11.06.2013 Views

Scarica il PDF - L'IRCOCERVO

Scarica il PDF - L'IRCOCERVO

Scarica il PDF - L'IRCOCERVO

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

In questo numero<br />

l’ircocervo - la rivista delle libertà - Trimestrale di cultura politica edito da Bietti Media Srl<br />

Sede legale: Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />

Anno 2, numero 1, Primavera/Estate 2008<br />

Registrazione presso <strong>il</strong> Tribunale di Brescia n. 7/2007 del 15 marzo 2007<br />

Direzione, Redazione e Amministrazione: Bietti Media Srl, Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />

www.bietti.it - tel. 030 295751 - fax 030 290445- e-ma<strong>il</strong>: monica@bietti.it<br />

Direttore: Fabrizio Cicchitto<br />

Vice Direttori: Sabatino Aracu - Pierluigi Borghini<br />

Direttore responsab<strong>il</strong>e: Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

Direttore editoriale: Francesco Gironda<br />

Segreteria di Redazione: Monica Gironda, Giovanna Moresco, Ludovica Paolucci<br />

Stampa: Plus Group srl, Roma<br />

1<br />

l a r i v i s t a d e l l e<br />

l i b e r t à<br />

Politica<br />

Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo Berlusconi, di Fabrizio Cicchitto 3<br />

le prospettive e i problemi<br />

del partito del Popolo della Libertà<br />

La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e di Gaetano Quagliariello 18<br />

Le incognite del nuovo ciclo politico di Peppino Caldarola 23<br />

Il cataclisma elettorale di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 28<br />

Economia<br />

L’eredità di Prodi e la «falsa coscienza» di Bersani di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 35<br />

Le riforme contrattuali prossime venture di Giuliano Cazzola 44<br />

La politica industriale tra delocalizzazione<br />

ed immigrazione di Pierluigi Borghini 50<br />

Il nucleare di IV generazione di Luigi De Vecchis 55<br />

Enel: una multinazionale italiana dell’energia di Alessandro Luciano 60<br />

Storia<br />

Tibet: anello centrale della «grande Cina» di Marco Giaconi 65<br />

La sfida del terrorismo di Andrea Pannocchia 71<br />

Il complesso rapporto tra Mazzini e Garibaldi di Giuliana Limiti 81<br />

Note su «La Repubblica romana del 1849» di Italo Pasqui 91<br />

In libreria<br />

Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i, libri che... di Francesco Gironda 92


LA SINISTRA ITALIANA HA COSTRUITO<br />

NEGLI ANNI UNA FALSA STORIA D’ITALIA<br />

ACQUISTA I LIBRI DELLA COLLANA<br />

“DOCUMENTI BIETTI STORIA”<br />

CHE RISTABILISCONO LA VERITÀ!<br />

PER IL CATALOGO ON LINE VISITA IL SITO<br />

www.bietti.it<br />

ordinali presso <strong>il</strong> tuo libraio di fiducia<br />

oppure acquistali nella libreria on line:<br />

www.ragioncritica.it


politica<br />

Il risultato delle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e è stato<br />

così descritto dall’Istituto Cattaneo di Bologna:<br />

«La coalizione berlusconiana ha conosciuto<br />

un forte avanzamento in termini non solo<br />

percentuali ma anche di voti assoluti. Rispetto<br />

al 2006 la coalizione è cresciuta di oltre<br />

1,5 m<strong>il</strong>ioni di voti (+10,1%) sull’ammontare dei<br />

voti attenuti nel 2006. L’aumento, per giunta, si<br />

verifica in quasi tutte le regioni (con le uniche<br />

eccezioni del Nord Est, nel Friuli Venezia Giulia,<br />

e nel Trentino Alto Adige, dove <strong>il</strong> risultato è<br />

sostanzialmente stab<strong>il</strong>e: nel Nord Est, come<br />

nel Nord Ovest è stato “molto r<strong>il</strong>evante” <strong>il</strong> successo<br />

della Lega). L’area di centro-sinistra ha<br />

sostanzialmente tenuto rispetto al 2006. La<br />

presenza di canditati radicali, ma non socialisti<br />

nella coalizione di Walter Veltroni rende diffic<strong>il</strong>e<br />

fare raffronti fra i risultati 2006-2008 (...). Si<br />

assiste ad un leggero aumento dei voti (nella<br />

misura dell’1,3% pari a circa 185m<strong>il</strong>a voti). Il risultato<br />

dell’area di centro-sinistra è riuscito a<br />

“fare <strong>il</strong> pieno“ dei suoi voti nel 2006 allora non<br />

è riuscito ad attirare verso di sé flussi significativi<br />

da quei due elettorati o, se vi è riuscito, non<br />

ha fatto <strong>il</strong> pieno dell’elettorato ulivista (...) Il calo<br />

più consistente ha interessato i partiti dell’estrema<br />

sinistra (la Sinistra Arcobaleno) che<br />

hanno subito un’emorragia di quasi di 2,4 m<strong>il</strong>ioni<br />

di voti rispetto al 2006, con una contrazione<br />

del 61,5% (...) Piuttosto marcato anche l’abbassamento<br />

dei consensi per l’Udc, che ha<br />

perso quasi 530 m<strong>il</strong>a voti, corrispondente ad<br />

oltre <strong>il</strong> 20% del suo elettorato di due anni fa (...)<br />

Le perdite sono molto accentuate in Liguria,<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo<br />

Berlusconi, le prospettive e i problemi<br />

del partito del Popolo della Libertà<br />

di Fabrizio Cicchitto<br />

3<br />

Lazio, Toscana e Umbria (oltre <strong>il</strong> 33% del voti<br />

del 2006) oltre la metà delle perdite sono attribuib<strong>il</strong>i<br />

alla Lombardia (-155 m<strong>il</strong>a), al Lazio (-87<br />

m<strong>il</strong>a) e al Veneto (-17%) verosim<strong>il</strong>mente grazie<br />

alla candidatura di Ciriaco de Mita. I partiti di<br />

estrema destra, pur non ottenendo alcuna rappresentanza<br />

parlamentare, hanno visto raddoppiare<br />

i consensi conquistando oltre mezzo<br />

m<strong>il</strong>ione di voti in più rispetto al 2006» (1).<br />

Sul terreno dei flussi elettorali gli studiosi, nelle<br />

loro prime analisi, hanno r<strong>il</strong>evato i seguenti<br />

movimenti: per ciò che riguarda l’Udc essa ha<br />

perso una quota r<strong>il</strong>evante di voti a favore di<br />

Forza Italia all’interno del Popolo della Libertà<br />

e ha invece recuperato voti dall’elettorato cattolico-moderato<br />

della Margherita che non si è<br />

riconosciuto nella formazione del Partito Democratico<br />

guidato da Veltroni e largamente<br />

egemonizzato dalla struttura politico-partitica


dei Ds così come ha r<strong>il</strong>evato la rivista cattolica<br />

<strong>il</strong> Regno che ha affermato: ormai <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

è fondato sull’intelaiatura costituita<br />

dai Ds a cui si è aggiunta la leadership di Veltroni.<br />

Anche secondo <strong>il</strong> Regno i post-democristiani<br />

di Marini, di Fioroni e di Soro sono sostanzialmente<br />

degli ospiti di lusso ben remunerati<br />

individualmente, in un partito fondamentalmente<br />

nelle mani dei post-comunisti diessini.<br />

La conferma di tutto ciò è offerta da un’altra<br />

analisi elettorale che ha r<strong>il</strong>evato che solo <strong>il</strong><br />

42% dei cattolici, che avevano votato Unione,<br />

hanno poi ridato <strong>il</strong> loro consenso al Partito democratico.<br />

Per ciò che riguarda l’elettorato perso dalla sinistra<br />

di Arcobaleno esso si è frantumato in<br />

molteplici direzioni: verso due liste dell’estrema<br />

sinistra (una promossa da Ferrando, l’altra da<br />

Turigliatto, Sinistra critica), verso l’astensione,<br />

verso <strong>il</strong> «voto ut<strong>il</strong>e» per <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

in diverse zone operaie addirittura verso la Lega.<br />

Chi passa dall’11,3 al 3% va incontro ad<br />

un’autentica catastrofe politica. Per completezza<br />

di informazione ricordiamo che sono state<br />

realizzate altre analisi dei flussi elettorali, tutte<br />

nel complesso convergenti sui dati di fondo sopra<br />

riportati.<br />

Secondo un articolo di Fabio Carlucci, che riporta<br />

un’analisi di Paolo Natale, «al Nord la Sinistra<br />

Arcobaleno ha regalato <strong>il</strong> 10% alla Lega<br />

Nord, su scala nazionale 283 m<strong>il</strong>a persone, nel<br />

complesso l’8% di Ppc, Verdi, PdC, sono passati<br />

alla Lega»; sempre al Nord «<strong>il</strong> 23% di elet-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

4<br />

tori di Forza Italia è passato alla Lega». Un ulteriore<br />

5% di voti Udc è andato alla Lega. Sempre<br />

secondo <strong>il</strong> prof. Natale <strong>il</strong> voto Ppc Pdci,<br />

Verdi, si è così ridislocato: <strong>il</strong> 30% verso <strong>il</strong> Partito<br />

Democratico , <strong>il</strong> 4% verso Di Pietro, <strong>il</strong> 6%<br />

verso la Lega, <strong>il</strong> 38% verso l’astensionismo e le<br />

liste minori di estrema sinistra: quelle di Ferrando<br />

e di Turigliatto. A sua volta <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

ha preso l’81% dall’Ulivo perdendo <strong>il</strong><br />

20% (2). In un articolo sull’Unità si dà conto sia<br />

dell’analisi del Prof. Natale sia di un’altra, non<br />

divergente, del prof. Buttaroni: «Un m<strong>il</strong>ione e<br />

mezzo di persone che nel 2006 avevano scelto<br />

Rifondazione, Pdci, Verdi, per i Verdi addirittura<br />

<strong>il</strong> 59% (500 m<strong>il</strong>a) passa a Veltroni e solo<br />

l’8% sceglie Bertinotti. E ancora <strong>il</strong> 47% dei comunisti<br />

italiani sceglie <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

solo l’8,5 % l’Arcobaleno» (3).<br />

È evidente che queste cifre derivano da una<br />

scelta politica precisa: <strong>il</strong> voto ut<strong>il</strong>e contro Berlusconi<br />

a favore del Partito Democratico e/o <strong>il</strong><br />

disincanto nei confronti di Bertinotti, imbalsamatosi<br />

nella Presidenza della Camera e imborghesito<br />

sul terreno dell’immagine dalla sua<br />

assidua frequentazione nei salotti romani.<br />

Sempre nell’articolo sull’Unità si riporta una<br />

valutazione del prof. Natale che quantifica nel<br />

20% gli elettori del Prc, Verdi e Pdci che non<br />

hanno votato. Questi dati mettono anche in<br />

evidenza i termini della sconfitta politico-elettorale<br />

del partito democratico, sottolineata recentemente<br />

anche da Rosy Bindi (4). Di qui la<br />

domanda: perché <strong>il</strong> Partito democratico, visto<br />

questo apporto dell’estrema sinistra, non ha<br />

«sfondato» e ha guadagnato solo 100 m<strong>il</strong>a voti<br />

dal 2006 rimanendo, con l’Idv, di circa trem<strong>il</strong>ioni<br />

e mezzo di voti sotto <strong>il</strong> centro-destra: cioè<br />

sotto la somma del Partito della Libertà e della<br />

Lega-Nord?<br />

Secondo <strong>il</strong> prof. Buttaroni la causa è l’astensionismo:<br />

«ben 2,5 m<strong>il</strong>ioni di elettori che nel<br />

2006 avevano scelto l’Ulivo alla Camera (erano<br />

11,9 m<strong>il</strong>ioni) non sono tornati a votare». Un<br />

numero enorme e <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Pd alla fine abbia<br />

tenuto con circa 100 m<strong>il</strong>a voti in più rispetto<br />

al 2006, è dovuto al fatto che «1,5 m<strong>il</strong>ioni di


politica<br />

astensionisti di due anni fa sono tornati alle urne<br />

e hanno scelto Veltroni...». Altro dato interessante<br />

280 m<strong>il</strong>a ulivisti di due anni fa hanno<br />

scelto Casini (è chiaro che si tratta di voti provenienti<br />

dalla Margherita n.d.r.).... Circa 300<br />

m<strong>il</strong>a voti della ex Rosa nel Pugno sono passati<br />

al Pd, con tutta probab<strong>il</strong>ità voti radicali, mentre,<br />

una quota non irr<strong>il</strong>evante di ex ulivisti, circa<br />

<strong>il</strong> 4-5%, ha scelto l’alleato Antonio Di Pietro. Risultato:<br />

«la base elettorale del Partito Democratico,<br />

ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche del messaggio<br />

dei leader, si è notevolmente spostata a<br />

sinistra» dice Buttaroni.<br />

Chi sono questi 2,5 m<strong>il</strong>ioni di astensionisti che<br />

hanno regalato <strong>il</strong> governo a Berlusconi? Secondo<br />

Buttaroni non si tratta solo di ex Margherita,<br />

ma anche di ex Ds in pari misura «Ortodossi<br />

dei due ex partiti che non si sono riconosciuti<br />

in quello nuovo» (5). Non si tratta di<br />

una cifra da poco: per le contraddizioni, le ambiguità,<br />

le opacità che caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />

democratico, c’è stata la reazione di rigetto di<br />

una quota non indifferente di votanti della sinistra<br />

diessina. Sempre sull’Unità ci sono i risultati<br />

delle analisi dei prof. Buttaroni-Natale: «Il<br />

PdL conferma la base elettorale di Forza Italia<br />

e An. Berlusconi si è tenuto più di 8 elettori su<br />

10, <strong>il</strong> resto l’ha ceduto a Bossi. I flussi maggiori<br />

nella destra sono quelli da Forza Italia alla<br />

Lega (circa 500 m<strong>il</strong>a persone) e da An alla destra<br />

(tra <strong>il</strong> 5% e <strong>il</strong> 7% dell’elettorato di Fini, un<br />

dato quest’ultimo inferiore alle aspettative (...)<br />

circa 650m<strong>il</strong>a elettori di An sono passati alla<br />

Lega. E l’Udc paga anch’esso un prezzo molto<br />

alto all’astensionismo (oltre <strong>il</strong> 25% dei suoi<br />

elettori per Buttaroni) e ha un saldo negativo<br />

con <strong>il</strong> Pdl: gli cede circa 550 m<strong>il</strong>a voti, e in cambio<br />

riceve solo 370 m<strong>il</strong>a da F.I. (6).<br />

In effetti l’Udc si «salva» perché, pur perdendo<br />

voti dal 2006, tuttavia ha recuperato circa 280<br />

m<strong>il</strong>a voti dalla Margherita e altri voti dall’Udeur.<br />

Invece <strong>il</strong> PdL fa <strong>il</strong> pieno di voti al Centro-Sud,<br />

migliora in Umbria, Marche, Lazio e poi «esplode»<br />

in Abruzzo, in Campania, Puglia, Calabria,<br />

Sic<strong>il</strong>ia, Sardegna. Grazie a questi risultati, <strong>il</strong><br />

PdL passa dal 37,04 al 41,58 in Abruzzo, per-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

5<br />

Per le contraddizioni, le<br />

ambiguità, le opacità che<br />

caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />

democratico, c’è stata la<br />

reazione di rigetto di una<br />

quota non indifferente di<br />

votanti della sinistra<br />

diessina.<br />

de in Molise per l’exploit di Di Pietro (PdL 37,77<br />

nel 2006, al 36,47 nel 2008), passa dal 40,47<br />

del 2006 al 45,62 del 2008, esplode dal 39,07<br />

al 49,08 in Campania, dal 40,47 al 45,62 in Puglia,<br />

dal 35,44 al 42,44 in Sardegna, dal 31,74<br />

al 41,23 in Calabria, dal 40,1 al 46,83 in Sic<strong>il</strong>ia.<br />

Per di più, stando ad un’analisi fatta dal Corriere<br />

della Sera, nel Mezzogiorno per <strong>il</strong> PdL si sono<br />

avuti «più voti in periferia che al centro, più<br />

in provincia che in città. Ceto medio, pancia del<br />

paese, strati popolari: chiamatelo come volete,<br />

ma è qui che <strong>il</strong> PdL ha stravinto nel Mezzogiorno,<br />

senza nemmeno l’aiuto della Lega al Nord.<br />

Non sono imprenditori e liberi professionisti ma<br />

impiegati, operai, insegnanti che magari stavano<br />

a sinistra. Attirati dal taglio dell’ICI, visto che<br />

anche al Sud l’80% delle famiglie è proprietario<br />

di casa. Invogliati dal ritorno del bonus bebè,<br />

perché qui i figli si fanno ancora. E convinti dal<br />

cambiamento promesso da Berlusconi in una<br />

terra dove tutto sembra immob<strong>il</strong>e (7).<br />

Da questi dati emerge l’entità della disfatta a<br />

cui sono andati incontro i partiti della Sinistra<br />

Arcobaleno e la secca sconfitta politica di Veltroni<br />

e del partito democratico. Si era votato<br />

due anni fa nel 2006, non cinque. Si è rivotato<br />

nel 2008 perché non è caduto semplicemente<br />

un governo, quello di Prodi, ma è imploso tutto<br />

uno schieramento politico-elettorale che era<br />

stato costruito e guidato con convinzione da<br />

Prodi e dagli esponenti dei Ds e della Margherita<br />

e che andava da Rifondazione Comunista


fino ai moderati come Mastella, Dini, De Mita:<br />

tutti consenzienti nel formare quella coalizione,<br />

come testimonia la famosa foto del 2006 con i<br />

dodici leaders che avevano in mano <strong>il</strong> libro di<br />

280 pagine dello «pseudo» programma.<br />

Dopo due anni di governo l’alleanza è implosa<br />

clamorosamente da entrambi i lati, da quello<br />

dell’estrema sinistra e da quello del centro-moderato<br />

sul terreno della gestione del governo,<br />

del programma, dei rapporti politici e sociali.<br />

Questo fallimento è stato contrassegnato da<br />

una serie di episodi clamorosi, che qui è inut<strong>il</strong>e<br />

ricordare. Ma esso ha coinvolto in pieno <strong>il</strong> gruppo<br />

dirigente dei Ds, Veltroni compreso, che in<br />

quell’alleanza aveva creduto e che aveva contribuito<br />

a costruire, ritenendola la formula che<br />

avrebbe consentito di guidare <strong>il</strong> paese per tutta<br />

la legislatura contro Berlusconi: <strong>il</strong> nemico da<br />

sconfiggere prima e da distruggere dopo. Infatti<br />

malgrado <strong>il</strong> sostanziale pareggio del 2006, i<br />

Ds e la Margherita erano così convinti dell’operazione<br />

fatta, che respinsero l’invito del leader<br />

di Forza Italia di realizzare una grande coalizione<br />

e anzi si «blindarono» al punto da acquisire<br />

tutte le massime cariche istituzionali:<br />

l’obiettivo evidente, comune a Casini, era quello<br />

della distruzione di Berlusconi anche sulla<br />

base della valutazione che ormai era iniziata la<br />

sua decadenza.<br />

Esistono pochi dubbi sul fatto che a destab<strong>il</strong>izzare<br />

<strong>il</strong> governo Prodi sul piano sociale sia stata<br />

la sua politica fiscale: una politica fiscale che<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

6<br />

ha duramente colpito tutti gli strati sociali e ha<br />

inferto un colpo durissimo non solo al lavoro<br />

autonomo e agli imprenditori, ma specialmente<br />

al reddito dei ceti medi e dei lavoratori indipendenti<br />

(8). Di conseguenza quando, nel 2008,<br />

Veltroni ha proclamato che alle elezioni <strong>il</strong> Partito<br />

Democratico si sarebbe presentato da solo,<br />

in effetti faceva buon viso a cattivo gioco di<br />

fronte al fallimento politico dei due anni precedenti.<br />

Veltroni è quindi stato l’esecutore testamentario<br />

del fallimento di un’alleanza da lui<br />

stesso condivisa e del resto praticata al comune<br />

di Roma. I fallimenti non si sono fermati al<br />

centro-sinistra originario. Anche <strong>il</strong> centro-sinistra<br />

è andato incontro ad una sconfitta secca.<br />

Nella sua ispirazione originaria, quella pensata<br />

da Michele Salvati, <strong>il</strong> Partito Democratico era<br />

nato con l’obiettivo di operare una ridislocazione<br />

verso <strong>il</strong> centro dell’asse politico dei Ds e della<br />

Margherita. L’obiettivo era quello di fare concorrenza<br />

proprio a Forza Italia, cercando di<br />

«sfondare» nel consenso dei moderati e dei riformisti<br />

collocati nel centro del centro-destra.<br />

Analoga analisi avevano fatto Casini e <strong>il</strong> suo<br />

ideologo Ferdinando Adornato: entrambi avevano<br />

ritenuto che «la forza propulsiva» di Berlusconi<br />

era esaurita. Adornato, poi, scambiando<br />

a tal punto la sua fantasia per la realtà, era<br />

stato l’unico a credere ad un exit poll delle<br />

15,15 del giorno degli scrutini e, aveva, di conseguenza,<br />

proclamato la sconfitta di Berlusconi,<br />

la vittoria di Veltroni e l’intenzione di telefonare<br />

a quest’ultimo per congratularsi della sua<br />

vittoria: singolare infortunio quello di cambiare<br />

casacca per correre al soccorso del vincitore<br />

sbagliato.<br />

Sta <strong>il</strong> fatto che nulla di quanto avevano previsto<br />

Veltroni-D’Alema-Fassino e Casini si è verificato<br />

nelle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e del 2008. Anzi<br />

è accaduto esattamente <strong>il</strong> contrario: da un lato<br />

Berlusconi ha trionfato, dall’altro <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

non ha sfondato né sul piano politico<br />

verso l’area di centro; né sul piano sociale ed<br />

elettorale al Nord. Invece, a parte Pierferdinando<br />

Casini, contro la volontà e <strong>il</strong> disegno politico<br />

del gruppo dirigente del Partito democratico,<br />

come hanno r<strong>il</strong>evato le analisi dei professori


politica<br />

Natale e Bocconetti: «la base elettorale del Pd,<br />

ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche dei messaggi dei<br />

leader, si è notevolmente spostata a sinistra».<br />

Così è avvenuto che, per una carenza di cultura<br />

politica, di programmi, di analisi e di rapporti<br />

intessuti con la società civ<strong>il</strong>e, proprio Veltroni,<br />

e con lui <strong>il</strong> gruppo dirigente del Partito democratico,<br />

hanno combinato una lunga serie di<br />

disastri politici. Essi hanno contribuito a provocare<br />

la crisi anticipata del governo Prodi, verificatasi<br />

molto prima di quanto non volesse lo<br />

stesso Veltroni, e hanno di fatto dato un contributo<br />

decisivo alla scomparsa in Parlamento<br />

della sinistra radicale e dei socialisti. Tutto ciò<br />

senza riuscire neanche lontanamente a scalfire<br />

l’area di centro di Forza Italia e a «ritornare»<br />

politicamente e socialmente nel Nord.<br />

Le elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, con <strong>il</strong> loro risultato<br />

per molti aspetti straordinario, consentono,<br />

pertanto, di trarre alcune considerazioni conclusive<br />

sul percorso tortuoso seguito dai comunisti<br />

italiani e dai loro eredi diessini. La prima e<br />

in un certo senso più immediata e superficiale<br />

analisi riguarda la sottovalutazione dell’avversario<br />

che ha caratterizzato larga parte della sinistra<br />

italiana. Sottovalutazione addirittura mista<br />

a disprezzo ha caratterizzato l’analisi del<br />

suo più significativo «maître à penser»: vale a<br />

dire Eugenio Scalfari ben noto per non aver imbroccato<br />

una previsione elettorale in vita sua.<br />

Infatti dopo <strong>il</strong> crollo del comunismo e la crisi<br />

della cultura gramsciana e togliattiana, Eugenio<br />

Scalfari e tutto <strong>il</strong> gruppo editoriale Repubblica-Espresso<br />

hanno realizzato, dagli anni ’70<br />

in poi, una singolare operazione egemonica<br />

nei confronti del Pci e dei post-comunisti. Grazie<br />

ad essa, un’ambigua cultura liberal, talora<br />

liberista, talora bancario-dirigista, ha conquistato<br />

<strong>il</strong> «cervello» del gruppo dirigente, dei<br />

quadri intermedi, in parte della stessa base,<br />

dell’area post-comunista: Pds poi Ds nel vuoto<br />

di un’autonoma elaborazione culturale dopo <strong>il</strong><br />

forzato superamento del togliattismo.<br />

In tutti questi anni Scalfari ha così profondamente<br />

sottovalutato e disprezzato <strong>il</strong> suo avversario,<br />

anzi <strong>il</strong> suo nemico Berlusconi - dal 1994<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

7<br />

presentato come l’incrocio fra un rozzo pubblicitario,<br />

un folcloristico pagliaccio e un agente<br />

della mafia - che <strong>il</strong> 13 apr<strong>il</strong>e, dimostrando doti<br />

straordinarie di previsione e di lettura della società<br />

italiana, scriveva su Repubblica: «con avversari<br />

di questo livello non si può perdere. Gli<br />

elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a<br />

scommetterci». È la tesi dell’inferiorità antropologica,<br />

politica, culturale, sociale del centro-destra<br />

rispetto ad una sinistra colta, liberal, <strong>il</strong>luminata;<br />

una tesi che Repubblica ha portato avanti<br />

da sempre, prima contro la Dc, con l’eccezione<br />

di De Mita e della sinistra di base, poi contro<br />

<strong>il</strong> centro-destra di Berlusconi, Bossi, Fini.<br />

Una tesi che è andata incontro ad un fallimento<br />

«totale» malgrado l’influenza esercitata sui<br />

mezzi di comunicazione di massa.<br />

A livello televisivo questa «cultura» snobistica<br />

si esprime attraverso la «rozzezza» di Santoro.<br />

Il segno, però, che questo f<strong>il</strong>one di pensiero e<br />

di azione rappresenta qualcosa di più profondo<br />

nell’assetto fondamentale del «nuovo» Partito<br />

democratico, promosso da Veltroni, sta nella<br />

scelta delle alleanze elettorali. Il Partito Democratico<br />

si è alleato con la quintessenza del giustizialismo<br />

forcaiolo e della rozzezza dell’antipolitica<br />

rappresentata da Di Pietro e dal suo<br />

partito: formazione politica che, grazie all’alleanza<br />

preferenziale con <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

ha raddoppiato i propri voti, dopo aver dato agli<br />

elettori la certezza che essi non andavano persi.<br />

Immediatamente dopo le elezioni Di Pietro è<br />

venuto meno ai patti fatti con Veltroni e, una


volta «incassati» una quarantina di deputati e<br />

una quindicina di senatori, ha comunicato l’intenzione<br />

di non sciogliersi nel magma confuso<br />

del Partito democratico, ma di voler fare un<br />

gruppo autonomo. Oggi Di Pietro sta svolgendo<br />

un ruolo politico importante perché contesta<br />

qualunque intesa fra <strong>il</strong> Partito Democratico e <strong>il</strong><br />

Popolo della Libertà e scavalca da «sinistra» <strong>il</strong><br />

Partito democratico. Per di più <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

scegliendo l’alleanza con Di Pietro e<br />

scartando quella con la Sdi di Boselli ha dimostrato<br />

di mantenere una linea di continuità con<br />

<strong>il</strong> Pds del ’92-’94 che giocò tutte le sue carte<br />

sulla distruzione del Psi.<br />

Ma per tornare alle tesi «razzista» dei maîtres<br />

à penser di Repubblica - l’Espresso, bisogna<br />

innanzitutto ricordare che dal 1994 ad oggi<br />

Berlusconi ha vinto ben tre volte le lezioni: <strong>il</strong><br />

1994, <strong>il</strong> 2001, e adesso nel 2008. Berlusconi<br />

ha perso le altre due: nel 1996 e nel 2006.<br />

Quindi Berlusconi non ha «coperto» un ciclo<br />

politico omogeneo, ma ha dato una incredib<strong>il</strong>e<br />

prova di tenuta lungo una vicenda politica assai<br />

tortuosa. Se, poi, <strong>il</strong> giudizio di fondo dato da<br />

Eugenio Scalfari, Furio Colombo, Santoro e<br />

Marco Travaglio fosse fondato, quale sarebbe,<br />

allora, <strong>il</strong> livello politico di una sinistra «<strong>il</strong>luminata»<br />

e colta che si è fatta sconfiggere ben tre<br />

volte da un avversario siffatto? L’arroganza e la<br />

presunzione intellettuale sono, come spesso<br />

capita, delle cattive consigliere. Lo sono perché<br />

partono da un retroterra sbagliato: quello<br />

di una posizione elitaria ed aristocratica fondata<br />

sulla convinzione che la cultura, l’etica, «i<br />

migliori» stanno a sinistra, mentre la rozzezza<br />

e l’incultura stanno a destra. A proposito di<br />

questo e altro Luca Ricolfi ha scritto un libro dal<br />

significativo titolo Perché siamo antipatici (9).<br />

Libro che spiega come sia avvenuta una singolare<br />

«mutazione» genetica nel corpo e nel<br />

cervello delle forze politiche di centro-sinistra.<br />

Ed i risultati si sono visti.<br />

Una piena egemonia culturale e anche politica<br />

(spesso perfino nella scelta delle leadership:<br />

come hanno dimostrato i casi Rutelli, Ciampi e<br />

Veltroni, tutti sponsorizzati da Carlo De Bene-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

8<br />

detti) sul centro-sinistra è stata esercitata dallo<br />

«scalfarismo» e dal «debenedettismo». Ciò ha<br />

comportato un’autentica mutazione genetica,<br />

che si è riflessa sul terreno elettorale. I referenti<br />

sociali del centro-sinistra, nelle ultime elezioni,<br />

sono stati da un lato i dipendenti pubblici<br />

e i pensionati e dall’altro i ceti alti, specie delle<br />

grandi città (Roma e M<strong>il</strong>ano in primo luogo). Il<br />

consenso è venuto dal mondo del cinema, del<br />

teatro, della musica, dagli architetti, dai banchieri<br />

e fra i circoli snob della capitale. Non a<br />

caso nelle recenti elezioni amministrative Alemanno<br />

ha vinto grazie al voto delle borgate<br />

mentre ha perso ai Parioli.<br />

Partendo dalla riproposizione aggiornata della<br />

concezione verticistico-paternalistica che sottendeva<br />

nell’antica Roma <strong>il</strong> motto «panem et<br />

circenses», Veltroni ha cercato a Roma di recuperare<br />

consenso grazie alle «notti bianche»<br />

e ai festival del cinema; esibendo, in campagna<br />

elettorale, <strong>il</strong> suo rapporto con Francesco<br />

Totti, facendosi ritrarre con George Clooney<br />

comparendo, addirittura, all’ultimo comizio<br />

elettorale sottobraccio al cantante Jovanotti.<br />

Siamo nel mondo dell’effimero, della ricchezza<br />

esibita, dello snobismo patinato. La quintessenza<br />

di «questa sinistra» è rappresentata da<br />

Giovanna Melandri. L’elettorato popolare non<br />

ha gradito tutto ciò. E si è regolato di conseguenza.<br />

Questa scelta si è tradotta in una prassi singolare,<br />

che ha contagiato tutta la sinistra, anche<br />

una parte di quella estrema: Bertinotti in testa.


politica<br />

L’assidua frequentazione della Roma dei salotti,<br />

voleva perseguire una sua piena legittimazione.<br />

Invece la sfacciata visib<strong>il</strong>ità della omogeneizzazione<br />

di una sinistra light con l’establishment<br />

amministrativo, finanziario, istituzionale<br />

ha avuto effetti devastanti. Specie se si<br />

considera <strong>il</strong> tipo di politica, nel frattempo, portata<br />

avanti dal Governo Prodi. Grazie alle scelte<br />

di politica fiscale, i lavoratori dipendenti hanno<br />

visto che le loro buste paga perdevano potere<br />

d’acquisto, proprio durante <strong>il</strong> governo di<br />

centro-sinistra: più tasse e più inflazione hanno<br />

avuto effetti perversi sugli stipendi e sui salari,<br />

terremotando i consensi a favore del governo<br />

Prodi. Contraddizioni che non potevano essere,<br />

certo, b<strong>il</strong>anciati dalla frequentazione di Veltroni<br />

con Totti, Jovanotti, Clooney, Monicelli e<br />

Muccino, né con la presenza di Bertinotti al salotto<br />

di Sandra Verusio.<br />

Tranne in alcune zone, inoltre, si è verificato<br />

un netto distacco fra <strong>il</strong> neonato Partito Demo-<br />

Con la concertazione <strong>il</strong><br />

sindacato ha concentrato<br />

nella politica tout court,<br />

talora anche nella<br />

politica macroeconomica,<br />

tutto <strong>il</strong> suo potere e anche<br />

la sua iniziativa politica.<br />

cratico e vasti strati della società italiana: <strong>il</strong><br />

giovan<strong>il</strong>ismo veltroniano, tradottosi nella collocazione<br />

come capolista di ragazze incolte e<br />

inesperte della politica, ha determinato un ulteriore<br />

distacco dalla società reale e dallo<br />

stesso mondo giovan<strong>il</strong>e autentico.<br />

Questo distacco è stato espresso da un partito<br />

che, ald<strong>il</strong>à delle apparenze, è l’assemblag-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

9<br />

gio di una parte (quella più gradita a Veltroni,<br />

a Bettini e a Marini-Franceschini) delle nomenclature<br />

e dell’organizzazione del potere<br />

dei Ds e della Margherita, ma che è sempre<br />

più lontano dalla società civ<strong>il</strong>e reale, composta<br />

da piccoli imprenditori, da lavoratori autonomi<br />

e dipendenti, dalla stessa classe operaia, dagli<br />

abitanti dei quartieri periferici: tutti strati sociali<br />

più a contatto con la criminalità endemica<br />

delle favelas di cui molti immigrati clandestini<br />

sono portatori.<br />

Questo elitismo, in parte snobistico in parte di<br />

potere, è stato accentuato dalla crisi del sindacato,<br />

sul quale Pietro Ichino e Stefano Livadiotti<br />

hanno condotto analisi devastanti (10).<br />

Infatti per molti aspetti la «concertazione» ha<br />

ucciso <strong>il</strong> sindacato anche perché si è trattato di<br />

una «concertazione rispettosa», da parte del<br />

sindacato, nei confronti del governo e delle<br />

grandi imprese. Con la concertazione <strong>il</strong> sindacato<br />

ha concentrato nella politica tout court, talora<br />

anche nella politica macroeconomica, tutto<br />

<strong>il</strong> suo potere e anche la sua iniziativa politica.<br />

Forte di un tesseramento automatico, che è<br />

assolutamente scandaloso, forte di un radicamento<br />

nel pubblico impiego e fra i pensionati, <strong>il</strong><br />

sindacato in questi anni, non ha tutelato due<br />

aspetti fondamentali della condizione operaia:<br />

la tenuta del potere d’acquisto dei salari e la<br />

salute-sicurezza nei luoghi di lavoro. In sostanza<br />

è venuto meno <strong>il</strong> sindacato in fabbrica. L’unico<br />

sindacato che ha mostrato una qualche<br />

consapevolezza del problema è stata la Cisl<br />

che non a caso, contrastata dalla Cg<strong>il</strong>, ha sostenuto<br />

<strong>il</strong> ritorno ai due livelli di contrattazione:<br />

quella nazionale e quella aziendale, quest’ultima<br />

anche in funzione di un aumento della produttività.<br />

Ma queste esiziali chiusure autoreferenziali<br />

(del gruppo dirigente dei partiti della sinistra e<br />

di quello del sindacato) si sono nutrite, fino alle<br />

elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, del mito di una presunta<br />

superiorità culturale ed etica. I prototipi<br />

relativi, sia pure con opposti comportamenti,<br />

sono stati proprio quelli di Veltroni e D’Alema,<br />

con al rimorchio l’esangue Epifani. Quella pre-


sunzione si è intrecciata alle analisi sbagliate<br />

su aspetti fondamentali della società italiana riguardanti<br />

sia <strong>il</strong> Nord, che <strong>il</strong> Sud, nonché di alcune<br />

tendenze di fondo della geopolitica e della<br />

globalizzazione. Per di più la sinistra diessina<br />

e oggi <strong>il</strong> Partito Democratico in quanto tale<br />

hanno ritenuto di avere acquisito una posizione<br />

egemone rispetto al populismo berlusconiano<br />

incolto, rozzo e inconsapevole, essendosi collocati<br />

lungo l’asse dell’alleanza preferenziale<br />

con <strong>il</strong> potere economico-finanziario fondamentale<br />

che governa la società italiana, quello delle<br />

banche e del Corriere della Sera.<br />

Questa operazione, si sono fondati, storicamente,<br />

su quello che è stato chiamato <strong>il</strong> «patto<br />

dei produttori» e adesso la «concertazione». Il<br />

punto di riferimento dei post-comunisti e della<br />

Cg<strong>il</strong>, in tutti questi anni, è stato finora <strong>il</strong> seguente:<br />

l’alleanza preferenziale con le poche<br />

grandi industrie di stampo fordista rimaste in<br />

campo, con le grandi banche collegate a Banca<br />

Intesa, con i pochi grandi giornali espressi<br />

da quelle catene di interessi, con alcune procure<br />

(in primo luogo quella di M<strong>il</strong>ano). E poiché<br />

a questo monoblocco di potere Berlusconi e <strong>il</strong><br />

centro-destra non hanno mai partecipato, <strong>il</strong><br />

centro-sinistra, da Prodi a Veltroni-Fassino-<br />

D’Alema, ha sempre ritenuto di aver comunque<br />

vinto perché collocatosi nel cuore del sistema<br />

di potere. Senonché, nel corso di questi ultimi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

10<br />

anni, quel «meccanismo» ha funzionato in modo<br />

sempre meno efficace. Le elezioni del 13-<br />

14 apr<strong>il</strong>e, inoltre, hanno dimostrato che esso è<br />

giunto ad un punto di usura e di totale perdita<br />

di credib<strong>il</strong>ità. Avendo perso <strong>il</strong> contatto con la<br />

parte più dinamica della società italiana.<br />

Ciò che è cambiato è tutta la «fase» storica.<br />

Nel corso di essa è nata un’«altra società», che<br />

sul piano politico si è in parte riflessa al Nord<br />

con <strong>il</strong> voto alla Lega e nel Mezzogiorno con <strong>il</strong><br />

voto al partito del Popolo della Libertà, ma che<br />

ha come presupposto qualcosa di più significativo<br />

che attiene ai rapporti produttivi e a quelli<br />

sociali. In modo compiuto, i termini di questa<br />

nuova realtà sono stati descritti, ben prima delle<br />

elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, nel libro di Marco<br />

Alfieri: «Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la sinistra<br />

non vince (11).» In questi territori è sorto un<br />

nuovo tipo di struttura produttiva e mentre oramai<br />

le grandi fabbriche fordiste si contano sulle<br />

dita di una mano, si è consolidato un reticolo<br />

di medie e di piccole imprese, nelle quali non<br />

è più determinante lo scontro fra imprenditori e<br />

operai, che hanno ormai acquisito notevoli capacità<br />

competitive, grazie ad una gestione flessib<strong>il</strong>e<br />

di tutte le risorse, compreso <strong>il</strong> lavoro.<br />

La loro essenza è insieme <strong>il</strong> radicamento in un<br />

territorio e la globalizzazione. La formula organizzativa<br />

prevalente è quella dei distretti-rete,<br />

che oggi chiedono alla politica in modo prepotente<br />

alcune cose elementari: meno pressione<br />

fiscale, meno burocrazia regionale e statale,<br />

più credito fac<strong>il</strong>itato e trasparente, un salto di<br />

qualità nelle infrastrutture, più nella sicurezza.<br />

Queste reti produttive sono intrecciate anche<br />

con <strong>il</strong> mondo creditizio. In sostanza tutto ciò<br />

vuol dire che rispetto quel f<strong>il</strong>one di cultura politica,<br />

di gruppi dirigenti, di storia, di radicamento<br />

sociale che si è dipanato dal Pci, fino all’attuale<br />

Partito democratico, è entrato in rotta di<br />

collisione con la parte più dinamica della società<br />

italiana.<br />

Veltroni pensava di essere all’avanguardia,<br />

pensava di vincere o comunque di pareggiare,<br />

avendo colto al volo l’effimero della società italiana,<br />

ma non si è accorto di non averne affatto<br />

capito l’anima e le strutture più profonde.


politica<br />

Dietro quell’effimero c’è un hard che non aveva<br />

più un grande spazio nella società italiana.<br />

Veltroni è andato incontro ad una sconfitta<br />

strategica, non tattica, e le ragioni di questa<br />

sconfitta affondano le loro radici paradossalmente<br />

prima nella società che nella politica.<br />

Per parte sua Berlusconi ha colto al volo le<br />

contraddizioni e le arretratezze della sinistra.<br />

Ha rappresentato i pezzi fondamentali della<br />

società italiana. Ha sublimato e moltiplicato,<br />

con <strong>il</strong> suo carisma, <strong>il</strong> suo rapporto con <strong>il</strong> «popolo»,<br />

lavorando su qualcosa di più profondo.<br />

Non ha solo bucato <strong>il</strong> castello mediatico di<br />

Walter Veltroni.<br />

Il libro di Mario Alfieri ci consente proprio di andare<br />

al fondo di alcuni processi reali, evitando<br />

di leggere tutto quello che è successo solo attraverso<br />

analisi troppo politicista. Il saggio è<br />

stato scritto prima delle elezioni politiche, ma<br />

dopo le ultime elezioni amministrative del<br />

2007, che già lasciavano intravedere le tendenze<br />

di fondo. Per molti aspetti si tratta di un<br />

libro profetico. Scrive Alfieri: «La questione settentrionale<br />

non esiste...» ma in un senso improprio.<br />

Oramai in Italia un’analisi che non si<br />

fondi su vicende di breve periodo, ma sulle<br />

questioni di fondo, viene considerata o archeologica<br />

o profetica. «Quel che esiste è la lunga<br />

coazione a ripetere di un centro-sinistra ridotto<br />

al Nord a formazione “materasso”, ad alleanza<br />

politico/sociale condannata irrimediab<strong>il</strong>mente a<br />

perdere, in un f<strong>il</strong>otto terrib<strong>il</strong>e, tutte le elezioni<br />

politiche».<br />

Quindi <strong>il</strong> nodo della politica economica del governo<br />

Prodi: «le cui (di Prodi) scelte controverse<br />

hanno prodotto uno scollamento con l’opinione<br />

pubblica assai più accentuato che altrove.<br />

L’aumento della pressione fiscale, decisivo<br />

per <strong>il</strong> risanamento dei conti pubblici, è stato visto<br />

dal popolo dei microimprenditori - egemone<br />

della morfologia socioeconomica padana - come<br />

un atto di prepotenza calato dall’alto e non<br />

concertato. Le contropartite di questo inasprimento,<br />

assai impopolare, sono apparse deboli<br />

o poco visib<strong>il</strong>i, sia sul lato della redistribuzione<br />

sociale (l’aumento dell’addizionale Irpef, in oltre<br />

metà dei comuni, ha vanificato gli sgravi fi-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

