua forma più elevata riflessa nella letteratura ermetica”. Preziosi anche i cap. V e VI sullo<br />

gnosticismo ed il mandaismo.<br />

• H. Schlier, Riflessioni sul Nuovo Testamento, Brescia 1969. Ottimi i cap. V e VI; il cap. V è dedicato<br />

all’esame del rapporto tra il Nuovo testamento ed il mito; il cap.VI è sull’uomo nel pensiero gnostico.<br />

• E. LOHSE, L’ambiente del Nuovo Testamento, Brescia 1980. Ottimo sulla gnosi e sull’ellenismo in genere<br />

• P. GRECH-­‐G. SEGALLA, Metodologia per uno studio della teologia del Nuovo Testamento, Torino 1978, in<br />

particolare il cap. III.<br />

• A. GEORGE -­‐ P. GRELOT (a cura di), Introduzione al Nuovo Testamento, agli inizi dell’era cristiana, Roma<br />

1971, la prima parte è molto interessante.<br />

• R. PENNA, L’ambiente storico culturale delle origini cristiane, Bologna 1984.<br />

• R. BULTMANN, Il Cristianesimo primitivo, Milano 1964, in particolare la parte quarta.<br />

• R. BULTMANN, γνῶσις, in GLNT, Vol. II, G. Kittel <strong>–</strong> G. Friedrich (edd.), Paideia, Brescia 1966, coll. 462-­‐542.<br />

• P. WENDLAND, La cultura ellenistico-­‐romana nei suo rapporti con Giudaismo e Cristianesimo, Brescia 1986.<br />

• R. MCL. WILSON, Gnose ed Nuoveau Testament, Parigi 1969.<br />

• E. E. VARDIMAN, La grande svolta. La Giudea tra ellenismo e primo Cristianesimo, Milano 1987.<br />

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Cristianesimo deve molto a queste correnti; il cristianesimo sarebbe, in gran parte, fenomeno<br />

sincretista 125 . I cattolici e molti protestanti moderati, per affermare che se l’influsso c’è, vi è solo<br />

nel linguaggio e, quindi, esteriore. Certamente le seduzioni per conclusioni affrettate non mancano<br />

nell’ellenismo. Basta pensare all’ideale morale stoico, al mito dell’“Ur Mensch” e del salvatore<br />

salvato (Redentore redento) della gnosi e al concetto del Logos di derivazione neoplatonica con la<br />

coloritura veterotestamentaria ricevuta da Filone 126 .<br />

È difficile dire quale dei due movimenti, quello gnostico o quello cristiano, abbia influenzato<br />

l’altro, poichè non si hanno lavori gnostici anteriori al Cristianesimo. Anche per quanto riguarda le<br />

125 Religionsgeschichtliche Schule (“storia delle religioni scuola”) apparsa nel tardo 19° secolo in Germania come la<br />

nascente metodo storico-­‐critico stava decollando. Era una scuola di pensiero che ha sottolineato lo studio della<br />

religione come evoluzione fenomeno socio-­‐culturale, e che in quanto tale, la religione doveva essere vista in<br />

primo luogo come prodotto del milieu religioso in cui si è sviluppato. Il Schule religionsgeschichtliche si è spesso<br />

associato con l'Università di Göttingen a causa del rapporto che molti dei sostenitori di questa scuola di pensiero<br />

ha avuto con l'università (direttamente o indirettamente). Notevoli le persone associate al Schule<br />

religionsgeschichtliche sono Albert Eichhorn, Albrecht Ritschl, Wilhelm Bousset, Hermann Gunkel, Ernst<br />

Troeltsch, Wilhelm Wrede, Johannes Weiss, Hugo Gressmann, Julius Wellhausen, e, naturalmente, preferito da<br />

tutti, Rudolf Bultmann. Il Schule religionsgeschichtliche , applicata agli studi biblici, ha cercato di capire le<br />

credenze religiose del Vecchio e Nuovo Testamento nel contesto dell'ambiente circostante religiosa al tempo in<br />

cui furono scritti i testi. Così, per esempio, Wilhem Bousset cercato di comprendere la nascita di una cristologia<br />

divina all'interno del greco-­‐romana contesto religioso del primo secolo. Così, egli vedeva la tensione attorno alla<br />

nascita di Gesù a condizione divina non come il risultato di un palestinese comunità ebraica, ma come il risultato<br />

dell'influenza delle chiese ellenistiche. In altre parole, per Bousset era il culto dell'imperatore romano e religioni<br />

misteriche che ha fornito il background necessario per comprendere come Gesù è risorto dalla condizione di un<br />

<strong>prof</strong>eta a Dio stesso. Anche se la sua tesi non è presa come ricostruzione veritiera del quadro socio-­‐religioso<br />

dell’epoca dalla maggior parte degli studiosi del cristianesimo antico, è stata, comunque, un risultato significativo<br />

della Schule religionsgeschichtliche applicata alla religione cristiana. I sostenitori della Schule<br />

religionsgeschichtliche si è essenzialmente un approccio comparativo religione per i loro studi, cercando in<br />

analisi comparative di certi motivi (ad esempio, culto religioso, la pratica e l'esperienza). Ad esempio, Eichhorn<br />

ha proposto che la Cena del Signore non era il risultato di un evento storico reale che si è verificato con Gesù ei<br />

suoi discepoli. Invece, ha affermato che l'origine del pasto sacramentale nel cristianesimo primitivo può essere<br />

spiegata una volta ci si rivolge per l'utilizzo del pasto sacramentale nella cultura circostante, con il risultato<br />

inevitabile che il cristianesimo primitivo era in gran parte una religione sincretistica. Naturalmente, il lavoro<br />

del Schule religionsgeschichtliche non ha esattamente ricevuto una calda accoglienza tra le autorità ecclesiastiche<br />

e alla fine tale movimento è morto dopo la prima guerra mondiale. La maggiore miopia della scuola è stata<br />

trasmettere e descrivere il senso dell’esperienza religiosa all’interno della cultura che lo avevo generato, senza<br />

possibilità di ulteriori sviluppi. Bisogna parimenti riconoscere anche i lati positivi: si può sottolineare la sua<br />

importanza nella messa al centro del metodo storico-­‐critico (ad esempio redazione critica, critica delle forme,<br />

ecc.).<br />

126 Avremo modo a breve di accostare il mondo della gnosi. Per ora ci basti dire che in generale gli gnostici<br />

tendevano ad identificare il Dio veterotestamentario con la potenza inferiore del malvagio Demiurgo, creatore di<br />

tutto il mondo materiale, mentre il Dio neotestamentario con l'Eone perfetto ed eterno, il generatore degli<br />

eoni Cristo e Sophia, incarnati sulla Terra rispettivamente come Gesù e Maria Maddalena. Dalla concezione<br />

docetista insita in gran parte delle religioni gnostiche, deriverebbe poi il rifiuto della resurrezione del corpo di<br />

Gesù, poiché dopo la sua morte, egli sarebbe tornato sulla Terra solo nella sua forma divina, liberato dal corpo<br />

materiale. Inoltre, nel periodo tra la Resurrezione e l'Ascensione, periodo considerato dagli gnostici ben più<br />

esteso dei canonici quaranta giorni, avrebbe impartito solo a pochi dei suoi discepoli una sorta di insegnamento<br />

segreto(di tale insegnamento tratta l'apocrifo Pistis Sophia). Tale insegnamento, parallelamente alla dottrina<br />

della Chiesa, fondata sulla predicazione pubblica del Cristo, venne tramandato per via occulta a beneficio di<br />

pochi eletti, escludendo, così, la gerarchia della Chiesa. Inoltre, aspetto fondamentale, la salvezza doveva<br />

giungere attraverso esperienze personali e non attraverso lo studio dei testi canonici. Tutte queste convinzioni<br />

contrastavano fortemente con l'ortodossia del cattolicesimo che andava formandosi in quei primi secoli. Fu<br />

quindi inevitabile che le dottrine gnostiche, che in un primo tempo si erano diffuse anche all'interno della Chiesa,<br />

incontrassero l'opposizione delle comunità cristiane e fossero considerate come eretiche. Ciò portò il movimento<br />

gnostico ad un rapido declino, anche se, specialmente in Medio Oriente, alcuni aspetti dello gnosticismo (come<br />

l'aspetto ascetico) divennero parte integrante del patrimonio della Chiesa Cristiana.<br />

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idee circolanti non è difficile dimostrare che il discorso cristiano si muova in una traiettoria<br />

fortemente originale.<br />

Il giudaismo<br />

L’ambiente giudaico è quello più vicino all’Apostolo, ma anche questo non è una realtà<br />

semplice e facilmente individuabile nella sua complessità 127 . Possiamo segnalare:<br />

- la grande corrente rabbinico-farisaica, caratterizzata dalla tendenza ad esasperare<br />

l’importanza della Torah;<br />

- la cultura ebraica e veterotestamentaria più robusta e genuina: quella caratterizzata dalla<br />

ricchezza della letteratura <strong>prof</strong>etica, della letteratura sapienziale e della vita liturgica e di<br />

preghiera così come si esprime nei salmi;<br />

- l’emergente e forte corrente apocalittica.<br />

Un discorso a parte merita Qumran. Da quando sono stati scoperti i manoscritti si è indagato<br />

sui possibili rapporti tra la comunità e il Cristianesimo in generale e, in particolare, sui singoli<br />

autori. Cosa si può dire oltre a quanto già accennato precedentemente? L’influenza fra<br />

Cristianesimo primitivo e Qumran ci fu, anche se più ristretta di quanto si possa pensare a prima<br />

vista. Non è detto che sia l’essenismo come il cristianesimo non si rifacessero ad idee e movimenti<br />

più vasti e generalizzati. Nondimeno, specie a livello letterario, vi sono punti di contatto che<br />

costringono a porre il problema. “Ora non c’è dubbio che il Nuovo Testamento, accanto ad<br />

analogie generali che, come abbiamo visto, non provano molto, presenta con gli scritti di Qumran<br />

anche analogie particolari di fondo e di forma che suppongono una stretta vicinanza. Basta<br />

pensare al passo di II Cor 6,14-7,1 così qumranico di pensiero e di stile, che sembra una specie di<br />

aerolito caduto dal cielo di Qumran in una lettera di Paolo” 128 .<br />

L’influsso tra Qumran ed il Nuovo Testamento non è detto che fosse esercitato fin dalle origini.<br />

Può trattarsi di un’influenza sorta in un secondo tempo. Gli apporti di Qumran potrebbero essere<br />

venuti non attraverso Giovanni Battista e Gesù quanto, piuttosto, attraverso Paolo, Giovanni ed<br />

anche i cristiani della seconda generazione. L’essenismo non ha fornito l’ispirazione essenziale del<br />

Cristianesimo fin dalle origini, né attraverso il precursore, né, ancor meno, attraverso il fondatore.<br />

L’influenza, secondaria, si spiega sia per il fenomeno di essersi convertiti al Cristianesimo, sia<br />

per una possibile presa di posizione della Chiesa nascente nei confronti di quella comunità, a livello<br />

organizzativo ed anche di contenuti.<br />

127 Di seguito fornisco una breve presentazione bibliografica sull’ellenismo:<br />

-­‐ G. BONSIRVEN, Il giudaismo palestinese al tempo di Gesù Cristo, Torino 1950<br />

-­‐ J. JEREMIAS, Per comprendere la teologia dell’apostolo Paolo, Brescia 1970; in particolare il cap. II<br />

-­‐ A. GEROGE-­‐P. GRELOT (a cura di), Introduzione al Nuovo Testamento; agli inizi dell’era cristiana, Roma 1976,<br />

102<br />

-­‐ K. SCHUBERT, I partiti religiosi ebrei del tempo neotestamentario, Brescia 1976<br />

-­‐ M. MCNAMARA, I targum e il Nuovo Testamento, Bologna 1978<br />

-­‐ E. LOHSE, L’ambiente del Nuovo Testamento, Brescia 1980, 81<br />

-­‐ P. GRELOT, La speranza ebraica al tempo di Gesù, Roma 1981.<br />

-­‐ R. PENNA, L’ambiente storico-­‐culturale delle origini cristiane, Bologna 1983; cf. tutta la prima parte<br />

-­‐ K. KOCH, Difficoltà dell’apocalittica, Brescia 1985<br />

-­‐ E. P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese, Brescia 1986<br />

-­‐ H. G. KIPPENBERG-­‐G.A. WEWERS (a cura di), Testi giudaici per lo studio del Nuovo Testamento, Brescia 1987<br />

128 P. BENOIT, Esegesi e teologia, Roma 1967, 545. Fa riferimento ad un capitolo pubblicato anche in <strong>AA</strong>.VV., Paul and<br />

Qumran. Studies in New Testament Exegesis, Oxford 1969.<br />

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Più forti, probabilmente, i contatti fra Paolo, Giovanni e la comunità e la letteratura qumranica.<br />

Dove? Anche oltre la Palestina, per esempio ad Efeso; l’errore citato nella lettera ai Colossesi<br />

sembra colorato di essenismo; ugualmente in Col. 1,12-23 l’autore può avere presente la letteratura<br />

qumranica; così pure in Ef 5,6-13 e 6,10-17. Ma non solo in Asia Paolo è potuto entrare in contatto<br />

con Qumran; già le lettere ai Tessalonicesi, anteriori al soggiorno ad Efeso, suggeriscono<br />

analogie 129 .<br />

L’influsso si riferisce a temi maggiori o minori? Ricevuti tali e quali oppure modificati? Si può<br />

dire che gli influssi qumranici in Paolo sono su aspetti marginali del messaggio cristiano. Inoltre<br />

sono <strong>prof</strong>ondamente trasformati e messi a servizio di un dato nuovo ed originale 130 .<br />

2.2. Il mondo ebraico<br />

Nel suo cammino di espansione il cristianesimo impara a misurarsi con l’ambiente in cui si<br />

introduce. In taluni casi vengono assunti i valori dell’ambiente, in altri si entra in conflittualità. Il<br />

primo ambiente in cui il cristianesimo fa la sua comparsa è il giudaismo palestinese.<br />

Successivamente l’annunzio evangelico incontra l’ambiente ellenistico. Infine il confronto è con la<br />

struttura politica dell’impero romano.<br />

Il Giudaismo<br />

Gesù è ebreo e gli apostoli sono ebrei: è, dunque, con il giudaismo che per primo il vangelo è<br />

chiamato a confrontarsi. Indubbiamente il giudaismo fornisce al cristianesimo nascente la base della<br />

sua fede: basti pensare all’AT sia esso nel testo ebraico che in quello greco. Tuttavia, con il crescere<br />

dell’espansione cristiana cresce anche il conflitto con il giudaismo che arriva presto alla rottura. È<br />

da precisare che il giudaismo non è un fenomeno unitario ma piuttosto variegato (allora più di<br />

oggi). Accanto al giudaismo rappresentato dal sacerdozio del tempio esiste quello farisaico più<br />

legato alla Legge, quello di tipo apocalittico. È necessario poi parlare di un giudaismo ellenistico<br />

con sue proprie connotazioni diverse da quelle del giudaismo palestinese.<br />

Gli Atti degli Apostoli<br />

Stando agli Atti degli Apostoli gli elementi di conflittualità sono i seguenti.<br />

Dai capp. 1-5 appare il conflitto soprattutto con la corrente sadducea che predominava nel tempio e<br />

rappresentata dalle famiglie sacerdotali. Motivo del conflitto è il nucleo della predicazione<br />

apostolica: la resurrezione di Gesù. Un primo testo da citare significativo è:<br />

At 4,1-2<br />

“Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti,<br />

il comandante delle guardie del tempio e i sadducei, irritati per il fatto<br />

129 Cf. 1Ts 5,1-­‐11; 2Ts 2,6ss.<br />

130 Di seguito fornisco una breve presentazione bibliografica sull’influsso qumranico:<br />

-­‐ A. GEROGE-­‐P. GRELOT (a cura di), Introduzione al Nuovo Testamento; agli inizi dell’era cristiana, Roma 1976,<br />

136<br />

-­‐ P. BENOIT, Esegesi e teologia, Roma 1967.<br />

-­‐ E. LOHSE, L’ambiente del Nuovo Testamento, Brescia 1980,<br />

-­‐ P. GRELOT, La speranza ebraica al tempo di Gesù, Roma 1981.<br />

-­‐ R. PENNA, L’ambiente storico-­‐culturale delle origini cristiane, Bologna 1983, 58-­‐65<br />

-­‐ O. CULMANN, Dalle fonti dell’Evangelo alla teologia cristiana, Roma 1981; in particolare il I cap.<br />

-­‐ E. P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese, Brescia 1986; il cap. II<br />

-­‐ L. MORALDI, Il maestro di giustizia, Fossano 1971<br />

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che essi insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti”.<br />

Coloro che si presentano a Pietro e Giovanni sono i sadducei e gli appartenenti alla classe<br />

sacerdotale. Lo stesso Paolo sottolinea questo aspetto in 23,6:<br />

At 23,6<br />

“Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei,<br />

disse a gran voce nel sinedrio: "ʺFratelli, io sono fariseo, figlio di farisei;<br />

sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti"ʺ.<br />

Un secondo motivo di conflittualità appare da quello che è narrato nei capp. 6ss. La<br />

predicazione di Stefano e del primo cristianesimo ellenista contiene elementi “sovversivi” che sono:<br />

a. “l’escatologica abrogazione del culto del tempio”.<br />

b. “la revisione della torà di Mosè sulla base della vera volontà di Dio”; manca ancora la<br />

sistematicità del discorso di Paolo ma già vi sono gli elementi fondamentali.<br />

c. il dono dello Spirito Santo “che essi interpretavano come segno dell’avvento del tempo<br />

finale”.<br />

I primi due elementi sono fortemente presenti nella vicenda di Stefano. Tra le accuse mosse<br />

Stefano vi sono le seguenti:<br />

At 6,13<br />

“Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero:<br />

"ʺCostui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge”.<br />

Stefano stesso sembra confermare queste accuse quando alla fine del discorso fa riferimento al<br />

tempio ed alla Legge dicendo:<br />

7,47-48<br />

“ma fu Salomone che gli costruì una casa. L’Altissimo tuttavia<br />

non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il <strong>prof</strong>eta”<br />

40<br />

7,53<br />

“voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini<br />

dati dagli angeli e non l’avete osservata”.<br />

Tale accusa è rinnovata a Paolo reiteratamente, sia all’interno della prima comunità che dal<br />

giudaismo. Per la prima comunità si possono vedere i testi di 15,1ss; 21,20-21. Per il giudaismo si<br />

può vedere quello che dice la gente quando Paolo è preso:<br />

21,28<br />

gridando: "ʺUomini d’Israele, aiuto! Questo è l’uomo che va insegnando<br />

a tutti e dovunque contro il popolo, contro la Legge e contro questo luogo;<br />

ora ha perfino introdotto dei Greci nel tempio e ha <strong>prof</strong>anato questo luogo santo!"ʺ.<br />

Un terzo motivo di conflittualità sembra essere dato dalla maggiore capacità espansiva<br />

dell’annunzio evangelico. In molti luoghi l’adesione al vangelo di molti pagani suscita la violenta<br />

reazione degli ebrei. Due esempi sono dati da quanto accade ad Antiochia (13,43-50) e a<br />

Tessalonica (17,1-5).


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Lettere di Paolo<br />

Nelle lettere di Paolo i motivi sono diversi:<br />

In 1Ts il motivo di conflitto è piuttosto generico: la persecuzione a cui i giudei della Palestina<br />

hanno sottoposto Gesù e la prima comunità.<br />

1Ts 2,14-16<br />

Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù<br />

che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose<br />

da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei.<br />

Costoro hanno ucciso il Signore Gesù e i <strong>prof</strong>eti, hanno perseguitato noi,<br />

non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. Essi impediscono a noi<br />

di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre<br />

di più la misura dei loro peccati! Ma su di loro l’ira è giunta al colmo.<br />

In Galati ed in Romani il conflitto giunge all’apice con la riflessione sulla Legge e sulla sua<br />

temporaneità.<br />

Gal 3,13<br />

Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge,<br />

diventando lui stesso maledizione per noi,<br />

poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno.<br />

Rileviamo anche, nella lettera ai Colossesi, problematiche provenienti dal giudaismo.<br />

Col 2,16-18<br />

Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda,<br />

o per feste, noviluni e sabati: queste cose sono ombra di quelle future,<br />

ma la realtà è di Cristo. Nessuno che si compiace vanamente<br />

del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni,<br />

gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio.<br />

Per altro verso Paolo anela ardentemente che Israele giunga ad accogliere il vangelo (Rm 9-11).<br />

Rm 9,3<br />

Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo<br />

a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.<br />

Altri scritti<br />

Vangelo di Giovanni. Il riferimento all’essere cacciati dalla sinagoga:<br />

9,22<br />

Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei;<br />

infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno<br />

lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.<br />

12,42<br />

Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei,<br />

non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga.<br />

41<br />

16,2


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Nel testo di Apocalisse troviamo due riferimenti:<br />

Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque<br />

vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio.<br />

(Smirne) Conosco la tua tribolazione, la tua povertà -­‐‑ eppure sei ricco <strong>–</strong><br />

e la bestemmia da parte di quelli che si proclamano Giudei<br />

e non lo sono, ma sono sinagoga di Satana.<br />

(Filadelfia) Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana,<br />

che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono:<br />

li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato.<br />

Per una sintesi<br />

Il primo scontro è con il giudaismo del tempio. Sembra assodato storicamente che il primissimo<br />

annunzio cristiano si sia scontrato con il giudaismo del tempio, che era costituito dai sadducei, per<br />

l’annunzio della resurrezione in Cristo. Il centro dello scontro è la Torà ed il fariseismo.<br />

È, però, il cristianesimo ellenistico che rompe con il fariseismo a proposito della torà. La<br />

proiezione verso le genti e l’apertura ad esse porta a distaccarsi dalla Torà e a rileggerne la funzione<br />

in chiave storico salvifica “fino alla venuta dell’erede” (cf. Gal 3,16-18). Non è un caso che sia il<br />

fariseo Saulo a cercare di distruggere la prima Chiesa.<br />

La caduta del tempio e la trasformazione del giudaismo in giudaismo rabbinico, operò un<br />

ulteriore irrigidimento verso il cristianesimo. La caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio<br />

avviano un processo di trasformazione del giudaismo palestinese dando vigore alla corrente<br />

farisaica. In particolare è da ricordare l’opera di Yohannan Ben Zakkay a Yabne. Fu<br />

un rabbino ebreo, vissuto a cavallo del secolo cristiano, ed una delle principali figure del periodo<br />

che seguì la distruzione del Secondo Tempio (I secolo d.C.). Era discepolo di Hillel, era favorevole<br />

a che Gerusalemme assediata si arrendesse ai romani, ma gli Zeloti non erano d’accordo. Perciò egli<br />

fu portato fuori dalla città dai suoi seguaci, chiuso in una bara, fingendosi morto, e portato davanti<br />

al comandante romano Vespasiano. Yochanan chiese che l’accademia rabbinica di Javneh venisse<br />

risparmiata dai romani quando essi avessero sconfitto la rivolta ebraica. Fu qui che, quando il<br />

Tempio cadde in rovina, lui e i suoi colleghi ricostruirono il giudaismo insegnando che le buone<br />

azioni avevano sostituito il potere espiatorio dei sacrifici rituali. Secondo il Talmud, Yochanan ben<br />

42<br />

2,9<br />

3,9


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Zakkai 131 visse 120 anni, dal 40 a.C., fino all’80 d.C. 132 . Sono state avanzate diverse ipotesi circa<br />

l’identità di Yochanan e dei suoi discepoli 133 .<br />

Le correnti del mondo giudaico<br />

Abbiamo visto che i contrasti con la chiesa nascente, soprattutto quella che proviene dalla<br />

diaspora, sono quasi immediati. D’altronde gli scritti del NT ce li testimoniano con abbondanza.<br />

Analizzando il mondo giudaico che incontrò l’apostolo Paolo, dobbiamo soffermarci su alcuni<br />

gruppi con i quali interagì sicuramente. Presento prima sadducei, esseni e zeloti, per, poi,<br />

soffermarmi un po’ più a lungo sui farisei.<br />

I Sadducei<br />

Costituirono un’importante corrente spirituale del tardo giudaismo (fine del periodo<br />

del secondo Tempio), e anche una distinta fazione politica verso il 130 a.C. sotto la<br />

dinastia Asmonea. Rappresentata eminentemente dall’aristocrazia delle antiche famiglie,<br />

nell’ambito delle quali venivano reclutati i sacerdoti dei ranghi più alti, nonché, in particolare,<br />

il Sommo sacerdote, la corrente dei sadducei, si richiamava, nel proprio nome, all’antico e<br />

leggendario Sadoc (anche Sadoq o Zadoq), sommo sacerdote al tempo di Salomone. Cercavano di<br />

vivere un giudaismo illuminato, e quindi di trovare un compromesso anche con il potere romano.<br />

Dei sadducei e della loro spiritualità non conosciamo molto, perché la loro fazione, ritenuta<br />

colpevole di collaborazionismo nei confronti dei romani, fu letteralmente sterminata, durante la<br />

rivolta giudaica del I secolo d.C., dagli insorti più esagitati e violenti, come narra lo storico Flavio<br />

131 Il nome ebraico Yochanan ben Zakkai, traslitterato in italiano è Giovanni figlio di Zaccheo. Il significato del nome<br />

Giovanni è “grazia di Yahweh”, mentre Zaccheo, in aramaico antico, significa il “giusto”, il corrispondente dell’ebraico<br />

“zaddik” o “tzaddik”. Zaccheo è un diminutivo di Zaccaria (Zekaryain ebraico). Il nome Yochanan è una contrazione<br />

di Jehochanan o Jehohanan. Yochanan talvolta si ritrova anche traslitterato in Yohanan o Ioanan.<br />

132 La sua vita sarebbe suddivisa in tre improbabili periodi di 40 anni ciascuno, tra i quali solo nell’ultimo periodo<br />

avrebbe predicato. Sempre secondo il Talmud, Yochanan aveva 6 discepoli (principali): Hanina ben Dosa (Anania figlio<br />

di Dosa), Eliezer ben Hyrcanus (Lazzaro figlio di Ircano), Joshua ben Hananiah (Giosuè figlio di Anania), Yosi (Iose,<br />

diminutivo di Giuseppe, Yosef in ebraico), Shiméon ben Nathanel (Simeone figlio di Nataniele/Natanaele) ed Eleazar<br />

ben Arakh (Eleazaro/Eleazzaro/Lazzaro figlio di Arakh). Il primo fra questi discepoli, Hanina ben Dosa, curò il figlio di<br />

Yochanan. Comunque il figlio del rabbino Yochanan ben Zakkai morì prima del padre.<br />

133 Zakkai, il padre di Yochanan, è stato identificato con Zaccheo il pubblicano neotestamentario di Gerico . Molte<br />

altre teorie sono state avanzate, anche se le prove a sostegno di queste sono scarse o inesistenti: per esempio<br />

Zakkai è stato identificato con Zaccaria, padre del Battista. Lo stesso Yochanan è stato identificato con<br />

Jehochanan me-­‐Gush Halav (Giovanni di Giscala), con Giovanni Battista e con l’apostolo Giovanni Evangelista.<br />

Queste tre identificazioni devono essere errate per i seguenti motivi: Giovanni di Giscala combatté con i<br />

rivoluzionari ebrei durante la Prima Rivolta Giudaica, mentre Yochanan ben Zakkai si oppose ad essa. Giovanni<br />

Battista nacque nell’8 a.C. e morì sotto Tiberio (principe/imperatore dal 14 d.C. al 37 d.C.), mentre Yochanan<br />

nacque, almeno secondo il Talmud, nel 40 a.C. e morì nel 80 d.C. Inoltre, Giovanni Evangelista morì intorno al 100<br />

d.C. e scrisse il suo libro delle rivelazioni, dopo l’80 d.C., data in cui morì Jehochanan ben Zakkai. È, invece,<br />

interessante il nome di uno dei discepoli di Yochanan ben zakkai, Eliezer ben Hyrcanus. Eliezer è una variante<br />

di Eleazar. Dalla “Guerra Giudaica” di Flavio Giuseppe (Yosef ben Mattàt) apprendiamo che nello stesso periodo<br />

di Eliezer, ossia durante la Prima Rivolta Giudaica visse Eleazar Ben Yair (Lazzaro figlio di Giàiro, identificato<br />

da Luigi Cascioli ne "La Favola di Cristo" con l’evangelico Lazzaro di Betania). Da Flavio Giuseppe sappiamo<br />

che Eleazar ben Jair discendeva da Giuda di Gamala (noto anche come Giuda di Galilea o Giuda il Galileo). Giuda<br />

era figlio di Ezechia che era figlio dell’asmoneo Ircano II. La madre di Lazzaro di Betania, Eucaria, discendente<br />

degli Asmonei. Ircano pertanto era un nome di famiglia per Eleazar ben Jair (la cui identificazione con Lazzaro di<br />

Betania pare quanto meno plausibile, considerando la comune discendenza asmonea). Per quanto riguarda<br />

l’omonimo Eliezer discepolo di Yochanan ben Zakkai, ricordiamo che viene chiamato ben Hyrcanus, cioè “figlio di<br />

Ircano”, anche se spesso il termine “ben” va tradotto come “discendente di”. In ogni caso, se accettiamo<br />

che Eliezer e Eleazar possano essere la stessa persona, Ircano, padre di Eliezer/Eleazar, si sarebbe chiamato<br />

anche Jair/Giàiro? No, perché Jair era un titolo sacerdotale attribuito ai discendenti del mitico Ira lo Iairita.<br />

Questa identificazione pertanto ci sembra la più plausibile tra quelle proposte.<br />

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Giuseppe, in quella prima guerra giudaica che, oltre ad essere una lotta di liberazione dalla<br />

dominazione straniera, fu anche una vera e propria cruenta e spietata guerra civile. Gli eventuali<br />

residui superstiti dei sadducei o furono assimilati dalla società romano-ellenica nella quale si<br />

rifugiarono, oppure si convertirono al cristianesimo. In ogni caso, dopo la catastrofe nazionale<br />

giudaica del 70 d.C., culminata nella distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, l’ebraismo<br />

riemerge coagulandosi attorno alla corrente spirituale dei farisei, avversaria dei sadducei e di questi<br />

ultimi non vi è alcuna traccia. Sui sadducei cala, quindi, un velo che assomiglia molto ad una sorta<br />

di damnatio memoriae: i romani, che si erano appoggiati a loro per governare la Giudea, dovettero<br />

constatare il sostanziale fallimento della loro categoria in quanto amministratori e alleati, un po’<br />

come gli inglesi, nella prima metà del secolo XX dovettero prendere atto che i marajah, da loro<br />

sostenuti, non riuscivano più a controllare l’India; dai farisei, che già ne avevano avversato la<br />

dottrina, i sadducei vennero parimenti ritenuti responsabili della catastrofe che aveva colpito la<br />

nazione ed il Tempio; per i cristiani, infine, i sadducei rimasero indelebilmente associati alle figure<br />

di Caifa ed Anna, rispettivamente, il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare a morte<br />

Gesù. In buona sostanza, mancarono ai sadducei buoni avvocati che ne perpetuassero la memoria<br />

storica con dovizia di particolari.<br />

Sul piano dottrinale, si ritiene, in base alle scarse informazioni pervenuteci, che i sadducei, a<br />

differenza dei farisei considerassero vincolante solamente la cosiddetta Legge scritta, ossia quanto<br />

tramandato nei libri della bibbia ebraica, o Torah. Al contrario, i farisei sostenevano che avesse<br />

pari, se non anche superiore importanza, la Legge orale, ossia la tradizione interpretativa della<br />

Torah, assertivamente trasmessa in maniera verbale, di generazione in generazione. Al contrario dei<br />

farisei, i sadducei non credevano alla resurrezione dei morti, ossia alla perpetuazione dell’individuo<br />

dopo la morte, in corpo e spirito. Sembra che essi respingessero anche l’esistenza di un’anima<br />

immortale, tuttavia, è lecito dubitare che avessero, al riguardo, una posizione di netta preclusione,<br />

sia perché ciò non si concilierebbe con il contenuto della stessa Legge scritta, sia perché l’evidenza<br />

archeologica delle modalità di sepoltura seguite dai sadducei attesta, in ogni caso, una fede nella<br />

esistenza di un mondo ultraterreno del quale il defunto, alla morte, entra a far parte. Pare che non<br />

accettassero nemmeno la dottrina degli angeli.<br />

Il calendario liturgico dei sadducei differiva leggermente da quello adoperato dai farisei, la qual<br />

cosa spiega le lievi divergenze temporali relative ai racconti della Passione tra i Vangeli sinottici e<br />

quello di San Giovanni. Il rifiuto della tradizione orale, fu, probabilmente, il fattore che consentì ai<br />

sadducei di aprirsi alla cultura dell’ellenismo, pur conservando la fede nel giudaismo, facendo di<br />

essi una élite intellettuale ed imprenditoriale capace di esercitare notevole influsso persino<br />

nell’ambito della politica imperiale. La loro permeabilità agli influssi stranieri connessa alla<br />

capacità di mantenere intatta la propria identità, è tipica dei ceti aristocratici di ogni tempo ed ogni<br />

nazione, e la opposizione ai sadducei da parte dei farisei riecheggia motivi di orgoglio nazionale e<br />

di rivalsa anti-aristocratica che troviamo, nella Storia, replicati infinite volte in diversi contesti.<br />

Sebbene i sadducei siano scomparsi dalla scena storica nel I secolo d.C., ai loro insegnamenti si<br />

richiamarono i Caraiti 134 , che ruppero con l’ebraismo rabbinico nell’VIII secolo.<br />

134 I caraimi (detti anche karaimi, caraiti o karaiti) sono un popolo di ceppo e lingua turca affine ai tatari,<br />

originario della Crimea e aderente al caraismo. Oggi la comunità più rilevante, benché ridotta a poche centinaia<br />

di persone, risiede a Trakai, in Lituania. L’origine dei caraimi, emersi come gruppo a sé stante tra i turchi della<br />

sponda nord del Mar Nero in età medievale, è ancora oggetto di dibattito storico. Un’ipotesi ne fa i discendenti di<br />

un gruppo di origine ebraica, aderente al caraismo e stanziatosi in Crimea, che avrebbe adottato la lingua<br />

turca parlata nell’area, dando così origine alla lingua caraima (di base turca con influenze ebraiche). Altre ipotesi,<br />

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Gli Zeloti<br />

Gruppo politico-religioso giudaico apparso all’inizio del I secolo, gli zeloti erano partigiani<br />

accaniti dell’indipendenza politica del regno ebraico, nonché difensori dell’ortodossia e<br />

dell’integralismo ebraici. Considerati dai romani alla stregua di terroristi e criminali comuni, si<br />

ribellavano con le armi alla presenza romana in Palestina. Fondati da Giuda il Galileo ebbero stretti<br />

rapporti con la comunità essena di Qumran di cui furono il braccio armato. Svolsero un ruolo<br />

importante nella grande rivolta del 66-70, la maggior parte di essi perì durante la presa<br />

di Gerusalemme da parte di Tito Flavio Vespasiano (70).<br />

Nel I secolo lo zelotismo va impadronendosi gradualmente delle masse, urbane e ancor più di<br />

campagna, le porta al fanatismo e le conduce alla violenza dei predoni e dei sicari, che porteranno<br />

alla catastrofe finale della prima guerra giudaica. La caduta di Gerusalemme tuttavia non segnò la<br />

sconfitta dello zelotismo; gli ultimi zeloti infatti, a capo dei quali c’era Eleazaro ben Simone, si<br />

rifugiarono, in un estremo tentativo di resistenza, nella fortezza di Masada, a sud del deserto di<br />

Giuda, vicino al Mar Morto. Quando si videro perduti, tutti i 960 zeloti si diedero la morte. Fonti<br />

sull’origine del movimento zelota sono le testimonianze convergenti di Giuseppe Flavio e<br />

dell’evangelista Luca 135 . Robert Eisenman ha posto l’attenzione sulla presenza in alcuni riferimenti<br />

contemporanei del Talmud della parola zeloti, usata come sinonimo di kanna’im, ma non<br />

esattamente come un gruppo, piuttosto come preti vendicativi del Tempio. La testimonianza dello<br />

storico ebreo sulla dottrina degli zeloti è interessante 136 .<br />

È facile desumere da qui che lo zelotismo non è che un fariseismo estremo, che coinvolge il<br />

piano politico assieme a quello religioso per il fatto di non obbedire ad altri che a Dio. I termini che<br />

indicano i combattenti messianisti (chrestianoi in greco) sono: a) in ebraico: Qanana (Cananei) e<br />

Bariona; b) in greco: Zelotes e Lestes; c) in latino: Sicarii, Latrones e Galilaei (Sicari, Ladroni e<br />

Galilei).<br />

I passi biblici di Lc 6,15+At 1,13 potrebbero far intendere in un coinvolgimento politico. In<br />

realtà la parola zelota può essere tradotto anche “zelante”. Più articolata la questione circa il<br />

possibile coinvolgimento degli altri apostoli 137 . Negli Atti degli Apostoli, il fariseo Gamaliele,<br />

accettate nel corso della storia dai caraimi stessi e dagli altri popoli con i quali sono venuti in contatto, li<br />

considerano invece etnicamente turchi, convertiti al caraismo; alla medesima conclusione sono d’altra parte<br />

giunti anche gli studiosi, che li considerano turchi di religione giudaica, e non ebrei di lingua turca.<br />

Tradizionalmente agricoltori, i caraimi furono spesso impiegati come militari dalle varie potenze che, nel corso<br />

dei secoli, controllarono la loro patria originaria. Questo portò a una loro diaspora in gran parte dell’Europa<br />

orientale, che ne determinò in molti casi l’assimilazione alle popolazioni maggioritarie. Attualmente piccoli<br />

gruppi sono presenti in Ucraina, Polonia e, soprattutto, in Lituania.<br />

135 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, II-­‐12: “In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti<br />

sicari (Ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle<br />

feste che essi si mescolavano alla folla, nascondevano sotto le vesti dei piccoli pugnali e con questo colpivano i loro<br />

avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così<br />

bene da essere creduti e quindi non riconoscibili”.<br />

136 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XVIII,23: “Giuda il Galileo introdusse una quarta setta i cui membri sono in tutto<br />

d’accordo con i farisei, eccetto un invincibile amore per la libertà che fa loro accettare solo Dio come signore e padrone. Essi<br />

disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo signore”.<br />

137 Giuda detto Iscariota, nel caso fosse vera l’equivalenza tra Iscariota e Sicario. Simone detto Pietro nel caso fosse<br />

correttamente attributo il soprannome di Bariona. Simone il Cananeo chiamato sempre Simone lo Zelota nel Vangelo di<br />

Luca, per distinguerlo da Simone Pietro. Interpretando un passo del vangelo di Luca nel quale Giacomo di Zebedeo e suo<br />

fratello Giovanni chiedono a Gesù il permesso di incendiare un villaggio di samaritani dal quale il Cristo e i suoi seguaci<br />

erano stati respinti, lasciando intendere fosse quella la norma di comportamento.<br />

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accomuna la situazione degli apostoli appena arrestati alla storia di due capi zeloti, Giuda il<br />

Galileo e Teuda (At 5,33-39). Secondo gli studi di Eisemann 138 sembrerebbe ma non è certo che<br />

l’elemento zelota nell’originale gruppo di apostoli sia stato mascherato e sovrascritto per dar modo<br />

alla chiesa cristiana di Paolo di assimilarsi all’elemento romano e di far proseliti tra i gentili.<br />

Universalmente riconosciuto come Zelota da ambienti ecclesiastici e accademici è Simone il<br />

