12.06.2013 Views

Antologia Pagine Ribelli Volume Terzo

Antologia Pagine Ribelli Volume Terzo

Antologia Pagine Ribelli Volume Terzo

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Autori Vari<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

<strong>Terzo</strong> <strong>Volume</strong><br />

2


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Ad Agosto <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> compie tre anni di attività.<br />

Tre anni di intenso lavoro, di soddisfazioni, di<br />

entusiasmo, nei quali siamo riusciti a traguardare<br />

impegni importanti e progetti ambiziosi.<br />

Con orgoglio possiamo dire che questa realtà e<br />

questo gruppo è conosciuto sia in Italia che all’estero.<br />

A fianco di autori ormai affezionati alle nostre attività<br />

e ai nostri concorsi, si aggiungono e partecipano<br />

nuovi autori,giovani e meno giovani, che ci onorano<br />

della loro attenzione e collaborazione. Siamo riusciti a<br />

realizzare e a concretizzare tutto ciò grazie<br />

soprattutto a voi, a voi autori, che con i vostri scritti,<br />

la vostra attenzione e il vostro appoggio ci state<br />

supportando in modo significativo.<br />

Tre anni di vita e di attività non sono pochi, un<br />

risultato ed un traguardo per nulla<br />

scontato,soprattutto perché raggiunto in uno scenario<br />

in cui la deriva culturale, l’assopimento delle<br />

coscienze e delle menti umane è divenuto strategia<br />

dell’agire del potere politico ed economico.<br />

Il lavoro portato a termine da quella sera di agosto<br />

2008, nella quale si è deciso di intraprendere questo<br />

progetto, è stato tanto e ha visto come tappe<br />

fondamentali :<br />

• La realizzazione del sito www.pagineribelli.it<br />

3


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

• L’organizzazione del primo , del secondo e<br />

del terzo concorso letterario nazionale<br />

Adriano Zunino<br />

• L’organizzazione del concorso di poesia<br />

‘I Poeti di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong>’.Concorso gratuito<br />

esclusivamente on-line conclusosi con la<br />

realizzazione dell’omonima anotologia. Le<br />

adesioni sono state stratosferiche : 662<br />

Partecipanti (314 donne e 348 uomini) per<br />

2.492 Opere Inviate. Con una età media dei<br />

partecipanti di 39 anni.<br />

• Altro porgetto da ricordare è stato ‘Articolo<br />

32 Una Pillola Costituzionale’ legato al bando<br />

‘Adotta un articolo della costituzione’ indetto<br />

dall’ANPI provinciale di Savona al quale<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> ha aderito adottando l’articolo<br />

32 e realizzando l’antologia ‘Articolo 32 una<br />

Pillola costituzionale’ contenente il DVD<br />

della registrazione dello spettacolo teatrale<br />

realizzato il 1° Aprile 2011. Questo progetto<br />

è stato realizzanto attingendo dalle opere che<br />

abbiamo ricevuto nelle precedenti edizioni<br />

dei nostri concorsi e da opere appositamente<br />

inviate per questo scopo che ben si<br />

prestavano a trattare l’articolo 32 della nostra<br />

costituzione,da un punto di vista tipicamente<br />

letterario..<br />

• L’incontro importante e qualificante con la<br />

compagnia teatrale TimoteoTeatro di Elio<br />

4


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Berti ‘I commedianti’. Da questa<br />

collaborazione sono scaturiti lavori di<br />

drammatizzazione,di rievocazione e di<br />

declamazione collettiva delle opere legate alle<br />

edizioni del nostro concorso che hanno<br />

arricchito di significato e di qualità il nostro<br />

lavoro. Testimonianza di quanto le varie<br />

espressioni artistiche: poesia, racconti,teatro<br />

e musica si compenetrino e permettano di<br />

realizzare e costruire momenti di incontro<br />

collettivo e di spettacolo che a pieno titolo si<br />

annoverano in ciò che comunemente viene<br />

definito “espressione artistica”.<br />

• La collaborazione importante e significativa<br />

con la prof. Roberta Melandri che cura<br />

l’aspetto musicale di tutte le manifestazioni<br />

pubbliche ha dato un ulteriore senso al<br />

nostro lavoro.<br />

• La disponibilità,la qualificata competenza<br />

degli esponenti della giuria ha assicurato una<br />

grande continuità e serietà nelle valutazioni<br />

delle opere.<br />

• Le adesioni e i lavori dei partecipanti ai nostri<br />

concorsi ci hanno permesso di traguardare<br />

risultati importanti per noi inimmaginabili<br />

all’inizio del nostro percorso. E di ciò<br />

ringraziamo ancora tutti gli autori e i<br />

partecipanti ai nostri concorsi.<br />

L’impegno per il futuro è di continuare e rafforzare<br />

questo progetto, aperto a tutti coloro i quali vorranno<br />

5


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

partecipare, al di la e al di sopra delle appartenenze<br />

politiche e partitiche dei singoli.<br />

Un ringraziamento sentito a tutti coloro i quali hanno<br />

realizzato tutto questo e vorranno continuare questa<br />

straordinaria esperienza.<br />

La redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Proprietà letteraria degli Autori<br />

A.A.V.V. – <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> © 2011<br />

www.pagineribelli.it<br />

Stampato in proprio nel giugno 2011<br />

I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.<br />

Nessuna parte di questo libro può essere usata,<br />

riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza<br />

autorizzazione scritta dell’autore.<br />

6


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Indice<br />

PAGINE RIBELLI.......................................................<br />

3<br />

PREFAZIONE<br />

......................................................... 10<br />

1. SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO...............<br />

13<br />

1.1 L’ALTALENA<br />

.................................................. 13<br />

1.2 INSOSTENIBILE RISUCCHIO ESISTENZIALE<br />

.............. 14<br />

1.3 BLACKOUT METAFISICO.....................................<br />

16<br />

1.4 UN GIORNO QUALUNQUE....................................<br />

17<br />

1.5 FERRAGOSTO<br />

1.6 A TE CHE SEI GIOVANE<br />

1.7 IL TEMPO DEI RIMBOMBI<br />

1.8 NELLE COSE<br />

1.9 CONO D’OMBRA<br />

1.10 NELLA GABBIA<br />

.................................................. 18<br />

..................................... 19<br />

................................... 20<br />

................................................... 21<br />

.............................................. 22<br />

.............................................. 23<br />

2. SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO..........<br />

25<br />

2.1 MATURITÀ<br />

2.3 ANIME ELETTE<br />

2.4 L’ISOLA TARTARUGA<br />

2.5 SULL’ACCELERATO<br />

2.6 GELIDO SOFFIO DI VENTO<br />

..................................................... 25<br />

................................................ 41<br />

2.7 IL DESTINO NON BUCA IL BIGLIETTO<br />

2.8 LA PENSIONE<br />

....................................... 47<br />

.......................................... 52<br />

.................................. 62<br />

................... 68<br />

.................................................. 73<br />

7


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.9 IL DISERTORE .................................................. 78<br />