11<br />

scali per i redditi dipendenti medio-bassi) che<br />

su quelli della modernizzazione del sistema<br />

paese (Brebemi, Pedemontana e Tav sono ancora<br />

di là da venire). Risultato? Aperta ost<strong>il</strong>ità<br />

dei “capitalisti molecolari” e delusione strisciante<br />

del “popolo di centro-sinistra”. Cornuti<br />

e mazziati. Una tenaglia micidiale per le sorti<br />

elettorali del centro-sinistra. Il trinomio immigrazione<br />

- sicurezza - indulto ha poi fatto <strong>il</strong> resto<br />

(...) La rotta elettorale non è solo imputab<strong>il</strong>e<br />

a quel corpaccione di lavoratori autonomi,<br />

piccoli imprenditori, partite Iva, e padroncini<br />

che votano naturaliter a destra. La pesante<br />

astensione che ha portato a scarti abissali va<br />

imputata anche all’astensionismo che ha colpito<br />

molto elettorato ulivista» (12).<br />

Alfieri, per chiarire ulteriormente le cose, cita<br />

Michele Salvati: «Il nord se la cava benone.<br />

C’è capitalismo e libertà sociale e d’impresa.<br />

Siamo noi, la sinistra, che abbiamo una questione<br />

settentrionale, nel senso che non siamo<br />

in grado di interpretare né di rappresentare<br />

questo territorio» (13). L’autore si riferisce al<br />

voto del 10 apr<strong>il</strong>e 2006. «Il paese esce penalizzato<br />

fortemente per classi professionali (autonomi,<br />

artigiani, commercianti e imprenditori a<br />

destra; ceti impiegatizi pubblici e dipendenti a<br />

sinistra (...) al Nord la destra vince anche tra gli<br />

operai di un paio di punti» (14). Si domanda,<br />

Veltroni è andato incontro<br />

ad una sconfitta<br />

strategica, non tattica, e<br />

le ragioni di questa<br />

sconfitta affondano le<br />

loro radici<br />

paradossalmente prima<br />

nella società che nella<br />

politica.


quindi, polemicamente: «avete per caso sentito<br />

un mea culpa dell’Unione dopo <strong>il</strong> voto? Una<br />

disamine franca? Un’ammissione di responsab<strong>il</strong>ità?<br />

Una riflessione? Macché!» (15). Ma è <strong>il</strong><br />

livello di reddito al quale Prodi e Visco hanno<br />

dato <strong>il</strong> loro colpo che ha messo contro <strong>il</strong> governo<br />

gran parte del paese: «Può dirsi ricco uno<br />

che porta a casa 2.500 euro rotti al mese? Non<br />

pochi operai specializzati, tra stipendi e straordinari<br />

quei soldi lì se li mette in busta. Siamo<br />

cioè al ceto medio bello e buono» (16).<br />

Alfieri ha anche r<strong>il</strong>evato che, nella costruzione<br />

del Partito democratico, malgrado le teorizzazioni<br />

su un Pd del nord realmente federativo e<br />

incardinato intorno alla leadership di Sergio<br />

Chiamparino, di F<strong>il</strong>ippo Penati, di Riccardo Illy,<br />

e di Massimo Cacciari, non si è fatto nulla tranne<br />

qualche bel documento a circolazione interna.<br />

E, quando è stata lanciata la candidatura di<br />

Walter Veltroni non viene, contestualmente,<br />

lanciata un’altra posizione di tipo nordista. Anzi<br />

«uno dopo l’altro, gli ulivisti del Nord si mettono<br />

in coda, da bravi funzionari dell’impero, davanti<br />

allo studio del fidatissimo Goffredo Bettini. La<br />

tanto vagheggiata candidatura nordista da contrapporre<br />

a Veltroni si riduce sulla carta ad una<br />

lista di territorio a sostegno di Uòlter»(17).<br />

Sul piano economico-sociale, comunque, «non<br />

è finita. Il 23 luglio <strong>il</strong> Governo vara <strong>il</strong> protocollo<br />

sul welfare (...): nel pacchetto pensioni la copertura<br />

per abbattere lo scalone passa non solo<br />

da un inasprimento del contributo dei parasubordinati,<br />

ma anche da una ministangata su<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

12<br />

quello degli autonomi, cioè di quella vasta platea<br />

di ceto produttivo che vive l’inasprimento<br />

come un ulteriore balzello fiscale dopo l’ultima<br />

finanziaria salasso» (18). A tutta questa gente,<br />

Visco e Padoa Schioppa hanno dedicato solo<br />

le loro battute a sfondo sadico, ma con effetti<br />

masochisti. Visco: «Il Veneto? Posso dire con<br />

una battuta che qui l’antistatalismo è consustanziale,<br />

della medesima essenza, con la cultura<br />

media dei cittadini della regione e Tommaso<br />

Padoa Schioppa, non contento di aver sfottuto<br />

i giovani costretti nella casa dei genitori<br />

per la mancanza di un impiego come dei<br />

«bamboccioni», poi si è lasciato andare, in un<br />

impeto di gioia e di allegria, a «Le tasse, ma<br />

sono bellissime» (19).<br />

Alfieri registra, infine, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

è «totalmente privo di antenne capaci<br />

di sintonizzarsi con la testa, <strong>il</strong> cuore, e anche<br />

le viscere di coloro che vivono e lavorano in<br />

questo pezzo complesso ma decisivo d’Italia. E<br />

perché continua ad arroccarsi in una cultura<br />

centralistica, stancamente impregnata in schemi<br />

ideologici del tutto irreversib<strong>il</strong>i. Lasciando<br />

prateria intere al centro-destra, che certamente<br />

possiede una prossimità semantica, di linguaggio,<br />

di affinità di blocco sociale, con questi territori».<br />

Alfieri ha auspicato che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

si sforzi di «intercettare davvero la variegata<br />

società molecolare, la società dei lavori,<br />

più che del lavoro; la società dell’impresa, diffusa<br />

più che dal ‘padroncino’; la società del consumatore<br />

più che di una pubblica amministrazione<br />

autoreferenziale; la società dei meriti da<br />

promuovere e non solo dei bisogni da tutelare»<br />

(20). Sempre secondo l’autore, Walter Veltroni<br />

dovrebbe impegnarsi «in un nuovo dialogo con<br />

<strong>il</strong> mondo dell’impresa, del lavoro autonomo, ma<br />

anche con la dimensione del lavoro operaio colpevolmente<br />

espulsa dall’immaginario collettivo<br />

di una sinistra riformista che per coda di paglia,<br />

zelo del neofita, o cattiva coscienza, ha scambiato<br />

la modernità solo con le banche, la grande<br />

finanza, e <strong>il</strong> capitalismo rampante. Il terziario<br />

immateriale al posto del manifatturiero. Il consumatore<br />

invece che <strong>il</strong> produttore. Per essere à<br />

la page, ha smesso di pensare <strong>il</strong> lavoro e i luo-


politica<br />

ghi di produzione, paradossale» (21).<br />

Il nodo di fondo - continua impietosamente Alfieri<br />

- è però costituito dalle profonde trasformazioni<br />

che sono intervenute nel cuore della<br />

società e che non sono state colte: «Come sostiene<br />

Carlo Trig<strong>il</strong>ia esiste un nesso strettissimo<br />

tra l’organizzazione produttiva postfordista<br />

in cui siamo immersi e la dimensione locale<br />

dello sv<strong>il</strong>uppo (...) La globalizzazione crea opportunità<br />

soprattutto per lo sv<strong>il</strong>uppo locale, che<br />

è sempre più lo spazio dove si organizzano a<br />

rete le forze imprenditoriali e i nuovi soggetti<br />

funzionali per reggere la competizione globale<br />

(banche, camere di commercio, fondazioni, fiere,<br />

multiut<strong>il</strong>ity) superando <strong>il</strong> vincolo della dimensione<br />

urbana classica, della città industriale,<br />

che abbiano conosciuto nel Novecento. Il<br />

nord Italia, in tal senso, è un perfetto caso di<br />

scuola, grazie al suo straordinario dinamismo<br />

molecolare» (22).<br />

Analisi diffic<strong>il</strong>mente confutab<strong>il</strong>e, densa di implicazioni<br />

politiche: «ragionare rispettivamente di<br />

nordovest e di nordest all’interno della macroregione<br />

padana con M<strong>il</strong>ano baricentro perfetto,<br />

- continua l’autore - gateway di una macroregione<br />

da Torino a Trieste grande piattaforma di<br />

reti logistiche energetiche, informatiche, culturali,<br />

industriali e finanziarie che interagisce ormai<br />

direttamente col mondo globale non più attraverso<br />

la b<strong>il</strong>ateralizzazione dei rapporti ma<br />

attraverso una funzionalità-rete, in fondo è solo<br />

un altro modo di leggere e interpretare <strong>il</strong> male<br />

del nord che da un ventennio buono affligge<br />

la sinistra italiana». Tutta questa nuova tematica<br />

socio-economica ha r<strong>il</strong>evanti ricadute politiche:<br />

«La sfida di Veltroni e del Pd non avrà alcuna<br />

possib<strong>il</strong>ità di successo se non terrà in<br />

conto questo scenario geoeconomico dentro<br />

cui si svolge anche la competizione politica. Si<br />

ridurrebbe al solito tentativo di annettersi qualche<br />

spezzore di elite chiusa nei propri salotti e<br />

patti di sindacato. Il Nord inteso come sommatoria<br />

di big player che si puntellano a vicenda:<br />

da Generali a Mediobanca, da Telecom a Rcs.<br />

Bastava scorrere <strong>il</strong> parterre allo sbarco della<br />

dalemian-amatiana Fondazione Italiani/Europei<br />

a M<strong>il</strong>ano dicembre 2006 per capire la mio-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

13<br />

pia, la coazione a ripetere dei nostri riformisti:<br />

solo finanza, borsa, banchieri e grandi amministratori<br />

delegati. Di imprenditori dinamici, di<br />

quella straordinaria passione del fare, di sapienza<br />

industriale che fa ricco <strong>il</strong> nord, nemmeno<br />

l’ombra. Incredib<strong>il</strong>e. Meglio perseverare nel<br />

vecchio errore gauchista di credere che basti<br />

parlare alle élites per tirarsi dietro <strong>il</strong> mitico ceto<br />

medio produttivo. Il quale, invece, fregandosene<br />

beatamente dell’ulivismo di molti grandi<br />

banchieri, da queste parti continua a votare<br />

Berlusconi» (23).<br />

Il nocciolo di tutto questo gigantesco cambiamento<br />

è <strong>il</strong> «Quarto Capitalismo formato esportazione»<br />

nel quale si realizza «una sorta di intreccio,<br />

di contaminazione fra industria e servizi<br />

sull’onda della riorganizzazione aziendale<br />

stimolate dalla nuova competizione internazionale.<br />

Anche i mitici distretti industriali (occhialeria,<br />

tess<strong>il</strong>e, calzaturiero, agroalimentare, mob<strong>il</strong>e)<br />

si stanno ridefinendo. Si selettivizzano e si<br />

fanno f<strong>il</strong>iera industriale: non sono più una comunità<br />

economica chiusa, ma allargandosi diventano<br />

piattaforme territoriali, che competono<br />

nel mondo. Oggi la mitica del piccolo è bello<br />

non vale più neanche in Veneto. In uno stesso<br />

distretto possiamo trovarci dentro aziende che<br />

tirano e, altre che arrancano. E i casi di successo<br />

sono quelli di piccole imprese che si agganciano<br />

alle f<strong>il</strong>iere distributive e alle tecnologie<br />

di rete delle medie esportatrici» (24).<br />

In questo contesto, Forza Italia e ancor più la<br />

Lega Nord hanno nuotato come pesci nell’ac-


Se non si riesce a dare<br />

efficienza, trasparenza,<br />

produttività al sistema<br />

politico-istituzionale, <strong>il</strong><br />

rischio che corrono<br />

entrambi gli schieramenti<br />

oggi in campo rispetto<br />

all’antipolitica è<br />

altissimo.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

qua. Secondo Alfieri: «La Lega è una sorta di<br />

imprenditore politico, che si alimenta della crisi<br />

del sistema, del rapporto tra partiti di massa<br />

tradizioni culturali e società civ<strong>il</strong>e, così come<br />

viene vissuto nel Settentrione. La Lega sottolinea<br />

le trasformazioni che hanno investito questa<br />

area: la crisi dei poli metropolitani e della<br />

grande industria, la crescita economica delle<br />

zone a industrializzazione diffusa, la loro concomitante<br />

modernizzazione e instab<strong>il</strong>ità socioculturale»<br />

(25). Al contrario, in tutti questi anni<br />

la sinistra è stata capace solo di inventarsi una<br />

«società civ<strong>il</strong>e, non reale, ma del tutto sublimata<br />

e ideologizzata, costituita dai campioni del<br />

moralismo e del giustizialismo e costituita da<br />

raffinati intellettuali dalla puzza al naso, da architetti,<br />

editori, maîtres à penser di varie ispirazione,<br />

grandi avvocati d’affari, qualche banchiere<br />

molto sofisticato, ma tutta roba m<strong>il</strong>le miglia<br />

lontane dalla società reale. Al fondo la questione<br />

è la seguente: c’è «un nordismo che rimane<br />

plasticamente unificato in un punto distintivo<br />

e peculiare: la grande fabbrica e la<br />

pubblica amministrazione, cioè quei comparti<br />

in cui la sinistra è stata e resta tradizionalmente<br />

più forte, da quel momento in poi occuperanno<br />

una parte minoritaria, quasi residuale. In<br />

ciascun microcosmo padano» (26).<br />

Sulla base di queste analisi è fac<strong>il</strong>e concludere.<br />

Il risultato elettorale del 13-14 apr<strong>il</strong>e ha<br />

14<br />

politica<br />

espresso qualcosa di profondo e non di superficiale.<br />

Quella di Berlusconi sarà stata anche<br />

una vittoria mediatica, ma, comunque, è l’espressione<br />

di qualcosa di molto più profondo:<br />

una grande leadership innestata su una vasta<br />

e articolata realtà economico-sociale. C’è stata<br />

anche una sorta di reazione di rigetto interclassista<br />

da parte di quasi tutte le forze sociali nei<br />

confronti di Prodi, Visco e Padoa Schioppa.<br />

Quindi Berlusconi è riuscito a parlare ad un<br />

«popolo profondo» non raggiunto dalle catene<br />

editoriali e televisive. In più, però, c’è stato un<br />

legame di Forza Italia e della Lega con i pezzi<br />

di nuove aggregazioni nella società e nell’economia.<br />

Sul piano politico, poi, Berlusconi ha<br />

giocato e vinto un azzardo: la sua decisione di<br />

realizzare, nello spazio di un mattino, un nuovo<br />

soggetto politico fra Forza Italia e An alleati con<br />

la Lega, si è intrecciata con una scommessa<br />

politica assai rischiosa: la duplice rottura con<br />

l’estrema destra (Storace) e con centro estremo<br />

(Casini). L’operazione è perfettamente riuscita,<br />

ma non era certo scontata in partenza,<br />

ed è riuscita perché grandi pezzi della società<br />

si sono riconosciuti in essa.<br />

Tutto questo travagliato percorso ha portato al<br />

governo Berlusconi, al suo programma, ai suoi<br />

primi passi. Mentre scriviamo <strong>il</strong> Governo gode<br />

di una luna di miele con i cittadini, ma in parte<br />

anche con i media e perfino ha un rapporto positivo<br />

con una parte dell’opposizione. Non sappiamo<br />

affatto quanto durerà tutto ciò. Sia la sinistra<br />

radicale sia <strong>il</strong> Partito Democratico sono<br />

come «gelati» dalla sconfitta. Giustamente<br />

Berlusconi non vuole svegliare <strong>il</strong> cane che dorme.<br />

Sta seguendo, invece, una linea ultra-buonista.<br />

Non sappiamo quanto durerà l’incantesimo,<br />

anche perché nell’area di centro sinistra<br />

esistono forze che vogliono interromperlo (in<br />

primo luogo Di Pietro, ma anche D’Alema, la sinistra<br />

radicale e parte della Cg<strong>il</strong>).<br />

Non c’è dubbio che, di fronte alla crisi di credib<strong>il</strong>ità<br />

di tutto <strong>il</strong> sistema politico, e alla insofferenza<br />

dell’opinione pubblica nei confronti della<br />

ripetizione di risse, di demonizzazioni, di scontri<br />

personali e politici, sarebbe importante met-


politica<br />

tere in atto riforme costituzionali, elettorali, federative,<br />

condivise, fondate su un «rapporto<br />

serio» fra le forze politiche, nella ricerca di punti<br />

di intesa sul terreno della riconquista della<br />

piena operatività del sistema politico e istituzionale<br />

italiano, in modo da renderlo pienamente<br />

competitivo mentre esso attualmente è bloccato.<br />

Se non si riesce a dare efficienza, trasparenza,<br />

produttività al sistema politico-istituzionale,<br />

<strong>il</strong> rischio che corrono entrambi gli schieramenti<br />

oggi in campo rispetto all’antipolitica è<br />

altissimo. Tutto ciò giustifica «<strong>il</strong> buonismo» oggi<br />

in campo: se esso ci porta a realizzare una<br />

serie incisiva di riforme (nuovi poteri del premier,<br />

superamento del bipartitismo, federalismo,<br />

nuovi leggi elettorali, europee e nazionali,<br />

che consolidino <strong>il</strong> bipolarismo, un nuovo regolamento<br />

di Camere e Senato che esalti l’operatività<br />

del governo e dell’opposizione e non<br />

la facoltà di blocco) è benvenuto.<br />

Per <strong>il</strong> centro-destra, però, <strong>il</strong> «buonismo» non<br />

deve convertirsi in altro. In primo luogo in una<br />

sorta di complesso di inferiorità culturale da<br />

parte dei gruppi dirigenti del centro-destra, dei<br />

nuovi ministri nei confronti dei tecnici del centro<br />

sinistra. Da anni l’egemonia culturale della<br />

sinistra è venuta meno, mai come oggi i gruppi<br />

dirigenti della sinistra, con alcune evidenti eccezioni,<br />

sono così mediocre. In secondo luogo<br />

<strong>il</strong> buonismo non può tradursi nel continuismo al<br />

livello del personale amministrativo e del ma-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

15<br />

nagement. Francamente, su questo terreno,<br />

stiamo assistendo a riciclaggi sconcertanti che<br />

fanno venire i brividi nella schiena, specie se si<br />

tiene presente che una delle categorie storiche<br />

costanti della vita politica italiana è stata, appunto,<br />

<strong>il</strong> trasformismo. Per di più nel corso di<br />

questi anni, <strong>il</strong> centro-destra ha acquisito una<br />

classe dirigente adeguata sul piano culturale<br />

ed amministrativo che non può essere lasciata<br />

in panchina.<br />

In terzo luogo, su alcuni nodi (sicurezza, garantismo,<br />

taglio della spesa pubblica corrente,<br />

nuove infrastrutture, nuova politica del lavoro,<br />

riduzione della pressione fiscale, federalismo<br />

fiscale, riforme costituzionali) bisogna discutere<br />

con spirito aperto con l’opposizione, ma poi<br />

bisogna decidere sulla base della piattaforma<br />

con la quale si sono vinte le elezioni.<br />

In sostanza, guai a noi, se <strong>il</strong> centro-destra dà la<br />

sensazione di stare in soggezione nei confronti<br />

di un centro-sinistra, che per i suoi errori e i<br />

suoi limiti, ha perso così clamorosamente le<br />

elezioni e che è al punto massimo della sua crisi:<br />

i cittadini non perdonerebbero mai questo<br />

complesso di inferiorità. Infine, dato alla Lega<br />

quello che è della Lega (e cioè una grande capacità<br />

della sua nuova classe dirigente sul territorio<br />

di innestarsi sul capitalismo molecolare)<br />

non bisogna mai dimenticare che <strong>il</strong> Popolo della<br />

Libertà ha stravinto al Sud e di ciò bisogna<br />

tener conto nella definizione della politica economica<br />

e sociale.<br />

Per terminare: alcuni problemi politici e ideali.<br />

Non è vera la leggenda metropolitana, messa in<br />

giro da Famiglia Cristiana, che i cattolici sono<br />

fuori da questo governo. Berlusconi non perde<br />

mai d’occhio <strong>il</strong> pluralismo politico-culturale di<br />

Forza Italia: al governo ha messo in campo una<br />

nuova generazione di dirigenti quasi tutti cattolici<br />

(Angelino Alfano, Maria Stella Gelmini, Raffaele<br />

Fitto) che hanno l’unico torto di non aver<br />

m<strong>il</strong>itato nelle correnti morotee e dorotee degli<br />

anni ’70-’80, se non altro per impossib<strong>il</strong>ità anagrafica.<br />

Nel contempo vi sono esponenti dell’area laicosocialista<br />

di grande spessore culturale, politico e


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

tecnico (Frattini, Tremonti, Brunetta, Sacconi)<br />

scelti non per la loro originaria tessera di partito,<br />

ma per le loro competenze. In questo modo Berlusconi<br />

ha realizzato una grande operazione,<br />

una sintesi dinamica e non statica.<br />

Quindi la costruzione del nuovo partito, frutto<br />

dell’incontro fra Forza Italia, An, le altre forze<br />

politiche, dovrà combinare insieme la logica<br />

dell’esistente e quella dell’apertura alla società.<br />

Dovrà comunque essere un partito capace di<br />

coprire sia uno spazio riformista, sia una vasta<br />

area di centro, sia quella della destra democratica.<br />

Un’operazione non fac<strong>il</strong>e anche perché finora<br />

le operazioni di unificazione partitica sono<br />

state a somma algebrica negativa. Guai a risolvere<br />

<strong>il</strong> tutto in una mediocre operazione di assemblaggio<br />

degli apparati oppure nello scontro<br />

fra opposte egemonie partitiche o ideologiche.<br />

In Forza Italia c’è sempre stato un grande equ<strong>il</strong>ibrio,<br />

soprattutto sulle questioni più delicate, a<br />

partire dalla bioetica, e un grande rispetto fra<br />

laici e cattolici. Questo e altro dovrà avvenire<br />

anche nel nuovo partito.<br />

A mio avviso per evitare <strong>il</strong> ritorno a meccanismi<br />

partitici del passato (<strong>il</strong> tesseramento gonfiato<br />

come elemento fondamentale di una pseudodemocrazia<br />

fondata sull’asse ministri-leaders di<br />

correnti) al suo decollo la democrazia e la dialettica<br />

del nuovo partito dovrà fondarsi sugli<br />

eletti ad ogni livello. Ma sulla forma-partito del<br />

Popolo della libertà è evidente che la discussione<br />

è appena iniziata.<br />

Note<br />

1. Istituto Cattaneo sito web: www.cattaneo.org<br />

Chi vince, chi perde e dove.<br />

2. F. Carlucci: «Alla Lega <strong>il</strong> 10% dei voti di Bertinotti<br />

e Verdi». Il Venerdì di Repubblica 18<br />

Apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

3. «Il tradimento degli ex Ulivisti, 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />

non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

4. R. Bindi: «Con le vecchie logiche balcaniz-<br />

16<br />

politica<br />

ziamo <strong>il</strong> partito». Unità 9 giugno 2008.<br />

5. «Il tradimento degli ex Ulivisti: 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />

non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

6. Idem.<br />

7. Corriere della Sera. «Sud, le periferie votano<br />

PdL, più consensi nei quartieri popolari e in<br />

provincia. Ici e bonus bebè hanno convinto<br />

operai e insegnati». Venerdì 18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

8. Il Foglio: «Le cause di una batosta. Venerdì<br />

18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

9. L. Ricolfi: Perché siamo antipatici. Ed. Longanesi<br />

M<strong>il</strong>ano 2005.<br />

10. P. Ichino: A che cosa serve <strong>il</strong> sindacato.<br />

Mondadori. M<strong>il</strong>ano 2005 - Stefano Livadiotti:<br />

L’altra casta. L’inchiesta sul sindacato. Bompiani.<br />

M<strong>il</strong>ano 2008.<br />

11. Marco Alfieri: Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la<br />

sinistra non vince. Mars<strong>il</strong>io 2008.<br />

12. Marco Alfieri: Nord terra ost<strong>il</strong>e. I Gr<strong>il</strong>li Mars<strong>il</strong>io<br />

2008.<br />

13. Idem pag. 17.<br />

14. Idem pag. 18.<br />

15. Idem pag. 18.<br />

16. Idem pag. 20.<br />

17. Idem pag. 24.<br />

18. Idem pag. 25.<br />

19. Idem pag. 27.<br />

20. Idem pag. 29.<br />

21. Idem pag. 33.<br />

22. Idem pag. 37.<br />

23. Idem pag. 35.<br />

24. Idem pag. 48.<br />

25. Idem pag. 73.<br />

26. Idem pag. 110.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e<br />

di Gaetano Quagliariello<br />

Il 13 e 14 apr<strong>il</strong>e in Italia <strong>il</strong> Muro è definitivamente<br />

caduto. La rivoluzione del 1994 è arrivata<br />

a compimento. È maturata sul campo, attraverso<br />

alterne fortune e non poche difficoltà.<br />

È maturata nella coscienza dei cittadini italiani,<br />

che mai come questa volta hanno avuto la possib<strong>il</strong>ità,<br />

attraverso <strong>il</strong> voto, di rendersi artefici del<br />

proprio destino politico, scegliendo consapevolmente<br />

chi dovesse governarli e in base a<br />

quale programma, allontanando la prospettiva<br />

di coalizioni rissose ed eterogenee che rendessero<br />

quello stesso programma poco più di<br />

un catalogo di buone intenzioni.<br />

La lunga traversata che ci ha condotto a questo<br />

risultato - un primo fondamentale passo<br />

verso la modernizzazione delle istituzioni - è<br />

iniziata quasi quindici anni fa: <strong>il</strong> crollo del comunismo<br />

e le sue ripercussioni sul sistema politico<br />

italiano determinarono la situazione emergenziale<br />

nella quale S<strong>il</strong>vio Berlusconi discese<br />

Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta<br />

giungere a compimento, in<br />

qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Prodi,<br />

<strong>il</strong> suo dossettismo, <strong>il</strong> suo<br />

testardo tentativo di<br />

governare contro la<br />

realità di un Paese<br />

spaccato a metà.<br />

18<br />

politica<br />

in campo, mettendo insieme quello che insieme<br />

non immaginava nemmeno di poter stare:<br />

la Lega al nord e l’Msi al sud. Non a caso, i suoi<br />

stessi alleati di oggi.<br />

Si trattò di una improvvisazione fantasiosa e<br />

salvifica ma non indolore. Non c’era allora una<br />

classe dirigente all’altezza della sfida, e di<br />

questa carenza si pagò <strong>il</strong> fio in termini politici.<br />

In termini istituzionali, mancava invece un contesto<br />

che potesse sostenere l’uscita dal proporzionalismo.<br />

Tale situazione si è trascinata per anni: la<br />

transizione pareva non dovesse mai avere fine.<br />

Ma come spesso accade, <strong>il</strong> colpo di grazia<br />

si è abbattuto sull’ancien régime proprio grazie<br />

alla tetragona resistenza di quanti - a dispetto<br />

di ogni evidenza - non hanno voluto prendere<br />

atto del cambiamento. Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta giungere a compimento,<br />

dunque, in qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Romano Prodi, <strong>il</strong> suo dossettismo,<br />

<strong>il</strong> suo testardo tentativo di governare<br />

contro la realità di un Paese spaccato a metà:<br />

i due anni di straordinaria follia in cui l’Unione<br />

ha cercato di guidare l’Italia hanno fatto sì che<br />

si ponesse in termini di urgenza e di necessità<br />

<strong>il</strong> problema di dover scegliere tra un ritorno al<br />

passato pre-1994, quando a contare erano soprattutto<br />

i partiti, e una sfida rivolta al futuro,<br />

con l’obiettivo di superare i limiti di coalizioni<br />

rissose all’interno delle quali i partiti cercavano<br />

disperatamente di riguadagnare la forza che <strong>il</strong><br />

‘94 aveva loro sottratto.<br />

La terza fase della Repubblica ha avuto inizio<br />

da qui: dalla scelta obbligata di Veltroni di lanciarsi<br />

in una corsa (quasi) solitaria, e dal conseguente<br />

coraggio di Berlusconi di «tagliare»<br />

ambedue le ali, al centro e a destra, per presentarsi<br />

come partito a vocazione maggioritaria,<br />

rappresentativo di tutto <strong>il</strong> centrodestra. Con<br />

una differenza: se per Veltroni era improponibi-


politica<br />

le ripresentarsi fianco a fianco con gli alleati<br />

con i quali aveva litigato per due anni, per<br />

quanto riguarda Berlusconi si è trattato piuttosto<br />

di una scelta dettata più dall’esigenza di un<br />

rinnovamento del sistema che da una questione<br />

di compatib<strong>il</strong>ità di idee e programmi.<br />

La fotografia che le urne ci hanno restituito non<br />

lascia spazio a dubbi: oltre che per <strong>il</strong> Popolo<br />

della Libertà e per S<strong>il</strong>vio Berlusconi, gli italiani<br />

hanno scelto per la semplificazione del sistema<br />

politico, hanno optato chiaramente per un bipartitismo<br />

tendenziale che veda in campo due<br />

forze - una di centrodestra, l’altra di centrosinistra<br />

- pronte a contendersi l’elettorato di centro,<br />

quello meno pregiudizialmente schierato che di<br />

volta in volta esprime la sua preferenza sulla<br />

base della validità dei programmi e della credib<strong>il</strong>ità<br />

delle leadership.<br />

Ora si tratta di adeguare l’architettura istituzionale<br />

all’assetto che gli elettori hanno decretato<br />

nelle urne. È <strong>il</strong> momento della grande occasione.<br />

C’è da condurre in porto la riforma dello<br />

Stato, cosa che non si è riusciti a fare nel secondo<br />

tempo della Repubblica, dal 1994 ad oggi.<br />

C’è da oliare, attraverso la modifica dei regolamenti<br />

parlamentari, gli ingranaggi di una<br />

democrazia davvero decidente, nella quale <strong>il</strong><br />

governo sia messo nelle condizioni di portare a<br />

compimento <strong>il</strong> programma con <strong>il</strong> quale si è presentato<br />

agli elettori, e l’opposizione possa costruire<br />

proposte alternative mediante le quali<br />

candidarsi alla successione. C’è da regolamentare<br />

per legge alcuni aspetti della vita interna<br />

di nuovi partiti a vocazione maggioritaria<br />

che devono pretendere garanzie ed essere in<br />

grado di fornirne. Infine, e contemporaneamente,<br />

nell’ambito della riforma delle istituzioni<br />

bisogna finire di scrivere quelle tre pagine che<br />

<strong>il</strong> Costituente nel 1947 lasciò incompiute: forma<br />

di Stato, forma di governo, bicameralismo.<br />

Cambiamento di sistema o «parentesi»?<br />

Altra questione che non può restare inevasa è<br />

quella che riguarda la legge elettorale per le<br />

europee. È vero, infatti, che le elezioni per <strong>il</strong><br />

Parlamento di Strasburgo non determinano<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

19<br />

conseguenze che incidono sulla governab<strong>il</strong>ità<br />

come avviene per le consultazioni nazionali, e<br />

di questo si deve temer conto. Non a caso,<br />

d’altro canto, una direttiva europea impone l’adozione<br />

della rappresentanza proporzionale,<br />

lasciando che siano i singoli Paesi a determinare<br />

in sede nazionale quanto correggerla attraverso<br />

la fissazione di soglie di sbarramento.<br />

Ma è altrettanto vero, però, che le europee seguiranno<br />

di un solo anno le elezioni interne che<br />

così radicalmente hanno rivoluzionato <strong>il</strong> quadro<br />

politico del nostro Paese. L’Italia si trova ad un<br />

bivio di portata storica: si può consolidare e istituzionalizzare<br />

l’assetto tendenzialmente bipartitico,<br />

lasciandosi definitvamente alle spalle la<br />

stagione delle coalizioni di partiti per approda-<br />

re all’era dei partiti-coalizione; oppure si può<br />

determinare un regresso che chiuda in una parentesi<br />

quanto accaduto <strong>il</strong> 13 e 14 apr<strong>il</strong>e e che<br />

consenta a quella nefasta frammentazione che<br />

così clamorosamente gli italiani hanno cacciato<br />

dalla porta di rientrare dalla finestra.<br />

Fino ad oggi la questione si è presentata come<br />

una contrattazione da mercato: quanto alto dovrà<br />

essere lo sbarramento per accedere alla ripartizione<br />

dei seggi a Strasburgo? Il 2, <strong>il</strong> 3 o <strong>il</strong> 5<br />

per cento? Così posto <strong>il</strong> problema sembra quello<br />

di determinare se e di quanto si debbano avvantaggiare<br />

i grandi a spese dei «nanetti». E invece<br />

la faccenda, come abbiamo appena osservato,<br />

è più complessa. Se prevarrà la tentazione<br />

di ingranare la marcia indietro, si farà ritorno<br />

agli antichi particolarismi e si tornerà a sostenere<br />

che, per qualche misteriosa ragione an


tropologica, <strong>il</strong> bipartitismo tendenziale non si<br />

addice all’Italia.<br />

Il problema si pone innanzitutto a sinistra, dove<br />

nel Partito Democratico c’è chi, in modo addirittura<br />

sfacciato, sta attendendo Veltroni al guado.<br />

Per questo, ad esempio, D’Alema si sta interessando<br />

tanto a ciò che accade in casa di<br />

Rifondazione. Dopo la sconfitta di Roma, se alle<br />

europee <strong>il</strong> Pd non riuscisse a riproporre <strong>il</strong> potenziale<br />

d’aggregazione elettorale che ha saputo<br />

sv<strong>il</strong>uppare in occasione delle elezioni politiche,<br />

Veltroni verrebbe assai probab<strong>il</strong>mente<br />

esautorato e assieme a lui, anche <strong>il</strong> tentativo di<br />

fare del Pd un partito a vocazione maggioritaria,<br />

all’interno di un sistema tendenzialmente<br />

bipolare e centripeto.<br />

Se questa è la posta in gioco, non si comprende<br />

bene per quale ragione <strong>il</strong> rispetto delle peculiarità<br />

istituzionali dovrebbe automaticamente<br />

tradursi nel concedere a forze da prefisso telefonico<br />

la possib<strong>il</strong>ità di accedere alla rappresentanza,<br />

vanificando in tal modo l’occasione<br />

che abbiamo di fronte.<br />

Una transizione, in fondo, post-comunista<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Si pone, in questo stesso solco, <strong>il</strong> problema di<br />

quale rapporto sv<strong>il</strong>uppare con <strong>il</strong> principale partito<br />

dell’opposizione nell’ambito di una legislatura<br />

che si vorrebbe costruttiva e, soprattutto,<br />

«costituente». All’indomani della vittoria capitolina,<br />

infatti, quando è stato chiaro che <strong>il</strong> PdL<br />

non aveva vinto ma stravinto, di fronte allo<br />

schieramento maggioritario nel Paese si è<br />

aperto un bivio: sfruttare fino in fondo la vittoria<br />

conseguita, per dotarsi attraverso nomine e or-<br />

20<br />

politica<br />

ganigrammi di tutta la forza funzionale ad un’azione<br />

di governo tanto incisiva da configurarsi<br />

come un’autentica rivoluzione; oppure affrontare<br />

i cinque anni di lavoro che ci aspettano con<br />

l’intento di cambiare davvero <strong>il</strong> volto dell’Italia,<br />

ponendo mano ad una efficace riforma dello<br />

Stato, ma anche - e soprattutto - instaurando<br />

nel Paese un clima differente.<br />

In quest’ottica, è bene non dimenticare che le<br />

transizioni post-comuniste riuscite sono quelle<br />

nelle quali si è stati in grado di coinvolgere<br />

nella nuova stagione anche una parte delle<br />

vecchie classi dirigenti. Ciò non vuol dire cedere<br />

all’inciucio, e tanto meno avere tentennamenti<br />

o sudditanze psicologiche nello scoperchiare<br />

gli ultimi sepolcri imbiancati del<br />

vecchio regime. Significa, piuttosto, che accanto<br />

a un’azione di rottura è necessario al<br />

contempo svolgerne un’altra di tessitura e di<br />

tenuta nell’interesse del Paese. E, dunque,<br />

saper coinvolgere, sulla base del merito e<br />

della competenza, anche energie che non<br />

appartengono alla propria parte. Bisogna che<br />

si prenda atto insomma, che in Italia la classe<br />

dirigente è un bene scarso e che se si riuscirà<br />

a fissare un quadro di principi condivisi<br />

sono possib<strong>il</strong>i collaborazioni leali, senza<br />

concedere nulla all’opportunismo e tanto meno<br />

al trasformismo.<br />

Allo stesso modo, è necessario che <strong>il</strong> centrodestra<br />

rivendichi come proprie vittorie le svolte<br />

culturali che <strong>il</strong> Pd ha maturato nel suo ultimo<br />

programma elettorale (si pensi alle prese di posizione<br />

su fisco e pubblica amministrazione), e<br />

sfidi l’opposizione a tener fede alle promesse,<br />

votando insieme alla maggioranza laddove<br />

questo sia consentito dai rispettivi programmi.<br />

Infine, e solo infine, verranno le riforme istituzionali<br />

condivise. Se questo percorso troverà<br />

compimento, esse deriveranno come conseguenza<br />

obbligata. È questa la vera scommessa.<br />

Se la si vincerà, anche l’Italia potrà essere<br />

annoverata tra le transizioni riuscite, assieme a<br />

quelle altre transizioni post-comuniste che s’inaugurarono<br />

in date non distanti da quel fatidico<br />

1994 e che proprio in questi anni stanno ultimando<br />

<strong>il</strong> loro corso.