Cananeo. Tra i reperti di Qumran si ritrovano tracce che collegano la comunità essena ai<br />

rivoltosi zeloti, come ad esempio il Rotolo della guerra 139 .<br />

Gli Esseni<br />

Gli Esseni furono un gruppo ebraico di incerta origine, nato forse attorno alla metà del II secolo<br />

a.C. e organizzato in comunità isolate di tipo monastico e cenobitico. Tra i gruppi ebraici di età<br />

ellenistico-romana, conosciuti e documentati anche da autori greci e latini, quello degli Esseni è<br />

forse oggi il più noto. Già nell’antichità avevano scritto su di essi, per ricordare i più<br />

rilevanti, Filone Alessandrino (Quod omnis probus liber sit), Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica),<br />

che ci attesta di esserne stato discepolo, e Plinio il Vecchio (Naturalis Historia). Sulla loro origine e<br />

sul significato del nome (puri, bagnanti, silenziosi, pii) non c’è accordo tra gli studiosi. Molto<br />

probabilmente ebbero inizio dalla metà circa del II secolo a.C. in epoca maccabea, e di essi non si fa<br />

mai menzione prima degli Asmonei. Di vita appartata e solitaria, si erano organizzati, fuori dal<br />

contesto sociale, in comunità isolate di tipo monastico e cenobitico; protetti da Erode il Grande, al<br />

tempo di Gesù erano oltre 4000 e vivevano dispersi in tutto il paese; circa 150 erano quelli residenti<br />

a Qumran. Questo sito andò incontro ad una fine violenta nel 68 d.C. ad opera dei romani a causa<br />

del loro coinvolgimento nelle sommosse negli anni della guerra che si concluse con il crollo<br />

di Gerusalemme. Prima della fine però riuscirono a nascondere la loro biblioteca nelle grotte<br />

circonvicine. Alcuni scampati, sembra, si unirono agli zeloti di Masada e ne condivisero la sorte. Lo<br />

proverebbe il ritrovamento, durante gli scavi del 1963 a Masada, di un frammento di pergamena<br />

dei Canti della santificazione del sabato noto dai ritrovamenti della grotta 4.<br />

Giuseppe Flavio usa il nome Esseni in due racconti principali 140 , così come in qualche altro<br />

contesto 141 . In molti passi, comunque, Giuseppe scrive Essaios, che generalmente è da intendersi<br />

138 R. EISENMAN, James the Brother of Jesus: The Key to Unlocking the Secrets of Early Christianity and the Dead Sea<br />

Scrolls, Viking Penguin, 1997.<br />

139 IPPOLITO ROMANO, Refutatio, IX, 26: “Sono divisi (gli esseni) fin dall’antichità e non seguono le pratiche nella stessa<br />

maniera, essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all’estremo: si rifiutano di prendere in mano<br />

una moneta (non ebraica) asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa<br />

perciò entrare in una città per tema di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le<br />

statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo<br />

minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è<br />

appunto da questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di<br />

padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte”.<br />

140 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica, 2.119, 158, 160; Antichità Giudaiche, 13.171-­‐2.<br />

141 GIUSEPPE FLAVIO, Un racconto sugli Esseni, in Antichità Giudaiche, 13.298; Il cancello degli Esseni, in Guerra<br />

Giudaica, 5.145; Giuda della stirpe degli Esseni, in Antichità Giudaiche, 13.311 (ma qualche manoscritto recita Essaion);<br />

Tenere gli Esseni in onore, in Antichità Giudaiche, 15.372.378; Un certo Esseno detto Manaemus, in Antichità Giudaiche,<br />

15.373; Gli Esseni, in Antichità Giudaiche, 18.11.18.<br />

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come Esseno. 142 . Filone usa il nome Essaioi, sebbene egli ammetta che questa versione greca del<br />

nome originale, che secondo la sua etimologia significa “santi”, sia inesatta. Il testo latino di Plinio<br />

riporta la parola Esseni. Nel I secolo d.C. lo storico Giuseppe Flavio identificò gli esseni come una<br />

delle maggiori quattro principali scuole ebraiche del periodo 143 .<br />

Secondo Giuseppe gli Esseni dimoravano “non in una sola città” ma “in moltitudine in ogni<br />

città” 144 . Filone parla di “più di quattromila Essaioi”, che vivevano nella “Siria Palestinese” 145 , più<br />

precisamente, “in molte città della Giudea e in molti villaggi e raggruppati in grandi comunità<br />

composte da numerosi membri” 146 . Alcuni studiosi ed archeologi moderni hanno individuato un<br />

insediamento abitato dagli Esseni a Qumran, un altopiano nel Deserto della Giudea lungo il Mar<br />

Morto. Mentre la testimonianza di Plinio “sulla parte occidentale del Mar Morto, lontano dalla<br />

costa ... [sopra] la città di Engeda”, tende ad essere utilizzata a supporto di questa identificazione,<br />

non esiste tuttavia nessun’altra prova conclusiva di questa ipotesi. Tuttavia essa ha finito per<br />

dominare la discussione scientifica e la percezione collettiva sugli Esseni.<br />

Il Padre della Chiesa Epifanio, che scrisse intorno al IV secolo d.C., sembra fare una<br />

distinzione tra due gruppi principali all’interno degli Esseni: “Coloro che vennero prima di lui<br />

[Elxai, un <strong>prof</strong>eta Esseno], gli Ossaeni e i Nazareni” 147 . Epifanio, poi, descrive ogni gruppo 148 .<br />

Alcuni gruppi moderni che rivendicano una connessione con l’Essenismo, rivendicano anche la<br />

collocazione degli Ossaeani, che incoraggiavano il celibato, che sarebbe stata attorno all’area<br />

di Qumran; e dei Nazareni, che incoraggiavano il matrimonio, e sarebbero stati attorno all’area<br />

del Monte Carmelo.<br />

142 GIUSEPPE FLAVIO, Giuda della stirpe Essaios, in Guerra Giudaica, I.78; Simone della stirpe Essaios, in Guerra<br />

Giudaica, 2.113; Giovanni l’Essaios, in Guerra Giudaica, 2.567; 3.11; Coloro che sono da noi chiamati Essaioi, in Antichità<br />

Giudaiche 15.371; Simone un uomo della razza degli Essaios, in Antichità Giudaiche, 17.346.<br />

143 Sugli esseni si sono concentrate molte speculazioni esoteriche. Il controverso Ahmed Osman, ad esempio, nel<br />

suo libro “Fuori dall’Egitto”, ha sostenuto che “Esseno” deve essere tradotto come “colui che segue Gesù (Essa)”.<br />

Questa “ovvia” traduzione letterale è da tralasciare a causa delle indiscutibili assunzioni circa le origini della<br />

cristianità del I secolo d.C. Nel suo libro Gabriele Boccaccini (Beyond the Essene Hypothesis, Eerdmans Publishing,<br />

Cambridge, 1998, 47), spiega che una etimologia per Esseni non è ancora stata trovata, ma che si applica anche a<br />

numerosi gruppi diffusi in tutta la Palestina che includono anche la comunità di Qumran. Infine il riferimento di<br />

Giuseppe Flavio ad un “cancello degli Esseni” nel Tempio suggerisce che una comunità essena vivesse nel<br />

quartiere della città o che regolarmente accedesse a questa parte dei recinti del Tempio. Georges Ivanovič<br />

Gurdjieff, nel suo libro “I racconti di Belzebù a suo nipote”, sostiene che gli Esseni sono stati i veri e più fedeli<br />

seguaci di Gesù.<br />

144 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.124.<br />

145 FILONE D’ALESSANDRIA, Quod Omn. Prob. XII.75.<br />

146 Cf. G. BOCCACCINI, Beyond the Essene Hypothesis, Eerdmans Publishing, Cambridge, 1998, 111.<br />

147 EPIFANIO DI SALAMINA, Panarion, 1,19.<br />

148 EPIFANIO DI SALAMINA:<br />

-­‐ Esseni “Nazareni”: “I Nazareni -­‐ erano Ebrei per provenienza -­‐ originariamente da Gileaditis [dove i primi<br />

seguaci di Yeshua fuggirono dopo il martirio di Giacomo, fratello di Gesù], Bashaniti e Transgiordani …Essi<br />

riconoscevano Mosè e credevano che avesse ricevuto delle leggi, ma non la nostra legge ma altre. E così, essi<br />

erano Ebrei che rispettavano tutte le osservanze ebraiche, ma non offrivano sacrifici e non mangiavano<br />

carne. Essi consideravano un sacrilegio mangiare carne o fare sacrifici con essa. Affermavano che i nostri<br />

Libri sono delle falsità, e che nessuno dei costumi che essi affermano sono stati istituiti dai padri. Questa era<br />

la differenza tra i Nazareni e gli altri. . ." (Panarion, 1,18).<br />

-­‐ Esseni “Ossaeani”: “Dopo la setta dei [Nazareni] viene un’altra setta legata strettamente ad essi, chiamata<br />

Ossaeani. Costoro sono Giudei come i primi... originari della Nabataea, Ituraea, Moabitis e Arielis, le terre<br />

oltre il bacino che le Sacre Scritture chiamavano Mare di Sale. . . Sebbene siano diverse dalle altre sei sette<br />

essa si è separata da loro solo perché proibiscono l’uso dei libri di Mosè come fanno i Nazareni” (Panarion,<br />

1,19). GIUSEPPE FLAVIO aggiunge: “Oltre ad essi, esiste un’altra frangia di Esseni che concordano per leggi e<br />

costumi ma differiscono nella visione del matrimonio” (Guerra Giudaica, 2.160).<br />

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I resoconti di Giuseppe e Filone mostrano che gli Esseni (Filone: Essaioi) conducevano una<br />

vita strettamente celibe, ma comunitaria − spesso paragonata dagli studiosi alla vita monastica<br />

buddista e in seguito cristiana − anche se Giuseppe parla di un altro “rango di Esseni”, che si<br />

sposavano 149 . Secondo Giuseppe, avevano usanze e osservanze come la proprietà collettiva 150 ,<br />

eleggevano un capo che attendesse agli interessi di tutti e i cui ordini venivano obbediti 151 , era loro<br />

vietato prestare giuramento 152 e sacrificare animali , controllavano la loro collera e fungevano da<br />

canali di pace 153 , portavano armi solo per protezione contro i rapinatori 154 , e non avevano schiavi,<br />

ma si servivano a vicenda 155 e, come conseguenza della proprietà comune, non erano dediti ai<br />

commerci 156 . Sia Giuseppe che Filone hanno lunghi resoconti dei loro incontri comunitari, pranzi e<br />

celebrazioni religiose. Da quanto si è dedotto, il cibo degli Esseni non poteva essere alterato, con la<br />

cottura ad esempio; e potrebbero essere stati strettamente vegetariani, mangiando principalmente<br />

pane, radici selvatiche e frutta. Dopo un totale di tre anni di prova 157 , i membri appena unitisi<br />

prestavano un giuramento che comprendeva l’impegno a praticare la pietà verso la divinità e<br />

l’aderenza a principi morali verso l’umanità, per mantenere uno stile di vita puro, di astenersi da<br />

attività criminose e immorali, di trasmettere intatte le loro leggi e di preservare il libro degli Esseni<br />

e il nome degli Angeli 158 . La loro teologia includeva il credo nell’immortalità dell’anima e il fatto<br />

che avrebbero ricevuto indietro le loro anime dopo la morte 159 .<br />

Gli Esseni vengono discussi in dettaglio da Giuseppe e Filone. Molti studiosi credono che la<br />

comunità di Qumran, che presumibilmente produsse i Rotoli del Mar Morto, fu un ramo degli<br />

Esseni; comunque, questa teoria è stata disputata da Norman Golbe da altri studiosi. Alcuni<br />

suggeriscono che Gesù fosse un Esseno, e che la Cristianità evolse da questa setta dell’Ebraismo,<br />

con la quale condivide molte idee e simboli 160 .<br />

Tra i reperti di Qumran si ritrovano tracce che collegano la comunità essena ai rivoltosi zeloti,<br />

come ad esempio il Rotolo della guerra.<br />

“...Sono divisi (gli esseni) fin dall’antichità e non seguono le pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti<br />

in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all’estremo: si rifiutano di prendere in mano<br />

una moneta (non ebraica) asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di<br />

costoro osa perciò entrare in una città per tema di attraversare una porta sormontata da statue,<br />

149 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.160-­‐161.<br />

150 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.122; Antichità Giudaiche, 18.20.<br />

151 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.123.134.<br />

152 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.135.<br />

153 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.135.<br />

154 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.125.<br />

155 GIUSEPPE FLAVIO, in Antichità Giudaiche 18.21.<br />

156 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.127.<br />

157 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.137-­‐138.<br />

158 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.139-­‐142.<br />

159 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, 2.153-­‐158; Antichità Giudaiche, 18.18.<br />

160 Secondo Martin A. Larson, gli oggi incompresi Esseni erano Ebrei Pitagorici, che vivevano come monaci. In<br />

quanto vegetariani e celibi, in comunità autosufficienti, che evitavano il matrimonio e la famiglia, essi<br />

predicavano una guerra incombente con i “Figli del Buio”. In quanto “Figli della Luce”, ciò rifletteva un’influenza<br />

separata dallo Zoroastrismo attraverso la loro ideologia parente del Pitagorismo. Secondo Larson, sia gli Esseni<br />

che i Pitagorici ricordavano i thiasoi, o le unità di culto dei misteri orfici. Giovanni il Battista viene ampiamente<br />

considerato come un ottimo esempio di Esseno che aveva lasciato la vita comunitaria (si veda GIUSEPPE<br />

FLAVIO, Antichità Giudaiche, 18.116-­‐119), ed è, forse, perché aspiravano ad emulare il loro proprio<br />

fondatore Maestro di moralità, che venne crocifisso. Un’altra questione è la relazione tra gli Essaioi e<br />

i Therapeutae e Therapeutrides di Filone (si veda De Vita Contemplativa). Si può sostenere che egli considerava<br />

i Therapeutae come una branca contemplativa degli Essaioi i quali, diceva, ricercavano una vita attiva (Vita<br />

Cont. I.1).<br />

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essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si<br />

accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si lascia circoncidere;<br />

qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto da questo che hanno preso il nome<br />

di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona,<br />

eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte” 161 .<br />

Alcune usanze essene erano molto simili a quelle cristiane dei primi secoli e ciò potrebbe<br />

essere dovuto alla comune origine giudaica e all’uso delle medesime scritture bibliche. Nonostante<br />

ciò, i numerosi paralleli esistenti tra gli scritti di Qumran e i vangeli canonici, hanno convinto un<br />

buon numero di studiosi del fatto che le dottrine e le tradizioni delle comunità essene abbiano<br />

costituito la base fondamentale sulla quale si è successivamente sviluppato il Cristianesimo. Gli<br />

indizi emersi dalle ricerche filologiche, storiche e archeologiche, testimoniano l’esistenza di<br />

rapporti tra esseni e cristiani, e legittimano l’ipotesi secondo la quale il cristianesimo e l’essenismo<br />

siano legati da una stretta parentela. In particolare, le scoperte dell’archeologo Bargil Pixner,<br />

documentate da vari esperti, tra i quali Rainer Riesner, hanno evidenziato un fatto di eccezionale<br />

rilevanza: il primo luogo di riunione della prima comunità cristiana a Gerusalemme, nonché il luogo<br />

ove si svolse l’ultima cena, era ubicato nelle immediate vicinanze del quartiere degli esseni a<br />

Gerusalemme: “esseni e primi cristiani sarebbero vissuti a Gerusalemme, per così dire, porta a<br />

porta” 162 . Ciò rende estremamente plausibile l’ipotesi di contatti diretti e frequenti tra esseni e<br />

cristiani. Inoltre, alcune evidenze di ordine storico, hanno convinto molti studiosi del fatto che siano<br />

avvenute conversioni in massa di esseni al cristianesimo. Secondo Otto Betz e Rainer Riesner:<br />

“Dobbiamo anche tener conto che un gran numero di esseni si convertì a Gesù come messia. Questi<br />

esseni convertiti formavano una cerchia di teologi che per quei tempi poteva ritenersi altamente<br />

qualificata. Essi erano in grado di pensare e studiare a fondo chi sia stato Gesù e in che modo ci<br />

abbia portato la salvezza”. Sul tema dei paralleli tra esseni e cristiani, i due autori affermano: “Vi<br />

sono stati occasionalmente, a dire il vero, dei tentativi di negare in ampia misura le somiglianze<br />

emerse, ma questi non necessari sforzi apologetici rimangono in minoranza”.<br />

Le similitudini con la dottrina cristiana sono numerosissime e possono essere divise, in linea di<br />

principio, in due categorie: similitudini filologiche e similitudini relative alle usanze rituali, alla<br />

teologia e alle consuetudini organizzative.<br />

- Similitudini filologiche:<br />

Sono quelle che emergono dal confronto tra i manoscritti degli esseni e gli scritti del Nuovo<br />

Testamento. Secondo Betz e Riesner: “È davvero sorprendente constatare quanto spesso<br />

essenismo e cristianesimo primitivo facciano riferimento a un gruppo ben definito di testi<br />

veterotestamentari. Poteva esserci, qui, la stessa tradizione esegetica” 163 . Jean<br />

Daniélou identifica questa comune tradizione esegetica in una raccolta<br />

di Testimonia messianiche (4QTest/4Q175) rinvenuta a Qumran, contenente una selezione<br />

161 IPPOLITO ROMANO, Refutatio, IX, 26. L’attendibilità di Ippolito Romano è, tuttavia, messa in dubbio da alcuni storici<br />

come Laura Gusella e Gabriele Boccaccini.<br />

162 O. BETZ-­‐R. RIESNER, Gesù, Qumran e il Vaticano, LEV, 1995, 221. Si può consultare: GABRIELE BOCCACCINI, Beyond<br />

the Essene Hypothesis, Eerdmans Publishing, Cambridge, 1998; R. RIESNER, Esseni e prima comunità cristiana a<br />

Gerusalemme, Nuove scoperte e fonti, LEV, 2001; J. DANIELOU, I Manoscritti del Mar Morto e le origini del<br />

cristianesimo, Arkeios, Roma, 1993; D. SPATARU, Sacerdoti e diaconesse: la gerarchia ecclesiastica secondo i Padri<br />

Cappadoci, Edizioni <strong>Studio</strong> Domenicano, 2007; A. PAUL, I Manoscritti del Mar Morto, Elledici, Torino, 2002; J.<br />

FITZMYER, Qumran, Queriniana, Brescia, 1995; MARTINEZ <strong>–</strong> BARRERA, Gli uomini di Qumran, Paideia, Brescia, 1996.<br />

163 O. BETZ-­‐R. RIESNER, Gesù, Qumran e il Vaticano, LEV, 1995, 221.<br />

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di <strong>prof</strong>ezie dell’Antico Testamento, che sarebbe stata utilizzata anche dai primi<br />

cristiani 164 . Esistono, inoltre, paralleli filologici che risultano estranei alle tradizioni<br />

giudaiche veterotestamentarie. Ad esempio i temi relativi ai “figli della luce” e “i figli delle<br />

tenebre”, i “molti/la maggior parte”, la giustificazione “solo per grazia”, la figura del<br />

“mebaqqer” (“ispettore”, ἐπίσκοπος 165 ) rappresentano punti di contatto presenti<br />

nell’essenismo e nel cristianesimo, ma assenti nelle tradizioni esegetiche del giudaismo<br />

coevo, rappresentato da gruppi quali i Farisei e i Sadducei, la cui impostazione culturale era<br />

improntata ad una fedele e rigorosa osservanza e conformità agli scritti dell’Antico<br />

Testamento. Secondo Danielou, si tratta di temi “in cui è più chiara la dipendenza del<br />

cristianesimo nei confronti di Qumran” 166 .<br />

- Analisi filologiche comparative:<br />

André Paul afferma: “Tra gli scritti di Qumran e il Nuovo Testamento anche le<br />

rassomiglianze sono precise. Un dato testo particolare, una data espressione o titolo<br />

trovano in entrambi corrispondenze sorprendenti. La materia è così ricca che la scelta<br />

diventa necessaria” 167 . Joseph Fitzmyer fa notare che: “le formule introduttorie del Nuovo<br />

Testamento erano invariabilmente più vicine alle formule di Qumran che alle formule<br />

mishnaiche, talvolta anche una traduzione letterale delle formule di Qumran” 168 . Martinez e<br />

Barrera aggiungono: “Certo è che i testi del Nuovo Testamento mostrano numerosi paralleli<br />

e punti di contatto con quelli di Qumran. Poiché gli scritti esseni sono più antichi di quelli<br />

cristiani, è logico supporre che i primi possono avere influito sui secondi” 169 .<br />

- Similitudini relative alle usanze rituali, alla teologia e alle consuetudini organizzative:<br />

Anche in questi casi le similitudini risultano significative a causa della divergenza esistente<br />

tra l’essenismo e le coeve usanze e tradizioni giudaiche. Jean Danielou sottolinea che: “Fu<br />

quando la prima chiesa incominciò a svilupparsi, che essa dovette darsi una forma più<br />

istituzionale. E qui ancora emergono i punti di contatto con la comunità di Qumran. [...]<br />

Risulta così evidente che la prima comunità cristiana è immersa in un ambiente ebreo e<br />

vicino a Qumran, dal quale essa riprende numerose forme di espressione” 170 . Tra le usanze<br />

rituali e teologiche, che presentano significative similitudini tra essenismo e cristianesimo, si<br />

possono ricordare: i pasti comunitari, le preghiere quotidiane, il battesimo, il calendario<br />

solare, la Didaché, il Testamento dei XII patriarchi, la resurrezione dai morti, le beatitudini.<br />

Tra le consuetudini organizzative: il matrimonio e il divorzio, la comunione dei beni,<br />

l’organizzazione gerarchica, l’organizzazione giudiziaria, l’ascetismo, la vita associata,<br />

l’ospitalità.<br />

I Farisei<br />

164 J. DANIELOU, I Manoscritti del Mar Morto e le origini del cristianesimo, Arkeios, Roma, 1993, 37.<br />

165 D. SPATARU, Sacerdoti e diaconesse: la gerarchia ecclesiastica secondo i Padri Cappadoci, Edizioni <strong>Studio</strong> Domenicano,<br />

2007, 40.<br />

166 J. DANIELOU, I Manoscritti del Mar Morto e le origini del cristianesimo, Arkeios, Roma, 1993, 33.<br />

167 A. PAUL, I Manoscritti del Mar Morto, Elledici, Torino, 2002, 267.<br />

168 J. FITZMYER, Qumran, Queriniana, Brescia, 1995, 159.<br />

169 MARTINEZ <strong>–</strong> BARRERA, Gli uomini di Qumran, Paideia, Brescia, 1996, 326.<br />

170 J. DANIELOU, I Manoscritti del Mar Morto e le origini del cristianesimo, Arkeios, Roma, 1993, 30-­‐39.<br />

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Gruppo religioso in seno al giudaismo i cui inizi risalgono al periodo del secondo tempio.<br />

Notizie dettagliate a loro riguardo le dobbiamo allo storico giudaico 71 Flavio Giuseppe 171 .<br />

1) Il nome farisei deriva dalla parola ebraica perûshîm = i “separati”, probabilmente in<br />

considerazione della loro rigida osservanza della Legge che portava a una separazione rispetto ai<br />

meno rigorosi 172 .<br />

2) Storia: i farisei hanno origine dal movimento degli asidei, dal quali si staccarono non<br />

condividendo la loro attesa messianico-apocalittica imminente. Verso la fine del Il sec. a.C.<br />

entrarono in scena come avversari degli Asmonei, di cui combatterono la politica mondana e le<br />

tendenze ellenizzanti. Ruppero con la casa Asmonea sotto Giovanni Ircano (134 <strong>–</strong> 104 a.C.) e fu<br />

verso quest’epoca che apparvero costituiti in partito (àiresis). Dopo l’estinzione della dinastia<br />

acquistarono un forte influsso sul 71 Sinedrio e sul popolo, per il quale essi rappresentavano<br />

l’autorità religioso-spirituale e dal quale venivano rispettati e tenuti in grande considerazione. Dopo<br />

la distruzione di Gerusalemme rimasero l’unico partito religioso sopravvissuto e il loro<br />

orientamento di pensiero divenne determinante per il giudaismo rabbinico successivo.<br />

3) Dottrina: i farisei ricercavano un esatto adempimento della Legge poiché secondo la dottrina<br />

farisaica, la Torah è lo strumento col quale Dio ha creato il mondo, e la preminenza d’Israele<br />

consiste nel fatto che con la Torah, ad esso fu dato proprio questo strumento. Essa è il segno della<br />

sua elezione. La legge manifesta la volontà assoluta di Dio e il suo adempimento attua la salvezza.<br />

Essa doveva però esser adattata di volta in volta alla mutevole situazione umana. Nell’adempimento<br />

della Legge, l’uomo non doveva subire alcun danno. La concezione farisaica della Legge era<br />

pertanto gran lunga meno radicale di quella degli esseni di Qumran. Alla Legge fissata per iscritto<br />

era equiparata tradizione orale, la spiegazione della Legge da parte degli scribi (la Torah orale),<br />

poiché questa sarebbe implicitamente contenuta nella Torah scritta. Nonostante la separazione tutto<br />

ciò che è “impuro” (vale a dire, ciò o colui che non corrisponde alle prescrizioni della Legge),<br />

faceva parte della dottrina farisaica che anche peccatori e non-israeliti avrebbero avuto parte alla<br />

salvezza. Nonostante l’alta considerazione della pro religiosità, i farisei erano consapevoli della<br />

necessità della grazia 173 .<br />

Il NT dipinge i farisei come i veri e propri avversari di Gesù; va, però, considerato, d’altro<br />

canto, che Gesù ha molto in comune con i farisei, che egli prende sul serio la loro religiosità e<br />

perfino nelle dispute si preoccupa di loro. Il conflitto nasce da una differente posizione nei confronti<br />

della Legge. Per Gesù (e per il cristianesimo primitivo - Paolo) la Torah non poteva essere<br />

considerata una necessità assoluta per la salvezza. Non la “tradizione dei padri”, ma Gesù era<br />

l’interprete autentico della volontà assoluta di Dio. Di qui la sua libertà sovrana di fronte alla<br />

Legge, cosa che per la credenza dei farisei nell’origine divina della Torah non era possibile imitare.<br />

La seconda causa del conflitto era la distanza dei farisei da tutte le attese messianico-escatologiche<br />

171 Alcuni riferimenti bibliografici possono essere: G. BOCCACCINI, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a<br />

Daniele, Morcelliana, 2008; A. J. SALDARINI, Farisei, scribi e sadducei nella società palestinese. Paideia, Brescia 2003;<br />

G. STEMBERGER, Farisei, sadducei, esseni, Paideia, Brescia 1993; R. T. HERFORD, I Farisei, Laterza, Bari 1982 4.<br />

172 Chiamati da Giuseppe Flavio col nome di farisei (ebr. perushim, gr. pharisaion), ossia i “separati” o i<br />

“dissidenti”. Probabilmente il termine fu coniato dagli oppositori con intento dispregiativo; tra loro si<br />

chiamavano invece chaverìm (“congregati”, “compagni”).<br />

173 Importante segnalare come Il pensiero religioso dei Farisei è in realtà inequivocabilmente esplicito non solo<br />

sul principio dell'immortalità dell'anima, ma anche su quello, più complesso e delicato, della risurrezione dei<br />

morti. In altre parole, i Farisei credevano fermamente che sia l'anima che il corpo fossero suscettibili di essere<br />

risuscitati, e il principio dogmatico della resurrezione dei morti altro non significava se non la ricomposizione di<br />

quell'unità psico-­‐fisica originaria, scompostasi al momento della morte.<br />

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imminenti, cosicché la pretesa messianica che Gesù avanzava con la parola e l’azione era per loro<br />

inaccettabile. Certo, nella concezione della legge dei farisei c’era il pericolo di una religiosità<br />

esteriorizzata, e non di rado vi ci sono caduti. I rimproveri che il NT solleva contro di loro si trovano<br />

anche negli scritti rabbinici. Tuttavia dedurre dalla radicalizzazione e dalla polemica inasprita<br />

del NT che i farisei fossero tutti indistintamente ipocriti e il fariseismo soltanto un adempimento<br />

esteriore della Legge, contraddice i dati di fatto storici. Diversamente non avrebbe potuto dar vita<br />

alle grandi figure del periodo post-biblico e vitalizzare con una nuova linfa il giudaismo successivo<br />

al 70 d.C. e al 135 d.C.<br />

Nel Talmud sono descritte con una certa ironia sette categorie di Farisei:<br />

- 1) Il gruppo delle “spalle larghe” che scrivevano le loro buone azioni sulla schiena perché<br />

fossero note a tutti gli uomini;<br />

- 2) i “vacillanti” che andavano per strada strusciando i piedi per terra e urtando contro i<br />

ciotoli per farsi notare;<br />

- 3) gli “sbattitesta” che chiudevano gli occhi per non vedere le donne e sbattevano la testa<br />

contro i muri;<br />

- 4) gli “umili perfetti” che camminavano piegati in due;<br />

- 5) i “Farisei di calcolo” che praticavano la Legge per godere delle possibili ricompense;<br />

- 6) i “Farisei della paura” che facevano il bene perché temevano il castigo;<br />

- 7) i “Farisei del dovere”, cioè i buoni Farisei.<br />

I farisei si consideravano gli eredi del riformatore Esdra, che veneravano come il secondo<br />

fondatore dell’ebraismo dopo Mosè e l’iniziatore del giudaismo. Attendevano il riscatto del popolo<br />

senza il ricorso alla violenza nei confronti degli occupanti romani e forse per questo sopravvissero<br />

alla rovina del Tempio e alla distruzione di Gerusalemme che travolsero invece sadducei, esseni,<br />

zeloti e sicari.<br />

Circa la contiguità tra i farisei e gli zeloti abbiamo un riferimento in Giuseppe Flavio: “Giuda il<br />

Galileo introdusse una quarta setta: i membri sono d’accordo con i farisei in tutto, eccetto un<br />

invincibile amore per la libertà, che fa loro accettare solo Dio come signore e padrone. Essi<br />

disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo<br />

signore” 174 . Fallita la ribellione dei giudei ai romani nel I secolo d.C. e distrutta Gerusalemme, i<br />

farisei emersero dalla catastrofe che aveva travolto la loro nazione quale unica corrente spirituale<br />

vitale, capace di coagulare attorno a sé i resti, che non vennero assimilati dalla società romanoellenica,<br />

o che non si convertirono al cristianesimo. Dai farisei trae origine l’ebraismo rabbinico o<br />

moderno.<br />

L’imperatore Tito concesse dopo il 70 d.C. al rabbino fariseo Iohanan Ben Zakkai, come<br />

abbiamo visto in precedenza, di trasferire e mantenere a Jahvne il sinedrio, per cui i farisei rimasero<br />

l’elemento determinante di tutto il giudaismo posteriore.<br />

2.3. Il mondo greco<br />

L’ambiente ellenistico<br />

Se il giudaismo è l’ambito iniziale dello sviluppo del nascente cristianesimo, l’ambito di<br />

diffusione è quello di lingua greca. Lo stesso Nuovo Testamento, scritto nel greco della koinè, è il<br />

miglior testimone di questa diffusione. Ma l’assunzione della lingua significa anche assunzione<br />

174 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XVIII, 23.<br />

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della cultura. Quale l’atteggiamento del cristianesimo dinanzi alla cultura greca? Esso è<br />

ambivalente: mentre accoglie tale cultura, contemporaneamente la combatte.<br />

La testimonianza del Nuovo Testamento<br />

Alla base del confronto dialettico con il mondo ellenistico vi è la percezione che il primo<br />

cristianesimo ha della portata della rivelazione operata da Gesù e dell’evento che lo vede al centro<br />

dell’annunzio evangelico.<br />

Come primo testo va posto Mt 11,25-26 - Lc 10,21<br />

Mt 11,25-26<br />

In quel tempo Gesù disse: "ʺTi rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra,<br />

perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.<br />

Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.<br />

Lc 10,21<br />

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse:<br />

"ʺTi rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto<br />

queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.<br />

Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.<br />

Per quanto i sofo,i ed i suneto,i indichino piuttosto atteggiamenti che non precise categorie di<br />

persone (e quindi riguardano indistintamente giudei e greci), non vi è dubbio che dietro queste<br />

parole che vi un atteggiamento di “antipatia” del primo cristianesimo verso tutto ciò che sa di<br />

sapienza umana a favore dell’unica rivelazione. Il messaggio contenuto in queste parole andrebbe<br />

letto alla luce di tutto il messaggio evangelico sui “poveri” e sui “piccoli”.<br />

Un secondo testo da tenere è 1Cor 1,18-25.31. In questo testo sono poste duramente a<br />

confronto la sofi,a tou/ ko,smou con il kh,rugma: tra le due vi è inconciliabilità. La prima è il frutto di<br />

uno sforzo umano 175 ; la seconda, invece, è puro dono di Dio, qualcosa che proviene dall’esterno ed<br />

entra nel cuore dell’uomo che la accoglie e perciò entra nella salvezza<br />

Sulla stessa linea si pone un secondo testo di Paolo che è Rm 1,21-22.<br />

Rm 1,21-22<br />

perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio,<br />

ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata.<br />

Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti<br />

L’epicureismo<br />

Mi soffermo in particolare su due correnti filosofiche largamente diffuse al tempo<br />

dell’apostolo: l’epicureismo e lo stoicismo. Paolo stesso cita filosofi di questi due correnti nel suo<br />

famoso discorso all’Areopago di Atene (At 17,15-34).<br />

Gli epicurei traevano il loro nome dal fondatore della scuola, Epicuro, vissuto tra il 314 e il 270<br />

a.C. Secondo costoro l’anima esiste ma non è immortale perché svolge la sua funzione solo quando<br />

è contenuta nel corpo e, separandosene alla morte, si dissolve. Le divinità esistono, vivono negli<br />

spazi che separano un mondo dall’altro, sono perfette, autosufficienti dal mondo e ad esso<br />

indifferenti. Le divinità non provvedono quindi alle cose del mondo. In polemica con gli stoici,<br />

Epicuro considerava l’uomo libero da ogni costrizione esterna da parte di un fato o di una divinità<br />

175 Cf. 1Cor 1,20: il sofo,j a cui segue il grammateu,j ed il suzhthth.j tou/ aivw/noj tou,tou.<br />

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che guidasse le azioni umane. Questo filosofo riteneva, perciò, che l’uomo dovesse ricercare in se<br />

stesso la causa fondamentale della propria felicità o infelicità. La felicità consisteva nel piacere che<br />

è uno stato di equilibrio e di armonia e di assenza del dolore. E nella scelta del piacere consisteva la<br />

vera salvezza. A differenza degli stoici, gli epicurei non ammettevano un vero e proprio diritto<br />

naturale con un sistema di leggi sempre comunque valide. E allora ciò che è giusto non vale per se<br />

stesso, ma solo in quanto conforme all’utilità.<br />

Il termine epicureismo ha nella storiografia filosofica due significati sovrapponibili ma non<br />

coincidenti. Da un lato esso sta ad indicare “la filosofia originaria di Epicuro”, da un altro “la<br />

storia dei pensatori che, dalla sua enunciazione dal IV secolo a.C. al presente, si sono rifatti ad<br />

Epicuro”: in altre parole, nel primo significa “il pensiero di Epicuro”, nel secondo “la storia del<br />

pensiero dei seguaci di Epicuro”, ed è questo il significato prevalente.<br />

La dottrina epicurea s’innesta nel clima culturale ed etico dell’ellenismo che dopo la delusione<br />

politica seguita alla caduta della democrazia ateniese “subordina tutta la ricerca filosofica<br />

all’esigenza di garantire all’uomo la tranquillità dello spirito” 176 . Sul raggiungimento di questo<br />

obiettivo Epicuro fonda il suo pensiero su tre principi:<br />

1. il sensismo, cioè il principio per il quale la sensazione è il criterio della verità e il criterio<br />

del bene (il quale ultimo s’identifica perciò col piacere);<br />

2. l’atomismo per il quale Epicuro spiegava la formazione e il mutamento delle cose mediante<br />

l’unirsi e il disunirsi degli atomi e la nascita delle sensazioni come l’azione di strati di<br />

atomi, provenienti dalle cose, sugli atomi dell’anima;<br />

3. il semi-ateismo per il quale Epicuro riteneva che gli dèi esistono sì, ma non hanno alcuna<br />

parte nella formazione e nel governo del mondo 177 .<br />

Precisato quanto sopra, non è inopportuno incominciare a parlare di epicureismo<br />

considerandolo nel primo significato, per ricordare quali siano i fondamenti del pensiero del suo<br />

fondatore e le sue tesi principali. L’epicureismo, o filosofia del “giardino” è la dottrina<br />

filosofica di Epicuro. Il secondo nome deriva dal luogo, una casa con giardino appena fuori<br />

da Atene, dove egli dal 306 a.C. impartiva lezioni ai suoi discepoli. La sua filosofia si basa<br />

sull’atomismo pur discostandosi da Democrito e sull’eudemonismo intendendo con ciò la ricerca<br />

del piacere in modo diverso da come la concepiva Aristippo, allievo di Socrate.<br />

Egli riprende la teoria degli atomi traendone conclusioni di tipo etico capaci di liberare l’uomo<br />

da alcune delle sue paure primordiali, come quella della morte. Ritiene che il criterio della verità sia<br />

la conoscenza sensibile, ovvero solo i sensi sono veri ed infallibili. Grazie alle impronte che le cose<br />

sensibili lasciano nell’anima l’uomo è in grado di formulare dei pregiudizi che però non sempre<br />

corrispondono alla verità.<br />

Gli Epicurei, in primis il romano Lucrezio, il più importante dei seguaci di Epicuro, vedono<br />

nella filosofia la via d’accesso alla felicità, dove per felicità s’intende la liberazione dalle paure e<br />

dai turbamenti, contingentemente al raggiungimento del piacere. La filosofia, quindi, ha uno scopo<br />

pratico nella vita degli uomini; essa è uno strumento il cui fine è la felicità: “È vano il discorso di<br />

quel filosofo che non curi qualche male dell’animo umano (Epicuro)”<br />

Su questa convinzione, la ricerca scientifica atta all’investigazione delle cause del mondo<br />

naturale ha lo stesso fine della filosofia:<br />

176 N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, UTET 1960, 308.<br />

177 Cf. N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, UTET 1960, 308.<br />

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- Liberare gli uomini dal timore degli dèi, dimostrando che per la loro natura perfetta, essi non<br />

si curino delle faccende degli uomini (esseri imperfetti);<br />

- Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa non è nulla per l’uomo dal<br />

momento che “quando ci siamo noi, non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo<br />

noi”;<br />

- Dimostrare l’accessibilità del limite del piacere, ossia la facile raggiungibilità del piacere<br />

stesso;<br />

- Dimostrare la lontananza del limite del male, cioè la provvisorietà e la brevità del dolore.<br />

Epicuro infatti divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto,<br />

che passa in fretta.<br />

Epicuro segue la tripartizione della filosofia in: logica o “canonica”, fisica ed etica. Questa è<br />

la logica che tenta di dare un criterio di verità, un canone, cioè una regola che serve all’uomo per<br />

orientarsi nella ricerca della felicità. Essa è, dunque, la teoria della conoscenza. Criterio della verità<br />

è costituito dalle sensazioni, dalle anticipazioni e dalle emozioni. Le sensazioni costituiscono il<br />

primo criterio di verità perché derivano dalla verità stessa. Le sensazioni, infatti, si formano dalle<br />

immagini (in greco εὶδολα) delle cose e queste si creano da un flusso costituito di atomi che si<br />

staccano dalle cose stesse (simulacra). Le sensazioni, dunque, derivano direttamente dalle cose e ne<br />

sono parte. Dunque sono vere. Il sensismo è il principio per il quale la sensazione è criterio di verità<br />

e, quindi, di bene (che poi si identifica con il piacere).<br />

La moltitudine di sensazioni ripetute formano i concetti o anticipazioni, che sono gli schemi<br />

della nostra mente e fungono da riassunto mnemonico delle esperienze mentali e da anticipazioni di<br />

quelle future. I concetti, dal momento che derivano dalle sensazioni (primo criterio di verità)<br />

costituiscono, insieme ad esse, il criterio fondamentale della verità. Facciamo un esempio: un<br />

bambino deve imparare che cosa sia il fuoco la prima volta che lo sente. Impara dunque la<br />

sensazione del caldo, di pericolo e di paura. Dopo che avrà visto più fuochi, e li avrà “sentiti” tutte<br />

le volte, imparandoli a memoria, non solo non avrà più bisogno di sentirlo tutte le volte<br />

direttamente, perché ne avrà introiettato il concetto, ma potrà anche anticiparlo.<br />