2.10 LA COLLANINA<br />

............................................. 83<br />

3. SEZIONE DONNA................................................<br />

87<br />

3.1 OGNI SERA, TRANNE IL GIOVEDÌ..........................<br />

87<br />

3.2 ELEGIA<br />

......................................................... 96<br />

3.3 PAROLE (DA DONNA A DONNA) ........................... 98<br />

3.4 LE SORELLE Q.................................................<br />

99<br />

3.5 STASERA ...................................................... 102<br />

3.6 E’ DONNA<br />

.................................................... 103<br />

3.7 GIOVANNA, UNA RAGAZZA ALLEGRA..................<br />

104<br />

3.8 LA VACUITÀ<br />

................................................. 110<br />

3.9 CRONACA DI UN INTERNO MOLTO PARTICOLARE<br />

3.10 LA PRIMA PARTE<br />

.. 111<br />

......................................... 118<br />

4. SEZIONE (R)ESISTERE.......................................<br />

125<br />

4.1 IL RIFIUTO (LÀ, DIETRO LA CURVA...) ................ 125<br />

4.2 I NOSTRI PEZZI CHE UN GIORNO FURONO INTERI POETI<br />

......................................................................... 133<br />

4.3 GENESI 2,23 * .............................................. 136<br />

4.4 DIARIO DI UN SOLDATO<br />

.................................. 143<br />

4.5 MASSACRO A WOUNDED KNEE - GINOCCHIO FERITO<br />

......................................................................... 145<br />

8


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

NB I PUNTI-BASTONI NELLA VERSIONE ORIGINALE SONO IN<br />

ROSSO<br />

................................................................. 146<br />

4.6 IL RUMORE DEL SILENZIO<br />

4.7 IL COMANDANTE<br />

4.8 IO ... SCHIAVA<br />

4.9 AD UN REDUCE<br />

................................ 147<br />

............................................ 148<br />

............................................. 154<br />

............................................. 156<br />

4.10 UNA MUSICA VENUTA DA LONTANO<br />

................ 157<br />

5. FUORI CONCORSO.............................................<br />

162<br />

5.1 IL CUORE NEL VASO<br />

5.2 IO CHIEDO PERDONO<br />

5.3 LA “SCIURA MARIA”<br />

....................................... 162<br />

....................................... 167<br />

.................................... 169<br />

6. LA CLASSIFICA DEL CONCORSO...........................<br />

185<br />

SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO.................<br />

185<br />

SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO............<br />

185<br />

SEZIONE DONNA..................................................<br />

186<br />

SEZIONE (R)ESISTERE...........................................<br />

187<br />

9


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Prefazione<br />

La Redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Il rapporto esistente tra cultura e società, o meglio tra<br />

cultura e potere, è sempre stato al centro di un<br />

importante dibattito politico e filosofico.<br />

La “modernità liquida” ha profondamente segnato sia<br />

il concetto di cultura che le sue manifestazioni,<br />

lasciando inalterata l’importanza di alcuni concetti<br />

fondamentali a partire dalla definizione di cultura , di<br />

egemonia culturale, delle funzioni ed interconnessioni<br />

esistenti tra potere e cultura.<br />

Non a caso oggi si riaccendono i riflettori sul<br />

fenomeno della deriva culturale in atto nel nostro<br />

paese.<br />

Gramsci affermava che “tutti gli uomini sono<br />

intellettuali”, poiché ogni uomo, consapevolmente o<br />

meno, esplica “una qualche attività intellettuale”.<br />

Non esiste attività umana “da cui si possa escludere ogni<br />

intervento intellettuale”, “non si può separare l'homo faber<br />

dall'homo sapiens”. Tuttavia, “non tutti gli uomini hanno<br />

nella società la funzione di intellettuali”.<br />

Per Gramsci “la supremazia di un gruppo sociale si<br />

manifesta come egemonia e come direzione intellettuale<br />

e morale”.<br />

Quest’ultima funzione è demandata ai cosiddetti<br />

intellettuali “organici”, cioè legati organicamente al<br />

gruppo sociale fondamentale e dominante, svolgendo<br />

10


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“funzioni organizzative e connettive”, di direzione<br />

ideologica e culturale.<br />

L'egemonia è dunque il dominio di una classe sulle<br />

altre attraverso un'operazione di controllo culturale e<br />

ideologico e di esercizio del potere, sia in senso<br />

coercitivo, che di persuasione razionale, di influenza<br />

sul pensiero, sulla vita, sulla moralità, sulle abitudini<br />

sociali dei singoli.<br />

L'esercizio dell'egemonia ,tipico dei regimi liberali e<br />

parlamentari, è caratterizzato dalla combinazione e<br />

dall'equilibrio fra forza e consenso. La forza deve<br />

sembrare sempre giustificata dal consenso della<br />

maggioranza; che è espresso dagli organi di opinione<br />

pubblica che, a questo scopo, “vengono moltiplicati<br />

artificiosamente”.<br />

Il neoliberalismo moderno risulta la concretizzazione<br />

della teoria gramsciana dell’egemonia culturale. La<br />

visione neoliberalista ha saputo sottomettere ogni<br />

dimensione dell’esistenza e delle relazioni umane alla<br />

razionalità economica , al calcolo del rapporto<br />

esistente tra costi e benefici, cui deve sottostare ogni<br />

azione e relazione umana. Ha sviluppato “pratiche e<br />

ricompense per dare corpo a tale visione” 1 .<br />

Il presente volume,i testi contenuti, vogliono essere<br />

una piccola risposta ed un piccolo contributo di<br />

“intellettuali tradizionali”, che si rappresentano come<br />

1 W.Brown,Neoliberalism and the end of Liberal Democracy<br />

(2003). Luciano Gallino Finanzcapilasmo la civiltà del denaro in<br />

crisi (2011)<br />

11


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante”, al<br />

dilagare dell’egemonia culturale esercitata dagli<br />

“intellettuali organici” gramscianamente intesi.<br />

12<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1. Sezione Poesia Inedita a tema libero<br />