TOGLIATTI IL KOMINTERN<br />

E IL GATTO SELVATICO<br />

di Massimo Caprara<br />

Pagine: 224<br />

Prezzo: euro 15,50<br />

Collana: Documenti Bietti Storia<br />

Questa è la storia, o meglio una parte della storia di<br />

Palmiro Togliatti – di per sé tanto straordinaria quanto<br />

poco conosciuta – che fu uno dei più prestigiosi<br />

capi del Komintern, ovvero l’organizzazione mondiale<br />

comunista che aveva la sua sede deliberante a<br />

Mosca e che inflluenzò fino all’inizio degli anni Quaranta<br />

tutta l’attività politica dei partiti comunisti del<br />

mondo. Unico fra i capi comunisti, Togliatti, valutò<br />

concretamente <strong>il</strong> peso politico della Chiesa e dei<br />

movimenti che alla sua dottrina facevano riferimento<br />

nella sfida, allora in atto, per la conquista delle coscienze.<br />

Sullo sfondo di questo incredib<strong>il</strong>e racconto,<br />

come fosse un grande affresco ma con l’evidenza<br />

della tragedia, emerge la persecuzione degli antifascisti<br />

italiani che avevano raggiunto l’Unione Sovietica<br />

e subìto le efferatezze del regime staliniano.<br />

IL VERO RAPPORTO<br />

TRA IL CAPO DEI COMUNISTI E I CATTOLICI<br />

Massimo Caprara importante saggista e scrittore<br />

politico, dal 1944 è stato per circa vent’anni segretario<br />

di Palmiro Togliatti. Ha vissuto dall’interno gli<br />

avvenimenti fondamentali della storia del PCI dagli<br />

anni del dopoguerra fino alla sua partecipazione alla<br />

fondazione del Manifesto. Deputato per quattro legislature<br />

dal 1953.<br />

BIETTI<br />

dal 1870<br />

www.bietti.it<br />

PER ORDINARE:<br />

visita <strong>il</strong> catalogo on line<br />

www.edizionibietti.it<br />

o la libreria on line<br />

www.ragioncritica.it


politica<br />

Sopravvissuta alla fine della Prima Repubblica,<br />

la Sinistra declina e in parte sparisce con l’avvio<br />

della Terza. Inspiegab<strong>il</strong>e sia l’uno sia l’altro<br />

scenario. In astratto si sarebbe dovuto immaginare<br />

che tutta quella sinistra che traeva origine<br />

dal comunismo non sarebbe dovuta sopravvivere<br />

alla caduta del Muro di Berlino. In astratto<br />

era legittimo pensare che la definitiva trasformazione<br />

degli ultimi nipoti del comunismo in<br />

Sinistra Arcobaleno e dei figli di Berlinguer in<br />

Democrats avrebbe dovuto garantire <strong>il</strong> successo<br />

pieno in questo 2008. È andata diversamente.<br />

Sulle ragioni del corso positivo per la sinistra<br />

di opposizione dopo la fine della Prima<br />

Repubblica, molto si è scritto. È diffic<strong>il</strong>e discostarsi<br />

dall’interpretazione che vede nei successi<br />

parziali della sinistra in questo quindicennio<br />

l’influenza di un doppio vantaggio. Da un lato la<br />

rendita di posizione successiva alla stagione di<br />

Mani Pulite, dall’altro la straordinaria capacità<br />

di manovra politica di alcuni esponenti della sinistra,<br />

in particolare di Massimo D’Alema, che<br />

staccando la Lega dall’ancora inesperto Berlusconi<br />

scompaginò a metà percorso un fronte<br />

che negli anni successivi si rivelerà vincente.<br />

Fu una dote da Prima Repubblica - la forza degli<br />

apparati giudiziari e la manovra politica - a<br />

decretare l’incertezza attorno al vincitore politico<br />

dei primi anni Duem<strong>il</strong>a.<br />

Qualche spiegazione si può trovare anche per<br />

cercare di capire <strong>il</strong> secondo risultato analizzato,<br />

cioè perchè quella sinistra di cui abbiamo<br />

scritto non regge l’alba della Terza Repubblica.<br />

Prima di formulare qualche ipotesi e di delineare<br />

gli scenari che si aprono, cerchiamo di<br />

valutare <strong>il</strong> peso politico del risultato elettorale.<br />

La vittoria del Popolo delle Libertà e di Berlu-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Le incognite<br />

del nuovo ciclo politico<br />

di Peppino Caldarola<br />

23<br />

sconi è stata, a giudizio unanime, schiacciante.<br />

A renderla imponente non ci sono solo i numeri<br />

elettorali, i seggi parlamentari ma soprattutto<br />

<strong>il</strong> carattere nazionale del risultato combinato<br />

con l’egemonia indiscussa in zone fondamentali<br />

del Nord. È stata al tempo stesso una vittoria<br />

politico-elettorale ma anche (è <strong>il</strong> caso di<br />

usare gli avversativi veltroniani) politico-culturale.<br />

La maggioranza degli italiani si è identificata<br />

con <strong>il</strong> progetto di Berlusconi, ha creduto alla<br />

sua leadership, ha fiducia che saprà dare una<br />

svolta alla situazione italiana. È la prima smentita<br />

robusta alla profezia di Montanelli alla quale<br />

ci eravamo abbarbicati noi avversari di Berlusconi<br />

di matrice non giustizialista. Al Montanelli<br />

che scriveva, grosso modo, che bisognava<br />

far governare Berlusconi perché gli italiani<br />

se ne distaccassero, è accaduto di essere contraddetto<br />

dalla realtà post-mortem.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il successo dello «schieramento avverso» a<br />

Veltroni non è l’unico dato politico negativo per<br />

la Sinistra. La sconfitta si accompagna ad altri<br />

dati. Il primo è la scomparsa dal Parlamento<br />

della Repubblica di tutte, proprio tutte, le famiglie<br />

radical, sia quelle nostalgiche del comunismo<br />

(d<strong>il</strong>ibertiani), sia quelle in via di allontanamento<br />

(bertinottiani), sia i movimentisti di Mussi,<br />

sia i Verdi-antagonisti di Pecoraro Scanio e<br />

Paolo Cento. Fra cinque anni ci sarà una verifica,<br />

ma cinque anni sono politicamente un’eternità<br />

e alcune di queste esperienze sono destinate<br />

a morire definitivamente.<br />

Il Pd presidia pressoché da solo l’intera area<br />

della sinistra con una aggregazione non ancora<br />

consolidata, una leadership messa in discussione,<br />

una cultura politica indefinib<strong>il</strong>e e indefinita.<br />

Il partito che ha sulle spalle l’opposizione<br />

a Berlusconi deve rivelarsi la più concreta<br />

formazione riformista in grado di sottrarre<br />

consenso al leader vincitore mostrando una<br />

maggiore capacità programmatica, ma al tempo<br />

stesso deve aver la forza di rappresentare <strong>il</strong><br />

magnete identitario di tutto ciò che si muove e<br />

sopravvive nell’area del centro-sinistra. È un’opera<br />

titanica che richiede leadership forti numericamente<br />

ma soprattutto culturalmente e<br />

un rapporto di massa non effimero.<br />

Accanto al Pd c’è, per scelta del Pd veltroniano,<br />

un solo partito, l’Italia dei Valori di Di Pietro<br />

La Grande Sinistra è tutta<br />

dentro la speranza che <strong>il</strong><br />

progetto Democrat si<br />

consolidi, attragga forze<br />

dalla propria sinistra e non<br />

si faccia culturalmente<br />

insidiare dal populismo del<br />

partito-azienda di Di<br />

Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />

24<br />

politica<br />

che rappresenta una singolare formazione destra-sinistra<br />

impastata di giustizialismo e di populismo<br />

demagogico. Sarà questo partito a rosicchiare<br />

consensi al Pd e a contenderne la<br />

leadership dell’opposizione, più fuori dal Parlamento<br />

che nel Parlamento. La Grande Sinistra<br />

è tutta qui. È tutta dentro la speranza che <strong>il</strong> progetto<br />

Democrat si consolidi, attragga forze dalla<br />

propria sinistra e non si faccia culturalmente<br />

insidiare dal populismo del partito-azienda di<br />

Di Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />

Era inevitab<strong>il</strong>e questo destino della sinistra? Intendiamoci,<br />

alcuni ritengono che questo scenario<br />

non sia per nulla negativo. C’è una singolare<br />

interpretazione del risultato elettorale -<br />

espressa dal segretario Veltroni e dal suo staff<br />

- secondo cui le elezioni hanno dato la vittoria<br />

al Cavaliere ma hanno anche segnalato l’esistenza<br />

di una forza riformista del 34% in grado<br />

di reggere la sfida. Questa interpretazione si<br />

fonda su un’altra tesi (molto dalemiana) secondo<br />

la quale l’Italia è un paese di destra, lo è<br />

sempre stato, lo è stato soprattutto nel quindicennio<br />

berlusconiano per cui <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e<br />

2008 è servito solo a rendere manifesto ciò che<br />

la vittoria del ‘96 e quella, ora proclamata finta,<br />

del 2006 avevano occultato. Anche con queste<br />

tesi non si risponde al quesito di fondo: perché<br />

ha vinto Berlusconi? Ovvero, detto calcisticamente,<br />

perché su cinque partite Berlusconi ne<br />

vince tre, ne pareggia una e perde solo la seconda<br />

grazie al mettersi fuori gioco della Lega?<br />

Lavoriamo su due questioni. La prima riguarda<br />

<strong>il</strong> leader, la seconda investe la realtà su cui<br />

interviene. Non sarebbero separab<strong>il</strong>i, ma per<br />

analizzare meglio <strong>il</strong> fenomeno è bene separarli.<br />

Berlusconi è indubbiamente, dopo De Gasperi<br />

e Togliatti, dopo Moro e Berlinguer, la più forte<br />

personalità politica repubblicana. Per tanti<br />

aspetti assomiglia più a primi due che alla seconda<br />

coppia perché <strong>il</strong> quadro su cui interviene<br />

è di rifondazione della politica e non di gestione<br />

di una sua fase finale. Berlusconi intuisce<br />

che la fine della Prima Repubblica libera<br />

forze enormi addensate nei grandi partiti di governo,<br />

che queste forze non sono elettorato


politica<br />

brado ma sedimento di culture, passioni e paure.<br />

Berlusconi coglie, anche perché come imprenditore<br />

ha contribuito a determinare l’evento,<br />

una mutazione della soggettività pubblica<br />

ormai definitivamente rivolta verso <strong>il</strong> modello<br />

occidentale tout court che verso quelle formulazioni<br />

ambigue presenti nella cultura della Dc<br />

e ovviamente del Pci (assai meno nel nuovismo<br />

craxiano). Berlusconi capisce che la formula<br />

partitica che può avere successo deve<br />

essere al tempo stesso giacobina (cento uomini<br />

di ferro) ma anche la più fluida possib<strong>il</strong>e.<br />

I suoi avversari hanno favorito questa ascesa<br />

con le teorie del partito di plastica e del partitotv<br />

che non hanno colto <strong>il</strong> massiccio spostamento<br />

di popolo. Berlusconi ha modificato la<br />

concezione del governare come servizio e<br />

quindi come sacrificio con quella del piacere di<br />

governare, costruendo l’immagine, molto occidentale,<br />

del leader non separato dalla gente,<br />

che vive come la gente, anzi talmente meglio<br />

della gente da farsi obiettivo dei loro sogni. I difetti<br />

di Berlusconi hanno riempito librerie e non<br />

li riassumo. Ormai molti racconti sui limiti di<br />

Berlusconi fanno sorridere e molti autori hanno<br />

cambiato idea. Il dramma della sinistra, dal<br />

punto di vista della cultura politica, è questo<br />

osc<strong>il</strong>lare fra la sottovalutazione dell’avversario<br />

o la sua mostrificazione. O pagliaccio o fascista.<br />

Si è perso <strong>il</strong> gusto intellettuale dell’analisi<br />

approfondita e questo spiega molti insuccessi<br />

e soprattutto l’incomprensione verso lo spostamento<br />

di consensi, stab<strong>il</strong>izzato nel quindicen-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

25<br />

nio e in crescita ulteriore, verso <strong>il</strong> Cavaliere e la<br />

sua proposta politica.<br />

Ho sottolineato le caratteristiche positive che<br />

sono all’origine del successo perché le vittorie<br />

hanno spiegazioni e tante vittorie sono la costruzione<br />

di un progetto non <strong>il</strong> frutto di un caso.<br />

La leadership berlusconiana si afferma in un<br />

paese che è pronto a riceverla. L’Italia che accoglie<br />

e celebra Berlusconi come leader è l’Italia<br />

robusta e al tempo stesso malandata uscita<br />

dalla crisi della Prima Repubblica. Il dato psicologico<br />

più r<strong>il</strong>evante lo aveva colto negli anni<br />

precedenti solo Bettino Craxi quando, scontrandosi<br />

con <strong>il</strong> pessimismo berlingueriano e<br />

quello moroteo, colse nello spirito pubblico degli<br />

italiani la volontà di scrollarsi di dosso ogni<br />

residuo post-bellico e post-post-bellico.<br />

L’Italia che vede spazzare la propria classe dirigente<br />

da Mani Pulite, che ha sopportato e<br />

sconfitto <strong>il</strong> terrorismo, che ha retto all’assalto<br />

dello stragismo mafioso è un paese complicato<br />

ma che si sente interamente proiettato nella<br />

storia dell’Occidente, ha le stesse ambizioni, i<br />

medesimi difetti, lo stesso stato d’animo di altri<br />

paesi europei e non solo europei. È un paese<br />

ottimista, che in parte si è fatto da sè (al Nord<br />

Est è andata così), che conosce <strong>il</strong> mondo in cui<br />

viaggia o per affari o per piacere, che non sente<br />

più i vincoli culturali del passato se non quelli<br />

etnico-territoriali, che non si fida dello stato e<br />

della politica, che nella politica mette i propri<br />

amici e non delega più, se non in parte, a fiduciari.<br />

È stato poco valutato <strong>il</strong> mutamento anche<br />

sociologico delle rappresentanze con l’ingresso,<br />

quasi esclusivamente nello schieramento di<br />

centro-destra, di tanti esponenti della cosiddetta<br />

società civ<strong>il</strong>e. Mentre nel centro-sinistra infuriava<br />

la battaglia di una «società civ<strong>il</strong>e» rappresentata<br />

fondamentalmente da giornalisti,<br />

conduttori tv, attori e insegnanti, dall’altra parte<br />

avvocati, commercialisti, imprenditori prendevano<br />

posto in parlamento o nei consigli comunali<br />

e regionali al posto di antichi esponenti di<br />

partiti.<br />

Questo mondo non può incontrare la sinistra<br />

che c’è. Non può incontrare la sinistra statalista,<br />

mondialista, politicamente corretta, gestita<br />

da professionisti che cercano solo deleghe. La


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

crisi della sinistra è così diventata drammatica<br />

al Nord, sta cominciando ad affacciarsi al Sud.<br />

Torniamo a Berlusconi. L’incontro fra questo paese<br />

e questo leader non avviene senza mediazioni.<br />

Il principale mediatore è senza dubbio la Lega<br />

di Bossi. La Lega è stata sempre interpretata<br />

come la versione italiana del lepenismo o dei<br />

movimenti xenofobi del Centro-Europa. La Lega<br />

è un’altra cosa. La Lega è la combinazione di<br />

una rivolta territoriale con una rivolta fiscale e anti-statale.<br />

Il suo gruppo dirigente ha inaugurato la<br />

più lunga marcia nelle istituzioni che sia mai stata<br />

concepita in Occidente partendo da un «paesello».<br />

Il fenomeno Lega, essendo un fiume carsico<br />

ormai emerso, porta con sé minerali buoni e<br />

cose non buone, comunque porta consensi<br />

grandi alla leadership berlusconiana.<br />

Sembra un po’ più di rendita la posizione degli<br />

eredi del Msi che si avvalgono della grande capacità<br />

manovriera del loro leader, Fini, e del<br />

lento trasferimento di un popolo emarginato<br />

dentro i fasti della nuova destra. Fini gode di<br />

una rendita di posizione che nasce dall’aver<br />

dato al proprio popolo, grazie a Berlusconi,<br />

l’accesso alla grande politica negato per oltre<br />

mezzo secolo. È un prezzo assai alto che la<br />

destra ha pagato e che la sinistra non ha dovuto<br />

pagare essendo forza costituente del paese.<br />

Questo consegna a Fini una gratitudine del<br />

proprio mondo maggiore dei risultati raggiunti.<br />

L’intuizione fondamentale che lo ha portato a<br />

scelte opposte a quelle di Casini è stata quella<br />

di non permettere mai la separazione del proprio<br />

mondo da quello di Berlusconi. In questo<br />

rapporto ha intuito che si sedimentava la voca-<br />

26<br />

politica<br />

zione di governo e <strong>il</strong> rifuggire da sirene oppositive<br />

che lo avrebbero riconsegnato al passato.<br />

Fini scegliendo <strong>il</strong> governo ha sdoganato la destra<br />

radical e l’ha resa moderata.<br />

Il voto di apr<strong>il</strong>e sancisce la conclusione di tutti<br />

questi processi. Inizia una nuova storia. La domanda<br />

è questa: la nuova storia sarà ancora<br />

nel segno di Berlusconi o segnerà <strong>il</strong> suo declino?<br />

Dico subito che non risponderò al quesito,<br />

mi limiterò ad analizzare ciò che c’è in cantiere<br />

in modo che <strong>il</strong> lettore risolva da sé <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma.<br />

È del tutto evidente che per capire se siamo all’inizio<br />

di un ciclo o all’ apoteosi che precede <strong>il</strong><br />

declino ci manca <strong>il</strong> dato più importante, pressoché<br />

risolutivo. Se Berlusconi, i cui primi passi<br />

di governo sembrano accompagnati dal favore<br />

popolare, riuscirà nell’impresa di dare una<br />

scossa al Paese saremo all’inizio di un ciclo<br />

che proseguirà con Berlusconi e i suoi eredi.<br />

Se Berlusconi non ce la farà (ipotesi infausta<br />

anche per chi non l’ha votato, perché significherebbe<br />

un declino non di una leadership ma<br />

del paese), <strong>il</strong> puzzle italiano si confonderà in<br />

modo ancora più complicato.<br />

Tuttavia i risultati di governo dovranno combinarsi<br />

con altri risultati direttamente prodotti dalla<br />

politica. Il principale è quello che deriva dall’affermarsi<br />

di un sistema politico se non interamente<br />

bipartitico tuttavia forte di due grandi<br />

componenti centrali. L’obiezione è fac<strong>il</strong>e. Anche<br />

nel quindicennio precedente c’erano due componenti<br />

principali, si sono chiamati nel centro-sinistra<br />

Ulivo e Unione e nel centro-destra Polo e<br />

Casa della Libertà. Ora però <strong>il</strong> cambiamento<br />

proposto agli italiani è più forte. Sono stati proposti<br />

agli italiani un Partito Democratico sul versante<br />

sinistro e un partito chiamato Popolo delle<br />

Libertà sull’altro campo. Non due alleanze,<br />

ma due formazioni politiche di massa, con leadership<br />

certe che devono tendere, pur nel pluralismo<br />

interno, a formare una comune pubblica<br />

opinione organizzata sui due lati del sistema politico.<br />

Più sul modello anglo-sassone che su<br />

quello europeo. È <strong>il</strong> contrario di ciò a cui aspiravano<br />

in tanti (compreso chi scrive) ed è la definitiva<br />

sepoltura della componente autonoma del<br />

socialismo che oggi deve portare le sue bandiere<br />

e la sua cultura là dove vede più riformismo.


politica<br />

I risultati di governo<br />

dovranno combinarsi con<br />

altri risultati<br />

direttamente prodotti<br />

dalla politica. Il<br />

principale è quello che<br />

deriva dall’affermarsi di<br />

un sistema politico se non<br />

interamente bipartitico<br />

tuttavia forte di due<br />

grandi componenti<br />

centrali.<br />

La necessità di questa svolta verso <strong>il</strong> consolidarsi<br />

del nuovo sistema politico è dettata anche<br />

dalla necessità di costruire fra le istituzioni<br />

e <strong>il</strong> paese un ponte robusto, non super-dimensionato<br />

come i partiti della Prima Repubblica,<br />

ma capace come quelli di organizzare volontà<br />

politiche, partecipazione e perché no proteste.<br />

Questa è la seconda parte del lavoro ricostruttivo<br />

che si deve avviare dopo <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e. È<br />

probab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> centro-destra sia più in grado di<br />

rispondere positivamente a questa sfida sull’onda<br />

del successo del governo e su un comune<br />

sentire che è più forte da questa parte. Può darsi<br />

che questa ricostruzione politica riesca meglio<br />

al centro-sinistra che così potrebbe candidarsi<br />

a ereditare i risultati del lavoro di Berlusconi.<br />

Al momento è diffic<strong>il</strong>e fare previsioni. Il<br />

centro-destra rischia di non cogliere la specificità<br />

di questo problema facendosi assorbire solo<br />

dall’attività di governo, considerando questa la<br />

vera leva per sollevare <strong>il</strong> mondo (è diffic<strong>il</strong>e dare<br />

torto). Il centro-sinistra può farsi sconquassare<br />

dallo scontro interno e dall’eterno conflitto con<br />

l’ala giustizialista che costituisce <strong>il</strong> vero fronte<br />

interno. Comunque, come era scritto in un classico<br />

libro su cui si sono formate generazioni di<br />

rivoluzionari: Hic Rhodus, hic salta.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

27<br />

LA REPUBBLICA ARMATA<br />

Nascita, organizzazione e operazioni<br />

delle forze armate della R.S.I.<br />

Autore: Em<strong>il</strong>io Cavaterra<br />

Pagine: 276<br />

Prima Edizione: Inverno 2007-2008<br />

Prezzo: 20 euro<br />

I documenti inediti, custoditi per oltre mezzo secolo<br />

nell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito<br />

italiano consentono una nuova e più attendib<strong>il</strong>e<br />

ricostruzione della nascita e dell'organizzazione<br />

delle FF.AA. della Repubblica Sociale. Questo<br />

libro aiuta a collocare, in una prospettiva più<br />

oggettiva, <strong>il</strong> tormentato e controverso periodo della<br />

storia d'Italia dal settembre del 1943 all'apr<strong>il</strong>e del<br />

1945. Un libro per gli appassionati della Storia, in<br />

particolare della seconda guerra mondiale e della<br />

guerra civ<strong>il</strong>e italiana successiva alla nascita della<br />

RSI.<br />

Em<strong>il</strong>io Cavaterra. Giornalista e scrittore. Minorenne,<br />

si è arruolato volontario nei reparti delle Forze<br />

Armate della Repubblica Sociale Italiana. Dopo la<br />

fine della guerra, terminati gli studi, ha intrapreso la<br />

professione di giornalista. E’ stato direttore di<br />

agenzie di stampa, opinionista e inviato speciale,<br />

redattore capo di quotidiani e periodici. Ha collaborato<br />

con la RAI e con Radio Montecarlo. Autore<br />

di oltre 25 libri pubblicati tra gli altri da Mursia, Borla,<br />

Pan e Nistri Lischi e Bietti. Accademico tiberino<br />

ha ricevuto nel 1996 <strong>il</strong> premio cultura della Presidenza<br />

del Consiglio e nel 1999 la Penna d’oro per<br />

<strong>il</strong> settore “scienza”.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il cataclisma elettorale<br />

di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

Elezioni 2008. Il cataclisma che hanno determinato<br />

va attentamente analizzato. Si scopriranno<br />

allora i mutamenti che hanno determinato.<br />

E che non riguarderanno solo questa legislatura,<br />

ma avranno effetti duraturi suglie equ<strong>il</strong>ibri<br />

della politica italiana. Cominciamo dai desparacitos:<br />

quegli elettori, cioè, che non hanno<br />

voluto votare. O, che votando, sono stati vittima<br />

della mannaia imposta dalla legge elettorale.<br />

Tra queste due classi esiste una differenza<br />

profonda: nich<strong>il</strong>ismo e protesta estrema da un<br />

lato; grande senso di appartenenza dall’altro.<br />

Piuttosto che votare per un partito diverso,<br />

hanno preferito <strong>il</strong> rischio, come in un campo di<br />

calcio, dell’espulsione che impedisce di giocare<br />

la partita. Le schede nulle, bianche e contestate,<br />

questa volta, sono state superiori, almeno<br />

rispetto al 2006. Quasi 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a<br />

elettori alla Camera e 900 m<strong>il</strong>a al Senato hanno<br />

optato per <strong>il</strong> disimpegno. Nel 2006 erano<br />

stati circa 500 m<strong>il</strong>a in meno.<br />

La falcidia maggiore si avuta, invece, con <strong>il</strong> co-<br />

28<br />

siddetto «voto ut<strong>il</strong>e»: cavallo di battaglia dei<br />

partiti maggiori. La decimazione, alla Camera,<br />

è stata per circa 3 m<strong>il</strong>ioni e mezzo di elettori. Al<br />

Senato circa 4 m<strong>il</strong>ioni ed 800 m<strong>il</strong>a. Conseguenza?<br />

Un Parlamento che rappresenta solo<br />

una parte dell’elettorato: poco più dell’87 per<br />

cento alla Camera ed addirittura l’82 per cento<br />

al Senato.<br />

È un vulnus per la democrazia? Dipende dai<br />

punti di vista. Il presidente degli Stati Uniti, in<br />

genere, è eletto da una percentuale di votanti<br />

ancora più bassa. Le tradizioni europee sono<br />

diverse, ma in Germania <strong>il</strong> taglio delle ali è stata,<br />

da sempre, una costante. Avallata da norme<br />

di carattere costituzionale che impedivano la<br />

presentazione di liste comuniste o neo-naziste.<br />

Sotto questo prof<strong>il</strong>o, quindi, l’Italia è divenuta<br />

un po’ più occidentale. Anche se i problemi non<br />

mancheranno.<br />

Il passaggio da un sistema iper proporzionale,<br />

come quello che è alle nostre spalle, in uno in<br />

cui la rappresentanza si concentra nelle mani<br />

Fig.1 - Camera voti complessivi Fig. 2 - Senato risultati complessivi<br />

politica


politica<br />

di solo 6 formazioni politiche è stato brusco. Ne<br />

hanno fatto le spese le «estreme», ma anche i<br />

moderati. La sinistra arcobaleno è uscita di<br />

scena, la destra di Storace non c’è mai entrata.<br />

Un m<strong>il</strong>ione e mezzo di voti persi, alla Camera<br />

da un lato; un m<strong>il</strong>ione dall’altro. Bertinotti<br />

come Vecchietti, <strong>il</strong> vecchio leader del PSIUP<br />

che, nella prima repubblica, lasciò sul tavolo<br />

verde della politica più o meno altrettanto, d<strong>il</strong>apidando<br />

un patrimonio. Allora ll convento si<br />

chiuse, ma i frati emigrarono nel PCI. Chissà<br />

se succederà anche questa volta la stessa cosa?<br />

Anche i socialisti ed i liberali escono di scena.<br />

Boselli, <strong>il</strong> tattico che in tutti questi anni era<br />

riuscito a navigare tra Prodi e Fassino, contro<br />

Veltroni non ce l’ha fatta. Dovrà chiudere la cooperativa,<br />

come dicono ancora oggi i suoi detrattori.<br />

Discorso diverso per i liberali. Da anni lontani<br />

dalla politica, vi erano rientrati con un piccolo<br />

stratagemma ed uno strascico di polemiche.<br />

Oltre 100 m<strong>il</strong>a voti, che potevano essere diversamente<br />

ut<strong>il</strong>izzati, sono andati al macero. Con<br />

la loro ostinazione, nel volersi presentare a tutti<br />

i costi, non contavano prima e contano ancor<br />

meno adesso. È <strong>il</strong> dramma delle grandi tradizioni<br />

culturali. Sono troppo forti ed estese per<br />

essere compresse in piccole formazioni politiche.<br />

Quando questo avviene, <strong>il</strong> corto circuito<br />

diventa inevitab<strong>il</strong>e.<br />

Nel dibattito sul dopo voto gli accenti più preoccupanti<br />

sono posti, comunque, sulla scomparsa<br />

della sinistra - sinistra. Dai 140 parlamentari<br />

e passa che avevano nella precedente legislatura,<br />

si passa a zero. Come è stato possib<strong>il</strong>e?<br />

Per sdrammatizzare si deve dire che quei<br />

magnifici 140 erano stati soprattutto <strong>il</strong> frutto di<br />

una grande ab<strong>il</strong>ità negoziatrice. Bertinotti, da<br />

esperto sindacalista qual era, aveva ottenuto<br />

più del dovuto. Pochi, allora, erano stati in grado<br />

di valutare l’esatta consistenza di quella<br />

compagine ed i seggi erano piovuti in forma alluvionale.<br />

C’era poi <strong>il</strong> vecchio pregiudizio: pas<br />

d’ennemi a gauche. Romano Prodi aveva coltivato<br />

con amore questa pianticella, nella speranza<br />

di rompere l’assedio del Ds.<br />

Vi era, infine, <strong>il</strong> peso di una tradizione. La fun-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

29<br />

zione storica del PCI era stata la costituzionalizzazione<br />

del dissenso. Se non vi fosse stata,<br />

le conseguenze della guerra fredda, come avvenne<br />

in altri paesi occidentali, sarebbero state<br />

disastrose. Fu <strong>il</strong> realismo di Togliatti a prevalere.<br />

La sua doppiezza consentì a quella forza<br />

di vivere e di sv<strong>il</strong>upparsi: tra suggestioni rivoluzionarie<br />

ed accordi sotterranei, per non<br />

disfare la sott<strong>il</strong>e tela della civ<strong>il</strong>e convivenza.<br />

Non senza strappi e contraddizioni, naturalmente.<br />

Ora quel disegno non ha più lo stesso<br />

valore. Veltroni guarda ad una democrazia<br />

compiuta, dove lo scontro politico si manifesta<br />

e si risolve nella conquista del centro dello<br />

schieramento politico. Il taglio delle ali è funzionale<br />

a questo disegno. Anche se non sarà<br />

fac<strong>il</strong>e per lui mantenere ferma la barra del timone.<br />

Bisogna dire che le diverse componenti questo<br />

mondo variegato non hanno compreso, in<br />

tempo, i rischi cui si esponevano. Se fossero<br />

rimasti uniti, invece di dividersi tra arcobaleni,<br />

comunisti duri e puri e sinistra critica,<br />

avrebbero raggiunto la soglia del 4 per cento.<br />

Oggi siederebbero in Parlamento in grado di<br />

esercitare quella funzione residua che era nel<br />

DNA del grande PCI. Venuta meno quella<br />

prospettiva, <strong>il</strong> quadro si complica. Rischio effettivo<br />

non solo per la dimensione degli<br />

esclusi, ma la loro forza organizzativa ed i<br />

punti di contatti con le frange del movimento<br />

sindacale, che a questa comune cultura ancora<br />

fanno riferimento.<br />

Ma è un problema politico o di semplice ordine<br />

pubblico? L’uno e l’altro. Del primo dovrà far<br />

carico soprattutto <strong>il</strong> Pd, se vorrà mantenere<br />

una vocazione maggioritaria. Il secondo andrà<br />

affrontato in modo bipartisan. Discussione<br />

quanta se ne vuole, ma rigurgiti da G8 a Genova<br />

nemmeno a parlarne. Del resto la debolezza<br />

del gruppo è soprattutto politica. Spetta<br />

loro un aggiornamento culturale, ancor prima<br />

che programmatico, che eventuali episodi di<br />

violenza potrebbero solo ritardare. Per questo<br />

occorre presidiare <strong>il</strong> terreno e scongiurare dolorose<br />

fughe in avanti.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Per <strong>il</strong> resto, invece, i risultati elettorali disegnano<br />

un prof<strong>il</strong>o che non trova rispondenza<br />

nel passato. Si è parlato a lungo di un bipolarismo<br />

che tende al bipartitismo. La tesi è forse<br />

prematura. Dove sono i partiti che dovrebbero<br />

dare sostanza a questa ipotesi? Il confronto<br />

internazionale mostra pienamente una<br />

vistosa anomalia. Negli USA <strong>il</strong> presidenzialismo<br />

assegna ai due partiti funzioni diverse.<br />

La centralizzazione del comando è compatib<strong>il</strong>e<br />

con <strong>il</strong> localismo dei singoli rappresentanti<br />

politici. Lo scambio continuo è tra <strong>il</strong> consenso<br />

alle grandi scelte nazionali, specie in politica<br />

estera, e i benefit di volta in volta accordati ai<br />

diversi territori. In Ingh<strong>il</strong>terra i partiti somigliano<br />

a formazioni m<strong>il</strong>itari. Il deputato risponde al<br />

leader, che ha poteri di vita e di morte. Se<br />

sbaglia è immediatamente liquidato. In Ger-<br />

Fig. 3 - Camera: voto ai partiti<br />

30<br />

mania, invece, la tradizione è quella classica.<br />

Forti organizzazioni politiche che esprimo interessi,<br />

ma anche culture da tempo sedimentate.<br />

La Francia è più sim<strong>il</strong>e all’Italia. Ma <strong>il</strong> suo<br />

semi-presidenzialismo consente un accumulo<br />

di potere che non ha eguali nel sistema politico<br />

italiano.<br />

Nel nostro paese esistono delle formazioni politiche,<br />

più che dei partiti. Entrambe le coalizioni<br />

hanno avviato un faticoso processo di rifondazione.<br />

Ne potremmo vedere gli esiti, solo tra<br />

qualche tempo. Esistono inoltre differenze relative<br />

che i risultati elettorali hanno messo bene<br />

in evidenza. A voler essere sintetici, <strong>il</strong> panorama<br />

è frastagliato: due piccoli partiti a vocazione<br />

nazionale, due formazioni decisamente regionali,<br />

un prof<strong>il</strong>o più incerto per le due forze<br />

maggiori: PdL e Pd.<br />

L’Italia dei valori, benché abbia raccolto suffragi<br />

limitati, è distribuita su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale.<br />

Alla Camera si va da un minimo del<br />

4,6 per cento, al centro; ad un massimo del<br />

5,1 per cento nelle regioni meridionali. Per <strong>il</strong><br />

Senato è più o meno la stessa cosa. Il centro<br />

pesa di più, ma solo perché nel Molise è scattato<br />

un voto plebiscitario (26,9 per cento) per <strong>il</strong><br />

compaesano Di Pietro. A questa distribuzione<br />

geografica equ<strong>il</strong>ibrata non corrisponde, tuttavia,<br />

una cultura politica uniforme. Nel partito<br />

sono confluiti personaggi diversi: uniti solo dal<br />

sacro furore giustizialista. Vedremo se tutto<br />

Fig. 4 - Senato: voti per macro aree Fig. 5 - Camera: Pd PdL elezioni 2008<br />

politica


politica<br />

questo sarà sufficiente a costruire qualcosa di<br />

più duraturo.<br />

L’Udc di Casini è anch’essa distribuita in modo<br />

uniforme, con una prevalenza nel mezzogiorno.<br />

Alla Camera lo scarto è tra <strong>il</strong> 5 e l’8,1<br />

per cento. Al Senato, invece, la legge elettorale<br />

l’ha fortemente penalizzata. Il quorum è<br />

stato conquistato solo in Sic<strong>il</strong>ia. Nelle altre regioni<br />

i voti (più di 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a) sono<br />

andati dispersi. Resta <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> partito ha<br />

una sua configurazione. Molto dipenderà,<br />

quindi, dalle sue scelte future e da quelle dei<br />

principali partiti. Se la tendenza al bipolarismo<br />

si consoliderà, <strong>il</strong> partito dovrà scegliere dove<br />

collocarsi. E non v’è dubbio che la scelta più<br />

probab<strong>il</strong>e non potrà che essere lo schieramento<br />

di centro destra. Su questo versante<br />

possono sussistere divergenze di carattere<br />

politico. Ma sul fronte avverso, le contraddizioni<br />

sono di natura culturali: uno steccato<br />

ben più diffic<strong>il</strong>e da superare.<br />

Due partiti regionali danno, invece, voce ai territori:<br />

la Lega Nord da un lato MPA dall’altro. Le<br />

formazioni sono simmetriche, ma <strong>il</strong> peso relativo<br />

non è commensurab<strong>il</strong>e. Sia alla Camera<br />

che al Senato, la Lega è 10 volte tanto, in termini<br />

percentuali. Conseguenza inevitab<strong>il</strong>e di<br />

una diversa storia politica. Umberto Bossi è da<br />

oltre venti anni sulla scena parlamentare. Raffaele<br />

Lombardo solo da pochi mesi. Il primo,<br />

inoltre, vuole rappresentare <strong>il</strong> Nord d<strong>il</strong>atandone<br />

i confini fino all’Em<strong>il</strong>ia. Il secondo è ancora<br />

troppo sic<strong>il</strong>iano. Vedremo se la sua proiezione<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

31<br />

meridionale rimarrà solo un tentativo o sarà<br />

capace di innescare un fenomeno imitativo.<br />

Il cuore dello schieramento politico è rappresentato<br />

ovviamente dal PdL e dal Pd. Partiti<br />

nazionali o formazioni regionali? La risposta è<br />

meno ovvia di quanto, a prima vista, possa<br />

apparire.<br />

Alla Camera, <strong>il</strong> PdL ha conquistato <strong>il</strong> 35,5 per<br />

cento dei consensi al Nord, ma nel Sud questa<br />

percentuale arriva al 50,4 per cento. Con una<br />

differenza di quasi 15 punti. Al Senato, si hanno,<br />

più o meno le stesse proporzioni: 33,2 per<br />

cento, contro <strong>il</strong> 43,9 ed una differenza di oltre<br />

10 punti. La forza del partito, che ha consentito<br />

a S<strong>il</strong>vio Berlusconi di vincere le elezioni, è<br />

quindi nel Sud. La Lega fornisce, naturalmente,<br />

un valore aggiunto. Grazie ad essa <strong>il</strong> peso<br />

dell’intera coalizione al Nord raggiunge <strong>il</strong> 56,5<br />

per cento alla Camera ed <strong>il</strong> 48,5 per cento al<br />

Senato. Ma le differenze con <strong>il</strong> sud non superano<br />

i 2 punti percentuali. Bastano per caratterizzare<br />

- come teme <strong>il</strong> Pd - la coalizione in senso<br />

nordista?<br />

Strutturalmente, <strong>il</strong> Pd è speculare al PdL, con<br />

una più forte accentuazione ragionalista: sostanzialmente<br />

un partito dell’Italia centrale, che<br />

si proietta nella restante parte del territorio nazionale.<br />

Al senato sono, infatti, 6 i punti di differenza,<br />

in termini di voto, tra <strong>il</strong> centro, nord e<br />

sud. Che arrivano a 16 se si considerano i risultati<br />

della Camera. La forza elettorale del Pd<br />

è essenzialmente concentrata in 4 regioni:<br />

Fig. 6- Senato: % voti coalizioni Fig. 7 - Camera: Pd elezioni 2008


Em<strong>il</strong>ia - Romagna, Toscana, Umbria e Marche.<br />

Dove è <strong>il</strong> primo partito, con una percentuale di<br />

voti che supera di oltre 10 punti le medie nazionali.<br />

Supera <strong>il</strong> PdL solo nel Piemonte 1,<br />

mentre in Liguria le differenze sono minime<br />

(meno di 1 punto percentuale). Per <strong>il</strong> resto del<br />

territorio le differenze con <strong>il</strong> PdL sono schiaccianti.<br />

Stesse conclusioni, se si esamina <strong>il</strong> peso relativo<br />

delle due principali coalizioni. Walter Veltroni<br />

è stato votato, alla Camera dal 53,5 per<br />

cento degli elettori, nell’Italia centrale; ma solo<br />

dal 37 - 38 per cento dal resto del Paese. Il voto<br />

del Senato replica questo prof<strong>il</strong>o, anche se<br />

le differenze (circa 10 punti) sono meno marcate.<br />

S<strong>il</strong>vio Berlusconi è invece più forte al<br />

Nord ed al Sud. Per la Camera le differenze sono:<br />

15 punti a favore Nord e 13 a favore del<br />

Sud. Per <strong>il</strong> Senato queste differenze si riducono<br />

a 9 e 7 punti, rispettivamente, a favore del<br />

Nord e del Sud. L’immagine che risulta da questi<br />

dati è quindi quella di un partito - quello democratico<br />

- sostanzialmente accerchiato che fa<br />

fatica a rimanere un partito nazionale. Il PdL,<br />

invece, è più diffuso territorialmente, con un<br />

punto di forza nel mezzogiorno e la copertura,<br />

nel Nord, assicurata dalla Lega.<br />

Che conseguenze trarre da questa nuova geografia?<br />

Innanzitutto, la dimostrazione che esistono<br />

tre Italie. Il Nord che vota massicciamente<br />

per sé stesso. Il centro che si arrocca nelle<br />

sue antiche tradizioni politiche. Il Sud che è al-<br />

Fig. 8 - Camera: Lega Nord PdL elezioni 2008<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

32<br />

la ricerca di una vocazione. Nelle passate elezioni<br />

votò per la sinistra. Oggi, deluso, ha cambiato<br />

bandiera dando a S<strong>il</strong>vio Berlusconi la palma<br />

della vittoria. Si tratta solo di un risultato politico<br />

- elettorale o questi dati nascondono fratture<br />

più profonde?<br />

La forza della Lega nord è concentrata in parte<br />

del Lombardo - Veneto. Con una differenza<br />

di voti che supera di 10 punti percentuali le altre<br />

circoscrizioni elettorali. Suo punto di forza è<br />

<strong>il</strong> nord - est: <strong>il</strong> Veneto dove compete testa a testa<br />

con <strong>il</strong> Pd Quindi quasi tutta la Lombardia,<br />

con la sola esclusione della provincia di M<strong>il</strong>ano.<br />

C’è, in altri termini, una continuità territoriale<br />

che va da Venezia fino alla capitale morale<br />

d’Italia. In quest’area la maggioranza dell’elettorato<br />

si divide, quasi in parte uguale, tra la Lega,<br />

appunto, ed <strong>il</strong> PdL. Nel nord -ovest, invece,<br />

non c’è partita. Gli elettori preferiscono decisamente<br />

PdL e Pd, mentre la Lega resta una forza<br />

minoritaria.<br />

Come spiegare queste diversità di comportamento?<br />

I nuovi insediamenti produttivi - la miriade<br />

di piccole aziende che guardano al centro<br />

Europa - hanno votato per Umberto Bossi.<br />

Quelli più antichi, che risentono della più vecchia<br />

impostazione fordista e della cultura che<br />

l’ha accompagnata, seppure traslata nel Popolo<br />

delle libertà, per Berlusconi e Veltroni. Nelle<br />

regioni centrali, invece, <strong>il</strong> peso determinante è<br />

dato da un sistema di medie industrie che si<br />

sono stratificate nel tempo. La loro forza consiste<br />

in un reticolo di relazioni sociali - si pensi<br />

solo alle cooperative - in un rapporto stretto<br />

con <strong>il</strong> tradizionale mondo della politica, fert<strong>il</strong>izzata<br />

da attenzioni - i ceti produttivi di Togliatti -<br />

che risalgono nel tempo. Una grande banca,<br />

come MPS, è rimasta soprattutto una banca<br />

senese, come hanno dimostrato le vicende legate<br />

ad Unipol nel tentativo abortito di conquistare<br />

BNL. Questo intreccio ha trasformato le<br />

«regioni rosse» in un enclave potente localmente,<br />

ma debole sul piano nazionale. Comunque<br />

incapace di esercitare una leadership<br />

adeguata.


politica<br />

Il Sud è invece una realtà variegata. Da tempo<br />

allo sbando, dopo <strong>il</strong> fallimento di tutti i tentativi<br />

legati alla politica meridionalista, cerca<br />

una via di fuga da un sottosv<strong>il</strong>uppo atavico. La<br />

sua struttura economica è frag<strong>il</strong>e. Il peso della<br />

criminalità una risposta alla lontananza dello<br />

Stato. Una realtà volub<strong>il</strong>e e cangiante che<br />

rimarrà tale fin quando non nascerà un protagonismo<br />

autoctono, capace di recidere i perversi<br />

legami della dipendenza. Solo allora riuscirà<br />

a trasformare la sua forza elettorale in<br />

una politica capace di incidere sui grandi<br />

equ<strong>il</strong>ibri nazionali.<br />

Che conclusioni trarre di fronte a questo mosaico?<br />

La prima è sconfortante. Cento e passa<br />

anni di storia non sono riusciti ad unificare<br />

<strong>il</strong> Paese a dargli una prospettiva autenticamente<br />

nazionale. È una dichiarazione di resa<br />

dello Stato centrale. Troppo grande per produrre<br />

politica. Troppo esteso per poter resistere<br />

al potere di una burocrazia incapace di progetto<br />

e di visione. La sua struttura è ancora<br />

funzionale ad equ<strong>il</strong>ibri economici e sociali del<br />

passato: quelli che avevano nel nord ovest e<br />

nel centro <strong>il</strong> vero baricentro. I fattori del dinamismo<br />

economico sono ormai del tutto al di<br />

fuori del suo perimetro effettivo. La Lega nord<br />

ha saputo dar corpo al senso di estraneità della<br />

sua gente. Nel Sud questo processo è ancora<br />

informe.<br />

Queste elezioni hanno dimostrato che nei vecchi<br />

territori dell’abbandono è nata una coscienza<br />

nuova, che mira a farsi Stato. Nel Sud si<br />

esprime ancora sotto forma di protesta e solo <strong>il</strong><br />

tempo ne scandirà <strong>il</strong> passaggio verso la proposta.<br />

Quello che conta, oggi, è l’avvio di un processo<br />

che avrà riflessi politici immediati sulla<br />

vita del Paese e di cui non si potrà non tenerne<br />

conto. Le occasioni non mancheranno: a<br />

partire dal federalismo. Idea necessaria per rifondare<br />

lo Stato. Ma anche sfida diffic<strong>il</strong>e, dove<br />

dovrà prevalere <strong>il</strong> senso di una solidarietà nuova,<br />

non più fondata sulle vecchie regole spartitorie.<br />

Ma sulla necessità di chiudere definitivamente<br />

una vecchia pagina di storia. Ed aprirne<br />

una nuova.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

33<br />

DA MARX A MATRIX<br />

I media nella crisi della postmodernità<br />

Autore: Gianstefano e Angelo Frigerio<br />

Pagine: 396<br />

Prima Edizione: Estate 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

Gianstefano Frigerio è stato più volte membro del<br />

Parlamento Italiano ed è attualmente Responsab<strong>il</strong>e<br />

Nazionale dei Dipartimenti di Forza Italia. Ha vissuto<br />

in posizione non marginale le grandi svolte<br />

della Prima Repubblica, dal '68 alla terrib<strong>il</strong>e fase<br />

del terrorismo, dalla crisi del centrosinistra al crollo<br />

del "socialismo reale", fino a "tangentopoli". Ha<br />

pubblicato tra l'altro II catasto racconta (Le grandi<br />

riforme di Maria Teresa in Lombardia); Vento dell'Est;<br />

(L'Europa di Yalta dopo la caduta del muro di<br />

Berlino); Punti di luce nel deserto; ( Dalla implosione<br />

dell'Impero Romano d'Occidente alla nascita<br />

del Sacro Romano Impero); Noi, popolari europei,<br />

( Il ruolo del PPE nel futuro dell'Europa); Il Mediterraneo,<br />

crocevia del nostro futuro, (La centralità del<br />

Mediterraneo negli attuali scenari geopolitici); Per<br />

le Edizioni Bietti ha scritto: Nei labirinti del futuro e<br />

Il cuore di tenebra del XIX secolo.<br />

Angelo Frigerio, laureato in lettere moderne all'Università<br />

Cattolica di M<strong>il</strong>ano, con una tesi di ricerca<br />

empirica sui cambiamenti valoriali provocati dalla<br />

rivoluzione post-moderna E’ direttore di un periodico<br />

diffuso nel m<strong>il</strong>anese e autore di articoli e saggi<br />

sulle tendenze dei nuovi media. Con <strong>il</strong> padre<br />

Gianstefano ha già scritto Nei labirinti del futuro.


e c o n o m i a<br />

Forse Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni non<br />

si erano parlati - almeno così vogliamo sperare<br />

- prima di intervenire nel dibattito sulla fiducia<br />

al Governo Berlusconi. Se fosse andata<br />

così tutto sarebbe, oggi, più chiaro e la diversità<br />

di toni usati troverebbe una spiegazione<br />

razionale. Duro e puntiglioso l’intervento del<br />

primo, conc<strong>il</strong>iante e sobrio <strong>il</strong> secondo. Quasi<br />

due linee se non proprio contrapposte, almeno<br />

dissonanti. Come spiegarle? Bersani è stato<br />

un ministro importante del Governo Prodi. È<br />

quindi plausib<strong>il</strong>e che, nel suo intervento, cercasse,<br />

in qualche modo, di difendere almeno<br />

parte della sua precedente esperienza. Veltroni<br />

aveva le mani libere. Anche lui ha elogiato<br />

l’ex premier, ma in modo più distaccato: quasi<br />

un atto dovuto.<br />

Basta questo a svelare <strong>il</strong> mistero? Probab<strong>il</strong>mente<br />

c’è dell’altro che attiene agli arcani dei<br />

rapporti interni al Pd ed alle diverse scuole di<br />

pensiero che si agitano nel fondo più limaccioso.<br />

Sta però <strong>il</strong> fatto che forse Bersani è andato<br />

oltre <strong>il</strong> limite della decenza. Trascinato dalla<br />

sua foga oratoria, ha espresso tesi e concetti<br />

che non trovano riscontro nei dati della realtà.<br />

Il tema è stato quello dell’eredità. Il lascito del<br />

Governo Berlusconi - questa la tesi sostenuta -<br />

era disastroso. Un’economia in crisi, uno squ<strong>il</strong>ibrio<br />

di b<strong>il</strong>ancio senza precedenti, la spada di<br />

Damocle di una procedura d’infrazione, avviata<br />

in sede comunitaria. Oggi - sono sempre i<br />

concetti espressi da Bersani - <strong>il</strong> nuovo governo<br />

ha «margini di intervento più ampi». Il deficit è<br />

stato domato, l’avanzo primario ricostituito, si è<br />

chiusa la procedura di infrazione. E le prospettive<br />

a breve dell’economia italiana? S<strong>il</strong>enzio<br />

assordante.<br />

Non è la prima volta che la sinistra ricorre al<br />

tentativo di dipingere una realtà di comodo. A<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

