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NEWSLETTER #56 - aisna

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AISNA Newsletter 56, p. 20<br />

Suggellerò ora questo mio ricordo con parole che vogliono rendere omaggio, affettuoso ed<br />

ammirato, ad entrambi i grandi che non sono più con noi, che tanto ci hanno dato, in forme diverse,<br />

e di cui in modo così lacerante sentiamo ora la mancanza (io certo la sento enormemente);<br />

utilizzerò per questo un pensiero di Bellow (dalla sua introduzione a Great Jewish Short Stories,<br />

1963), di riflessione sulla vita nel suo rapporto con la storia, con la cui citazione Lombardo, nel<br />

saggio già menzionato, iniziava a tratteggiare il ritratto del romanziere. In questo brano scritto<br />

dall’uno e selezionato dalla critica dell’altro, cogliamo un esempio di ciò a cui mirava la letteratura<br />

per entrambi: il potenziamento delle coscienze tramite la riflessione e la ricerca sulla condizione<br />

esistenziale dell’essere umano. Questo, dunque, il Bellow proposto alla nostra attenzione da<br />

Agostino Lombardo, questo un insegnamento congiunto di ambedue lasciato per noi, nel momento<br />

doloroso dell’addio: “We are all…accidents. We do not make up history and culture. We simply<br />

appear, not by our own choice. We make what we can of our condition with the means available.<br />

We must accept the mixture as we find it – the impurity of it, the tragedy of it, the hope of it.” Voi<br />

la cui assenza noi ora piangiamo avete molto saputo “make” della vostra condizione. Con<br />

ammirazione ed affetto, GRAZIE, MAESTRO. GRAZIE, MAESTRI.<br />

***<br />

Alessandro Portelli<br />

Mi dispiace moltissimo di non poter partecipare a questa giornata in onore e memoria di Agostino<br />

Lombardo. Purtroppo avevo da tempo preso l’impegno di andare a Bologna a presentare il primo<br />

numero di una rivista che sia chiama “Studi culturali”.<br />

Il sintagma “studi culturali” avrebbe fatto venire l’orticaria ad Agostino Lombardo, da<br />

sempre sospettoso verso novità che gli parevano pretestuose e pretenziose. Però se c’è stato uno che<br />

ha capito molto presto, e molto prima che arrivassero in Italia gli studi culturali, che non si capiva la<br />

letteratura americana senza una conoscenza articolata, e appassionata, di tutto il contesto storico e<br />

culturale degli Stati Uniti, questo è proprio Agostino Lombardo. Lui lo poneva sotto forma di<br />

estensione del concetto di “letteratura”, e quindi al centro restava sempre la questione del<br />

linguaggio – la questione del linguaggio poetico in assoluto, e la questione della costruzione della<br />

lingua americana nello specifico. Devo a lui un approccio che mi ha portato non solo a lavorare su<br />

figure come Woody Guthrie o Robert Johnson, ma che mi ha consentito di ascoltarli sia come<br />

grandi figure della storia musicale, sia anche come grandi poeti di una poesia altra, capace di<br />

abbracciare la tradizione orale e la modernità tecnologica.<br />

Mentre scrivo queste righe al computer del dipartimento, mi interrompe una laureanda che<br />

vuole scrivere la tesi triennale su Ani DiFranco. Oggi non è una cosa tanto insolita; ma è stato<br />

Agostino Lombardo ad aprire la strada a questo ambito di ricerca. Non so se gli sarebbe piaciuto<br />

ascoltare Ani DiFranco; sono sicuro che i suoi testi lo avrebbero interessato e incuriosito. Da<br />

letterato appassionato, amava anche Charlie Parker, aveva imparato a rispettare Bruce Springsteen.<br />

Al mio primo figlio regalò una tutina a strisce rossonere, sia pure orizzontali.<br />

Agostino Lombardo non amava le mode, e aveva stelle polari sue da cui non ha mai scartato<br />

– abbiamo tutti parlato del suo rapporto con Shakespeare, ma io non dimenticherei Hawthorne: il<br />

primo corso che ho seguito con lui, sui racconti di Hawthorne, mi ha segnato una volta per tutte. E<br />

non dimenticherei Melville. La prima volta che sono salito su una cattedra da professore, il mio<br />

pensiero è stato: io ho avuto Agostino Lombardo; questi studenti, poverini, hanno me. Insegnare<br />

Moby Dick è stato sempre il mio modo di rendergli omaggio, attraverso il romanzo con il quale mi<br />

aveva letteralmente ipnotizzato. In questi giorni, mi è capitato per due volte di fare lezioni su Moby<br />

Dick in scuole romane, al Democrito e al Russell, chiamato da professoresse che erano state sue<br />

allieve. Anzi, al Russell stavano cercando di chiamare lui, e non hanno fatto in tempo. Ancora una<br />

volta, insomma, mi sono trovato a stare dove avrebbe dovuto essere lui. È una responsabilità<br />

grande, ma anche un grande aiuto, perché è stato lui a insegnarci il significato e la responsabilità<br />

che fanno parte del lavoro di insegnare.

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