1.1 L’altalena<br />

di Chris Mao<br />

Ora che il luogo<br />

è deserto,il gemito<br />

del vento trascina via<br />

piccole voci di fuggitivi;<br />

una rete a strascico<br />

sui pori dilatati del silenzio.<br />

L'ombra che sovrasta<br />

la nostalgia del giorno<br />

sorprende i quadranti<br />

pieni di fumo e panni stesi.<br />

Con gli stormi allineati<br />

sulle funi nere degli uomini,<br />

con l'altalena che non smette<br />

di dondolare,riappare<br />

la calma oscura della sera.<br />

13<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.2 Insostenibile risucchio esistenziale<br />

di Rita Stanzione<br />

Sarà che s’è prosciugata<br />

l’acqua delle riserve<br />

che è evaporata una circostanza<br />

o che sul letto il sole<br />

mi ha disegnato cocci…<br />

ho guardato le macchie sul planisfero<br />

e mi sono illuminata<br />

degli abissi dimensionali<br />

tra me e il resto del mondo.<br />

Sono invisibile<br />

e leggera. Troppo.<br />

…e il risucchio<br />

ha fauci spalancate.<br />

Faccio un giro di rivoluzione<br />

sui concetti preconfezionati<br />

e capisco che mi hanno gabbata<br />

a sufficienza…<br />

se rimescolo i dadi<br />

potrei riesumare la casualità.<br />

Mi sta pure stretta<br />

la patina della sobrietà<br />

disabilito le feste raccomandate<br />

e profano lo scaffale<br />

della psicologia esistenziale.<br />

Rigirato il senso del quotidiano<br />

mi leggo nel profondo<br />

da inesplorate prospettive.<br />

14


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sono neo-nata.<br />

E proverò anche<br />

a leggermi<br />

da destra verso sinistra<br />

…è solo questione d’esercizio<br />

15<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.3 Blackout metafisico<br />

di Gennaro De Falco<br />

Questa notte<br />

che le stelle sono brandelli<br />

di un cielo inesistente<br />

Questa notte<br />

che non ci sono luci<br />

neppure in piazza Cinque Giornate<br />

Questa notte<br />

che anche le macchine<br />

vanno a fari spenti<br />

Proprio questa notte<br />

abbracciamoci per strada<br />

e restiamo in silenzio<br />

Non serve parlare<br />

tanto sappiamo come vorremmo il mondo<br />

Sogniamo a luci spente<br />

e prendiamo questi brandelli di stelle<br />

Ricostruiremo questo cielo inesistente.<br />

16<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.4 Un giorno qualunque<br />

di Silvia Napoleoni<br />

Il gergo del ferro detta le regole<br />

archiviato l'essere per l'avere<br />

quello che resta non è altro che fumo,<br />

sensi vietati e giorni di carta<br />

la vita in filodiffusione<br />

si siede e ascolta<br />

frasi fatte ad incorniciare il volto<br />

come luci intorno ad un Santo<br />

eroi in piume di struzzo fanno la fila<br />

per gli autografi della sera<br />

chiedono gloria ricevono fama<br />

un quarto d'ora può essere lungo<br />

quanto il respiro del vento<br />

passa l'ora<br />

si ricomincia da capo<br />

accontentarsi è un'arte senza memoria<br />

17<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.5 Ferragosto<br />

di Franco Romano Falzari<br />

Per un'ottica eccessivamente dilatata<br />

pronto a tutto<br />

regalo il didietro<br />

al primo che impartisce dogmi sul vivere<br />

e inchioda qui<br />

a rimestare un mondo in agrodolce<br />

il lunedì di ferragosto<br />

atto di fede nelle parole<br />

vendute ad altri giurando<br />

Nuvoloni coinvolgono gli umori<br />

ingrumano tristezze e rancori<br />

qualche parola fresca é nel cestino<br />

ripudiata<br />

quasi un funerale<br />

ai romanzi mai scritti<br />

per troppa confusione mentale<br />

18<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.6 A te che sei giovane<br />

di Giovanni Battista Basile<br />

A te che sei giovane,<br />

vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />

con dignità e con uno sguardo bonario<br />

agli anfratti della memoria.<br />

A te che sei giovane,<br />

vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />

e forse dovrei mentire,<br />

dicendo che non si muore soli.<br />

Vorrei vigilare sul tuo futuro cammino<br />

con la mia sapienza di vecchio;<br />

ma la saggezza l'ho costruita pietra su pietra,<br />

pietre amare erose dal vento del rimpianto.<br />

Si spegne l'ultimo sguardo del sole<br />

in questa buia stanza d'ospedale.<br />

Un Dio a me ignoto,<br />

forse compare di mille sventure,<br />

è questa croce dell'estrema unzione.<br />

19<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.7 Il tempo dei rimbombi<br />

di Emanuele Insinna<br />

Le lingue grigie delle ciminiere<br />

non salgono a sporcare l’azzurro.<br />

Uomini seduti guardano smarriti<br />

gli anni già passati,<br />

tra rimbombi<br />

e caldi sudori.<br />

Nell’amplesso<br />

silenzioso dei martelli<br />

e delle sirene ormai mute,<br />

la protesta non scende sulle strade<br />

ma sale sui tetti<br />

tra il vento e il gelo,<br />

dove rabbia e paura si fanno tutt’uno.<br />

Per queste mani che hanno creato,<br />

lavorato e recato sollievo<br />

non ci sarà domani,<br />

ma solo un maledetto oggi.<br />

20<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.8 Nelle cose<br />

di Roberto Ragazzi<br />

Non mi cercare ancora,<br />

tu mi hai già trovato.<br />

Sono nelle cose<br />

e nelle distanze del tempo,<br />

indeciso sogno in balia<br />

delle scelte mai fatte.<br />

Sono formica operosa<br />

che si prepara all'inverno<br />

e cicala canterina<br />

che si gode nel giorno.<br />

Sono spiga di grano<br />

per il pane quotidiano<br />

e papavero rosso<br />

che si crogiola al sole.<br />

Sono fiume tumultuoso<br />

che discende la valle<br />

e barbone stanziale<br />

che aspetta la sorte.<br />

Non mi cercare ancora,<br />

io sto nelle cose.<br />

21<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.9 Cono d’ombra<br />

di Gabriella Maddalena<br />

Inquietudine senza risposta.<br />

Sono un mondo poco esplorato<br />

con venti freddi<br />

e piogge torrenziali.<br />

Giro<br />

manovrata da oscure forze cosmiche.<br />

I miei pensieri come uccelli<br />

fuggono da me<br />

non si lasciano prendere.<br />

Temo il mio cono d'ombra<br />

inquietudine e ansia<br />

sono i fedeli compagni<br />

gli amici che mi tengono stretta<br />

nei miei giri solitari.<br />

Potessi catturare i miei pensieri!<br />

22<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.10 Nella gabbia<br />

di Cristina Mantisi<br />

Scrivere e poi cancellare.<br />

Riscrivere<br />

e cerchi disegnare perfetti,<br />

tutti tondi, senza fine,<br />

tutti uguali.<br />

Nella gabbia<br />

si può solo star seduti<br />

senza vedere oltre.<br />

Cosa possono gli occhi<br />

guardare fuori dal niente?<br />

E’ aver dimenticato già<br />

una sorta di miracolo,<br />

il puro oblio dalla follia,<br />

dolce paramento<br />

di maschere uniformi.<br />

Il carboncino<br />

traccia linee scure,<br />

montagne senza vette,<br />

segni di dolorose assenze,<br />

acromatici fondali senza mari<br />

nascosti nella dimenticanza<br />

di stanze senza memoria.<br />

Se soltanto potess’io alzarmi<br />

e uscire fuori dalla gabbia<br />

per una volta sola, uscire<br />

scappar via<br />

dove le stelle<br />

sono lì ad aspettare.<br />

23


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

24<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2. Sezione Racconto inedito a tema<br />