L’eredità di Prodi<br />

e la «falsa coscienza» di Bersani<br />

di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

35<br />

distanza di oltre un quinquennio, tanto per risvegliare<br />

la memoria, si nega ancora quello<br />

che accadde nel 2001. Quando Giulio Tremonti,<br />

appena giunto a via XX settembre, fu costretto<br />

a prendere atto di uno squ<strong>il</strong>ibrio finanziario<br />

senza precedenti. Allora <strong>il</strong> DPEF, firmato<br />

da Giuliano Amato come Presidente del Consiglio<br />

e da Vincenzo Visco, come ministro del tesoro,<br />

indicava un deficit per l’anno in corso pari<br />

allo 0,8 per cento. Recava, altresì, un commento<br />

elogiativo dell’attività di governo svolta<br />

fino ad allora. Secondo quel documento <strong>il</strong> risanamento<br />

finanziario era ormai strutturale. E chi<br />

osava dubitare - noi tra questi - di questa profezia<br />

trattato come un untore al tempo della<br />

peste di M<strong>il</strong>ano.<br />

Qualche tempo dopo sarà l’ISTAT a certificare<br />

lo stato effettivo dei conti pubblici, indicando un<br />

deficit - altro che risanamento strutturale - del<br />

3,1 per cento. Che poneva l’Italia, per la prima<br />

volta dalla nascita dell’euro, fuori dai parametri<br />

di Maastricht. Al tempo stesso si prevedeva<br />

una crescita media - nel quadriennio - del 3 per<br />

cento in termini reali. Altro dato surreale, la cui


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

inconsistenza sarebbe emersa fin dal primo<br />

anno. Ci si aspettava, pertanto, che a distanza<br />

di tempo si fosse almeno riconosciuto questo<br />

errore marchiano di previsione. Ed invece no.<br />

Guido Alborghetti, autorevole esponente del<br />

Ds, ancora nel 2005, scrisse un lungo saggio -<br />

Il libro nero del Governo Berlusconi - per dimostrare<br />

<strong>il</strong> contrario. Berlusconi aveva ereditato <strong>il</strong><br />

paradiso, per trasformarlo in un inferno. La cosa<br />

che sfuggì fu proprio <strong>il</strong> dato del 3,1 per cento<br />

che - ironia della sorte - l’autore mise sulla<br />

copertina del suo libro, senza indagare sulla<br />

precedente previsione.<br />

Oggi la storia si ripete, trasformando in farsa<br />

quella piccola tragedia. La tesi di Bersani, come<br />

si legge dai resoconti parlamentari, è che <strong>il</strong><br />

lascito di Giulio Tremonti sia stato un deficit del<br />

4,2 per cento. Non sappiamo da dove nasca<br />

questa cifra. Il 1 marzo del 2007, l’ISTAT, l’unica<br />

titolata a calcolare <strong>il</strong> valore dell’indebitamento,<br />

certificò che «l’indebitamento netto delle<br />

Amministrazioni pubbliche in rapporto al<br />

PIL» era «pari al 4,4 per cento». Al peggioramento<br />

rispetto all’anno precedente - aggiungeva<br />

subito dopo <strong>il</strong> comunicato - avevano contribuito<br />

«uscite per oneri straordinari pari a<br />

29.666 m<strong>il</strong>ioni di euro».<br />

Essi erano così costituiti:<br />

- rimborsi IVA sulle auto aziendali per un ammontare<br />

pari a 15.982 m<strong>il</strong>ioni, dovuti a seguito<br />

della sentenza della Corte di giustizia europea<br />

del 14 settembre 2006;<br />

36<br />

e c o n o m i a<br />

- cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti<br />

della società TAV, con accollo diretto dei<br />

debiti contratti dalla società ISPA a vantaggio<br />

della prima, per un importo pari a 12.950 m<strong>il</strong>ioni<br />

di euro<br />

- retrocessione alla società di cartolarizzazione<br />

dei crediti di contributi sociali dovuti dai lavoratori<br />

agricoli per 734 m<strong>il</strong>ioni di euro.<br />

«Al netto di questi oneri straordinari - concludeva<br />

l’Ufficio di statistica - l’indebitamento netto<br />

in rapporto al PIL sarebbe risultato pari al 2,4<br />

per cento». Ben al disotto quindi di quanto richiesto<br />

dal Trattato di Maastricht ed in grado di<br />

attivare la procedura che avrebbe consentito,<br />

l’anno successivo, di archiviare la procedura di<br />

infrazione. Le tesi postume di un presunto disastro,<br />

quale lascito del governo Berlusconi,<br />

non trovano quindi fondamento nei documenti<br />

ufficiali. L’accollo dei debiti dell’ISPA era stato<br />

infatti una libera scelta del Governo Prodi, per<br />

un valore pari a circa 0,8 punti di PIL. Nulla da<br />

eccepire circa quella decisione, salvo r<strong>il</strong>evare<br />

la scorrettezza di chi vorrebbe imputarla al precedente<br />

Governo.<br />

Tralasciamo pure l’accollo dei crediti derivanti<br />

dai contributi sociali dovuti dai lavoratori agricoli,<br />

per <strong>il</strong> loro limitato importo. Occupiamoci invece<br />

della vicenda IVA sulle auto aziendali. Qui<br />

si raggiunge <strong>il</strong> massimo del paradosso. La stima<br />

della Ragioneria dello Stato era eccessiva<br />

fin dall’inizio e per la verità fummo in molti a denunciare<br />

<strong>il</strong> moral hazard. Non tanto perché le<br />

cifre indicate erano del tutto irrealistiche, ma<br />

perché la loro inesatta contab<strong>il</strong>izzazione avrebbe<br />

comportato rischi molto seri per la finanza<br />

pubblica italiana. Avrebbe fornito una falsa indicazione<br />

ai mercati finanziari con <strong>il</strong> rischio di<br />

determinare l’immediato abbassamento del rating<br />

e, quindi, <strong>il</strong> pericolo di un aumento dei tassi<br />

di interesse sui titoli da rinnovare.<br />

C’è voluto più di un anno, affinché questa ragionevole<br />

regola di prudenza fosse accettata<br />

dal Governo. Ecco cosa si legge nell’ultima relazione<br />

di cassa, firmata da Tommaso Padoa<br />

Schioppa. «La metodologia seguita inizialmente<br />

per l’imputazione della sentenza IVA sugli<br />

autoveicoli era stata quella di considerare come<br />

momento di registrazione la data della sen


e c o n o m i a<br />

tenza e di procedere ad una stima indiretta del<br />

potenziale numero dei contribuenti e del potenziale<br />

importo da rimborsare, nel presupposto<br />

che tutti gli aventi diritto presentassero istanza».<br />

Questa valutazione, tuttavia, contraddiceva<br />

alle disposizioni di legge emanate contestualmente<br />

e che riducevano drasticamente le<br />

possib<strong>il</strong>ità di un rimborso.<br />

Conseguenza? Con un anno di ritardo si cambiava<br />

indirizzo: adottando «una metodologia<br />

statistica diretta» già «ut<strong>il</strong>izzata per altri tipi di<br />

rimborso, in base alla quale <strong>il</strong> debito per la Stato<br />

viene registrato» solo «nel momento della<br />

validazione delle istanze di rimborso in seguito<br />

allo spoglio dell’amministrazione finanziaria».<br />

Non più un debito ipotetico, com’era nella previsione<br />

iniziale; ma un dato certo contab<strong>il</strong>izzato<br />

sulla base degli rimborsi effettivi. Ed ecco <strong>il</strong><br />

miracolo. «Di conseguenza - è scritto sempre<br />

nella Relazione di cassa - si è proceduto a eliminare<br />

l’onere straordinario per lo Stato per effetto<br />

della sentenza IVA sulle auto aziendali registrato<br />

nel 2006 e stimato pari a circa 16 m<strong>il</strong>iardi»<br />

sostituendolo con un «importo pari a<br />

847 m<strong>il</strong>ioni». Appena un ventesimo della valutazione<br />

iniziale.<br />

Pier Luigi Bersani non ha tenuto conto di questi<br />

elementi. Ed è strano che uno dei principali<br />

artefici della politica economica del Governo<br />

Prodi non abbia avuto <strong>il</strong> tempo di leggere uno<br />

dei più importanti documenti finanziari del suo<br />

stesso Governo. Poteva, almeno seguire, i bollettini<br />

dell’ISTAT. Avrebbe così avuto contezza<br />

del fatto che, in data 29 febbraio 2008, riclassificando<br />

gli oneri relativi alla sentenza sull’IVA<br />

contab<strong>il</strong>izzava un miglioramento dei conti pubblici,<br />

a fine 2006, pari a 15,9 m<strong>il</strong>iardi. Che unito<br />

alla «revisione del PIL hanno determinato un<br />

rapporto indebitamento / PIL pari al 3,4%, più<br />

basso di un punto percentuale rispetto al 4,4%<br />

stimato lo scorso anno.» Se da questo sottraiamo<br />

l’onere straordinario delle scelte operate<br />

(debiti ISPA e contributi degli agricoltori) si<br />

torna al valore effettivo del 2,4 per cento. Che<br />

rappresenta <strong>il</strong> lascito reale del Governo Berlusconi.<br />

Ma perché tanta voglia di far male al Paese?<br />

Questo resta l’interrogativo di fondo che ha ca-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

37<br />

ratterizzato la parabola del Governo di Romano<br />

Prodi. Non si dimentichi gli antefatti: la denuncia<br />

di uno stato di dissesto, poi dimostratosi<br />

inesistente; <strong>il</strong> riferimento alla crisi del 1992<br />

contenuto nel primo DPEF del nuovo Governo;<br />

i numeri alterati della due d<strong>il</strong>igence compiuta<br />

all’atto dell’insediamento. Insomma: <strong>il</strong> prevalere<br />

di una visione cupa e catastrofica. Mentre i<br />

dati reali dell’economia indicavano l’esatto contrario.<br />

Il fabbisogno dello Stato migliorava rapidamente,<br />

le entrate erariali - quei «tesoretti»<br />

che avrebbero costituito <strong>il</strong> tormentone di tutta<br />

la legislatura - si sarebbero dimostrate ben più<br />

consistenti.<br />

Gli obiettivi di questa strategia comunicativa<br />

erano evidenti. Da una lato dimostrare lo sfa-<br />

scio del precedente Governo. Dall’altro precostituire<br />

una linea di difesa contro le richieste<br />

della sinistra massimalista ed <strong>il</strong> suo obiettivo di<br />

«redistribuzione sociale». Infine: un pizzico di<br />

narcisismo. Vincenzo Visco voleva dimostrare<br />

ch’era in grado, da solo, di sconfiggere l’evasione<br />

e l’elusione fiscale. Elementi tutti distinti<br />

ma convergenti verso un unico obiettivo. Che<br />

poteva essere perseguito solo alterando - poco<br />

importa se ad arte o per semplice errore - i dati<br />

della realtà.<br />

Si prenda, a solo titolo d’esempio, i dati sulle<br />

entrate fiscali. In un grafico pubblicato dal Ministero<br />

dell’economia, sotto la guida di Padoa<br />

Schioppa e di Visco, risulta evidente che <strong>il</strong><br />

massimo incremento delle entrate si è verifica


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

to nel periodo gennaio-giugno del 2006. Quando<br />

ancora S<strong>il</strong>vio Berlusconi era Presidente del<br />

consiglio e Vincenzo Visco un deputato, seppure<br />

influente, dell’opposizione. In quel periodo<br />

<strong>il</strong> tasso di crescita delle entrate cumulate raggiunse<br />

l’apice del 12 per cento. Subito dopo,<br />

con <strong>il</strong> nuovo Governo, un lento e progressivo<br />

declino. Se lotta all’evasione vi fu, essa fu quindi<br />

regressiva. Stando almeno all’evidenza statistica.<br />

Cosa che ha lasciato indifferente Vincenzo<br />

Visco che ha continuato a parlare di oltre<br />

20 m<strong>il</strong>iardi di maggiori entrate, quale risultato<br />

della sua azione di contrasto nei confronti<br />

degli evasori.<br />

L’aver travisato i dati della realtà non è stato<br />

senza conseguenza per l’economia italiana.<br />

L’eredità di Giulio Tremonti era tale da garantire<br />

una gestione sobria della politica finanziaria.<br />

Si trattava solo di seguire la linea tracciata e<br />

conteggiare i risultati conseguiti, compresi gli<br />

effetti indiretti dei precedenti condoni fiscali.<br />

Che avevano premiato gli evasori più incalliti,<br />

ma li avevano anche costretti ad emergere e<br />

quindi a denunciare redditi che non potevano<br />

essere poi di nuovo mascherati. Invece è prevalsa<br />

nuovamente una furia iconoclastica, che<br />

ha avuto due distinti obiettivi: annullare quanto<br />

aveva fatto <strong>il</strong> precedente Governo (si pensi solo<br />

alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni);<br />

spremere ulteriormente <strong>il</strong> contribuente<br />

per dar vita a quella politica del «tassa e spendi»<br />

che è stata la vera rovina politica del Governo<br />

Prodi.<br />

Nel 2006 la pressione fiscale è balzata, di colpo,<br />

dal 40,5 al 42,1 per cento del PIL, con un<br />

incremento di 1,6 punti. Nel 2007 l’incremento<br />

è stato solo leggermente più contenuto: 1,2<br />

punti di PIL fino ad un tetto del 43,3 per cento.<br />

Per <strong>il</strong> 2008 vedremo. La Relazione di cassa indica<br />

un leggero contenimento al 43,1 per cento<br />

del PIL. Ma le previsioni non sono attendib<strong>il</strong>i.<br />

I tecnici di via XX settembre hanno sottovalutato<br />

sia la dinamica delle entrate che le spese<br />

da effettuare. Il saldo di fine esercizio (2,4<br />

per cento del PIL) potrebbe pertanto, più o meno<br />

coincidere, con quello indicato. Ma <strong>il</strong> volume<br />

delle entrate sarebbe di gran lunga superiore<br />

e, con esso, la pressione fiscale effettiva.<br />

38<br />

e c o n o m i a<br />

Al di là di queste previsioni, le cifre a consuntivo<br />

dimostrano l’entità dello shock subito dall’economia<br />

italiana. La crescita della pressione fiscale<br />

ha inciso negativamente sulla propensione<br />

al consumo. Nel 2006, infatti, <strong>il</strong> PIL è cresciuto<br />

dell’1,8 per cento. Ma questo risultato, indubbiamente<br />

positivo, è più <strong>il</strong> frutto di un’<strong>il</strong>lusione<br />

ottica, che non della realtà. Se si depura l’effetto<br />

di trascinamento - vale a dire <strong>il</strong> migliore<br />

andamento degli ultimi due trimestri del 2005<br />

che si contab<strong>il</strong>izzano nel 2006 - la crescita sarebbe<br />

stata solo dello 0,8 per cento. Molto meno<br />

che non nell’anno precedente. Dato che,<br />

In un grafico pubblicato<br />

dal Ministero<br />

dell’economia, sotto la<br />

guida di Padoa Schioppa e<br />

di Visco, risulta evidente<br />

che <strong>il</strong> massimo incremento<br />

delle entrate si è<br />

verificato nel periodo<br />

gennaio-giugno del 2006.<br />

Quando ancora S<strong>il</strong>vio<br />

Berlusconi era Presidente<br />

del consiglio.<br />

purtroppo trova conferma nei dati più recenti.<br />

L’andamento del PIL trimestrale lo conferma. Il<br />

massimo di crescita si è avuta nei primi due trimestri<br />

del 2006, quando al timone era ancora<br />

S<strong>il</strong>vio Berlusconi. Allora la crescita fu dello 0,8<br />

e dello 0,6 per cento. Con la fine dell’estate ed<br />

<strong>il</strong> varo del decreto legge Bersani - Visco vi fu un<br />

primo stop, con un calo dell’indice allo 0,3 per<br />

cento. Quindi un rimbalzo di fine anno, con un<br />

aumento dell’1,1 per cento. Ed infine <strong>il</strong> lento<br />

declino che porterà <strong>il</strong> 2007 a chiudere con una<br />

crescita dell’1,5 per cento, sempre in termini


e c o n o m i a<br />

reali, per poi discendere rapidamente.<br />

A marzo di quest’anno, Tommaso Padoa<br />

Schioppa ha stimato un tasso di sv<strong>il</strong>uppo pari<br />

allo 0,6 per cento, come indicato dall’ultima relazione<br />

di cassa. Una valutazione che pecca di<br />

eccessivo ottimismo. La Commissione europea,<br />

ha limato questa cifra allo 0,5, dopo aver<br />

ridotto di circa 1 punto - <strong>il</strong> calo è significativo -<br />

le precedenti previsioni dello scorso autunno.<br />

Gli altri centri internazionali sono stati ben più<br />

drastici. Confindustria e FMI ritengono che l’economia<br />

italiana, nel 2008, non crescerà più<br />

dello 0,3 per cento. Crescita zero, quindi con riflessi<br />

immediati sugli stessi equ<strong>il</strong>ibri finanziari<br />

del Paese.<br />

Purtroppo i dati più recenti non inducono all’ottimismo.<br />

Il primo trimestre del 2008 si è chiuso<br />

con una crescita tendenziale dello 0,2 per cento.<br />

Contro <strong>il</strong> 2,6 per cento della Germania, <strong>il</strong> 2,5<br />

per cento degli Stati Uniti e del Regno Unito,<br />

nonché <strong>il</strong> 2,2 per cento della Francia. Quindi<br />

«maglia nera» per l’economia italiana. Un triste<br />

primato che non accenna a passare. L’analisi<br />

di medio periodo mostra che l’economia ha<br />

cessato di crescere a partire dall’ultimo trimestre<br />

del 2006, quando <strong>il</strong> suo incremento tendenziale<br />

fu del 2,5 per cento. Poi vi fu la prima<br />

«finanziaria» del Governo Prodi e quindi l’avvio<br />

di una fase discendente che non sembra essersi<br />

conclusa.<br />

Non tragga in inganno <strong>il</strong> dato di una crescita<br />

congiunturale dello 0,4 per cento per <strong>il</strong> primo<br />

trimestre del 2008. È un semplice rimbalzo, dopo<br />

l’analoga caduta del trimestre precedente.<br />

Se si tiene conto di quest’elemento <strong>il</strong> risultato<br />

è, appunto come si diceva in precedenza, una<br />

«crescita zero» nell’ultimo semestre, anche da<br />

un punto di vista congiunturale. Dal varo dell’ultima<br />

finanziaria, le diverse componenti <strong>il</strong><br />

reddito nazionale hanno subito un andamento<br />

declinante. Sono diminuiti consumi ed investimenti.<br />

L’estero (export - import) ha svolto un<br />

ruolo negativo, salvo la crescita del penultimo<br />

trimestre del 2006. Il fiscalismo di Visco e Tommaso<br />

Padoa Schioppa, insomma, in una congiuntura<br />

internazionale che virava verso <strong>il</strong> peggio,<br />

ha determinato uno shock deflativo, che ha<br />

bruciato la debole ripresa del 2006.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

39<br />

Vedremo, quindi, cosa accadrà nei prossimi<br />

mesi. Molto dipenderà dalla crescita tedesca. I<br />

dati del primo trimestre sono stati sorprendentemente<br />

positivi, al punto da spingere l’OCSE a<br />

rivedere al rialzo le stime per l’intera Europa.<br />

L’export ancora tiene, ma fino a quando le nostre<br />

esportazioni potranno garantire <strong>il</strong> finanziamento<br />

delle importazioni? Con i prezzi del petrolio,<br />

delle materie prime e dei prodotti alimentari<br />

che corrono al rialzo? Gli indici della<br />

produzione industriale, del fatturato e degli ordinativi<br />

sono in calo. Negli ultimi 8 mesi, terminati<br />

a marzo, <strong>il</strong> fatturato delle imprese che producono<br />

beni durevoli è diminuito del 9 per cento.<br />

Quello delle aziende che producono energia,<br />

invece, è aumentato del 37 per cento. La<br />

doppia faccia di una crisi che colpisce quei beni,<br />

<strong>il</strong> cui consumo può essere differito; mentre<br />

salassa <strong>il</strong> consumatore su quelli indispensab<strong>il</strong>i,<br />

come appunto l’energia.<br />

È diffic<strong>il</strong>e dire come evolverà la crisi. Molto dipenderà<br />

dalla tenuta dell’economia americana.<br />

Se le cose andranno meglio vi sarà un maggior<br />

respiro per l’Europa, che garantirà <strong>il</strong> trend attuale.<br />

Un drappello nutrito di aziende - circa <strong>il</strong><br />

25 per cento del totale - continuerà a fare affari<br />

all’estero. Ma <strong>il</strong> volano risulterà insufficiente<br />

per contagiare <strong>il</strong> resto dell’Italia. Con una frattura<br />

geografica profonda, <strong>il</strong> cui confine si è spostato<br />

verso Nord. Lambisce l’Em<strong>il</strong>ia, ma taglia<br />

<strong>il</strong> resto del Paese, compresa la Capitale. Dove<br />

<strong>il</strong> cosiddetto «modello Roma» mostra ormai<br />

tutti i suoi limiti. Se invece la recessione americana<br />

dovesse accentuarsi c’è da temere <strong>il</strong> peg


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

gio. La caduta intervenuta nei consumi interni<br />

espone infatti <strong>il</strong> Paese ai capricci ed ai venti<br />

della situazione internazionale. Venuto meno <strong>il</strong><br />

suo basamento strutturale, l’Italia è come quei<br />

pupazzi di gomma che si regalano ai bambini.<br />

Basta una leggera spinta per rovesciarli.<br />

Quale sarà <strong>il</strong> riflesso di questi avvenimenti sugli<br />

equ<strong>il</strong>ibri finanziari complessivi? Uno dei temi<br />

di polemica dell’intervento di Pier Luigi Bersani<br />

è stato l’andamento dell’avanzo primario.<br />

«Un conto - ha detto tra gli applausi dell’emiciclo<br />

- è partire da un avanzo primario pari a zero,<br />

un conto è partire con l’avanzo primario al<br />

3, col debito che cala invece di crescere». Rivendicazione<br />

orgogliosa, ma anche giustificata?<br />

Solo in parte. Nel 2005 l’avanzo primario<br />

era pari solo allo 0,3 per cento del PIL. Nel<br />

2007 è stato invece del 3,1 per cento. Nei due<br />

anni del Governo Prodi si è passati prima<br />

all’1,2, quindi alla cifra ricordata. Nel 2006 quel<br />

risultato è stato conseguito aumentando le entrate<br />

dell’1,7 e le spese dello 0,8. Nel periodo<br />

successivo, invece, le entrate sono aumentate<br />

dell’1,3 per cento del PIL, le spese sono diminuite<br />

dello 0,6 per cento. L’effetto cumulato di<br />

questi diversi andamenti ha prodotto le conseguenze<br />

positive che abbiamo registrato. Ma<br />

quel taglio della spesa è stato effettivo o non si<br />

è trattato di un semplice rinvio?<br />

Le previsioni per <strong>il</strong> 2008, anno in cui l’avanzo<br />

primario è previsto diminuire di 0,6 punti sembrerebbe<br />

confermare quest’ultima ipotesi. Avvalorata,<br />

del resto, da polemiche recenti. Il primo<br />

segnale d’allarme era stato lanciato da Il<br />

sole 24 ore. «Buco da 7 m<strong>il</strong>iardi nei conti del<br />

2008»: aveva titolato nell’edizione del 10 febbraio<br />

2008. Ne erano seguite vivaci polemiche<br />

che avevano costretto a scendere in campo lo<br />

stesso direttore, in un corsivo del 12 febbraio.<br />

«Che ci siano i sette m<strong>il</strong>iardi di spese inattese<br />

- aveva scritto - per contratti pubblici, investimenti<br />

Fs, emergenza rifiuti e costi per le elezioni<br />

...è fuor di dubbio. Si chiamino buco o meno<br />

può essere un dettaglio: i danari vanno trovati».<br />

Seguiva una smentita da parte di Tommaso<br />

Padoa Schioppa, che, invece, non<br />

smentiva.<br />

Le nuove spese ancora «non iscritte a b<strong>il</strong>an-<br />

40<br />

e c o n o m i a<br />

cio», come precisava un comunicato di Via XX<br />

Settembre, riguardavano appunto le FFSS (2<br />

m<strong>il</strong>iardi), quelle rinviate l’anno precedente (1,8<br />

m<strong>il</strong>iardi), i contratti pubblici (tra i 2 ed i 6 m<strong>il</strong>iardi),<br />

<strong>il</strong> problema rifiuti della Campania (0,6 m<strong>il</strong>iardi)<br />

<strong>il</strong> costo delle elezioni (tra i 300 ed i 600<br />

m<strong>il</strong>ioni). Tirando le somme si giungeva alla cifra<br />

indicata. Dunque una piccola catastrofe?<br />

Forse meno grave di quanto a prima vista potesse<br />

apparire.<br />

Per svelare <strong>il</strong> mistero occorre interrogarsi sulle<br />

tendenze effettive della legislazione vigente e<br />

sull’andamento del gettito erariale.<br />

Nell’ultima relazione di cassa, predisposta da<br />

Tommaso Padoa Schioppa, era previsto un aumento<br />

delle entrate erariali, su base annua, del<br />

2,4 per cento e dei contributi sociali del 4,6 per<br />

cento. Grazie a questi limitati incrementi, la<br />

pressione fiscale, sempre secondo quelle previsioni<br />

sarebbe scesa dal 43,3 per cento al<br />

43,1. Una buona notizia per <strong>il</strong> Governo. Nell’imminente<br />

campagna elettorale avrebbe potuto<br />

sostenere che dopo una «finanziaria» lacrime<br />

e sangue si sarebbe venuto incontro, seppure<br />

con <strong>il</strong> gradualismo indispensab<strong>il</strong>e, alle<br />

esigenze del contribuente. Si tornava a dare,<br />

seppure in misura limitata, quanto si era preso<br />

in precedenza.


e c o n o m i a<br />

Erano credib<strong>il</strong>i quelle proiezioni? Tutt’altro. Nel<br />

2005 e nel 2006 l’elasticità delle entrate rispetto<br />

al PIL era stata rispettivamente pari a 2,04 e<br />

1,69. Con questo indicatore si intende <strong>il</strong> rapporto<br />

che intercorre tra crescita delle entrate<br />

ed aumento del PIL. Nelle proiezioni per <strong>il</strong><br />

2008, questo rapporto scendeva invece a 0,86:<br />

un’evidente sottovalutazione del gettito futuro.<br />

Sottovalutazione voluta: forse proprio per giustificare<br />

quelle maggiori uscite non iscritte a b<strong>il</strong>ancio.<br />

Fondi occultati - un ulteriore «tesoretto»?<br />

- ma già impegnati per sostenere le maggiori<br />

ed ulteriori spese. Se tutto fosse stato correttamente<br />

contab<strong>il</strong>izzato, la pressione fiscale<br />

sarebbe non scesa, ma ulteriormente aumentata.<br />

E lo stesso si sarebbe verificato per la<br />

spesa. Un’ulteriore dimostrazione di quella politica<br />

del «tassa e spendi» che ha caratterizzato<br />

l’intera precedente legislatura.<br />

È giusta questa analisi? Nei primi 3 mesi del<br />

2008 le entrate erariali sono aumentate del 5,3<br />

per cento, stando almeno ai dati contenuti nel<br />

bollettino edito dall’Agenzia delle entrate, contro<br />

una previsione del 2,4 per cento. Il maggior<br />

incremento si è registrato nell’IRE (10,5 per<br />

cento) e nell’IRES, l’imposta sulle imprese (47<br />

per cento). Le imposte indirette, soprattutto a<br />

causa del rallentamento intervenuto nella dinamica<br />

del PIL, mostrano, invece, una leggera<br />

flessione (- 0,4 per cento). Se le tendenze in atto<br />

dovessero proseguire, a fine anno, <strong>il</strong> «tesoretto»<br />

dovrebbe ammontare a circa 13 m<strong>il</strong>iardi.<br />

Sarebbe, quindi, sufficiente a coprire le maggiori<br />

spese, precedentemente indicate con un<br />

surplus di circa 6 m<strong>il</strong>iardi. Ma sarà così?<br />

Un pizzico di maggior ottimismo nasce dai<br />

cambiamenti interventi nella situazione politica.<br />

Nella Relazione di cassa, più volte citata, Tommaso<br />

Padoa Schioppa indicava leva spese<br />

non contab<strong>il</strong>izzate. Si trattava principalmente<br />

dei «contratti di servizio e di programma del<br />

gruppo FS. Anche se la quantificazione al momento<br />

- precisa <strong>il</strong> documento - è oggetto di<br />

confronto con le società interessate, le risorse<br />

aggiuntive potrebbero ammontare a un massimo<br />

di 1,5 m<strong>il</strong>iardi di euro». Restava, quindi <strong>il</strong><br />

nodo dei contratti dei pubblici dipendenti. «La<br />

legge finanziaria per <strong>il</strong> 2008 - precisa sempre <strong>il</strong><br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

41<br />

documento - non ha appostato ex ante le risorse<br />

necessarie per la chiusura dei contratti. La<br />

scelta è motivata sia dalla volontà di avere una<br />

trattativa con la controparte sindacale che affronti<br />

congiuntamente la questione delle risorse<br />

finanziarie e delle regole per la loro distribuzione».<br />

Vista anche l’ipotesi della cosiddetta<br />

«triennalizzazione» del contratto stesso. Esistono,<br />

quindi, dei margini per <strong>il</strong> nuovo Governo<br />

per gestire le nuove spese in modo più rigoroso.<br />

Non cedendo alla pressione della sinistra<br />

massimalista e del «partito della spesa».<br />

Su questa previsioni pesano, tuttavia, due incognite.<br />

I dati di apr<strong>il</strong>e, disponib<strong>il</strong>i solo per cassa,<br />

mostrano un forte raffreddamento delle entrate.<br />

Preoccupa, in particolare, l’andamento<br />

dell’IVA che ha registrato una brusca flessione<br />

(-6 per cento) rispetto al corrispondente periodo<br />

dell’anno precedente. Occorrerà, pertanto,<br />

seguire con grande attenzione l’evoluzione dei<br />

mesi a venire. Anche se l’andamento del «fabbisogno<br />

dello Stato», per <strong>il</strong> mese di maggio lascia<br />

più tranqu<strong>il</strong>li. Nonostante la perdita di gettito<br />

dell’IVA, nei primi 5 mesi dell’anno assistiamo<br />

ad un miglioramento di circa 6 m<strong>il</strong>iardi.<br />

Sempre a maggio, <strong>il</strong> miglioramento, rispetto al<br />

corrispondente mese dell’anno precedente, è<br />

stato di circa 3,2 m<strong>il</strong>iardi. Insomma, stando a<br />

questi dati, <strong>il</strong> gettito continua a crescere. Si<br />

tratterà di vedere se sarà confermato a giugno:<br />

mese in cui dovranno essere effettuati pagamenti<br />

di competenza del mese precedente.<br />

Il secondo elemento di preoccupazione è l’effettivo<br />

andamento del PIL. Finora la crescita<br />

acquisita, calcolata cioè ipotizzando una crescita<br />

pari a zero nei tre successivi trimestri, è


VASSILIS VASSILIKOS<br />

Z L’orgia del potere<br />

Pagine: 410<br />

Prezzo: euro 18,00<br />

Collana: Biblioteca Bietti<br />

Il 22 maggio del 1963 <strong>il</strong> deputato della sinistra greca<br />

Lambrakis fu ucciso al centro di Salonicco da un estremista<br />

di destra in un attentato effettuato con la complicità e<br />

la copertura dalla polizia e di settori oltranzisti delle forze<br />

armate greche. Con Z, lettera iniziale della parola greca<br />

che significa “vive”, è fissata nel racconto la figura dell’ucciso.<br />

“Vangos” è invece <strong>il</strong> nome che copre <strong>il</strong> suo assassino,<br />

mentre un intero “Jurassik Park” di nomi di animali<br />

preistorici vela l’identità dei potenti complici occulti del delitto<br />

che l’indagine di un ostinato giudice istruttore farà<br />

emergere come colpevoli mandanti. Il giudice dopo la caduta<br />

del regime dei colonnelli diventerà, negli anni 80, presidente<br />

della Repubblica greca. Questa nuova edizione<br />

italiana del capolavoro di Vass<strong>il</strong>ikos fa emergere, anche<br />

per effetto della traduzione diretta dall’originale greco, la<br />

straordinaria incisività di linguaggio con cui l’autore scandisce<br />

la cadenza narrativa di quello che è ormai considerato<br />

un capolavoro della letteratura e che ha la forza di<br />

una tragedia classica i cui personaggi sono ormai assunti<br />

a moderni archetipi dell’eterna lotta tra <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male,<br />

tra la tirannide e la libertà.<br />

IL PIÙ IMPORTANTE ROMANZO<br />

POLITICO DELLA SECONDA METÀ<br />

DEL NOVECENTO<br />

Vass<strong>il</strong>is Vass<strong>il</strong>ikos, scrittore greco nato nel 1934.<br />

Sorpreso all’estero dal colpo di stato dei colonnelli greci,<br />

non rientra nel suo paese che dopo la caduta del regime<br />

da loro instaurato. Vive gli anni dell’es<strong>il</strong>io in Italia e in<br />

Francia. Autore di oltre novanta libri, raggiunge <strong>il</strong><br />

massimo della fama col romanzo «Z», da cui <strong>il</strong> regista<br />

Costa Gavras trasse uno straordinario f<strong>il</strong>m.<br />

BIETTI<br />

dal 1870<br />

CATALOGO ON LINE:<br />

www.edizionibietti.it<br />

PER ACQUISTI ON LINE:<br />

www.ragioncritica.it<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

42<br />

e c o n o m i a<br />

pari allo 0,2 per cento. Quando la relazione di<br />

cassa prevedeva una crescita più sostenuta:<br />

0,6 per cento. Se la congiuntura non dovesse<br />

migliorare, rispetto alle attuali tendenze,<br />

avremmo una crescita delle entrate molto più<br />

contenute. Le ultime previsioni sugli andamenti<br />

del PIL sono state fornite dall’OCSE. Esse<br />

prevedono, per <strong>il</strong> 2008, una crescita dello 0,5<br />

per cento e per <strong>il</strong> 2009 dello 0,9.<br />

La stampa italiana ha accolto queste notizie<br />

con grande preoccupazione. Sono giustificate?<br />

In parte. Paradossalmente, preoccupa più <strong>il</strong><br />

2009 che non <strong>il</strong> 2008. Per l’anno in corso, le<br />

previsioni di altri centri internazionali - ad<br />

esempio <strong>il</strong> FMI - erano state più pessimistiche.<br />

E lo stesso era avvenuto per Confindustria.<br />

L’OCSE conferma invece la previsione contenuta<br />

nella Relazione di cassa (0,6 per cento<br />

per <strong>il</strong> 2008) mentre la riduce: 0,9 contro l’1,2<br />

per <strong>il</strong> 2009. Ma quell’anno è ancora lontano, almeno<br />

da un punto di vista macro - economico.<br />

Vi sarà quindi <strong>il</strong> tempo per intervenire. Del resto<br />

<strong>il</strong> Ministro Tremonti, consapevole di questi<br />

problemi, sta predisponendo una «legge finanziaria»<br />

triennale per agire strategicamente sulle<br />

diverse variab<strong>il</strong>i del quadro finanziario e<br />

quindi giungere all’appuntamento del 2011 - b<strong>il</strong>ancio<br />

a pareggio - preparato.<br />

È un quadro complesso e variegato quello che<br />

abbiamo cercato di descrivere. Dove gli elementi<br />

di incertezza sono maggiori, rispetto a<br />

quanto è possib<strong>il</strong>e, oggi, prevedere. Minor dubbi,<br />

invece, sul lascito del Governo Prodi. Con<br />

un pizzico di fortuna, potremmo chiudere <strong>il</strong><br />

2008 con un deficit di b<strong>il</strong>ancio compreso tra <strong>il</strong><br />

2,4 ed <strong>il</strong> 2,7 per cento del PIL ed una crescita<br />

economica tra lo 0,2 e lo 0,5. Valori decisamente<br />

peggiori, rispetto al lascito del Governo<br />

Berlusconi, a favore di Romano Prodi. Allora <strong>il</strong><br />

deficit accertato, depurato come abbiamo vista<br />

dalle operazioni di carattere straordinario, fu<br />

del 2,4 per cento. Ma con un tasso di crescita<br />

dell’economia pari all’1,8 per cento. Numeri<br />

che dovrebbero mitigare <strong>il</strong> rimpianto di Pier Luigi<br />

Bersani. Purtroppo <strong>il</strong> lascito del Governo<br />

Prodi è ben peggiore del presunto disastro che<br />

<strong>il</strong> Governo Berlusconi avrebbe lasciato in eredità<br />

al suo successore.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Le riforme contrattuali<br />

prossime venture<br />

di Giuliano Cazzola<br />

Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera<br />

Prima di partire per Napoli (dove sono state assunte<br />

le prime importanti decisioni in tema di<br />

lavoro), <strong>il</strong> Governo ha incontrato le parti sociali<br />

alle quali ha sottoposto le misure da adottare<br />

per la detassazione del lavoro straordinario e<br />

dei premi incentivanti. L’incontro – se mai ce ne<br />

fosse stato bisogno – ha messo subito in evidenza<br />

l’inadeguatezza della prassi della concertazione.<br />

Intorno al tavolo di Palazzo Chigi<br />

avevano trovato posto alcune decine di organizzazioni,<br />

tanto che si era reso necessario<br />

contingentare <strong>il</strong> tempo degli interventi. In sostanza,<br />

i Governi di centro sinistra hanno teorizzato<br />

e praticato la concertazione per un<br />

semplice motivo: i soli interlocutori a cui dare<br />

ascolto erano i sindacati; gli altri o facevano<br />

tappezzeria o restavano fuori della porta.<br />

Con <strong>il</strong> nuovo esecutivo i sindacati hanno tenuto,<br />

fino ad ora, una linea di condotta prudente,<br />

espressione di un reale imbarazzo: quello di<br />

I Governi di centro<br />

sinistra hanno teorizzato<br />

e praticato la<br />

concertazione per un<br />

semplice motivo: i soli<br />

interlocutori a cui dare<br />

ascolto erano i sindacati;<br />

gli altri o facevano<br />

tappezzeria o restavano<br />

fuori della porta.<br />

44<br />

e c o n o m i a<br />

gruppi dirigenti che avvertono di non potere opporsi<br />

a provvedimenti (che non piacciano) solo<br />

perché, altrimenti, rischierebbero di essere<br />

scavalcati dai lavoratori i quali, invece, guardano<br />

con favore alle proposte annunciate. L’incontro,<br />

ancorché affrettato ed interlocutorio, è<br />

stato, tuttavia, molto ut<strong>il</strong>e per valutare le reazioni<br />

delle diverse confederazioni, per ora riunite<br />

intorno a posizioni comuni.<br />

Cisl e U<strong>il</strong> hanno lasciato chiaramente intendere<br />

di non essere disposte a scendere in campo<br />

contro un Governo forte e dotato di un consenso<br />

tanto ampio. La Cg<strong>il</strong>, dal canto suo, non ha<br />

ancora scelto un indirizzo preciso. Avverte su<br />

di sé <strong>il</strong> peso di un’opposizione politica ripetutamente<br />

sconfitta e intenta a leccarsi le ferite e<br />

non si sente di portare avanti in perfetta solitudine<br />

(essendosi autoaffondata anche la sinistra<br />

radicale) una guerra aperta al nuovo esecutivo<br />

(a meno che esso non gliene dia <strong>il</strong> destro).<br />

Ad Epifani è bastato prendere le distanze, mettere<br />

sul tavolo tutti i possib<strong>il</strong>i «distinguo». Intanto<br />

la crisi del rapporto con la Fiom si è fatta più<br />

acuta e preoccupante. La potente federazione<br />

dei metalmeccanici si è apertamente schierata<br />

contro <strong>il</strong> progetto formulato da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong><br />

sulla riforma delle regole della contrattazione.<br />

Questa presa di posizione è molto più gravida<br />

di conseguenze negative di quella assunta nell’autunno<br />

scorso nei confronti del protocollo del<br />

luglio precedente. E non solo perché inciderà<br />

sulla consultazione dei lavoratori. Questa volta<br />

non potranno essere i pensionati a salvare le<br />

segreterie confederali. Se una delle più importanti<br />

categorie dell’industria (ormai caduta nelle<br />

mani di un gruppo dirigente estremista) rifiuta i<br />

nuovi assetti, in nome della difesa ad oltranza


e c o n o m i a<br />

della contrattazione nazionale, ciò significa che<br />

al momento della messa in pratica dei nuovi criteri<br />

non ci sarà modo di trovare intese ragionevoli<br />

con le controparti.<br />

Potrebbe mai la Confindustria prendere sul serio<br />

un negoziato ed un accordo, già sconfessati<br />

anticipatamente nel settore metalmeccanico?<br />

È chiaro, dunque, che la «trattativa del secolo»<br />

non partirà neppure questa volta. O, se anche<br />

dovesse iniziare per motivi di prestigio, uno dei<br />

principali interlocutori, la Cg<strong>il</strong>, sarà talmente<br />

condizionata dai propri problemi interni da somigliare<br />

di più ad un classico “convitato di pietra”<br />

che ad un soggetto pronto a cogliere le<br />

sfumature e le opportunità offerte dal negoziato.<br />

Che cosa faranno a quel punto la Cisl e la<br />

U<strong>il</strong>? E quale sarà l’atteggiamento della nuova<br />

leadership di viale dell’Astronomia? Sembra<br />

diffic<strong>il</strong>e ipotizzare una svolta radicale nel campo<br />

delle relazioni industriali in cui venga messa<br />

in conto anche la scelta di accordi «con chi ci<br />

sta». Ma non sarebbe neppure opportuno darla<br />

vinta ai «professionisti del veto». Spetterebbe,<br />

allora, al fronte padronale di drammatizzare<br />

una situazione ormai non solo insostenib<strong>il</strong>e,<br />

ma sul punto di marcire.<br />

Le maggiori organizzazioni imprenditoriali dovrebbero<br />

– con l’appoggio del governo – decidere<br />

la disdetta del protocollo del 1993, proclamando<br />

nel contempo la propria intenzione di<br />

cercare direttamente accordi con i lavoratori. A<br />

quel punto qualcosa si metterà pur in moto.<br />

Certo, si aprirebbe un periodo di conflittualità<br />

«a macchia di leopardo», limitato alle realtà in<br />

cui la Cg<strong>il</strong> avrebbe la forza di «fare da sola».<br />

Ma prima o poi si arriverebbe ad un auspicato<br />

chiarimento. Anche mettendo in conto la ridefinizione<br />

di un diverso pluralismo sindacale che<br />

presupponga una scissione nella Cg<strong>il</strong> e la costruzione,<br />

alla sua sinistra, di un polo più radicale,<br />

capace di ricomprendere le organizzazioni<br />

del sindacalismo corporativo ed estremista.<br />

Tornando a noi, avrà, dunque, un futuro l’intesa<br />

raggiunta da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong> sulle «Linee di<br />

riforma della struttura della contrattazione»?<br />

Rispondere a questo interrogativo è diffic<strong>il</strong>e.<br />

Ma la domanda vera è un’altra. Sarebbe conveniente<br />

e all’altezza della situazione un esito<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

