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Dove non suoanano più i fucili - Europuglia

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Al Pavarotti Center, inaugurato da Bono Vox, Jovanotti, i Litfiba, Brian Eno e<br />

Zucchero nel 1997, curano con la musica i disagi mentali dei bimbi i cui genitori portano<br />

ancora impresso nello sguardo l’orrore della pulizia etnica. Vi si respira un’atmosfera<br />

internazionale ed elegante. “Il Mostar Music Centre sarà probabilmente il<br />

primo pezzo significativo della nuova ricostruzione, il simbolo di una speranza sulla<br />

parte che ognuno può fare perché la vita riprenda a scorrere”, ha detto Brian Eno il<br />

giorno dell’inaugurazione.<br />

La direttrice, Ann Skeef, come la quasi totalità della popolazione dotata di un’istruzione<br />

superiore, parla un inglese perfetto e fluente. Anche lei insiste nel sottolineare<br />

che <strong>non</strong> c’è differenza fra Mostar Est e Mostar Ovest, che i bambini son bambini e<br />

che, a scapito dei capi religiosi i quali continuano in questa insensata corsa a chi si<br />

fa il minareto <strong>più</strong> alto e risonante (il campanile cattolico appena costruito è un obbrobrio<br />

alto quasi cento metri che fa il paio con una mega croce al neon installata in cima<br />

a una delle due colline degli orrori, quella della frontline croata), tutti i giovani qui son<br />

laici e privi d’ogni genere di animosità nei confronti d’alcuna fazione religiosa.<br />

Mentre parliamo con Ann arriva la notizia, sui nostri telefonini e sul portale di Internet<br />

che balena sullo schermo dell’ufficio, delle bombe nella metropolitana e sugli autobus<br />

di Londra. A Londra la direttrice ha vissuto molti anni. Anche Joha vi ha molti<br />

amici. Siamo sgomenti e confusi. Trascorriamo mezz’ora a spedire messaggi, a riceverne,<br />

a leggere le notizie sul sito della Cnn. Cosa si è rotto? Cosa si è rotto in<br />

Occidente? Ci chiediamo a vicenda, e con le mani fra i capelli, in quello studio. Joha<br />

arriccia il naso. Scrolla le spalle. La direttrice spinge le braccia in avanti e poi indietro,<br />

come a voler ritrovare un baricentro dopo la notizia sconcertante. Poi ferma le<br />

spalle, tira il collo in avanti, fa pure lei una smorfia di <strong>non</strong>curanza. È un modo molto<br />

elegante e molto artefatto per <strong>non</strong> ricadere nell’incubo. La violenza, l’odio, la guerra:<br />

sono pensieri da cui i bosniaci <strong>non</strong> vogliono <strong>più</strong> farsi attraversare.<br />

Ann s’accende una sigaretta. Riprende a parlare della musicoterapia, della piccola<br />

retta che da settembre in poi gli utenti del Centro dovranno pagare per partecipare<br />

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ai workshop. Ricorda commossa una giovanissima collaboratrice croata del Centro,<br />

Katerina Ivicevic, una ragazza che aveva creduto profondamente nella possibilità<br />

che croati e musulmani ritornassero a convivere e dialogare e che, nel 1998, a soli<br />

23 anni, si suicidò. Ci porge una poesie di Katerina:<br />

wounded slopes of history<br />

flower in untimely season<br />

when children’s voices<br />

silenced by an unholy hail<br />

rise to the sun without petals<br />

(dirupi feriti della storia / fiore senza tempo / quando le voci dei bambini /<br />

messe a tacere da un saluto sconsacrato / si elevano al sole senza petali)<br />

Poi si ricompone di nuovo, illustra con sobrietà le attività del Centro che spaziano dalla<br />

fotografia alla recitazione, dalla produzione di video e veri e propri film alla pittura.<br />

Secondo uno studio dell’UNICEF, oltre l’80% dei bambini della città sentono che le<br />

loro vite <strong>non</strong> hanno alcun valore. “Non mi interessa se muoio oggi o domani”, dicono<br />

già a dieci anni. Sono i figli degli ammalati di PTSD (Disordine da Stress<br />

Postraumatico). Al Centro, cercano di tirar fuori i bambini mostariani da questa afasia<br />

emotiva attraverso la musica.<br />

Ann sorride timidamente mentre ci congeda. Joha <strong>non</strong> ha mai smesso di chattare<br />

con amici londinesi, adesso è impaziente di riportarci in albergo a bordo della sua<br />

piccola Opel dell’88.<br />

Nello stesso pomeriggio incontriamo Muhamed Hamica Nametak, anziano regista<br />

del locale teatro dei burattini, il Puppet Theatre celeberrimo.<br />

In un italiano lento e dalla cadenza melodiosa ci racconta che il Puppet Theatre esiste<br />

dal 1952 e che la sua personale esperienza di regista comincia nel 1963, quando<br />

cominciò ad appassionarsi all’animazione degli oggetti e al teatro di figura nella<br />

ex sinagoga donata dalla Comunità ebraica mostariana. Sotto il regime di Tito, la<br />

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