libero<br />

2.1 Maturità<br />

di Jessica Puliero<br />

Esame di stato. Schierati a mezzaluna, come un<br />

moderno plotone d'esecuzione. Equamente divisi in<br />

docenti esterni, provenienti da altri istituti, e docenti<br />

interni, ovvero insegnanti che conosco da cinque<br />

anni.<br />

Mi guardano e sembrano pensare ad altro, non<br />

ancora calati perfettamente nel contesto. Sono la<br />

prima della mattinata, ed i loro cervelli, quasi quanto<br />

il mio, stanno cercando di raccattare i neuroni<br />

necessari allo sforzo che li attende. Fino a qui tutto<br />

bene. Ho passato gli scritti senza infamia né gloria,<br />

attingendo alle risorse accumulate in questi anni di<br />

scuola, senza nessuna preparazione particolare frutto<br />

di studi approfonditi. Dev'essere questo che<br />

infastidisce gran parte delle persone. Che io ce la<br />

possa fare senza impegnarmi troppo. Come recita<br />

l'oracolo dello studente “Potrebbe ma non si<br />

applica”, con messaggio subliminale sul futuro<br />

“Potrai, ma non ce la farai”. Quelli come me non<br />

arrivano. Non studiano mai abbastanza, non hanno<br />

tanta cultura da essere considerati dei secchioni o<br />

geni, né troppo poca per ricevere aiuto. Si avviano<br />

lentamente verso la zona grigia, dove vivranno una<br />

vita media e moriranno, per lo più sconosciuti.<br />

25


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Per quanto non studiassi e non facessi nulla per farmi<br />

notare nell'ambito scolastico, riuscivo con facilità ad<br />

addomesticare le parole, mettendole con abilità sul<br />

foglio, inanellando frasi che destavano ammirazione<br />

sia nei compagni che arrivavano a leggerle che nei<br />

professori. E come vuole la sacrosanta legge del<br />

contrappasso, se da un lato si poteva affermare che<br />

possedessi una dote nella scrittura, dall'altro<br />

presentavo profonde e struggenti carenze nella<br />

comunicazione verbale. Il più delle volte ascoltavo la<br />

mia voce spandersi nell'aria, dando vita a pensieri ben<br />

formulati, sensati e lineari, e dopo pochi istanti<br />

potevo sentirla infrangersi su scogli inesistenti,<br />

barriere che solo lei vedeva e da cui non riuscivo a<br />

proteggerla. Allora il viso si accendeva di un rosso<br />

fluorescente, le corde vocali grattavano e<br />

s'impastavano in boli di saliva resa amara<br />

dall'imbarazzo. Ed ogni volta pensavo che sarei<br />

soffocata, nella mia stessa bava e vergogna. Ma non<br />

accadeva mai nulla di così tragico, non arrivava mai<br />

nessuno a salvarmi da quella situazione, ed io<br />

rimanevo impietrita, ebete con l'occhio fisso<br />

sull'interlocutore,divertito e crudele.<br />

“Signorina, con che cosa vuole iniziare?”<br />

Cerco nel labirinto celebrale l'incipit preparato con<br />

cura, fino a pochi minuti fa, oltre quel muro, al di là<br />

del vecchio portone in legno. Dove cazzo sta?<br />

“Vediamo” temporeggia uno dei commissari,<br />

sfogliando la tesina che ho presentato, accuratamente<br />

26


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stampata e rilegata. Sta guardando ciò che so, mentre<br />