45<br />

del negoziato come quello tratteggiato nell’intesa<br />

sindacale? In verità è assai discutib<strong>il</strong>e che<br />

si tratti di un progetto innovativo, aderente alle<br />

esigenze del sistema delle imprese e dei lavoratori.<br />

In verità, ad essere rafforzato e potenziato<br />

è <strong>il</strong> livello nazionale che svolge addirittura<br />

la funzione di «centro regolatore» per la definizione<br />

delle competenze da affidare al secondo<br />

livello, fino a prevedere persino che «la<br />

contrattazione salariale ...si sv<strong>il</strong>uppi a partire<br />

da una quota fissata dagli stessi CCNL».<br />

Sono previsti, poi, alcuni vincoli che possono<br />

entrare in conflitto con le più recenti tendenze<br />

dell’organizzazione della produzione e del lavoro<br />

come gli appalti, gli outsourcing, le cessioni<br />

di azienda. Per queste forme vanno definiti<br />

– suggerisce l’intesa – accordi e norme<br />

quadro per garantire condizioni normative, salariali<br />

e di sicurezza in grado di arginare <strong>il</strong> fenomeno<br />

del dumping contrattuale «in particolare<br />

con la piena ut<strong>il</strong>izzazione della “clausola sociale”».<br />

Al contratto nazionale resta affidato <strong>il</strong><br />

compito di adeguare periodicamente <strong>il</strong> salario<br />

al costo della vita. Desta però qualche interrogativo<br />

l’adozione del criterio della «inflazione<br />

realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», (unitamente al<br />

superamento del c.d. biennio economico).<br />

Si rinuncia, così, ad uno dei capisaldi del protocollo<br />

del 1993, laddove <strong>il</strong> riferimento all’inflazione<br />

programmata (salvo eventuale conguaglio<br />

successivo) era finalizzato a contenere l’incremento,<br />

giocando d’anticipo. Il suddetto indicatore,<br />

peraltro, non costituiva una camicia di<br />

forza per le retribuzioni dei lavoratori, ma un


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

tentativo – non sempre riuscito – di difendere <strong>il</strong><br />

loro potere d’acquisto. Il nuovo concetto di «inflazione<br />

realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», rischia,<br />

invece, di trasformarsi in una «scala mob<strong>il</strong>e»,<br />

travestita e priva di ambizioni rispetto alla politica<br />

economica del Paese.<br />

Ciò detto per <strong>il</strong> livello nazionale (va incoraggiato<br />

<strong>il</strong> proposito di accorpare i contratti, ora in numero<br />

di oltre 400), alle modifiche proposte per<br />

la contrattazione decentrata non è attribuib<strong>il</strong>e<br />

un percorso di rafforzamento. In tema di regole<br />

della rappresentanza è prevista una sorta di<br />

certificazione da parte del Cnel. I nuovi compiti<br />

affidati al Consiglio di V<strong>il</strong>la Lubin rischiano di<br />

prefigurare un percorso diverso dai criteri previsti<br />

dall’articolo 39 Cost.: una norma inapplicata<br />

e desueta, ma tuttora in vigore.<br />

Nel paese, poi, è aperto un altro problema ben<br />

più significativo di quello attinente all’actio finium<br />

regundorum tra la contrattazione centrale e<br />

quella decentrata. La questione è stata individuata<br />

– autorevolmente – da Il Sole 24 Ore, <strong>il</strong><br />

quale ha calcolato - come e in che misura - una<br />

contrattazione uniforme a livello nazionale favorisca<br />

<strong>il</strong> Sud, grazie al differenziale del costo della<br />

vita (rispetto a quello più elevato delle regioni<br />

settentrionali). Per uscire da questo cul de sac,<br />

che genera solo lavoro sommerso, occorre mettere<br />

in discussione <strong>il</strong> principio della inderogab<strong>il</strong>ità<br />

(<strong>il</strong> suo superamento è all’ordine del giorno in<br />

tutta Europa) delle norme contrattuali in forza<br />

del quale due livelli di negoziazione continuano<br />

ad essere contemplati, da noi, in una prospetti-<br />

46<br />

e c o n o m i a<br />

va aggiuntiva (l’intesa intersindacale usa l’aggettivo<br />

‘accrescitiva’) e di progressivo miglioramento<br />

dei salari e delle condizioni di lavoro.<br />

In Germania, ad esempio, questa ricerca si è<br />

concretizzata nella introduzione delle “clausole<br />

di apertura” (applicate nel 35 per cento delle<br />

aziende e nel 22 per cento degli uffici) che consentono<br />

di scendere al di sotto degli standard<br />

previsti dai contratti collettivi (è frequente la<br />

prassi delle retribuzioni agganciate agli ut<strong>il</strong>i).<br />

Anche in Italia, nel 1997, la Commissione presieduta<br />

da Gino Giugni studiò – per incarico del<br />

primo Governo Prodi – <strong>il</strong> problema della riforma<br />

della contrattazione (ne facevano parte sia<br />

Massimo D’Antona che Marco Biagi) e arrivò a<br />

prefigurare un’ipotesi derogatoria incentrata<br />

sulle “clausole d’uscita” rispetto a quanto definito<br />

dalla contrattazione nazionale. Si tratta di<br />

un’esigenza tuttora valida (già recepita nella<br />

contrattazione del settore chimico) e divenuta<br />

più pressante in un ordinamento federalista e a<br />

fronte dei problemi di sv<strong>il</strong>uppo del Mezzogiorno,<br />

le cui realtà produttive non sono in grado di<br />

«sostenere» una regolazione del lavoro sostanzialmente<br />

e forzatamente uniforme.<br />

Per esprimere una valutazione compiuta dei<br />

provvedimenti di carattere economico e fiscale<br />

che <strong>il</strong> Governo ha varato a Napoli è bene partire<br />

dalle critiche che sono state rivolte fin dalle<br />

prime anticipazioni. Sarà opportuno leggere<br />

con cura i testi per ora solo anticipati nelle loro<br />

linee generali. Cominciamo dalle osservazioni<br />

di metodo. È stato sostenuto dall’opposizione<br />

che le misure adottate sono onerose e non costituiscono<br />

una priorità. Questa considerazioni<br />

è stata avanzata, in modo prevalente, con riferimento<br />

all’abolizione totale dell’Ici sulla prima<br />

casa. Si sono tirate in ballo le minori entrate<br />

degli enti locali, come se analogo problema<br />

(magari in dimensioni più ridotte) non si fosse<br />

posto nel momento in cui era stato l’Esecutivo<br />

Prodi a decidere una riduzione parziale dell’imposta<br />

sulla casa, agendo come se questa non<br />

fosse anche la principale preoccupazione del<br />

Governo, <strong>il</strong> quale è orientato a provvedere in<br />

via transitoria alla copertura del mancato gettito<br />

in sede locale, nella prospettiva dell’avvio<br />

del federalismo fiscale che affronterà (speria


e c o n o m i a<br />

mo risolverà) l’annosa questione della ripartizione<br />

delle risorse fiscali tra centro e periferia.<br />

Altri r<strong>il</strong>ievi sono stati rivolti alle misure di detassazione<br />

del lavoro straordinario e dei premi incentivanti.<br />

Prima di entrare nel merito, sarà bene<br />

ricordare un aspetto cruciale del pacchetto<br />

«Napoli-lavoro». I temi dell’Ici e della detassazione<br />

hanno dominato quasi sempre la campagna<br />

elettorale, nel senso che – a torto o a ragione<br />

a seconda dei punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />

ha continuamente parlato, senza infingimenti di<br />

alcun tipo. Poiché nei due anni che abbiamo alle<br />

spalle gran parte del dibattito interno all’Unione<br />

si svolgeva sull’esegesi e l’attuazione del<br />

programma di 285 pagine forgiato nel loft di<br />

Prodi nel 2006, non sembra possa destare meraviglia<br />

che la nuova coalizione di governo pretenda<br />

di dare attuazione alle priorità proposte<br />

come tali agli elettori (quelle stesse indicazioni<br />

programmatiche che presumib<strong>il</strong>mente hanno<br />

pure contribuito alla netta vittoria dell’alleanza<br />

PdL-Lega del 13-14 apr<strong>il</strong>e). La maggioranza è<br />

convinta di aver varato delle proposte ut<strong>il</strong>i al<br />

Paese, in sintonia con tante famiglie di cittadini.<br />

Verrà presto <strong>il</strong> momento della verifica.<br />

Passando a parlare del merito le critiche si sono<br />

appuntate soprattutto su due aspetti: la mancata<br />

inclusione dei pubblici dipendenti, da un lato,<br />

l’inopportunità di detassare lo straordinario,<br />

dall’altro. Nel primo caso autorevolissimi parlamentari<br />

hanno scomodato persino la Costituzione.<br />

La legge fondamentale dello Stato sarebbe<br />

stata insultata e violata a causa della<br />

«discriminazione» perpetrata ai danni del pubblico<br />

impiego. L’esclusione di un pezzo importante<br />

del lavoro dipendente è dovuto non già ad<br />

un pregiudizio nei confronti degli impiegati pubblici,<br />

ma ad un’esigenza di selezionare l’impiego<br />

di importanti ma limitate risorse a disposizione,<br />

chiamate altresì a finanziare altri interventi<br />

che <strong>il</strong> Governo considera prioritari. Inoltre, trattandosi<br />

di una misura di carattere sperimentale<br />

ci sarà sicuramente <strong>il</strong> modo di rimediare alla<br />

disparità di trattamento in sede di legge finanziaria<br />

per <strong>il</strong> 2009, nel caso in cui saranno valutate<br />

l’ut<strong>il</strong>ità e la convenienza a proseguire nella<br />

detassazione. Opportunamente, poi, <strong>il</strong> ministro<br />

Brunetta ha compiuto ogni possib<strong>il</strong>e tentativo –<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

47<br />

questo è un preciso segnale politico che non va<br />

lasciato cadere durante l’iter legislativo – per includere<br />

i settori più delicati delle Forze dell’ordine<br />

e dei Vig<strong>il</strong>i del fuoco, che si prodigano senza<br />

risparmio al servizio della collettività.<br />

Ma c’è un’altra ragione d’ordine politico in<br />

quanto chiama in causa proprio gli obiettivi che<br />

l’esecutivo intende perseguire. Le misure, infatti,<br />

sono finalizzate a dare un impulso alla ripresa<br />

dei settori produttivi, realizzando nel<br />

contempo un miglioramento delle retribuzioni<br />

I temi dell’Ici e della<br />

detassazione hanno<br />

dominato quasi sempre la<br />

campagna elettorale, nel<br />

senso che – a torto o a<br />

ragione a seconda dei<br />

punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />

ha continuamente parlato,<br />

senza infingimenti di<br />

alcun tipo.<br />

come corrispettivo di un maggior impegno lavorativo.<br />

Nelle aziende private esistono le condizioni<br />

strutturali perché lo scambio tra lavoro e<br />

retribuzione avvenga con riferimento a dati<br />

reali. In altre parole, è la regola principale del<br />

mercato a far sì che i datori di lavoro eroghino<br />

aumenti (provenienti dai b<strong>il</strong>anci delle loro<br />

aziende) soltanto a fronte di una migliore prestazione<br />

(quali-quantitativa) dei loro dipendenti.<br />

Nella pubblica amministrazione, purtroppo,<br />

la realtà è diversa. Il ministro Renato Brunetta<br />

ha affermato che le misure di detassazione<br />

verranno estese anche ai dipendenti pubblici<br />

nella misura in cui <strong>il</strong> loro trattamento complessivo<br />

sarà sim<strong>il</strong>e a quello dei lavoratori privati.<br />

Brunetta sa benissimo che da almeno 15 anni<br />

lo stato giuridico del pubblico impiego è regolato<br />

dal diritto comune, mentre le controversie<br />

sono affidate alla giurisdizione ordinaria. Quel


ATTRAVERSANDO<br />

IL VENTESIMO SECOLO<br />

... con un poco di garbo e di educata spavalderia<br />

Autore: Franzi Mosetti<br />

Pagine: 357<br />

Prima Edizione: Autunno 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

Franzi Mosetti è nato, insieme al gemello W<strong>il</strong>ly nel 1914,<br />

all’inizio della Grande Guerra, a Trieste. La famiglia passò<br />

gli anni successivi in Carinzia rientrando a Trieste solo nel<br />

1919. Franzi Mosetti qui visse e studiò fino al 1932, poi<br />

prese la maturità a Vienna dopo essersi perfezionato in<br />

tedesco. Alle dipendenze del Lloyd, lavorò per vari anni<br />

in Egitto, rientrando poi, nel 1940, per arruolarsi, e trovandosi<br />

così a partecipare al grande conflitto mondiale.<br />

Fatto prigioniero fu fortunosamente rimpatriato dopo un<br />

anno e mezzo. In Italia riprese <strong>il</strong> suo posto al Loyd Triestino,<br />

poi dopo ulteriori drammatiche vicende, alla fine<br />

della guerra riuscì a riabbracciare i suoi fratelli, tutti ufficiali<br />

ma sotto diverse e contrapposte bandiere e a terminare<br />

gli studi per laurearsi in Scienze Politiche. Fu farmer in Kenia<br />

per nove anni, dove sposò Sonia, la sua coraggiosa<br />

fidanzata da cui ebbe <strong>il</strong> figlio Carlo. Abbandonarono l’Africa,<br />

all’indipendenza del Kenia, dopo che anni di guerriglia<br />

Mau Mau avevano reso ingovernab<strong>il</strong>e quel paese.<br />

Rientrato in patria fu prima alla direzione della Bosch, poi<br />

Direttore degli Affari Generali della Ciga, e infine imprenditore<br />

di successo nel settore delle attrezzature magnetiche.<br />

Oggi che si dichiara a riposo, dopo aver attraversato<br />

fortunosamente i pericoli del ventesimo secolo, con un<br />

poco di garbo e di educata spavalderia, come si legge in<br />

questo straordinario libro di memorie; ritrae fiori ad acquarello<br />

e coltiva, con allegra attenzione, i rapporti con i<br />

suoi moltissimi amici in Italia e nel mondo… ed un piccolo<br />

giardino in Franciacorta, vicino a Brescia.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

48<br />

e c o n o m i a<br />

lo del ministro, dunque, è un ragionamento che<br />

va oltre <strong>il</strong> formalismo giuridico; pone invece un<br />

problema di sostanza, innanzi tutto politica.<br />

Non sarebbe credib<strong>il</strong>e, infatti, un ministro che<br />

un minuto dopo <strong>il</strong> giuramento nelle mani del<br />

Capo dello Stato esprime pubblicamente giudizi<br />

severissimi sulla situazione della pubblica<br />

amministrazione e si impegna a realizzare radicali<br />

cambiamenti in breve tempo, ma che la<br />

prima volta in cui è chiamato a dar prova di voler<br />

cambiare linea di condotta si trasforma in un<br />

avvocato dei dipendenti pubblici, come facevano<br />

i vecchi ministri democristiani della funzione<br />

pubblica (e magari anche qualcuno della seconda<br />

Repubblica). Ma poi chi ha detto che<br />

quanto è corrisposto ai dipendenti privati debba<br />

esserlo anche a quelli pubblici (soprattutto<br />

se si è ancora nell’ambito della sperimentalità)?<br />

Ad andarli a cercare con cura e pazienza<br />

troveremmo diversi casi in cui <strong>il</strong> meccanismo di<br />

adesso ha escluso i travet, senza sollevare<br />

una presa di posizione contraria della Corte, la<br />

quale assume come «luce e guida» delle proprie<br />

sentenze <strong>il</strong> criterio della ragionevolezza.<br />

Cominciamo dal super bonus ovvero dall’incentivo<br />

a rinviare <strong>il</strong> pensionamento: dal bendiddio<br />

che è derivato agli optanti era totalmente<br />

escluso <strong>il</strong> pubblico impiego per diversi motivi,<br />

non ultimo quello dell’ammontare delle risorse<br />

disponib<strong>il</strong>i. A tale «limitazione» va aggiunta<br />

la pratica impossib<strong>il</strong>ità – di cui soffrono i<br />

funzionari pubblici – di conferimento volontario<br />

del trattamento di fine servizio a finalità di previdenza<br />

complementare. Da ultima viene quello<br />

che l’opposizione definisce un atto contro le<br />

donne che lavorano. In sostanza, dal momento<br />

che le lavoratrici non effettuano lavoro<br />

straordinario - prese come sono dalle loro responsab<strong>il</strong>ità<br />

fam<strong>il</strong>iari - si sostiene che esse non<br />

avranno alcun vantaggio dalle nuove norme.<br />

Premesso che insieme allo straordinario sono<br />

coinvolti dalla detassazione anche i premi<br />

aziendali, basterebbe confutare la critica di genere<br />

sottolineando che – portando alle estreme<br />

conseguenze <strong>il</strong> ragionamento – ogni miglioramento<br />

retributivo favorirebbe gli uomini essendo<br />

loro – purtroppo – la componente assolutamente<br />

maggioritaria del mercato del lavoro.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

La politica industriale<br />

tra delocalizzazione ed immigrazione<br />

di Pierluigi Borghini<br />

Il governo dovrà permettere al Paese di contare<br />

su una politica industriale seria e convincente.<br />

Non si può più temporeggiare: la classe<br />

imprenditoriale lo richiede a gran voce e<br />

tutta la società italiana ne ha fortemente bisogno.<br />

Approntare una politica industriale efficace<br />

non è però operazione fac<strong>il</strong>e. Un ottimo<br />

punto di partenza sarà comprendere l’importanza<br />

di due questioni fondamentali: la delocalizzazione<br />

delle imprese e l’importazione<br />

regolamentata di manodopera qualificata, individuando<br />

aree di influenza strategica sulle<br />

quali intervenire. Sono questi due aspetti r<strong>il</strong>evanti<br />

e strettamente interconnessi, che aiuterebbero<br />

le imprese italiane a guadagnare in<br />

termini di competitività in uno scenario internazionale<br />

sempre più complesso e concorrenziale.<br />

Come se ciò non bastasse, delocalizzare<br />

e importare manodopera qualificata<br />

sono due operazioni che avrebbero ricadute<br />

positive anche su altri aspetti della vita sociale<br />

dei cittadini. In primo luogo sulla gestione<br />

dell’immigrazione clandestina, che diventerebbe<br />

più fac<strong>il</strong>e e più rispondente alle effettive<br />

esigenze delle nostre aziende in termini di posti<br />

di lavoro vacanti.<br />

L’internazionazione produttiva ha da sempre<br />

costituito un’importante modalità attraverso<br />

cui le imprese si sono rapportate allo scenario<br />

internazionale. Alla luce della globalizzazione<br />

dei mercati e della spietata concorrenza,<br />

delocalizzare è ormai diventato addirittura<br />

imprescindib<strong>il</strong>e: è spesso un’esigenza vitale<br />

per la sopravvivenza dell’impresa stessa<br />

in uno scenario sempre più competitivo.<br />

Questo è vero anche perché, tramite gli investimenti<br />

diretti all’estero, è possib<strong>il</strong>e per<br />

un’impresa aumentare la propria competitivi-<br />

50<br />

tà con un più efficiente ut<strong>il</strong>izzo delle risorse e<br />

una maggiore prossimità con i mercati finali.<br />

In particolare è necessario favorire la delocalizzazione<br />

di tutte quelle attività che hanno<br />

nei costi energetici e ambientali, oltre che<br />

nella manodopera non qualificata, gli oneri<br />

essenziali del proprio lavoro. Questo significa<br />

ut<strong>il</strong>izzare risorse naturali, umane e ambientali,<br />

nei paesi che possono essere considerati<br />

- mi si passi <strong>il</strong> termine forte - «le colonie<br />

di questo nuovo impero».<br />

I numeri spiegano meglio di ogni altro discorso<br />

i vantaggi portati dalla delocalizzazione. È ut<strong>il</strong>e<br />

in proposito analizzare i dati del Rapporto Annuale<br />

Ice-Istat 2006-2007. Le imprese che investono<br />

all’estero hanno un tasso di crescita<br />

del fatturato in Italia di quasi <strong>il</strong> 10% maggiore di<br />

quello che avrebbero non investendo, e un aumento<br />

della produttività superiore al 5%. Questi<br />

effetti benefici, oltretutto, non si traducono in<br />

una perdita di occupazione in Italia. Se analizziamo<br />

gli ultimi dieci anni, notiamo come le imprese<br />

italiane abbiano già progressivamente<br />

aumentato la loro apertura internazionale: <strong>il</strong>


e c o n o m i a<br />

flusso di investimenti esteri in uscita dal nostro<br />

paese si è attestato a quota 42 m<strong>il</strong>iardi di dollari<br />

nel 2006, un valore stab<strong>il</strong>e rispetto all’anno<br />

precedente, ma quasi raddoppiato rispetto al<br />

2004. Tuttavia <strong>il</strong> peso dell’internazionalizzazione<br />

produttiva nell’economia italiana rimane ancora<br />

contenuto se confrontato con quello degli<br />

altri paesi europei, Francia e Germania in primis.<br />

Sono ad esempio solo tre le multinazionali<br />

italiane non finanziarie tra le prime 100 per investimenti<br />

all’estero: Eni (29°), Telecom (31°) e<br />

Fiat (33°).<br />

Un’altra caratteristica penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />

paese è la frattura che si registra fra Nord e<br />

Sud: mentre al Settentrione e al Centro ha delocalizzato<br />

<strong>il</strong> 4,8% delle imprese manufatturiere,<br />

al Meridione e nelle Isole questa percentuale<br />

crolla all’1,6%. Le aree di maggiore insediamento<br />

delle imprese italiane sono quelle<br />

dell’Unione europea, dell’Europa balcanica e<br />

dell’Asia orientale. Tra i principali settori di attività<br />

delle imprese che hanno delocalizzato si<br />

trovano ancora quelli tipici del made in Italy:<br />

cuoio e pelli (8,5%), apparecchiature elettriche<br />

(7,6%), tess<strong>il</strong>e e abbigliamento (6,6%), apparecchi<br />

meccanici (6,2%) e mezzi di trasporto<br />

(5%).<br />

Negli ultimi mesi si sono notati incoraggianti<br />

segnali di apertura da parte del nostro paese<br />

verso investimenti stranieri. La compagnia<br />

elettrica Enel - ad esempio - costruirà in Albania<br />

una centrale termoelettrica alimentata a<br />

carbone da 1.300 megawatt; la centrale, oltre<br />

a soddisfare la domanda interna, servirà <strong>il</strong><br />

mercato italiano quando saranno realizzate le<br />

nuove linee di interconnessione tra i due paesi.<br />

L’Italia costruirà inoltre un nuovo sistema<br />

energetico in Libia, Tunisia e Algeria, e comparteciperà<br />

in Russia e Romania in centrali<br />

energetiche tradizionali e nucleari. Questi sono<br />

indicatori importanti, ma non bastano, soprattutto<br />

se continuano ad essere casi isolati e<br />

non inquadrati in una logica complessiva più<br />

ampia. Tutti questi sforzi devono poi consentire<br />

alle imprese italiane di ut<strong>il</strong>izzare parte di<br />

questa energia, a bassi costi, per far sì che <strong>il</strong><br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

51<br />

nostro sistema industriale possa essere competitivo<br />

nel mondo.<br />

Sarà inoltre fondamentale dare nuovo mandato<br />

alla Società Italiana per le Imprese all’Estero,<br />

per far sì che torni ad investire nelle aree<br />

dove è stata tagliata questa possib<strong>il</strong>ità. Va comunque<br />

sottolineato che si registra la necessità<br />

di alcuni interventi di rinnovamento della SI-<br />

MEST, sia sul fronte dei prodotti-servizi, sia su<br />

quello dell’organizzazione interna. I prodottiservizi,<br />

ad esempio, andranno rivisitati semplificando<br />

alcune procedure troppo burocratiche<br />

per le piccole e medie imprese; per quanto riguarda<br />

l’organizzazione interna, è auspicab<strong>il</strong>e<br />

una diversa struttura organizzativa che «deverticizzi»<br />

la concentrazione dei processi decisionali,<br />

valorizzando le competenze manageriali a<br />

vantaggio di una migliore reattività e flessib<strong>il</strong>ità<br />

dell’azione dell’Ente.<br />

Un’altra caratteristica<br />

penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />

paese è la frattura che si<br />

registra fra Nord e Sud:<br />

mentre al Settentrione e<br />

al Centro ha delocalizzato<br />

<strong>il</strong> 4,8% delle imprese<br />

manufatturiere, al<br />

Meridione e nelle Isole<br />

questa percentuale crolla<br />

all’1,6%.<br />

Delocalizzare non basta quindi per avere<br />

una politica industriale convincente per <strong>il</strong><br />

paese, ma è un primo passo indispensab<strong>il</strong>e.<br />

È necessaria una strategia chiara e definita<br />

sul versante energetico, delle comunicazioni<br />

e del trasporto aereo, e accompagnare a<br />

questo disegno una delocalizzazione p<strong>il</strong>otata


e un’importazione di risorse umane allo stesso<br />

modo gestita e non subita. E qui arriviamo<br />

al secondo punto fondamentale che dovrà<br />

caratterizzare la nuova politica industriale:<br />

individuare un’area di influenza sulla quale<br />

intervenire per poi poter importare manodopera<br />

qualificata. Potrebbero essere interessati<br />

ad un’operazione del genere i paesi<br />

nordafricani e quelli dell’Est europeo. Con<br />

queste nazioni sarà necessario studiare dei<br />

meccanismi di collaborazione imprenditoriale<br />

e formativa che ci consentano di vedere<br />

all’insieme dell’apparato non come la sommatoria<br />

di realtà diverse tra loro, ma come<br />

fosse un unico grande sistema industriale,<br />

ovvero quel «nuovo impero» al quale facevo<br />

riferimento in precedenza.<br />

Tutto ciò deve essere fatto avvalendoci delle<br />

potenzialità proprie di questi paesi, che potrebbero<br />

compensare i limiti del nostro, principalmente<br />

in 3 direzioni: grandi risorse naturali, situazioni<br />

non degradate per quanto riguarda<br />

l’impatto ambientale e costi di manodopera più<br />

bassi. Tutto ciò che in Italia manca o è diffic<strong>il</strong>mente<br />

reperib<strong>il</strong>e, noi lo possiamo trovare in<br />

questi altri paesi, con i quali inizieremo un percorso<br />

di partnership. Per fare tutto questo è però<br />

imprescindib<strong>il</strong>e organizzare, all’interno di<br />

queste nazioni, una formazione civica, umana<br />

e professionale, che consenta di importare manodopera<br />

e allo stesso tempo di regolamenta-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

52<br />

re l’immigrazione. I due aspetti sono strettamente<br />

interconnessi: le delocalizzazioni sono<br />

l’unica vera risposta per dare lavoro nei paesi<br />

di origine a quei lavoratori che, avendo le capacità<br />

ed essendo competitivi nel costo della<br />

produttività, vengono in Italia perché <strong>il</strong> nostro<br />

paese non è stato capace di strutturare e incrementare<br />

la sua capacità di dare lavoro all’estero.<br />

In questa direzione sarà fondamentale una politica<br />

di formazione e realizzazione di posti di<br />

lavoro all’estero, specialmente nei paesi come<br />

la Romania, la Bulgaria, l’Ucraina e negli Stati<br />

nordafricani, che sono naturali partner di questo<br />

tipo di approccio. A suo tempo la Regione<br />

Lazio provò ad andare in questa direzione, ma<br />

si trattava di una politica regionale, quindi come<br />

tale poco credib<strong>il</strong>e e di piccole dimensioni<br />

rispetto al fenomeno. È necessario, se vogliamo<br />

ripristinare un corretto rapporto con quei<br />

paesi, far investire i nostri imprenditori in quelle<br />

aree, delocalizzando essenzialmente attività<br />

produttive manifatturiere.<br />

In questo modo sarà possib<strong>il</strong>e ristab<strong>il</strong>ire quell’equ<strong>il</strong>ibrio<br />

dei flussi migratori che negli ultimi<br />

anni è completamente saltato e che è alla base<br />

anche della convivenza civ<strong>il</strong>e fra i popoli.<br />

Oggi in Italia, ad esempio, viviamo <strong>il</strong> problema<br />

dell’immigrazione clandestina, ma allo stesso<br />

tempo si registrano le difficoltà degli immigrati<br />

regolari che hanno bisogno di case e scuole<br />

per i loro figli. Allo stesso tempo, nei paesi di<br />

origine degli immigrati c’è <strong>il</strong> problema opposto:<br />

non si trova più manodopera. I nostri imprenditori<br />

in questi paesi sono spesso costretti ad importare<br />

lavoratori dal Bangladesh, e questo è<br />

paradossale.<br />

Il fenomeno dell’immigrazione va gestito in modo<br />

diverso da come finora si è fatto. Per troppi<br />

anni si è pensato solo al riempimento di una<br />

sorta di «sacca» terza e distaccata dal mondo<br />

civ<strong>il</strong>e. È necessario al contrario prevedere dei<br />

percorsi di ingresso nel tessuto sociale, che<br />

devono essere gestiti non solo dalle forze dell’ordine,<br />

ma inquadrati in un piano di accompa-


e c o n o m i a<br />

gnamento che non può che essere gestito dalle<br />

organizzazioni cattoliche e di volontariato,<br />

che permettano di individuare e seguire nel loro<br />

percorso di integrazione i singoli cittadini<br />

stranieri. È necessario creare nel nostro paese<br />

un consiglio nazionale per l’immigrazione, che<br />

abbia <strong>il</strong> compito di gestire l’opera del volontariato<br />

e i rapporti con le forze dell’ordine per<br />

quanto riguarda i cittadini stranieri.<br />

Bisogna porre l’attenzione alla formazione degli<br />

individui già nella fase di pre-partenza dai<br />

loro Paesi, aiutandoli già prima di sbarcare sul<br />

nostro suolo a diventare dei potenziali cittadini<br />

italiani. Insegnamento della lingua, delle leggi,<br />

e formazione professionale in loco sono condizioni<br />

necessarie per aiutare l’immigrato nell’integrazione<br />

una volta che raggiungerà <strong>il</strong> suolo<br />

italiano: questo può essere fatto anche attraverso<br />

lo strumento della cooperazione internazionale,<br />

fermo restando <strong>il</strong> ruolo imprescindib<strong>il</strong>e<br />

delle organizzazioni di volontariato nel momento<br />

in cui queste persone sbarcano sul suolo italiano.<br />

Nel nostro paese deve poi esistere un’anagrafe<br />

dell’immigrato, <strong>il</strong> quale deve accettare di frequentare<br />

corsi e fasi di inserimento p<strong>il</strong>otate. Se<br />

si sottrae a tutto questo, deve essere rimpatriato.<br />

I tutor che seguiranno <strong>il</strong> singolo individuo<br />

in questo percorso devono essere formati e<br />

forniti dalle associazioni di volontariato. Il flusso,<br />

a livello numerico, deve essere regolato in<br />

funzione delle necessità, valutate in proiezione<br />

annuale. Provvedimenti come quello che programma<br />

di far entrare solo chi ha già un posto<br />

di lavoro, mediante l’ufficio del lavoro, è diffic<strong>il</strong>e<br />

da far rispettare: è chiaro che questo flusso<br />

viene evaso nelle sue dimensioni. Cosa si fa se<br />

<strong>il</strong> mercato richiede un numero maggiore di cittadini<br />

stranieri?<br />

L’Italia non può più essere un paese privo<br />

una politica industriale seria, chiara e convincente.<br />

Per cinquant’anni nel nostro paese<br />

si è fatta politica industriale solo attraverso le<br />

società pubbliche, e questo non solo non è<br />

più accettab<strong>il</strong>e, ma è anacronistico rispetto<br />

ad uno scenario mondiale che negli ultimi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

53<br />

anni si è profondamente modificato. La politica<br />

industriale seria e al passo con i tempi di<br />

cui <strong>il</strong> paese ha bisogno si basa sulla competizione<br />

internazionale, sulla partnership con<br />

altri paesi e sull’individuazione di aree strategiche<br />

di influenza. Solo in questo modo le<br />

imprese italiane potranno delocalizzare le attività<br />

più onerose traendone enorme vantaggio,<br />

e allo stesso tempo avvalersi di una manodopera<br />

che viene sì dall’estero, ma tramite<br />

un flusso regolato e preceduto da un grande<br />

lavoro a monte nei paesi di provenienza<br />

dei lavoratori.<br />

Nel nostro paese deve<br />

esistere un’anagrafe<br />

dell’immigrato, <strong>il</strong> quale<br />

deve accettare di<br />

frequentare corsi e fasi di<br />

inserimento p<strong>il</strong>otate.<br />

L’auspicio è che la politica industriale venga<br />

delineata con chiarezza, e che siano coinvolte<br />

in maniera importante anche società come<br />

Enel, Eni, Telecom e Alitalia. È per questi motivi<br />

che è importante che la nostra compagnia di<br />

bandiera, <strong>il</strong> cui destino è ancora poco chiaro,<br />

mantenga una quota italiana forte; ed è per le<br />

stesse ragioni che è vitale la presenza, all’interno<br />

del principale gestore telefonico del nostro<br />

paese, adesso delle banche e successivamente<br />

di gruppi finanziari italiani. Approntare<br />

una politica industriale capace di risollevare le<br />

sorti dell’Italia è impresa ardua. L’auspicio è<br />

che <strong>il</strong> governo, che può contare su una maggioranza<br />

parlamentare tale da assumere decisioni<br />

importanti, compia dei passi decisi in questa<br />

direzione consegnando al paese gli strumenti<br />

necessari per realizzarla.


e c o n o m i a<br />

La prevedib<strong>il</strong>e impennata della richiesta di produzione<br />

d’energia rivolta al nucleare di fissione<br />

vede l’Italia in ottima posizione sul piano<br />

dell’ingegneria di progettazione. La coordinazione<br />

per lo sv<strong>il</strong>uppo di una delle sei f<strong>il</strong>iere selezionate<br />

dal Forum «Generation IV» (quella<br />

raffreddata a piombo) è affidata al nostro Paese,<br />

che ha saputo assumere un ruolo di leadership,<br />

grazie ai brevetti della Del Fungo Giera<br />

Energia SpA. Le ricadute tecnologiche e<br />

progettuali di quest’attività possono influenzare<br />

anche l’evoluzione, ancora in corso, dei<br />

reattori sottocritici. Le soluzioni proposte in<br />

quest’ambito sono, per di più, applicab<strong>il</strong>i anche<br />

in altri campi della produzione energetica.<br />

Da anni, in Italia, s’è anche sv<strong>il</strong>uppata la progettazione<br />

di piccoli impianti pressurizzati, oggi<br />

all’attenzione da parte dell’iniziativa «Global<br />

Nuclear Energy Partnership» (alla quale l’Italia<br />

partecipa); una via aperta sulla quale è opportuno<br />

e proficuo continuare. In queste importanti<br />

realtà si possono trovare le soluzioni alla<br />

dipendenza energetica del nostro Paese e la<br />

possib<strong>il</strong>ità di giocare un ruolo importante nello<br />

scenario futuro del nucleare di fissione eco sostenib<strong>il</strong>e.<br />

Fruendo di quanto è sopravvissuto, è<br />

anche possib<strong>il</strong>e pensare ad un r<strong>il</strong>ancio dell’industria<br />

nucleare italiana, con tutte le importanti<br />

ricadute occupazionali che ne deriverebbero.<br />

L’ipotesi strategica per un «piano di rinascita»<br />

fondata su queste realtà, concrete e<br />

disponib<strong>il</strong>i, può essere così riassunta.<br />

Note ragioni hanno provocato la perdita della<br />

competitività tecnologica dell’industria italiana<br />

per gli attuali prodotti del mercato nucleare. È<br />

tuttavia possib<strong>il</strong>e disegnare un efficace piano<br />

di rientro, approfittando del fatto che l’industria<br />

internazionale tende ad offrire sistemi certa-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il Nucleare di IV generazione<br />

di Luigi De Vecchis<br />

55<br />

mente ben verificati ma con scarso grado d’innovazione.<br />

È necessario, per questo, impegnarsi<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo di soluzioni innovative.<br />

Per non perdere altro tempo e cogliere l’opportunità<br />

offerta dalla crescente richiesta di<br />

nucleare nel mondo e r<strong>il</strong>anciare l’industria nucleare<br />

italiana, si devono concentrare le risorse<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo delle nuove tecnologie.<br />

La comunità internazionale ha attivato da tempo<br />

un processo di selezione per individuare le<br />

linee di progetto più promettenti per <strong>il</strong> nuovo<br />

nucleare di fissione che soddisfano tutte le<br />

esigenze di sicurezza, compatib<strong>il</strong>ità ambientale<br />

e sostenib<strong>il</strong>ità tecnologica ormai ben stab<strong>il</strong>ite<br />

negli ultimi quarant’anni d’esercizio delle<br />

grandi centrali di produzione d’energia. S’è a<br />

tal fine costituito, nel 2001, un forum («Generation<br />

IV»-The Generation IV International Forum<br />

- GIF) che ha selezionato, tra oltre cento<br />

proposte, sei «f<strong>il</strong>iere», definite appunto «di<br />

quarta generazione», oggetto, in tutto <strong>il</strong> mondo,<br />

d’attività di Ricerca e Sv<strong>il</strong>uppo. L’Italia<br />

compartecipa a quest’iniziativa come membro<br />

Euratom. Un quadro di sintesi dello stato di<br />

questa iniziativa è descritto nell’Allegato 1.<br />

In ambito GIF, <strong>il</strong> ruolo italiano è d’eccellenza<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo del reattore raffreddato a piombo<br />

(identificato come ELSY - European Leadcooled<br />

SYstem) che promette per <strong>il</strong> sistema<br />

Italia una posizione di assoluto r<strong>il</strong>ievo. Le innovative<br />

soluzioni tecniche individuate per <strong>il</strong><br />

progetto ELSY si stanno dimostrando molto interessanti<br />

anche per altri progetti sul nucleare<br />

di fissione, quali ESFR (appartenente a GIF),<br />

IP-EUROTRANS (progetto europeo per la trasmutazione).<br />

Il contributo della parte italiana in Euratom (1),


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

nell’ambito di Generation IV è massimamente<br />

concentrato sul progetto di un reattore europeo<br />

raffreddato a piombo: lo European Leadcooled<br />

SYstem (ELSY).<br />

Le caratteristiche di base del progetto ELSY<br />

sono (2):<br />

1. L’ut<strong>il</strong>izzo del Piombo fuso come liquido di<br />

raffreddamento: un fluido che, al contrario del<br />

Sodio, non reagisce con l’acqua né con l’aria.<br />

Ciò costituisce un notevole passo avanti in<br />

Legenda per gli acronimi più ut<strong>il</strong>izzati<br />

ANL Argonne National Laboratory – USA<br />

APAT Agenzia per la Protezione dell'Ambiente<br />

e per i Servizi Tecnici<br />

CP-ESFR Collaborative Project of European<br />

Sodium Fast Reactor<br />

CIRTEN Consorzio Interuniversitario per la<br />

Ricerca TEcnologica Nucleare<br />

DOE Department Of Energy – USA<br />

ELSY European Lead-cooled System<br />

ENEA Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e<br />

l'Ambiente<br />

FA Framework Agreement<br />

GEVACO GEneratore di VApore Compatto<br />

GFR Gas-Cooled Fast Reactor System<br />

GIF Generation IV International Forum<br />

GNEP Global Nuclear Energy Partnership<br />

IRIS International Reactor Innovative and<br />

Secure<br />

IP-EUROTRANS Integrated Project - EUROpean<br />

Research Programme for the<br />

TRANSmutation of High Level Nuclear<br />

Waste in an Accelerator Driven System<br />

LLNL Lawrence Livermore National Laboratori<br />

LFR Lead-Cooled Fast Reactor System<br />

JRC Joint Research Centre – Euratom<br />

MSR Molten Salt Reactor System<br />

NRC Nuclear Regolatory Commission – USA<br />

SA System Arrangement .<br />

SCWR SuperCritical Water-Cooled Reactor<br />

System<br />

SFR Sodium-Cooled Fast Reactor System<br />

SSTAR Small Secure Transportable Autonomous<br />

Reactor<br />

SUNRISE Southeast UNiversities Reactors Institute<br />

for Science and Education<br />

VHTR Very-High-Temperature Reactor System<br />

TPP Technology P<strong>il</strong>ot Plant<br />

56<br />

e c o n o m i a<br />

termini di sicurezza e quindi anche un’enorme<br />

semplificazione dal punto di vista impiantistico.<br />

2. Una soluzione originale per i circuiti per lo<br />

scambio di calore, che consente, a parità di<br />

potenza, una sostanziale riduzione dei volumi.<br />

3. Un disegno di grande semplicità e modularità<br />

del reattore e, quindi, una riduzione dei<br />

costi costruttivi e gestionali.<br />

4. Un reattore capace di riciclare e bruciare la<br />

maggior parte delle scorie responsab<strong>il</strong>i della<br />

radioattività nel lungo termine.<br />

Il risultato tecnico sin qui ottenuto (3) è stato<br />

tale da assicurare non solo <strong>il</strong> sostegno in ambito<br />

comunitario, ma, di recente, anche l’impegno<br />

da parte del DOE (Department Of Energy<br />

- USA) a sottoscrivere (con Euratom) un accordo<br />

di sv<strong>il</strong>uppo della tecnologia per i reattori<br />

raffreddati a piombo (4) e la Russia.<br />

Il generatore di vapore proposto per ELSY può<br />

essere applicato con profitto anche ad altri<br />

contesti, ed in particolare al solare termodinamico,<br />

offrendo così l’opportunità per un interessante<br />

spin-of della nuova tecnologia. La soluzione<br />

proposta si verifica essere molto conveniente<br />

(5); dato l’elevato livello d’innovazione<br />

è anche opportuno effettuare un’estensiva<br />

campagna sperimentale di conferma, come<br />

già indicato nell’idea progettuale «GEVACO»<br />

proposta per « Industria 2015».<br />

La presenza italiana in Euratom ha consentito<br />

un’intensa partecipazione di quanto di «nucleare»<br />

è sopravvissuto nel nostro Paese alle<br />

attività di «Generation IV»: la frontiera più<br />

avanzata per <strong>il</strong> nucleare ecologicamente compatib<strong>il</strong>e;<br />

inevitab<strong>il</strong>e soluzione nei prossimi scenari<br />

per l’approvvigionamento energetico. Il<br />

successo di tale partecipazione è stato davvero<br />

eclatante. Il progetto più innovativo e promettente<br />

(che sta influenzando le strategie di<br />

numerosi Paesi, quali Stati Uniti, Giappone,<br />

Russia e Svizzera) è di matrice italiana: ELSY.<br />

Le soluzioni tecniche individuate si dimostra-


e c o n o m i a<br />

no di grande interesse anche in altre applicazioni,<br />

sia nel nucleare (IRIS, IP-EURO-<br />

TRANS, ESFR) che nel solare termico (GE-<br />

VACO). È dunque evidente l’opportunità di focalizzare<br />

gli interessi e le risorse disponib<strong>il</strong>i<br />

per <strong>il</strong> rientro dell’Italia nelle prossime attività di<br />

produzione energetica pulita sullo schema già<br />

così apprezzato ed attivo in sede internazionale:<br />

ELSY. Tenendo anche in conto tutti gli<br />

importanti «effetti collaterali» derivati da tale<br />

progetto.<br />

Si pone in evidenza una nuova linea produttiva:<br />

* Per un programma di breve - medio termine<br />

<strong>il</strong> reattore ELSY. Raffreddato a piombo<br />

fuso, esso può essere pronto per <strong>il</strong> mercato<br />

entro circa 6 anni. Può essere considerato<br />

la soluzione a grande diffusione (per semplicità<br />

costruttiva, per taglia e per sicurezza<br />

intrinseca) nei prossimi cinquant’anni.<br />

* Per un programma di lungo termine l’aumento<br />

della potenza<br />

Nell’Allegato 2 è indicato per grandi linee un<br />

possib<strong>il</strong>e programma d’attività da sv<strong>il</strong>uppare<br />

nell’ambito delle collaborazioni internazionali<br />

già in essere. Altre collaborazioni, invece, dovranno<br />

essere attivate, con i seguenti obiettivi:<br />

* Progetto e costruzione del primo impianto<br />

di 300 MWE raffreddato a piombo e poi<br />

passare a 600 MWE<br />

* L’attivazione, nel 2008, da modo di certificare<br />

la costruzione del primo impianto industriale<br />

e la successiva produzione industriale<br />

in serie d’impianti, a partire dal 2014. È<br />

già stato costruito un primo reattore p<strong>il</strong>ota<br />

che alla data attuale, 28 maggio 2008, già<br />

lavora da più di 6000 ore<br />

* Sv<strong>il</strong>uppo e progetto di un circuito termoidraulico<br />

dedicato al solare termico.<br />

Si vuole osservare che in Italia esistono ancora<br />

(nonostante l’effetto devastante prodotto<br />

dallo stop al nucleare) varie organizzazioni<br />

(Allegato 2) che hanno esperienza in questi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