L’emozione consiste nel dolore e nel piacere e costituisce la norma per la condotta pratica della<br />

vita. Questa, pur non rientrando nel campo della logica, costituisce il terzo criterio della verità.<br />

Secondo gli epicurei, le sensazioni ed i concetti non possono essere fonti di errori perché non<br />

possono essere confermate da una sensazione/concetto omogenei, né da una sensazione/concetto<br />

che li confuti provenendo da un altro oggetto. L’opinione (la δοξα), invece, è confermata come vera<br />

se confermata dalle testimonianze dei sensi. In questo meccanismo il ragionamento si trova ad<br />

essere in stretta connessione con i fenomeni percepiti e ha lo scopo di estendere la conoscenza<br />

anche a ciò risulta in un primo ordine di considerazioni oscuro alla sensazione stessa.<br />

La fisica secondo gli epicurei è materialistica, dal momento che esclude la presenza di ogni<br />

anima o principio spirituale, riprendendo quindi la teoria atomistica democritea, e meccanicistica<br />

perché si avvale esclusivamente del principio del movimento dei corpi per spiegare tutto ciò che è<br />

fisico. Viene escluso, quindi, ogni possibile principio di finalismo. Ne deriva che tutto ciò che<br />

esiste, per gli epicurei, non può che essere corpo, dal momento che solo il corpo può agire o subire<br />

un’azione. Il vuoto (unico “non corpo”) è considerato necessario al movimento dei corpi, ma<br />

proprio per la sua natura incorporea è passivo, non agisce, non subisce. Come Democrito, gli<br />

epicurei ritengono che nel vuoto, infinito, vi siano corpi minuscoli e indivisibili che muovendosi si<br />

urtano, unendosi o dividendosi.<br />

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Unione di corpi è la vita, disgregazione di corpi è la morte. Al fine di ribadire l’idea del<br />

carattere accidentale e casuale dell’universo, Epicuro introdusse il concetto di clinamen, ovvero la<br />

possibilità degli atomi di deviare la direzione della loro caduta, dando vita così a nuove<br />

combinazioni; il clinamen motiva lo scontro tra atomi, che altrimenti non avverrebbe poiché<br />

secondo Epicuro le particelle, aventi tutte lo stesso peso, cadono dall’alto verso il basso alla stessa<br />

velocità e dunque in mancanza di una deviazione non si incontrerebbero mai; da questo segue che la<br />

direzione dei corpi non rispetta nessun disegno finalistico, ma è determinata unicamente dalla<br />

necessità intrinseca alla materia di muoversi.<br />

Altro principio fondamentale degli epicurei è la convinzione che gli dèi esistano, ma non si<br />

preoccupino minimamente dell’andamento delle cose terrene, né abbiano la minima intenzione di<br />

governare il mondo materiale. Essi si trovano negli intermundia (gli spazi che si trovano tra i molti<br />

mondi esistenti), ma esistono certamente, poiché, avendone l’uomo l’immagine mentale,<br />

ricollegandosi al criterio di verità epicureo della prolessi, è necessario appunto, affinché ci sia<br />

questa rappresentazione nella mente umana, che gli dèi esistano; inoltre, essi sono antropomorfi,<br />

perché la forma dell’uomo, secondo gli epicurei, è la più perfetta e razionale. In questa posizione,<br />

l’anima si trova ad essere un composto materiale di atomi che si diffondono nel corpo. Gli atomi<br />

dell’anima hanno una forma differente dagli altri, sono più sottili e rotondi.<br />

Per gli epicurei la felicità è piacere e il piacere può essere in movimento (gioia) o stabile<br />

(assenza di dolore). Soltanto la totale assenza di dolore (aponia) e di turbamento (atarassia) sono<br />

eticamente accettabili e dunque costituiscono la vera felicità. Queste si raggiungono solo se si<br />

seguono quelli che gli epicurei definiscono “bisogni naturali” (per esempio, il nutrirsi). La<br />

limitazione qualitativa e quantitativa dei piaceri è il problema stesso della virtù etica, in quanto<br />

segno evidente della condizione umana. Proprio per questo i piaceri si dividono in naturali necessari<br />

(come, per esempio, il mangiare), naturali non necessari (come il mangiare troppo) e vani, cioè né<br />

naturali né necessari (ad esempio, l’arricchirsi): i primi devono essere assecondati, i secondi<br />

possono essere concessi ogni tanto, mentre i terzi devono essere assolutamente evitati.<br />

Gli stoici<br />

Gli stoici prendono il nome da stoà (il portico) in cui aveva sede la scuola filosofica fondata da<br />

Zenone in Atene intorno al 300 a.C. La filosofia degli stoici era chiaramente orientata, a differenza<br />

di quella degli epicurei, al conseguimento della virtù e alla realizzazione dell’ideale del saggio. Al<br />

centro di quella filosofia era posto il concetto di lògos inteso come “ragione”, principio<br />

organizzativo della vita cosmica e della vita morale. Per gli stoici tutta la realtà, compresa la<br />

divinità, è corporea e tutto il mondo è pervaso da un’unica forza vivente. E la divinità non è distinta<br />

dal mondo ma è il principio interno che lo regge lo ordina (panteismo). Gli stoici sostenevano la<br />

separazione dell’anima al corpo dopo la morte ed avevano elaborato il concetto di dovere. Per loro<br />

il bene supremo era la virtù e quattro erano le virtù fondamentali: la prudenza, la temperanza, la<br />

fortezza e la giustizia. È facile qui vedere delle analogie con il cristianesimo.<br />

La filosofia stoica era una specie di filosofia alla moda, che caratterizzava lo spirito del tempo.<br />

Il suo nome derivava dalla stoà poikílē, il Pecile, il variopinto portico di Atene, dove Zenone, il<br />

fondatore della stoà, insegnava. Punti focali riguardavano l’arte della vita sana. Cercava, inoltre, di<br />

dimostrare l’esistenza di Dio con argomenti logici.<br />

Scopo principale (télos) dell’uomo è pertanto quello di imparare a comportarsi nel modo<br />

giusto. La stoà chiama tale scopo “vivere secondo il logos” o, stando alla formulazione di Zenone,<br />

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“vivere contemplando la verità è l’ordine dell’universo e contribuendo a realizzarli con le proprie<br />

forze, senza lasciarsi trascinare dalle forze irrazionali dell’anima”. I filosofi stoici erano una<br />

specie di consulenti spirituali psicologi, che iniziavano il singolo all’arte del vivere nel modo<br />

giusto. Un settore importante della loro consulenza era costituito dal giusto modo di affrontare i<br />

colpi del destino. Padroneggiare la sofferenza senza troppo affanno, sopportarla, per così dire, con<br />

tranquillità storica, questa insegnava a fare un buon filosofo.<br />

Gli stoici puntavano a una nuova purezza dei cuori e a una ripresa morale di tipo spirituale, che<br />

apriva la strada verso nuovi orizzonti religiosi. Alcuni di essi credevano in un Dio unico, in una<br />

volontà razionale capace di essere tutt’uno con il mondo. Il filosofo Seneca, il più noto esponente<br />

della corrente stoica, fu contemporaneo di Gesù e dei suoi apostoli e morì suicida nel 65 d.C.<br />

durante la persecuzione di Nerone. Viene considerato da molti come il pensatore dell’epoca più<br />

vicino al cristianesimo. Nonostante le notevoli differenze tra le due scuole, il fine a cui mira la<br />

saggezza stoica è analogo a quello epicureo e cioè l’autosufficienza dell’uomo, la sua libertà<br />

interiore che lo rende capace di bastare a se stesso in ogni situazione.<br />

Gli insegnamenti etici della stoà erano familiari ed i primi cristiani molti di essi li trovarono<br />

assai istruttivi. I neo convertiti, entrando nella comunità cristiana, portavano con sé un solido<br />

patrimonio fatto di comportamenti etici. In ogni caso Paolo conosceva la filosofia stoica. Le sue<br />

tavole domestiche corrispondono all’etica, che è insegnata in tale filosofia 178 . Quando in seguito finì<br />

a Roma, là viveva anche Seneca. La Chiesa antica finse uno scambio epistolare tra lui ed il filosofo<br />

pagano. Evidentemente la Chiesa pensava ch’egli fosse vicino alla filosofia stoica. Questa vicinanza<br />

diventa chiara quando confrontiamo le sue direttive con quelle del filosofo romano Epitteto, un ex<br />

schiavo che insegnò poco dopo di lui. Alcuni consigli dati da Paolo alle sue comunità nelle sue<br />

Lettere, consigli ed in un secondo momento non poté fare a meno di dare loro, potrebbero ricorrere<br />

così come sono anche in Epitteto.<br />

Quel che l’uomo deve soprattutto dominare sono pertanto le sue passioni. Esse sono un impulso<br />

che li spinge al di là del fine stabilito dalla ragione. Nella filosofia stoica le passioni sono<br />

considerate una malattia dell’anima. La ragione deve regnare sovrana in tutto e guidare l’uomo.<br />

L’uomo deve evitare pure i sentimenti della gioia, della tristezza, del desiderio della paura. Nella<br />

filosofia stoica la compassione è giudicata in maniera negativa. Paolo si riferisce ai criteri della<br />

filosofia stoica, quando scrive filippesi: “tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,<br />

onorato, quello che per cui merita lode, tutto questo soggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). Ma nello<br />

stesso tempo diverge dalla stoà, quando li esorta così: “rallegratevi nel Signore, sempre: lo dico<br />

ancora, rallegratevi!” (Fil 4,4). Egli scrive le sue lettere animato da forti sentimenti 179 . Apre il suo<br />

cuore ai destinatari 180 , scostandosi così dalla mancanza di passione e di sentimenti della filosofia<br />

stoica.<br />

Luca, nel discorso dell’Areopago 181 , fa riferimento a due correnti della filosofia greca: quella<br />

epicurea e quella storica. Ambedue si occupavano in fondo semplicemente del modo con cui<br />

l’uomo trova la via della vera felicità. La questione della felicità, della buona riuscita della vita, è<br />

attuale tanto oggi come allora. Paolo vuole dare una risposta cristiana anche se presenta Gesù come<br />

la via che conduce ad una vita ben riuscita. Fa sua l’aspirazione alla felicità, che ha caratterizzato la<br />

178 Cf. Col 3,8-­‐16.<br />

179 Cf. 2Cor 12,15.<br />

180 Cf. 2Cor 7,1ss.<br />

181 At 17,15-­‐34.<br />

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filosofia greca da Platone in poi (“tutti gli uomini vogliono essere felici”), e formula il suo<br />

messaggio alla luce di tale aspirazione.<br />

Culti misterici<br />

Al tempo di Paolo i vari culti misterici esercitavano un grande fascino. Essi provenivano dalla<br />

Grecia, come per esempio i misteri eleusini di Demetra, oppure dell’Asia minore, come misteri di<br />

Dioniso e il culto di Adone, oppure ancora dall’Egitto, come i misteri di Iside, o dalla Persia come<br />

culto di Mitra.<br />

I misteri eleusini<br />

Erano riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica<br />

città greca di Eleusi. I riti eleusini erano antichissimi, si svolgevano già prima dell’invasione<br />

ellenica 182 . Secondo alcuni studiosi il culto di Demetra fu fondato nel 1550 a.C.. Quando, nel VII<br />

secolo a.C., Eleusi diventò parte dello Stato ateniese, i riti si estesero a tutta la Grecia antica e alle<br />

sue colonie. Ebbero larga diffusione anche a Roma e perfino Cicerone, l’imperatore Adriano e<br />

l’imperato Gallieno vi presero parte. I misteri rappresentavano il mito del ratto di Persefone,<br />

strappata alla madre Demetra dal re degli Inferi, Ade, in un ciclo di tre fasi, la “discesa” (la perdita),<br />

la “ricerca” e l’ascesa, dove il tema principale era la “ricerca” di Persefone e il suo<br />

ricongiungimento con la madre. Il rito era diviso in due parti: la prima, piccoli misteri, era una<br />

specie di purificazione che si svolgeva in primavera, la seconda, grandi misteri, era un momento<br />

consacratorio e si svolgeva in autunno. La cerimonia voleva rappresentare il riposo e il risveglio<br />

perenne della vita delle campagne. I riti erano in parte dedicati anche alla figlia di<br />

Demetra, Persefone, poiché l’alternarsi delle stagioni ricordava l’alternarsi dei periodi che<br />

Persefone trascorreva sulla terra e nell’Ade. I riti, le cerimonie e le credenze erano tenute segrete.<br />

Gli iniziati credevano che avrebbero ricevuto la giusta ricompensa dopo la morte. I vari aspetti dei<br />

Misteri sono rappresentati su molti dipinti e ceramiche. Poiché i Misteri comprendevano visioni e<br />

invocazioni a una vita oltre la morte, alcuni studiosi ritengono che il potere e la longevità dei<br />

Misteri Eleusini derivasse da agenti psichedelici. La distruzione del tempio di Demetra<br />

nel 396 d.C., ad opera dei visigoti, cristiani seguaci dell’Arianesimo e condotti da Alarico, sancì la<br />

definitiva interruzione delle celebrazioni.<br />

Il culto di Dioniso<br />

Elemento tipico del culto di Dioniso è la partecipazione essenzialmente femminile alle<br />

cerimonie, che si celebravano in svariate zone della Grecia: le baccanti, chiamate anche menadi,<br />

lene, tiadi o bassaridi, ne invocavano e cantavano la presenza e, anche per mezzo di maschere 183 ,<br />

riproducevano ritualmente il mitico corteo dionisiaco di sileni, satiri e ninfe. Si identificavano con il<br />

dio e ne acquisivano il “furore”, inteso come stato d’invasamento divino. Scopo del rito era quello<br />

di ricordare le vicende mitologiche di Dioniso; erano incoronate da frasche di alloro, tralci di vite e<br />

pampini, e cinte da pelli di animali selvatici, e reggevano il tirso 184 . Gli uomini erano invece<br />

camuffati da satiri 185 . Ebbro di vino, il corteo, chiamato tiaso, si abbandonava alla vorticosa<br />

182 Periodo miceneo, circa 1600-­‐1100 a.C.<br />

183 Importanti nel culto di Dioniso, che si suppone legato alla nascita della tragedia greca.<br />

184 Una verga appesantita a un’estremità da una pigna che ne rendeva instabili i movimenti.<br />

185 Vi partecipavano anche gli schiavi.<br />

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suggestione musicale del ditirambo, lirica corale e danza ritmica ossessiva ed estatica 186 . Nei rituali<br />

dionisiaci venivano stravolte le strutture logiche, morali e sociali del mondo abituale 187 . Divinità<br />

enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni ordinamento e convenzione, sconvolgeva<br />

le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro<br />

stato di purezza primordiale 188 . Il culto di Dioniso, diffuso in tutta la Grecia, era particolarmente<br />

vivo in Beozia e in Attica. Ad Atene erano importanti le dionisie rurali, o piccole Dionisie, e quelle<br />

urbane, o grandi Dionisie. Nelle prime, celebrate nei vari borghi dell’Attica, è elemento tipico la<br />

falloforia, o processione del fallo, che fa riferimento alle connotazioni agricole e di fecondità del<br />

dio; nelle dionisie urbane sono elemento centrale le rappresentazioni teatrali, presenti anche in<br />

un’altra festa dionisiaca ateniese, le Lenee, o festa dei torchi. Il ciclo delle celebrazioni ufficiali in<br />

onore del dio ad Atene era chiuso dai tre giorni delle antesterie, all’inizio della primavera: vi si<br />

riscontra la relazione con la vegetazione e il legame col regno dei morti, il terzo giorno si pensava<br />

che i morti ritornassero fra i vivi per essere poi, al termine della festa, ritualmente allontanati 189 . Il<br />

culto di Dioniso venne introdotto in Italia dalle colonie greche e fu oggetto anche di provvedimenti<br />

repressivi, come il senato consulto del 186 a.C. che vietava i baccanali, ma nella religione mistica<br />

ebbe sempre grande importanza fino all’età imperiale. Nella tarda antichità il culto di Dioniso<br />

assurse a religione cosmica e si espanse capillarmente in maniera del tutto spontanea: solo le<br />

vicende storiche posero fine alla sua influenza.<br />

I misteri di Iside<br />

Erodoto visita l’Egitto verso la metà del V sec. a.C. quando il regno dei faraoni, già da circa<br />

settantacinque anni (dal 525 a.C.) è dominato dai Persiani e i suoi abitanti, per reazione alla<br />

dominazione straniera, intensificano le manifestazioni più marcate della loro religione e, in<br />

186 Tutti caratteri che erano rivissuti nell’ambito del culto attraverso cerimonie che portavano i seguaci del dio a vivere<br />

degli stati di estasi <strong>prof</strong>onda e coinvolgente. Coloro che partecipavano a queste cerimonie si lasciavano andare a balli<br />

sfrenati e suonavano accompagnati dal ditirambo, portando sul capo corone di pampini. I seguaci si<br />

consideravano posseduti dal dio e per riproporre l’unione fra la divinità e l’uomo si cibavano di carni crude dilaniate con<br />

le mani. Per essere ammessi a queste cerimonie, bisogna seguire prima un vero e proprio rito di iniziazione.<br />

Quest’ultimo era costituito da un banchetto, da un battesimo e dall’introduzione al tempio.<br />

187 Il filosofo Friedrich Nietzsche, ne “La nascita della tragedia”, affermò che la potenza dionisiaca induceva in uno stato<br />

di estasi ed ebbrezza infrangendo il cosiddetto “principio di individuazione”, ossia il rivestimento soggettivo di ciascun<br />

individuo, e riconciliava l’essere umano con la natura in uno stato superiore di armonia universale che abbatteva<br />

convenzioni e divisioni sociali stabilite arbitrariamente dall’uomo. Nietzsche sosteneva che la vita stessa, come<br />

principio, che anima i viventi, è istinto, sensualità, caos e irrazionalità, e per questo non poté che vedere in Dioniso la<br />

perfetta metafora dell’esistenza: ciò che infonde vita nelle arterie del mondo è infatti una fonte primeva e misteriosa che<br />

fluttua caotica nel corpo e nello spirito, è la tempesta primigenia del cosmo in eterno mutamento. Hegel, da parte sua,<br />

nella prefazione alla “Fenomenologia dello spirito”, raffigurò in un’immagine dionisiaca la conoscenza del Vero, quando<br />

la paragonò al “vacillare della baccante, in cui non v’è membro che non sia ebbro”.<br />

188 Per il filologo Walter Otto rappresenta “lo spirito divino di una realtà smisurata”, che si manifesta in un eterno<br />

deflagrare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio, è una pulsione<br />

vitale dirompente e selvaggia, che affascina e inquieta, la sinfonia inebriante dell’universale realtà del cosmo. Per Károly<br />

Kerényi “dove regna Dioniso la vita si rivela irriducibile e senza confini”. Per Roberto Calasso, il dio ubriaco era “intensità<br />

allo stato puro” che “travolgeva nell’ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse”. E ancora: è il dio della<br />

potenza provvidenziale e distruttiva per Roux; è “il dio dell’ambiguità”, “il differente”, che unisce le polarità<br />

contraddittorie dell’umano per Versnel; è il dio di una no man’s land in cui gli opposti della saggezza e della follia si<br />

uniscono per Calame; è il dio che rappresenta quell’elemento di alterità che ogni essere umano porta dentro di sé per<br />

Vernant; non è una divinità greca come le altre per Dabdab Trabulsi; è “un’arborescenza illimitata di doppie tensioni” per<br />

Segal; è un paradosso, “la somma di innumerevoli contraddizioni”, tanto da presentarsi come “abisso ed enigma”, per<br />

Henrichs.<br />

189 A Delfi i tre mesi invernali erano sacri a Dioniso, e l’immagine del dio e del suo corteo era raffigurata su una delle due<br />

facciate del tempio.<br />

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particolare, della loro devozione verso Iside e Osiride. Lo storico greco viene ammesso ad assistere<br />

a molte feste ed a visitare molti templi. Nelle sue “Storie” egli assimila Iside a Demetra e Osiride a<br />

Dioniso, per effetto delle affinità delle rispettive narrazioni mitiche, ma mantiene un contegno<br />

riservato sui rituali visti nei templi, poiché quella civiltà antica, con la sua storia millenaria e la sua<br />

solennità ieratica, gli ispira, come in ogni greco di quel tempo, un sentimento di <strong>prof</strong>onda<br />

venerazione.<br />

La lingua della solenne liturgia del culto di Osiride è quella egizia, ma l’area di diffusione del<br />

culto non va oltre i confini di quello che era stato il dominio politico dei faraoni. È, quello di<br />

Osiride, il culto più uniformemente diffuso in Egitto, la sua vera anima, il suo centro di coesione;<br />

esso ha radici antichissime ed alcuni aspetti dei suoi rituali sono d’ambito strettamente faraonico 190 .<br />

Tuttavia sappiamo poco del contenuto effettivo inerente al nucleo centrale dei Misteri isiaci, sul<br />

quale gli scrittori antichi, greci e latini d’età ellenistica ed imperiale, parlano poco, in osservanza<br />

della regola del segreto iniziatico cui sono tenuti tutti coloro che sono stati introdotti all’esperienza<br />

misterica. Vi è, quindi, una diversità fra il comportamento di Erodoto <strong>–</strong> il cui silenzio non è legato<br />

ad un’iniziazione misterica ma ad un rispetto reverenziale <strong>–</strong> e quello degli autori più recenti; si<br />

tratta di una diversità legata all’evoluzione storica del culto isiaco e di quello osirideo 191 .<br />

Il culto isiaco-osirideo si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo e i santuari isiaci si<br />

ritrovano in tutte le più importanti città del mondo antico e, soprattutto, in quelle marittime, dove,<br />

per effetto dei traffici, è più frequente la presenza di mercanti egiziani provenienti da Alessandria, il<br />

più importante emporio marittimo del mondo antico 192 .<br />

A Roma il culto conosce vicende alterne, legate alle diverse tendenze culturali, religiose e<br />

politiche interne alla società romana e, quindi, al loro diverso modo di porsi rispetto a certi culti<br />

stranieri. Sul finire della Repubblica (I sec. a.C.), il governo, allarmato dal numero dei seguaci che<br />

il culto raccoglieva nei ceti più popolari, tenta invano di arginare il fenomeno. È una linea politico-<br />

190 La testimonianza di Erodoto è la più antica, fra le fonti greche, sul culto di queste due divinità; ad essa, nel corso dei<br />

secoli, si aggiungeranno altre fonti, da Diodoro Siculo a Plutarco <strong>–</strong> quest’ ultimo con la sua opera “De Iside et Osiride” <strong>–</strong><br />

ad Apuleio che, nelle sue Metamorfosi, descrive la sua esperienza d’iniziazione ai Misteri isiaci, fino a Porfirio, che<br />

rilegge i Misteri isiaci ed osiridei alla luce della filosofia neoplatonica, per giungere poi ai polemisti cristiani che, nella<br />

loro critica demolitrice dell’antico “paganesimo”, si adoperano per evidenziare quelle che considerano le incongruenze e<br />

gli aspetti “grotteschi” di questa antica spiritualità egizia, dimostrando, talvolta, scarsa comprensione per una differente<br />

sensibilità religiosa. Abbiamo una considerevole varietà di fonti, unitamente ai testi religiosi egizi, quali il Libro dei<br />

Morti e il Libro delle Piramidi, solo per citarne alcuni.<br />

191 Nella storia del culto di Iside e Osiride, la letteratura distingue due fasi diverse. La prima ha un ambito strettamente<br />

egiziano; alcuni aspetti del mito di Osiride e, soprattutto, del rituale, sono il fondamento della legittimazione sacrale del<br />

potere, della consacrazione della regalità faraonica. In linea più generale, essi hanno la loro radice nell’attenzione che gli<br />

antichi Egizi hanno per il post-­‐mortem e le sorti dell’anima. La seconda fase è, invece, ellenistica, in cui, per effetto delle<br />

conquiste di <strong>Alessandro</strong> Magno, la cultura e la religione greca s’incontrano con quella egizia, come con altre, da quella<br />

babilonese a quella persiana, fino ai contatti ed agli interscambi con l’India. In questo periodo storico, i seguaci del culto<br />

non si reclutano soltanto nella terra d’Egitto, ma in tutto il mondo ellenistico e, poi, in tutto il mondo greco-­‐romano. La<br />

dea Iside assume, inoltre, una posizione prioritaria nelle menzioni rituali e nella devozione e questa è una differenza<br />

importante rispetto al periodo precedente. I riti, pur essendo sostanzialmente gli stessi, hanno volto il loro originario<br />

carattere funerario a quello di pegno per l’immortalità beata di coloro che vi sono introdotti. In altri termini, dal rituale<br />

di sostegno in favore del defunto che deve affrontare le prove del post-­‐mortem, secondo la concezione espressa<br />

nel Libro dei Morti, si passa al rituale in funzione di preparazione in vita al post-­‐mortem e quindi di esperienza della<br />

vicenda di morte e rinascita, come narra Apuleio. Il mito di Osiride smembrato da Tifone-­‐Seth e ritrovato e ricomposto<br />

da Iside, sorella e sposa di Osiride, diviene il modello e il fondamento di due rituali diversi nelle loro funzioni e finalità.<br />

Dal rito funerario si passa quindi al rito misterico ed alle conseguenti procedure d’iniziazione.<br />

192 In Italia, la sua presenza è attestata a Puteoli sin dalla fine del II secolo a.C., nonché a Pompei, nel corso del I secolo<br />

a.C. ed a Neapolis, dove è presente una colonia alessandrina, nella regio Nilensis, di cui tuttora la toponomastica<br />

cittadina conserva il ricordo. Dalla Campania il culto dev’essere penetrato a Roma, già intorno all’80 a.C., ai tempi di Silla,<br />

periodo per il quale è attestata una confraternita di Pastofori, secondo la testimonianza di Apuleio (Metamorfosi, 11,30).<br />

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religiosa in parte analoga a quella che era stata adottata, molto tempo prima, nei confronti del culto<br />

dionisiaco, quando il Senato romano, col Senatus consultum de bacchanalibus del 189 a.C., aveva<br />

proibito questi riti orgiastici notturni, peraltro segnati dalla problematica preminenza, dal punto di<br />

vista della mentalità patriarcale romana, del ruolo sacerdotale femminile 193 . Nel 58, nel 56, nel 54 e<br />

nel 50 a.C. si hanno vari provvedimenti di soppressione delle associazioni isiache e del loro culto.<br />

La frequenza stessa di questi provvedimenti dimostra la loro inefficacia e la persistenza ed il<br />

radicamento del culto. Nel 50 a.C. il console Paolo Emilio, non trovando nessuno che volesse<br />

eseguire il provvedimento, afferra egli stesso l’ascia per piantarla nella porta del tempio isiaco di<br />

cui era stata ordinata la distruzione, stando alla testimonianza di Valerio Massimo (I, 3). Nel 48<br />

a.C., Iside e Serapide sono di nuovo oggetto di culto sul Campidoglio e nel 43 a.C. i triumviri,<br />

forse, per conquistare i favori del popolo, decretano un tempio ad Iside e Serapide. Augusto, pur<br />

avendo una nota ostilità verso l’Egitto e tutte le sue manifestazioni 194 e pur attuando un programma<br />

di restaurazione dei culti e dei sacerdozi della religione romana arcaica, non si spinge fino a proibire<br />

il culto isiaco, ma lo relega fuori del pomerio, la cinta sacra dell’Urbe. Tiberio ha, invece, un<br />

atteggiamento più deciso e chiaro, ordinando la demolizione del tempio di Iside e facendo gettare<br />

nel Tevere il simulacro della dea. Ben diverso è l’atteggiamento degli imperatori successivi, quali<br />

Caligola e Claudio, i quali favoriscono il culto isiaco, nonché Nerone, che mostra una speciale<br />

preferenza per le divinità egizie. Vespasiano e Tito trascorrono nel tempio di Iside la notte che<br />

precede la cerimonia del loro trionfo sui Giudei, come narra lo storico Giuseppe Flavio 195 .<br />

Domiziano fa ricostruire l’Iseo dopo l’incendio dell’80 e lo consacra nel 92. Adriano fa costruire<br />

nella sua villa suburbana il Canopo 196 nel quale sono stati rinvenuti numerosi esemplari dell’arte<br />

egizia. Commodo è così fanaticamente devoto del culto isiaco <strong>–</strong> con quella scompostezza che tanto<br />

lo differenzia da suo padre, l’imperatore-filosofo stoico Marco Aurelio <strong>–</strong> che si fa radere il capo sul<br />

modello dei sacerdoti egizi di Iside e porta egli stesso nelle processioni il simulacro di Anubi 197 .<br />

Caracalla <strong>–</strong> l’imperatore della famosa Constitutio Antoniniana che estende la cittadinanza romana a<br />

tutti gli abitanti dell’Impero <strong>–</strong> edifica due santuari di Iside, uno sul Quirinale ed un altro sul Celio,<br />

da cui proviene il nome alla regio III (Isis et Serapis).<br />

Il culto isiaco raggiunge il culmine della sua espansione e della sua legittimazione con la<br />

dinastia imperiale dei Severi, nel III secolo, mentre il IV secolo <strong>–</strong> fatta eccezione per Flavio<br />

Giuliano, autore di un Inno alla Madre degli dèi <strong>–</strong> è segnato dal declino dei culti pagani e da una<br />

legislazione imperiale sempre più restrittiva verso i sacra maiorum. L’epilogo di questo processo si<br />

ha nella distruzione del tempio di Serapide ad Alessandria nel 391 d.C., da parte dei seguaci<br />

della religione cristiana. Questo breve excursus storico non è finalizzato a soddisfare una mera<br />

curiosità antiquaria; la conservazione della memoria storica è decisiva per ben inquadrare il<br />

complesso rapporto che intercorre fra la spiritualità romana e quella egizio-ellenistica, tendo conto<br />

del pluralismo religioso romano, del rispetto che i Romani avevano verso altri Misteri, come quelli<br />

193 La preoccupazione della classe dirigente romana, in quel caso, concerneva l’infiacchimento e la mollezza che quei<br />

rituali potevano suscitare nella gioventù romana, allontanandola dallo spirito virile e combattivo, che aveva consentito a<br />

Roma, insieme ad un complesso di altri fattori, di assumere e consolidare un ruolo egemone in Italia prima e nel<br />

Mediterraneo poi. Il problema, in quel caso, era stato politico e religioso al tempo stesso, ma anche di costume e di<br />

cultura. Per il culto isiaco, oltre un secolo dopo, il problema si pone per la lontananza del fervore devozionale dei seguaci<br />

della dea rispetto alla tradizionale gravitas romana.<br />

194 Memore dell’aiuto trovato da Antonio nel regno di Cleopatra.<br />

195 GIUSEPPE FLAVIO, Bellum Judaeum, 7,5,4.<br />

196 In origine un sobborgo di Alessandria d’Egitto, con un celebre santuario di Serapide.<br />

197 LAMPRIDIO, Commodo, 9.<br />

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di Samotracia della loro apertura a culti anch’essi stranieri, come quello di Mitra, di lontana origine<br />

iranica, che presentava però tratti di austera e severa disciplina, più affini alla gravitas romana.<br />

Ecco, è questo il punto centrale: Roma guarda con diffidenza a quelle forme di religiosità che,<br />

suscitando intensi sentimenti di devozione e di fede fra i ceti popolari, implicano il rischio di<br />

snaturare il tradizionale “spirito” romano, il suo stile asciutto ed essenziale, il suo contegno austero<br />

e composto, anche e soprattutto nel momento rituale, nel rapporto col divino. Non è certo un caso<br />

che Augusto releghi l’Iseo fuori del pomerio e che gli imperatori più miti, come indole e come<br />

concezione del potere <strong>–</strong> quali, ad esempio, Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio <strong>–</strong> non mostrino<br />

segni di particolare predilezione o di ostentata adesione verso il culto isiaco e verso quelli egizi in<br />

generale. L’unica eccezione è quella di Adriano, del quale va però considerata la formazione<br />

culturale spiccatamente ellenistica, l’amore per i viaggi e per la conoscenza diretta dei popoli<br />

dell’Impero e delle relative culture 198 .<br />

Il mitraismo o mithraismo<br />

Fu un’antica religione ellenistica, basata sul culto di un dio chiamato Meithras che<br />

apparentemente deriva dal dio persiano Mitra e da altre divinità dello Zoroastrismo. A differenza<br />

dello zoroastrismo fu una religione misterica. L’origine del Mitraismo è da identificarsi nell’area<br />

del Mediterraneo orientale intorno al II-I secolo a.C. Questa religione venne praticata anche<br />

nell’Impero Romano, a partire dal I secolo a.C., per raggiungere il suo apogeo tra il III ed il IV<br />

secolo, quando fu molto popolare tra i soldati romani. Il Mitraismo scomparve come pratica<br />

religiosa in seguito al decreto Teodosiano del 391, che mise al bando tutti i riti pagani, e<br />

apparentemente si estinse poco più tardi.<br />

Il culto di Mitra attirò l’attenzione del mondo romano soprattutto per le sue concezioni<br />

misteriosofiche, che ruotavano intorno all’idea dell’esistenza dell’anima e della sua possibilità di<br />

pervenire attraverso le sette sfere planetarie all’aeternitas. Nonostante la religione facesse<br />

<strong>prof</strong>essione di universalismo, questo culto escludeva le donne e fu praticato soprattutto dai militari<br />

e, in parte, da “burocrati” e amministratori.<br />

Essendo una religione misterica di iniziazione, al pari dei misteri eleusini, il Mitraismo non<br />

diede luogo alla diffusione di un corpo di scritture rivelate e anche i suoi rituali erano tenuti segreti<br />

e riservati agli iniziati. Le scarne informazioni scritte sul mitraismo provengono da scrittori cristiani<br />

o pagani, ma non aderenti al mitraismo, oppure sono frutto dell’applicazione ipotetica al mitraismo<br />

di notizie sul dio Mitra provenienti dallo zoroastrismo.<br />

Il Mitraismo è documentato soprattutto dalle scoperte archeologiche, iconografiche ed<br />

epigrafiche dei suoi templi, i mitrei, risalenti al tardo Impero Romano. San Girolamo descrive i<br />

198 Gli imperatori più favorevoli al culto isiaco sono, non a caso, quelli che, nella storia dell’Impero, incarnano la<br />

tendenza assolutistica, sul modello dei sovrani orientali dei regni ellenistici, da Caligola a Nerone a Domiziano, fino ai<br />

Severi che rappresentano il tratto più militare del potere imperiale romano. La vicenda mitica di Osiride <strong>–</strong> ritrovato e<br />

ricomposto da Iside <strong>–</strong> Signore dell’oltretomba, assimilato dai greci a Dioniso, offre un modello di legittimazione<br />

ideologico-­‐religiosa del potere imperiale, della perpetuità dell’Impero che sempre nuovamente si incarna come<br />

principio in un nuovo imperator, nel corso della successione al trono. Tuttavia, il culto di Iside, al di là dell’uso<br />

strumentale che vari imperatori ne fanno, si radica nel mondo romano in circa cinque secoli di storia, rispondendo,<br />

evidentemente, ad un bisogno di contatto diretto con la divinità che la religione romana tradizionale, nella sua ufficialità<br />

liturgica, non riesce più a soddisfare. La dea “myrionima” (dai molti nomi) riassume in sé l’archetipo della Dea madre,<br />

ordinatrice dell’universo, datrice di Vita spirituale, donatrice dell’Acqua di Vita, apportatrice di Fortuna, secondo quella<br />

tendenza, tipica del paganesimo tardo-­‐imperiale a riassumere in una sola divinità le molteplici presenze divine, viste<br />

come espressioni di un’Entità unica, Numen multiplex, come dicevano gli Antichi.<br />

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sette gradi dell’iniziazione mitriaca 199 e Tertulliano riferisce che l’iniziato veniva segnato in fronte<br />

come “soldato di Mitra” 200 e che agli adepti venivano prescritte abluzioni purificatorie, simili<br />

al battesimo cristiano 201 . Il contenuto dottrinale del mitraismo, quindi, è quasi esclusivamente il<br />

prodotto di interpretazioni moderne. Nei primi decenni del XX secolo è stata accolta<br />

universalmente la ricostruzione di Franz Cumont. La ripresa degli studi mitraici negli anni settanta<br />

ha portato ad interpretazioni sostanzialmente diverse. Il centro del culto ed il luogo di incontro dei<br />

seguaci era il mitreo, una cavità o caverna naturale adattata, di preferenza già utilizzata da<br />

precedenti culti religiosi locali, oppure un edificio artificiale che imitava una caverna. I mitrei erano<br />

luoghi tenebrosi e privi di finestre, anche quando non erano collocati in luoghi sotterranei. Quando<br />

possibile, il mitreo era costruito all’interno o al di sotto di un edificio esistente. Il sito di un mitreo<br />

può essere anche identificato dalla sua entrata separata o vestibolo, la sua caverna a forma di<br />

rettangolo, chiamata spelaeum o spelunca, con due panchine lungo le mura laterali per il banchetto<br />

rituale, ed il suo santuario all’estremità, spesso in una nicchia, prima del quale vi era l’altare. Sul<br />

soffitto in genere era dipinto un cielo stellato con la riproduzione dello zodiaco e dei pianeti. I<br />

mitrei, così diversi dai grandi edifici templari dedicati alle divinità dei culti pubblici, si<br />

distinguevano anche per il fatto di essere di dimensioni modeste; il servizio di culto, che terminava<br />

in un banchetto comune, era officiato da una piccola comunità, solitamente formata da poche<br />

dozzine di persone. Nel Mitraismo l’acqua sembra svolgere un ruolo purificatorio importante e<br />

spesso nelle vicinanze del santuario vi era una sorgente naturale o artificiale. In ogni tempio<br />

mitraico, il posto d’onore era occupato da una rappresentazione del dio Mitra, in genere raffigurato<br />

nell’atto di uccidere un toro sacro, tauroctonia: questa scena rappresenterebbe un episodio<br />

mitologico, più che un sacrificio animale 202 .<br />

I riti misteri affascinavano, perché in essi il singolo si sentiva accolto ed importante: una via di<br />

salvezza all’interno di un mondo percepito come ostile ed alienante. Il mantenimento del segreto sui<br />

culti misterici, sulle esperienze fatti dai partecipanti, favoriva la coscienza elitaria. Ci si sentiva<br />

particolare, una cosa davvero importante per molti soldati e schiavi. Nei culti misterici si prendeva<br />

parte al destino della divinità. Si sentivano degnati di immergersi, nel corso degli ultimi giorni,<br />

199 GIROLAMO, Epistola CVII ad Laetam.<br />

200 TERTULLIANO, De Praescriptione haereticorum, 40.<br />

201 TERTULLIANO, De Baptismo, 5.<br />

202 Il mito, secondo la ricostruzione fantasiosa e priva di fonti di Cumont, racconta, infatti, che Mitra affronta un giorno il<br />

dio Sole e lo sconfigge. Il Sole, allora, stringe un patto di alleanza con il dio che suggella donandogli la corona raggiata. In<br />

un’altra sua eroica impresa, Mitra cattura il Toro e lo conduce in una caverna. Ma il Toro fugge e il Sole, memore del<br />

patto fatto, se ne accorge e manda al dio un corvo quale suo messaggero con il consiglio di ucciderlo. Grazie all’aiuto di<br />

un cane, Mitra raggiunge il Toro, lo afferra per le froge e gli pianta un coltello nel fianco. Allora dal corpo del toro<br />

nascono tutte le piante benefiche per l’uomo e in particolare dal midollo nasce il grano e dal sangue la vite. Ma Ahriman,<br />

che nel culto mitriatico rappresenterebbe il Dio del Male, invia un serpente e uno scorpione per contrastare questa<br />

