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Dove non suoanano più i fucili - Europuglia

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Ponte è uguale. Oggi, l’impresa che dirige i lavori, cioè che costruisce il Ponte, è<br />

turca, il capomastro è croato, con un po’ di bosniaci. Notiamo che da parte croata c’è<br />

un po’ la volontà di redimere la “colpa” di avere distrutto il Ponte”, dichiarò Péqueux<br />

dopo che con passione aveva fondato una scuola di tagliapietre per coinvolgere il<br />

<strong>più</strong> possibile la manovalanza locale. “L’aspetto emozionante di quest’opera costruita<br />

nel Sedicesimo secolo è che è <strong>più</strong> vicina a una scultura collettiva che a un’opera<br />

d’arte classica. La sua bellezza risiede nel fatto che si tratta di un insieme di errori<br />

corretti con una mescolanza di procedure orientali e occidentali. Mostar è in qualche<br />

modo il luogo dove l’Oriente e l’Occidente si sono tesi la mano. L’opera di ricostruzione<br />

si potrà considerare riuscita se riusciremo a riportare la gente a lavorare con<br />

uno stato dello spirito comune”, sottolineò Péqueux dopo che si scelse di assumere<br />

manodopera turca perché <strong>più</strong> economica anziché quella locale che pure s’era formata<br />

nei corsi da lui stesso avviati.<br />

Oggigiorno la gente dice che è un ponte troppo bianco, e <strong>non</strong> ha torto, quantunque<br />

siano state riutilizzate parecchie delle grandi pietre che erano appartenute al ponte<br />

distrutto. Ma fra un secolo, è auspicabile e verosimile, <strong>non</strong> si ricorderà <strong>più</strong> che quella<br />

costruzione è una copia. Si continuerà a chiamarlo, come già oggi si fa, “ponte vecchio”<br />

e, al di là delle polemiche, resterà parte di un conglomerato urbano che<br />

l’UNESCO ha dichiarato patrimonio dell’umanità.<br />

Un ponte tutto umano, fatto di carne e ossa, un ponte di culture e tradizioni molto diverse<br />

tra di loro sono invece impegnati quotidianamente a costruire gli straordinari ragazzi<br />

del circuito che si raccoglie attorno al Centro Culturale Abraseviç. Cercare di dipanare<br />

l’aggrovigliata rete di associazioni ed enti strettamente interconnessi tra di loro e<br />

operanti fianco a fianco anche fisicamente: è impresa che ci aiuta a compiere Nedim<br />

Cisiç, ventinove anni, una forza della natura impegnata in mille progetti e mille attività<br />

diverse tra di loro ma tutte dirette a rendere Mostar una città giovane, culla di cultura<br />

underground internazionale, brulicare incessante di manifestazioni piccole e grandi<br />

che, lui spera, alla lunga porteranno i loro frutti sulla civiltà erzegovese post-bellica.<br />

Ed è così che questo ragazzo che durante la guerra è vissuto a Bari e parla un italiano<br />

perfetto e ha visitato molti Paesi e dunque sa fare le proporzioni, sa riconosce-<br />

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re che “queste cose spesso in altri posti <strong>non</strong> hanno <strong>più</strong> senso, ma qui no. Noi occupiamo<br />

spazi distrutti, li ricicliamo, li facciamo rivivere, coloriamo le prime linee, tutto<br />

questo è forse soltanto simbolico, ma serve, senti che stai facendo una buona cosa”.<br />

Questo ragazzo, che ci risulta immediatamente simpatico e con il quale stabiliamo<br />

finalmente una sintonia emotiva forte, ci elenca le associazioni coinvolte nel MIFOC,<br />

il Mostar International Festival Organization Committee. Partner locali e internazionali:<br />

il “suo” Alternative Institute, il Mladi Most Film Club, il Drugi Most, la città di<br />

Guernica, la Rai di Barcelona, il Sicart Art, l’italiana ARCI.<br />

“L’Istituto alternativo nasce con l’intenzione di far cultura di base con i giovani mostariani.<br />

L’Arci è il principale finanziatore, perché, lo saprai, ormai in tutta Europa le<br />

parole d’ordine sono: progetto, partnership, piattaforma. È un lavoraccio defatigante<br />

e si finisce per trascurare l’arte ma è l’unico modo per sopravvivere, per avere attrezzature<br />

per tutte le associazioni che orbitano attorno ad Abraseviç. Adesso stiamo<br />

cercando di diventare <strong>più</strong> autonomi, di investire. Abbiamo sgobbato per tenere aperto<br />

un piccolo club che ospita anche un festival dei cortometraggi. Eravamo gli unici<br />

ad avere i camerieri in regola. Ma un giorno arriva la Guardia di Finanza e chiude<br />

tutto, così: con la sola spiegazione che <strong>non</strong> avevamo la licenza e senza prendersi la<br />

briga di controllare i nostri documenti che risultavano invece in perfetta regola. Allora<br />

noi <strong>non</strong> demordiamo. Paghiamo tutte le multe, andiamo a parlare fin con il Ministro,<br />

e quello ci rivela che <strong>non</strong> eravamo graditi ai bar concorrenti della zona. Ho messo su<br />

un putiferio sui media. Ho detto al Ministro: . Anche la città di Mostar ci mette i bastoni fra le ruote di continuo.<br />

Eppure realizziamo opere che sono uniche in tutta la ex Iugoslavia. La nostra rivista<br />

letteraria compra di continuo all’estero diritti di traduzione di autori che altrimenti<br />

rimarrebbero sconosciuti in Bosnia. Grazie all’Arci qui arrivano stagisti da tutto il<br />

mondo, in questo momento ci sono 15 peace-keepers ad aiutarci a metter su il<br />

Festival, che è il lavoro <strong>più</strong> grosso per noi. Arrivano a Mostar 300 artisti da tutto il<br />

mondo. Riusciamo a organizzare pullman che partono dalla Spagna e arrivano qui<br />

a portare pittori, scultori, musicisti, attori, installatori, scrittori. È un progetto no-budget.<br />

Gli ospiti sanno che <strong>non</strong> avranno compenso. Centinaia di giovani restano qui per<br />

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