57<br />

settori di alta tecnologia e che, se opportunamente<br />

potenziate, possono garantire la rinascita<br />

del sistema Italia nel nucleare.<br />

Allegato 1<br />

Stato degli accordi internazionali Generation<br />

IV<br />

Sette paesi hanno già firmato <strong>il</strong> Framework<br />

Agreement (FA) di Generation IV International<br />

Forum (GIF) e sono tuttora attivi:<br />

1. Euratom; 2. USA; 3. Francia; 4. Giappone;<br />

5. Republic of Korea; 6. Canada; 7. Svizzera.<br />

A questi, recentemente, si è aggiunta la Cina.<br />

In un prossimo futuro è attesa la firma del Framework<br />

Agreement anche da parte della Russia.<br />

Nella Tabella 1 sono riportati i sei sistemi nucleari<br />

selezionati:<br />

I Paesi impegnati nello sv<strong>il</strong>uppo di uno di questi<br />

sistemi hanno firmato un System Arrangement<br />

(SA).<br />

Generation IV Systems Acronimo<br />

Gas-Cooled Fast Reactor System GFR<br />

Lead-Cooled Fast Reactor System LFR<br />

Molten Salt Reactor System MSR<br />

Sodium-Cooled Fast Reactor System SFR<br />

Supercritical Water-Cooled Reactor System SCWR<br />

Very-High-Temperature Reactor System VHTR<br />

GFR SFR SCWR VHTR<br />

Euratom x x x x<br />

USA x x<br />

Francia x x x<br />

Giappone x x x x<br />

Canada x x<br />

Svizzera x x<br />

Rep. Di Korea x x<br />

Tabella 1<br />

Tabella 2


Fino ad oggi sono stati firmati quattro SA, relativi<br />

ai progetti: GFR, SFR, SCWR, SCWR.<br />

La Tabella 2 riporta quali SA sono stati sottoscritti<br />

dai diversi partecipanti a GIF.<br />

Da notare che:<br />

* Tutti i Paesi sono interessati al progetto<br />

VHTR, poiché tale reattore (nelle versioni a<br />

più bassa temperatura) è già stato costruito<br />

in varie unità e perchè è <strong>il</strong> più adatto per la<br />

produzione d’idrogeno (6).<br />

* Euratom sostiene tutti i sistemi, perché deve<br />

rappresentare i molteplici interessi nazionali<br />

europei.<br />

* Gli USA sostengono solo i progetti VHTR e<br />

SFR, e considerano quest’ultimo come<br />

«impianto strategico» per <strong>il</strong> futuro. Tuttavia,<br />

dopo gli ultimi sv<strong>il</strong>uppi del progetto ELSY,<br />

essi hanno manifestato l’interesse a sottoscrivere<br />

<strong>il</strong> System Arrangement di LFR.<br />

Con loro, anche Giappone e (probab<strong>il</strong>mente)<br />

Svizzera (7).<br />

* L’impegno italiano nello sv<strong>il</strong>uppo del progetto<br />

ELSY è determinante (8).<br />

Allegato 2<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Nonostante la devastazione provocata dallo<br />

stop al nucleare sul tessuto produttivo italiano,<br />

alcune realtà sopravvivono e, se ben finalizzate,<br />

possono costituire un’ottima base di r<strong>il</strong>ancio<br />

per <strong>il</strong> futuro.<br />

Forse non è inut<strong>il</strong>e ricordarne alcune.<br />

Principali organizzazioni italiane tuttora attive<br />

nel nucleare<br />

* Ansaldo Nucleare S.p.A. attiva nella progettazione<br />

e forniture per centrali nucleari e<br />

nel decommissioning & waste management.<br />

Ha recentemente ricevuto una commessa<br />

da Toshiba-Westinghouse per forniture<br />

nell’ambito della realizzazione del primo<br />

AP1000 (Gen III) in Cina.<br />

58<br />

e c o n o m i a<br />

* Ansaldo Camozzi è attiva nella realizzazione<br />

di grossi componenti per centrali nucleari<br />

e, in particolare, ha fornito i generatori<br />

di vapore della Centrale di Palo Verde, i<br />

più grandi mai costruiti.<br />

* CIRTEN è un consorzio universitario costituito<br />

da Politecnico di M<strong>il</strong>ano, Politecnico di<br />

Torino, Università di Padova, Palermo, Pisa<br />

and Roma «La Sapienza». Le Università Italiane<br />

sono ancora in grado di formare ingegneri<br />

nucleari di alto livello che in gran numero<br />

si trasferiscono a lavorare all’estero.<br />

* Del Fungo Giera Energia S.pA è una Società<br />

di recente costituzione attiva nel nuovo<br />

nucleare innovativo con ritmo di presentazioni<br />

di domande di brevetto di circa una<br />

ogni tre mesi.<br />

* ENEL è particolarmente attiva all’estero<br />

con acquisizione di importanti partecipazioni<br />

nucleari in Repubblica Slovacca, Spagna,<br />

Francia.<br />

* ENEA è attiva nella R&S sui reattori innovative<br />

ed i cicli del combustib<strong>il</strong>e avanzati.<br />

Svolge l’attività anche attraverso le società<br />

partecipate (SIET, Cesi Ricerca, Nucleco).<br />

Le istallazioni di prova SIET costituiscono<br />

un centro di eccellenza internazionale per<br />

prove in appoggio ai reattori raffreddati ad<br />

acqua.<br />

I laboratori di ENEA del Brasimone costituiscono<br />

un centro di eccellenza internazionale<br />

per prove in appoggio ai reattori raffreddati<br />

a piombo.<br />

* SOGIN è incaricata delle attività di decommissioning<br />

degli impianti nucleari italiani e<br />

del waste management.<br />

* SRS ha capacità, in campo nucleare, sia a<br />

livello progettuale che a livello di sv<strong>il</strong>uppo di<br />

sistemi e componenti innovativi.


e c o n o m i a<br />

Note<br />

(1) Le organizzazioni italiane che partecipano<br />

ad ELSY sono: Ansaldo Nucleare S.pA,<br />

CESI RICERCA, CIRTEN, Del Fungo Giera<br />

Energia S.p.A ed ENEA. La Del Fungo<br />

Giera Energia S.p.A. è <strong>il</strong> coordinatore tecnico<br />

(2) L. Cinotti - «Progress Reports of the LFR<br />

Euratom Co-ordination meeting on GEN<br />

IV»; Bruxelles: 6 December 2007.<br />

(3) EUROPEAN COMMISSION: Euratom Coordination<br />

meeting on GEN IV; P. FRIGO-<br />

LA - DG Joint Research Centre (JRC) -<br />

Bruxelles December 6th, 2007.<br />

(4) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />

costituiscono l’asse portante del progetto<br />

ELSY. La DFGE si trova ad essere l’industria<br />

leader in una delle poche tecnologie<br />

promosse in ambito Generation IV. I brevetti<br />

permettono anche importanti spin off,<br />

sia su altre f<strong>il</strong>iere nel campo nucleare, che<br />

nel solare termodinamico.<br />

(5) Un recente confronto fatto per l’impianto<br />

solare di Priolo tra la soluzione classica<br />

prevista da ENEL e la soluzione innovativa<br />

proposta da Del Fungo Giera Energia<br />

S.p.A. indica la possib<strong>il</strong>ità di ridurre la<br />

quantità di acciaio da 40 tonnellate a 4 tonnellate.<br />

(6) L’interesse per <strong>il</strong> VHTR è tuttavia discutib<strong>il</strong>e,<br />

perché <strong>il</strong> sistema è molto costoso e non<br />

risolve <strong>il</strong> problema delle scorie.<br />

(7) Record of the 22nd Meeting of the Policy<br />

Group of the Generation IV International<br />

Forum; Gyeongju, Republic of Korea, 29-<br />

30 November 2007.<br />

(8) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />

sono l’asse portante del progetto ELSY. Tali<br />

brevetti coprono le parti più importanti<br />

dell’impianto, in particolare i progetti: a)<br />

dell’elemento combustib<strong>il</strong>e: b) del sistema<br />

primario: c) dei generatori di vapore: d) dei<br />

sistemi di movimentazione del combustib<strong>il</strong>e<br />

fresco e di quello esaurito: e) dei sistemi<br />

di evacuazione del calore dal primario e<br />

dall’elemento combustib<strong>il</strong>e durante la movimentazione.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

59<br />

AVANTI MARCH!<br />

Cronache fam<strong>il</strong>iari dal Ventennio<br />

Autore: Mario Scaffidi Abbate<br />

Pagine: 332<br />

Prima Edizione: Primavera 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

“C’è chi dice che <strong>il</strong> passato va ricordato solo per costruire<br />

<strong>il</strong> futuro, non per una resa dei conti, che comporterebbe<br />

nuovi odi e nuove lacrime, dividendo ancora di più gl’Italiani,<br />

altri invece osservano che se non si fanno una<br />

buona volta i conti è diffic<strong>il</strong>e che le cose possano cambiare,<br />

che è meglio che tutte le verità e tutte le obiezioni<br />

vengano allo scoperto, non per avv<strong>il</strong>ire grandi tragedie<br />

del passato, innestandole nella politica odierna, ma per<br />

ricordarle senza reticenze ipocrite”.<br />

Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia nel 1926. Docente<br />

di letteratura italiana e accademico tiberino, ha collaborato<br />

a diversi programmi della RAI in particolare con<br />

sceneggiati di carattere storico e linguistico di grande<br />

successo. Ha ricevuto in Campidoglio <strong>il</strong> Premio Nazionale<br />

Excelsior e <strong>il</strong> Premio Nazionale Roma Alma Mater e nel<br />

1994 è stato chiamato a far parte del “Comitato Ministeriale<br />

per la salvaguardia della lingua italiana”. Attualmente<br />

dirige <strong>il</strong> periodico CULTURA organo ufficiale dell’Istituto<br />

Europeo per le Politiche Culturali e Ambientali, di cui è Vicepresidente.<br />

Accanto a molte opere originali - fra cui La<br />

Virtù, Caos, La scuola di Babele, Il mitico numero 7, Il<br />

mondo dello yoga, L’Italia dei Caffè (di cui recentemente<br />

è andato in onda un suo breve sceneggiato su Rai 1) -<br />

ha pubblicato, con la Newton Compton, numerose e apprezzate<br />

traduzioni di testi latini e greci - fra cui Tutte le<br />

opere di Orazio, l’Eneide, Le commedie di Terenzio i Dialoghi<br />

di Seneca, alcune delle Vite parallele di Plutarco, oltre<br />

ai Consigli per i politici e L’arte di saper ascoltare.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Concluso l’adempimento degli obblighi previsti<br />

dalla legge italiana con la cessione delle Gen-<br />

Co (società di produzione cedute in ottemperanza<br />

al Decreto 79/99) e di Terna (società che<br />

gestisce la rete di trasmissione nazionale), e<br />

forte di una posizione finanziaria particolarmente<br />

solida, anche a seguito della focalizzazione<br />

sul core business e la conseguente cessione<br />

di Wind, negli ultimi anni Enel si è concentrata<br />

sulla strategia di internazionalizzazione<br />

attraverso numerose acquisizioni all’estero,<br />

in particolare Est Europa, Russia e Spagna.<br />

Nel febbraio 2005 Enel ha acquistato <strong>il</strong> 66%<br />

della società elettrica Slovenské Elektrárne<br />

(SE), <strong>il</strong> maggior produttore di energia elettrica<br />

della Slovacchia ed <strong>il</strong> secondo dell’Europa<br />

Centro-orientale, con una capacità di 7.000<br />

megawatt. Ad apr<strong>il</strong>e dello stesso anno sono<br />

state acquisite anche le società di distribuzione<br />

Electrica Banat ed Electrica Dobrogea che insieme<br />

rappresentano quasi <strong>il</strong> 20% del mercato<br />

elettrico della Romania con oltre 1 m<strong>il</strong>ione e<br />

400 m<strong>il</strong>a clienti.<br />

Nel 2006, Enel si è aggiudicata la gara per la<br />

rete elettrica di Bucharest, confermandosi come<br />

operatore leader in Romania ed ha rafforzato<br />

anche la propria presenza in Bulgaria,<br />

consolidando <strong>il</strong> controllo di una importante centrale<br />

a lignite.<br />

Nel 2007, Enel è entrata nell’upstream del gas<br />

naturale in Russia attraverso una joint venture<br />

con Eni per lo sv<strong>il</strong>uppo e l’estrazione di gas in<br />

Siberia.<br />

Nello stesso anno, ha acquisito una partecipazione<br />

r<strong>il</strong>evante in OGK-5, prima società di generazione<br />

russa ad essere privatizzata, che<br />

dispone di circa 8.700 MW b<strong>il</strong>anciati tra gas e<br />

carbone.<br />

Sempre nel 2007, Enel, dopo aver bloccato <strong>il</strong><br />

60<br />

e c o n o m i a<br />

Enel:<br />

una multinazionale italiana dell’energia<br />

di Alessandro Luciano<br />

tentativo di scalata da parte di E.On su Endesa,<br />

lancia, insieme al socio spagnolo Acciona,<br />

un’OPA sulla prima società iberica, conclusasi<br />

con <strong>il</strong> raggiungimento del controllo congiunto di<br />

Endesa. Oltre a r<strong>il</strong>evanti asset in Spagna nella<br />

generazione, distribuzione e vendita di energia<br />

elettrica (14.000 MW e 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti), Endesa<br />

vanta una presenza importante in America<br />

Latina con circa 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti e 10.000<br />

MW.<br />

Nel 2008, infine, a valle dell’OPA residuale su<br />

OGK-5, Enel si è assicurata <strong>il</strong> controllo della<br />

società ed è <strong>il</strong> primo investitore straniero verticalmente<br />

integrato in Russia nel settore<br />

energia.<br />

Con questa importante serie di acquisizioni<br />

Enel ha consolidato <strong>il</strong> suo posizionamento nel<br />

panorama europeo come secondo operatore<br />

integrato in paesi caratterizzati da un’elevata<br />

crescita economica, con particolare r<strong>il</strong>evanza<br />

in Est Europa ed, in prospettiva, nel Mediterraneo.<br />

In tale bacino Enel punta a stab<strong>il</strong>ire delle im


e c o n o m i a<br />

portanti relazioni industriali contando sulla vocazione<br />

dell’Italia ad essere, per sua stessa<br />

conformazione geografica, un «ponte» verso<br />

l’Europa.<br />

La politica industriale di Enel mira a costituire<br />

delle partnership solide e durature con i Paesi<br />

del Mediterraneo, che con la crescita dei grandi<br />

colossi asiatici ha ritrovato una grande centralità<br />

come crocevia degli scambi commerciali<br />

con l’Oriente.<br />

Enel, che da azienda a forte caratterizzazione<br />

nazionale è mutata in vera e propria multinazionale<br />

dell’energia, punta ora ad accedere direttamente<br />

alle fonti energetiche primarie, i<br />

combustib<strong>il</strong>i per le proprie centrali, e ad integrarsi<br />

verticalmente per poter competere su<br />

scala globale.<br />

In tale ottica, l’Est Europa ed <strong>il</strong> Mediterraneo rivestono<br />

un ruolo strategico. Basti pensare che<br />

la quasi totalità delle importazioni di gas naturale<br />

dell’Italia provengono dalla Russia, attraversando<br />

molti paesi dell’ex-blocco sovietico e<br />

dei Balcani, e dall’Algeria, attraverso <strong>il</strong> gasdotto<br />

sottomarino Transmed.<br />

In questi paesi Enel ha già stretto relazioni industriali<br />

con i giganti dell’energia Gazprom e<br />

Sonatrach. Oltre al già citato ingresso nell’upstream<br />

del gas in Russia attraverso la partecipazione,<br />

in joint venture con Eni, all’asta per gli<br />

asset dell’ex-gigante russo degli idrocarburi<br />

Yukos, Enel sta sv<strong>il</strong>uppando in partnership con<br />

Sonatrach e con altri investitori italiani ed esteri<br />

<strong>il</strong> progetto Galsi (acronimo di Gasdotto Algeria<br />

Sardegna Italia): la realizzazione di una pipeline<br />

lunga 900 ch<strong>il</strong>ometri che collegherà l’Italia<br />

con l’Algeria attraversando la Sardegna,<br />

con un investimento previsto dell’ordine di 2<br />

m<strong>il</strong>iardi di euro. Questo progetto fornisce un<br />

importante contributo ad aumentare la sicurezza<br />

e la flessib<strong>il</strong>ità del sistema di approvvigionamento<br />

di gas naturale dell’Italia che registra un<br />

forte aumento della domanda ed una esposizione<br />

sempre più sb<strong>il</strong>anciata verso l’Est Europa.<br />

L’intesa raggiunta costituisce un ulteriore<br />

passo nella strategia di Enel volta a crescere<br />

nell’intera f<strong>il</strong>iera del gas e consolida la partnership<br />

con <strong>il</strong> colosso algerino Sonatrach.<br />

Le partnership industriali con Paesi tipicamen-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

61<br />

te produttori di combustib<strong>il</strong>i foss<strong>il</strong>i (gas, petrolio)<br />

sono un fattore chiave per diversificare <strong>il</strong> rischio<br />

geopolitico di approvvigionamento delle<br />

fonti di energia primaria quali gas e petrolio e<br />

per poter realizzare congiuntamente le infrastrutture<br />

energetiche locali e di interconnessione<br />

con <strong>il</strong> continente europeo.<br />

Particolare attenzione, inoltre, viene data da<br />

Enel al trasferimento di tecnologie innovative e<br />

sostenib<strong>il</strong>i in paesi caratterizzati da elevatissimi<br />

tassi di crescita.<br />

La politica industriale di<br />

Enel mira a costituire<br />

delle partnership solide e<br />

durature con i Paesi del<br />

Mediterraneo, che con la<br />

crescita dei grandi colossi<br />

asiatici ha ritrovato una<br />

grande centralità come<br />

crocevia degli scambi<br />

commerciali con l’Oriente.<br />

Oltre che impegnarsi sul fronte della lotta al<br />

cambiamento climatico nei paesi in cui è già<br />

presente, Enel mira a estendere e rendere disponib<strong>il</strong>i<br />

le sue migliori tecnologie amiche dell’ambiente<br />

per limitare l’impatto che <strong>il</strong> repentino<br />

sv<strong>il</strong>uppo dei paesi dell’area Mediterranea e del<br />

Medio Oriente potrebbe avere a livello globale<br />

in un’ottica di contenimento complessivo dei<br />

gas serra.<br />

Tra le principali aree di azione: le rinnovab<strong>il</strong>i, in<br />

particolare <strong>il</strong> solare termodinamico con <strong>il</strong> progetto<br />

«Archimede», fonte di estremo interesse<br />

per i paesi del Nord Africa; l’eolico, <strong>il</strong> carbone<br />

pulito e le strategie di cattura e sequestro della<br />

CO2; <strong>il</strong> contatore elettronico telegestito e teleletto,<br />

come tecnologia d’avanguardia per la gestione<br />

efficiente del carico delle reti elettriche di<br />

trasporto e distribuzione.<br />

Su questi ed altri temi, Enel ha siglato un Me


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

morandum of Undestanding con l’agenzia governativa<br />

Saudi Arabian General Investment Authority<br />

(Sagia) con l’obiettivo di sv<strong>il</strong>uppare <strong>il</strong> programma<br />

denominato «Economic cities». Un piano<br />

che prevede la costruzione di sei nuove città<br />

in aree periferiche con l’obiettivo di riequ<strong>il</strong>ibrare<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo economico del Regno Saudita. Al<br />

tempo stesso, è una delle più grandi iniziative<br />

mai tentate di crescita urbanistica, sociale ed<br />

economica strategicamente pianificata con l’adozione<br />

delle soluzioni più avanzate e competitive<br />

in ogni campo: dall’ed<strong>il</strong>izia, ai trasporti, all’energia.<br />

Le sei nuove città «sostenib<strong>il</strong>i» saranno<br />

dotate delle più moderne tecnologie «verdi» e di<br />

reti e servizi energetici all’avanguardia.<br />

Enel è stata individuata come partner di eccellenza<br />

per questo ambizioso progetto, grazie al<br />

suo riconosciuto know how e alla sua capacità<br />

di innovazione nel settore dell’energia elettrica.<br />

L’accordo raggiunto costituisce per Enel e per<br />

l’Italia una importante occasione per rafforzare<br />

la collaborazione con uno dei Paesi chiave per<br />

<strong>il</strong> futuro energetico del pianeta.<br />

Una terza linea di azione di Enel per i Paesi<br />

dell’Est Europa e del Mediterraneo è rappresentata<br />

dall’investimento diretto in queste aree<br />

per poter superare alcune barriere del «non fare»<br />

in Italia trainando le imprese italiane sue<br />

fornitrici e non verso l’estero. Sempre più investitori<br />

internazionali guardano con interesse<br />

i paesi del bacino come interessanti opportunità<br />

di investimento per la realizzazione di<br />

quelle infrastrutture che, per impatti ambientali<br />

reali o presunti o per complicazioni autorizzative<br />

e burocratiche, diventano sempre più<br />

una «corsa ad ostacoli» nei rispettivi paesi di<br />

appartenenza.<br />

La realizzazione diretta di siti produttivi in aree<br />

limitrofe e l’importazione di quota parte della<br />

produzione attraverso infrastrutture di interconnessione<br />

è un’alternativa interessante che offre<br />

maggiori certezze nella realizzazione degli<br />

impianti di generazione elettrica. Il costo delle<br />

infrastrutture di interconnessione non rappresenta,<br />

nella maggior parte dei casi, un aggravio<br />

aggiuntivo rispetto ai costi dei ritardi nella<br />

realizzazione degli impianti.<br />

In tale direzione, Enel è stata selezionata in<br />

62<br />

e c o n o m i a<br />

Grecia come miglior offerente per la realizzazione<br />

di una centrale a ciclo combinato ad alta<br />

efficienza ed ha acquisito anche 200 MW di<br />

impianti eolici.<br />

In Albania, Enel ha siglato un Memorandum of<br />

Understanding con <strong>il</strong> Ministero dell’Economia<br />

locale per lo sv<strong>il</strong>uppo di una centrale a carbone<br />

pulito da 800 MW, dotata delle migliori tecnologie<br />

ambientali, e la realizzazione di una interconnessione<br />

che consentirà di importare<br />

una quota r<strong>il</strong>evante della produzione in Italia. In<br />

Romania è stato avviato lo sv<strong>il</strong>uppo di nuova<br />

capacità di produzione, per la realizzazione di<br />

nuove centrali a carbone pulito.<br />

Infine, Enel punta a «fare sistema» con le imprese<br />

nazionali per supportare la loro internazionalizzazione<br />

nel settore dell’energia.<br />

Il tessuto industriale italiano, caratterizzato<br />

principalmente da Piccole e Medie Imprese<br />

può beneficiare dell’espansione estera dei<br />

grandi gruppi nazionali stab<strong>il</strong>endo accordi per <strong>il</strong><br />

supporto e la collaborazione nelle aree di presenza<br />

estera.<br />

In tal senso, Enel ed ANIE, l’associazione dei costruttori<br />

elettrici aderente a Confindustria, hanno<br />

sv<strong>il</strong>uppato progetti per la reciproca promozione<br />

nei mercati esteri, lo scambio di informazioni e<br />

dati finalizzati ad una migliore conoscenza dei<br />

mercati di comune interesse e la ricerca ed identificazione<br />

di soluzioni che garantiscano l’ottimizzazione<br />

delle infrastrutture elettriche.<br />

Infine, un supporto essenziale, soprattutto in<br />

settori con alto valore strategico, come quello<br />

dell’energia, dovrà venire dalla politica e dalle<br />

Istituzioni nazionali al fine di stab<strong>il</strong>ire relazioni<br />

di lungo periodo con i Paesi dell’Est Europa e<br />

del bacino del Mediterraneo e per preparare <strong>il</strong><br />

campo per l’azione delle imprese nazionali.


storia<br />

Nel 1949, la Cina di Mao Zedong ritiene come<br />

suoi obiettivi primari per la sicurezza nazionale<br />

<strong>il</strong> controllo diretto della Mongolia, dello Xinjiang<br />

e del Tibet. Nel novembre del 1949, l’anno<br />

stesso in cui <strong>il</strong> Partito Comunista Cinese consolida<br />

la sua vittoria sul Kuomintang di Chiang<br />

Kaishek, le FF.AA, penetrano nel Tibet settentrionale.<br />

Una delegazione del Tibet, nel maggio<br />

1951 (1), si reca a Pechino per siglare un trattato<br />

di pace e di autonomia per <strong>il</strong> territorio tibetano,<br />

i «17 punti» che i cinesi non onorano.<br />

Con le dimostrazioni del 1959, che vengono represse<br />

dalle FF.AA. cinesi in un bagno di sangue,<br />

si arriva ad una accettazione di fatto, da<br />

parte delle amministrazioni USA, della sovranità<br />

cinese sul territorio tibetano con una correlata<br />

richiesta di maggiore attenzione ai diritti<br />

umani della maggioranza-minoranza tibetana<br />

da parte delle autorità di Pechino. Una quadratura<br />

del cerchio.<br />

Ma la logica della presenza cinese in Tibet riguarda<br />

<strong>il</strong> concetto strategico e geopolitica di<br />

«Grande Cina», che diviene un criterio comune<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Tibet:<br />

anello centrale della «grande Cina»<br />

di Marco Giaconi<br />

65<br />

nel dibattito tra i Decisori del PCC. Per «Grande<br />

Cina», come si evince in una carta geografica<br />

edita dagli USA nel 1944, si intende l’area<br />

tradizionale dell’»Impero di Mezzo» con l’aggiunta<br />

della Mongolia Esterna, della Manciuria,<br />

dello Xinjiang e del Tibet, appunto (2). Una nota<br />

del governo cinese nel maggio 1950 identifica<br />

i confini montuosi della «Grande Cina» con<br />

la catena dell’Himalaya, le montagne del<br />

Tianshan e la catena dei monti Shikote Akin.<br />

Dagli anni ‘70 in poi, la «Grande Cina» è un<br />

concetto che riguarda, per i Decisori cinesi,<br />

una stretta comunione di intenti, soprattutto<br />

economici, tra Hong Kong, Taiwan e la madrepatria.<br />

Ma, per la classe dirigente cinese, l’economia<br />

è l’antefatto della geopolitica.<br />

Per alcuni teorici cinesi contemporanei, la<br />

«Grande Cina» è <strong>il</strong> raggiungimento della massa<br />

critica territoriale che permette la massima<br />

elasticità e <strong>il</strong> migliore sv<strong>il</strong>uppo dell’economia di<br />

Pechino, e altri ritengono che la «Grande Cina»<br />

debba divenire, con l’entrata di Singapore<br />

in questo network, l’asse di un «mercato comune<br />

cinese» che elimina barriere tariffarie e<br />

permette la libera mob<strong>il</strong>ità della forza-lavoro e<br />

dei capitali all’interno di questo nuovo asse<br />

strategico e geoeconomico. E <strong>il</strong> Tibet è essenziale<br />

a questo processo, oltre ad essere <strong>il</strong> punto<br />

di snodo strategico del controllo da parte<br />

della Cina della penisola indiana e dell’area<br />

centroasiatica dello SCO, Shangai Cooperation<br />

Organization. D’altro canto, l’integrazione<br />

del Tibet e degli altri territori-cuscinetto nella<br />

«Grande Cina» permette una operazione culturale<br />

e identitaria della attuale dirigenza di Pechino:<br />

la costruzione di uno spazio «di comune<br />

civ<strong>il</strong>tà cinese» caratterizzato da una cultura<br />

«pan-cinese», un modello di soft power molto<br />

sim<strong>il</strong>e alle tentazioni panturaniche turche nell’Asia<br />

Centrale, fino appunto allo Xinkiang (3).


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ma che cosa percepisce come minaccia, oggi,<br />

l’élite cinese? È questo quello che dobbiamo<br />

definire per capire cosa sta accadendo e soprattutto<br />

cosa accadrà in futuro in Tibet. Per alcuni<br />

dirigenti cinesi, la sicurezza strategica di<br />

Pechino riguarda «aree vicine al confine cinese,<br />

e non ci sono al momento pericoli credib<strong>il</strong>i di<br />

invasione del territorio nazionale, ma le altre<br />

potenze globali hanno situazioni ai confini maggiormente<br />

sicure, mentre Pechino analizza situazioni<br />

di instab<strong>il</strong>ità nel Kashmir, in Afghanistan,<br />

nella penisola coreana e nel Mar Cinese<br />

meridionale, oltre che negli Stretti di Taiwan, e<br />

tutte queste zone di instab<strong>il</strong>ità fortemente ifluiscono<br />

sulla percezione della sicurezza strategica<br />

del PCC» (4). Quindi <strong>il</strong> Tibet è essenziale per<br />

Pechino: da esso si controllano le evoluzioni (o<br />

le criticità) dell’Afghanistan e si gestisce la continuità<br />

di controllo strategico verso <strong>il</strong> Kashmir e<br />

l’area himalayana della «Grande Cina».<br />

L’India, per la Cina contemporanea, è un problema.<br />

Nel 1954 lo scambio commerciale tra i<br />

due paesi fu sospeso a causa delle tensioni<br />

confinarie, che anche allora riguardavano <strong>il</strong> Tibet.<br />

L’India, percepita dal PCC come «inferiore»<br />

nel processo di sv<strong>il</strong>uppo e globalizzazione<br />

successivo alla guerra fredda, potrebbe divenire<br />

<strong>il</strong> referente strategico del Tibet autonomo, ed<br />

è questo che turba i sonni dell’élite comunista<br />

di Pechino. Fra l’altro, negli anni più recenti l’India<br />

si è rivelata un forte competitore della Cina<br />

È nel Tibet che si<br />

incontrano, fin dalle<br />

prime fasi della Cina<br />

maoista, tutte le vie<br />

terrestri di controllo e<br />

gestione della proiezione<br />

cinese di potenza sulla<br />

massa eurasiatica<br />

maggiore.<br />

66<br />

storia<br />

per <strong>il</strong> petrolio e <strong>il</strong> gas naturale in Angola, in Sudan,<br />

in Ecuador, in Nigeria e nel Kazakhistan.<br />

Ma la collaborazione in questo settore ha portato,<br />

nel 2005, all’acquisizione dei campi petroliferi<br />

siriani detenuti da PetroCanada, ma l’aumento<br />

dei prezzi degli idrocarburi e la possib<strong>il</strong>ità<br />

per la CFina di essere messa fuori da alcuni<br />

mercati petroliferi da parte dell’India è un<br />

punto critico per la prosecuzione dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico impetuoso di Pechino in questi anni.<br />

La competizione tra Cina e India perviene<br />

inoltre alla suddivisione attuale delle due aree<br />

di influenza: la Cina proietta la sua global strategy<br />

nell’Asia Meridionale, mentre l’India sta<br />

programmando una sua penetrazione stab<strong>il</strong>e<br />

nell’Asia Orientale (5).<br />

La strategia della «collana di perle» che la Cina<br />

intende sv<strong>il</strong>uppare intorno a sé, dall’isola di<br />

Hainan a Woody Island, da Chittagong a Sitwe,<br />

nel Myanmar, da Gwadar nel Pakistan agli<br />

stretti di Malacca, fino al Golfo Persico, la Cina<br />

sta costruendo la securizzazione delle sue linee<br />

di comunicazione m<strong>il</strong>itari-civ<strong>il</strong>i e commerciali.<br />

Che hanno assoluto bisogno di essere del<br />

tutto «coperte sul piano terrestre, e <strong>il</strong> Tibet è<br />

l’asse del passaggio di queste linee di securizzazione<br />

terrestre della «Grande Cina» (6).<br />

Ed è nel Tibet che si incontrano, fin dalle prime<br />

fasi della Cina maoista, tutte le vie terrestri di<br />

controllo e gestione della proiezione cinese di<br />

potenza sulla massa eurasiatica maggiore.<br />

Dalla firma del trattato sino-indiano del 1954,<br />

iniziarono i lavori che portarono alla costruzione<br />

(terminata nel 1975) (7) di due strade che<br />

collegavano Lhasa alla Cina interna: la Sechuan-Tibet,<br />

che va dalla capitale del Chinai<br />

Chengtu, passa in tutte le aree orientali del Tibet<br />

prima di arrivare a Lhasa. La seconda Strada<br />

M<strong>il</strong>itare cinese, che da Sining arriva anch’essa<br />

fino a Lhasa. è stata completata da<br />

tempo la strada Yunnan-Tibet, e a Shigatse, in<br />

connessione/contrasto strategico con la equivalente<br />

base aerea indiana nel Ladakh, opera<br />

un comando interarma dell’Armata Popolare<br />

Cinese che gestisce tutta la rete avanzata di<br />

basi e di sensori cinesi nel sud e nel sudest<br />

dell’Himalaya, controllando quindi i confini del<br />

Bhutan, del Sikkim, del Nepal e del ladakh (8).


storia<br />

Vi sono poi notizie, mai confermate pubblicamente,<br />

secondo le quali la Cina, fin dai tempi<br />

degli scontri sull’Ussuri con l’URSS nel 1969,<br />

avrebbe trasferito le sue strutture nucleari dal<br />

poligono di Lop Nor, considerato troppo vicino<br />

all’URSS, verso località segrete del Tibet, <strong>il</strong> che<br />

sarebbe peraltro giustificato nel quadro della<br />

suaccennata strategia della «collana di perle»<br />

(9). Vi sono comunque stazioni radar evolute<br />

cinesi a Chuang Teng Tze (Mongolia interna)<br />

Nangheng Tagyori e Phutak Zolling (in Tibet) e<br />

una stazione di identificazione dei miss<strong>il</strong>i avversari<br />

nel «Tibet occidentale» (10). Quindi,<br />

per parafrasare la vecchia formula della geopolitica<br />

di Mackinder, «chi controlla <strong>il</strong> Tibet domina<br />

<strong>il</strong> territorio alla base della catena dell’Himalaya,<br />

chi domina la costa dell’Himalaya minaccia<br />

<strong>il</strong> subcontinente indiano, e chi minaccia<br />

<strong>il</strong> subcontinente indiano può fac<strong>il</strong>mente avere<br />

sotto controllo tutta l’Asia meridionale, e quindi<br />

tutta l’Asia»(11).<br />

Le FF.AA. cinesi in Tibet hanno sostanzialmente<br />

due funzioni: difendere i confini della Madrepatria<br />

e sopprimere ogni fermento indipendentista<br />

tibetano, che potrebbe richiamare interventi<br />

esterni e rendere porosa la sicurezza terrestre<br />

della Cina, producendo così la debolezza<br />

strutturale della proiezione di potenza cinese<br />

verso i mari regionali orientali e, di converso,<br />

una debolezza strutturale di Pechino verso<br />

<strong>il</strong> Giappone rendere conseguentemente diffic<strong>il</strong>e<br />

la futura riunione di Taiwan alla madrepatria.<br />

E inoltre, la Cina intende competere, fin dai<br />

tempi di Mao ZXedong, con l’India per gestire<br />

relazioni preferenziali con gli stati himalayani.<br />

E, di conseguenza, la Cina ha sempre favorito<br />

regimi nazionalisti autonomi nella buffer zone<br />

tra Tibet e India: le rivolte nel Sikkim, nel Kashmir,<br />

nel Nagaland, e nel supporto di Pechino al<br />

nazionalismo antindiano negli stati himalayani.<br />

In una situazione del genere, in cui l’India attuale<br />

si proietta nei mari meridionali verso occidente<br />

e evita di ut<strong>il</strong>izzare come mezzo di propaganda<br />

<strong>il</strong> suo modello induista-pluralista, <strong>il</strong><br />

maggior obiettivo delle numerose forze armate<br />

cinesi di stanza in Tibet è quello di sostenere lo<br />

sforzo diplomatico di Pechino nella regione<br />

dell’Himalaya, per isolare l’India e allargare la<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

67<br />

sicurezza della «Grande Cina». Quindi, pensare<br />

che la Cina r<strong>il</strong>asci la presa in Tibet, è del tutto<br />

irragionevole. Certamente, <strong>il</strong> danno di immagine<br />

per Pechino della persistenza e della radicalità<br />

della rivolta nazionalista tibetana è r<strong>il</strong>evante,<br />

qualunque sia <strong>il</strong> periodo di durata della<br />

repressione violenta dei moti tibetani. Ma Pechino<br />

non mollerà tanto fac<strong>il</strong>mente, e le pressioni<br />

dell’Occidente scivoleranno via come un<br />

tè verde dello Yunnan.<br />

Gli scenari successivi alla «pacificazione» tacitiana<br />

della rivolta in Tibet potranno essere, per<br />

la Cina, i seguenti: 0a) una nuova riedizione<br />

della «strategia del sorriso», preceduta da una<br />

stretta nei rapporti commerciali b<strong>il</strong>aterali con i<br />

Paesi che maggiormente hanno sostenuto la<br />

rivolta tibetana, b) una nuova selezione, da<br />

parte di Pechino, degli «amici» e dei «nemici».<br />

Il che comunque avrà per epicentro <strong>il</strong> controllo<br />

delle reti commerciali indiane, che probab<strong>il</strong>mente<br />

saranno penetrate da un capitale cinese,<br />

«grigio» o «bianco» particolarmente aggressivo,<br />

e tale da creare un rallentamento della<br />

crescita economica del subcontinente indiano.<br />

Una guerra commerciale coperta tra India e<br />

Cina, senza esclusione di colpi e che avrà come<br />

obiettivo i mercati euroamericani nei quali<br />

India e Cina perseguono strategia di penetrazione<br />

sim<strong>il</strong>i. Una terza opzione c) riguarda la<br />

possib<strong>il</strong>ità da parte della élite cinese, dopo la<br />

crisi tibetana, di aprire un nuovo meccanismo<br />

di rapporto tra centro e periferia della «Grande<br />

Cina», seguendo l’esempio del processo di liberalizzazione<br />

economica e di crescita ecce


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

zionale del PIl che riuscì a riassorbire la rivolta<br />

di Tienanmen del 1989.<br />

Una alternativa ulteriore è invece quella di una<br />

forte «rieducazione» al nazionalismo da parte<br />

del PCC verso la sua opinione pubblica e un<br />

conseguente depopolamento forzato, con le<br />

buone o le cattive, del Tibet come di altre aree<br />

particolarmente riottose della campagne, quelle<br />

che secondo Lin Biao dovevano «accerchiare<br />

le città del mondo». In ogni caso, la situazione<br />

tibetana ha dimostrato che l’ingenua equazione<br />

crescita economica=maggiore democratizzazione<br />

è una sciocchezza. Tanto maggiore sarà<br />

la crescita economica cinese nei prossimi anni,<br />

invece, tanto maggiore sarà la propaganda nazionalista,<br />

identitaria, di orgogliosa forza m<strong>il</strong>itare<br />

che Pechino mostrerà in futuro.<br />

Il «supplemento d’anima» per l’impetuoso sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico cinese non è la democrazia<br />

di massa, ma sarà certamente <strong>il</strong> ritorno dell’etica<br />

gerarchica e orgogliosamente han (e razzista)<br />

che ha caratterizzato <strong>il</strong> confucianesimo, e<br />

che infatti viene diffusa in forti dosi attraverso<br />

tutti i mass-media cinesi. E <strong>il</strong> correlato oggettivo<br />

del confucianesimo di Partito sarà <strong>il</strong> ritrovato<br />

orgoglio m<strong>il</strong>itare e nazionalistico. Se <strong>il</strong> Tibet<br />

sarà «risolto» da Pechino in tempo ut<strong>il</strong>e, certamente<br />

la durata di Taiwan come stato indipendente<br />

diminuisce.<br />

Soluzioni? Nessuna credib<strong>il</strong>e. Sia l’UE che gli<br />

USA sono legati a f<strong>il</strong>o doppio alla economia e<br />

alla finanza cinesi, e in una situazione come<br />

quella attuale, di recessione globale, nessuno<br />

si metterà contro Pechino. Per convincere la Cina,<br />

casomai, occorrerebbe una posizione avanzata<br />

NATO verso i confini terrestri di Pechino,<br />

con alleanze stab<strong>il</strong>i e affidab<strong>il</strong>i con i Paesi confinanti<br />

himalayani e non. Ma anche questa via è<br />

chiusa, la Shangai Cooperation Organization è<br />

ormai funzionante, dopo gli esercizi m<strong>il</strong>itari comuni<br />

dell’Estate 2007 (12), e gli stati interstiziali<br />

tra Cina e India sono diffic<strong>il</strong>mente gestib<strong>il</strong>i da<br />

un potere esterno a quel quadrante strategico,<br />

nel quale la Cina riattiverebbe in un attimo le attuali<br />

guerriglie «maoiste» come in Nepal o nel<br />

Kashmir. Ma <strong>il</strong> fallimento dell’umanitarismo democratico,<br />

che non salverà una sola vita tibetana,<br />

deve far pensare all’Europa e agli USA che,<br />

68<br />

come affermava Machiavelli, i profeti disarmati<br />

«ruinorno», mentre quelli armati «vinsono».<br />

Note<br />

storia<br />

1. Guangqiu Xu, The United States and the Tibet<br />

Issue, «Asian Survey», Vol. 37, n. 11, November<br />

1997<br />

2. U.S. Office for Strategic Service, Greater<br />

China, Washington D.C., da FOIA CIA<br />

3. David Yen-ho Wu, The construction of Chinese<br />

and Non-Chinese identities, in «Dedalus,<br />

vol. 120, n. 2, 1991<br />

4. Dong Fanxiao, Knowing and seeking change,<br />

in «Xiandai Guoji Guangxi» (Contemporary<br />

International Relations» n. 4, apr<strong>il</strong>e 2003<br />

5. Susan L. Craig, Chinese Perceptions of traditional<br />

and nontraditional security threats,<br />

Strategic Studies Institute, Carlisle Barracks,<br />

March 2007<br />

6. Intellibriefs, China’s «String of pearls» Strategy,<br />

1 Apr<strong>il</strong> 2007,<br />

www.intellibriefs/blogspot.com<br />

7. Radio Lhasa, 9 September 1975<br />

8. Dawa Norbu, Strategic development in Tibet,<br />

implications for its neighbours, «Asian Survey»,<br />

vol. 19, n. 3 Marzo 1979<br />

9. Le uniche voci sull’argomento furono raccolte<br />

dalla Tibetan Review, nel numero di Agosto-<br />

Settembre del 1969, pp.5-6.<br />

10. Per <strong>il</strong> report completo delle reti m<strong>il</strong>itari cinesi<br />

(dell’epoca) in Tibet, v. la Tibetan Review,<br />

Marzo 1974, pp-4-5.<br />

11. George Ginsborg e Michael Matho, Communist<br />

China and Tibet: The first dozen years,<br />

The hague, Nijoff, 1964.<br />

12. The Rising Dragon, SCO Peace Mission<br />

2007 Jamestown Foundation, Washington<br />

D.C., 19 October 2007.