<strong>prof</strong>usione di vita. Lo scorpione cerca di ferire i testicoli del toro mentre il serpente ne beve il sangue, ma invano. Alla<br />

fine il Toro ascende alla Luna dando così origine a tutte le specie animali. Così, Mitra e il Sole suggellano la vittoria con<br />

un pasto che rimarrà nel culto sotto il nome di agape. Nella raffigurazione quindi, oltre a Mitra, il Toro, il Sole, e la Luna<br />

sono presenti i quattro animali, ovvero il serpente, lo scorpione, il cane e il corvo. Una interpretazione del mito di tipo<br />

astronomico, e quindi totalmente diversa dalla precedente è stata recentemente proposta da David Ulansey, che<br />

osservò che tutti i personaggi che compaiono nel mito corrispondono a costellazioni: Mitra sarebbe associato<br />

con Perseo, la cui costellazione si trova al di sopra di quella del Toro. In altre iconografie viene rappresentato il dio Mitra<br />

nascente da una roccia, generato sulle sponde di un fiume all’ombra di un albero sacro, secondo il mito sulla sua nascita.<br />

Nelle iconografie la divinità viene spesso rappresentata insieme a due personaggi, detti i dadofori o portatori di fiaccole:<br />

i loro nomi erano Cautes e Cautopates. Il primo dei due porta la fiaccola alzata, l’altro abbassata: rappresenterebbero il<br />

ciclo solare, dall’alba al tramonto, e allo stesso tempo il ciclo vitale: il calore luminoso della vita e il freddo gelido della<br />

morte.<br />

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nella vita divina che veniva loro comunicata nel culto. Il culto di mitra era riservato agli uomini.<br />

Agli altri culti potevano partecipare anche le donne. In alcuni di essi determinate donne svolgevano<br />

addirittura un ruolo dominante. Paolo conosce chiaramente i culti misterici. Egli entrò a contatto<br />

con Corinto, la città portuale greca, che ne ospitava molti. I membri della comunità cristiana si<br />

imbattevano in tali culti ogni passo, per cui in ambedue le lettere ai corinzi, Paolo adopera la<br />

terminologia misteri. Egli interpreta la cena del Signore alla luce delle esperienze che i corinzi<br />

avevano fatto in culti del genere, ma evidenzia, nello stesso tempo, anche le differenze.<br />

L’apertura dei culti misterici alla partecipazione delle donne fece sentire i suoi effetti anche<br />

nella Chiesa primitiva. In essa le donne svolgevano un ruolo importante. Perciò dobbiamo riflettere<br />

in modo nuovo proprio alla luce dei culti misterici la risposta che Paolo dà a proposito del nuovo<br />

ruolo della donna nel culto. Dove adotta la libertà a proposito delle donne e dove la limita? Alla<br />

luce dei culti misterici egli sviluppa la sua teologia del battesimo e della cena del Signore.<br />

L’apostolo spiega che la partecipazione al destino della divinità non si riferisce soltanto il culto,<br />

bensì viene attuata nella vita quotidiana. In questa Paolo partecipa alla morte di Gesù, e nel suo<br />

corpo diventa visibile pure il mistero della resurrezione 203 .<br />

Culti sacrificali<br />

Accanto ai culti misterici c’erano molte modalità di sacrificali idolatrici. Paolo ne parla nella<br />

prima Lettera ai Corinzi. La carne, che si poteva comprare al mercato, proveniva quasi sempre da<br />

sacrifici idolatrici del genere. Nell’antichità i templi erano dei mattatoi che fornivano la carne al<br />

mercato. Una parte della carne sacrificata si mangiava nel corso del banchetto sacrificale idolatrico,<br />

l’altra parte era venduta al mercato. Tanto i romani quanto i greci conoscevano molti culti<br />

sacrificali. Si macellavano tori e pecore. Una parte si bruciava sull’altare sacrificale per gli dei,<br />

l’altra, il più delle volte maggiore, la si consumava, per cui i culti sacrificali che si qualificavano<br />

come dei banchetti sacrificali, che permettevano di entrare in comunione con il dio. Egli era il vero<br />

padrone di casa in quelle occasioni. Si mangiava davanti a dio, non con il dio. Un dato<br />

fondamentale dei banchetti è anche la gratitudine verso dio e verso i suoi benefici. Essi erano<br />

caratterizzati da gioia e serenità. Alcuni scrittori antichi gli hanno duramente criticati e derisi. Il dio,<br />

così essi argomentano, si coprirebbe la faccia se assistesse a simili banchetti.<br />

Paolo ha davanti agli occhi questi culti sacrificali quando raccomanda ai corinzi di non<br />

scambiare la cena del Signore con un pasto normale, durante il quale qualcuno finisce anche per<br />

ubriacarsi. Inoltre si domanda se un cristiano possa mangiare carne sacrificata agli idoli. I corinti<br />

cristiani, quando compravano la carne, non potevano fare a meno di domandarsi se si trattava di<br />

carne sacrificata gli idoli. Inoltre essi erano spesso invitati a partecipare a banchetti idolatrici,<br />

perché molti di questi banchetti erano organizzati da associazioni, a cui erano invitati i cristiani più<br />

ragguardevoli, ed erano strettamente collegati con i banchetti in onore di idoli.<br />

Nell’antichità c’erano anche dei culti specifici in onore di determinati eroi, che si erano resi<br />

benemeriti nei confronti del bene comune della città. Tra i romani corrispondeva a questo costume<br />

il culto dell’imperatore. L’imperatore era considerato un benefattore, in onore del quale si offrivano<br />

sacrifici. Solo successivamente tali sacrifici divennero un prova per vedere se i cristiani rimanevano<br />

fedeli all’adorazione dell’unico Dio. Luca critica l’ideologia imperiale romana quando descrive<br />

Gesù come il vero re della pace e si esprime in maniera critica verso i re di questo mondo, che<br />

203 Cf. 2Cor 4,7-­‐18.<br />

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opprimono i loro popoli e si fanno chiamare benefattori 204 . In Paolo non troviamo<br />

quest’atteggiamento critico. Le affermazioni che egli fa in Romani 13 sono piuttosto differenti nei<br />

confronti dell’autorità. La questione del modo in cui i cristiani devono comportarsi verso lo Stato fu<br />

discussa in maniera controversa già nella Chiesa primitiva. Ad essa si danno risposte diverse anche<br />

oggi.<br />

Possiamo comprendere Paolo solamente se lo vediamo sullo sfondo del suo tempo. Egli cercò<br />

di predicare il messaggio di Gesù agli uomini tenendo conto della loro aspirazione spirituale,<br />

affinché si sentissero interpellati da tale messaggio e vi trovassero una via verso una maggiore<br />

libertà, vita e amore. Egli tenne conto della loro aspirazioni, ma non disse loro quello che avrebbero<br />

gradito sentirsi dire. L’importante per lui era comunicare la sua esperienza personale della<br />

conoscenza di Cristo. A questo scopo si espresse di volta in volta in maniera diversa, a seconda dei<br />

suoi interlocutori e dei destinatari.<br />

La gnosi<br />

I prodomi dello gnosticismo<br />

Il riflesso dell’incontro del primo cristianesimo con l’ambiente circostante non è senza<br />

conseguenze per la sua stessa riflessione: nascono dei pericoli che minacciano l’integrità del<br />

“deposito”. Ciò diviene tanto più tangibile quanto più il tempo passa: gli ultimi scritti del Nuovo<br />

Testamento sono chiari a questo riguardo.<br />

Gli scritti del Nuovo Testamento sono coscienti che le nascenti comunità sono passibili di<br />

pericoli devianti dalla retta fede. Ciò è presente soprattutto nelle lettere più tarde.<br />

L’atteggiamento del NT dinanzi alle deviazioni<br />

Abbiamo una serie di risposte: a) letteratura paolina (Colossesi e Lettere Pastorali); b)<br />

Giovanni; c) Giuda; d) Seconda Lettera di Pietro; e) Apocalisse.<br />

Di per sé lo gnosticismo è un fenomeno che si sviluppa e tende a definirsi meglio nel corso del<br />

II sec. Parlare perciò di gnosticismo nel I sec. è perciò prematuro: non mancano però segni che<br />

potremmo definire pregnostici. Alcuni elementi caratterizzanti lo gnosticismo 205 .<br />

Le Fonti<br />

Possiamo riassumere così le nostre fonti a disposizioni:<br />

- I Padri: Giustino a Roma tra il 150 ed il 165; Ireneo a Lione intorno al 180; Ippolito a Roma<br />

intorno al 230; Epifanio a Cipro verso il 375 206 ;<br />

- Le versioni copte di diversi scritti: Vangelo di Maria, l’Apocrifo di Giovanni, la Sophia di<br />

Gesù Cristo;<br />

- I ritrovamenti di Nag-Hammadi nel 1945: 13 libri rilegati in cuoio contenente 53 scritti<br />

gnostici del V sec.<br />

204 Cf. Lc 22,24-­‐27.<br />

205 M. R. GRANT, Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976, 13ss.<br />

206 Possiamo considerare le fonti fino a Bar Konai nell’VIII sec.<br />

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definizione<br />

La difficoltà di definire che cosa sia lo gnosticismo deriva dall’estrema frammentazione del<br />

fenomeno: esso comprende sette che si estendono dalla Gallia all’Iran. I diversi nomi che essi<br />

ricevono è testimone dell’estrema varietà 207 :<br />

- dai fondatori: valentiniani, marcioniti, basilidiani<br />

- dal luogo di origine: perati<br />

- dalla nazionalità: frigi<br />

- dalla loro attività: encratiti<br />

- dalla loro dottrina: doceti<br />

- dall’oggetto del loro entusiamo: cainiti, ofiti<br />

- dalle loro pratiche immorali: entichiti (per i loro costumi dissoluti).<br />

All’estrema varietà corrisponde tuttavia un elemento comune: “Questo è il primo punto, e il più<br />

importante, nel definire lo gnosticismo. È una religione che salva mediante la conoscenza, e la<br />

conoscenza è essenzialmente conoscenza di sé, riconoscimento dell’elemento divino che costituisce<br />

il vero sé” 208 . È la gnw/sij come qualcosa di rivelato: perciò lo gnostico non crede ma sa per<br />

rivelazione. Ed è mediante questa gnw/sij così ricevuta che lo gnostico può tendere al mondo da cui<br />

era decaduto.<br />

“Altre religioni sono in varia misura centrate su Dio; lo gnostico è centrato su di sé. Egli si<br />

interessa ai dettagli mitologici dell’origine dell’universo e della umanità, solo nella misura cui essi<br />

esprimono e illuminano la sua comprensione di se stesso” 209 . Il recupero della propria identità porta<br />

a distaccarsi dal mondo materiale in vari modi: ora come rottura dalla morale convenzionale ora<br />

invece con una morale ascetica assai accentuata.<br />

Le origini<br />

Le posizioni riguardo all’origine dello gnosticismo possono essere così sintetizzate: da una<br />

filosofia ellenistica; da una religione orientale; dal cristianesimo (questa è l’opinione dei Padri che<br />

combattono lo gnosticismo come dottrina eretica); dal giudaismo eterodosso.<br />

Paolo<br />

Le lettere ai Tessalonicesi non sembrano contenere elementi accostabili ad una dottrina<br />

gnostica tutte orientate come sono al tema escatologico.<br />

La lettera ai Galati presenta invece alcuni elementi interessanti:<br />

Gal 4,9-11<br />

9Ora invece che avete conosciuto Dio,<br />

anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo<br />

a quei deboli e miserabili elementi (evpi. ta. avsqenh/ kai. ptwca. stoicei/a),<br />

ai quali di nuovo come un tempo volete servire?<br />

10Voi infatti osservate scrupolosamente giorni, mesi, stagioni e anni!<br />

11Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo.<br />

207 CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, VII, 108, 1-­‐2.<br />

208 M. R. GRANT, Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976, 21.<br />

209 M. R. GRANT, Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976, 20.<br />

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Gli stoicei/a sono gli stessi da cui sono stati liberati secondo 4,3: “Così anche noi, quando<br />

eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo (u`po. ta. stoicei/a tou/ ko,smou h;meqa<br />

dedoulwme,noi)”.<br />

Importante è la diversa prospettiva che caratterizza Gal rispetto a 1-2Ts: “È importante rilevare<br />

che in questa lettera l’accento di Paolo si sposta dal futuro a ciò che Cristo ha già fatto. Egli ci ha<br />

salvati dal presente secolo malvagio; non è più Paolo che vive, ma Cristo vive in lui (2,20); il<br />

mondo è stato crocifisso in lui ed egli nel mondo (6,14); una nuova creazione è già venuta<br />

(6,15)” 210 . Vi sono forti punti di contatto con Colossesi.<br />

Ci possiamo chiedere: vi erano dei pregnostici a Corinto? Chi sono effettivamente coloro che<br />

Paolo combatte nelle due lettere? Cercando di cogliere chi siano gli entusiasti di Corinto, ne<br />

emergono alcune caratteristiche interessanti: l’abbondanza di doni dello Spirito Santo quale è<br />

testimoniata dal cap. 14; non credono nella resurrezione dei morti perché probabilmente per loro la<br />

resurrezione è già avvenuta; per loro “tutto è lecito”; non temono di mangiare gli idolotiti perché<br />

hanno la conoscenza; la ricerca di una sapienza umana a cui Paolo oppone la sapienza della croce.<br />

Più complessa la situazione che traspare dalla lettera ai Colossesi.<br />

Per un quadro complessivo del fenomeno<br />

Gnosi significa propriamente conoscenza, sapere. Gli storici non sono concordi a proposito del<br />

movimento della gnosi e dello gnosticismo. La scuola di Bultmann partì da uno gnosticismo<br />

precristiano. Ma molti testi gnostici sono postcristiani e interpretano in maniera agnostica testi<br />

cristiani, come per esempio il Vangelo di Giovanni. Dal colloquio di Messina 1966 in poi si<br />

distingue “la gnosi quale conoscenza dei misteri divini riservata ogni dallo gnosticismo quale<br />

sistema che parte da una visione dualistica del mondo ruota attorno al mito del redentore celeste. Il<br />

redentore gnostico si apre una strada tra le sfere dei pianeti per risvegliare il dio narcotizzato<br />

dell’uomo” 211 . Il Colloquio su Le origini dello gnosticismo, tenutosi a Messina dal 13 al 18 aprile<br />

del 1966 212 , affrontando la confusione terminologica che allora regnava in merito alla gnosi ed allo<br />

gnosticismo propose un utilizzo più preciso dei termini in questione che riproponiamo in questa<br />

breve nota. Gli studiosi proposero che il termine gnosticismo fosse da utilizzare in senso più<br />

specifico all’interno dell’insieme più indifferenziato e multiforme della gnosi.<br />

Così recita espressamente il punto A di tale Documento finale:<br />

“Per evitare un uso indifferenziato dei termini gnosi e gnosticismo, sembra utile identificare,<br />

con la cooperazione dei metodi storico e tipologico, un fatto determinato, lo “gnosticismo”,<br />

partendo metodologicamente da un certo gruppo di sistemi del II secolo d.C., che vengono<br />

comunemente così denominati. Si propone invece di concepire la “gnosi” come “conoscenza dei<br />

misteri divini riservata a una élite”. Tale precisazione terminologica si rendeva necessaria a motivo<br />

dell’evidente singolarità del fenomeno dello gnosticismo nel II secolo d.C., tale da differenziarlo da<br />

ogni forma di gnosi precedente.<br />

Il Documento finale così si esprime al punto B: Come ipotesi di lavoro si propongono le<br />

formulazioni seguenti:<br />

1) Lo gnosticismo delle sètte del II sec. implica una serie coerente di caratteristiche che si<br />

possono riassumere nella concezione della presenza nell’uomo di una scintilla divina, che proviene<br />

dal mondo divino, che è caduta in questo mondo sottomesso al destino, alla nascita e alla morte, e<br />

210 M. R. GRANT, Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976, 166.<br />

211 Lexicon für theologie und Kirche, “Gnosis”, 803s.<br />

212 I cui atti furono pubblicati nel volume a cura di U. BIANCHI, Le origini dello gnosticismo, E. J. Brill, Leiden, 1967.<br />

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che deve essere risvegliata dalla controparte divina del suo Io interiore per essere finalmente<br />

reintegrata. Questa idea, di fronte ad altre concezioni di una “degradazione” del divino, è fondata<br />

ontologicamente sulla concezione di una “degradazione” del divino la cui periferia (spesso<br />

chiamata Sophia o Ennoia) doveva entrare fatalmente in crisi e produrre - benché indirettamente -<br />

questo mondo, di cui essa non può d’altronde disinteressarsi perchè deve recuperarvi lo pneuma.<br />

(Concezione dualistica su un sottofondo monistico, la quale si esprime con un doppio movimento di<br />

degradazione e di reintegrazione).<br />

2) Il tipo di gnosi implicato dallo gnosticismo è condizionato dai fondamenti ontologici,<br />

teologici e antropologici qui indicati: non ogni gnosi è lo gnosticismo, ma solo quella che implica,<br />

nel senso sopra chiarito, l’idea della connaturalità divina della scintilla che deve essere rianimata<br />

e reintegrata: questa gnosi dello gnosticismo implica l’identità divina del conoscente (lo gnostico),<br />

del conosciuto (la sostanza divina del suo Io trascendente) e del mezzo per cui egli conosce (la<br />

gnosi come facoltà divina implicita che deve essere risvegliata e attuata; questa gnosi è una<br />

rivelazione-tradizione. Questa rivelazione-tradizione è dunque di tipo diverso dalla rivelazionetradizione<br />

biblica e islamica).<br />

Il consenso generale del Colloquio è riassunto in queste proposizioni accolte allora sia da<br />

coloro che vedevano nello gnosticismo un fenomeno tipicamente post-cristiano, sia da coloro che<br />

difendevano l’esistenza di singoli elementi pre-gnostici non organizzati in un sistema<br />

precedentemente al II secolo d.C., sia da coloro che teorizzavano anche una forma di protognosticismo<br />

di origine indo-iranica o greca che avrebbe contenuto in forma embrionale ciò che<br />

sarebbe stato, a loro dire, sviluppato poi nello gnosticismo del II secolo. La chiarificazione<br />

terminologica del Colloquio del 1966 si rivela di estrema utilità, a nostro avviso, per la sua<br />

precisione storico-scientifica, anche nelle discussioni odierne. Per uno studio scientifico sullo<br />

gnosticismo ed il suo rapporto con il cristianesimo segnaliamo una bibliografia ragionata delle fonti<br />

e degli studi più significativi curata dal <strong>prof</strong>. Lettieri 213 .<br />

Potremmo, dunque, definire la gnosi come una tendenza esoterica, che può andare a braccetto<br />

con qualsiasi religione: con il giudaismo, con il cristianesimo, con le religioni misteriche. Lo<br />

gnosticismo è una dottrina che parte dal fatto che l’io dell’uomo è una scintilla della luce divina<br />

dispersa nella materia, scintilla che il redentore divino libera. Ha poco senso continuare a<br />

domandarsi, di fronte a un’affermazione di Paolo, quale sia il mito di un redentore gnostico o il<br />

sistema gnostico, che le sta alle spalle. Paolo visse, piuttosto, in un tempo nel quale le tendenze<br />

gnostiche erano forti in tutte le religioni, così come in ambienti ebraici, cristiani e filosofici. Si<br />

sentiva il bisogno di rifugiarsi nella spiritualità per fuggire in questo modo dall’estraneità del<br />

mondo. Nel mondo dell’impero romano, che diveniva sempre più duro, gli ambienti gnostici<br />

esercitavano un grande fascino sugli individui impegnati in una ricerca spirituale. E anche molti dei<br />

primi cristiani furono trascinati dalla corrente gnostica. Tali tendenze della gnosi sono d’attualità<br />

pure oggi. Ci sono tante persone infatuate di esperienze spirituali, ma che non riescono a<br />

padroneggiare la loro vita concreta. Per esse la spiritualità è una fuga dal caos della propria vita. A<br />

Corinto Paolo si imbatte in tendenze gnostiche del genere e fa leva su questo desiderio di<br />

conoscenza, di illuminazione di vera sapienza. Cita gli slogan della gnosi 214 ed indica ai corinti,<br />

sullo sfondo delle idee gnostiche, la via cristiana che conduce alla sapienza tra i perfetti 215 .<br />

213 G. LETTIERI, Lo gnosticismo: la sua essenza e le sue origini, apparsa in Lateranum, 64(1998) fascicolo 2-­‐3, 629-­‐648.<br />

214 1Cor 6,12: “Tutto mi è lecito!”.<br />

215 Cf. 1Cor 2,6-­‐16.<br />

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Verso il 200 Clemente d’Alessandria ha attribuito alla gnosi le seguenti domande fondamentali:<br />

“Chi eravamo noi e siamo diventati? Dove eravamo? Dove siamo gettati? Verso dove stiamo<br />

andando? Da che cosa siamo liberati? Che cos’è la nascita? Che cosa la rinascita?” 216 . Ma tali<br />

domande non sono riservate alla gnosi, bensì sono attuali anche oggi. Ognuno deve trovare<br />

individualmente una risposta adesso. Perciò la situazione, a cui Paolo risponde, è simile alla nostra.<br />

E sarà una cosa affascinante scoprire nelle sue parole una risposta alle nostre domande odierne.<br />

216 Lexicon für theologie und Kirche, “Gnosis”, 805.<br />

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CAPITOLO III<br />

Paolo di Tarso, rabbi ed apostolo<br />

1. FORMAZIONE E CONVERSIONE<br />

Abbiamo visto, nel capitolo precedente, l’ambiente umano e culturale che ha generato<br />

l’apostolo delle genti. Adesso, in questo terzo capitolo, ci concentreremo sulla sua persona in<br />

particolare: la formazione ricevuta, l’esperienza come persecutore dei cristiani, il ribaltamento di<br />

tutto ciò in concomitanza con l’incontro con il Risorto. Nella seconda parte del capitolo, poi, ci<br />

concentreremo sulla cronologia paolina, affrontando anche gli avvenimenti inerenti tutti i suoi<br />

viaggi missionari.<br />

1.1. Paolo “Ebreo da ebrei”<br />

La data di nascita di Paolo è sconosciuta. Definiva se stesso un uomo vecchio in Fm 9 217 ;<br />

questo significa che sarebbe nato nel primo decennio d.C. Luca descrive Paolo come giovane<br />

presente alla lapidazione di Stefano (At 7,58) 218 . Paolo non ci dice mai dove è nato, ma il suo nome,<br />

Paolo, lo collocherebbe a qualche città romana. Vantava origini giudaiche e faceva risalire la sua<br />

discendenza fino alla tribù di Beniamino 219 . Era un israelita, un “ebreo da ebrei, fariseo quanto alla<br />

legge” (Fil 3,5), “accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei miei padre” e superando i suoi<br />

coetanei e connazionali nel giudaismo (Gal 1,14). Definendosi un ebreo, può aver voluto dire che<br />

era un giudeo di lingua greca che sapeva parlare anche l’aramaico e che sapeva leggere l’AT<br />

nell’originale 220 .<br />

Anche Luca presenta Paolo come un giudeo, come fariseo nato a Tarso 221 , una città ellenistica<br />

della Cilicia 222 , come un cittadino romano dalla nascita, 223 e che aveva una sorella 224 . Tarso è<br />

testimoniata per la prima volta come Tarzi sull’obelisco nero di Salmanassar III, del IX sec. a. C. 225 .<br />

Nel IV secolo, Senofonte 226 la chiamava una grande e prosperosa città e le monete greche del V e<br />

del IV secolo rivelano la sua antica ellenizzazione. Venne <strong>prof</strong>ondamente ellenizzata da Antioco<br />

IV Epifane (175-164), che vi stabilì anche una colonia di Giudei (nel 171 ca. a.C.) per incrementare<br />

il commercio e l’industria 227 .<br />

Nella riorganizzazione dell’Asia Minore da parte di Pompeo nel 66 a.C., Tarso divenne la<br />

capitale della provincia della Cilicia. Più tardi Marco Antonio concesse alla città libertà, immunità e<br />

cittadinanza, diritti confermati poi da Augusto, il che può spiegare le connessioni romane di Paolo.<br />

217 Qualcosa come tra i 50 ed i 56 anni di età (GLNT XI, 172).<br />

218 Questo vorrebbe dire tra i 24 ed i 40 anni (cf. DIOGENE LAERZIO 8.10; FILONE, De Che., 114).<br />

219 Rm 11,1; Fil 3,5; 2Cor 11,22.<br />

220 Cf. D. MOULE, in Exp-­‐Tim 70 [1958-­‐1959] 100-­‐102. Le lettere di Paolo rivelano che egli conosceva bene il greco e che<br />

sapeva scriverlo e che nel rivolgersi alle chiese dei Gentili di solito citava l’AT in greco. Tracce del genere retorico della<br />

diatriba stoica nelle sue lettere, mostrano che aveva ricevuto un’educazione greca.<br />

221 At 9,11; 21,39; 22,3.<br />

222 At 22,3.6; 21,39<br />

223 At 22,25-­‐29; 16,37; 23,27<br />

224 At 23,16<br />

225 Riga 138; cf. D.D. LUCKENBILL, in ARAB 1, 207.<br />

226 Anab. 1.2.23<br />

227 Cf. W. M. RAMSAY, in ExpTim 16 (1904-­‐1905) 18-­‐21; FILOSTRATO, Vita di Apollonio di Tiana 6,34; A.N. SHERWIN-­‐WHITE,<br />

Roman Society, 144-­‐193.<br />

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Tarso era un famoso centro di cultura, filosofia ed educazione. Strabone 228 conosce le sue scuole<br />

come superiori a quelle di Atene e di Alessandria ed i suoi studenti come nativi della Cilicia, non<br />

stranieri. Atenodoro, un filosofo stoico e maestro dell’imperatore Augusto, si ritirò lì nel 15 a.C. E<br />

gli venne affidato il compito di rivedere gli sviluppi civici e democratici della città. Anche altri<br />

filosofi, stoici ed epicurei, vi si stabilirono e insegnarono lì. Romani famosi visitarono Tarso:<br />

Cicerone, Giulio Cesare, Augusto, Marco Antonio e Cleopatra. Perciò, il Paolo lucano può vantarsi<br />

di essere un “cittadino di una città non certo senza importanza” (At 21,39).<br />

Il Paolo lucano si vanta anche di essere “cresciuto in questa città (di Gerusalemme) formato<br />

alla scuola di Gamaliele” (At 22,3), vale a dire, Gamaliele I, il più anziano, la cui attività a<br />

Gerusalemme si svolge all’incirca dal 20 al 50 d. C 229 . Sebbene la descrizione lucana della<br />

giovinezza di Paolo trascorsa a Gerusalemme possa spiegare la sua educazione ed il suo modo di<br />

pensare semitici, Paolo stesso non dice neanche una parola a proposito di questo aspetto della sua<br />

giovinezza. Inoltre si crea una difficoltà: gli scritti di Paolo non indicano mai se egli abbia<br />

incontrato o se abbia avuto una qualche conoscenza personale con il Gesù del ministero pubblico 230 :<br />

se Paolo ha passato la sua giovinezza a Gerusalemme, avrebbe potuto mancare un tale incontro?<br />

L’unica prova che Paolo sia stato educato da un figura rabbinica come Gamaliele è quella<br />

affermazione degli Atti.<br />

Secondo J. Jeremias 231 , al tempo della sua conversione Paolo non era semplicemente un<br />

discepolo rabbinico (talmîd hakam), ma un maestro riconosciuto con il diritto di prendere decisioni<br />

legali. Questa autorità sarebbe da presupporre quando fu inviato a Damasco per arrestare dei<br />

cristiani 232 e nel suo voto contro i cristiani in quanto membro del sinedrio (At 26,10). In base a ciò<br />

Jeremias ha concluso che siccome l’età richiesta per l’ordinazione rabbinica era di 40 anni, Paolo si<br />

sarebbe convertito a mezza età e sarebbe stato sposato, poiché il matrimonio era obbligatorio per i<br />

rabbini. Jeremias armonizza i precedenti dati lucani con il materiale paolino interpretando 1Cor<br />

7,8 233 nel senso che Paolo si poneva nella classe dei vedovi (ch,raij() e non in quella dei celibi<br />

(avga,moij). Inoltre 1Cor 9,5 significherebbe che Paolo non si sarebbe risposato. Ma quasi ogni punto<br />

di questa interessante tesi solleva dei dubbi: armonizzazione discutibile, età di Paolo, data recente<br />

della testimonianza rabbinica usata, lo stato di Paolo 234 .<br />

Origini familiari<br />

Se ignoriamo la data esatta della nascita di Paolo, conosciamo, però, le sue origini familiari e<br />

sociali. A informarci nel modo più preciso è la Lettera ai Filippesi (3,4-14). Paolo si definisce meno<br />

mediante le sue origini familiari che mediante la sua nascita nel giudaismo: “circonciso all’età di<br />

otto giorni” secondo quanto prescrive la tradizione, Paolo è “ della stirpe d’Israele” (Fil 3,5).<br />

Appartiene al popolo eletto. È “della tribù di Beniamino”: la sua famiglia è, quindi, originaria del<br />

Nord della Galilea. Essendo nato a Tarso, appartiene al mondo della diaspora. Egli non rinnega mai<br />

le proprie origini giudaiche. Dirà a proposito dei suoi detrattori: “Sono ebrei? Anch’io! Sono<br />

228 STRABONE, Geogr. 14,673<br />

229 Cf. W.C. VAN UNNIK, Tarsus or Jerusalem: the city of Paul’s Youth, London 1962<br />

230 Cf. 2Cor 5,16; 11,4 che non significa necessariamente che ci sia stata, anche se il tipo di argomentazione e l’uso<br />

dell’AT sono simili a quelli dei giudei palestinesi colti, la sua dipendenza dalle tradizioni rabbiniche è più dichiarata che<br />

provata. Cf. E. P. SANDERS, Paul and Palestinian Judaism, Philadelphia 1977 [trad. it., Paolo e il giudaismo palestinese,<br />

Paideia, Brescia 1986]. Ma cf. J. NEUSNER, in HR 18 ([1978] 177-­‐191).<br />

231 In ZNW 25 [1926] 310,312; ZNW 28 [1929] 321-­‐323<br />

232 At 9,1-­‐2; 22,4-­‐5; 26,12<br />

233 “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io”.<br />

234 Cf. E. FASCHER, in ZNW 28(1929) 62-­‐69; G. STAHLIN, in TDNT 9,452 n. 109 (trad. it., in GLNT XV, 766s).<br />

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israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io” (2Cor 11,22). E ancora: “Anch’io infatti sono<br />

israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino” (Rm 11,1). Paolo non appartiene<br />

certo a una delle grandi famiglie di notabili, che vanno orgogliosi della loro genealogia e possono<br />

far riferimento a tre generazioni di ascendenti. Egli non cita mai suo padre o suo nonno. In<br />

compenso, insiste sul fatto di non essere meticcio, di essere del seme di Abramo, della discendenza<br />

di Giacobbe. Questo modo di presentarsi lo distingue dai proseliti. Dicendosi “ebreo figlio di ebrei”<br />

(Fil 3,5), vuole ricordare che discende dai giudei sia in linea paterna che in quella materna. Se prova<br />

il bisogno di dirlo, è perché nella diaspora erano frequenti i matrimoni misti.<br />

Saulo, Saûlos, Paolo<br />

Saul, letteralmente “colui che viene richiesto (con la preghiera)”, è il nome ebraico che gli<br />

viene dato alla circoncisione. Nella storia di Israele questo nome era stato portato da un uomo, Saul,<br />

anch’egli della tribù di Beniamino, il fondatore della monarchia nel IX secolo a. C. Portare un<br />

simile nome in un ambiente semitico è un invito a diventare sostituto della persona di cui si porta il<br />

nome. Questa scelta di un nome legale è tanto più interessante in quanto nella diaspora viene<br />

portato raramente. Dagli Atti degli Apostoli apprendiamo che Paolo aggiunge al nome semitico di<br />

Saul la forma greca di Paûlos dopo il suo incontro con il proconsole di Cipro che si chiamava<br />

Sergio Paolo (At 16,9). Paolo non ha cambiato nome: porta un doppio nome. Ormai, è con questo<br />

nuovo nome greco che firma le sue lettere; piuttosto lì la forma latinizzata è Paûlos, che significa<br />

poco, piccolo.<br />

Cittadino Romano<br />

Essere cittadino romano significa beneficiare di uno statuto che del diritto di partecipare alla<br />

vita pubblica di Roma, soprattutto concede delle garanzie giuridiche fiscali, e obbliga le autorità a<br />

rispettare la dignità della persona che porta questo titolo. Questo privilegio è menzionato dal libro<br />

degli Atti (22,25-29). Paolo, nelle sue lettere, non vi fa allusione. I fatti, comunque, vengono a<br />

confermare questo statuto, che alcuni esegeti hanno, però, contestato. Paolo è perfettamente<br />

integrato nell’impero. Volto verso Gerusalemme, egli non è tuttavia preso nel conflitto politico che<br />

agitava Giudea nel suo rapporto con Roma. Egli, al contrario, è aperto alle dimensioni del mondo<br />

del suo tempo; e così è preparato per la sua missione futura.<br />

Uomo di relazioni tramite la famiglia<br />

La famiglia di Paolo appartiene senza dubbio al mondo del commercio tessile, che è all’origine<br />

della prosperità di Tarso. Gli spostamenti di Paolo sono facilitati dei collegamenti procuratigli dalla<br />

famiglia (intesa in senso lato, come parentela), distribuita sulle sponde del Mediterraneo: incontra la<br />

mercantessa di porpora a Filippi, fabbricanti di tende a Corinto, ecc.. Il clan, così disperso, mette in<br />

opera la solidarietà.<br />

Alcuni membri della rete familiare di Paolo sono: Andronico, compagno di una delle prigionie<br />

di Paolo, quella di Efeso forse, partito per Roma, associato a Giunia (Rm 16,7). Giasone e<br />

Sosipatro, parenti di Paolo. Si trovano a Corinto nel 54-55 (Rm 16,21). Giasone ha dato ospitalità a<br />

Paolo durante il suo passaggio a Tessalonica (At 17,5-9). Erodione, parente di Paolo che vive a<br />

Roma (Rm 16,11). Rufo, vive a Roma con la madre “che è anche mia madre” (Rm 16,13). Il figlio<br />

della sorella di Paolo (At 23,16).<br />

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La formazione<br />

Paolo beneficia di una formazione intellettuale lunga e molto seria. È per questo che non gli<br />

faceva impressione il cristianesimo nascente. Al contrario, egli è fornito di tutte le armi intellettuali,<br />

per lottare contro di esso.<br />

Un’educazione biblica<br />

A partire da cinque anni d’età, Paolo riceve un’educazione biblica non soltanto in seno alla<br />

famiglia, ma anche in seno alla sinagoga e alla scuola, perché non c’è frattura tra queste diverse<br />

istanze. I riferimenti che Paolo fa alla Scrittura mostra la sua conoscenza, spesse volte a memoria di<br />

diversi passi. Una tale formazione, nello stesso tempo, implica istruzione ed educazione: non solo<br />

dà al fanciullo un sapere, ma forma in lui una chiara coscienza della propria identità, di quella del<br />

proprio popolo e delle sue tradizioni.<br />

Le lingue<br />

In ambiente greco, nel caso di Tarso, l’educazione va di pari passo con l’apprendimento delle<br />

lingue. L’ebraico si impari in famiglia. Il greco di Paolo è quello delle persone colte del mondo<br />

degli affari. Paolo ha, quindi, le categorie mentali per farsi capire da questo mondo: “ma se io non<br />

conosco il senso del linguaggio, per colui che mi parla sono uno straniero” (1Cor 14,11). Essendo<br />

cittadino romano, deve potersi esprimere in latino. Tali conoscenze ispireranno i suoi spostamenti in<br />

Asia minore ed in Europa. La formazione intellettuale è sempre accompagnata da una formazione<br />

manuale 235 .<br />

I riferimenti culturali<br />

Paolo utilizza costantemente dei riferimenti culturali propri dell’ellenismo. Non bisogna<br />

dimenticare che Tarso sta al crocevia delle strade che vanno da Efeso ad Antiochia o da Rodi ad<br />

Alessandria. Città di scambi, di incontri; rivaleggia con Atene sul piano culturale. Paolo attribuisce<br />

alla parola un valore primordiale e sa esporre il proprio pensiero secondo le regole della retorica. Le<br />

lettere sono piene di riferimenti alla cultura del suo tempo: l’atleta, la corsa o la corona ricevuta in<br />

battaglia 236 . Non solo: Paolo sa leggere e scrivere, ma sa anche nuotare (2Cor 11,25), il che è un<br />

segno di cultura: secondo un adagio tratto da Platone, ignorante un uomo che “non sa leggere, né<br />

nuotare”. Di più: saper nuotare è ciò che distingue il greco dal barbaro.<br />

Paolo di dichiara: “Quanto alla legge, fariseo” 237<br />

Per il sistema educativo dell’antichità, giudeo o greco che sia, è bene ad un certo momento<br />

uscire dalla propria città per completare la formazione. I ragazzi a 14 anni venivano considerati<br />

maggiorenni e potevano essere iniziati all’esegesi; verso i 19 anni l’élite intellettuale giudaica<br />

sceglie una corrente, un maestro, mentre i giovani greci scelgono una scuola. A che età Paolo ha<br />

lasciato Tarso? A 14 anni, maggiore età giudaica, o a vent’anni, maggiore età greca? È impossibile<br />

decidere. Comunque sia, è presso Gamaliele, a Gerusalemme, che egli riceve una formazione tipica<br />

dei farisei (At 22,3). La casa di Gamaliele una piccola cerchia che, secondo la testimonianza di una<br />

delle tre lettere di Gamaliele che sono giunte a noi, si riunisce nell’abitazione del maestro, è pure<br />

235 Secondo le prescrizioni della legge, Paolo ha imparato un mestiere manuale, senza dubbio nel campo tessile (cf. At<br />

18,3).<br />

236 Cf. 1Cor 9,24-­‐27; Fil 3,12-­‐14; 2Tm 2,5.<br />

237 Cf. Fil 3,5; At 23,6; 26,5.<br />

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all’aria aperta. Paolo ap<strong>prof</strong>ondisce la conoscenza delle Scritture ed impara tecniche di<br />

interpretazione, che userà in seguito.<br />

Gamaliele ci è noto dalle fonti rabbiniche e dal libro degli Atti degli apostoli (5,34-41; 22,3). È<br />

senza dubbio il più realizzato dei maestri del suo tempo. Continua la tradizione inaugurata dal<br />

nonno, il rabbi Hillel il Vecchio aveva fondato un’accademia farisaica, sotto il regno di Erode,<br />

accademia famosa per il suo spirito conciliatore. Gamaliele era rispettoso della legge, il che non<br />

impediva di avere lo spirito ampio e di essere aperto alle idee nuove, che circolavano in<br />

Gerusalemme. Le decisioni che gli vengono attribuite in maniera di matrimonio, di divorzio e di<br />

testimonianza ne sono la prova. Gamaliele prende anche la difesa di Pietro degli apostoli trascinati<br />

davanti al sinedrio, di cui era stato presidente (At 5,34). Non dev’essere stato uomo da incoraggiare<br />

Paolo ad un estremismo anti-cristiano. Come Filone d’Alessandria 238 , che aveva riproposto la fede<br />

giudaica in categorie greche, come Flavio Giuseppe 239 , il quale da storico narrò la storia d’Israele,<br />

Paolo è un uomo di due culture, quella giudaica e quella romana. Il che fa di lui un dotto secondo i<br />

criteri di Flavio Giuseppe e lo prepara così alla sua missione futura.<br />

I farisei<br />

In precedenza ci siamo soffermati sulla descrizione della società ebraica. Adesso ci basterà<br />

richiamare che al tempo di Paolo sono dei letterati, scritti e specialisti dell’esegesi. Provengono<br />

dalle classi medie urbane, artigiani e commercianti. Si radunano sotto la direzione di un maestro.<br />

Questi maestri si rifanno o alla linea di Hillel, un rabbi sostenitore di una mitigazione, o a quella di<br />

Shammai, che rappresenta una tendenza più rigorosa. Alcuni passi delle lettere Paoline traccia un<br />

ritratto del fariseo: Rm 2,7-24; 11,1; 2Cor 11,21s; Gal 1,13s. Il loro stile di vita diverso da quello<br />

dei notabili e dei sacerdoti della corte di Erode, estremamente divinizzati. Sono dei giusti e dei<br />

dotti. Praticano la pietà esemplare, centrata sulla legge che essi meritano instancabilmente e<br />

assiduamente. Hanno un senso acuto del Dio vivente. Considerano il Tempio di Gerusalemme come<br />

il santuario della presenza di YHWH (At 21,26). Esercitano una certa influenza sulla vita pubblica.<br />