io sto qui e non riesco a dirlo.<br />

“Potrebbe parlarci del Pirandello, sembra esserle<br />

particolarmente piaciuto” . E' il professore di italiano<br />

a parlarmi. Mi soccorre o cerca di farlo. Gli sorrido,<br />

debole e dura. Le mani sudano, e si stropicciano l'un<br />

l'altra come bisce incazzate, mentre il sangue mi si<br />

ghiaccia nelle arterie. Mi aggrappo con forza a tutto<br />

l'ossigeno che riesco a far mio, e comincio a parlare.<br />

All'inizio non sembra nemmeno appartenermi, quella<br />

voce timorosa che inciampa qua e là tra frasi e<br />

pensieri. Poi la sento acquisire sicurezza. La<br />

letteratura è un territorio a me favorevole, e l'autore è<br />

tra i miei preferiti. Tutto il suo pensiero sulle<br />

maschere adottate dall'essere umano, la questione<br />

irrisolta tra io ed es è di gran lunga il concetto più<br />

realistico che la scuola mi abbia lasciato. Spazio<br />

tranquilla dalla vita, alla bibliografia, per poi<br />

addentrarmi con profondità nelle tematiche delle<br />

opere, con le sue teorie disincantate sulla natura degli<br />

uomini e sui modi di rapportarsi tra loro. Mi appare<br />

così semplice e vero ciò che scrive da riuscire a<br />

spiegarlo senza filosofeggiare inutilmente. Stupito<br />

dall'euforia del mio monologo, il presidente di<br />

commissione m'interrompe.<br />

“L'ha colpita questa filosofia pirandelliana. Strano,<br />

ascoltiamo a ripetizione diserzioni leopardiane o<br />

foscoliane, per non parlare della letteratura<br />

scapigliata. Un vero flagello della maturità. Ha<br />

27


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

qualche motivo per essere così attratta dal Nostro,<br />

oltre al suo mero gusto personale?”<br />

“Direi di sì,” tentenno<br />

“Direbbe?” incalza.<br />

“Sì”, ribadisco secca.<br />

Certo d'aver intravisto un nervo scoperto, quello<br />

continua. Quanti studenti ha già visto e quanti<br />

attendono ancora il suo giudizio da qui alla pensione.<br />

Potrebbe averne fatti fuori a decine, schiacciandoli<br />

col peso del suo potere travestito da sapere, altri<br />

invece li avrà certamente gratificati. Mi son sempre<br />

chiesta in base a cosa si decide chi sale e chi scende,<br />

chi vivrà e chi no, a chi va data la possibilità di<br />

provarci e a chi vengono tranciate le gambe di netto.<br />

Ed ora, quest'uomo brizzolato, ben vestito, lavato,<br />

profumato, con la fede d'oro<br />

all'anulare un po' troppo stretta, le scarpe odorose di<br />

lucidante ed uno sguardo azzurro un po' troppo<br />

acquoso per essere sincero, che maschera indossa<br />

costui? Che ne vuol fare del mio destino?<br />

“Continui, la prego, sento che può degnarci di una<br />

pregevole perla di saggezza. Direi quasi un raggio<br />

luminoso in questa grigia ed afosa mattinata d'estate.”<br />

Dice, ruotando la testa e raccogliendo sorrisi e<br />

consensi dagli altri docenti.<br />

E’sfida.<br />

Il prof. d'italiano, l'unico che conosce abbastanza<br />

bene i miei pregi e difetti non solo studenteschi, cerca<br />

d'inviarmi sguardi eloquenti del tipo “Lascia perdere,<br />

questo ti strizza e poi ti schiaccia” di cui il sottotitolo<br />

28


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

poteva essere “e ti giochi pure il voto della maturità”.<br />

Ma ormai del voto mi frega poco o niente. Se<br />

vogliono prendersi quei pochi numeri che possono<br />

far di me una persona mediamente sufficiente, beh,<br />

che lo facciano. Qui, ora, dirò quello che penso.<br />

Ignoro quindi il consiglio silenzioso del mio mentore,<br />

e avanzo per la mia strada, quale che sia.<br />

“Signori, vogliamo forse negare che tutti, presenti<br />

non esclusi, indossiamo delle maschere? Prenda me.<br />

Di fronte a voi, che esercitate un potere datovi dal<br />

Ministero, mantengo un atteggiamento consono,<br />

frutto di anni di “educazione” familiare e scolastica<br />

dedita al trasformarmi in un perfetto e mansueto<br />

esemplare del genere umano. Simulo sottomissione<br />

perché è questo che voi vi aspettate io faccia.<br />

Rispondo alle vostre domande in base a quello che<br />

voi e i vostri libri avete preteso di insegnarmi, con i<br />

modi che ritenete più corretti. Appare chiaro che se<br />

non approvassi un vostro concetto non potrei dirlo<br />

apertamente, ne andrebbe l'esito di questo esame ed,<br />

in definitiva, il mio futuro. Questo è il ricatto col<br />

quale ci tenete in scacco ed il fulcro di tutto il vostro<br />

insegnamento. Una maschera di finta conoscenza,<br />

approvata dalla vostra casta, e dalla quale ogni<br />

diversità non sarà tollerata, anzi espulsa.”<br />

“Se non ho capito male, il sottoinsieme dei diversi<br />

sarebbe qui rappresentato da lei?” sembrava divertirlo<br />

il fuori programma. E tuttavia appariva più inquieto,<br />

magari non si aspettava una reazione così articolata.<br />

“Potrebbe. La disturba vero?” gli fisso negli occhi<br />

29


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

uno sguardo sicuro, rabbioso. Non si torna sui propri<br />

passi.<br />

Tace. Immobile, sembra gestire la situazione, mentre<br />

gli altri son presi da un parziale sgomento,<br />

inaspettato. Continuo.<br />

“Guardi l'atteggiamento di questa commissione.<br />

Sembrano confusi, stizziti da questo inutile dialogo<br />

che non li riguarda e non porta a nulla di concreto.<br />

Non solo non lo capiscono, ma nemmeno li interessa.<br />

Eppure dovrebbe. Ma questi non vogliono pensarci.<br />

Perché? Bisogna cercare il momento, quel frangente<br />

invisibile agli occhi ed ormai anche alle coscienze, in<br />

cui han smesso d'essere uomini o donne per<br />

diventare giudici di noi studenti. Dopo essersi<br />

svuotati sul cesso, dopo aver lavato via il greve fiato<br />

della notte, dopo il caffè, dopo il giornale. Prima<br />

d'infilare la soglia di casa per uscire. Eccoli.<br />

Guardarsi allo specchio, con occhi stanchi e vuoti,<br />

disillusi sul futuro che sembra già passato. La<br />

prendono e se la mettono in faccia. Ad alcuni<br />

potrebbe anche non piacere, non del tutto. Ma la vita<br />

continua, e questi son bocconi amari che van<br />

comunque digeriti no? Ed escono, con la loro bella<br />

maschera da insegnante, sicuri di sé, pronti a regalar<br />

fortuna e gioia ai meritevoli o ai più simpatici e scaltri.<br />

Pronti anche alla rivalsa, sbriciolando le certezze degli<br />

incapaci o dei ribelli, gli scostanti, gli indifferenti. La<br />

cultura mi pare c'entri poco, non trova?”<br />

Ci saranno più di trenta gradi nell'aula, eppure il gelo<br />

si stende tra i presenti. Sguardi interrogativi, risentiti<br />

30


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

s'incrociano a mezz'aria. Solo uno di essi si esclude da<br />

quel vortice, cercando i miei occhi. E’ severo, è<br />

benevolo. Un po' rassegnato, ma comprensivo. Io<br />

sorrido debolmente, so d'averla combinata. Inclino la<br />

testa ed allargo le braccia. “A professo', si vede che<br />

era destino.” sussurro. L'orale continua,<br />

inspiegabilmente, tra l'indifferenza generale. Dopo i<br />

primi attimi d'inquietudine e silenzio, l'insegnante di<br />

francese riprende con le domande. Il presidente non<br />

mi degna di uno sguardo per tutta la durata<br />

dell'esame. L'indifferenza non sempre è un segnale<br />

positivo. Temo la ritorsione dell'intero corpo docenti.<br />

Nonostante questo, continuo a ribattere, domanda su,<br />

domanda, colpo su colpo, materia dopo materia.<br />

Storia, calcolo, diritto, economia, tedesco, biologia. I<br />

professori con le loro domande, si alternano al mio<br />

cospetto. Ora assumono sguardi attenti, ora distratti.<br />

Per la maggior parte del tempo confermano ciò che<br />

già pensavo, del nostro futuro se ne sbattono. Tutto<br />

quello che fanno è ricoprire più o meno<br />

dignitosamente questo ruolo, per cui vengono pagati.<br />

Il resto è solo vanesio corredo di una professione<br />

mercenaria.<br />

Guardo l'orologio. Le nove e trenta. Sono dentro da<br />

un'ora. Nessun orale, quest'anno, è durato così a<br />

lungo. Si vede che gli piaccio.<br />

“Ha qualche altro impegno Signorina P.?” colta in<br />

flagrante dal presidente di commissione.<br />

“Ehmm... ... no no.” tentenno. Non ricordo d'aver<br />

mai parlato così tanto in tutta la mia vita, studentesca<br />

31


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e non. Sono provata. Vorrei uscire, se col diploma o<br />