storia<br />

In questi drammatici anni, le nazioni occidentali<br />

che si sono assunte <strong>il</strong> compito di affrontare<br />

una sfida terrorista di proporzioni inaudite e<br />

qualitativamente diversa dal tradizionale ricorso<br />

all’uso del terrore, si sono trovate di fronte a<br />

una duplice difficoltà.<br />

La prima era una difficoltà «prevista», quella<br />

legata al controllo dei territori nei quali si è sv<strong>il</strong>uppata<br />

e si sta sv<strong>il</strong>uppando quella che Norman<br />

Podhoretz, senza ipocrisie, ha definito la<br />

«quarta guerra mondiale», <strong>il</strong> conflitto asimmetrico<br />

condotto dai nemici dell’Occidente, di<br />

Israele e dei musulmani «apostati» - con la jihad<br />

e la disposizione al sacrificio personale degli<br />

shahid, i martiri; con attentati di tipo tradizionale;<br />

con l’espletamento della logica qaedista<br />

della rete transnazionale dei gruppi terroristici,<br />

liberi di agire «in franchising» nel nome di<br />

un leader carismatico - nei campi di battaglia<br />

strategici, dove la scelta è fra tentare un approccio<br />

democratico o finire sotto un sistema di<br />

controllo sim<strong>il</strong>e a quello esercitato dai talebani<br />

in Afghanistan fino al 2001.<br />

Come l’Iraq, dove David Petraeus, con <strong>il</strong> suo<br />

«surge», sembra aver ribaltato le sorti di una<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La sfida del terrorismo<br />

di Andrea Pannocchia<br />

71<br />

situazione che rischiava, dopo <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e successo<br />

bellico che aveva detronizzato Saddam, di<br />

trasformarsi in una disfatta nella gestione della<br />

pace e della riedificazione di uno stato democratico<br />

dopo decenni di feroce dittatura e di<br />

scontri tribali e interreligiosi. Ed è importante<br />

notare come alla base del «surge» ci sia un<br />

controllo più cap<strong>il</strong>lare e più accorto del territorio<br />

da parte delle truppe americane, capaci finalmente,<br />

come fa capire Daniele Raineri nel<br />

libello pubblicato da «Il Foglio», Il caso Petraeus,<br />

di accedere a una visione dell’intelligence<br />

meno legata alle tecnologie del sigint e<br />

dell’elint e più orientata verso la humint, la human<br />

intelligence, la capacità (ald<strong>il</strong>à dell’ambito<br />

meramente spionistico) di leggere la realtà del<br />

luogo, con scaltrezza e sensib<strong>il</strong>ità.<br />

La seconda difficoltà era forse meno prevedib<strong>il</strong>e,<br />

ed è legata ad alcuni meccanismi e paradossi<br />

della comunicazione, soprattutto di quella<br />

dei paesi occidentali, i cui processi produttivi,<br />

le cui logiche editoriali e - last but not least -<br />

alcuni sistemi ideologici, pregiudiziali e ascientifici<br />

ma ancora vincenti nella loro fac<strong>il</strong>ità propositiva<br />

(su tutti l’antiamericanismo e la cultura<br />

del politically correct) hanno creato e continuano<br />

a creare notevoli difficoltà interpretative circa<br />

la natura della posta in gioco e la pericolosità<br />

di un neoterrorismo più incontrollab<strong>il</strong>e (perché<br />

non legato unicamente a interessi geostrategici<br />

di alcuni Stati), più diffic<strong>il</strong>e da contrastare<br />

(perché affidato alla volontà di martirio di un<br />

lumpenproletariat musulmano conquistato nei<br />

decenni scorsi, fra le sottovalutazioni di tutto<br />

l’occidente, alla predicazione dei Fratelli musulmani<br />

e poi del nascente qaedismo, nato nel<br />

1998 ma in realtà battezzato nei campi di battaglia<br />

dell’Afghanistan del 1979, quando a<br />

combattere contro i sovietici stavano assieme<br />

sauditi, marocchini, algerini in una sorta di in-


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

ternazionale di Allah) e più feroce (perché abolisce<br />

la distinzione tra m<strong>il</strong>itari e civ<strong>il</strong>i, ritenendo<br />

che poiché Israele e Stati Uniti sono democrazie,<br />

i cittadini che col voto mandano al potere<br />

Sharon e Bush sono nemici dei musulmani<br />

quanto i loro governanti) del passato.<br />

In questo articolo proviamo ad esaminare due<br />

di queste difficoltà.<br />

Prima cosa che non capiamo:<br />

ideologia arcaica e tecnologie moderne<br />

Scoprire qualcosa del m<strong>il</strong>itante qaedista, archetipo<br />

del terrorista contemporaneo, significa<br />

imbattersi in un apparente paradosso.<br />

Abituati come siamo a declinare <strong>il</strong> concetto di<br />

modernità su base meramente quantitativa e<br />

progressiva, in riferimento soprattutto alle tecnologie<br />

della comunicazione (i telefoni cellulari,<br />

Internet ecc) ci siamo dimenticati che la modernità,<br />

vista come Kultur secondo una vecchia<br />

ma efficace definizione di Luciano Pellicani,<br />

è <strong>il</strong> portato storico, certo non privo di contraddizioni,<br />

di una serie di processi che in Occidente<br />

prima e più che altrove hanno visto <strong>il</strong><br />

loro compimento: l’azione elettiva, <strong>il</strong> primato<br />

della legge, l’universalizzazione dei diritti di cit-<br />

72<br />

storia<br />

tadinanza, l’istituzionalizzazione del mutamento,<br />

la secolarizzazione culturale, l’autonomia<br />

dei sottosistemi, la razionalizzazione.<br />

E gli sv<strong>il</strong>uppi della comunicazione di massa<br />

(dal telegrafo ad Internet) sono stati al tempo<br />

stesso motore e frutto dei cambiamenti nelle<br />

configurazioni dei rapporti umani.<br />

Convinti, dopo <strong>il</strong> crollo del Muro, che davvero -<br />

come disse un grande sociologo ma non altrettanto<br />

br<strong>il</strong>lane politologo - la storia si sarebbe<br />

placidamente evoluta verso una sorta di liberalismo<br />

universale, celebrando <strong>il</strong> trionfo delle<br />

conquiste del mercato e della democrazia, abbiamo<br />

perso di vista <strong>il</strong> senso morale, potremmo<br />

dire la missione modernizzatrice dell’Occidente,<br />

risvegliandoci una mattina di settembre del<br />

2001 colpiti al cuore commerciale e simbolico<br />

della nostra modernità da delle persone che ci<br />

odiano a tal punto da essersi impossessati delle<br />

nostre tecnologie per distruggerci. E non solo<br />

quelle necessarie a p<strong>il</strong>otare un aereo, ma<br />

anche e soprattutto quelle comunicative.<br />

Tre distinti documenti ci fanno vedere <strong>il</strong> nesso,<br />

tanto inestricab<strong>il</strong>e quanto per noi occidentali<br />

diffic<strong>il</strong>mente comprensib<strong>il</strong>e, tra un tipo di educazione<br />

e di religiosità arcaica e un uso sapiente<br />

della comunicazione, intesa sia come<br />

tecnica, sia come agire quotidiano, anche e soprattutto<br />

in territorio nemico, secondo modalità<br />

di conoscenza del terreno (qui intesa nel senso<br />

di inf<strong>il</strong>trazione nella modernità) che possiamo<br />

far risalire fino a Sun-Tzu.<br />

A segnalarcele sono Ferdinando Imposimato,<br />

che riporta estratti di un manuale del guerrigliero<br />

(rinvenuto a Manchester, nel rifugio di un<br />

dirigente di Al Qaida alcuni anni fa; Manchester,<br />

non Il Cairo!!) in 180 pagine, 18 capitoli,<br />

con istruzioni su come uccidere o vivere all’estero<br />

in clandestinità, come comportarsi in famiglia<br />

e altri aspetti di vita quotidiana; Guido<br />

Olimpio, che riporta, sul Corriere della Sera, alcuni<br />

f<strong>il</strong>e scaricati da Osman Rabei, alias Mohammedi<br />

l’egiziano, arrestato in Italia e estradato<br />

in Spagna dove è ritenuto una delle presunte<br />

menti della strage di Madrid (11 marzo<br />

2004); e Antonio Roversi, nel suo viaggio su<br />

L’odio in rete, la cui sezione dedicata alla jihad<br />

elettronica ci ricorda <strong>il</strong> legame, solo apparente


storia<br />

mente paradossale, fra ideologie arcaiche e<br />

mezzi di comunicazione moderni.<br />

Cominciamo col manuale del perfetto qaedista:<br />

Le armi: l’arma preferita da Al Qaida è l’esplosivo<br />

ad alto potenziale: incute al nemico panico<br />

e terrore ed è sicuro poiché permette ai mujaheddin<br />

di fuggire dopo averlo piazzato. Altre<br />

armi sono i veleni o le armi bianche, quelle<br />

usate sugli aerei; pugnali, cavetti di na<strong>il</strong>on per<br />

strangolare, sostanze tossiche. Viene autorizzata<br />

ogni tipo di violenza e di tortura.<br />

L’inchiesta: prima di entrare in azione, <strong>il</strong> k<strong>il</strong>ler<br />

deve studiare a fondo <strong>il</strong> bersaglio: nome, età,<br />

residenza, lavoro, strade seguite per andare al<br />

lavoro, tempo libero, negozi usati, medico di fiducia.<br />

I requisiti: l’agente di Allah deve avere undici<br />

requisiti.<br />

Occorre un uomo astuto ed intelligente, calmo,<br />

capace di resistere all’arresto ed alla prigione,<br />

di affrontare <strong>il</strong> trauma dell’omicidio e delle stragi.<br />

«Quando si è impegnati in una azione di<br />

spionaggio è proibito avere rapporti sessuali e<br />

bere. Non c’è nulla che possa permettere queste<br />

due cose». «Ma se si opera sotto copertura<br />

in occidente - ipotesi prevalente - si possono<br />

dimenticare le tradizioni e i precetti musulmani.<br />

In questo modo sarà più fac<strong>il</strong>e ingannare<br />

<strong>il</strong> nemico». (1)<br />

Codice: i m<strong>il</strong>itanti usano codici cifrati, messaggi<br />

coperti via Internet ed usano eccezionalmente<br />

<strong>il</strong> telefonino. Nelle conversazioni normali<br />

le armi sono chiamate strumenti, le granate<br />

«patate», <strong>il</strong> tritolo «sapone».<br />

Processo: se arrestato, <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itante deve denunciare<br />

maltrattamenti e percosse, quindi deve<br />

sfruttare le visite in prigione per comunicare<br />

con i fratelli all’esterno.<br />

(Imposimato 2002, pp.26-37)<br />

Rabei invece adopera <strong>il</strong> computer per mantenere<br />

<strong>il</strong> suo pensiero radicale, comunicare e<br />

perfezionare la propria formazione jihadista,<br />

vale a dire scaricare audio di Osama, video di<br />

ostaggi decapitati, poesie che incitano al martirio<br />

e alla guerra santa.<br />

Riportiamo solo alcuni stralci:<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

73<br />

12 febbraio 2004<br />

Ore 22,34: video con un m<strong>il</strong>itante in divisa.<br />

3 marzo 2004<br />

Ore 7,55: qualcuno salva un comunicato dell’ufficio<br />

del mullah Omar (<strong>il</strong> capo dei talebani)<br />

sulla strategia in Afghanistan.<br />

29 marzo 2004<br />

ore 8,01 e 9,11: f<strong>il</strong>e audio di argomentazioni sui<br />

contrasti all’interno del mondo arabo sulla<br />

guerra a Israele. Ringraziamento ad Allah perché<br />

vi sono giovani che difendono l’islam e che<br />

rifiutano di seguire le leggi di coloro che guidano<br />

i Paesi arabi.<br />

Ore 17,58: lezione religiosa dello sceicco egiziano<br />

Kishk che invita gli arabi alla guerra ed<br />

esorta a combattere i miscredenti.Ore 18,03:<br />

audio con una lezione sulla comunità islamica<br />

aggredita dai nemici di Dio e miscredenti.<br />

(...)<br />

1° maggio 2004<br />

Ore 18,24: visita a sito religioso.<br />

Ore 18,29: visita a sito religioso con l’intestazione:<br />

«Allah ha detto che ogni persona ha assaggiato<br />

la morte». Nella medesima pagina<br />

web vi sono altre finestre chiamate: meditazione;<br />

la morte è fac<strong>il</strong>e; questo nostro appuntamento;<br />

storie a effetto; la tomba; cosa hai fatto<br />

amico mio?»<br />

Ore 18,30: visita al sito delle Brigate salafite jihadiste.<br />

8 maggio 2004<br />

Collegamenti tra le ore 0,26 e le 15,39: testo<br />

dedicato alla «vita del martire Youssef Alairi».


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

È un m<strong>il</strong>itante qaedista ucciso nel 2003.<br />

- due audio, uno dedicato alla jihad, l’altro è un<br />

proclama di Bin Laden che recita «Noi siamo in<br />

preghiera e in guerra santa, porto la testimonianza<br />

del profeta Maometto. La resistenza di<br />

un’ora in guerra santa vale come sessant’anni<br />

di vita»<br />

audio di una persona che prega Allah affinché<br />

gli doni <strong>il</strong> martirio (...)<br />

Guido Olimpio, Il manuale del perfeto jihadista,<br />

in «Corriere della Sera», 10.03.05<br />

Vediamo infine la descrizione di due video tratti<br />

rispettivamente da due dei più frequentati siti jihadisti,<br />

Supporters of Shareeah e e-jihad-net:<br />

Il primo (...) Si intitola «Vieni nella jihad» e nella<br />

prima parte mostra, con una serie di zoomate<br />

dentro le case, degli atti di violenza commessi<br />

dai soldati occidentali nei confronti di<br />

una popolazione inerme composta da donne,<br />

vecchi e bambini. Nella seconda parte vengono<br />

invece mostrate, quasi in trasparenza, sullo<br />

sfondo di un v<strong>il</strong>laggio diroccato, diverse fotografie<br />

di m<strong>il</strong>itanti armati che sf<strong>il</strong>ano con bandiere<br />

inneggianti alla jihad. Il secondo è un video<br />

intitolato «Canzone per i bambini palestinesi»<br />

(...). Dice un brano della canzone :<br />

74<br />

storia<br />

«Avanti musulmani, impugnate le vostre spade.<br />

I bambini plaestinesi vi chiamano. Non abbiate<br />

paura della morte. Non indugiate. Allah vi<br />

ha promesso la vittoria. Avanti musulmani, impegnate<br />

le vostre spade. I bambini palstinesi vi<br />

chiamano». E mentre la camzone viene intonata<br />

da un coro di voci, sullo fondo scorrono le<br />

immagini dei combattenti islamici che impugnano<br />

fuc<strong>il</strong>i e mitragliatrici, usano lanciarazzi e<br />

bombe molotov, bruciano bandiere americane.<br />

Un messaggio che non lascia spazio ad alcuna<br />

ambiguità.<br />

(Roversi 2006, p.152)<br />

E un magistrato che ha a lungo indagato sul<br />

terrorismo internazionale, condensando le sue<br />

riflessioni nel bel libro M<strong>il</strong>ano-Baghdad, Stefano<br />

Dambruoso, ricorda che dopo l’11 settembre<br />

<strong>il</strong> ricorso a Internet si è accentuato, perché<br />

è uno strumento veloce e universale di comunicazione<br />

e perché ha permesso di colmare le<br />

lacune operative emerse dopo l’arrivo delle<br />

truppe alleate a Kabul con l’offensiva Enduring<br />

Freedom. E aggiunge:<br />

Internet è diventata un formidab<strong>il</strong>e centro di<br />

propaganda, proselitismo e perfino d’addestramento.<br />

Sul web fai passare di tutto. Informazioni<br />

su come costruire una bomba, tecniche<br />

per tendere un agguato, formule per miscele<br />

chimiche. Dati scritti e decine di video. Una volta<br />

i mujaheddin affidavano i loro testamenti ed<br />

esperienze a volantini che dovevano essere<br />

stampati e portati a mano. Oggi registrano un<br />

cd e quasi in tempo reale finisce sulla rete. È<br />

sufficiente un clic sul mouse ed entri in un mondo<br />

che ruota attorno al «martire»......<br />

(Dambruoso 2004 , pp. 102-103)<br />

Come dire, mentre noi non sappiamo l’arabo,<br />

loro sanno l’inglese, sanno quando scrivere<br />

nella loro lingua e quando in quella dell’Union<br />

Jack, sanno cosa dire al loro uditorio e cosa dire<br />

agli occidentali (un maestro in questa doppiezza<br />

era Yasser Arafat). E ci siamo anche dimenticati<br />

delle conseguenza possib<strong>il</strong>i dell’uso<br />

di Internet, quali quelle individuate dal sociologo<br />

dei media Poster che, nel 1999, notava co


storia<br />

me l’essenza di Internet fosse la sua indeterminatezza,<br />

non solo per l’incertezza circa <strong>il</strong> futuro,<br />

ma anche per la sua qualità tipicamente<br />

postmoderna derivante da due caratteristiche.<br />

In primo luogo, rispetto al sistema radiotelevisivo<br />

e alla stampa, Internet incorpora radio, cinema<br />

e televisione e ne permette la distribuzione.<br />

In secondo luogo Internet supera i limiti<br />

dei modelli della stampa e del sistema radiotelevisivo<br />

in quanto permette la conversazione<br />

da molti a molti; rende simultaneamente possib<strong>il</strong>e<br />

la ricezione, l’elaborazione e la redistribuzione<br />

di oggetti culturali; comporta la dislocazione<br />

comunicativa rispetto ai confini nazionali<br />

e alle relazioni spaziali territorializzate tipiche<br />

della modernità; fornisce un contatto globale<br />

istantaneo e, infine, immette <strong>il</strong> soggetto moderno/tardo<br />

moderno in una rete interconnessa<br />

(Poster, 1999).<br />

Seconda cosa che non capiamo:<br />

terroristi si diventa (e non per reazione)<br />

Secondo <strong>il</strong> dizionario curato da Tullio De Mauro,<br />

per «terrorismo» si intende «metodo di lotta<br />

politica ut<strong>il</strong>izzato da gruppi rivoluzionari o sovversivi<br />

che, considerando impossib<strong>il</strong>e conseguire<br />

con mezzi legali i propri fini, tentano di<br />

destab<strong>il</strong>izzare o rovesciare l’assetto politicosociale<br />

esistente con atti di violenza organizzata».<br />

Questa definizione mette in luce la natura organizzata<br />

e pianificata del fenomeno terroristico,<br />

e deve dunque essere contrapposta alle<br />

letture «giustificazioniste» o «romantiche» che,<br />

soprattutto a proposito del terrorismo palestinese,<br />

vengono spesso adoperate nel linguaggio<br />

comune e anche in alcune rappresentazioni<br />

mediali. Fra le più comuni citiamo le seguenti:<br />

i terroristi sbagliano ma non hanno altri<br />

mezzi per difendersi da uno Stato m<strong>il</strong>itarmente<br />

potente e organizzato come Israele; i terroristi<br />

sbagliano ma reagiscono ad altrui ingiustizie<br />

(come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi<br />

dopo <strong>il</strong> 1967); anche i patrioti italiani o<br />

di altre Nazioni che hanno conquistato faticosamente<br />

la propria indipendenza dal dominio<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

75<br />

straniero hanno fatto uso del terrorismo e dunque<br />

i palestinesi potrebbero, dal loro punto di<br />

vista, essere chiamati non «terroristi» ma<br />

«combattenti per la libertà; <strong>il</strong> terrorismo è una<br />

cosa che non riguarda chi si comporta bene<br />

con gli altri (come quelle nazioni che non parteciparono<br />

alla coalition of w<strong>il</strong>lings in Iraq),<br />

ecc.. Per non parlare delle disquisizioni, anche<br />

giuridiche, sulla differenza tra terrorista e guerrigliero,<br />

su cui si è esercitata, fra gli altri, anche<br />

l’ineffab<strong>il</strong>e Clementina Forleo (peraltro incuneandosi<br />

in alcune oggettive lacune legislative,<br />

almeno per quanto riguarda l’Italia).<br />

È opportuno allora fare un po’ di chiarezza.<br />

Il terrorismo: cos’è<br />

Torniamo alla definizione iniziale e cerchiamo<br />

di ampliarla studiando le caratteristiche di alcuni<br />

dei gruppi terroristi moderni. Il terrorismo<br />

può configurarsi anche come un modo di comunicare<br />

(si pensi al successo propagandistico<br />

del blitz compiuto in occasione delle Olimpiadi<br />

di Monaco del 1972 o alla gestione dell’attentato<br />

alle Twin Towers dell’11 settembre,<br />

con l’abbattimento della prima torre usato in<br />

senso convocativo verso i media di tutto <strong>il</strong><br />

mondo, costretti a riprendere in diretta l’abbattimento<br />

della seconda torre); è una violenza<br />

<strong>il</strong>lecita, in atto o minacciata, di cui sono<br />

spesso responsab<strong>il</strong>i gruppi transnazionali, anche<br />

se spesso con l’appoggio di alcuni Stati,<br />

come l’Iran o la Siria; non si sente condizio


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

nato da condizionamenti morali o giuridici;<br />

considera le sue vittime dirette come uno strumento<br />

per terrorizzare tutti gli altri e le attacca<br />

per <strong>il</strong> loro obiettivo simbolico, ma al contempo<br />

può colpire impianti e persone civ<strong>il</strong>i secondo<br />

una logica, tipica del neofondamentalismo islamico,<br />

di assim<strong>il</strong>azione di governanti e governati<br />

nelle colpe delle miserie dei popoli<br />

musulmani oppressi.<br />

Esistono, a livello internazionale, risoluzioni di<br />

organizzazioni internazionali o convenzioni che<br />

trattano l’argomento. In particolare la Convenzione<br />

internazionale per l’eliminazione dei finanziamenti<br />

al terrorismo, votata dall’Assemblea<br />

Generale delle Nazioni unite <strong>il</strong> 9 dicembre<br />

1999, definisce come terrorismo le attività non<br />

compiute da Stati o da governi che, secondo<br />

l’articolo 2 comma 1: intendono causare la<br />

morte o un grave danno fisico a un civ<strong>il</strong>e o comunque<br />

a chi non prenda parte attiva alle ost<strong>il</strong>ità<br />

in una situazione di conflitto armato quando<br />

lo scopo di queste attività - ricavato dalla natura<br />

o dal contesto - è quello di intimidire la popolazione,<br />

o di costringere un governo o un ente<br />

internazionale a porre in essere ovvero a<br />

non porre in essere un determinato comportamento.<br />

In primo luogo, sin dalla<br />

costituzione dello Stato di<br />

Israele del 1948, c’è stato<br />

un sistematico rifiuto da<br />

parte di tutto <strong>il</strong> mondo<br />

arabo di riconoscerne <strong>il</strong><br />

diritto all’esistenza.<br />

Dal punto di vista del diritto internazionale,<br />

non è terrorismo un bombardamento anche<br />

volto contro la popolazione civ<strong>il</strong>e da parte di<br />

76<br />

un governo (atto che può configurarsi come<br />

crimine di guerra, soggetto ad altre convenzioni<br />

internazionali), poiché <strong>il</strong> terrorismo è un atto<br />

proprio di organizzazioni private. Non rientra<br />

fra gli atti di terrorismo l’attacco a una caserma<br />

di m<strong>il</strong>itari impegnati in una guerra, perché non<br />

si tratta di civ<strong>il</strong>i non combattenti; vi rientra<br />

un’attività di organizzazioni private che prende<br />

di mira civ<strong>il</strong>i o anche soldati che in quel momento<br />

non stanno prendendo parte attiva a un<br />

conflitto armato.<br />

Quest’ultima precisazione la riteniamo importante<br />

anche perché, scientificamente, dimostra<br />

l’assurdità della definizione di alcune azioni m<strong>il</strong>itari<br />

delle truppe israeliane come di «azioni terroristiche».<br />

Il terrorismo: come viene rappresentato<br />

storia<br />

Le visioni giustificazioniste evidenziate all’inizio<br />

della presente trattazione sono in primo luogo<br />

errate, come già accennato, perché danno<br />

un’immagine reattiva e spontanea ad una scelta,<br />

quella terroristica, che invece viene decisa<br />

lucidamente e che presenta tempi molto lunghi<br />

per la propria realizzazione.<br />

Come per diventare criminali comuni è necessario<br />

un lungo, complesso e non univoco processo<br />

di apprendimento delle tecniche e delle<br />

definizioni favorevoli alla violenza, come ci insegnano<br />

due sociologi della devianza quali Edwin<br />

Sutherland con <strong>il</strong> suo associazionismo differenziale<br />

e Lonnie Athens con la sua violentizzazione,<br />

anche per colui che sceglie di diventare<br />

terrorista è necessario non solo apprendere<br />

a usare le armi che <strong>il</strong> suo gruppo potrà<br />

adoperare negli attentati, ma anche - e soprattutto<br />

- essere costantemente aggiornati sul<br />

piano teorico-dottrinale e motivati circa la giustezza<br />

della missione da compiere, soprattutto<br />

se l’ispirazione del gruppo terrorista è prevalentemente<br />

o in toto religiosa (e lo abbiamo visto<br />

a proposito dell’uso della rete).<br />

La differenza fondamentale è che <strong>il</strong> terrorista<br />

deve ricordarsi che non agisce per se stesso o<br />

per soddisfare la propria volontà di gratificazione<br />

o quella che Athens chiama trepidazione


storia<br />

sociale, bensì in nome e per conto di un gruppo,<br />

a cui verosim<strong>il</strong>mente è approdato grazie al<br />

carisma del leader di riferimento (2).<br />

Alcuni esempi come quelli che abbiamo visto<br />

dimostrano, tra l’altro, quanto - nel jihadismo<br />

contemporaneo - un ruolo fondamentale lo giochi<br />

un culto del sacrificio personale, o del martirio<br />

completamente diverso dall’accezione<br />

classica di martirio che abbiamo conosciuto<br />

anche nella tradizione cristiana, un martirio che<br />

da supremo sacrificio personale che accetta<br />

chi intende testimoniare fino alla fine la propria<br />

adesione a una religione si trasforma nella<br />

morte inflitta agli infedeli attraverso <strong>il</strong> sacrificio<br />

personale (la logica delle Twin Towers, la logica<br />

di Londra 2005, la logica di chi si imbotte di<br />

tritolo facendo saltare in aria discoteche e ristoranti<br />

israeliani).<br />

Nella fattispecie palestinese, tali approcci non<br />

tengono poi conto di alcune questioni storicopolitiche<br />

che rendono altresì improponib<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />

confronto con analoghe esperienze di altre nazioni<br />

e di altri periodi storici.<br />

In primo luogo, sin dalla costituzione dello Stato<br />

di Israele del 1948, c’è stato un sistematico<br />

rifiuto da parte di tutto <strong>il</strong> mondo arabo di riconoscerne<br />

<strong>il</strong> diritto all’esistenza: un rifiuto che si<br />

è esplicitato nelle guerre mosse contro lo stato<br />

ebraico, che è ispirato da motivi teologici prima<br />

ancora che politici, che è tuttora sancito nello<br />

statuto di Hamas, che fa sì che, anche negli<br />

anni in cui nei Territori palestinesi governava<br />

l’Olp e poi l’Anp di Arafat e di Abu Mazen, nelle<br />

cartine geografiche dei libri di testo scolastici<br />

Israele fosse semplicemente cancellato.<br />

In secondo luogo, come è documentato da<br />

molti e qualificati studi internazionali, <strong>il</strong> terrorismo<br />

palestinese è più figlio di «aspirazione»<br />

che di «disperazione», e la scelta di diventare<br />

terroristi, o martiri, è una scelta che prende<br />

forma in molti bambini e bambine, sovente<br />

provenienti non dalle famiglie più povere o disagiate<br />

della società palestinese, indottrinati sin<br />

dalla più tenera età - a scuola, nei «campi profughi»<br />

dove viene modellata un’identità di<br />

gruppo basata sulla chiusura verso <strong>il</strong> mondo<br />

esterno e sull’unico obiettivo nel ritorno ai territori<br />

occupati, attraverso programmi televisivi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

77<br />

che esaltano <strong>il</strong> valore del martirio - al culto della<br />

morte.<br />

Infine, la dirigenza palestinese (anche nelle occasioni<br />

in cui la pace sembrava, almeno gli occhi<br />

dei media internazionali, più vicina) non ha<br />

mai compiuto la scelta fatta da altri stati arabi,<br />

come l’Egitto o la Giordania, che dopo aver<br />

strenuamente combattuto contro Israele l’han-<br />

no infine riconosciuta, entrando nell’ottica negoziale<br />

tipica delle relazioni internazionali nella<br />

fase successiva alle guerra, quella dello scambio<br />

«pace contro terra». Di conseguenza diventa<br />

non adeguato <strong>il</strong> paragone con <strong>il</strong> comportamento<br />

di altri gruppi già terroristi guidati da<br />

persone che successivamente sono arrivate ai<br />

vertici dei loro Stati (come Nelson Mandela e la<br />

sua Anc in Sudafrica) o che ne hanno condiviso<br />

le responsab<strong>il</strong>ità verso una transizione pacifica<br />

(come Gerry Adams e l’Ira nell’Irlanda del<br />

Nord) perché, a differenza della leadership palestinese,<br />

costoro a un certo punto hanno capito<br />

che le cause che ritenevano di poter sostenere<br />

o far vincere solo con l’azione terroristica<br />

potevano, in un mutato scenario, essere sostenute<br />

attraverso la via del negoziato, dell’accordo,<br />

del confronto pacifico. E si sono trasformati<br />

da terroristi in statisti.<br />

Conclusioni<br />

Abbiamo visto due esempi diversi, ma per molti<br />

aspetti complementari, di cosa significa sottovalutare<br />

un fenomeno.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ancora una post<strong>il</strong>la che riguarda <strong>il</strong> giornalismo.<br />

Da un lato i fatti veri, spontanei, verificatisi indipendentemente<br />

dall’esistenza dei media e<br />

non programmati in funzione di questi, che la<br />

stampa o la televisione devono analizzare e riferire<br />

come tali; da un altro lato i fatti-notizia,<br />

sempre più numerosi rispetto ai precedenti,<br />

che i media devono invece «interpretare», svelandone<br />

<strong>il</strong> «valore simbolico di qualcosa prodotto<br />

come atto di comunicazione fin dall’origine».<br />

Purtroppo, hanno speso prevalso, grazie<br />

anche all’esasperazione della logica del breaking<br />

news tipica delle reti allnews, quei modelli<br />

giornalistici che segnalano quasi esclusivamente<br />

<strong>il</strong> fatto-rottura.<br />

Questi modelli creano una nuova forma di parzialità<br />

e di non obiettività, perché non fanno<br />

emergere la continuità e <strong>il</strong> carattere costante<br />

dei fenomeni che soli possono esaurientemente<br />

spiegare, funzionando da contesto esplicativo,<br />

l’evento eccezionale di cui si parla.<br />

Sarebbe decisamente auspicab<strong>il</strong>e, in conclusione,<br />

un giornalismo capace di analizzare la<br />

realtà in maniera indipendente dalle esigenze<br />

dell’audience e della spettacolarizzazione della<br />

notizia, in contrapposizione al giornalismospettacolo;<br />

e che promuova, anche negli<br />

aspetti legati alla formazione e all’accesso professionale,<br />

una professionalità dotata di solide<br />

conoscenze storiche e sociologiche per operare<br />

quella necessaria opera di interpretazione e<br />

di contestualizzazione, fondamentali per comprendere<br />

la realtà.<br />

Altrimenti sarà sempre come fa notare Bernard<br />

Lewis: «un ponte distrutto fa più notizia della<br />

costruzione di dieci ponti» (Lewis 2005).<br />

Note<br />

1. Questo è ciò che hanno fatto Mohammed Atta<br />

e gli altri esecutori dell’attentato dell’11 settembre<br />

prima di partire per la missione contro<br />

le Twin Towers, facendosi vedere a cena mentre<br />

si davano all’alcool.<br />

2. Così recita uno dei testi più importanti pro-<br />

78<br />

storia<br />

dotto in ambito internazionale, I volume del<br />

Club di Madrid, fondato dopo la strage di Atocha<br />

del 2004 dalla collaborazione di Capi di<br />

Statoe di Governo, analisti, docenti universitari<br />

di tutto <strong>il</strong> Mondo.<br />

«A clear consensus exists that it is non individual<br />

psychology, but group, organizational and<br />

social psychology, that provides the greatest<br />

analytical power in under standing this complex<br />

phenomenon. Terrorists have subordinated<br />

their individual identity to the collective<br />

identity, so that what serves the group, organization<br />

or network is of primary importance.»<br />

(Volume I, p. 7)<br />

«Suicide terrorismi is a function of a culture of<br />

martyrdom, the organizational decision to<br />

employ this tactic, and a supply of recruits<br />

w<strong>il</strong>ling to give their lives in a «martyrdom operation».<br />

Social psychological forces are particularly<br />

important, leading some scholars -<br />

with particular reference to Palestinian suicide<br />

terrorism - to speak of the «suicide terrorist<br />

production line». The elements of this<br />

«production line» include the establishment<br />

of a social contract, the identification of the<br />

«living martyr» (which accrues great prestige<br />

within the community), and - in the culminating<br />

phase - the production of the final video.<br />

After one has passed trough these phases, to<br />

back away from the final act of martyrdom<br />

would bring unbearable shame and hum<strong>il</strong>iation.<br />

Sim<strong>il</strong>ar but fuzzier phases may occur for<br />

the other groups as well. Thus, as with terrorism<br />

psychology in general, suicide terrorism<br />

is very much a function of group and collective<br />

psychology, not individual psychopathology»<br />

(Volume I, p. 9)


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il complesso rapporto<br />

tra Mazzini e Garibaldi<br />

di Giuliana Limiti<br />

Quando Giuseppe Mazzini muore a Pisa <strong>il</strong> 10<br />

marzo 1872, ospite della famiglia Rosselli, <strong>il</strong><br />

suo rapporto con Garibaldi è ormai definitivamente<br />

logorato. Ciononostante, un mese prima,<br />

ancora una volta si era rivolto al grande<br />

generale per invitarlo all’azione comune archiviando<br />

un contrasto personale che era motivo<br />

di soddisfazione per la parte moderata e subordinandolo<br />

al prevalente interesse della causa<br />

repubblicana.<br />

Dell’ennesima delusione mazziniana sarebbe<br />

stata immediata testimonianza la lettera vergata<br />

da Sara Nathan nelle ore immediatamente<br />

successive alla morte di Mazzini e a quanto pare<br />

mai recapitata al suo destinatario, Giuseppe<br />

Garibaldi, che di quella morte è dichiarato colpevole<br />

per <strong>il</strong> suo s<strong>il</strong>enzio ed <strong>il</strong> suo distacco non<br />

solo politico, ma anche umano.<br />

In quelle stesse settimane, Garibaldi aveva<br />

sprezzantemente scritto ai suoi seguaci romagnoli<br />

che la questione con Mazzini apparteneva<br />

senz’altro alla storia: «Essa giudicherà». Un<br />

fossato, dunque, che i giudizi ancor più severi<br />

affidati da lui alle pagine delle Memorie avrebbero<br />

se possib<strong>il</strong>e allargato. Per l’ultimo Garibaldi,<br />

destinato a sopravvivere per altri dieci<br />

anni al Genovese, Mazzini non sarebbe stato<br />

che un perenne ostacolo alla realizzazione dell’unità<br />

d’Italia, sia pure inconsapevolmente.<br />

Un sim<strong>il</strong>e ep<strong>il</strong>ogo ha consentito a molta storiografia<br />

di esercitarsi nella contrapposizione dei<br />

due personaggi, proiettando su tutta la loro vicenda<br />

biografica un cono d’ombra di ost<strong>il</strong>ità e<br />

di rivalità. In una tale opera, si è innanzitutto distinta<br />

la storiografia monarchica di intonazione<br />

sabauda che ha inteso riavvicinare Garibaldi a<br />

Vittorio Emanuele II e farne <strong>il</strong> protagonista del<br />

Risorgimento in chiave regia. Ogni motivo di<br />

ispirazione mazziniana andava pertanto<br />

80<br />

storia<br />

espunto per d<strong>il</strong>uire <strong>il</strong> repubblicanesimo che pure<br />

lo stesso Garibaldi aveva dichiarato essere<br />

<strong>il</strong> suo credo politico fino all’ultimo istante della<br />

sua vita.<br />

Esemplare di questa tendenza è <strong>il</strong> lavoro storico<br />

più ampio e documentato al riguardo, pubblicato<br />

da Giacomo Em<strong>il</strong>io Curatulo nel 1928 e<br />

da lui dedicato non casualmente a Benito Mussolini:<br />

«Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi», dal<br />

sottotitolo volutamente provocatorio : «La storia<br />

senza veli».<br />

L’antitesi tra Mazzini e Garibaldi era però destinata<br />

ad essere perpetuata anche oltre la monarchia<br />

ed <strong>il</strong> fascismo, sia pure sulla base di<br />

motivazioni diverse, da parte di un’altra assai<br />

diffusa scuola storica, quella marxista. Essa ha<br />

inteso, infatti, strumentalizzare talune generiche<br />

espressioni di simpatia manifestate da Garibaldi<br />

per <strong>il</strong> socialismo, e soprattutto per la Comune<br />

di Parigi, al fine di accreditarne <strong>il</strong> ruolo di<br />

anticipatore del marxismo in Italia e di staccarlo<br />

da Mazzini di cui sono ben note le critiche a<br />

quel programma politico e sociale. Non a caso,<br />

nelle elezioni politiche del 1948, Garibaldi fu <strong>il</strong>


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

simbolo propagandistico adottato dal Fronte<br />

popolare, cioè dall’alleanza tra <strong>il</strong> partito comunista<br />

ed <strong>il</strong> partito socialista.<br />

In alternativa alla contrapposizione, la tradizione<br />

storica democratica e repubblicana, quella<br />

che più direttamente si ricollegava sia a Mazzini<br />

che a Garibaldi, si è invece mossa sulla via<br />

della conc<strong>il</strong>iazione, nel generoso tentativo di ricomporre<br />

la memoria postuma dei suoi due<br />

grandi maestri. È la linea tracciata già da Aurelio<br />

Saffi che chiama Mazzini <strong>il</strong> precursore e Garibaldi<br />

<strong>il</strong> fondatore del riscatto dell’Italia, così<br />

che tutte le società di mutuo soccorso potessero<br />

chiamare entrambi alla propria presidenza<br />

onoraria ed affiggerne i ritratti l’uno accanto all’altro.<br />

Evidentemente, sia la contrapposizione che la<br />

conc<strong>il</strong>iazione non possono soddisfare criticamente<br />

la conoscenza storica contemporanea<br />

che è chiamata ad una nuova riflessione su un<br />

rapporto che non è soltanto personale, ma resta<br />

uno snodo cruciale della storia del Risorgimento.<br />

In questa sede, si cercherà di ricostruirne<br />

i passaggi essenziali sul piano delle vicende<br />

storiche per poi concludere con una<br />

comparazione sul piano delle idee politiche.<br />

La tradizione ha sempre collocato a Marsiglia<br />

nel 1833 <strong>il</strong> primo incontro tra Mazzini e Garibaldi<br />

con <strong>il</strong> giuramento del secondo nelle mani<br />

del primo per l’adesione alla Giovine Italia. Il<br />

mazziniano Giambattista Cuneo aveva iniziato<br />

Garibaldi alle nuove idee unitarie e repubblicane<br />

sulle rive del Mar Nero ed avrebbe poi favorito<br />

questo incontro. È invero significativo<br />

che nessuno dei due, né Mazzini né Garibaldi,<br />

lo rievochi nelle rispettive opere memorialistiche.<br />

Ma ciò è da attribuire ai successivi sv<strong>il</strong>uppi<br />

biografici. Un preciso resoconto risulta infatti<br />

in un abbozzo di ricordi che lo stesso Garibaldi<br />

aveva composto prima del 1848 e dà<br />

quindi conferma alla scena che l’iconografia<br />

patriottica ha poi molto spesso riproposto senza<br />

mai ricevere alcuna smentita. Ma la prova<br />

più efficace sta nelle parole che lo stesso Garibaldi<br />

avrebbe pronunciato tanti anni dopo, nel<br />

1864, ospite della casa londinese dell’esule<br />

russo Alessandro Herzen, nel brindisi indirizzato<br />

a Mazzini: «Egli solo vegliava quando intor-<br />

82<br />

storia<br />

no tutto dormiva». In quell’occasione solenne,<br />

alla presenza di patrioti di tutta Europa, Garibaldi<br />

riconobbe di aver cercato in gioventù una<br />

guida così come un assetato cerca l’acqua e di<br />

averla trovata in Giuseppe Mazzini.<br />

L’ingenuo sentimento di italianità che Garibaldi<br />

coltivava sin da ragazzo viene dunque senza<br />

dubbio affinato ed educato alla scuola di Mazzini,<br />

così come in quel contesto si esplica la<br />

sua prima avventura politica ed insurrezionale:<br />

<strong>il</strong> moto genovese del 1834 a cui Garibaldi<br />

avrebbe dovuto attrarre elementi della marina<br />

sarda miseramente fallito per delazione. La<br />

successiva emigrazione in America Latina avviene<br />

pure sotto <strong>il</strong> segno mazziniano: non è infatti<br />

una scelta isolata - come spesso viene<br />

presentata nell’immagine retorica dell’eroe dei<br />

due mondi - ma rientra in un più ampio movimento<br />

volto da un lato a sperimentare altrove<br />

la tecnica rivoluzionaria, dall’altro a corrispondere<br />

all’universalità degli ideali di patria e di libertà.<br />

Nell’esperienza latino-americana, Garibaldi si<br />

richiama quindi direttamente ai circoli mazziniani<br />

che già vi operano, dedica a Mazzini <strong>il</strong><br />

suo naviglio di guerra e tempra <strong>il</strong> suo repubblicanesimo<br />

popolare nella lotta all’oppressione<br />

imperiale. I successi che gli arridono non sfuggono<br />

al Genovese, oramai esule a Londra, che<br />

li r<strong>il</strong>ancia sulla stampa sia inglese sia dell’emigrazione<br />

italiana. Il fallimento dei primi moti<br />

della Giovine Italia lo ha infatti indotto a riflette


storia<br />

re sull’importanza di avere un capo m<strong>il</strong>itare,<br />

nella consapevolezza, sempre peraltro avuta,<br />

di non potere personalmente adempiere ad un<br />

tale ruolo. La figura del condottiero rivoluzionario,<br />

indispensab<strong>il</strong>e sia per lo studio della strategia<br />

che per la promozione dell’entusiasmo, gli<br />

appare quindi tanto necessaria quanto era<br />

mancata alle precedenti spedizioni. E Garibaldi<br />

sembra <strong>il</strong> candidato ideale ad una sim<strong>il</strong>e posizione.<br />