Quanto alla sinagoga, essa ha una grande importanza per l’interpretazione della legge e assicurerà la<br />

continuità del giudaismo.<br />

Paolo si dichiara: “quanto alla giustizia, una persona irreprensibile” 240<br />

Per Paolo, ciò significa “camminare nelle vie di YHWH, osservare le sue leggi, i suoi comandi,<br />

le sue norme” (Dt 26,17). Egli non si aspetta alcuna ricompensa immediata, ma ha il senso della<br />

retribuzione: Dio da ciascuno secondo il suo merito. Per lui il cammino della legge non è mai una<br />

visione della mente. Si tratta di un cammino concreto di esperienze esistenziali che rappresentano<br />

l’impegno di tutta la sua vita. Questo ideale di santità non si limita al solo decalogo. Nel conto di<br />

tutti i comandamenti dei farisei i precetti computati sono 613. Questi comandamenti costituivano<br />

una vera linea di difesa attorno alla Torah e avevano lo scopo di mettere i farisei al riparo da<br />

qualsiasi sincretismo, racchiudendo così l’umano in una vera e propria morsa.<br />

238 Filone di Alessandria (13 a.C.<strong>–</strong>45 d.C.): filosofo giudaico di lingua greca, originario di Alessandria. Integrato nel mondo<br />

greco-­‐romana, cerca di far passare in quel mondo la cultura biblica. Ha partecipato ad un’ambasciata presso<br />

l’imperatore Caligola. La maggior parte della sua opera giunta fino a noi è un commentario del Pentateuco.<br />

239 Flavio Giuseppe (37-­‐100 d.C.): storico giudaico di lingua greca, amico dei romani. Appartiene alla casta sacerdotale<br />

Gerusalemme. Prende un comando militare all’inizio della guerra giudaica contro Roma nel 66. È autore di una storia<br />

del popolo ebreo, in greco: la guerra giudaica e le Antichità Giudaiche.<br />

240 Così Paolo si dichiara “quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge, una persona irreprensibile” (Fil 3,6;<br />

At 22,3; 26,5-­‐8).<br />

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Le attese dei farisei e di Paolo<br />

I farisei aspettavano la resurrezione generale dei morti, pur pensando che essa era riservata alla<br />

fine dei tempi. Differiscono dai sadducei, che non ci credevano (Mt 22,23). A questo proposito<br />

Paolo saprà manovrare le due tendenze del sinedrio ponendole una contro l’altra, come dicono gli<br />

Atti (23,6-10). I farisei, come tutti giudei, eccetto, forse, i sadducei, aspettano, in una fiducia totale<br />

unanime, il ritorno dei dispersi in nella Terra promessa, il crollo della dominazione straniera, lo<br />

sterminio dei nemici, nonché l’avvento del regno del Messia. Contrariamente ai sadducei, essi non<br />

collaborano con l’occupante romano. Tuttavia, non costituiscono un gruppo politico. A differenza<br />

degli zeloti, non cercano di affrettare la venuta del Messia partecipando all’agitazione politica, che<br />

intende scacciare l’occupante romano fuori della terra. Sono divisi tra coloro che desiderano<br />

liberarsi da qualsiasi forma di oppressione, che impedisce Israele di compiere la sua missione, e<br />

coloro che accettano il potere oppressore come un castigo di Dio mandato a causa dei peccati del<br />

popolo. L’appartenenza farisaica di Paolo non fa di lui un nazionalista. Il suo impegno è quello di<br />

un uomo che, amando la legge, vuole essere giusto di fronte a Dio e di fronte agli uomini.<br />

1.2. Il persecutore dei cristiani<br />

Paolo visse sino in fondo la sua appartenenza alla corrente farisaica, al punto da non tollerare<br />

nulla che attenti a quell’ideale. In parecchie delle sue Lettere Paolo, ricordando il suo passato, da un<br />

punto centrale e cioè il fatto di aver perseguitato i cristiani, scrive, così, ai Galati: “voi avete<br />

certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo 241 : perseguitando<br />

ferocemente la Chiesa di Dio la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei<br />

coetanei connazionali, accanito come ero nel sostenere le tradizioni dei padri” (Gal 1,13s). Egli<br />

confessa ai filippesi che prima dell’incontro con Cristo era “quanto lo zero, persecutore della<br />

chiesa” (Fil 3,6). Rivolgendosi ai corinti, rivendica l’ultimo posto tra gli apostoli: “io infatti sono il<br />

più piccolo tra gli apostoli non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la<br />

Chiesa di Dio” (1Cor 15,9). Infine, in 1Tm 1,13, si tratta ancora di colui che era stato “prima un<br />

bestemmiatore, un persecutore un violento…”. Paolo non esita a parlare di questo passato, non per<br />

compiacenza, bensì per far comprendere ai suoi ascoltatori il rovesciamento che Cristo provoca<br />

venendogli incontro. Gli Atti 242 fanno eco alle affermazioni di Paolo, mostrando come la<br />

persecuzione sia la conseguenza del suo atteggiamento intransigente nei confronti della legge. Di<br />

che cosa si tratta, in verità?<br />

Il persecutore: i fatti<br />

Secondo At 6-7, tutto ha inizio con Stefano. Costui è considerato dai giudei della diaspora<br />

organizzata come un apostata 243 che deve essere messo a morte per lapidazione. Paolo assiste alla<br />

lapidazione di Stefano senza prendervi parte perché, sottolineano gli Atti, egli ancora giovane (At<br />

7,58). Paolo, comunque, approva questa uccisione (At 8,1). Qualche tempo dopo Saulo diventa, a<br />

sua volta il delatore dei cristiani in nome di quello che egli chiama il suo zelo 244 . Questo zero lo<br />

241 Con giudaismo non si designa la religione giudaica. Il termine delinea in modo polemico un modo di vivere legato alle<br />

tradizioni in opposizione all’ellenismo, il modo di vivere più influenzato dalla cultura greca (cf. 2Mac 2,21; 8,1).<br />

242 Cf. At 22,4; 26,9-­‐11.<br />

243 Tra giudei di lingua greca apostata designa colui che rifiuta la legge.<br />

244 Cf. Fil 3,6; Gal 1,14. Lo zero rivendicato da Paolo trova ispirazione nello zero di cui Dio stesso da prova nei confronti<br />

del suo popolo, vigilando gelosamente a che esso non si smarrisca nell’idolatria (Es 20,5; 34,14; Dt 4,24; 5,9; 6,15). Nella<br />

storia di Israele Pincas (Nm 25,6-­‐13) o Elia (1Re 18) o ancora i Maccabei (1Mac 2,23-­‐28) sono figure che incarnano<br />

questo zero. Da notare che in Gal 1,14, il greco zēlōtés corrisponde a sostenitore fervido, accanito.<br />

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porta ad ingaggiare una lotta armata come fanno gli zeloti o i sicari che, generalmente, prendono di<br />

mira i romani. Per Paolo il conflitto con i cristiani non è politico, bensì religioso 245 . I giudei<br />

avevano spostato il conflitto con Gesù sul terreno politico per ottenere dall’autorità romana la sua<br />

condanna: stravolgendo le affermazioni di Gesù, essi lo avevano presentato Pilato come il re di<br />

giudei, tale da minacciare la politica romana nella Giudea (Gv 19,1-15). Paolo, al contrario,<br />

comprende bene le affermazioni di Gesù in un senso di interiorità, e che lo porta a ricollocare<br />

ricollocarlo al centro della sfera religiosa, dalla quale giudei avevano voluto cacciarlo 246 . Così<br />

facendo, egli spera di eliminarlo definitivamente. Nelle sinagoghe senza dubbio Paolo non perde<br />

occasione per denunciare coloro che si rifanno a Cristo. Egli usa la sua forza di convinzione per<br />

ricondurre questi ultimi ad una giusta visione delle cose, quella della legge. Non esita a farli<br />

escludere dalle sinagoghe. Si oppone ad essi impegnandosi a impedire che diffondono il loro<br />

messaggio. La sua azione è vigorosa 247 . Egli non si dedica a basse operazioni di polizia, ma può, in<br />

compenso, far incarcerare i cristiani mediante la procedura della delazione, che introduce un’azione<br />

giudiziaria. Paolo cerca veramente di distruggere (Gal 1,13), cioè di estirpare dal giudaismo, questa<br />

nuova corrente. Ed è così che se la prende con la sinagoga di Damasco.<br />

Un’opposizione a servizio della gloria di Dio<br />

La persecuzione che gli allora porta avanti contro i discepoli di Cristo è in funzione dell’ideale<br />

farisaico, nel quale è stato educato e al quale aderisce con tutto il cuore, con tutta la mente. È<br />

l’espressione di un atteggiamento d’intransigenza, che gli viene dettato dalla legge. In effetti,<br />

opporsi ai cristiani significa per lui salvaguardare la gloria di Dio, vale a dire la trascendenza del<br />

Dio d’Israele, che non può essere confuso, né con la divinità di quei luoghi, né con la figura umana<br />

quale che sia, nemmeno con Gesù di Nazareth. Per questo possiamo qualificare quella persecuzione<br />

come teologale. Paolo non può ammettere che gli uomini della sua stirpe possano avere un rapporto<br />

con Dio che passa per una via diversa da quella che egli conosce, quella della legge. Per lui l’ideale<br />

della legge viene schernito dai cristiani che pretendono di liberarsene. Cristo è, per lui, il rivale per<br />

eccellenza che bisogna ad ogni costo eliminare, perché la gloria di Dio sia tutelata. Sin dall’origine,<br />

questo conflitto aperto con Cristo non è politico, bensì religioso. Perseguitando coloro che si<br />

richiamano a Cristo, egli si impegna a combattere colui che pretende di essere figlio di Dio. In<br />

effetti, per un fariseo, Gesù è un essere paradossale, che pretende di essere Dio. Tutto ciò è<br />

impossibile, nel nome stesso della trascendenza di Dio, che Dio abbia preso carne nella nostra<br />

umanità, nella nostra storia. “Noi conosciamo suo padre e sua madre” dicono quei medesimi farisei<br />

le cui affermazioni vengono riferite dal Vangelo di Giovanni (6,42). Paolo condivide pienamente<br />

questo punto di vista: è impossibile che un uomo della nostra umanità possa parlare e agire nel<br />

nome di quel Dio che, oltretutto, egli osa chiamare suo padre. Una tale pretesa ha addirittura del<br />

blasfemo.<br />

Paolo si impegna a fondo nell’obbedienza della legge non per legalismo, ma perché è la<br />

condizione per vivere il rapporto di alleanza con Dio. Paradossalmente, la <strong>prof</strong>ondità della<br />

245 I cristiani non seguono l’esempio degli esseni allontanandosi dalla città di Gerusalemme alla ricerca della purezza<br />

spirituale.<br />

246 Questo è, comunque, spiegabile: le autorità giudaiche hanno di fronte Gesù stesso e soprattutto il seguito ampio delle<br />

folle. Non possono sopprimere il Maestro come era loro desiderio senza, nello stesso tempo, indebolire la loro autorità<br />

spirituale e politica. Paolo ha dinanzi la comunità cristiana, che non ha ancora il seguito raccolto da Gesù e si pone come<br />

una pericolosa eresia all’interno del panorama giudaico. Le autorità giudaiche, dunque, avevano abbattuto il capo, Paolo<br />

si trova dinanzi i discepoli, che costituiscono una corrente giudaica fuori di ogni ortodossia.<br />

247 Cf. At 8,1-­‐3; 9,1s; 22,4; 26,10.<br />

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persecuzione che gli porta avanti, contribuisce a preparare il terreno all’incontro con Cristo.<br />

L’evento di Damasco lo colpisce nel suo impegno di fariseo vissuto in una fedeltà, che ha un<br />

corrispettivo solo nell’esigenza di santità.<br />

Gesù si fa incontro a Paolo 248<br />

Mentre Paolo è interamente preso dalla lotta, che sta conducendo contro i cristiani, Cristo sta<br />

per tagliare la sua strada cambiando il corso non soltanto della sua vita, ma della storia dell’umanità<br />

intera. In effetti, grazie a questo evento, strano per noi, compreso spesso come meraviglioso a causa<br />

delle rappresentazioni artistiche che i tre racconti degli Atti degli Apostoli hanno ispirato, la<br />

diffusione del Vangelo cambia rotta. L’incontro di Damasco, a cui Paolo fa sempre riferimento ma<br />

che non descrive mai, non è né un mito, non è una leggenda. È un’esperienza unica nella storia,<br />

anche se è all’origine dell’espressione essere folgorato sulla via di Damasco utilizzata in seguito<br />

per designare ogni conversione, appunto, folgorante. Questo incontro ha luogo nei dintorni di<br />

Damasco, nell’anno 34 o nel 37.<br />

Un viaggio in una zona a rischio<br />

Paolo, difensore della gloria di Dio, si reca a Damasco per combattere direttamente la comunità<br />

cristiana, senza dubbio composta da quegli ellenisti che egli aborrisce. L’autore degli Atti degli<br />

Apostoli ci riferisce che il sommo sacerdote ha affidato a Paolo delle lettere per la sinagoga, perché<br />

potesse arrestare i cristiani 249 . Paolo avrebbe ricevuto “il potere e l’autorizzazione dei capi dei<br />

sacerdoti” per recarsi a Damasco (26,12). Ciò non è molto verosimile per quell’epoca. Pare<br />

difficile, in effetti, che la giurisdizione del sommo sacerdote 250 si estendesse fino a Damasco. In<br />

quella zona soltanto l’autorità romana era abilitata a conferire poteri coercitivi. Forse è stato<br />

incoraggiato dal sommo sacerdote per portare a buon esito un’azione non solo contro i cristiani? La<br />

cosa non impossibile. Comunque sia, Paolo ritiene che la coesione della comunità giudaica di<br />

Damasco sia minacciata dai discepoli di Cristo, tanto più che essa è resa instabile dalla situazione<br />

politica. Tutto questo basta senza dubbio a spiegare la sua partenza per Damasco. Recarsi a<br />

Damasco in quel periodo era un viaggio rischioso. In effetti, situato sulla strada della diaspora<br />

orientale, in una zona di commerci, la città di Damasco è al centro di tutti i conflitti tra gli Erodiani<br />

ed i Nabatei. La regione di Damasco è in stato di guerra dagli anni 30. Dal 33-34 in avanti, le<br />

popolazioni arabe cercano di impadronirsi del traffico tra l’Arabia e la costa siriaca. Riescono a<br />

insediarsi a Damasco 251 . La città è ormai governata da un capo, che Paolo designa con il titolo di<br />

“governatore/etnarca” (cf. 2Cor 11,32-33). Recarsi a Damasco, in quel contesto di guerriglia<br />

permanente, è segno di una volontà accanita di perseguire fino in fondo i cristiani. Mentre Paolo<br />

parte per Damasco, i romani preparano la spedizione di grande portata per prendere Petra. Vitellio,<br />

il legato della Siria, è sul punto di mettersi in marcia al comando di una legione 252 . La strada che<br />

percorre deve passare per Damasco. La città, per proteggersi, chiude le porte 253 . Sia che Paolo vada<br />

248 Testi di riferimento: At 9,1-­‐22; 22,3-­‐21; 26,12-­‐18; Rm 6,3-­‐4; 1Cor 1,1-­‐17; 9,1; 10,16-­‐17; 11 23-­‐26; 15,1-­‐11; 2Cor<br />

11,32-­‐33; 12,1-­‐10; Gal 1,11-­‐24; Ef 3,3; Fil 3,4-­‐14; 1Tm 1,12-­‐14.<br />

249 Cf. At 9,2; 22,4.<br />

250 Sommo sacerdote: personaggio chiave della vita d’Israele, e il rappresentante della fedeltà alle alleanze il solo che<br />

possa penetrare nel Santo dei santi, la parte più sacra del tempio di Gerusalemme. Scelto, all’epoca, dai romani tra i<br />

sadducei, egli è diventato lo strumento della loro politica, incaricato di vegliare a che i giudei non provochino disordini.<br />

251 Il conflitto viene innescato da Erode Antipa quando, nel 27, rifugge la sposa Nabatea, figlia del re Areta IV, onde<br />

sposare Erodiade, colei che chiederà la testa di Giovanni battista (Mt 14,3-­‐12; Mc 6,17-­‐29; Lc 3,19s).<br />

252 Sono circa 5000 uomini, senza contare le truppe ausiliarie.<br />

253 Cf. 2Cor 11,33; At 9,25.<br />

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Damasco nel 33-34, oppure nel 37, la regione non dava garanzie di sicurezza: la strada era rischiosa<br />

per chiunque vi si avventurasse. Nel marzo del 37, tuttavia, l’annuncio della morte dell’imperatore<br />

Tiberio interrompe la spedizione. Quanto a Paolo, la sua strada anch’essa sarà interrotta, ma in<br />

modo del tutto inatteso e senza rapporto con la morte di Tiberio. L’evento ha luogo, secondo la<br />

tradizione, nei pressi di Damasco 254 .<br />

L’imprevisto di Cristo<br />

La sorpresa non viene né da un’imboscata, né da un atto di cattiveria, né da un episodio di<br />

guerra. E tuttavia, essa viene dal cielo: “Vidi sulla strada una luce dal cielo, più splendente del sole,<br />

che avvolse me e i miei compagni di viaggio” (26,13). Questa grande luce venuta dal cielo e che lo<br />

avvolse con il suo splendore (At 22,6) rovescia Paolo ferma nel suo slancio fino a gettarlo al suolo:<br />

“Caddi a terra” (At 9,4; 22,7). Ora, questa luce, per quanto bella e potente possa essere, non è<br />

un’astrazione, né un fantasma. Viene insieme ad una voce che la identifica: “Sentii una voce che mi<br />

diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 22,7). “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At 9,5;<br />

26,15), “Gesù il Nazareno” (At 22,8). Paolo viene messo di fronte a qualcuno che i suoi occhi, fino<br />

ad allora, non potevano riconoscere. Nessun dubbio possibile: colui che appare splendente di luce è<br />

lo stesso che Paolo si ingegna di eliminare dalla comunità cristiana, usando dichiararlo maledetto da<br />

Dio. Colui che Paolo ha trattato con tanto disprezzo gli si rivela, un anno appena o al massimo tre<br />

dopo gli eventi del Golgota. Apparendogli, gli rivela la propria identità: “Io sono colui che tu<br />

perseguiti”. Paolo è messo di fronte all’evidenza che lì non perseguita soltanto un gruppo di uomini,<br />

i cristiani, ma, mediante loro, è Gesù stesso che viene coinvolto. È proprio Gesù, il crocifisso, al<br />

quale egli proibiva di dirsi figlio di Dio, che è lì davanti a lui. Paolo, gettato a terra da questa<br />

scoperta, perde la vista, e questo rivela la sua cecità spirituale. Diviene così tolta la sua sufficienza.<br />

L’evento è fuori di qualsiasi schema. È per questo che Paolo può dire: “Ho veduto Gesù, Signore<br />

nostro” (1Cor 9,1); Cristo “apparve anche a me come ad un aborto” (1Cor 15,8). Si tratta di<br />

un’esperienza che non ha pari: Paolo incontra Cristo Signore Gesù, colui che era il motivo della sua<br />

lotta fratricida contro i cristiani, colui cui discepoli li perseguitava. Vederlo significa essere messo<br />

di fronte all’evidenza che il Nazareno, che egli combatte, è veramente risorto come proclamano i<br />

discepoli. Certo, Paolo non racconta come Cristo gli si è manifestato sulla via di Damasco. Egli<br />

parla di questo evento unicamente in funzione dell’irruzione che Cristo rappresenta nella sua vita:<br />

“Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre mi chiamò con la sua grazia, si<br />

compiacque di rivelare 255 in me il figlio suo perché lo annunciasse in mezzo alle genti…” (Gal<br />

1,15s). Si tratta di una rivelazione, perché non è in potere dell’essere umano darsi il Signore. Il<br />

254 Se, stando a 2Cor 11,33, si è costretti a far uscire Paolo in una cesta dalle mura della città, è perché questa è chiusa.<br />

Questa chiusura non può essere dovuta che al contesto di guerra in cui si trova Damasco. Tutta la questione sta nel<br />

sapere se Paolo lasciato la città in uno stato di assedio durante il suo primo passaggio a Damasco, quindi, al momento<br />

della sua conversione, o quando vi ritorna per una seconda volta e cioè tre anni dopo (Gal 1,17). Nel primo caso<br />

l’incontro con Cristo Damasco ha luogo nel 37, nel secondo tre anni prima. Oggi è questa seconda data che viene<br />

accertata per motivi logici. Se Paolo fugge da un pertugio, e perché è ricercato. Non può esserlo, quindi, che la seconda<br />

volta, quando la sua conversione è nota a tutti. At 9,8-­‐25 farebbe una presentazione sintetica del duplice soggiorno di<br />

Paolo Damasco.<br />

255 in greco rivelare significa dare un’informazione assoluta su ciò che non è conosciuto. “Il Vangelo da me annunciato<br />

non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto nello imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal<br />

1,11: cf. Ef 3,3). I termini rivelare o rivelazione non riguardano gli eventi terrificanti della storia che alimentano le nostre<br />

paure. Trattandosi di una rivelazione, questi racconti vengono presentati in termini di visioni e di audizione. I verbi<br />

vedere o apparire vengono, peraltro, utilizzati nei racconti delle apparizioni del risorto e ripresi negli Atti per evocare<br />

l’evento di Damasco. Il termine rivelare ci dà la chiave di comprensione dell’evento ed elimina l’ambiguità possibile del<br />

termine vedere.<br />

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contenuto di questa rivelazione, che illumina Paolo nel cuore della sua coscienza, rappresenta per<br />

lui una nuova nascita (cf. 2Cor 4,6).<br />

Cristo lo capovolge completamente: Paolo “cade a terra” (At 22,7). La sua visione del mondo<br />

e dell’uomo è anch’essa capovolta. E tutta la sua fede di fariseo, che viene spazzata via con la forza<br />

della scoperta di Cristo perseguitato. Solo Dio può operare un tale rivolgimento. Damasco è<br />

l’incontro per eccellenza con Cristo da parte di Paolo: “Sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil<br />

3,12). È per questo che il Risorto merita ogni adorazione, al punto che, davanti a lui, non solo Paolo<br />

cade a terra, ma “si piega ogni ginocchio” (Fil 2,10).<br />

Questo evento è qualcosa di non rappresentabile; di qui il ricorso al genere letterario dei<br />

racconti di vocazione <strong>prof</strong>etica, per testimoniare la sua realtà, il suo significato. Cristo chiama Paolo<br />

a suo seguito fermando, allo stesso momento, la sua mano di persecutore. Lo strappa al suo mondo<br />

per introdurlo alla missione nuova che gli riserva. Apparendogli in questo modo, non sono Gesù<br />

mette un termine alla persecuzione nella quale Paolo si è impegnato anima e corpo, ma lo mette a<br />

parte per affidargli l’annuncio della buona notizia tutti gli uomini 256 , e non solo a quelli della sua<br />

stirpe. In effetti, colui che Paolo scopre sulla via di Damasco come luce del mondo, non deve<br />

restare sotto il moggio 257 . Paolo comprende che gli incombe di annunciarlo non solo i suoi fratelli<br />

giudei, ma tutte le genti. Viene spossessato di tutte le sue certezze: “Ma queste cose, che per me<br />

erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo” (Fil 3,7). L’incontro di<br />

Damasco è, dunque, un rinnovamento assoluto. È una rottura nella vita di Paolo. Tale rottura non<br />

può essere compresa se non a partire dall’opposizione a Cristo, sulla quale Paolo aveva costruito la<br />

propria vita. Non soltanto, essa lo apre ad una conoscenza sul significato di Dio che egli credeva di<br />

servire con zelo perseguitando i cristiani, ma lo fa entrare in un’esistenza nuova. Per questo tale<br />

esperienza determinò un rapporto nuovo con il mondo e lo introduce, anche, ad una nuova visione<br />

dell’uomo e della santità. Lo porta a rinnovare la sua lettura delle Scritture.<br />

L’incontro di Damasco: tre punti di vista negli Atti degli Apostoli<br />

Gli Atti degli Apostoli ci danno tre racconti dell’incontro di Damasco 258 . Tutto questo dice la<br />

sua importanza per l’annuncio del Vangelo. Al contrario di Paolo che descrive un ribaltamento<br />

interiore, l’autore degli Atti presenta la vocazione Paolo al modo degli storici dell’antichità.<br />

Tuttavia, i due approcci non hanno che un unico scopo: parlare del trattamento particolare, che<br />

Cristo riserva Paolo. Gli Atti contengono tre narrazioni dell’evento che cambia la vita di Saulo. La<br />

prima in 9,1-19 in forma biografica; la seconda e la terza sono in forma autobiografica come<br />

discorsi di Paolo in due diverse circostanze: nel tempio dinanzi alla folla che vuole ucciderlo (22,1-<br />

21) e nel pretorio a Cesarea dinanzi al procuratore Festo ed al re Agrippa (26,1-23). Vi sono<br />

differenze tra i tre resoconti ma concordano nei punti fondamentali.<br />

Atti 9 Atti 22 Atti 26<br />

~O de. Sau/loj e;ti evmpne,wn<br />

avpeilh/j kai. fo,nou eivj tou.j<br />

maqhta.j tou/ kuri,ou(<br />

proselqw.n tw/| avrcierei/<br />

2 hv|th,sato parV auvtou/<br />

256 Cf. Rm 1,2.<br />

257 Cf. Mt 5,13-­‐14.<br />

258 At 9,1-­‐18; 22,4-­‐16; 26,9-­‐18.<br />

4 o]j tau,thn th.n o`do.n evdi,wxa<br />

a;cri qana,tou desmeu,wn kai.<br />

paradidou.j eivj fulaka.j<br />

a;ndraj te kai. gunai/kaj(<br />

79<br />

9 evgw. me.n ou=n e;doxa evmautw/|<br />

pro.j to. o;noma VIhsou/ tou/<br />

Nazwrai,ou dei/n polla.<br />

evnanti,a pra/xai(<br />

10 o] kai. evpoi,hsa evn


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evpistola.j eivj Damasko.n pro.j<br />

ta.j sunagwga,j( o[pwj eva,n<br />

tinaj eu[rh| th/j o`dou/ o;ntaj(<br />

a;ndraj te kai. gunai/kaj(<br />

dedeme,nouj avga,gh| eivj<br />

Vierousalh,mÅ<br />

3 evn de. tw/| poreu,esqai<br />

evge,neto auvto.n evggi,zein th/|<br />

Damaskw/|( evxai,fnhj te auvto.n<br />

perih,strayen fw/j evk tou/<br />

ouvranou/<br />

4 kai. pesw.n evpi. th.n gh/n<br />

h;kousen fwnh.n le,gousan<br />

auvtw/|( Saou.l Saou,l( ti, me<br />

diw,keijÈ<br />

5 ei=pen de,( Ti,j ei=( ku,rieÈ o`<br />

de,( VEgw, eivmi VIhsou/j o]n su.<br />

diw,keij\<br />

6 avlla. avna,sthqi kai. ei;selqe<br />

eivj th.n po,lin( kai.<br />

lalhqh,setai, soi o[ ti, se dei/<br />

poiei/nÅ<br />

7 oi` de. a;ndrej oi`<br />

sunodeu,ontej auvtw/|<br />

ei`sth,keisan evneoi,( avkou,ontej<br />

me.n th/j fwnh/j mhde,na de.<br />

Qewrou/ntejÅ<br />

8 hvge,rqh de. Sau/loj avpo. th/j<br />

gh/j( avnew|gme,nwn de. tw/n<br />

ovfqalmw/n auvtou/ ouvde.n<br />

e;blepen\ ceiragwgou/ntej de.<br />

auvto.n eivsh,gagon eivj<br />

Damasko,nÅ<br />

5 w`j kai. o` avrciereu.j<br />

marturei/ moi kai. pa/n to.<br />

presbute,rion( parV w-n kai.<br />

evpistola.j dexa,menoj pro.j<br />

tou.j avdelfou.j eivj Damasko.n<br />

evporeuo,mhn( a;xwn kai. tou.j<br />

evkei/se o;ntaj dedeme,nouj eivj<br />

VIerousalh.m i[na timwrhqw/sinÅ<br />

6 VEge,neto de, moi<br />

poreuome,nw| kai. evggi,zonti th/|<br />

Damaskw/| peri. meshmbri,an<br />

evxai,fnhj evk tou/ ouvranou/<br />

periastra,yai fw/j i`kano.n<br />

peri. evme,(<br />

7 e;pesa, te eivj to. e;dafoj kai.<br />

h;kousa fwnh/j legou,shj moi(<br />

Saou.l Saou,l( ti, me diw,keijÈ<br />

8 evgw. de. avpekri,qhn( Ti,j ei=(<br />

ku,rieÈ ei=pe,n te pro,j me( VEgw,<br />

eivmi VIhsou/j o` Nazwrai/oj o]n<br />

su. diw,keijÅ<br />

10 ei=pon de,( Ti, poih,sw(<br />

ku,rieÈ o` de. ku,rioj ei=pen pro,j<br />

me( VAnasta.j poreu,ou eivj<br />

Damasko,n kavkei/ soi<br />

lalhqh,setai peri. pa,ntwn w-n<br />

te,taktai, soi poih/saiÅ<br />

9 oi` de. su.n evmoi. o;ntej to.<br />

me.n fw/j evqea,santo th.n de.<br />

fwnh.n ouvk h;kousan tou/<br />

lalou/nto,j moiÅ<br />

11 w`j de. ouvk evne,blepon avpo.<br />

th/j do,xhj tou/ fwto.j evkei,nou(<br />

ceiragwgou,menoj u`po. tw/n<br />

suno,ntwn moi h=lqon eivj<br />

Damasko,nÅ<br />

80<br />

~Ierosolu,moij( kai. pollou,j te<br />

tw/n a`gi,wn evgw. evn fulakai/j<br />

kate,kleisa th.n para. tw/n<br />

avrciere,wn evxousi,an labw,n<br />

avnairoume,nwn te auvtw/n<br />

kath,negka yh/fonÅ<br />

11 kai. kata. pa,saj ta.j<br />

sunagwga.j polla,kij timwrw/n<br />

auvtou.j hvna,gkazon blasfhmei/n<br />

perissw/j te evmmaino,menoj<br />

auvtoi/j evdi,wkon e[wj kai. eivj<br />

ta.j e;xw po,leijÅ<br />

12 VEn oi-j poreuo,menoj eivj<br />

th.n Damasko.n metV evxousi,aj<br />

kai. evpitroph/j th/j tw/n<br />

avrciere,wn<br />

13 h`me,raj me,shj kata. th.n<br />

o`do.n ei=don( basileu/(<br />

ouvrano,qen u`pe.r th.n<br />

lampro,thta tou/ h`li,ou<br />

perila,myan me fw/j kai. tou.j<br />

su.n evmoi. poreuome,noujÅ<br />

14 pa,ntwn te katapeso,ntwn<br />

h`mw/n eivj th.n gh/n h;kousa<br />

fwnh.n le,gousan pro,j me th/|<br />

~Ebrai


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eivj evme,Å<br />

Alcune note sui tre racconti di Atti:<br />

1) Il diverso contesto in cui si pongono anche se tutte e tre sono dovute alla mano dell’autore;<br />

2) La descrizione della fase precedente a ciò che accade sulla via di Damasco;<br />

3) Ciò che accade sulla via di Damasco<br />

4) La funzione di Anania:<br />

a. La luce;<br />

b. La Parola;<br />

c. il comando;<br />

d. coloro che sono presenti<br />

5) La missione. In At 9 è specificata nelle parole di Anania, in quello di 22 nella parole di<br />

Anania ma anche direttamente nel tempio dal Signore risorto<br />

Il contesto<br />

At 9: dopo l’espansione delle prime comunità cristiane a partire da Gerusalemme, dalla<br />

Samaria, da Gaza e Cesarea, gli Atti presentano Paolo nel momento in cui inizia a perseguitare i<br />

cristiani.<br />

At 22: il racconto della vocazione di Paolo viene messo in bocca allo stesso apostolo. Paolo è<br />

appena stato arrestato Gerusalemme. Dopo il suo arresto si rivolge giudei.<br />

At 26: Paolo parla davanti al re Agrippa II, Fratello di Berenice, che si reca a Cesarea presso il<br />

procuratore romano Festo, per fare atto di vassallaggio. Paolo è ancora tenuto in carcere. Vuole<br />

difendere la propria causa davanti al re.<br />

I tre racconti<br />

Sono sostanzialmente identici: tutti e tre riferiscono l’incontro di Paolo con il risorto, e due<br />

racconti riferiscono l’incontro anche con Anania (At 9 e 22). Mentre Paolo è in viaggio verso<br />

Damasco, incontra una luce venuta dal cielo. I racconti insistono sul carattere improvviso (9,3;<br />

22,6; 26,13). Paolo cade a terra (9,4; 22,7) con i suoi compagni (26,14). Essi scorgono la luce<br />

(22,9), ma non vedono nessuno (9,7). Odono la voce (9,7) o, al contrario, non la odono (22,9).<br />

Paolo sente una voce che gli dice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. E gli chiede: “Chi sei?”.<br />

Le risposte sono sensibilmente le stesse: “Io sono Gesù che tu perseguiti” (9,5; 22,8; 26,14-15).<br />

Paolo chiede, allora, che cosa deve fare (22,10). Va Damasco (9,8-9; 22,1) e alloggia presso la<br />

comunità cristiana (19,17-25). Con la loro espressione letteraria questi testi narrano come Paolo<br />

esca irriconoscibile da una tale esperienza, mentre le Lettere, senza descrivere l’evento, attestano lo<br />

sconvolgimento verificatosi nell’Apostolo.<br />

Lasciano comunque perplessi i diversi dettagli dei racconti: se i compagni di Paolo rimangono<br />

senza parole o cadono a terra; se sentono o meno la voce del cielo; sebbene Gesù si rivolga a Paolo<br />

“nella lingua ebraica”, egli cita un proverbio greco (26,14). La mancanza di armonizzazione di tali<br />

dettagli riflette la mancanza di preoccupazione di Luca per la concordanza. Tuttavia in ogni<br />

racconto il messaggio essenziale è convogliato su Paolo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» -<br />

“Chi sei, o Signore?” - “Io sono Gesù (di Nazareth), che tu perseguiti”.<br />

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Che cosa l’evento di Damasco non è<br />

Damasco non è un’allucinazione di un mito. L’incontro con Cristo sconvolge in modo tale che<br />

da un persecutore dei cristiani diventa testimone del Risorto. Questo sconvolgimento attestato dalle<br />

Lettere, ma anche dei cristiani che ormai non temono più 259 . Damasco non è da interpretare con un<br />

registro psicologico o para psicologico. Paolo non rovescia la sua scala di valori secondo lo schema<br />

degli psicologi, che spiegano come lo stress del persecutore faccia sì che i carnefici adotti il punto<br />

di vista della vittima. Damasco non è una conversione. Paolo non si converte nel senso in cui la<br />

conversione implica la rinuncia ad una vita distrutta. L’immagine di Paolo che si converte è<br />

ereditata da Agostino e da Lutero, i quali presentano Paolo, proiettando la loro esperienza<br />

personale, come un uomo torturato dalle sue manchevolezze. Prima di Damasco Paolo è un uomo<br />

teso alla santità, appassionato della gloria di Dio, brillante fariseo, “uomo irreprensibile”. La rottura<br />

che si instaura nella vita di Paolo si colloca a livello della fede in Cristo e tocca le <strong>prof</strong>ondità più<br />

determinanti della sua coscienza e del suo essere.<br />

Paolo cade da cavallo?<br />

Nell’immaginario cristiano Paolo simboleggia il tipo di conversione totale, radicale, folgorante.<br />

La coscienza cristiana ne contrassegna al punto che le immagini utilizzate per descrivere l’evento<br />

sono significative. Paolo, nel nostro immaginario sulla via di Damasco, cade da cavallo: ora, nel<br />

Nuovo Testamento, non si parla mai di cavallo. Il cavallo viene da un tema iconografico apparso<br />

nel 12º secolo che rappresenta Paolo nei tratti di un cavaliere. Tutto ciò perché il cavaliere è il<br />

personaggio-chiave del medioevo; tale immagine è applicata anche a Paolo. Se questa immagine ha<br />

il vantaggio di sottolineare il carattere nobile dell’impegno al servizio della gloria di Dio, è di per sé<br />

insufficiente per esprimere la <strong>prof</strong>ondità del rifiuto che Paolo oppone a Cristo e della ribaltamento<br />

che Damasco rappresenta.<br />

Il tempo della maturazione<br />

Dopo l’evento di Damasco Paolo non va a Gerusalemme a trovare gli apostoli per ricevere da<br />

loro la conoscenza del Vangelo. È quello che scrive in Gal 1,16s: “Subito,… senza andare a<br />

Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me…”. Ed è anche quello che suggerisce il<br />

racconto degli Atti. Tutto questo equivale a dire che egli è nella certezza che il Cristo, che gli è<br />

venuto incontro, è il medesimo predicato dagli apostoli. L’evento di Damasco lo mette nella<br />

categoria degli apostoli. Non ne può dubitare. Vediamone i dati.<br />

I dati provenienti da Atti e Galati presentano delle discordanze.<br />

ATTI GALATI<br />

ü Sulla via di Damasco 9,3ss la rivelazione 1,15-16<br />

ü in Arabia 1, 17<br />

ü cieco in casa di Giuda sulla via diritta 9,11<br />

ü incontro con Anania e battesimo 9,17-19a<br />

ü con i discepoli per alcuni giorni 9,19b<br />

ü attività missionaria a Damasco 9,20-22 di nuovo a Damasco 1,17b<br />

259 Cf. Gal 1,21-­‐24; At 9,19-­‐25.<br />

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ü fuga da Damasco per la persecuzione dei<br />

giudei 9,23-25<br />

Ø a Gerusalemme entra in rapporto con i<br />

discepoli per la mediazione di Barnaba<br />

9,26-28<br />

Ø attività di disputa con i giudei ellenisti che<br />

vogliono ucciderlo 9,29<br />

o viene fatto fuggire a Cesarea; da qui a<br />

Tarso 9,30<br />

v Barnaba da Tarso lo conduce ad Antiochia<br />

11,25-26a<br />

v attività missionaria ad Antiochia 11,26b<br />

o viaggio missionario di Paolo e Barnaba<br />

13-14<br />

83<br />

dopo tre anni a Gerusalemme per<br />

quindici giorni con Cefa 1,18<br />

dalle parti della Siria e della Cilicia<br />

1,21<br />

alle parti della Siria e della Cilicia<br />

durante i quattordici anni prima del<br />

secondo viaggio a Gerusalemme<br />

1,21; 2,1<br />

Ø il viaggio a Gerusalemme 15,2 quattordici anni dopo il secondo<br />

viaggio a Gerusalemme 2,1<br />

Pur in una certa unità di quadro, vi è una certa discordanza tra i dati provenienti da Atti e quelli<br />

delle lettere.<br />

ü Damasco è certamente il punto di riferimento del Paolo appena convertito: ciò emerge dai tre<br />

racconti di Atti (9,1-19; 22,3-21; 26,9-18) ed anche da quell’espressione di Gal 1,17 (pa,lin<br />

u`pe,streya eivj Damasko,n).<br />

ü La discordanza emerge sulla prima permanenza in questa città: se essa, cioè, avvenga prima del<br />

suo viaggio in Arabia o dopo<br />

ü At 9 lascia intuire una presenza Damasco per un certo tempo prima con i discepoli poi in una<br />

attività missionaria (9,19: VEge,neto de. meta. tw/n evn Damaskw/| maqhtw/n h`me,raj tina,j)GNT Act<br />

9:20 kai. euvqe,wj evn tai/j sunagwgai/j evkh,russen to.n VIhsou/n o[ti ou-to,j evstin o` ui`o.j tou/ qeou/)).<br />

Successivamente il viaggio a Gerusalemme.<br />

ü Gal 1,16-17 sembra non aver dubbi sulla scelta di Paolo: euvqe,wj ouv prosaneqe,mhn sarki. kai.<br />

ai[mati( ouvde. avnh/lqon eivj ~Ieroso,luma pro.j tou.j pro. evmou/ avposto,louj( avlla. avph/lqon eivj<br />

VArabi,an. Sembra dunque da escludere una permanenza in Damasco. Forse il dato è da valutare<br />

alla luce della lettera ai Galati e della sua polemica: il Vangelo di Paolo non proviene da alcun<br />

uomo né Paolo lo ha appreso da alcuno.<br />

ü Dov’è esattamente l’Arabia?<br />

Arabia in quanto concetto geografico comprende il territorio ad occidente della Mesopotamia,<br />

a est ed a sud della Siria e della Palestina, fino all’istmo di Suez. Nel periodo romano<br />

sorsero dei regni indipendenti come quello dei Nabatei a sud di Damasco, che potrebbe<br />

essere detto semplicemente Arabia (Diodoro Siculo ed altre citazioni) ed è regolarmente<br />

chiamato così da Giuseppe.<br />

ü Cosa fa esattamente Paolo da quelle parti? si dedica alla predicazione e per questo motivo il<br />

governatore del re Areta lo fa espellere? o è un tempo di riflessione e ap<strong>prof</strong>ondimento?


