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SANTI DI CALABRIA<br />
L’Abbazia Florense a San Giovanni in Fiore<br />
della Sambucina, cistercense,<br />
e, successivamente,<br />
in quella di “ispirazione cistercense”<br />
di Santa Maria<br />
di Corazzo, della quale nel<br />
1177 diviene abate (priore).<br />
Per un anno e mezzo, dal<br />
1183, soggiorna a Casamari,<br />
altra abbazia apparte-<br />
42 Calabria Produttiva<br />
nente all’ordine di Citeaux<br />
(in latino Cistercium). Il<br />
rapporto si configura però<br />
ben presto come scontro,<br />
sempre più duro. Tornato<br />
in Calabria e persuaso<br />
dell’avvicinarsi di un periodo<br />
di tribolazioni bibliche,<br />
poco dopo la Pasqua<br />
del 1186, egli lascia Corazzo<br />
per un luogo isolato:<br />
Petra Lata. Attratto dapprima<br />
dall’ordine che lo accoglie,<br />
Gioacchino se ne<br />
distacca dunque ormai insofferente.<br />
Due anni dopo,<br />
il papa lo esonera addirittura<br />
dai suoi doveri di<br />
abate. Probabilmente, proprio<br />
nello stesso anno, Gioacchino<br />
fa i suoi primi<br />
viaggi perlustrativi per le<br />
montagne della Sila alla ricerca<br />
di un luogo (Fiore)<br />
dove fondare il monastero<br />
di San Giovanni. Ma nel<br />
capitolo generale dell’or-<br />
SANTI DI CALABRIA<br />
dine, svoltosi nel settembre<br />
del 1192, si arriva allo scontro:<br />
gli viene intimato, insieme<br />
ad un suo valido<br />
compagno, Rainero di<br />
Ponza – con la minaccia di<br />
essere considerati fugitivi –<br />
di rientrare a Corazzo. Da<br />
qui, si sono allontanati<br />
mossi dalla volontà di gettare<br />
le basi di un nuovo<br />
monachesimo purificato.<br />
L’ostilità dell’ordine è attestata<br />
dalle parole di fuoco -<br />
rivolte più tardi alla sua<br />
persona da Goffredo di Auxerre,<br />
già segretario, verso<br />
la metà del XII secolo, di<br />
san Bernardo di Chiaravalle<br />
- che definiscono Gioacchino<br />
“falso profeta”<br />
attribuendogli inoltre una,<br />
improbabile, origine<br />
ebraica. Tuttavia, dopo<br />
averlo accusato di “diserzione”<br />
in vita, gli stessi cistercensi<br />
giungeranno a<br />
venerarlo successivamente<br />
come beato. Occorre soffermarsi,<br />
a questo punto, sul<br />
già citato soggiorno, dal<br />
gennaio 1183 per un anno e<br />
mezzo, a Casamari, abbazia<br />
nella diocesi laziale di<br />
Veroli, quando già Gioacchino<br />
ha superato i cinquant’anni.<br />
Qui, infatti,<br />
dispone di una ricca biblioteca<br />
ed è circondato da un<br />
gruppo di monaci scrittori<br />
(Luca, appunto, Giovanni e<br />
Nicola) messi a sua disposizione<br />
dall’abate Geraldo.<br />
A Calamari, Gioacchino ha<br />
due visioni, una in occasione<br />
della Pasqua, l’altra<br />
della Pentecoste. Coglie<br />
«con gli occhi della mente»,<br />
come racconta egli stesso,<br />
la «concordia» tra l’Antico e<br />
il Nuovo Testamento, alla<br />
luce di un’inaspettata interpretazione<br />
del libro dell’Apocalisse.<br />
Tali visioni<br />
sono fonte preziosa di ispirazione<br />
per la composizione<br />
delle sue opere se,<br />
come si ritiene, proprio a<br />
partire dal soggiorno di<br />
Casamari, Gioacchino comincia<br />
a comporre i suoi<br />
testi più importanti, dedicati<br />
al mistero trinitario.<br />
Il rapporto dell’eremita<br />
con i potenti del tempo<br />
Egli è certo un “eremita”<br />
sui generis. Oggetto di discussione<br />
storiografica è la<br />
frequentazione con i potenti<br />
della terra, dai papi ai<br />
sovrani. Nel giro di sei<br />
anni incontra tre pontefici:<br />
Lucio III a Veroli; Urbano<br />
III a Verona; Clemente III a<br />
Roma. Proprio a queste tre<br />
figure si riferirà poi,<br />
quando, ormai prossima la<br />
morte, redigerà la letteratestamento<br />
in cui egli<br />
stesso fissa il desiderio di<br />
sottomettere i propri scritti<br />
all’approvazione papale. È<br />
in occasione del primo incontro,<br />
quello con Lucio III,<br />
che Gioacchino dà una<br />
prima grande prova di esegesi<br />
testamentaria; analizzando<br />
la profezia<br />
conosciuta come Sibilla<br />
Samia, opera un parallelo<br />
tra le sette tribolazioni subite<br />
dagli Ebrei nel Vecchio<br />
Testamento e quelle subite<br />
dalla Chiesa (in quel momento<br />
lo scontro con l’impero):<br />
la sua conclusione –<br />
non opporsi al potere temporale<br />
– ha evidentemente<br />
risvolti politici ma anche<br />
spirituali. A nostro avviso,<br />
non può infatti essere compresa<br />
la pratica di vita eremitica<br />
di Gioacchino senza<br />
un riferimento a quello che<br />
crediamo sia il senso più<br />
profondo dell’essere disponibili<br />
al soffio… dello Spirito<br />
santo. Sospinto da tale<br />
soffio, egli “si muove”<br />
tanto: e lasciandosi muovere,<br />
“muove” a sua volta.<br />
Oltre a ricevere prove di<br />
amicizia – sotto forma di<br />
elargizioni di terre per le<br />
sue fondazioni – da parte<br />
di sovrani normanni (Tancredi<br />
e Costanza) ma non<br />
solo, determinante è il suo<br />
ruolo, tipicamente biblico,<br />
di profeta che si rivolge ai<br />
re (la storia si ripete: nel<br />
1187 Gerusalemme è “caduta”<br />
per mano del Saladino).<br />
In questa veste,<br />
incontra il sovrano inglese<br />
Riccardo Cuor di Leone, a<br />
Messina, in attesa di imbarcarsi<br />
per la crociata (la<br />
terza, detta anche “Crociata<br />
dei re”), e l’imperatore<br />
Enrico VI impegnato,<br />
con l’assedio di Napoli, nel<br />
rivendicare il Regno di Sicilia<br />
in quanto marito della<br />
normanna Costanza d’Altavilla.<br />
In entrambe le occasioni,<br />
i due potenti uomini<br />
riflettono sulle parole visionarie<br />
del povero uomo disarmato:<br />
Enrico VI,<br />
successivamente, gli riconoscerà<br />
pubblicamente il<br />
Calabria Produttiva<br />
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