La delusione non sarà però lontana. Quando<br />

entrambi saranno richiamati in patria nel 1848<br />

dalle Cinque Giornate di M<strong>il</strong>ano, Mazzini - peraltro<br />

nella non fac<strong>il</strong>e posizione di dover riaffermare<br />

l’opzione repubblicana, mentre l’iniziativa<br />

sembra assunta dalla monarchia sabauda,<br />

senza però minare <strong>il</strong> comune scopo nazionale<br />

- sarà negativamente colpito dal fatto che Garibaldi<br />

si sia innanzitutto recato al quartier generale<br />

di Carlo Alberto. Lo testimoniano alcuni<br />

sfoghi epistolari. Egli avrebbe preferito vederlo<br />

raggiungere Daniele Manin nella difesa di una<br />

repubblica, appunto, quella rinata a Venezia.<br />

Non muta <strong>il</strong> significato del gesto <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> re<br />

sabaudo rifiuti l’offerta drasticamente, non considerando<br />

in alcun modo possib<strong>il</strong>e che un guerrigliero<br />

sudamericano potesse contaminare <strong>il</strong><br />

suo aristocratico esercito.<br />

Si è forse sottovalutato questo evento che invece<br />

in un certo senso retrodata se non <strong>il</strong> distacco<br />

almeno l’allontanamento di Garibaldi dall’intransigenza<br />

mazziniana. È vero che lo stesso<br />

Mazzini era stato in contatto con Carlo Alberto<br />

e aveva fatto delle concessioni che<br />

avrebbero, se accolte, potuto riunificare <strong>il</strong> movimento<br />

patriottico. Ma per Garibaldi la motivazione<br />

era tutt’altra. Proprio la dura esperienza<br />

bellica latino-americana lo aveva fatto riflettere<br />

sulla superiorità di poter contare su un esercito<br />

regolare, meglio addestrato e più disciplinato,<br />

e quindi sull’opportunità di appartenervi.<br />

Ed è sempre sul piano della strategia m<strong>il</strong>itare<br />

che matura di lì a poco la prima vera rottura tra<br />

i due. Nel febbraio 1849, Garibaldi è a Roma,<br />

eletto all’Assemblea costituente, tra i primi a<br />

chiedere la proclamazione della repubblica, la<br />

cessazione del potere temporale, la chiamata<br />

di Mazzini e la sua elezione al governo. Con<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

83<br />

Mazzini triumviro, egli si sente in un certo senso<br />

sicuro di poter contare sulla fiducia del Genovese<br />

nelle sue capacità m<strong>il</strong>itari ed aspira<br />

quindi al comando supremo. Mazzini sembrerebbe<br />

pronto in un primo tempo a concederglielo,<br />

ma subisce poi la diffidenza di tutti gli altri<br />

ufficiali usciti dalle scuole di guerra, come lo<br />

stesso Pisacane, che non reputano di poter ubbidire<br />

ad un soldato che si è fatto da sé. A molti,<br />

poi, la strategia garibaldina dell’attacco preventivo<br />

appare un salto nel buio. Mazzini non è<br />

certo sensib<strong>il</strong>e allo snobismo di certe posizioni,<br />

ma al tempo stesso non se la sente di prendere<br />

una decisione impopolare almeno tra i vertici<br />

dell’esercito repubblicano.<br />

La verità è però un’altra. Egli sottovaluta l’aspetto<br />

m<strong>il</strong>itare della vicenda romana. Non crede<br />

alla possib<strong>il</strong>ità di un successo, se non effimero,<br />

contro <strong>il</strong> corpo di spedizione francese<br />

che anzi preferisce non irritare perché non si<br />

delinei uno scontro irreversib<strong>il</strong>e. Lui punta piuttosto<br />

sulla politica. Sa di avere dalla sua la sinistra<br />

francese di Ledru Rollin che ha un’ampia<br />

consistenza parlamentare. Confida nel principio<br />

del non intervento consacrato nell’articolo<br />

quinto della costituzione repubblicana francese.<br />

Forse, l’antica consuetudine dell’es<strong>il</strong>io non<br />

gli lascia giudicare adeguatamente Luigi Napoleone.<br />

Trova poi conferma della bontà delle<br />

sue valutazioni nelle trattative con <strong>il</strong> Lesseps.<br />

In ogni caso, sa bene che la Francia, ove insistesse<br />

sul piano m<strong>il</strong>itare, prima o poi trasporterebbe<br />

a Roma le forze necessarie per avere


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

ragione della neonata repubblica. Non presta,<br />

quindi, la debita attenzione all’iniziativa di Garibaldi<br />

perché la sua politica si muove su tutt’un<br />

altro piano. La smentita della sua impostazione,<br />

con la scommessa perduta sulla reazione<br />

della sinistra francese, apre così più fac<strong>il</strong>mente<br />

all’invasione straniera le porte di Roma e lascerà<br />

in Garibaldi la delusione dell’occasione<br />

mancata destinata poi a trasformarsi in rancore,<br />

quando sulla via della fuga da Roma verso<br />

Venezia perderà la moglie Anita.<br />

Cinque anni dopo, nel 1854, Mazzini e Garibaldi<br />

si reincontrarono a Londra, ancora una<br />

volta tutti e due esuli. Pur segnato dal fallimento<br />

della Repubblica romana e dalle polemiche<br />

successive, circa le responsab<strong>il</strong>ità dell’uno e<br />

dell’altro, <strong>il</strong> loro rapporto non è ancora definitivamente<br />

incrinato. Lungo tutto quello che fu,<br />

per <strong>il</strong> Cavour, <strong>il</strong> cosiddetto decennio di preparazione,<br />

Mazzini insegue la prospettiva della rivincita<br />

sempre nella logica insurrezionale, collezionando<br />

sanguinose sconfitte, da Belfiore a<br />

Sapri, che, ab<strong>il</strong>mente sfruttate dalla propaganda<br />

sabauda, gli alienarono numerose simpatie.<br />

Nello stesso tempo, gli si delinea, però, chiaramente<br />

la via del successo, e cioè la rivoluzione<br />

a partire dalla Sic<strong>il</strong>ia, affidata a Garibaldi.<br />

Nel colloquio londinese, Mazzini torna ad incitare<br />

l’eroe dei due mondi a capitanare la nuova<br />

impresa, così come gli aveva scritto tre anni<br />

prima, <strong>il</strong> 14 novembre 1851, in una lettera<br />

che è oggi conservata presso la Biblioteca della<br />

Camera dei Deputati: «<strong>il</strong> moto di Sic<strong>il</strong>ia è<br />

d’una importanza vitale per noi ... in Sic<strong>il</strong>ia vi<br />

chiedono». È significativo che Mazzini senta <strong>il</strong><br />

bisogno, nella stessa lettera, di riaffermare la<br />

bandiera della Repubblica italiana unitaria,<br />

mentre dichiara di «confidare» che questa sia<br />

sempre, anche per Garibaldi, l’aspirazione finale.<br />

Nella scelta di questo verbo, si insinua <strong>il</strong><br />

dubbio di una divergenza programmatica, se<br />

non ideologica, destinata a maturare.<br />

In quello stesso 1854, nell’indispettita ost<strong>il</strong>ità di<br />

Mazzini, Cavour miete <strong>il</strong> successo della partecipazione<br />

piemontese alla guerra di Crimea<br />

che frutterà al piccolo stato sardo quel riconoscimento<br />

europeo che gli consentirà di porre<br />

sul piano diplomatico la questione italiana in<br />

84<br />

storia<br />

chiave antiasburgica. La novità positiva non<br />

sfugge, invece, a Garibaldi, sempre più aperto<br />

a considerare pragmaticamente l’eventualità<br />

della collaborazione con i Savoia.<br />

In verità, quando tra <strong>il</strong> 1859 e <strong>il</strong> 1860 la prospettiva<br />

dell’unificazione italiana diventa realtà,<br />

anche Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e ad anteporre la<br />

liberazione dallo straniero e la conquista dell’indipendenza<br />

nazionale alla questione istituzionale.<br />

Ritornato in Italia, percepisce <strong>il</strong> rischio<br />

di essere escluso politicamente dalla conclusione<br />

di quel processo storico di cui è stato l’iniziatore.<br />

Accetta, quindi, la logica dell’espansionismo<br />

sabaudo, purchè una assemblea costituente<br />

sia poi convocata per decidere tra la<br />

monarchia e la repubblica.<br />

Galvanizzato dalla prova m<strong>il</strong>itare della seconda<br />

guerra di indipendenza in cui, a differenza del<br />

padre, Vittorio Emanuele II lo ha accolto con<br />

grande simpatia personale, Garibaldi è, tutta-<br />

via, deluso dall’armistizio di V<strong>il</strong>lafranca ed in un<br />

certo senso è disponib<strong>il</strong>e a farsi risucchiare<br />

nell’orbita mazziniana, anche perché lo separa<br />

profondamente dal Cavour la questione di Nizza,<br />

la sua citta natale ceduta alla Francia in<br />

cambio dell’aiuto ricevuto contro l’Austria.<br />

La spedizione dei M<strong>il</strong>le, che salpa da Quarto ai<br />

primi di maggio del 1860, non è altro che l’attuazione<br />

dell’antico progetto mazziniano della<br />

rivoluzione italiana che muove dal sud. Mazziniani<br />

sono i volontari che seguono Garibaldi,<br />

primo fra tutti quel Francesco Crispi che nella


storia<br />

riunione decisiva persuade l’ancora dubbioso<br />

generale garantendogli l’appoggio dei sic<strong>il</strong>iani.<br />

Sul piano internazionale, peraltro, la spedizione<br />

potè contare sul sostegno navale inglese<br />

che si rivelò decisivo per un sicuro approdo a<br />

Marsala. Se la Lombardia era stata liberata<br />

grazie all’alleanza di Cavour con Napoleone III,<br />

<strong>il</strong> Regno delle Due Sic<strong>il</strong>ie sarebbe crollato grazie<br />

all’Ingh<strong>il</strong>terra, la cui opinione pubblica era<br />

stata da Mazzini ispirata a favore dell’unificazione<br />

italiana.<br />

Mentre Garibaldi conquista la Sic<strong>il</strong>ia e risale la<br />

penisola, Mazzini tenta invano di organizzare<br />

una colonna insurrezionale che gli vada incontro<br />

dall’Italia centrale, la stessa operazione che<br />

fu, invece, compiuta con successo da Vittorio<br />

Emanuele II° attraverso le Marche e l’Umbria.<br />

Mazzini e Garibaldi si ritrovano, quindi, a Napoli<br />

nel settembre del 1860, insieme anche a<br />

Carlo Cattaneo. Tutto lo stato maggiore della<br />

democrazia italiana è riunito nell’ex capitale<br />

borbonica in quello che è senz’altro <strong>il</strong> tornante<br />

decisivo del Risorgimento nazionale. Mazzini<br />

vorrebbe che Garibaldi continuasse la spedizione<br />

per liberare Roma e Venezia. Cattaneo<br />

vorrebbe che Garibaldi convocasse una assemblea<br />

elettiva delle province meridionali per<br />

procedere in un’ottica federalista. Ad entrambi,<br />

Garibaldi opporrà l’impegno assunto nell’essersi<br />

proclamato dittatore nel nome di «Italia e<br />

Vittorio Emanuele» che manterrà poi a Teano<br />

consegnando al re sabaudo <strong>il</strong> mezzogiorno d’Italia.<br />

È, tuttavia, da sottolineare <strong>il</strong> fatto che Garibaldi<br />

non avallò le modalità dell’ammissione tramite <strong>il</strong><br />

plebiscito che sarebbero, poi, state attuate dal<br />

governo piemontese, ben lontano dal convocare<br />

l’assemblea costituente chiesa da Mazzini.<br />

Grava sulla conclusione del processo risorgimentale<br />

<strong>il</strong> giudizio storico di Antonio Gramsci<br />

per cui la parte democratica sarebbe stata<br />

sconfitta dalla parte moderata per la sua inconsistenza<br />

ideologica. Senza entrare nel merito<br />

della questione storiografica, è però da evidenziare<br />

che furono i democratici, e cioè i mazziniani<br />

e i garibaldini, a conseguire l’obiettivo<br />

unitario in virtù della spedizione dei M<strong>il</strong>le, dal<br />

momento che la strategia cavouriana si era di-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

85<br />

mostrata capace di realizzare soltanto un ampliamento<br />

dei confini sabaudi e di questo era<br />

parsa paga.<br />

Quando nel febbraio del 1861 <strong>il</strong> Parlamento<br />

nazionale proclama l’unità d’Italia, Mazzini e<br />

Garibaldi sono divisi, ma in realtà sono tutti e<br />

Quando la prospettiva<br />

dell’unificazione italiana<br />

diventa realtà, anche<br />

Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e<br />

ad anteporre la<br />

liberazione dallo<br />

straniero e la conquista<br />

dell’indipendenza<br />

nazionale alla questione<br />

istituzionale.<br />

due in es<strong>il</strong>io, l’uno a Londra, l’altro a Caprera.<br />

Per entrambi, l’unificazione non può dirsi compiuta<br />

se Roma non è ancora la capitale d’Italia.<br />

Forte in loro la tensione per <strong>il</strong> riscatto della Repubblica<br />

romana del 1849. Comune è, quindi,<br />

l’aspirazione a tener vivo <strong>il</strong> moto nazionale, a<br />

continuare a fare proseliti, a raccogliere armi e<br />

fondi, a proiettare l’irredentismo italiano nella<br />

lotta di liberazione dei popoli europei.<br />

Trionfalmente rieletto deputato, Garibaldi cerca<br />

l’appoggio di Mazzini per mantenere viva la<br />

speranza dell’unificazione puntando sui Balcani.<br />

Sa che solo <strong>il</strong> Genovese può imbastire le<br />

necessarie alleanze politiche, ma al tempo<br />

stesso pretende che al momento dell’azione l’iniziativa<br />

gli sia lasciata completamente libera,<br />

ribadendo anche in questa occasione l’ormai<br />

maturata insofferenza per ogni forma di tutela<br />

politica, anche da parte dello stesso Mazzini.<br />

Cerca, piuttosto, di fargli mutare giudizio sul<br />

conto del re, <strong>il</strong> quale, pur scontando la «fatale<br />

educazione dei principi, è buono» ed è stato la<br />

leva perché si realizzasse l’Italia di Dante e<br />

Machiavelli.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Deluso dai risultati elettorali assai favorevoli al<br />

Cavour, Garibaldi arriverà ad uno scontro durissimo<br />

con <strong>il</strong> primo ministro quando si recherà<br />

per la prima volta a Torino nella primavera del<br />

1861 per opporsi alla liquidazione dell’esercito<br />

meridionale, che avrebbe invece voluto pienamente<br />

inserito nelle forze armate regie. Ma,<br />

nonostante l’asperità verbale reciproca, egli<br />

cercherà anche in Cavour un appoggio per i<br />

suoi piani balcanici, pronto anche a rinnegare<br />

Mazzini, in una lettera privata in cui spera di<br />

trarre dalla sua parte <strong>il</strong> conte piemontese. Garibaldi<br />

si <strong>il</strong>ludeva, in tal modo, di avere un’altra<br />

occasione per promuovere <strong>il</strong> suo Esercito - Nazione,<br />

che avrebbe dovuto sostituire <strong>il</strong> tradizionale<br />

modello dell’esercito stanziale.<br />

La morte del Cavour e la conseguente crisi dei<br />

circoli a lui più vicini della Destra storica avrebbero<br />

riacceso in Garibaldi, grazie all’ascesa al<br />

potere del Rattazzi ed al segreto sostegno del<br />

re, l’aspettativa di liberare Roma con un colpo<br />

di mano. L’episodio di Aspromonte (agosto<br />

1862) lo riporta, in un certo senso, nelle braccia<br />

di Mazzini. La loro riconc<strong>il</strong>iazione fu allora<br />

da più parti auspicata, come ebbe a scrivere,<br />

fra gli altri, Giovanni Gr<strong>il</strong>lenzoni: «<strong>il</strong> giorno che<br />

cesserà ogni dubbio di qualsiasi divergenza, e<br />

che niuno ignorerà che i due più grandi uomini<br />

dell’epoca nostra avranno preso in una sola le<br />

anime loro, <strong>il</strong> partito veramente italiano diverrà<br />

irresistib<strong>il</strong>e potenza» (8 ottobre 1873).<br />

Di tale clima è prova <strong>il</strong> celebre brindisi che ebbe<br />

luogo a casa Herzen a Londra nel 1864, di cui si<br />

86<br />

storia<br />

è già detto all’inizio. A Mazzini, che lo aveva salutato<br />

come l’uomo che rappresentava l’incarnazione<br />

vivente degli ideali di libertà e di unione<br />

dei popoli, Garibaldi rispose affermando di dover<br />

compiere un dovere che da tempo sentiva<br />

suo, chiamandolo amico e maestro per sempre:<br />

«in lui non si è mai spenta la fiamma dell’amore<br />

della patria e della libertà». A conferma di tali<br />

sentimenti, del resto corrispondenti al clima politico<br />

di quegli anni in cui Garibaldi prendeva le<br />

distanze dal governo monarchico, si possono<br />

peraltro citare le innumerevoli lettere da lui dirette<br />

ai democratici sic<strong>il</strong>iani perché sostenessero,<br />

tra <strong>il</strong> 1865 e <strong>il</strong> 1867, la triplice elezione di Mazzini<br />

a deputato del collegio di Messina. L’elezione,<br />

come noto, fu prima, per due volte annullata, a<br />

causa della pendente condanna a morte e poi,<br />

da ultimo, rifiutata dallo stesso Mazzini per incompatib<strong>il</strong>ità<br />

istituzionale.<br />

Ma, come una delusione relativa a Roma<br />

aveva favorito un estremo riavvicinamento<br />

tra i due, fu proprio una analoga vicenda a<br />

provocare la definitiva rottura. Garibaldi, infatti,<br />

addossò a Mazzini la principale responsab<strong>il</strong>ità<br />

del fallimento dell’impresa di Mentana<br />

(1867) perché non gli avrebbe fatto affluire da<br />

Londra i fondi necessari alla spedizione. Da<br />

allora, si può dire che un muro di incomunicab<strong>il</strong>ità<br />

li separi per sempre. Ad avviso di Garibaldi<br />

Mazzini avrebbe preferito lasciare Roma<br />

al Papa piuttosto che vederla unita all’Italia<br />

monarchica.<br />

Eppure non si può fare a meno di pensare che,<br />

pur divisi ormai da un’incolmab<strong>il</strong>e frattura, essi<br />

abbiano provato lo stesso senso di impotenza<br />

quando, <strong>il</strong> 20 settembre 1870, Roma diventava<br />

sì la capitale d’Italia, ma senza <strong>il</strong> loro contributo,<br />

essendo Mazzini imprigionato a Gaeta e<br />

Garibaldi rintanato a Caprera.<br />

È tuttavia da dire che, mentre Mazzini cercò<br />

sempre di mantenere un dialogo aperto con<br />

Garibaldi, anche negli ultimi anni della sua vita,<br />

facendo tacere i personalismi in nome della<br />

causa comune, <strong>il</strong> Nizzardo non ebbe lo stesso<br />

atteggiamento e in più occasioni denigrò Mazzini<br />

con critiche ed accuse di carattere personale.<br />

Per molti aspetti, l’essergli sopravvissuto,<br />

fece sì che le sue memorie assumessero spes


storia<br />

so <strong>il</strong> tono di una resa dei conti postuma tale da<br />

dettare giudizi invero taglienti e ingenerosi.<br />

Solo uno storico superficiale oppure fazioso<br />

potrebbe dare credito a tali giudizi e considerarli<br />

chiavi interpretative quando non sono altro<br />

che sfoghi di natura personale, prima che politica.<br />

Prendere per buona l’affermazione che<br />

Mazzini sarebbe sempre stato <strong>il</strong> principale<br />

ostacolo dell’unità italiana significherebbe<br />

smentire non tanto una vita spesa per quell’obiettivo,<br />

quanto la stessa biografia garibaldina.<br />

Poiché la storia è fatta dagli uomini, l’incontro<br />

tra Mazzini e Garibaldi ha rappresentato un fattore<br />

decisivo per <strong>il</strong> processo risorgimentale,<br />

quali che siano state le alterne vicende del loro<br />

rapporto.<br />

Garibaldi ha tratto da Mazzini le linee guida di<br />

un pensiero politico e sociale che erano necessarie<br />

per incanalare le sue originarie aspirazioni<br />

alla libertà ed alla giustizia. È dalle parole<br />

di Mazzini che Garibaldi trae l’idea della<br />

nazione italiana, della fratellanza universale tra<br />

i popoli, dell’emancipazione dei lavoratori.<br />

Conquistato sin da giovanissimo dal mito di<br />

Roma educatrice dell’umanità, Garibaldi ne trovò<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo ideale nella Terza Roma mazziniana,<br />

la Roma del Popolo che avrebbe preso<br />

<strong>il</strong> posto della Roma dei Cesari e dei Papi. Se in<br />

entrambi, al riguardo, è forte la polemica contro<br />

<strong>il</strong> potere temporale nella consapevolezza<br />

che <strong>il</strong> papato ha storicamente impedito la formazione<br />

della nazione italiana, tale atteggiamento<br />

si accentua in Garibaldi in un anticlericalismo<br />

a tratti violento e cocciuto, che invece<br />

è sconosciuto a Mazzini <strong>il</strong> quale, come noto,<br />

consentì <strong>il</strong> libero esercizio del culto cattolico<br />

sotto la Repubblica romana, garantendo salva<br />

la vita a tutti i preti.<br />

L’anticlericalismo è forse la ragione che avvicinò<br />

maggiormente Garibaldi alla massoneria,<br />

mentre Mazzini non ne fu mai membro. D’altra<br />

parte, se c’è un aspetto del pensiero mazziniano<br />

a cui Garibaldi fu sempre refrattario, fu quello<br />

religioso, che non comprendeva perché integralmente<br />

materialista, e cioè non credente in<br />

alcuna trascendenza.<br />

L’idea di Repubblica è certamente quella che<br />

più unisce i due personaggi anche se in Mazzi-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

87<br />

ni è più sv<strong>il</strong>uppata la concezione della democrazia,<br />

mentre a Garibaldi non è estranea una<br />

considerazione della leadership politico-m<strong>il</strong>itare<br />

di estrazione sudamericana. Pur venuto a<br />

patti con la monarchia, Garibaldi si disse sempre<br />

repubblicano, intendendo la Repubblica<br />

come «governo normale delle genti», nella certezza<br />

che l’istituto monarchico sarebbe, prima<br />

o poi, crollato per i propri vizi interni.<br />

Nella sua polemica con Mazzini, infatti, Garibaldi<br />

insisteva sull’immaturità del popolo italiano<br />

per la forma repubblicana, a causa del lungo<br />

dispotismo subito, rimproverando al Genovese<br />

di parlare sempre del popolo, ma di non<br />

conoscerlo realmente. Pur tuttavia, in tutto <strong>il</strong><br />

periodo postunitario, Garibaldi fu sempre fieramente<br />

avversario dell’indirizzo politico dei governi<br />

monarchici, crticando anche la Sinistra<br />

storica quando giunse al potere.<br />

Da Mazzini Garibaldi aveva, altresì, tratto la<br />

piena coscienza dell’indissolub<strong>il</strong>ità della questione<br />

istituzionale e della questione sociale: <strong>il</strong><br />

riscatto dei lavoratori avrebbe potuto essere<br />

conseguito soltanto in un regime repubblicano<br />

dal momento che quello monarchico era governato<br />

dal priv<strong>il</strong>egio. Non a caso, le prime organizzazioni<br />

sindacali dei lavoratori italiani si<br />

ispirarono ad entrambi, come confermerà <strong>il</strong><br />

Congresso di Roma del 1871. Quelle che sono<br />

sembrate le maggiori aperture di Garibaldi ver


LIBERTÀ E SECONDA REPUBBLICA<br />

La lunga sfida di Edgardo Sogno<br />

Pagine: 190<br />

Prezzo: euro 16,00<br />

Collana: Documenti e Ricerche<br />

Introduzione di Dario Fert<strong>il</strong>io<br />

Scritti di: Edgardo Sogno, Paolo Armaroli, S<strong>il</strong>vio<br />

Berlusconi, Francesco Forte, Marco Grandi,<br />

Francesco Perfetti, Sergio Romano, Gian Enrico<br />

Rusconi e Sergio Scalpelli<br />

Questo libro raccoglie <strong>il</strong> contributo di alcuni dei più significativi<br />

amici di Edgardo Sogno, uniti dalla stima per questo<br />

straordinario protagonista della storia italiana, che ne hanno<br />

voluto approfondire l’originale pensiero. Nel libro sono<br />

raccolti scritti di Edgardo Sogno in materia di riforma istituzionale,<br />

alcuni dei quali assolutamente inediti. La lotta<br />

per una nuova costituzione che superasse quella “compromissoria”<br />

che ancora regge <strong>il</strong> paese, è stato <strong>il</strong> tema dominante,<br />

dagli anni ’70 fino alla scomparsa di questo grande<br />

pensatore liberale, che seppe misurarsi dopo gli anni<br />

dell’azione nella resistenza, con la lotta all’egemonia cattocomunista<br />

sulla società italiana.<br />

BIETTI<br />

dal 1870<br />

CATALOGO ON LINE: www.edizionibietti.it<br />

PER ACQUISTI ON LINE: www.ragioncritica.it<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

88<br />

storia<br />

so <strong>il</strong> socialismo, verso l’Internazionale, verso la<br />

Comune di Parigi, verso Bakunin, non sono in<br />

realtà ascrivib<strong>il</strong>i ad una impostazione ideologica<br />

diversa da quella mazziniana, ma soltanto<br />

ad una più libera predisposizione a giocare a<br />

tutto campo, alla ricerca di una più larga platea<br />

rivoluzionaria. Del resto, tali posizioni garibaldine<br />

emergono proprio negli anni finali del maggiore<br />

dissenso personale con Mazzini e, probab<strong>il</strong>mente,<br />

non sono esenti da una volontà di<br />

differenziazione rispetto all’antico maestro.<br />

La concordia tra Mazzini e Garibaldi ritorna preponderante<br />

sul piano della solidarietà con gli altri<br />

popoli oppressi. Ispirato dall’insegnamento<br />

mazziniano, Garibaldi pose la sua spada al servizio<br />

delle aspirazioni nazionali dei popoli sudamericani<br />

e sostenne quelle dei popoli dell’Europa<br />

centrale ed orientale. A differenza di Mazzini,<br />

non serbò rancore alla Francia, né per l’occupazione<br />

di Roma, né per l’annessione di Nizza<br />

e nel 1870 condusse una colonna di volontari<br />

alla vittoria di Digione nella guerra francoprussiana.<br />

Ne seguì la sua elezione a deputato<br />

all’Assemblea nazionale francese di Bordeaux,<br />

che fu strenuamente difesa da Victor Hugo nel<br />

marzo 1871 contro i generali imperiali che avevano<br />

subito l’onta della sconfitta e non si rassegnavano<br />

al fatto che l’onore del loro Paese fosse<br />

stato salvato da uno straniero.<br />

Tutte le grandi cause umanitarie dell’epoca<br />

avevano visto Mazzini e Garibaldi uniti perché<br />

entrambi convinti del valore universale degli<br />

ideali di libertà e di giustizia, a prescindere dalla<br />

latitudine. Entrambi sostennero convintamene<br />

la campagna abolizionista del presidente<br />

Lincoln; ad entrambi si ispirò Benito Juarez per<br />

la liberazione del Messico.<br />

Il diverso modo di porsi dei due fu, però, anche<br />

in questo campo evidente in occasione del<br />

congresso per la pace mondiale che si tenne a<br />

Ginevra nel 1867. All’entusiastica adesione di<br />

Garibaldi, dettata dalla naturale ed immediata<br />

simpatia per tutte le nob<strong>il</strong>i cause, corrispose<br />

quella più tiepida di Mazzini che, pur dichiarando<br />

di condividere <strong>il</strong> principio generale del pacifismo,<br />

rivendicava <strong>il</strong> diritto, ed anzi <strong>il</strong> dovere, di<br />

combattere le guerre giuste ove, cioè, fossero<br />

in gioco le legittime aspirazioni dei popoli.


Il 30 apr<strong>il</strong>e 1849 <strong>il</strong> generale Oudinot in testa al<br />

corpo di spedizione giunge in visita della città,<br />

convinto che i repubblicani non potranno opporre<br />

altro se non una resistenza assai debole<br />

di fronte all’azione m<strong>il</strong>itare che invece saprà<br />

esprimere la truppa ai suoi ordini, supportata<br />

da una più che adeguata e sperimentata logistica,<br />

ma soprattutto esperta, essendo reduce<br />

dalla vittoriosa campagna d’Algeria, disciplinata<br />

e munita di un armamento omogeneo e moderno,<br />

con particolare riferimento alle artiglierie<br />

ed alle sue tecniche di applicazione di memoria<br />

napoleonica, e che non manca do ostentare<br />

spavalda sicurezza per l’appartenenza ad<br />

un esercito considerato fra i più agguerriti ed<br />

efficienti in Europa; ma la dis<strong>il</strong>lusione sarà tanta.<br />

Infatti, avvicinatisi alle mura su tre direttrici<br />

in formazioni a ranghi serrati e con gli uffic<strong>il</strong>ai in<br />

tenuta da parata, a Porta San Pancrazio i voltiguers<br />

(fanteria leggera) e gli chasseurs francesi<br />

sono accolti da micidial scariche di fuc<strong>il</strong>eria<br />

provenienti dagli spalti e da ogni dove che li<br />

costringe a fermarsi, nonostante quel fuoco incrociato<br />

venisse controbattuto immediatamente<br />

dagli artiglieri francesi, spezzando la sommità<br />

delle mura con proiett<strong>il</strong>i a mitraglia.<br />

Lo scontro si estende su tutto <strong>il</strong> fronte. A V<strong>il</strong>la<br />

Pamph<strong>il</strong>i, dopo una feroce mischia, vengono<br />

fatti prigionieri trecento francesi della seconda<br />

colonna con <strong>il</strong> loro comandante: <strong>il</strong> Colonnello<br />

Picard; la terza colonna, infine, nel tentativo di<br />

aggirare i giardini vaticani, viene fermata dai<br />

cannoni ivi appostati e dai carabinieri romani<br />

comandati dal Colonnello Angelo Calderara.<br />

Seguirono momenti di disorientamento nelle f<strong>il</strong>e<br />

degli assalitori, quel tanto che si erano auspicati<br />

i Volontari e i Garibaldini, i quali, usciti<br />

dalla cinta muraria sotto la guida di Garibaldi,<br />

di Manara e di altri Comandanti, si avventano<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à storia<br />

Note su<br />

«La Repubblica romana del 1849»<br />

di Italo Pasqui<br />

90<br />

alla baionetta sui fianchi delle ormai scompaginate<br />

formazioni nemiche, ingaggiandole in furiosi<br />

corpo a corpo e conseguendo una vittoria<br />

totale, a tal punto che lo stesso Triumvirato,<br />

nella speranza di aprire quanto prima i negoziati<br />

diplomatici con <strong>il</strong> governo francese, dovette<br />

intervenire d’autorità con l’ordine di interrompere<br />

l’inseguimento dei reparti in ritirata;<br />

ordine al quale i Patrioti, pur mordendo <strong>il</strong> freno,<br />

dovettero sottostare. Al calar della sera, centinaia<br />

di corpi rimasero inerti sul campo a testimoniare<br />

l’asprezza dello scontro, mentre vennero<br />

fatte varie centinaia di prigionieri, <strong>il</strong> cui<br />

scambio, avvenuto pochi giorni dopo, consentirà<br />

la liberazione dell’intera guarnigione di Civitavecchia,<br />

che andrà ad ingrossare la difesa<br />

delle mura. Anche un pezzo di artiglieria cadrà<br />

in mano ai difensori.<br />

L’inaspettata e strenua resistenza, oltre agli<br />

esiti di quella bruciante sconfitta, indurrà l?oudinot<br />

ad interrompere le operazioni m<strong>il</strong>itari e ad<br />

accettare un armistizio, mentre <strong>il</strong> governo<br />

transalpino si adopererà non certo per motivi<br />

umanitari o di solidarietà verso quei principi a<br />

suo tempo tanto orgogliosamente celebrati con<br />

la bandiera imperiale francese, quanto per<br />

temporeggiare ed inviare rinforzi, come puntualmente<br />

avverrà elevando la consistenza della<br />

spedizione, ora Armata del Mediterraneo, a<br />

35.000 uomini (oltre 40.000, a memoria di Garibaldi).


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i,<br />

libri che...<br />

di Francesco Gironda<br />

Marco Giaconi, Il costo della Politica, Franco Angeli,<br />

M<strong>il</strong>ano 2008, ISBN 978-88-464-9620-1, Euro 18,00<br />

Il costo della politica<br />

Questo lavoro parte dall’osservazione empirica<br />

e comparativa della presenza di distorsioni<br />

strutturali della rappresentanza politica.<br />

Per l’autore queste deformazioni non derivano<br />

da deviazioni temporanee e casuali della «volontà<br />

popolare», ma sono insite nei meccanismi<br />

rappresentativi.<br />

Il costo della politica, per l’autore, non è quindi<br />

solo <strong>il</strong> costo della corruzione, ma anche e soprattutto<br />

<strong>il</strong> costo della deformazione delle richieste<br />

e delle soluzioni politiche quando esse<br />

si inseriscano nel processo della rappresentanza.<br />

Non è ormai esaustiva una rappresentazione,come<br />

quella della «scelta razionale», che<br />

descrive l’elettore come ispirato da processi razionali<br />

nella scelta delle opzioni politiche più<br />

coerenti con i propri legittimi interessi. Giaconi<br />

infatti afferma che non è più possib<strong>il</strong>e concepire<br />

<strong>il</strong> processo politico come un semplice riflesso,<br />

se non addirittura come una trasposizione,<br />

92<br />

in libreria<br />

della volontà degli elettori. L’autore elabora<br />

molte delle tematiche del marketing politico e<br />

commerciale, ed alcuni dei modelli di psicologia<br />

politica, per analizzare come, sempre di<br />

più, oltre alla classica «pubblicità» politica, vi<br />

sia oggi una vera e propria commercializzazione<br />

delle opzioni politiche, che interferisce, alterandola,<br />

con la percezione dei problemi sia degli<br />

elettori che delle stesse classi dirigenti. Il<br />

saggio di Giaconi non trascura comunque l’analisi<br />

classica della politica: <strong>il</strong> risultato dello<br />

scambio tra elettori ed eletti, sia esso lecito o <strong>il</strong>lecito,<br />

i modelli di deformazione strutturale delle<br />

decisioni, le tecniche con le quali sia gli elettori<br />

che gli eletti selezionano, rielaborano, le<br />

varie opzioni che sono state oggetto di attenzione<br />

nel confronto politico ed elettorale, ma<br />

pone un’attenzione particolare a tutti gli aspetti<br />

che hanno segnato negli ultimi anni, in maniera<br />

eccentrica rispetto al passato, l’evolversi<br />

del rapporto tra i cittadini e <strong>il</strong> potere elettivo.<br />

Una lettura da consigliare in particolare a coloro<br />

che vogliono studiare le riforme del sistema<br />

elettorale italiano e la selezione delle classi dirigenti,<br />

Marco Giaconi è direttore di ricerca al Centro<br />

M<strong>il</strong>itare di Studi Strategici di Roma e collabora,<br />

con studi geopolitici e strategici, alla Presidenza<br />

del Consiglio dei Ministri. Tra le sue opere,<br />

«Le Organizzazioni criminali internazionali,<br />

aspetti geostrategici e economici», Collana Ce-<br />

MiSS, Franco Angeli 2001-»Spazio e potere,<br />

Modelli di geopolitica», Franco Angeli, 2003-<br />

»Maghreb al Aqsa, l,Estremo Occidente», Osservatorio<br />

strategico Cemiss, 2002, è membro<br />

dello IAI e dell’ISTRID. Collabora alla rivistq<br />

dell’AISI «GNOSIS» e ad «Affari Esteri».


in libreria<br />

Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di una americana<br />

a Roma 2001-2006. Editori Riuniti 2007, Euro 16,00<br />

Spigolando tra i blog<br />

Spigolando tra i blog ho trovato una straordinaria<br />

e puntuale analisi di una recensione del<br />

libro di Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di<br />

una americana a Roma pubblicato dall’Unità. Il<br />

libro, per altro, è un interessante esempio dei<br />

pensieri e delle riflessioni di una esponente di<br />

quella gauche-caviar internazionale, di alto livello<br />

sociale ed elegante scrivere, che pensa<br />

che far uscire l’Italia dal disastro in cui da decenni<br />

si trova sia compito delegab<strong>il</strong>e con successo<br />

proprio a quelle livorose anime belle della<br />

politica italiana che di quel disastro ormai decennale<br />

portano per intero la responsab<strong>il</strong>ità.<br />

valeforn@ così scrive sul suo blog:<br />

«È sabato mattina.<br />

Sto leggendo un articolo a dir poco suggestivo<br />

su l’Unità online (ognuno persegue le pratiche<br />

masochiste che preferisce). Sembra un giallo,<br />

una spy-story mentre invece è la triste realtà<br />

quotidiana di questa Italia al declino.<br />

L’articolo è scritto da Marco Travaglio attenta e<br />

solerte sentinella su ogni malcostume o nefandezza.<br />

L’articolo è una recensione al libro di Alice Oxman<br />

Sotto Berlusconi - Diario di un americana<br />

a Roma.<br />

Mi butto a capofitto nella lettura tanto da percepire<br />

subito che i j’accuse sono riferiti al ne-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

93<br />

mico pubblico numero uno che coi suoi miasmi<br />

sta infettando la nostra frag<strong>il</strong>e democrazia.<br />

Beh... intanto Travaglio ci fa sapere che Alice<br />

Oxman è americana, ma ama l’Italia come e<br />

forse più di molti italiani. Anzi, facciamo così...<br />

ne riporto alcuni stralci.<br />

Questo libro di Alice Oxman, una scrittrice<br />

americana che ama l’Italia piú di molti italiani, è<br />

un formidab<strong>il</strong>e antidoto contro l’amnesia furbetta<br />

e miope di chi non vuole fare i conti fino in<br />

fondo con quella stagione nera che ha riportato<br />

in superficie, dopo sessant’anni, i peggiori liquami<br />

di una certa Italia. Sotto Berlusconi è <strong>il</strong><br />

diario puntuale e certosino, dunque inevitab<strong>il</strong>mente<br />

indignato, di una donna che ogni giorno<br />

ha annotato in tempo reale le vergogne del<br />

quinquennio berlusconiano. ...<br />

Ne viene fuori una cronaca impietosa non solo<br />

della nascita e della crescita di un regime moderno,<br />

o postmoderno, ma anche della mitridatizzazione<br />

che giorno dopo giorno, complice <strong>il</strong><br />

monopolio dell’informazione, induce i piú ad<br />

abituarsi, ad assuefarsi, ad abbassare progressivamente<br />

le difese immunitarie, a lasciar<br />

passare i peggiori orrori sempre nella convinzione<br />

autoconsolatoria che “questa è l’ultima<br />

volta”. E invece è sempre la penultima. Con<br />

l’occhio sgombro dalle lenti deformate del fam<strong>il</strong>ismo<br />

amorale e dell’eterno fascismo italiota,<br />

l’autrice scandisce sempre piú angosciata, stupita<br />

e sconcertata i rintocchi di quelle giornate<br />

che sembravano non finire mai...<br />

Sullo sfondo, mentre cadono i foglietti del calendario,<br />

prende corpo l’Agenda Unica del regime<br />

e del suo ducetto, che fa sparire interi pezzi<br />

di realtà dalle sue tv (tutte) e dunque dalla<br />

mente dei cittadini. E impone i suoi interessi a<br />

un’intera nazione, finendo per convincerla che<br />

le vere emergenze nazionali sono i (suoi) processi,<br />

le (sue) aziende, le (sue) tasse. “Un regime<br />

–scrive l’autrice – nasce tra m<strong>il</strong>le distrazioni.<br />

Scrivo per non avere rimpianti”.<br />

Lo schifo monta in me proseguendo la lettura<br />

riga dopo riga.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ma come ho potuto essere così cieco da non<br />

vedere la vera realtà che mi circonda? Come<br />

ho potuto non ascoltare l’allarme che la parte<br />

sana del Paese lanciava? Come ho potuto<br />

consegnare <strong>il</strong> mio destino e <strong>il</strong> destino degli italiani<br />

nelle mani di un personaggio sim<strong>il</strong>e?<br />

Perché doveva riuscirci una americana a farmi<br />

spalancare gli occhi sull’orrore di questo latente<br />

regime? Come ho potuto?<br />

Perché è capitato che ad aprirmi gli occhi fosse<br />

la Oxman, un’americana, la moglie di Furio<br />

Colombo?<br />

La moglie di Furio Colombooo??????!!!! La<br />

moglie di Furio Colombooo??????!!!!<br />

Eporcapaletta!<br />

È sabato mattina. Uno si mette lì a cercare della<br />

sana informazione. Si sforza di trovarla in un<br />

articolo di recensione di Travaglio che a volte<br />

sembra dare la leggera percezione di non essere<br />

proprio superpartes ma te lo sogni sempre<br />

come l’immacolato paladino del bene, del<br />

giusto, dell’equo.<br />

La prima reazione è quella di aver sprecato<br />

cinque minuti preziosi di tempo.<br />

Poi la convinzione che si fa largo è quella che<br />

non sia stato tempo buttato via.<br />

Ti rendi conto che anche la definizione di “conflitto<br />

d’interessi” assume sfumature differenti a<br />

seconda delle prospettive.<br />

Provi a pensare se, anche questa come quell’altra<br />

Alice vive in un mondo di conigli parlanti<br />

e gatti stregatti, o cosa faranno e scriveranno<br />

mai i Travagli quando <strong>il</strong> S<strong>il</strong>vio opterà per la pensione?<br />

Provi a pensare in quale piccolo mondo fogazzariano<br />

vivono e quanto violento sia <strong>il</strong> loro<br />

vivere, pensare ed agire quotidiano. Quanto<br />

disprezzo e derisione mostrino per la volontà<br />

popolare che quel ducetto ha voluto con<br />

espressione di voto, tanto da considerarlo alla<br />

stregua di un popolo bue che, per autoconvinzione<br />

vive volutamente beato e immerso<br />

94<br />

in libreria<br />

nell’ “eterno fascismo italiota” con la mente<br />

annientata dalle tv berlusconiane.<br />

Sorridi pensando ai lucrosi guadagni del farmacista<br />

di fiducia dei coniugi Colombo che a<br />

quintalate di Maalox venduto alla coppia si sarà<br />

fatto la v<strong>il</strong>letta in Costa Smeralda contigua a<br />

quella del “ducetto” e a tutti gli italiani che<br />

ascoltano impassib<strong>il</strong>i le urla belluine di questi livorosi<br />

e con regolarità impressionante li mandano<br />

a quel paese.<br />

Mandano a quel paese i Colombo e le Oxman<br />

così come i Travaglio e i Flores D’Arcais. Mandano<br />

a quel paese quelli che urlano per <strong>il</strong> Berlusconi<br />

che non soggiace alla giustizia e al volere<br />

della magistratura dimenticando che quando<br />

fu <strong>il</strong> loro turno si ribellarono al grido di “Io<br />

non ci sto”, o ad un Borrelli che dimostra quanto<br />

deve essere distante <strong>il</strong> potere giudiziario da<br />

quello politico lanciano <strong>il</strong> suo triplice “Resistere”,<br />

e pure i soloni della politica che vogliono risanare<br />

l’Italia partendo da un buco di b<strong>il</strong>ancio<br />

clamoroso come quello che hanno lasciato al<br />

Comune di Roma o quegli altri che ancora si<br />

domandano come abbiano fatto gli italiani a<br />

farli sparire dal Parlamento.<br />

Mai sottovalutare gli italiani e immaginarli come<br />

idioti in balia del televenditore o disposti ad<br />

annullare la propria capacità critica e di pensiero<br />

per ridursi al ruolo di “servi furbi”.<br />

Poi quelli si incazzano e con una ics a matita<br />

sul foglio giusto vi cacciano fuori dalla storia e<br />

dai coglioni».

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!