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ü Successivamente all’Arabia vi deve essere stata un’ulteriore permanenza di tre anni (At 9,23:<br />

23 ~Wj de. evplhrou/nto h`me,rai i`kanai,( sunebouleu,santo oi` VIoudai/oi avnelei/n auvto,n\) con<br />

un’attività missionaria che termina per la crescente opposizione dei giudei e la fuga da Damasco<br />

testimoniata anche da 2Cor 11,32-33 per quanto in quest’ultimo testo si parli del governatore<br />

della città ed in Atti no. I giudei possono certamente aver chiesto l’aiuto dell’autorità costituita.<br />

Paolo, dunque, va a Damasco, con gli occhi chiusi, per ricevere Cristo. Non vi si reca più per<br />

distruggere la comunità cristiana, ma per farsi iniziare da essa alla conoscenza di Cristo secondo<br />

quanto gli ha detto il Risorto: “Ma tu alzati e rientra nella città, lì ti sarà detto ciò che devi fare”<br />

(At 9,6); o ancora: “Alzati e proseguì verso Damasco; lì ti sarà detto tutto quello che è stabilito che<br />

tu faccia” (At 22,10). L’ingresso di Paolo nella città di Damasco, è un ingresso nella comunità:<br />

questa comunità, che Paolo, poco tempo prima, perseguitava, lo introduce alla conoscenza di Cristo.<br />

Il ruolo della comunità è tanto importante che uno dei suoi membri, Anania, riceve da Cristo la<br />

missione particolare di integrare Paolo nella comunità 260 . Confidando anche lui nella Parola del<br />

Signore, Anania accetta di battezzare Paolo (At 9,18). In effetti, Paolo, che è stato immerso nella<br />

gloria di Cristo sulla via di Damasco, deve ora essere immerso nel mistero della sua morte e della<br />

sua vita. Il cammino che Cristo gli ha fatto fare non lo dispensa dal cammino che gli fa fare la<br />

Chiesa 261 . Paolo è anche associato al pasto pasquale, sarà il primo a darne il racconto. Anania e la<br />

comunità gli fanno scoprire il cuore della confessione di fede cristiana, cioè Cristo morto e risorto.<br />

È ciò che la comunità ha ricevuto e che ora, sua volta, trasmette fedelmente. E ormai a partire da<br />

questo incontro con Cristo che Paolo si ricostruirà.<br />

Un rinnovamento assoluto, le cui conseguenze costituiscono nella vita di Paolo un punto di<br />

partenza altrettanto assoluto. Nella sede della comunità Paolo trova la conferma della propria<br />

esperienza fuori dal comune. È allora che egli recupera la vista; scopre di avere, nella chiesa, un<br />

posto di cui si dirà sempre indegno. Come Cefa e i Dodici, che hanno visto Cristo risorto, Paolo<br />

testimonierà, a sua volta, la tradizione ricevuta, comune a tutti gli apostoli 262 .<br />

Paolo ha scritto della svolta determinante per la sua vita in Gal 1,16:<br />

- “(Dio) si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” 263 .<br />

- Si ritirò in Arabia e, poi, ritornò a Damasco 264 .<br />

- Tre anni dopo fuggì da Damasco (39 d.C. ca.) e andò a Gerusalemme (Gal 1,18).<br />

- Così nel 36 ca. Paolo, prima fariseo, divenne un cristiano e un “apostolo dei gentili” (Rm<br />

11,13) 265 .<br />

Paolo chiaramente considerava l’esperienza sulla via di Damasco come la svolta nella sua vita<br />

e in questo senso una conversione. Per lui fu un incontro con il Signore risorto (Kyrios), incontro<br />

260 Cf. At 9,10-­‐19; 22,12-­‐16.<br />

261 Nelle sue lettere Paolo avrà occasione di collocare il battesimo nell’ambito della fede. Al tempo della crisi di Corinto<br />

(1Cor 1,10-­‐17; 10,1-­‐2) egli spiegherà che ciò che viene prima è la accettazione del Vangelo: il battesimo non è che una<br />

conseguenza. In seguito, in occasione del dibattito sulla circoncisione, egli richiamerà il significato del battesimo (Rm<br />

6,1-­‐14; Gal 3,27; Col 2,11s).<br />

262 Cf. 1Cor 11,23; 15,3. Tradizione, in greco parádosis, dal verbo paradídōmi che significa “consegnare” e che viene<br />

spesso tradotto con “trasmettere”. Questi termini sono utilizzati nella tradizione farisaica a proposito della torah, ma<br />

prendono senso più forte ancora perché, nel Nuovo Testamento, servono a dire che il Padre consegna il proprio Figlio,<br />

che il Figlio è consegnato da Giuda e che il Vangelo è trasmesso.<br />

263 Questa rivelazione venne dopo una vita nel giudaismo e la persecuzione della chiesa di Dio (1,13; cf. Fil 3,6 e A. J.<br />

HULTGREN, in JBL 95[1976] 97-­‐111).<br />

264 Cf. Gal 1,17. Che la conversione abbia avuto luogo vicino a Damasco si deduce dal verbo ritornò.<br />

265 A seconda di quanto si consideri lungo il controllo da parte di Areta su Damasco, le date della conversione e della<br />

fuga di Paolo vengono calcolate in modo diverso: Lüdemann data la conversione nel 30 o nel 33, la fuga nel 33 o nel 36;<br />

Jewett, invece, data la conversione nel 34 e la fuga nel 37.<br />

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mai dimenticato. Quando il suo apostolato fu successivamente messo alla prova, era solito<br />

chiedersi: “Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro?” (1Cor 9,1; cf. 15,8). La<br />

conseguenza di quella “rivelazione di Gesù Cristo” (Gal 1,12), fu che egli divenne “servitore di<br />

Cristo” (Gal 1,10), con il dovere (avna,gkh, 1Cor 9,16) di predicare il vangelo di Cristo e per questo<br />

si è fatto “tutto a tutti” (1Cor 9,22).<br />

La conversione di Paolo non va considerata come il risultato della condizione umana descritta<br />

in Rm 7,7-8,2, come se quello fosse un racconto autobiografico della sua stessa esperienza. Da<br />

cristiano Paolo guardava indietro alla sua vita di giudeo con una coscienza forte: “Irreprensibile<br />

quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge” (Fil 3,6b). Non fu schiacciato dalla<br />

legge. Le origini psicologiche dell’esperienza di Paolo rimangono in gran parte inaccessibili per<br />

noi, ma in ogni caso c’è stato un rovesciamento o un trasferimento di valori (G. G. Gager) che lo<br />

portarono ad una nuova comprensione di sé come apostolo del vangelo tra i pagani e ad<br />

un’interpretazione , dell’evento-Cristo sotto diverse figure.<br />

Prima di attraversare il Mediterraneo per annunciare il Vangelo, conformemente alla<br />

testimonianza che gli deve ormai al mistero di Cristo, Paolo parte per l’Arabia: “Mi recai in<br />

Arabia…” (Gal 1,17). Là egli interiorizza l’incontro di Damasco. L’Arabia non è una metafora, ma<br />

implica un soggiorno del tutto reale nel sud della Transgiordania che, al tempo, fa parte del regno<br />

nabateo. Il deserto, nella traduzione giudaica, rappresenta più che un luogo di soggiorno, il luogo di<br />

passaggio, di un’esperienza dello spostamento, la scuola della Parola di Dio. Paolo non fornisce<br />

particolari su quanto fa nel corso di questo soggiorno. Se non prova il bisogno di dirlo, è perché la<br />

cosa va da sé. Egli è talmente abitato dall’esperienza inaudita appena fatta sulla via di Damasco che<br />

essa nutre il tempo trascorso nel deserto. L’esperienza gli permette di leggere le Scritture, di cui è<br />

compenetrato, alla luce di Cristo. È tutto il contenuto dell’Antico Testamento che prendono un<br />

rilievo completamente nuovo. Per trovare Cristo, gli basta leggere le Scritture a ritroso. Egli si<br />

appropria, in tal modo, dell’identità di colui che ha combattuto con tanto accanimento e<br />

determinazione, perseguitando coloro, che confessano Gesù come il Signore. Questi tre anni di<br />

maturazione preparano un futuro 266 .<br />

Dopo questo soggiorno nel deserto, Paolo torna a Damasco, a vivere con la comunità cristiana<br />

(Gal 1,17). E presso questa comunità che li scopre la vita e l’opera di Gesù, che all’inizio si è<br />

rivelato lui come Signore. Per dire chiaramente che egli non deve la sua vocazione unica se non<br />

all’appello di Cristo, Paolo sottolinea la sua distanza nei confronti della Chiesa di Gerusalemme:<br />

non andrà a trovare gli apostoli se non nel volgere di 3 anni, dopo il suo ritorno in Arabia e questo<br />

secondo soggiorno a Damasco (Gal 1,17s). Le chiese di Giudea non lo conoscono nemmeno (Gal<br />

1,22), sono soltanto informate del cambiamento radicale avvenuto di lui. Nel corso di questo<br />

266 La conoscenza di Cristo ereditata dalla comunità. Le lettere conservano la traccia di ciò che Paolo riceve dalla<br />

comunità. I titoli dati a Gesù sono ereditati dalla comunità, tanto da quella di Gerusalemme quanto da quella di<br />

Antiochia: “Signore” e “Cristo”. Paolo lega tra loro i due titoli. Il titolo “Figlio di Dio”, invece, è usato meno spesso (1Ts<br />

1,10; Gal 4,4-­‐6); si osserverà che gli Atti usano una sola volta questo titolo e lo metto in bocca Paolo (At 9,20). Paolo non<br />

riporta anche delle parole attribuite Gesù. La più sorprendente di queste parole è quella che Gesù rivolge a Dio: “Abbà,<br />

Padre” (Gal 4,6; Rm 8,15). Egli fa riferimento anche alle parole di Gesù sul matrimonio: “Agli sposati ordino, non io, ma il<br />

Signore: la moglie non si separa dal marito” (1Cor 7,10; cf. Mt 19,1-­‐9; Mc 10,1-­‐12). Egli riprende anche delle espressioni<br />

proprie di Gesù: “Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi perseguitano” (Rm 12,14; Mt 5,44; Lc<br />

6,27s); parlando del ritorno del Signore, egli parla del “giorno che viene come un ladro” (1Ts 5,2; Mt 24,43), o ancora, a<br />

proposito del rispetto dovuto alle autorità, scrive: “Rendete a ciascuno ciò che di dovuto: a chi si devono le tasse date le<br />

tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi rispetta, il rispetto” (Rm 13,7), che richiama il “rendete a<br />

Cesare quello che è di Cesare” (Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25). Paolo evoca l’attesa del ritorno del Signore che la comunità<br />

esprime in aramaico: “Maranatha/Il Signore viene” (1Cor 16,22). È possibile, inoltre, che faccia suoi i testi che sono<br />

frutto di pratiche liturgiche o confessionali cristiane: l’inno di Fil 2,6-­‐11, quello di Col 1,15-­‐20 o anche alcuni frammenti<br />

di inni (Ef 5,14).<br />

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secondo soggiorno dovrà fuggire dalla città, dileguandosi lungo le mura di cinta. Il che<br />

collocherebbe l’inizio del suo ministero verso il 37. Dopodiché egli parla di un passaggio a<br />

Gerusalemme, di cui dice che fu breve, in contrasto con i tre anni, per significare chiaramente che<br />

egli è l’uomo delle nazioni 267 .<br />

A Damasco Paolo scopre che “il figlio di Dio, Gesù Cristo, che non fu sì e no, ma in lui vi fu il<br />

sì. Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono si” (2Cor 1,19-20). Le Scritture si illuminano<br />

prendendo un senso nuovo che rovescia interamente la conoscenza che egli ne aveva.<br />

1.3. L’eredità farisaica rovesciata 268<br />

La potenza del suo pensiero è tale che Paolo è stato presentato come il fondatore del<br />

cristianesimo. In realtà Paolo non inventa né Cristo, né tantomeno la Chiesa. Egli annuncia la<br />

resurrezione, sviluppando le conseguenze umane e cosmiche di questo evento inaudito,<br />

inaspettato 269 . La sua conoscenza di Cristo non gli viene dalla vita quotidiana, che egli avrebbe<br />

condiviso con lui. Non è legata ad una scoperta progressiva fatta in vari contatti con lui, in momenti<br />

di convivialità. Egli non ha preso parte, né da vicino né da lontano, ad alcun evento della vita di<br />

Cristo. Paolo non ha mai incontrato Gesù, benché abbia frequentato Gerusalemme come lui. La<br />

conoscenza che Paolo ha di Cristo è il risultato di un rovesciamento folgorante. Questo, comunque,<br />

non dipende totalmente dalla scienza infusa. Paradossalmente, in questa rottura, Paolo non parte dal<br />

nulla. Prima di Damasco, in quanto fariseo, egli si è fatto delle idee su Cristo. È quello che egli<br />

chiama “conoscerlo secondo la carne” (cf. 2Cor 5,16), in base a ciò che ha sentito dire di lui.<br />

Adesso, alla luce del Risorto, egli fa il cammino inverso. Impara a conoscere Cristo non alla<br />

maniera umana, come faceva prima di Damasco, ma secondo lo Spirito di Dio: “Anche se abbiamo<br />

conosciuto Cristo la maniera umana, ora non lo conosciamo più così” (2Cor 5,16).<br />

Gesù si fa incontro a Paolo<br />

Quando riceve Cristo dalla comunità, gli aspetti che egli combatteva sono rovesciati. Davanti a<br />

lui si aprono orizzonti di senso, veramente inaudito. Alla luce del risorto e del messaggio<br />

evangelico trasmesso dalla comunità, egli rovescia completamente l’Antico Testamento alla luce<br />

dell’annuncio di Cristo.<br />

Dal Maledetto al Benedetto<br />

Fino ad allora Paolo considerava il Cristo crocifisso come maledetto, in base alle affermazioni<br />

di Dt 21,23: “L’appeso è una maledizione di Dio”; era quindi pensabile ch’egli fosse il Messia.<br />

Adesso scopre che, se Cristo è risorto, è perché Dio non lo ha lasciato nella morte. Egli non è il<br />

Maledetto, bensì il Benedetto di Dio, perché la resurrezione lo rivela come il Figlio unico del Padre.<br />

L’unico Giusto<br />

267 Paolo e Qumran. Alcuni hanno pensato che Paolo avesse potuto avere dei contatti con la setta degli esseni a Qumran,<br />

prima o dopo Damasco, a motivo di espressioni comuni agli scritti di Qumran e a certe sue lettere. In realtà, si esistono<br />

delle espressioni comuni provenienti da mondo culturale comune, il significato non è identico, a motivo dei rispettivi<br />

contesti. Così, a titolo di esempio, si può citare “ figli della luce”, espressione che a Qumran designa i discepoli della setta,<br />

mentre nella prospettiva di Paolo la luce fa riferimento a Cristo “luce del mondo”. A Qumran il consiglio della comunità e<br />

paragonato a una “piantagione eterna” o alla “casa della santità”. Simili immagini vengono usate anche da Paolo<br />

proposito della Chiesa (cf. 1Cor 3,5-­‐17).<br />

268 Testi di riferimento: Mt 10,1-­‐4; Mc 3,13-­‐14; Lc 6,12-­‐16; At 1,15-­‐26; 9,10-­‐19; 22,10-­‐16; 1Cor 15,1-­‐11; Gal 1,17-­‐24; 2,1-­‐<br />

21; Fil 3,12-­‐14.<br />

269 La panoramica di questi studi sono stati presentati nel capitolo I, al punto 2.3.: Paolo e Gesù.<br />

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Paolo comprende che il Risorto è l’unico giusto. In effetti, è risorto colui che si è dato al Padre<br />

non mediante l’osservanza della legge, bensì offrendosi sulla croce. Questa scoperta ha provocato<br />

un rovesciamento che contraddice tutto quello che Paolo ha creduto: egli, che cercava di essere<br />

giusto davanti a Dio fino a maledire Cristo in nome della legge, scopre di non poter essere<br />

giustificato se non da Cristo e in Cristo. Il giusto è il Signore, non Paolo. La sua ricerca di giustizia<br />

disarmata e lo affida tutto intero Cristo: “Per me infatti il vivere Cristo” (Fil 1,21). Una simile<br />

scoperta non è solo un faccia a faccia. È un’illuminazione. Anzi, di più: è un principio di<br />

trasformazione che permette di entrare in comunione con Dio: Paolo la chiamerà giustificazione 270 .<br />

Senza Legge, nella fede<br />

Quello che Paolo cercava di tenere nella legge gli viene dato da un Altro. Scopre che non può<br />

nulla senza Cristo. Egli considera tutto spazzatura e accetta di perdere tutto. Anzi, ritengo “che tutto<br />

sia una perdita motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil 3,8).<br />

Tutti i vantaggi che la legge rappresenta, egli sacrifica: non sono più vantaggi di utilità. Paolo è<br />

andato tanto avanti nell’idea di potersi salvare da se stesso che, quando scopre l’abisso che lo separa<br />

da Gesù, non può altro che essere spossessato di se stesso (cf. Gal 2,20). Comprende, allora, che la<br />

legge gli ha nascosto Cristo. La giustizia ch’egli cercava è Cristo: nient’altro che nessun altro. Gli<br />

sforzi che ha fatto per essere fedeli alla legge ed il suo zelo accanito nel sostenere le tradizioni dei<br />

padri (Gal 1,14), ormai per lui sono del tutto vani. Poiché, ormai, Paolo sa che cosa significa<br />

contare sulle opere, potrà spiegare, dopo aver lungamente maturato, ciò che implica liberarsi delle<br />

opere, nella Lettera ai Galati e nella Lettera ai Romani.<br />

L’unico Signore<br />

Se in Gesù risorto Paolo riconosce il Signore, è certamente per mezzo dello Spirito, come egli<br />

affermerà: “Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire<br />

Gesù è anatema! E nessuno può dire: Gesù è il Signore! Se non sotto l’azione dello Spirito Santo”<br />

(1Cor 12,3). Egli riconosce che “Dio gli [a Gesù] donò il nome che al di sopra di ogni nome, perché<br />

nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra sottoterra, e ogni lingua proclami:<br />

Gesù Cristo Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-11). Ormai il suo unico desiderio sarà quello<br />

di “conoscere lui, la potenza della sua resurrezione, la comunione alle sue sofferenze” (Fil 3,10).<br />

Conoscerlo dipende dallo Spirito e porta ad una nuova sapienza (1Cor 2). Partecipare alle sue<br />

sofferenze significa rifiutare tutto ciò che potrebbe esimere da Cristo (cf. Fil 3,10). Se, quindi,<br />

Paolo vuole seguirlo, dovrà passare per le vie della passione “nella speranza di giungere alla<br />

resurrezione dei morti” (Fil 3,11).<br />

La sollecitudine per le chiese<br />

Nell’udire la voce dirgli sulla via di Damasco: “Io sono Gesù Nazareno che tu perseguiti” (At<br />

22,8), Paolo fa il collegamento tra i cristiani ed il Signore. Perseguitare i cristiani equivale a<br />

perseguitare il Signore. Da persecutore accanito che era, diventerà colui che si prodiga senza misura<br />

270 Non si dà dicotomia tra l’appartenenza giudaica di Paolo e la sua cultura. Paolo rimane giudeo per la cultura. Non<br />

rinnega mai le proprie leggi. La separazione tra cristianesimo e giudaismo non risale a Paolo, ma si colloca molto dopo il<br />

70. Per Paolo non si dà rottura tra il giudaismo la sequela di Cristo. Egli eredita un mondo greco-­‐ellenistico con le<br />

Scritture, con la sua lingua, il greco. Utilizzerà questa eredità per comprendere che cosa il mistero cristiano rappresenta.<br />

Si potrebbe dire che egli opera il passaggio tra l’Antico Testamento ed il Nuovo Testamento.<br />

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per tutte le chiese. Una tale presa di coscienza è all’origine della sua comprensione della Chiesa<br />

come corpo di Cristo che si svilupperà in seguito 271 .<br />

Il Vangelo delle nazioni<br />

Damasco non fa di Paolo un saggio che si consacra d’ora in, poi, alla meditazione. Paolo<br />

prende progressivamente coscienza che la conoscenza che egli riceve deve essere comunicata a tutti<br />

perché vale per tutti: “A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia:<br />

annunziare le genti le impenetrabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8). Quel Cristo risorto che lui ha<br />

scoperto gli ha conferito la missione di annunciarla a tutte le genti: “Quando Dio, che mi scelse fin<br />

dal seno di mia madre mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il figlio suo<br />

perché lo annunziasse in mezzo alle genti” (Gal 1,15). Di qui il nome di apostolo delle nazioni o<br />

delle genti che gli è stato dato (cf. Ger 1,5).<br />

Paolo colloca la sua vocazione-missione nel disegno di Dio, il cui mistero dell’essere rivelato<br />

tutta l’umanità. Questo incontro, unico nella storia, fonda la sua missione: “Infatti annunziare il<br />

Vangelo non è per me un vanto, perché una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio<br />

il Vangelo” (1Cor 9,16). L’apertura alle nazioni è all’opposto di ciò che Paolo riteneva prima, lui<br />

che metteva il proprio zelo nel difendere l’alleanza contro l’indegnità degli altri popoli.<br />

La storicità del suo ministero<br />

Dopo l’evento di Damasco Paolo si presenta come apostolo di Cristo: “Io infatti sono il più<br />

piccolo tra gli apostoli non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la<br />

Chiesa di Dio” (1Cor 15,9). Scrivendo queste cose, Paolo non manifesta un complesso di<br />

inferiorità. Egli non è un apostolo da scarto non si nasconde sotto la falsa modestia. Parlando di sé<br />

in questi termini, egli esprime un paradosso. È inserito nella comunità apostolica in un modo che<br />

non corrisponde ai criteri di appartenenza al corpo apostolico. In effetti, ciò che costituisce gli<br />

apostoli è l’essere stati scelti da Gesù durante la sua esistenza terrena, l’aver vissuto con lui è l’aver<br />

avuto il privilegio delle apparizioni 272 . Quando gli apostoli si trovano in 11, dopo gli eventi della<br />

passione della resurrezione, ritengono necessario sostituire Giuda. Lo fanno secondo due criteri:<br />

aver condiviso la vita di Gesù, essere testimone della sua resurrezione e delle apparizioni (At 1,21-<br />

26).<br />

Ma Paolo è integrato nel gruppo degli apostoli in maniera del tutto originale a motivo della<br />

chiamata singolare che egli ha ricevuto. Non sono i 12 guidati dallo spirito a decidere di integrare<br />

Paolo. E non è neanche Paolo che si inserisce nel loro gruppo. Egli si impone loro, non per sua<br />

propria volontà, bensì per la forza dell’evento, che lo ha colpito. Apostolo, comunque, egli lo è nel<br />

senso pieno del termine come lo sono coloro che, a Gerusalemme, erano apostoli prima di lui (Gal<br />

1,7). Apostolo egli lo è “non da parte di uomini, né per mezzo di uomo” (Gal 1,1). Non lo è per suo<br />

desiderio, né per decisione di una comunità, ma “per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha<br />

risuscitato dai morti” (Gal 1,1). Egli è scelto, inviato da Cristo, che gli appare sulla via di Damasco<br />

di cui, d’ora in poi, deve essere il testimone. È in base a questo evento che egli rivendica la sua<br />

271 L’immagine dell’atleta simboleggia il rapporto con Cristo (cf. Fil 3,12-­‐14). Paolo abbandona se stesso per andare<br />

davanti a qualcuno che per prima venuto verso di lui. È afferrato dall’interno, spossessato di se stesso nell’amore che<br />

Cristo li dimostra. Si slancia verso di lui. La metafora dell’atleta gli suggerisce la prospettiva di un premio da ottenere.<br />

Arrivare al traguardo o ad ottenere il premio non è in funzione dell’osservanza della legge. Paolo utilizza di nuovo<br />

questa immagine in 1Cor 9,24-­‐27.<br />

272 Mt 10,1-­‐4; Mc 3,13-­‐19; Lc 6,12-­‐16.<br />

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autorità: “Non sono forse libero, io? Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù Cristo,<br />

Signore nostro?” (1Cor 9,1) 273 .<br />

Essere apostolo significa essere testimone di Cristo risorto. Paolo è uno come gli altri apostoli,<br />

Paolo dipende interamente dalla scelta di Gesù. La differenza sta nella modalità grazie alle quali<br />

egli viene abilitato ad annunciare la buona notizia, modalità che gli conferisce un posto particolare<br />

nel gruppo degli apostoli. Egli viene riconosciuto da loro per il tramite di Cefa e Giacomo (Gal<br />

1,18). La sua missione non differisce in nulla dalla loro: “Sia io che loro, così predichiamo così<br />

avete creduto” (1Cor 15,11). Il suo ministero, tuttavia, verrà spesso contestato dai suoi avversari 274 .<br />

Paolo dovrà sempre rivendicare la sua autorità e farla valere sulla base della chiamata particolare<br />

che ha ricevuto. Comunque, questa chiamata non lo dispensa dalla conoscenza che gli viene data<br />

della Chiesa.<br />

Paolo, testimone del Risorto<br />

L’evento di Gesù è tale che gli apostoli sono chiamati ad essere testimoni oculari della storicità<br />

della vita di Gesù e di ciò che gli insegnò. Poiché la resurrezione fa entrare nella filiazione, essa è<br />

tanto importante quanto la storicità della vita di Gesù. Ci vuole, quindi, qualcuno che, da testimone<br />

del Risorto, sia chiamato a sviluppare le conseguenze della resurrezione per ogni uomo e per la<br />

totalità della storia. La sua missione singolare ha una portata universale. Egli non trova Cristo, è<br />

Cristo che va a lui. Paolo, come gli apostoli, ha un compito specifico, quello di dire delle cose che<br />

non sono stata mai dette da Gesù e su di lui, e che fanno, comunque, parte integrante di ciò che<br />

Cristo è. Simili luci sul Risorto gli vengono date, come del resto accade anche gli altri apostoli,<br />

dallo spirito di Dio. Il che gli fa dire: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16) 275 .<br />

In seguito all’incontro di Damasco, Paolo beneficia del mistero che lo autorizza ad annunciare<br />

la ricchezza ed a svilupparne la sorprendente novità. Come egli ha scritto: “A me, che sono l’ultimo<br />

fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di<br />

Cristo, illuminare tutti sull’attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio” (Ef 3,8s). È questa la<br />

missione che lo spinge ad intraprendere grandi viaggi per diffondere la buona notizia, a mettere,<br />

senza dubbio, per iscritto l’esortazione a rispondere a quell’Amore che la fede suscita.<br />

2. MISSIONARIO CRISTIANO<br />

2.1. Per una cronologia paolina<br />

Due fonti principali: a) i passi delle sue lettere autentiche 276 ; b) Atti degli apostoli 277 ; c) alcuni<br />

passi delle lettere di scuola paolina, secondo alcuni critici, sono di valore discutibile e possono<br />

273 Ci sono altri titoli con i quali Paolo designa il suo ministero: “Amministratore dei misteri di Dio” (1Cor 4,1); “Ministro<br />

di Gesù Cristo” (Rm 15,16); “Servo/schiavo di Cristo” (Rm 1,1; Gal 1,10; Fil 1,1; Col 1,25; Ef 3,7); “Prigioniero di Cristo” (Fil<br />

1,7; Ef 3,1; 4,1; Fm 1.9); “ambasciatore del vangelo” (Ef 6,20).<br />

274 Cf. 1Cor 3-­‐4; 9; 2Cor 4-­‐6; 10-­‐12; Gal 1-­‐2.<br />

275 Pietro e Paolo. Paolo è riconosciuto dagli apostoli, e anche da Pietro. Egli riconosce l’autorità di Pietro. Lo nomina<br />

sempre per primo (1Cor 15,5; Gal 1,18). È Pietro ad incontrarsi per primo con lui, prima degli altri apostoli (Gal 1,18),<br />

mentre gli altri apostoli vengono situati in base al loro rapporto con Pietro. Paolo non esita rimettere al suo posto Pietro<br />

(Gal 2,11-­‐14). Pietro, da parte sua, farà riferimento a Paolo: 1Pt 3,15s. Pietro ha scelto di dissociarsi dagli osservanti e di<br />

applicare i principi della legge mosaica, Paolo lo confina definitivamente nell’ambiente palestinese di cultura aramaica.<br />

Lo chiamerà sempre con il suo nome aramaico, Cefa (Gal 1,18; 2,9.11.14; 1Cor 1,12; 3,22; 9,5; 15,5). Da tutto questo<br />

deriva il giudizio di Paolo su Pietro: egli è l’apostolo di giudei, mentre Paolo apostolo delle nazioni.<br />

276 1Ts 2,1-­‐2.17-­‐18; 3,1-­‐3a; Gal 1,13-­‐23; 2,1-­‐14; 4,13; Fil 3,5-­‐6; 4,15-­‐16; 1Cor 5,9; 7,7-­‐8; 16,1-­‐9; 2Cor 2,1.9-­‐13; 11,7-­‐9.23-­‐<br />

27.32-­‐33; 12,2-­‐4.14,21; 13,1.10; Rm 11,1c; 15,19b.22-­‐32; 16,1.<br />

277 At 7,58; 8,1-­‐3; 9,1-­‐30; 11,25-­‐30; 12-­‐25; 13,1-­‐28,31.<br />

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essere usati soltanto come sostegno a ciò che si conosce dalle altre fonti. Le due fonti non sono di<br />

uguale valore. Per alcuni predominanza delle lettere autentiche. 278 Gli Atti sono inficiati di una<br />

certa ricostruzione teologica. Possiamo distinguere le tappe principali della vita di Paolo 279 . La<br />

scarsità di fonti per il periodo che segue Paolo e la testimonianza contenuta in Atti e nelle lettere. La<br />

valutazione delle fonti e il loro contributo ad una ricostruzione storica.<br />

Le Fonti neotestamentarie<br />

Sono fondamentale per la ricostruzione storica del periodo preso in esame ma anche<br />

estremamente frammentarie. Se si prescinde dalle lettere di Paolo, che contengono precisi<br />

riferimenti alle situazioni in cui furono scritte, per il resto si naviga nel buio. Anche gli stessi Atti<br />

risultano frammentari pur nel tentativo di tracciare una storia continua delle origini.<br />

La cronologia degli scritti neotestamentari:<br />

∗ lettere di Paolo tra il 50 ed il 60<br />

∗ vangeli sinottici tra il 60 e l’80<br />

∗ Atti degli Apostoli intorno all’80<br />

∗ lettera agli Ebrei prima del 70<br />

Gli Altri scritti cristiani<br />

Prima lettera di Clemente; Lettere di Ignazio; Lettera di Barnaba; Il pastore di Erma; La<br />

Didachè.<br />

Atti degli Apostoli<br />

Fase iniziale<br />

La prima apparizione pubblica id Paolo ha luogo in occasione del martirio di Stefano (7,58).<br />

Subito dopo ha inizio la sua attività di persecutore (8,3; 9,1-2), che si conclude con la conversione e<br />

l’inizio della predicazione a Damasco. Da questa città egli è costretto a fuggire in modo<br />

avventuroso, e dopo aver soggiornato per un certo tempo a Gerusalemme, si ritira a Tarso (9,26-30).<br />

In seguito Paolo è introdotto da Barnaba nella comunità di Antiochia (11,25-26); con lui va una<br />

seconda volta a Gerusalemme per portarvi una colletta (11,28-30).<br />

Fase successiva<br />

Viene descritta secondo lo schema dei tre viaggi missionari. Anzitutto egli si reca a Cipro e in<br />

seguito percorre le regioni meridionali dell’Anatolia (13-14); dopo l’assemblea di Gerusalemme<br />

(15,1-35), raggiunge la Grecia e fonda le comunità di Filippi, Tessalonica, Berea e Corinto (15,36-<br />

18,17). Infine di stabilisce ad Efeso, da dove poi va a Corinto e di lì fa ritorno a Gerusalemme<br />

(18,23-21,16). Qui è arrestato dai romani, i quali lo trasferiscono a Roma per essere processato dal<br />

tribunale imperiale (21,17-28,31).<br />

278 J. KNOX, D. W. RIDDLE, R. JEWETT, G. LÜDEMANN, J. MURPHY-­‐O’CONNOR, ed altri hanno provato ad elaborare un vita di Paolo<br />

soltanto con la cronologia delle sue lettere, evitando riferimenti presi dagli Atti, salvo, poi, accogliere alcuni dati<br />

indispensabili (comparizione davanti a Gallione [18,12]; soggiorno di Paolo a Corinto per 18 mesi [18,11]; o Listra come<br />

città d’origine di Timoteo [16,2-­‐3]).<br />

279 Bisogna ammettere che un quadro completo della vita di Paolo, almeno a partire dal momento in cui aderì alla fede<br />

cristiana, è fornito soltanto dagli Atti. Anche le lettere, però, presentano una certa successione di avvenimenti in base<br />

alla quale si possono delineare le fasi essenziali della sua attività apostolica.<br />

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Indicazioni ulteriori<br />

Le indicazioni successive sono poche ed estremamente vaghe. Al momento dell’uccisione di<br />

Stefano Paolo era giovane (8,58), aveva cioè circa 25-30 anni; egli restò parecchi giorni a Damasco<br />

(9,23); per un anno intero svolge la sua attività ad Antiochia in compagnia di Barnaba (11,26);<br />

prima di ripartire con Sila per il secondo viaggio di ferma alcuni giorni ad Antiochia (15,36). A<br />

Corinto rimane un anno e mezzo (18,11) e poi ancora parecchi giorni dopo la comparsa davanti a<br />

Gallione (18,18). Durante il terzo viaggio si ferma due anni ad Efeso (19,10), ma dal discorso<br />

rivolto agli anziani di quella città risulta che vi è rimasto per tre anni (24,27). Infine rimane altri<br />

due anni a Roma in attesa del processo (28,30).<br />

Riporto in un quadro sinottico i dati che emergono dal testo di Atti:<br />

11,26 un anno di permanenza di Paolo con Barnaba ad Antiochia: kai. eu`rw.n h;gagen eivj<br />

VAntio,ceian) evge,neto de. auvtoi/j kai. evniauto.n o[lon sunacqh/nai evn th/| evkklhsi,a| kai.<br />

dida,xai o;clon i`kano,n( crhmati,sai te prw,twj evn VAntiocei,a| tou.j maqhta.j Cristianou,j)<br />

11,27 la carestia al tempo di Claudio VEn tau,taij de. tai/j h`me,raij kath/lqon avpo.<br />

~Ierosolu,mwn <strong>prof</strong>h/tai eivj VAntio,ceian\ avnasta.j de. ei-j evx auvtw/n ovno,mati {Agaboj<br />

evsh,manen dia. tou/ pneu,matoj limo.n mega,lhn me,llein e;sesqai evfV o[lhn th.n oivkoume,nhn\<br />

h[tij evge,neto evpi. Klaudi,ou) Claudio fu imperatore dal 41 al 54.<br />

12,20-23 morte di Agrippa preceduta da quella di Giacomo di Zebedeo<br />

17,2 soggiorno a Tessalonica<br />

18,1-18 soggiorno di Paolo a Corinto. I seguenti dati<br />

∗ v. 2: Paolo incontra qui Aquila e Priscilla provenienti da Roma dopo la cacciata<br />

dei Giudei da parte di Claudio (circa 50 d.C.). kai. eu`rw,n tina VIoudai/on ovno,mati<br />

VAku,lan( Pontiko.n tw/| ge,nei( prosfa,twj evlhluqo,ta avpo. th/j VItali,aj kai.<br />

Pri,skillan gunai/ka auvtou/ dia. to. diatetace,nai Klau,dion cwri,zesqai pa,ntaj<br />

tou.j VIoudai,ouj avpo. th/j ~Rw,mhj( prosh/lqen auvtoi/j<br />

∗ v. 11: la permanenza di un anno e mezzo a Corinto. VEka,qisen de. evniauto.n kai.<br />

mh/naj e]x dida,skwn evn auvtoi/j to.n lo,gon tou/ qeou/)<br />

∗ v. 12: Gallione proconsole dell’Acaia Galli,wnoj de. avnqupa,tou o;ntoj th/j<br />

VAcai


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Le Lettere<br />

Le indicazioni autobiografiche contenute nella lettera ai Galati permettono di stabilire la<br />

seguente successione di avvenimenti: conversione, soggiorno in Arabia e ritorno a Damasco (Gal<br />

1,15-17); dopo tre anni visita a Gerusalemme, incontro con Pietro e successiva attività in Siria e<br />

Cilicia (1,18-21). Quattordici anni dopo, non è chiaro se a partire dalla conversione o dalla prima<br />

visita a Gerusalemme, ha luogo un secondo viaggio nella città santa, durante il quale l’apostolo si<br />

incontra con Pietro, Giacomo e Giovanni; subito dopo Paolo si trova ad Antiochia, dove ha luogo lo<br />

scontro con Pietro (2,11).<br />

Questi i dati della Lettera ai Galati:<br />

1,15-17 la vocazione<br />

1,18 dopo tre anni per la prima volta a Gerusalemme: :Epeita meta. e;th tri,a avnh/lqon eivj<br />

~Ieroso,luma i`storh/sai Khfa/n( kai. evpe,meina pro.j auvto.n h`me,raj dekape,nte\<br />

2,1 dopo (altri) 14 anni al « concilio apostolico »: :Epeita dia. dekatessa,rwn evtw/n pa,lin<br />

avne,bhn eivj ~Ieroso,luma meta. Barnaba/( sumparalabw.n kai. Ti,ton\<br />

Altre informazioni<br />

1Ts rivela un periodo di attività in Macedonia e in Acaia (1Ts 1,7-8), con soste a Filippi (2,2),<br />

Tessalonica ed Atene (3,1); dalle due lettere ai Corinzi appare, invece, che Paolo, dopo aver<br />

evangelizzato Corinto, si fermò per un certo tempo ad Efeso (16,8), da dove raggiunse la<br />

Macedonia (2Cor 2,13; 7,5). Quando scrive Rm si trova con ogni probabilità a Corinto (Rm 16,23;<br />

cf. 1Cor 1,14) e sta per intraprendere un viaggio verso Gerusalemme (il terzo?), al termine del quale<br />

intende recarsi a Roma e poi in Spagna (Rm 15,25-26). Infine Gal rivela che ha evangelizzato la<br />

Galazia in un periodo imprecisato, in occasione di una malattia (Gal 4,13).<br />

Questi i riferimenti appena citati:<br />

1Ts 1,7-8 è ricordata l’attività in Macedonia ed in Acaia: 7 w[ste gene,sqai u`ma/j tu,pon pa/sin toi/j<br />

pisteu,ousin evn th/| Makedoni,a| kai. evn th/| VAcai


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Gli Atti descrivono, dunque, un susseguirsi di avvenimenti, ma indicano solo in modo piuttosto<br />

vago ed incompleto il tempo che li separa l’uno dall’altro.<br />

Le lettere documentano l’attività di Paolo sia in Anatolia che in Grecia, ma non dicono se essa<br />

è avvenuta prima o dopo la seconda visita a Gerusalemme menzionata in Gal 2,1. Paolo, infatti,<br />

ricorda solo che prima di questa visita ha svolto la sua attività in Arabia (Gal 1,17) e Siria e Cilicia<br />