meno fate voi.<br />

Con quell'aria solenne che caratterizza ogni suo<br />

singolo movimento, studiato e mediato, si rivolge ai<br />

presenti.<br />

“Colleghi. Direi che può bastare. Che ne dite?”<br />

Distratti cenni d'assenso, misti alla rassegnata<br />

consapevolezza d'essere appena all'inizio della<br />

mattinata d'esame.<br />

“Non vogliamo rubarle altro tempo, che immagino<br />

davvero prezioso se investito in pensieri così<br />

profondi e rivoluzionari.” Si rivolge a me, con quel<br />

ghigno malefico che conosco, da un'ora a questa<br />

parte. E di cui mi ricorderò per molti anni ancora.<br />

“Può andare.”<br />

Raccolgo le mie poche cose, disposte a cerchio<br />

attorno alla sedia. Lo zaino. Le dispense. La copia<br />

della tesina. Un piccolo portafortuna appoggiato<br />

vicino ai miei piedi, nascosto dietro ad essi. Mi alzo.<br />

“E domani, cosa farà domani?” domanda a<br />

bruciapelo, sparata a distanza ravvicinata come un<br />

colpo alla tempia. Mi spiazza. Che vuole ancora<br />

quest'individuo?<br />

“Domani? Credo andrò al mare!” rispondo,<br />

candidamente.<br />

Una risata sinceramente sprezzante spezza il silenzio<br />

artefatto dell'aula afosa. La bile mi avvolge lo<br />

stomaco. Vorrei saltare su quel banchetto in<br />

compensato verde sbiadito, e tirare un calcio nei denti<br />

a quel cazzone borioso. Vorrei scomporlo da quel<br />

32


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

suo completo ben lavato e stirato, sgualcirlo,<br />

prenderlo a pugni. Ferirlo come lui tenta di fare con<br />

me. I miei occhi azzurri, furibondi, vagano alla ricerca<br />

di un punto di contatto terreno, che porti la mente<br />

lontana da questi propositi attaccabrighe. Vigile, il<br />

prof di italiano mi lancia il salvagente che aspettavo.<br />

Mi sorride. E’ fatta ormai, l'esame è passato. Non<br />

sporcare tutto. Lascia andare la provocazione di<br />

questo vecchio stanco, frustrato nel corpo e<br />

nell'intelletto da una vita probabilmente priva di<br />

grandi emozioni.<br />

Tutto questo non me lo dice, lui, ma lo capisco. O<br />

almeno credo. E funziona.<br />

Gli altri insegnanti seguono il misero esempio del<br />

loro superiore, abbandonandosi a grasse risate di cui<br />

nemmeno sembrano capirne il significato sino in<br />

fondo. Il tempo delle domande è finito. Per oggi<br />

almeno. Con quest'ultima risposta credono d'aver<br />

classificato il mio futuro. Una persona senza idee<br />

chiare sul domani, senza uno scopo, un obiettivo<br />

concreto che la faccia elevare dalla condizione<br />

mediocre in cui si trova. E questo pare rincuorarli, è il<br />

giusto epilogo che spetta alle teste come le mie,<br />

ignoranti e ribelli. Poveri borghesi acculturati. Non<br />

prendersi troppo seriamente, non significa di certo<br />

non sapere dove andare o che fare della propria vita.<br />

E se tra qualche giorno o settimana, o mese o chissà,<br />

dovessi decidere di scegliere un futuro scomodo,<br />

incerto, povero ma libero, profondo, senza la<br />

finzione di quelle maschere che portate di continuo,<br />

33


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

beh di certo non sarà il vostro giudizio ad influenzare<br />

le mie scelte. Né quelle risate che accompagnano la<br />

mia uscita dall'aula e dalle vostre vite.<br />

indice<br />

34


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.2 Il Caduto<br />

di Gabriele Fumagalli<br />

Dov’è la gloria? Dove l’onore, promesso alla<br />

partenza, esaltato nelle parole di generali e ministri,<br />

mostrato con una croce da quel sovrano che mai<br />

imbracciò il fucile con quelli come noi?<br />

Dov’è la Nazione? Dove la superiorità di uno come<br />

me, rispetto al contadino della Baviera o all’operaio di<br />

Colonia? Dove il pericolo negli occhi colmi di terrore,<br />

del mio stesso terrore, degli uomini che ho ucciso?<br />

Dove la bestialità, il terribile nemico, negli uomini che<br />

hanno condiviso con me regali, cibo e una partita di<br />

calcio, in quel caldo, caldo Natale del ’14?<br />

Dove i preti che hanno benedetto le nostre armi?<br />

Dove erano quando siamo morti e dove era il loro<br />

Dio, dov’è adesso, il loro Dio?<br />

Dov’è il riconoscimento della Patria per quelli che<br />

sono tornati a casa, mutilati nel corpo o nello spirito,<br />

e per quelli come me, che vagano su questo eterno,<br />

grigio campo di battaglia, le vesti lacere indosso, le<br />

ferite come trofei? I nostri cadaveri sono ormai ossa<br />

sbiancate o polvere nella terra e le nostre armi nulla<br />

più che trofei per musei colmi di ardore patriottico;<br />

eppure noi camminiamo, da sempre camminiamo, su<br />

questi campi e odiamo il rombo delle bombe, il<br />

fragore del fucile, il ritmo della mitragliatrice: ahimè,<br />

quante armi per sterminare gli uomini!<br />

E con me camminano tanti altri uomini, decine di<br />

milioni di uomini, ognuno con la sua storia, ognuno<br />

con la sua morte, ognuno con i suoi perché: c’è<br />

35


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Pietro, nato a Cento, che è stato contadino per<br />