(Gal 1,21). Dall’altra parte, afferma che in quella occasione non ha ceduto alle pressione dei falsi<br />

fratelli: “perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi” (Gal 2,5). Ciò<br />

potrebbe significare che allora aveva già evangelizzato la Galazia, e forse anche la Macedonia e<br />

l’Acaia.<br />

2.2. Gli eventi databili<br />

Una cronologia relativa può essere trasformata in assoluta solo se in essa compaiono almeno<br />

alcuni eventi conosciuti per altra via, ai quali è possibile attribuire una data precisa. Di fatto gli Atti<br />

e le lettere paoline accennano ad alcuni avvenimenti che in teoria dovrebbero essere noti e quindi<br />

facilmente databili. Purtroppo, però, alcuni di essi non sono verificabili in base a fonti sicure: è<br />

questo il caso della carestia in occasione della quale Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme le<br />

collette fatte ad Antiochia (At 11,27-30) e del proconsolato di Sergio Paolo a Cipro (At 13,7). Altri,<br />

invece, sono noti, ma la loro datazione risulta in gran parte problematica.<br />

L’etnarca del re Areta<br />

Secondo gli Atti, dopo la conversione di Paolo dovette lasciare Damasco calandosi dalle mura<br />

per sfuggire ad un complotto ordito contro di lui dai giudei (At 9,23-25). Paolo stesso ricorda<br />

questo episodio, ma con diverse modalità: “A Damasco il governatore (lett. Etnarca) del re Areta<br />

montava la guardia alla città dei damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato per il<br />

muro in una cesta e così sfuggì dalle sue mani” (2Cor 11,32-33). Questo importante riferimento<br />

storico suscita difficoltà quasi insormontabili. L’apostolo allude certamente ad Areta IV, re dei<br />

nabatei, il quale regnò dal 9 a. C. fino al 40 d. C. La presenza di un rappresentante di questo re a<br />

Damasco è, però, difficilmente spiegabile, in quanto la città era stata occupata dai romani fin dal<br />

tempo di Pompeo (63 a.C.). Siccome non sono state trovate a Damasco monete che portino l’effigie<br />

degli imperatori Caligola e Claudio (37-54 d. C.), è stata avanzata l’ipotesi che alla morte di Tiberio<br />

(37 d. C.) la città fosse caduta nuovamente in possesso dei nabatei, ma ciò non è provato.<br />

È, dunque, impossibile utilizzare l’episodio narrato da Paolo per stabilire la data della sua<br />

conversione al cristianesimo. Tutt’al più si può far ricorso ad esso per escludere che sia avvenuta<br />

dopo il 40, l’anno cioè della morte di Areta IV.<br />

L’editto di Claudio<br />

Secondo gli Atti, a Corinto Paolo incontrò Aquila e Priscilla, una coppia di giudei, forse già<br />

cristiani, i quali avevano lasciato la capitale dell’impero: “in seguito all’ordine di Claudio che<br />

allontanava da Roma tutti i giudei” (At 18,2). Di questo editto parla anche lo storico romano<br />

Svetonio, secondo il quale: “Claudio espulse da Roma i giudei che tumultuavano continuamente<br />

per istigazione di Cresto” (Vita Claudii, 25). A questo fatto, ignorato sia da Giuseppe Flavio che da<br />

Tacito, sembra alludere Dione Cassio (vissuto tra il II ed il III secolo), il quale precisa, però, che<br />

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Claudio non scacciò i giudei da Roma, “ma ordinò loro di non tenere riunioni” (Historia romana<br />

60,6,6). L’intervento di Claudio (che regnò dal 41 al 54) viene solitamente collocato, a partire da<br />

Paolo Orosio, uno storico cristiano del V secolo, nell’anno nono del suo governo, cioè nel 49.<br />

Dione Cassio parla, invece, di un fatto avvenuto all’inizio del regno di Claudio, e cioé nel 41. Se<br />

effettivamente Dione Cassio si riferisce allo stesso evento ricordato da Svetonio, la sua datazione<br />

sarebbe forse da preferirsi a quella basata su Orosio.<br />

Il proconsole Gallione<br />

Secondo At 18,12, durante la sua prima permanenza a Corinto Paolo fu accusato dai giudei<br />

davanti al proconsole romano Lucio Giunio Gallione, fratello del filosofo Seneca. La data precisa<br />

del proconsolato di Gallione in Acaia non è nota, ma si può ricavare con una certa approssimazione<br />

dall’iscrizione di Delfi, una lapide scoperta in questa città nel 1905. In essa Claudio, dopo aver<br />

menzionato il fatto di essere stato proclamato imperatore per la 26 a volta, risponde ad alcuni quesiti<br />

che gli aveva posto Gallione, “suo amico e proconsole”. Dal confronto con altro materiale<br />

epigrafico risulta che la 26 a acclamazione imperiale di Claudio ebbe luogo tra gennaio e agosto del<br />

52. Siccome il proconsole durava un anno a partire da aprile, il rescritto di Claudio può essergli<br />

pervenuto all’inizio o alla fine del suo mandato: nel primo caso Gallione fu proconsole dal 52 al 53,<br />

altrimenti nel 51/52.<br />

Di queste due possibilità è più probabile la seconda, in quanto Claudio rispose in base ad<br />

informazioni che egli in precedenza gli aveva inviato. In questo periodo, probabilmente agli inizi<br />

del 52, Paolo venne, dunque, accusato di fronte al proconsole dell’Acaia, Gallione.<br />

Vediamo meglio i dati riferentesi all’iscrizione di Delfi:<br />

Essa contiene il nome di L. Iunius Gallio, proconsole dell’Acaia quando Paolo si trovava a<br />

Corinto 280 . Il testo italiano dell’iscrizione suona così:<br />

“Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, nella [XII] tribunizia potestà, acclamato<br />

imperator 26 volte, padre della patria, [saluta <strong>–</strong> <strong>–</strong> <strong>–</strong>]. Già prima nei confronti della città di<br />

Delfi ero non solo [ben disposto, ma anche sollecito] del (suo) destino, e osservai sempre il<br />

culto di Apollo [Pizio; e poiché] ora si dice che la città è priva anche di cittadini, come [mi<br />

riferì poco fa L.] Giunio Gallione mio amico e proconsole, [<strong>–</strong> <strong>–</strong> <strong>–</strong> i Delfi] avranno ancora<br />

[intatto] il passato [decoro, ordino <strong>–</strong> <strong>–</strong>] di chiamare da altre città [a Delfi degli ingenui come<br />

nuovi residenti e [di assegnare loro e [ai loro discendenti di avere tutti] i privilegi [che hanno i<br />

Delfi] come cittadini [in condizione di parità]; se infatti [<strong>–</strong> <strong>–</strong> <strong>–</strong>] qualcuno si è trasferito come<br />

cittadino in questi luoghi [<strong>–</strong> II.12-16 <strong>–</strong>] ordino, affinché [<strong>–</strong> <strong>–</strong> <strong>–</strong>], come conviene, non sia<br />

oggetto di contestazione [nessuna] delle disposizioni scritte su di esso”.<br />

Tiberio concede che venga trasferita popolazione in questa città: ciò probabilmente a causa di<br />

uno spopolamento dovuto alla carestia verificatasi in Grecia nel nono anno di Claudio (49-50). È<br />

proconsole dell’Acaia Gallione. La datazione è data dalla notazione iniziale che parla della<br />

ventiseiesima acclamazione imperiale; confrontando altro materiale archeologico e letterario si può<br />

desumere che “la 26a sia da collocare nell’anno della 12a potestà tribunizia, fra 25.1.52 e<br />

1.8.52” 281 . Poiché i proconsoli duravano in carica un anno ed il loro mandato in genere iniziava in<br />

primavera-estate, “si può ritenere che il personaggio avesse ricoperto la carica nell’anno<br />

primavera 51-estate 52” 282 .<br />

280 L. BOFFO, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Paideia, Brescia 1994, 247-­‐256.<br />

281 L. BOFFO, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Paideia, Brescia 1994, 250.<br />

282 L. BOFFO, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Paideia, Brescia 1994, 251.<br />

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In rapporto a questi dati come può essere valutato cronologicamente il periodo di un anno e<br />

mezzo di Paolo a Corinto? Emergono i seguenti dati:<br />

1. è probabile che gli avversari di Paolo abbiano ap<strong>prof</strong>ittato dell’ingresso del nuovo proconsole<br />

per tentare di estorcere una condanna e che, perciò, l’episodio riportato in At 18,12-17 sia da<br />

porre nei primi mesi del proconsolato ovvero nella tarda estate del 51;<br />

2. il v. 11 parla un anno e sei mesi: è il periodo complessivo della permanenza a Corinto, e<br />

quindi comprendente anche i h`me,raj i`kana.j di At 18,18, od è il periodo precedente la<br />

comparsa dinanzi a Gallione e quindi bisogna aggiungere ad esso anche il non meglio<br />

precisato periodo successivo di 18,18?<br />

3. lo storico Orosio riferisce che “anno eiusdem nono [25.1.49 - 24.1.50] expulsos per Claudium<br />

urbe Iudaeos Iosephus refert” 283 ; ciò porterebbe il periodo di arrivo di Paolo a Corinto<br />

nell’inverno 49/50 e ivi egli incontra Aquila e Priscilla. In questo senso allora l’anno e mezzo<br />

indica il periodo dall’arrivo sino alla comparsa dinanzi a Gallione.<br />

I procuratori romani<br />

Secondo gli Atti, giunto a Gerusalemme Paolo fu arrestato dai romani e condotto a Cesarea,<br />

dove comparve davanti al procuratore romano Antonio Felice (cf. At 23,24) e al suo successore<br />

Porcio Festo (cf. At 24,1-7). La data di questo avvicendamento nel governo della Giudea può essere<br />

dedotto da Giuseppe Flavio, secondo il quale Felice dopo essere stato richiamato a Roma fu<br />

accusato dai giudei di Cesarea, ma fu prosciolto dall’accusa grazie all’intervento di suo fratello<br />

Pallante. Per ottenere ciò, Pallante doveva essere ancora molto influente a corte. Ora si sa che egli<br />

cadde in disgrazia prima dell’avvelenamento di Britannico, figlio di Claudio, che, stando alla<br />

testimonianza di Tacito, avvenne alla fine del 55: la destituzione di Felice deve, dunque, essersi<br />

verificata precisamente nel corso di quell’anno, non molto tempo dopo l’ascesa al trono di Nerone<br />

(13 ottobre 54). Ne segue che il trasferimento di Paolo a Roma sarebbe da collocare nello stesso<br />

anno.<br />

Non tutti gli studiosi sono, però, d’accordo con questa ipotesi. Se essa rispondesse a verità, il<br />

governo di Felice sotto l’imperatore Nerone sarebbe durato solo un tempo brevissimo; ma ciò è<br />

improbabile, poiché gli avvenimenti collocati da Giuseppe Flavio in questo periodo richiedono un<br />

tempo più lungo. Inoltre non è escluso che Pallante sia rimasto influente malgrado la sua<br />

destituzione. Perciò il richiamo di Felice potrebbe essere avvenuto qualche anno dopo l’ascensione<br />

al trono di Nerone, cioè tra il 58 ed il 60. La data dell’imprigionamento di Paolo a Cesarea rimane,<br />

dunque, incerta.<br />

I dati cronologici presenti negli Atti e nell’epistolario paolino non permettono di elaborare una<br />

cronologia assoluta sufficientemente completa e sicura. Si assiste, perciò, al moltiplicarsi di ipotesi<br />

spesso contrastanti. Ma, mentre le soluzioni tradizionali propongono con alcune varianti uno<br />

schema comune, quelle più recenti mettono in discussione la successione stessa degli eventi che<br />

solitamente viene data per scontata.<br />

283 PAOLO OROSIO, Historiarum adversus paganos libri septem, 7.6.15.<br />

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Cronologia tradizionale<br />

Le cronologie tradizionali utilizzano soprattutto gli Atti, completandoli con i dati forniti dalle<br />

lettere 284 . Nella cronologia diventata ormai classica, l’anello portante è rappresentato dall’incontro<br />

con il proconsole Gallione. Se si ammette che quando fu deferito al suo tribunale all’inizio del 52,<br />

Paolo era alla fine del soggiorno di 18 mesi a Corinto, il suo arrivo in questa città dev’essere<br />

collocato verso la metà o la fine del 50. Questa datazione verrebbe confermata dal fatto che a<br />

Corinto egli incontra Aquila e Priscilla, i quali avrebbero lasciato Roma nel 49, data che<br />

tradizionalmente viene assegnata all’editto di Claudio. Di conseguenza bisogna ritenere che il<br />

concilio di Gerusalemme (At 15; Gal 2,1) abbia avuto luogo nel 49. Si può, quindi, collocare la<br />

conversione di Paolo, avvenuta circa 14 anni prima (Gal 2,1), agli inizi del 36. Ma è possibile che ai<br />

14 anni che precedettero la seconda visita a Gerusalemme si debbano aggiungere i tre antecedenti la<br />

prima (Gal 1,18). In questo caso Paolo sarebbe diventato cristiano nel 33. In definitiva la sua<br />

conversione si deve collocare tra il 32 ed il 36 285 , ed in ogni caso non oltre il 40, poiché in<br />

quell’anno moriva il re Areta IV.<br />

L’anno della nascita di Paolo non è conosciuto. Se al momento della lapidazione di Stefano<br />

Paolo era giovane (At 7,58), ossia 25-30 anni, bisogna ritenere che fosse poco più giovane di Gesù.<br />

Questa ipotesi trova conferma nella lettera a Filemone, scritta verso la metà degli anni 50, nella<br />

quale l’apostolo si definisce vecchio, espressione che nell’antichità poteva indicare un uomo di<br />

circa 55 anni. Gli avvenimenti che fanno seguito alla comparsa di Paolo davanti a Gallione sono<br />

databili con maggior difficoltà, data l’incertezza del cambio di guardia tra Felice e Festo. In genere<br />

si pensa che l’apostolo sia giunto a Gerusalemme, al termine del terzo viaggio, nel 56/57 e sia stato<br />

condotto a Roma, due anni dopo, verso il 58/59. Non è escluso, però, che sia arrivato a<br />

Gerusalemme agli inizi del 55, sul finire cioè del mandato di Felice, e dopo qualche mese sia stato<br />

inviato da Festo a Roma 286 . La sua morte, quindi, qualora sia avvenuta dopo altri due anni trascorsi<br />

nella capitale, si situerebbe verso il 60/61, oppure addirittura verso la fine del 57.<br />

DATA EVENTO LETTERE<br />

30 d.C. morte di Gesù<br />

31-33ca persecuzione degli ellenisti<br />

34ca conversione di Paolo<br />

36ca primo viaggio a Gerusalemme<br />

secondo Galati (e Atti)<br />

dopo il 36 attività di Paolo « dalle parti della<br />

Siria e della Cilicia » (Gal 1,21)<br />

48ca « concilio di Gerusalemme »<br />

inverno 49/50-estate 51 a Corinto 1-2 Tessalonicesi<br />

52-55 a Efeso Galati<br />

1 Corinti<br />

55 a Filippi? 2 Corinzi<br />

inverno 55/56 a Corinto Romani<br />

284 In questa linea si veda G. BORNKAMM, Paolo apostolo, 9-­‐10; H. CONZELMANN, Le origini del cristianesimo. I risultati della<br />

critica storica, Claudiana, Torino 1976, 42-­‐44; ecc.<br />

285 Quest’ultima è la data più probabile.<br />

286 Questa ipotesi, che si basa sulla data più probabile della sostituzione di Felice, è possibile solo se i due anni di cui si<br />

parla in At 24,27 si riferiscono non alla prigionia di Paolo, ma alla durate del governatorato di Felice.<br />

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DATA EVENTO LETTERE<br />

Pentecoste 56 arresto di Paolo<br />

56-58 prigionia a Cesarea Filippesi?<br />

Filemone?<br />

Colossesi - Efesini?<br />

inverno 58/59 in viaggio verso Roma e naufragio<br />

con permanenza a Malta<br />

primavera 59 da Malta a Roma<br />

59-61 prigionia a Roma Filippesi?<br />

Filemone?<br />

Colossesi - Efesini?<br />

Nuovi orientamenti<br />

In questi anni hanno messo in discussione la cronologia tradizionale, dalla quale si distaccano<br />

facendo leva soprattutto sui dati contenuti nelle lettere di Paolo, la cui testimonianza è da loro<br />

considerata più attendibile di quella degli Atti. Secondo Lüdemann 287 la missione europea ebbe<br />

luogo, stando a Gal 2,5, prima della seconda visita di Paolo alla città santa. Di conseguenza egli<br />

colloca la sua conversione nel 33 e la prima visita a Gerusalemme (cf. Gal 1,18) nel 36. Dopo di<br />

essa l’apostolo si sarebbe dedicato, negli anni 37-41, alla predicazione in Siria e Cilicia, nonché<br />

all’evangelizzazione dell’Anatolia e della Grecia (primo e secondo viaggio missionario secondo lo<br />

schema degli Atti) 288 ; il concilio di Gerusalemme si collocherebbe nel 47, oppure, in armonia con la<br />

datazione tradizionale, nel 50, mentre il periodo efesino andrebbe dal 51 al 55. nel 52, in occasione<br />

della visita intermedia a Corinto (2Cor 2,1), Paolo si sarebbe incontrato con Gallione. Infine nel 55<br />

sarebbe giunto per la terza volta a Gerusalemme, portandovi le collette, proprio quando Felice stava<br />

per lasciare il suo posto a Festo. Subito dopo sarebbe stato trasferito a Roma, dove sarebbe rimasto<br />

agli arresti domiciliari dal 56 al 58.<br />

Anche R. Jewett 289 colloca la missione europea prima del concilio, ma ritiene che essa abbia<br />

avuto luogo negli anni 49/51. Di conseguenza sposta il concilio di Gerusalemme alla fine del 51.<br />

Colloca il periodo efesino negli anni 51/57 e fa slittare al 57/59 la prigionia di Cesarea e al 60/62<br />

quella romana.<br />

A. Suhl 290 , ritenendo che l’apostolo Giovanni sia stato ucciso insieme a suo fratello Giacomo<br />

nel 44 (cf. At 12,1), anticipa il concilio di Gerusalemme al 43/44 e situa il primo viaggio tra questo<br />

avvenimento e la disputa di Antiochia, avvenuta nel 47/48. In seguito avrebbero avuto luogo la<br />

missione in Europa (49/51) ed il soggiorno efesino (52/54). Nel 55 Paolo sarebbe ritornato a<br />

Gerusalemme con le collette e subito sarebbe stato arrestato e trasferito a Roma (inverno 55/56). La<br />

morte sarebbe avvenuta due anni dopo, nel 58.<br />

287 G. LÜDEMANN, Paulus, der Heidenapostel. I: Studien zur Chronologie., München 1980.<br />

288 Secondo Lüdemann in Gal 1-­‐2 Paolo non accenna alla missione in Galazia ed in Grecia perché è preoccupato non di<br />

raccontare in modo completo il suo passato, ma di descrivere i suoi rapporti con la chiesa di Gerusalemme.<br />

289 R. JEWETT, Dating Paul’s life, 1979.<br />

290 A. SUHL, Paulus und seine Briefe. Ein Beitrag zur paulinischen Chronologie, NTS 38(1992), 430-­‐447.<br />

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J. Murphy-O’Connor, ritiene probabile un’attività di Paolo in Galazia, Macedonia e Acaia<br />

prima della conferenza di Gerusalemme (tra il 37 ed il 51). Dello stesso parere è anche Barbaglio 291 .<br />

Malgrado i tentativi fatti, la cronologia paolina resta ancora in gran parte oscura. Gli studi<br />

recenti, nei quali sono stati messi in discussione i risultati che sembravano in gran parte acquisiti,<br />

meritano attenzione e forse un giorno riusciranno ad ottenere un consenso più ampio. Per il<br />

momento, però, la posizione classica è ancora la più seguita.<br />

Le visite di Paolo a Gerusalemme<br />

Secondo le sue lettere, Paolo visitò Gerusalemme di due volte dopo la sua conversione, una dopo tre<br />

anni (Gal 1,18) e “di nuovo dopo quattordici anni” (Gal 1,18). In Rom 15,25 programmava un’altra<br />

visita, prima li andare a Roma e in Spagna.<br />

Secondo gli Atti, tuttavia, Paolo visita Gerusalemme dopo la sua conversione cinque e forse sei<br />

volte:<br />

û (1) 9,26-29, dopo la sua fuga da Damasco (cf. 22,17);<br />

û (2) 11,29-30, Barnaba e Saulo portano una colletta da Antiochia a ai fratelli della Giudea -<br />

collegato da Luca alla carestia ai tempi di Claudio;<br />

û (3) 12,25, Barnaba e Saulo, tornano a Gerusalemme 292 ;<br />

û (4) 15,1-2, la visita di Paolo a Barnaba al “concilio”;<br />

û (5) 18,22, dopo la II missione, Paolo va a salutare la chiesa prima di scendere ad Antiochia;<br />

û (6) 21,15-17, la visita alla fine della III missione, quando Paolo viene arrestato.<br />

La correlazione dei dati paolini e lucani riguardo alle a Gerusalemme dopo la conversione<br />

rappresenta l’aspetto più difficile di ogni ricostruzione della vita di Paolo. La soluzione migliore è di<br />

considerare come la stessa cosa la visita lucana (1) e Gal 1,18 e di considerare le visite lucane (2), (3) e<br />

(4), come riferimenti allo evento, il “concilio” (Gal 2,1-10). Luca senza dubbio ha storicizzato e ha<br />

considerato come visite separate quelli che erano i riferimenti a una sola visita, ma trovati in fonti<br />

diverse. La visita lucana (5) non crea alcun problema e la visita (6) è quella programmata da Paolo in Rm<br />

15,25. Così, dopo che Paolo fuggi da Damasco nel 39 d.C., venne a Gerusalemme per la prima volta (Gal<br />

1,18) 293 .<br />

Durante i 15 giorni ivi trascorsi incontrò Giacomo, “il fratello del Signore”, ma nessuno degli altri<br />

apostoli; d’altronde egli personalmente era sconosciuto per le chiese della Giudea. Secondo la versione<br />

lucana della visita (1), Barnaba introduce Paolo agli “apostoli” e racconta loro come abbia predicato con<br />

coraggio a Damasco nel nome di Gesù. Paolo circola a Gerusalemme tra di loro, continuando a predicare<br />

audacemente e provocando gli ellenisti, che cercano di ucciderlo (At 9,27-29).<br />

Dopo i 15 giorni a Gerusalemme, stando a Gal 1,21 Paolo si ritirò in Siria e Cilicia - ma non dice per<br />

quanto tempo. Intorno a questo periodo deve aver avuto la visione a cui fa riferimento in 2Cor 12,2-4;<br />

avvenne 14 anni prima che fosse scritta 2Cor, ma si concorda male con l’esperienza della conversione.<br />

Secondo At 22,17-21 Paolo ha un’estasi mentre prega nel Tempio di Gerusalemme durante la visita (1).<br />

È il pericolo rappresentato dagli ellenisti provocati che spinge i fratelli a portare Paolo da Gerusalemme a<br />

Cesarea e a inviarlo a Tarso (At 9,30). Gli Atti non specificano quanto tempo Paolo si trattenga in questa<br />

città della Cilicia, ma la sequenza dà un numero di anni non del tutto improbabile (forse dal 40 al 44<br />

291 G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso, Cittadella, Assisi 1985, 32.<br />

292 “Di nuovo?” alcuni manoscritti, invece, leggono “da” Gerusalemme, che significherebbe il loro ritorno ad Antiochia<br />

dopo la precedente visita, ma eis, “a”, è la lettura preferita.<br />

293 Il significato dell’espressione i`storh/sai Khfa/n è discusso: “avere informazioni da Cefa” o “a far visita a Cefa”.<br />

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d.C.). La permanenza termina con una visita da parte di Barnaba che lo conduce ad Antiochia dove<br />

rimane un anno intero (11,25-26), impegnato nell’evangelizzazione. Luca collega la visita (2) a<br />

Gerusalemme, la “visita della carestia”, con questo periodo 294 .<br />

2.3. I viaggi missionari<br />

Gli Atti organizzano l’attività missionaria di Paolo in 3 Segmenti; ma, come osserva Knox: “se tu<br />

avessi fermato Paolo per le strade di Efeso e gli avessi chiesto, Paolo, in quale viaggio missionario ti trovi<br />

ora? Ti avrebbe guardato in modo assente senza la più lontana idea di ciò che tu intendessi” 295 .<br />

Comunque il problema non è solo di Luca; deriva dal modo in cui leggiamo gli Atti, dal momento che<br />

non è Luca a distinguere in I, II e III missione, come invece i moderni tendono a fare. Inoltre abbiamo<br />

visto (cfr. Tavola degli spostamenti) che c’è una certa correlazione tra i dati di Paolo e Luca per quanto<br />

riguarda i viaggi missionari di Paolo, a parte il primo. I suoi viaggi coprono approssimativamente un<br />

periodo che va dal 46 al 58 d.C., gli anni più attivi della sua vita durante i quali ha predicato il vangelo<br />

nell’Asia Minore e nella Grecia.<br />

Prima missione (46-­‐49)<br />

Il resoconto di questa missione pre-“conciliare” è narrato solo dagli Atti (13,3-14,28) ed è limitato<br />

all’essenziale affinché si adatti al proposito letterario di Luca (cf. 2Tm 3,11). Paolo non ci ha dato alcun<br />

dettaglio riguardo alla sua attività missionaria nel periodo pre-“conciliare” di 14 anni (Gal 2,1). Per un<br />

certo tempo fu nelle “regioni della Siria e della Cilicia” (1,21) e “annunziava la fede” (1,23) “tra i<br />

pagani” (2,2).<br />

Quando più tardi scrisse la lettera ai Filippesi, ricordò che “all’inizio della predicazione del vangelo,<br />

quando partii dalla Macedonia, nessuna chiesa aprì con me un conto di dare o di avere, se non voi soli”<br />

(4,15). Quando lasciò la Macedonia, allora (ca. 50 d.C.), c’erano altre chiese, presumibilmente<br />

evangelizzate da Paolo stesso. Dove erano? Dal momento che passò a Filippi in Macedonia<br />

dall’Asia Minore, potrebbe far riferimento alle chiese della Galazia del Sud nel racconto della I missione<br />

(At 13,13-14,25) - o, meno probabilmente, a quelle della Galazia del Nord, Misia o Troade all’inizio<br />

della II missione. In ogni caso, è quasi impossibile che la Macedonia sia stata la prima area evangelizzata<br />

da Paolo ed il racconto della I missione negli Atti non contraddice gli scarsi dettagli paolini.<br />

Liturgia di Antiochia Saulo e Barnaba in compagnia di Giovanni Marco, cugino di Barnaba (Col<br />

1,10). Tappe:<br />

û Salpano da Seleucia, il porto di Antiochia di Siria diretti verso Cipro e attraversano l’isola da<br />

Salamina a Pafo.<br />

û Qui viene convertito il proconsole Sergio Paolo (13,7-12).<br />

û Da Pafo i missionari salpano per Perge nella Panfilia (sulla costa meridionale dell’Asia<br />

Minore centrale), dove Giovanni Marco si separa da Barnaba e Paolo e ritorna a<br />

Gerusalemme.<br />

û Questi ultimi Proseguono il loro viaggio verso le città della Galazia meridionale: Antiochia di<br />

Pisidia, Iconio, Listra e Derbi.<br />

û Ad Antiochia Paolo predica prima ai Giudei nella loro sinagoga e quando incontra aperta<br />

opposizione dichiara la sua intenzione di rivolgersi ai Gentili (13,46).<br />

û Dopo aver evangelizzato la zona e aver incontrato opposizione da parte dei Giudei in varie<br />

città (persino il tentativo di lapidazione a Iconio), Paolo e Barnaba fanno il viaggio di ritorno<br />

294 Cf. A. MEEKS -­‐ R. WILCKEN, Jews and Christians in Antioch, Missoula 1978.<br />

295 J. KNOX, Chapters in a Life of Paul, Abingdon-­‐Cokesbury Press , 41-­‐42.<br />

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ripassando per Derbe, Listra, Ieconio e Antiochia di Pisidia fino a Perge e salpano da Attalia<br />

verso Antiochia di Siria, dove Paolo trascorre “non poco tempo” con i cristiani (14,28).<br />

û Una delle questioni che emergono nella I missione è la relazione della nuova fede con il<br />

giudaismo e, più in particolare, La relazione dei pagano-cristiani con i primi convertiti del<br />

giudaismo. I convertiti dal paganesimo devono essere circoncisi e devono osservare la legge<br />

di Mosè?<br />

Viaggio Missionario 1<br />

Vediamone i dati con precisione:<br />

evento<br />

partenza da Antiochia 13,3b-4a<br />

imbarco a Seleucia 13,4<br />

Cipro Salamina 13,5<br />

Pafo 13,6<br />

a Perge 13,13<br />

cronologia riferimenti<br />

Antiochia di Pisidia 13,14-52 due sabati? 13,14.44 2Tm 3,11 (oi-a, moi evge,neto evn<br />

VAntiocei,a|( evn VIkoni,w|( evn<br />

Lu,stroij)<br />

Iconio 14,1-5 molto tempo (i`kano.n me.n ou=n<br />

cro,non) 14,3<br />

2Cor 11,25 (a[pax evliqa,sqhn)<br />

Listra 14,8-20<br />

Derbe 14,20b-21a<br />

“il giorno dopo” 14,20<br />

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Listra, Iconio, Antiochia 14,21b<br />

Perge 14,25<br />

Attalia 14,25<br />

Antiochia 14,26-28 un tempo non piccolo (cro,non<br />

ouvk ovli,gon ) 14,28<br />

Si possono fare alcune note:<br />

Ø I dati cronologici sono estremamente vaghi: ciò potrebbe significare che l’autore non ha a<br />

disposizione materiali legati tra di loro in successione cronologica e, quindi, il legame è<br />

piuttosto blando.<br />

Ø la presenza di dati provenienti dalle lettere (la stessa successione delle città in 2Tm e il ricordo<br />

di una lapidazione in 2Cor) contribuisce al valore storico dei dati provenienti da Atti.<br />

Ø La visita a Cipro ed il suo significato dal momento che Cipro doveva aver ricevuto un annuncio<br />

cristiano se tra quelli che predicavano il vangelo ad Antiochia vi erano dei ciprioti (11,20).<br />

Visita per il “Concilio” (49 d.C.)<br />

Stando a Luca, durante la permanenza di Paolo ad Antiochia (fine della I missione) alcuni convertiti<br />

provenienti dalla Giudea arrivano e incominciano a insistere sulla circoncisione come necessaria per la<br />

salvezza (15,1-3). Quando tutto ciò porta a una disputa tra loro e Paolo e Barnaba, la chiesa di Antiochia<br />

invia Paolo, Barnaba e alcuni altri a Gerusalemme per consultarsi con gli apostoli e gli anziani riguardo<br />

allo stato dei convertiti dal paganesimo. Questa visita si risolve nel cosiddetto concilio di Gerusalemme.<br />

In Gal 2,1-10 Paolo ha parlato di questa visita; andò a Gerusalemme con Barnaba e Tito “di nuovo<br />

dopo 14 anni” 296 . Paolo ha parlato di questa visita come il risultato di “una rivelazione” (2,2) ed espose<br />

alle “persone più ragguardevoli” di Gerusalemme il vangelo che aveva finora predicato ai pagani e da<br />

essi “non fu imposto nulla di più”. Giacomo, Cefa e Giovanni riconobbero la grazia conferita a Paolo e a<br />

Barnaba e gli diedero la loro destra in segno di comunione - non influenzati dai “falsi fratelli” che si<br />

erano intromessi a spiare la libertà (dalla legge) avuta in Cristo e ai quali Paolo non aveva ceduto “perché<br />

la verità del vangelo continuasse a rimanere salda” (2,4-5). La questione trattata in questa occasione fu<br />

la circoncisione: non era obbligatoria per la salvezza; e Tito, sebbene fosse greco, non fu obbligato a farsi<br />

circoncidere. La prima parte di At 15 (vv. 4-12) tratta della stessa questione dottrinale. Coloro ai quali<br />

Paolo dava l’appellativo di “falsi fratelli” sono qui identificati come “alcuni della setta dei farisei” (15,5).<br />

Quando questo problema viene discusso dagli apostoli e dagli anziani, la voce di Pietro sembra prevalere<br />

e l’assemblea accetta la sua decisione 297 . Il “concilio” di Gerusalemme in questo modo libera la chiesa<br />

nascente dalle sue radici giudaiche e la apre all’apostolato universale che gli stava di fronte. La posizione<br />

di Paolo viene approvata.<br />

L’incidente di Antiochia (49 d.C.)<br />

Dopo il “concilio” di Gerusalemme Paolo si recò ad Antiochia e dopo non molto tempo vi giunse<br />

anche Pietro. All’inizio entrambi mangiavano in compagnia di pagano-cristiani, ma ben presto “alcuni da<br />

parte di Giacomo” (Gal 2,12), vale a dire, cristiani con pronunziate tendenze giudaiche, arrivarono e<br />

criticarono Pietro per il fatto che mangiava insieme ai convertiti dal cristianesimo. Cedendo alla loro<br />

296 Da calcolare a partire dalla sua conversione, cioè nell’anno 49-­‐50.<br />

297 Basata sulla sua esperienza in At 10,1-­‐11,18.<br />

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critica, Pietro si isolò e la sua azione indusse altri giudeo-cristiani, persino Barnaba stesso, a fare<br />

altrettanto. Paolo protestò e si oppose a Pietro a viso aperto, perché non si comportava “correttamente<br />

secondo la verità del vangelo” (2,11-14). Può essere implicito che a Paolo fu data ragione nella sua<br />

critica, ma anche in questo caso la questione disciplinare delle prescrizioni giudaiche relative ai cibi per i<br />

convertiti dal paganesimo rimaneva un problema 298 .<br />

Il decreto di Gerusalemme in materia di cibi<br />

L’opposizione di Paolo a Pietro non risolse il problema dei cibi ad Antiochia. Sembra siano stati<br />

inviati di nuovo degli emissari a Gerusalemme, presumibilmente dopo la partenza di Paolo e di Pietro da<br />

Antiochia. Giacomo convoca nuovamente gli apostoli e gli anziani e la loro decisione è inviata sotto<br />

forma di lettera alle chiese locali di Antiochia, Siria e Cilicia (At 15,13-19); Paolo stesso non dice nulla a<br />

proposito di questa decisione e anche negli Atti egli ne è informato soltanto successivamente da Giacomo<br />

al suo arrivo a Gerusalemme dopo la 111 missione (21,25).<br />

Il capitolo 15 degli Atti è problematico e composito, un capitolo in cui Luca senza dubbio ha unito<br />

insieme due incidenti che erano invece distinti sia per il contenuto che per il tempo in cui ebbero luogo.<br />

û Da notare:<br />

• (1) i vv. 1-2 sono una sutura letteraria il cui scopo è di collegare informazioni provenienti<br />

da fonti diverse.<br />

• (2) Il v. 34 manca nei migliori mss. greci, ma è stato aggiunto nella tradizione testuale<br />

occidentale per spiegare dove fosse Sila all’inizio della II missione 299 .<br />

• (3) Simeone (15,14), che di solito viene identificato con Simon Pietro 300 , probabilmente<br />

era qualcun altro nella fonte usata. Altrove negli Atti Pietro è chiamato Pétros (15,7) o<br />

Simon Petros (10,5; 18,32), ma mai Symeon. Nella fonte di Luca il Simeone di 15,14<br />

probabilmente può stato Simeone Niger, uno dei <strong>prof</strong>eti o dottori di Antiochia (13,1); egli<br />

è probabilmente uno dei delegati, mandato a consultare Giacomo a Gerusalemme<br />

riguardo alle prescrizioni sui cibi.<br />

• (4) Il discorso di Pietro sulla circoncisione e sulla legge mosaica (15,7-11) non concorda<br />

con l’argomento principale trattato da Giacomo (15,14-21).<br />

Come risultato della consultazione Giacomo manda una lettera ad Antiochia, Siria e Cilicia (15,22-<br />

29), raccomandando che i pagano-cristiani in queste comunità miste si astenessero dalle carni offerte agli<br />

idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Sarebbe stata mandata con Giuda Barsabba<br />

e Sila (15,22) Ad Antiochia e a Paolo e Barnaba che si pensava fossero ancora là. At 15,35-36 fanno<br />

menzione di Paolo e Barnaba che predicano ad Antiochia; ma questo dovrebbe essere inteso nel senso<br />

del loro soggiorno immediatamente dopo il “concilio”, dopo il quale Paolo avrebbe lasciato Antiochia<br />

per la III missione. Paolo viene a sapere più tardi di questa lettera (21,25).<br />

Provo a ricapitolare un quadro sinottico:<br />

Le fonti per questo evento sono ancora due: At 15 e Gal 2.<br />

Le motivazioni del viaggio a Gerusalemme<br />

a. Atti<br />

1. la questione<br />

298 Cf. R. E. BROWN -­‐ J. P. MEYER, Antiochia e Roma, New York 1982, 28-­‐44.<br />

299 Se si omette il v. 34, l’ubicazione di Sila diventa un problematica: quando si unisce egli a Paolo nella II missione?<br />

300 E così deve essere inteso nella storia fusa di Luca.<br />

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Secondo Atti 15,1-5 la motivazione di fondo è così formulata<br />

a. v. 1 VEa.n mh. peritmhqh/te tw/| e;qei tw/| Mwu?se,wj( ouv du,nasqe swqh/nai)<br />

b. v. 5 dei/ perite,mnein auvtou.j paragge,llein te threi/n to.n no,mon Mwu?se,wj)<br />

Intorno a questo punto vi è molta discussione: due volte Atti usa il termine zh,thsij (vv. 2.7) ovvero<br />

un dibattimento molto ap<strong>prof</strong>ondito e la questione da dirimere viene indicata con il termine<br />

zh,thma.<br />

2. chi ne è sostenitore<br />

Secondo At 1,1 sono “Alcuni scesi dalla Giudea” (inej katelqo,ntej avpo. th/j VIoudai,aj); in 15,5<br />

sono “alcuni della setta dei farisei” (tinej tw/n avpo. th/j ai`re,sewj tw/n Farisai,wn).<br />

3. la decisione<br />

La decisione che viene presa ad Antiochia è quella di interpellare gli apostoli e gli anziani di<br />

Gerusalemme e mandare a questo scopo Paolo e Barnaba con altri. La Chiesa di<br />

Gerusalemme è sentita come fondamentale punto di riferimento.<br />

b. Galati<br />

1.<br />

In Galati sono ancora ricuperabili alcune motivazioni.<br />

La decisione è di Paolo: non vi è alle spalle una discussione come quella di cui parla Atti.<br />

Anche se i 2,4-5 lasciano ancora intravedere un’accesa polemica.<br />

2. Non vi è un invio da parte della comunità di Antiochia, come in Atti, ma il viaggio a<br />

Gerusalemme avviene “per una rivelazione” (kata. avpoka,luyin), forse attraverso una parola<br />

<strong>prof</strong>etica come quella in At 13,2. In questo modo Paolo rivendica la sua totale autonomia: ciò<br />

è in accordo con quanto va scrivendo nella lettera.<br />

3. L’approvazione di coloro che sono i punti di riferimento della Chiesa di Gerusalemme sono<br />

fondamentali anche per Paolo: “per non correre o aver corso invano” (mh, pwj eivj keno.n<br />

tre,cw h’ e;dramon).<br />

4. A Gerusalemme insieme a Paolo salgono anche Barnaba e Tito. Quest’ultimo, essendo greco<br />

({Ellhn), è il segno del nuovo cristianesimo svincolato dalla Legge ed il fatto che non sia<br />

costretto a farsi circoncidere è la prova dell’atteggiamento disponibile dei responsabili della<br />

Chiesa di Gerusalemme<br />

Lo svolgimento degli eventi a Gerusalemme<br />

c. Atti<br />

1. primo incontro in cui Paolo e Barnaba riferiscono della missione alle genti (4-5)<br />