trent’anni e che è morto quando, dopo essere uscito<br />

dalla trincea con la minaccia della baionetta dei<br />

Carabinieri nella schiena, si è gettato in una buca di<br />

una bomba per scampare alle mitragliatrici austriache<br />

e quello stesso carabiniere gli ha sparato dritto nel<br />

cuore; c’è Hans, nato a Colonia, cresciuto in miniera,<br />

che è stato disintegrato da una granata; c’è Franz,<br />

nato a Vienna, cresciuto ed educato, strappato<br />

all’università per combattere sulle Dolomiti e fatto<br />

saltare in aria con metà della montagna su cui stava da<br />

una mina italiana; c’è Jean, nato a Brest, marinaio per<br />

tutta una vita, trasferito in questo inferno di fango<br />

che è stato il Fronte Occidentale e soffocato dal gas a<br />

Yipres, quanto meno vicino al suo amato sciacquio<br />

delle onde; c’è Ian, nato a Inverness, trascinato con la<br />

sua cornamusa a dare il passo durante gli assalti,<br />

falciato da una mitragliatrice tedesca; c’è Dimitrij,<br />

nato a Pietroburgo e gettato nella mischia senza<br />

null’altro che il fucile, ucciso con una baionetta<br />

tedesca nello stomaco; c’è Pierot il canadese, e James<br />

l’australiano, e Claude il senegalese, e Luke l’irlandese.<br />

Ci sono anche io, che rimpiango il mio amato<br />

Yorkshire, le sue basse colline, i suoi castelli, la sua<br />

erica così viola nelle tiepide estati, la cui vista mi è<br />

stata negata per l’eternità.<br />

Io la ricordo bene, questa fottuta guerra, perché l’ho<br />

vissuta tutta, da quel dannato agosto del 1914 sino al<br />

novembre del 1918. Ero partito volontario, sì, perché<br />

la Corona ci aveva chiamato, ci aveva chiesto di<br />

36


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

proteggere le nostre amate, i nostri figli, la nostra<br />

terra, dalla barbarie tedesca, ma non ci aveva detto<br />

che saremmo diventati dei barbari a nostra volta.<br />

Ho passato quattro lunghi anni a sporgermi dalle<br />

trincee, ad assaltare e a uccidere uomini che erano<br />

come me, e ogni volta vedevo me riflesso nello<br />

specchio delle loro lacrime, del loro dolore, del loro<br />

terrore e della loro tristezza.<br />

Ci hanno fatto sentire nostra una guerra che non lo<br />

era e ce ne siamo tutti resi conto sin dal primo<br />

giorno, dalla prima granata che si è portata via un<br />

amico, dalla prima scheggia incandescente che ci ha<br />

scagliato fra le mani il sangue o le viscere del<br />

compagno che ci affiancava fino a un attimo prima;<br />

ce ne siamo resi conto tutti nell’inferno della<br />

battaglia, che fossimo tedeschi, francesi, russi, italiani<br />

o austriaci: a nulla valeva la nostra nazionalità, se non<br />

a darci uniformi di colori diversi per essere bersaglio<br />

di altri.<br />

È davvero difficile esprimere la banalità della guerra,<br />

perché non è altro che la banalità degli uomini:<br />

odiavamo quella guerra, sapevamo che non era cosa<br />

nostra e infatti ci eravamo uniti a festeggiare il Natale<br />

del ’14 come se fossimo tornati tutti uomini, e non<br />

soldati, eppure non volemmo mai abbandonare il<br />

fronte, forse per orgoglio, forse perché in fondo<br />

pensavamo davvero che fosse giusto così.<br />

Non lo so. So solo che fu una resistenza inutile, che<br />

uccise e fece uccidere tutti quelli che adesso<br />

37


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

camminano con me in questo bigio mondo di ombre<br />

e suoni lontani.<br />

Ho incontrato un italiano che ha combattuto sul<br />

Carso, che ha dato l’assalto a ogni singola vetta, con<br />

la sua squadra, che è stata spazzata via tre volte. E lui<br />

è sopravvissuto a tutti, per farsi uccidere nella sacca di<br />

Caporetto. Mi ha spiegato che gli alti comandi non<br />

hanno mai capito nulla della guerra e del fronte. Poi si<br />

è allontanato, sconsolato, conscio del fatto che nel<br />

mondo i paesi e le città hanno intitolato le loro vie a<br />

quei grandi macellai.<br />

Pochi uomini hanno voluto la guerra e milioni<br />

l’hanno combattuta e sono morti, sono stati mutilati,<br />

sono stati portati alla pazzia, mentre quei pochi che<br />

l’hanno tanto agognata sono sopravvissuti al caldo dei<br />

loro salotti borghesi e nobiliari fino alla vecchiaia,<br />

senza mai conoscere l’orrore del fronte. Eppure era<br />

per i loro ordini folli, per i loro dispacci che ci<br />

ordinavano la carica, che siamo tutti morti.<br />

Non c’è una via intitolata a William, che non ce l’ha<br />

fatta a sparare a quel diciottenne tedesco sconvolto<br />

dal fragore delle bombe e ne ha rimediato una<br />

baionetta nel polmone dall’altro, troppo spaventato<br />

per pensare; non c’è una via intitolata a Luigi, che ha<br />

preso in spalla un austriaco con una gamba<br />

spappolata e lo ha cercato di portare al campo<br />

medico, venendo fucilato per fratellanza col nemico;<br />

non c’è una via dedicata all’umanità dell’uomo nella<br />

bestialità della guerra, ma solo alle bestie più truci che<br />

38


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

hanno usato gli uomini come carne da cannone per<br />

vincere una guerra da cui nessuno è uscito vincitore.<br />

Meglio ancora è andata a Henry Truman, che il<br />

giorno 11 novembre del 1918, arringava i suoi<br />

sottoposti alla postazione di artiglieria a riguardo del<br />

fatto che finire la guerra quel giorno era una follia,<br />

che lui voleva entrare nelle città tedesche e sgozzare i<br />

bambini, torturare i vecchi e stuprare quelle cagne<br />

delle loro donne, per porre fine a quella razza orribile;<br />

presidente degli Stati Uniti d’America, esempio di<br />

rettitudine in conformità a queste sue affermazioni,<br />

un certo Oppenheimer mi ha detto, in lacrime, che ha<br />

ordinato di sganciare due testate nucleari su civili<br />

inermi nel Giappone del 1945. Le loro ombre vagano<br />

per questi campi, le pelli sciolte, i volti distorti in<br />

atroci maschere di morte. Eccola, la gloria.<br />

Per quelli come me è stata solo una grande, trista<br />

beffa. Attendevamo quella maledetta undicesima ora,<br />

dell’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese del<br />

1918, e gli ordini erano chiari: non cessare il fuoco<br />

fino allo scoccare delle undici in punto. Sportomi<br />

malauguratamente dalla trincea, un proiettile mi ha<br />

scoperchiato il cranio. E come me, migliaia in quel<br />

triste giorno.<br />

È davvero difficile descrivere la banalità della guerra;<br />

ma l’idiozia umana, quella è sotto gli occhi di tutti<br />

ogni giorno: l’ubbidire cieco agli ordini, il non<br />

pensare a quello che ci circonda, il farci trascinare<br />

dall’odio e dalla massa, il delegare ad altri quello che<br />

dovremmo decidere noi.<br />

39


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E noi ne abbiamo pagato lo scotto con la vita.<br />