2. assemblea di apostoli ed anziani<br />

a. primo dibattimento (7: zh,thsij)<br />

b. intervento di Pietro in cui ricorda quello che Dio ha operato attraverso di lui a favore dei<br />

pagani (8-11)<br />

c. intervento di Barnaba e Paolo (12). L’ordine di citazione è inverso rispetto a quello del<br />

v. 2 (Paolo e Barnaba): forse è importante la figura di Barnaba per il suo passato<br />

rapporto con la Chiesa gerosolimitana.<br />

d. intervento di Giacomo (13-21)<br />

e. decisione (22)<br />

3. lettera degli apostoli e degli anziani ai fratelli di Antiochia, della Siria e della Cilicia<br />

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d. Galati<br />

1. Secondo Galati non vi è un’assemblea ma un incontro con “le colonne” (9: stu/loi) od anche<br />

con le “persone più ragguardevoli” (6: oi` dokou/ntej ei=nai, ti) ovvero Giacomo, Cefa e<br />

Giovanni.<br />

2. Essi riconoscono che l’opera di Paolo viene da Dio. Le espressioni usate non lasciano dubbio<br />

su questo: “visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro<br />

quello per i circoncisi poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei<br />

circoncisi aveva agito anche in me per i pagani e riconoscendo la grazia a me conferita...”<br />

(7-9: touvnanti,on ivdo,ntej o[ti pepi,steumai to. euvagge,lion th/j avkrobusti,aj kaqw.j Pe,troj th/j<br />

peritomh/j( o` ga.r evnergh,saj Pe,trw| eivj avpostolh.n th/j peritomh/j evnh,rghsen kai. evmoi. eivj ta.<br />

e;qnh( kai. gno,ntej th.n ca,rin th.n doqei/sa,n moi).<br />

3. Le conclusioni di questo incontro sono:<br />

a. piena comunione (viene data la destra)<br />

b. riconoscimento della priorità missionaria di Paolo verso le genti (9: a h`mei/j eivj ta. e;qnh(<br />

auvtoi. de. eivj th.n peritomh,n\)<br />

c. nessuna ulteriore imposizione salvo il ricordarsi dei poveri: ouvde.n prosane,qento ...mo,non<br />

tw/n ptwcw/n i[na mnhmoneu,wmen (6.10).<br />

e. sintesi<br />

Le decisioni prese<br />

La decisione che emerge da Atti e da Galati è la possibilità di rivolgersi alle genti senza<br />

obbligare a passare per l’osservanza della Legge. Secondo Atti tuttavia vengono poste alcune<br />

condizioni che sono (v. 20; cf. 29):<br />

1. si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli (evpistei/lai auvtoi/j tou/ avpe,cesqai tw/n<br />

avlisghma,twn tw/n eivdw,lwn)<br />

2. dalla impudicizia (th/j pornei,aj )<br />

3. dagli animali soffocati (tou/ pniktou/ )<br />

4. dal sangue (tou/ ai[matoj\).<br />

Sempre secondo Atti, Paolo esegue la decisione degli apostoli e degli anziani nelle diverse<br />

comunità (16,4; 21,25).<br />

Seconda missione (50-­‐52 d.C.)<br />

Stando ad At 15,37-39, Paolo rifiuta di portare con sé Giovanni Marco nella Il missione a causa della<br />

sua precedente defezione. È Sila, invece, ad accompagnare Paolo e, partendo da Antiochia, attraversano<br />

la Siria e la Cilicia verso le città della Galazia meridionale, Derbe e Listra 301 . Da lì, passando attraverso la<br />

Frigia, si reca nella Galazia settentrionale (Pessino, Ancira e Tavio) e fonda nuove chiese. Impossibilitato<br />

a proseguire verso la Bitinia, dalla Galazia va verso la Misia e Troade. Qui sembra si sia associato a lui<br />

Luca - o almeno i dati dal diario di Luca cominciano a questo punto (At 16,10-17, la prima delle<br />

“Sezioni-Noi”). In risposta a una visione avuta in sogno, fa la traversata fino a Neapoli, il porto di Filippi,<br />

e quest’ultima città diventa il luogo della sua prima chiesa cristiana in Europa.<br />

Dopo essere stato imprigionato e flagellato a Filippi per aver esorcizzato una giovane schiava che<br />

era stata fonte di grandi guadagni per i suoi padroni, si reca a Tessalonica, seguendo la via di Anfipoli e<br />

Apollonia (At 17,1-9). La sua breve permanenza a Tessalonica viene impegnata dall’evangelizzazione e<br />

301 Dove Paolo prende Timoteo come compagno, dopo averlo fatto circoncidere (At 16,1-­‐3).<br />

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dalle dispute con i Giudei; termina con la sua fuga verso Berea (17,10) e infine ad Atene (17,15). Ad<br />

Atene, fallisce: “Ti sentiremo su questo un’altra volta” (At 17,32).<br />

Corinto (51 d.C.). A quell’epoca una delle città più importanti del mondo mediterraneo. Là vive con<br />

Aquila e Priscilla (18,2-3), giudeo-cristiani giunti di recente dall’Italia, di mestiere fabbricatori di tende<br />

come Paolo. Durante il suo soggiorno a Corinto, che dura 18 mesi, converte molti giudei e greci e fonda<br />

una solida chiesa a predominanza pagano-cristiana. Nel 51 d.C. Paolo scrisse la sua prima lettera ai<br />

Tessalonicesi. Il termine di questa permanenza (52 d.C.), Paolo viene trascinato davanti al proconsole L.<br />

Giunio Gallione, il quale respinge il caso considerando una questione di parole, nomi e legge giudaici<br />

(18,15). Qualche tempo dopo Paolo si ritira da Corinto salpando dal suo porto di Cencre diretto ad Efeso<br />

e a Cesarea Marittima. Dopo una visita alla chiesa di Gerusalemme (18,22) va ad Antiochia, dove si<br />

ferma per più di un anno (forse dal tardo autunno del 52 fino alla primavera del 54).<br />

Viaggio Missionario 2<br />

Vediamo i dati che emergono dal testo:<br />

eventi cronologia riferimenti<br />

Siria e Cilicia 15,41<br />

vengono solo<br />

attraversate<br />

Derbe e Listra 16,1<br />

incontro con Timoteo<br />

Frigia<br />

105


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Galazia (Galatikh. cw,ra) 16,6 Gal 4,13 oi;date de. o[ti diV<br />

avsqe,neian th/j sarko.j<br />

euvhggelisa,mhn u`mi/n to.<br />

pro,teron (Sapete che fu a<br />

causa di una malattia del<br />

corpo che vi annunziai la<br />

prima volta il vangelo<br />

Misia 16,7-8<br />

viene solo attraversata<br />

Troade 16,8<br />

Filippi 16,12-40<br />

incontro con Lidia<br />

la schiava indovina<br />

fustigazione e prigione<br />

conversione del<br />

carceriere<br />

Tessalonica (Qessaloni,kh)<br />

17,1-10<br />

predicazione per tre<br />

sabati<br />

i giudei sobillano<br />

Giasone e i suoi dai capi<br />

della città<br />

Berea (Be,roia) 17,10-14<br />

Atene 17,15-34<br />

predicazione nella<br />

sinagoga<br />

discorso sull’Areopago<br />

o dinanzi all’Aereo. (evpi.<br />

to.n :Areion Pa,gon%<br />

Corinto 18,1-18<br />

incontro con Aquila e<br />

Priscilla<br />

predicazione prima ad<br />

Ebrei poi ai pagani<br />

davanti a Gallione<br />

Efeso 18,19-21<br />

Antiochia<br />

alcuni giorni (h`me,raj tina,j)<br />

16,12<br />

molti giorni (tou/to de. evpoi,ei<br />

evpi. polla.j h`me,raj) (16,18)<br />

per tre sabati (evpi. sa,bbata<br />

tri,a) 17,2<br />

un anno e sei mesi (VEka,qisen<br />

de. evniauto.n kai. mh/naj e]x)<br />

18,11<br />

parecchi giorni (h`me,raj<br />

i`kana.j) 18.18<br />

106<br />

1Ts 2,2 propaqo,ntej kai.<br />

u`brisqe,ntej kaqw.j oi;date evn<br />

Fili,ppoij evparrhsiasa,meqa<br />

evn tw/| qew/| h`mw/n lalh/sai<br />

pro.j u`ma/j to. euvagge,lion tou/<br />

qeou/ evn pollw/| avgw/ni)<br />

Fil 4,15-16 :Oidate de. kai.<br />

u`mei/j( Filipph,sioi( o[ti evn<br />

avrch/| tou/ euvaggeli,ou( o[te<br />

evxh/lqon avpo. Makedoni,aj(<br />

ouvdemi,a moi evkklhsi,a<br />

evkoinw,nhsen eivj lo,gon<br />

do,sewj kai. lh,myewj eiv mh.<br />

u`mei/j mo,noi\ o[ti kai. evn<br />

Qessaloni,kh| kai. a[pax kai. di.j<br />

eivj th.n crei,an moi evpe,myate)<br />

1Ts 2-3 l’opera di Paolo a<br />

Tessalon.<br />

1Ts 3,1 euvdokh,samen<br />

kataleifqh/nai evn VAqh,naij<br />

mo,noi<br />

Riferimenti ad Atene come<br />

luogo di stesura di 1Ts e 2Ts<br />

nella subscriptio di alcuni<br />

codici.


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Terza missione (54-­‐58 d.C.)<br />

Partendo da Antiochia (At 18,23), Paolo viaggia via terra attraversando un’altra volta la Galazia<br />

settentrionale e la Frigia fino ad Efeso. La capitale della provincia dell’Asia diventa il centro della sua<br />

attività missionaria per i successivi tre anni (At 20,31) e per “due anni” insegna nella scuola di Tiranno<br />

(19,10). Poco dopo il suo arrivo ad Efeso, Paolo scrive ai Galati (ca. nel 54). Gli Atti non dicono nulla a<br />

proposito di un suo imprigionamento a Efeso 302 . Alcuni dei problemi che Paolo dovette affrontare e che<br />

ha descritto in 2Cor 11,24-27 si possono essere verificati proprio in questo periodo di attività missionaria.<br />

Durante questo periodo giunsero a Paolo delle notizie sulla situazione della chiesa di Corinto. Per far<br />

fronte a quella situazione - dubbi, scissioni, risentimento nei confronti di Paolo stesso, scandali - egli<br />

scrisse almeno cinque lettere ai Corinzi, delle quali ne rimangono solamente due (di cui una è composita:<br />

2Cor). Una lettera precedeva 1Cor (cf. 1Cor 5,9), la quale ammoniva i Corinzi a non associarsi con i<br />

cristiani impudichi (e che probabilmente raccomandava di fare una colletta per i poveri di Gerusalemme,<br />

una questione intorno alla quale i Corinzi inviarono una successiva richiesta di informazione, (cf. 1Cor<br />

16,1). Allora, per commentare le informazioni e per rispondere alle domande inviategli, Paolo scrisse<br />

1Cor poco prima della Pentecoste (probabilmente nel 57).<br />

Questa lettera, tuttavia, non fu bene accolta e le sue relazioni con la chiesa di Corinto, lacerata dalle<br />

divisioni, peggiorarono. La situazione richiese una tempestiva visita a Corinto stessa 2Cor 12,14; 13,1-2;<br />

2,1 (“una visita dolorosa” 12,21), che in realtà non giovò a nulla. Al suo ritorno ad Efeso, Paolo scrisse ai<br />

Corinzi una terza volta, una lettera composta “tra molte lacrime” (2Cor 2,3-4,9; 7,8.12; 10,1.9). Questa<br />

lettera può essere stata portata da Tito, che fece visita personalmente ai Corinzi nel tentativo di migliorare<br />

le relazioni.<br />

La rivolta degli orefici efesini probabilmente avviene durante l’assenza di Tito (At 19,23-20,1).<br />

Rivolta di Demetrio. Questa esperienza indusse Paolo a lasciare Efeso e ad andare a Troade (2Cor 2,12) a<br />

lavorare. Non trovando là Tito, decise di recarsi in Macedonia (2Cor 2,13). Da qualche parte in<br />

Macedonia (forse a Filippi) incontrò Tito e apprese da lui che era avvenuta una riconciliazione dei<br />

Corinzi con Paolo. Dalla Macedonia Paolo scrisse ai Corinzi la sua quarta lettera (Lettera A di 2Cor)<br />

nell’autunno del 57. Non è possibile dire se Paolo proseguì direttamente per Corinto o se andò prima<br />

dalla macedonia all’Illiria (cf. Rm 15,19) da dove può avere scritto 2Cor 10-13 (Lettera B). In ogni caso,<br />

Paolo arrivò a Corinto, per la sua terza visita, probabilmente nell’inverno del 57 e si fermò per tre mesi<br />

nell’Acaia (At 20,2-3; cf. 1Cor 16,5-6; 2Cor 1,16).<br />

Nel frattempo Paolo aveva cominciato a pensare di ritornare a Gerusalemme. Memore della<br />

raccomandazione del “concilio” che bisogna ricordarsi dei poveri (Gal 2,10), organizzò una colletta tra le<br />

chiese dei Gentili a favore dei poveri di Gerusalemme. Questa raccolta venne fatta nelle chiese della<br />

Galazia, Macedonia ed Acaia (1Cor 16,1; Rm 15,25-26). Paolo progettò di portare la colletta a<br />

Gerusalemme e di completare in tal modo la sua evangelizzazione del mondo mediterraneo orientale.<br />

Voleva visitare Roma (Rm 15,22-24) e di qui andare in Spagna e in occidente. Durante la permanenza di<br />

tre mesi nell’Acaia, Paolo scrisse la lettera ai Romani probabilmente da Corinto, o dal suo porto Cencre<br />

(Rm 16,11), all’inizio del 58 303 .<br />

Quando arriva la primavera, Paolo decide di salpare da Corinto (At 20,3) per la Siria. Ma quando sta<br />

per imbarcarsi, viene tramata una congiura contro di lui da alcuni giudei; allora decide di viaggiare via<br />

terra, attraverso la Macedonia. Lo accompagnano alcuni discepoli provenienti da Berea, Tessalonica,<br />

302 Cf. 1Cor 15,32; 2Cor 1,8-­‐9; Fil 1,20-­‐26.<br />

303 Cf. inoltre R. E. BROWN -­‐ J. P. MEIER, Antiochia e Roma, 105-­‐127.<br />

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Derbe ed Efeso. Passano la Pasqua del 58 a Filippi 304 . Dopo le festività partono con la nave con<br />

destinazione Troade e poi viaggiano per via terra fino ad Asso, dove prendono di nuovo la nave per<br />

Mitilene. Costeggiando l’Asia Minore Paolo naviga da Chio fino a Samo e poi fino a Mileto, dove<br />

rivolge un discorso agli anziani di Efeso là radunati (At 20,17-35). Non si lascia intimorire dalla loro<br />

predizione del suo imminente imprigionamento e per mare fino a Cos, Rodi, Patara nella Licia, Tiro nella<br />

Fenicia, Tolemaide e Cesarea Marittima. Un viaggio per via terra lo porta a Gerusalemme, che sperava<br />

raggiungere per il giorno della Pentecoste del 58 (20,16; 21,17) 305 .<br />

Viaggio Missionario 3<br />

Anche qui fornisco un quadro sinottico dei dati emergenti dal testo:<br />

eventi cronologia riferimenti<br />

Frigia e Galazia (Galatikh.<br />

cw,ra kai. Frugi,a) 18,23. In<br />

19,1 dette le regioni superiori<br />

(ta. Avnwterika. me,rh)<br />

304 Dove Luca si unisce di nuovo At 20,5, una “Sezione-­‐Noi”.<br />

305 Cf. G. OGG, Cronology, 133-­‐145. COMPLETA CITAZIONE<br />

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Efeso 19,1-41<br />

∗ incontro con i discepoli<br />

di Giovanni<br />

∗ attività di insegnamento<br />

e taumaturgica di Paolo<br />

∗ invia Timoteo ed Erasto<br />

in Macedonia (ed<br />

Acaia)<br />

∗ scoppia un tumulto<br />

tre mesi (evpi. mh/naj trei/j)<br />

19,8<br />

due anni (evpi. e;th du,o) 19,10<br />

si trattenne ancora un po’ di<br />

tempo (evpe,scen cro,non) 19,22<br />

tre anni (trieti,an) 20,31<br />

109<br />

1Cor 15,32 eiv kata.<br />

a;nqrwpon evqhrioma,chsa evn<br />

VEfe,sw|( ti, moi to. o;feloj*<br />

1Co 16,8 evpimenw/ de. evn<br />

VEfe,sw| e[wj th/j penthkosth/j\<br />

Secondo la subscriptio di<br />

alcuni codici a 1Cor Paolo<br />

scrive questa lettera da Efeso<br />

Macedonia 20,1 Secondo la subscriptio di<br />

alcuni codici a 1Cor e 2Cor<br />

Paolo scrive queste lettere da<br />

Filippi<br />

in Grecia (dove?) 20,2<br />

attraverso la Macedonia 20,3<br />

tre mesi (poih,saj te mh/naj<br />

trei/j) 20,3<br />

Filippi 20,6 dopo i giorni degli Azzimi<br />

(meta. ta.j h`me,raj tw/n<br />

avzu,mwn) 20,6<br />

in navigazione da Filippi a cinque giorni (a;cri h`merw/n<br />

Troade<br />

pe,nte)<br />

Troade 20,7-12<br />

in navigazione lungo la costa<br />

una settimana (h`me,raj e`pta,)<br />

20,6<br />

dell’Asia 20,13-14<br />

da Mitilene a Chio<br />

da Chio a Samo<br />

da Samo a Mileto<br />

Mileto 20,15-38<br />

incontro con gli anziani<br />

di Efeso<br />

in navigazione verso la Siria<br />

21,1-2<br />

da Mileto a Cos<br />

da Cos a Rodi<br />

da Rodi a Patara<br />

costeggiando Cipro<br />

un giorno<br />

un giorno<br />

un giorno<br />

un giorno<br />

a Tiro 21,3-6 una settimana (h`me,raj e`pta,)<br />

21,4<br />

a Tolemaide 21,7 un giorno (h`me,ran mi,an)<br />

a Cesarea 21,8-14<br />

Filippo e le sue figlie<br />

il <strong>prof</strong>eta Agabo<br />

a Gerusalemme 21,15<br />

alcuni giorni 21,10.15<br />

h`me,raj plei,ouj<br />

Meta. de. ta.j h`me,raj<br />

tau,taj


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Ultimo imprigionamento di Paolo<br />

Per il resto della vita di Paolo dipendiamo unicamente e dalle informazioni di Luca contenute negli<br />

Atti; abbraccia parecchi anni dopo il 58, periodo durante il quale deve affrontare una lunga prigionia.<br />

Viaggio Missionario 4<br />

Questi i dati:<br />

In Atti 21,15 inizia la narrazione dell’ultima permanenza di Paolo a Gerusalemme. Si può cercare di<br />

schematizzare lo svolgersi degli eventi secondo Atti.<br />

Eventi<br />

Arrivo a Gerusalemme 21,17<br />

cronologia riferimenti<br />

Incontro con Giacomo e gli<br />

anziani 21,18-25<br />

il giorno dopo<br />

Nel tempio per la<br />

purificazione 21,26<br />

il giorno dopo<br />

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È imprigionato 21,27-22,29<br />

è riconosciuto 27-30<br />

interviene il tribuno 31-<br />

36<br />

chiede di parlare 37-40<br />

discorso alla folla 22,1-<br />

21<br />

è portato nella fortezza<br />

22-29<br />

Paolo nel sinedrio 22,30-<br />

23,11<br />

La congiura contro Paolo<br />

23,12-22<br />

Viaggio nella notte verso<br />

Cesarea a cui giunge il giorno<br />

dopo 23,23-35<br />

Le accuse davanti al<br />

procuratore Felice 24.1-23<br />

Passa il tempo: Felice ascolta<br />

e non decide<br />

Festo a Gerusalemme 25,1—<br />

5<br />

sette giorni dopo circa 21,27<br />

il giorno dopo 22,30<br />

il giorno dopo 23,12<br />

il giorno dopo 23,32<br />

cinque giorni dopo 24,1<br />

due anni 24,27<br />

tre giorni dopo il suo arrivo<br />

25,1<br />

otto o dieci giorni 25,6<br />

Udienza a Cesarea 25,6-12 il giorno dopo 25,6<br />

Agrippa e Berenice da Felice alcuni giorni dopo 25,13<br />

25,13-22<br />

Paolo dinanzi a Agrippa e il giorno dopo 25,23<br />

Berenice 25,23-26,32<br />

Abbiamo, dunque, questa scansione:<br />

Per tutto ciò che riguarda i fatti che accadono a Gerusalemme l’unica fonte a disposizione sono gli<br />

Atti. L’ordine degli eventi è il seguente:<br />

21,17 Arrivo a Gerusalemme<br />

21,18-25 Incontro con Giacomo e gli anziani<br />

21,26 Nel tempio per la purificazione<br />

21,27-22,29 È imprigionato<br />

27-30 è riconosciuto<br />

31-36 interviene il tribuno<br />

37-40 chiede di parlare<br />

22,1-21 discorso alla folla<br />

22-29 è portato nella fortezza<br />

22,30-23,11 Paolo nel sinedrio<br />

12-22 La congiura contro Paolo<br />

23-35 Viaggio nella notte verso Cesarea a cui giunge il giorno dopo<br />

24,1-23 Le accuse davanti al procuratore Felice<br />

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Passa il tempo: Felice ascolta e non decide<br />

25,1-5 Festo a Gerusalemme<br />

6-12 Udienza a Cesarea<br />

13-22 Agrippa e Berenice da Felice<br />

25,23-26,32 Paolo dinanzi a Agrippa e Berenice<br />

Alcune valutazioni sui viaggi<br />

1. Le traiettorie fondamentali dei due viaggi (secondo e terzo). Date presumibili: 49-51 e 52-56.<br />

a. secondo viaggio: Siria Cilicia, lasciata da parte l’Asia e la Bitinia verso Troade. Quindi<br />

la Macedonia e la Grecia. Viaggio concentrato sulla Grecia.<br />

b. terzo viaggio: altopiani interni della penisola anatolica; Efeso; quindi Corinto. Viaggio<br />

concentrato sull’Asia.<br />

2. La lettura che di questi viaggi è fatta da Atti: sono guidati da Dio: 13,1-3; 16,6-7.9-10; 18,9;<br />

23,11; 27,23-24<br />

3. Le tappe fondamentali<br />

a. Filippi. La testimonianza di Atti in ordine all’evangelizzazione. La testimonianza della<br />

lettera a proposito della venuta nel cap. 4.<br />

b. Tessalonica. La testimonianza di Atti e quella di 1Ts a proposito delle vicende dopo la<br />

partenza di Paolo da Tessalonica<br />

c. Corinto. La testimonianza di Atti 18<br />

d. Efeso. La testimonianza di Atti.<br />

e. Corinto. I fatti secondo Atti e secondo 2Cor.<br />

L’Ultima visita a Gerusalemme e l’arresto (58 d.C.)<br />

Arrivati a Gerusalemme, Paolo e i suoi compagni fanno visita a Giacomo alla presenza degli anziani<br />

di quella Chiesa (At 21,18). Giacomo si rende subito conto che la presenza di Paolo a Gerusalemme<br />

potrebbe causare delle agitazioni tra i giudeo-cristiani. Pertanto consiglia Paolo di associarsi a quattro<br />

uomini che si apprestano a fare il voto di nazireato e di sostenere le loro spese quale gesto della buona<br />

disposizione nei confronti dei giudeo-cristiani.<br />

Paolo acconsente e il periodo di sette giorni prescritto dal cerimoniale è quasi al termine quando<br />

viene visto nel Tempio da alcuni giudei provenienti dalla provincia dell’Asia. Lo accusano di<br />

incoraggiare la violazione della legge mosaica e di <strong>prof</strong>anare la santità del Tempio introducendovi un<br />

greco. Lo assalgono, lo trascinano fuori del Tempio e tentano di ucciderlo. Viene però salvato dal tribuno<br />

della coorte romana stazionata nella Fortezza Antonia.<br />

Alla fine il tribuno lo mette in carcere preventivo (22,27) e lo porta davanti al sinedrio. Ma la paura<br />

dei Giudei induce il tribuno a inviare Paolo al procuratore della Giudea, Antonio Felice, con residenza a<br />

Cesarea Marittima (23,23-33). Felice, che si aspetta che Paolo lo corrompa con del denaro (24,26) lo<br />

tiene in prigione per due anni (58-60).<br />

Appello a Cesare; viaggio a Roma (60 d.C.)<br />

Quando arriva il nuovo procuratore Porcio Festo (forse nel 60 ca.), Paolo si “appella a Cesare”, cioè<br />

chiede di essere processato a Roma (25,11) in virtù della sua cittadinanza romana. Festo deve accogliere<br />

questa richiesta 306 . Scortato da un centurione romano 307 , salpa da Cesarea Marittima per Sidone e passa<br />

306 Cf. A. N. SHERWIN-­‐WHITE, Roman Society, 48-­‐70.<br />

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Cipro per giungere a Mira nella Licia.<br />

Sul finire dell’autunno del 60 (27,9) lasciano Mira su una nave alessandrina diretta in Italia,<br />

aspettandosi cattivo tempo. La loro rotta li porta prima a Cidno (sulla costa meridionale dell’Asia<br />

Minore), poi in direzione sud “al riparo di Creta, dalle parti di Salmone” fino a una località chiamata<br />

Buoni Porti vicino alla città cretese di Lasea (27,7-8). Quando tentano di raggiungere il porto di Fenice,<br />

la nave viene investita dal vento di nord-est che la trascina per giorni attraverso l’Adriatico verso Malta,<br />

dove alla fine fanno naufragio (28,1).<br />

Dopo aver trascorso l’inverno a Malta, Paolo e la sua scorta salpano per Siracusa in Sicilia, poi per<br />

Rhegium (l’odierna Reggio Calabria) e infine per Puteoli (l’ordierna Pozzuoli, presso Napoli). Il loro<br />

viaggio verso Roma per via terra li conduce attraverso il Foro di Appio le Tre Taverne (28,15). Paolo<br />

arriva nella capitale dell’impero nella primavera del 61 e per due anni viene tenuto agli arresti domiciliari<br />

(61-63) con un soldato di guardia. Questa situazione, tuttavia, non gli impedisce di convocare in casa sua<br />

i giudei romani per evangelizzarli (28,17-28). L’interpretazione ascrive a questo periodo di<br />

imprigionamento gli scritti di Paolo a Filemone, ai Colossesi e agli Efesini.<br />

La conclusione della vita di Paolo<br />

Gli Atti terminano con il breve resoconto degli arresti domiciliari di Paolo. Il suo arrivo a Roma e la<br />

possibilità di predicarvi il vangelo senza alcun impedimento rappresentano il punto culminante del<br />

racconto della diffusione della parola di Dio da Gerusalemme alla capitale del mondo civilizzato di quel<br />

tempo - essendo Roma il simbolo dei “confini della terra” (At 1,8). Ma ciò non rappresentava la fine<br />

della vita di Paolo. La menzione di “due anni interi” (28,30) non significa che egli sia morto<br />

immediatamente dopo quel biennio, quale che sia l’interpretazione data alla conclusione enigmatica degli<br />

Atti.<br />

Le Lettere pastorali (Tt; 1-2 Tm) sono state spesso considerate come scritti autentici di Paolo e<br />

ritenute redatte da lui dopo gli arresti domiciliari romani. Invero, queste lasciano pensare che egli abbia<br />

visitato di nuovo l’Oriente (Efeso, la Macedonia e la Grecia). Stando ad esse, Paolo avrebbe posto Tito a<br />

capo della chiesa cretese e Timoteo a capo di quella efesina.<br />

2Tm dà l’impressione di essere il testamento e le ultime volontà di Paolo, scritta quando stava per<br />

affrontare la morte. Essa lascia pensare che egli sia stato arrestato a Troade (4,13) e condotto di nuovo a<br />

Roma (1,17), dove questa lettera sarebbe stata scritta dalla prigione.<br />

Ultimi anni: dipendiamo dalla tradizione ecclesiastica. Paolo ha visitato la Spagna? Forse non si<br />

tratta di altro che di una storicizzazione dei suoi progetti di viaggio espressi in Rm 15,24.28. La<br />

tradizione successiva ci dice che Paolo, liberato dopo i due anni di arresti domiciliari andò in Spagna.<br />

Clemente di Roma (1Cor 5,7) riferisce che Paolo “insegnò la giustizia al mondo intero e viaggiò fino ai<br />

confini dell’ovest. E dopo aver reso testimonianza davanti alle autorità, fu tolto da questo mondo e se ne<br />

andò nel luogo santo, avendo dimostrato di essere il più grande modello di sopportazione». La<br />

testimonianza di Clemente (del 95 ca.) fa pensare che ci sia stata una visita in Spagna, un altro processo e<br />

il martirio.<br />

Il Frammento Muratoriano (180 ca.; righe 38-39; EB 4) afferma implicitamente che l’ultima parte<br />

degli Atti, con il racconto della “partenza di Paolo dalla Città (Roma) per recarsi in Spagna”, sia andata<br />

perduta. Eusebio (HE 2.22.3) è il primo a parlare del secondo imprigionamento di Paolo a Roma e del<br />

suo martirio sotto Nerone: “Dopo aver difeso se stesso, [Paolo] fu nuovamente inviato in missione a<br />

predicare e giunto per la seconda volta nella stessa città subì il martirio sotto Nerone. Durante questa<br />

307 E probabilmente da Luca, come indicano le “Sezioni-­‐Noi”.<br />

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prigionia scrisse la seconda lettera a Timoteo, informandolo nel contempo che la sua prima difesa aveva<br />

avuto luogo e il suo martirio era prossimo». Eusebio inoltre cita Dionisio di Corinto (ca. 170), il quale<br />

affermava che Pietro e Paolo “furono martirizzati nello stesso tempo” (HE 2.25.8). Tertulliano (De<br />

praescr. 36) paragona la morte di Paolo con quella di Giovanni Battista, cioè per decapitazione.<br />

La testimonianza di Eusebio relativa alla morte di Paolo durante la persecuzione di Nerone è<br />

ampiamente accettata. Questa persecuzione, comunque, durò dall’estate del 64 d.C. fino alla morte<br />

dell’imperatore (9 giugno del 68) ed è pertanto difficile precisare l’anno del martirio di Paolo.<br />

L’informazione di Dionisio di Corinto secondo cui Pietro e Paolo “furono martirizzati nello stesso<br />

tempo” (katà tòn autòn kairon) è stata spesso intesa nel senso di “nello stesso anno”, e l’anno<br />

comunemente avanzato per la morte di Paolo è il 67, verso la fine della persecuzione di Nerone, come<br />

sembra suggerire la narrazione di Eusebio.<br />

Questa cronologia, comunque, non è universalmente accettata e non manca di presentare le sue<br />

difficoltà. Paolo si dice sia stato sepolto sulla via Ostiense, presso l’odierna basilica di San Paolo fuori le<br />

Mura. Nel 258, quando le tombe cristiane di Roma rischiavano di essere <strong>prof</strong>anate durante la<br />

persecuzione di Valeriano, i resti di Paolo furono trasferiti per un certo tempo in un luogo chiamato Ad<br />

Catacumbas sulla via Appia. Successivamente furono riportati al loro luogo originario di riposo, dove<br />

Costantino costruì la sua basilica.<br />

Il ritratto di Paolo<br />

È possibile tracciare un ritratto di Paolo sulla base dei dati che provengono dalle lettere in<br />

primo luogo e poi dagli Atti?<br />

Le lettere<br />

1. La gelosia di Dio che caratterizza il fariseo<br />

Rom 10,2: marturw/ ga.r auvtoi/j o[ti zh/lon qeou/ e;cousin avllV ouv katV evpi,gnwsin<br />

Gal 1,14 kai. proe,kopton evn tw/| VIoudai?smw/| u`pe.r pollou.j sunhlikiw,taj evn tw/| ge,nei mou(<br />

perissote,rwj zhlwth.j u`pa,rcwn tw/n patrikw/n mou parado,sewn<br />

Fil 3,6 kata. zh/loj diw,kwn th.n evkklhsi,an<br />

Questo elemento va considerato un tratto tipico di Paolo: il modo con cui ha vissuto la sua<br />

dimensione giudaica è lo stesso che lo anima nella sua nuova dimensione. La gelosia di Dio<br />

di cui parla in Rom 10,2 è quell’amore appassionato per Dio che diventerà poi passione per<br />

Cristo.<br />

2. Il rapporto con Gesù è evidentemente il punto fondamentale di tutta l’esperienza di Paolo.<br />

L’essere con Cristo (su.n Cristw/| ei=nai Fil 1,23) rappresenta certamente il desiderio di Paolo<br />

nel suo “essere sciolto dal corpo”, come già aveva scritto ai tessalonicesi (1Ts 4,17: kai.<br />

ou[twj pa,ntote su.n kuri,w| evso,meqa). Ma esso in realtà rappresenta la sua dimensione<br />

esistenziale dal giorno di Damasco: “per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21); ed ai galati può<br />

dire: “non vivo più io ma Cristo vive in me” (2,20: zw/ de. ouvke,ti evgw,( zh/| de. evn evmoi. Cristo,j).<br />

3. Più precisamente si potrebbe dire.<br />

a. con l’evento di Damasco Paolo è attratto nella signoria del Cristo risorto; è<br />

“conquistato” (Fil 3,12: katelh,mfqhn u`po. Cristou/ ÎvIhsou/Ð). Qui inizia quella<br />

dimensione cristocentrica di cui al punto 2.<br />

b. Ciò significa per lui sondare l’amore infinito di Cristo “che mi ha amato ed ha dato se<br />

stesso per me” (Gal 2, tou/ avgaph,santo,j me kai. parado,ntoj e`auto.n u`pe.r evmou/).<br />

Sull’amore di Cristo, Figlio di Dio, Paolo ritorna nelle sue lettere con accenti <strong>prof</strong>ondi:<br />

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“chi ci separerà dall’amore di Cristo” (Rom 8,35: ti,j h`ma/j cwri,sei avpo. th/j avga,phj<br />

tou/ Cristou/); nelle parole che Paolo qui dice si riflette tutta la sua esperienza, quella di<br />

un amore trascinante e travolgente.<br />

c. l’esperienza dell’amore nel Cristo crocifisso, il Cristo dato e che si è dato. 2Cor 5<br />

d. Il desiderio della conoscenza di Cristo che è poi il desiderio di una comunione totale<br />

con lui oltre la morte e nella resurrezione finale (Fil 3)<br />

4. Lo zelo per la Chiesa<br />

5. La passione missionaria e la percezione di se stesso in una oblatività totale<br />

Il ritratto di Atti<br />

In generale<br />

Gli Atti degli Apostoli accreditano un ritratto di Paolo che risponde agli intenti dell’autore.<br />

Quali sono i tatti della fisionomia di Paolo in Atti?<br />

1. Tre volte è narrata la conversione di Paolo: una volta è parte integrante della narrazione (At<br />

9); le altre due volte essa è narrazione autobiografica, posta in bocca all’apostolo, con intenti<br />

apologetici. Essa accredita Paolo anzitutto agli occhi del lettore poi agli occhi dei giudei di<br />

Gerusalemme ed infine agli occhi dei pagani rappresentati da Agrippa, Berenice e Festo.<br />

Questo aspetto dice quanto sia importante per Luca questo momento: esso trasforma il<br />

personaggio Saulo in un apostolo. Ciò è il segno della potenza divina<br />

2. Attraverso quest’uomo agisce il Signore risorto stesso: è lui a chiamare Paolo, è lui ad<br />

indicargli la via delle genti, è lui a sostenerlo nei momenti fondamentali. La relazione che si<br />

stabilisce tra Paolo e Gesù è ripetutamente e fortemente sottolineata.<br />

3. Per mezzo di Paolo lo euvagge,lion giunge agli estremi confini della terra. Il confronto con<br />

l’altra figura dominante in Atti, quella di Pietro, è significativo. Pietro è lasciato a<br />

Gerusalemme nel cap. 12 e nei capp. Precedenti egli si è mosso solo per arrivare sino a<br />

Cesarea.<br />

4. L’ultimo aspetto della figura di Paolo è quello di colui che da la vita sull’esempio di Gesù e<br />

per lui. Già in 9,16 è detto: evgw. ga.r u`podei,xw auvtw/| o[sa dei/ auvto.n u`pe.r tou/ ovno,mato,j mou<br />

paqei/n. Il patire per Cristo e sul suo esempio è mostrato sin dall’inizio: è costretto a fuggire da<br />

Damasco; altrettanto avviene a Gerusalemme e successivamente in diverse città che egli<br />

tocca. Ma è soprattutto nell’ultimo viaggio che questo elemento traspare. Il viaggio a<br />

Gerusalemme richiama quello di Gesù in Lc 9,51-19; esso è accompagnato da <strong>prof</strong>ezie:<br />

“Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai<br />

Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani” (21,11). Alla<br />

<strong>prof</strong>ezia di Agabo Paolo risponde: “Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il<br />

cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome<br />

del Signore Gesù” (21,13).<br />

At 20,18-35: un testo particolarmente significativo<br />

1. È il discorso di addio di Paolo agli anziani di Efeso: lo si è chiamato anche “testamento<br />

pastorale” o “testamento dell’apostolo”. Proprio per questo esso estende il suo sguardo dal<br />

passato, al presente, al futuro. Gli argomenti si accavallano e si ripetono senza un apparente<br />

ordine. Si possono distinguere due grandi parti: i vv. 18-27, in cui Paolo parla<br />

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prevalentemente di sé, e i vv. 28-35 che contengono l’esortazione agli anziani. Anche<br />

nell’esortazione però la figura di Paolo rimane sullo sfondo come esemplare.<br />

2. Il passato di Paolo:<br />

a. per molto tempo Paolo è rimasto ad Efeso (v. 18: dal primo giorno in cui arrivai in Asia<br />

e per tutto questo tempo; al v. 31 parla di tre anni);<br />

b. secondo i vv. 19-20 Paolo ha servito il Signore ed ha continuamente ed in ogni modo<br />

esortato alla conversione;<br />

c. nei vv. 25-26 ritorna sul motivo della sua presenza: “sono passato annunziando il regno<br />

di Dio...tutta la volontà di Dio”; sente perciò di non aver nulla da rimproverarsi in<br />

ordine a quelli che si perdessero (“sono puro del sangue di tutti”).<br />

d. al v. 31 richiama alla memoria la sua continua esortazione nei confronti dei membri<br />

della comunità;<br />

e. infine nei vv. 33-35 richiama il modo della sua presenza: lavorando con le proprie mani<br />

e faticando così da non sfruttare nessuno.<br />

3. Il futuro di Paolo si muove lentamente dal futuro immediato (v. 22: “io vado a Gerusalemme<br />

senza sapere ciò che là mi accadrà”) fino al futuro più lontano che è dominato dalla<br />

prospettiva del compimento: “purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu<br />

affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (v. 24).<br />

4. Su questo sfondo è posta l’esortazione agli anziani che è contenuta nella seconda parte del<br />

discorso (vv. 28-35): quella Chiesa, che Dio si è acquistata con il sangue del suo Figlio, che<br />

Paolo ha generato mediante la parola evangelica (“il vangelo della grazia”) è ora affidata a<br />

loro ed essi debbono “pascere”. Questo compito essi debbono svolgerlo soprattutto facendo<br />

attenzione a gente che potrebbe infiltrarsi con “dottrine perverse” e, quindi, dividere la<br />

Chiesa.<br />

Conclusione<br />

Abbiamo, dunque, percorso in quest’ultimo capitolo la vita dell’apostolo delle genti<br />

soffermandoci in particolare sulla sua attività apostolica incentrata sui viaggi. I primi due capitoli ci<br />

hanno messo in contatto con l’epistolario (I capitolo) e con l’ambiente umano e culturale nel quale<br />

Paolo è cresciuto (II capitolo).<br />

Conclusa l’introduzione, adesso ci soffermeremo sulla sua attività apostolica vista, però, a<br />

partire dai suoi scritti. Per fare ciò ripercorreremo i suoi viaggi attraverso i suoi scritti. Ogni<br />

capitolo si soffermerà sulle tappe principali delle sue peregrinazioni apostoliche.<br />

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