Era l’11 novembre 1918, già sette giorni dopo il<br />

cessate il fuoco sul fronte italiano, e adesso, dopo<br />

novant’anni di tetro vagare, posso assicurare a tutti<br />

voi che state comodi nelle vostre case, che non vi<br />

curate di quello che avviene nel mondo, che non<br />

ricordate quello che è successo, che qui con noi si<br />

sono aggiunti centinaia di milioni di uomini.<br />

Vittime del silenzio.<br />

Vittime dell’accondiscendenza.<br />

Vittime dell’uomo.<br />

indice<br />

40


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.3 Anime elette<br />

di Mario Fulvio Giordano<br />

Quale custode capo del cimitero comunale, mentre<br />

discuteva con i rappresentanti di due imprese funebri<br />

gli orari di tre importanti funerali previsti per il giorno<br />

seguente, notò alcune persone varcare il cancello<br />

principale. Poiché altre stavano arrivando alla<br />

spicciolata si chiese a che cosa fosse dovuto<br />

quell’afflusso, discreto ma continuo.<br />

Con un'occhiata controllò la lista da tempo<br />

predisposta.<br />

Come logico nulla di speciale era programmato per<br />

quella mattina Nessuno vuol farsi seppellire di<br />

venerdì: porta scarogna.<br />

Era segnato solo quello di una vecchia signora, il cui<br />

nome, non era seguito dal cognome del marito o<br />

ved... Una zitella dunque.<br />

Una donna senza importanza.<br />

Per questa poveretta era prevista la forma più<br />

semplice di sepoltura in terra.<br />

Poiché il calendario non evidenziava nulla di<br />

importante; era un santo qualunque e non era<br />

neanche la ricorrenza di un luttuoso avvenimento,<br />

quale una catastrofe, una importante strage o<br />

sciagura, dopo venti e più anni di anzianità di servizio<br />

non poteva commettere una simile dimenticanza,<br />

questo afflusso inconsueto rimaneva un mistero.<br />

In quel momento un tipo di mezza età, distinto, alto e<br />

magro, svoltò nel cancello e si diresse furtivo verso il<br />

41


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complesso delle tombe monumentali: i sepolcri delle<br />

grandi famiglie che avevano fatto la storia della città.<br />

Quando si rese conto di essere stato notato da un<br />

gruppetto di altri visitatori, suoi conoscenti ed in<br />

qualche caso vecchi amici, andò loro incontro<br />

sfoderando un mesto sorriso di circostanza.<br />

“E allora professore, come mai al cimitero oggi?”<br />

“Non potevo certo mancare per questo ultimo saluto.<br />

Era conosciuta da tutti. A ben pensarci ha fatto più<br />

bene lei di molti altri. Nella sua vita ha aiutato tre<br />

generazioni di uomini.”<br />

Tutti assentirono in un modo o nell'altro.<br />

Come succede sempre quando gli argomenti<br />

scarseggiano poco dopo saltarono fuori le solite frasi<br />

di circostanza.<br />

- Siamo solo di passaggio -. Prima o poi entriamo<br />

tutti da quel cancello per non uscirne più.<br />

- Polvere eravamo e polvere torniamo.<br />

Uno del gruppo, per far bella figura, cercando di<br />

mettere in evidenza la sua profonda preparazione<br />

umanistica, passò alle citazioni latine.<br />

Traducendone una, a suo dire molto importante, fece<br />

notare che per gli antichi romani l'uomo nasceva due<br />

volte: una quando veniva alla luce, l'altra quando<br />

faceva la prima scopata.<br />

Solo in quel secondo momento veniva al mondo un<br />

nuovo essere virile.<br />

L'ultimo arrivato, onde non essere da meno, era<br />

consigliere di maggioranza in comune e non voleva<br />

42


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

passare sotto silenzio, sentenziò: “Nemo profeta in<br />

patria”.<br />

Quando si accorse che questa sua uscita non solo non<br />

era stata apprezzata, ma accolta con un risolino di<br />

compassione, cercò di girare il discorso sulla politica<br />

pescando nella scorta di vecchi detti popolari che<br />

teneva sempre pronti e che tante volte lo avevano<br />

tolto dall'imbarazzo quando veniva messo alle strette<br />

dai suoi avversari.<br />

Scartò le arcinote, ma troppo piene di significati<br />

reconditi: tanto va la gatta al lardo oppure chi rompe<br />

paga.<br />

Si stava orientando su: meglio un uovo oggi che una<br />

gallina domani, ma venne interrotto.<br />

In quel momento uno dei presenti, noto sindacalista,<br />

prendendo la palla al balzo,indicò le scritte sulle<br />

tombe ed esclamò indignato:” avete notato? Erano<br />

tutte persone degne, madri e padri esemplari vergini<br />

illuminate, esempio di virtù, ed avanti di questo<br />

passo.<br />

E' proprio vero che la storia la fanno i vincitori.”<br />

Sentendosi tirato in ballo il professore consigliere<br />

esclamò:<br />

“Cosa vuol dire con questo, perché tira in ballo i<br />

vincitori? In questo posto sono tutti perdenti.”<br />

Il rappresentante operaio fece cenno di no col capo<br />

ed alzò il tono di voce per mettere bene in chiaro che,<br />

anche al cimitero, ci sono vinti e vincitori.<br />

Questi ultimi, quando sono ancora in vita, si fanno<br />

erigere dei veri e propri palazzi a futura memoria,<br />

43


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

inondandoli di iscrizioni commemorative che ne<br />

lodano le innumerevoli virtù, peraltro solo a loro ben<br />

note, con lettere fuse nel bronzo o scolpite a mano in<br />

costoso marmo di Carrara.<br />

I vinti, la povera gente, finisce nei loculi, le case<br />

popolari dei morti o in terra.<br />

Per loro nessun elogio od eterno rimpianto, è già<br />

troppa grazia se ci mettono il nome.<br />

Se fosse obbligatorio incidere la verità le lapidi<br />

sarebbero piene di diciture del tipo: figlio di puttana -<br />

vecchia baldracca - venduto - furfante - traditore -<br />

avaraccio - gran cornuto ed avanti di questo passo.<br />

Il professore consigliere comunale, non potendo<br />

lasciare l'ultima parola ad uno dell'opposizione, di<br />

rimando disse con fare pensoso:<br />

“Se cani e gatti avessero le mani per lavarsi non si<br />

leccherebbero il culo.”<br />

Questo cosa significa chiesero da più parti, facendogli<br />

notare che era andato sfacciatamente fuori tema con<br />

quella sconcia battuta.<br />

“E' una considerazione filosofica, più profonda di<br />

molte altre, solo che è più originale, moderna ed<br />

ambientalista. Se non la capite significa che non avete<br />

la necessaria apertura mentale; vi manca l'agilità<br />

dialettica. Ecco tutto.”<br />

Il lungo momento di silenziosa e raccolta meditazione<br />

che ne seguì venne interrotto dall'arrivo del solo<br />

furgone funebre, senza seguito.<br />

La consueta cerimonia religiosa fu liquidata un pochi<br />

minuti.<br />

44


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Anche il prete non si dilungò. Non perse tempo a<br />

magnificare le umane virtù della defunta e passò<br />

subito alla benedizione.<br />

Qualcuno sussurrò che una simile indifferenza era<br />

ingiusta, perché nella sua lunga attività professionale<br />

la defunta aveva aiutato tutti quelli che avevano<br />

bussato alla sua porta, che era sempre aperta.<br />

Non rifiutava mai la sua opera. Era sempre pronta a<br />

far credito, nella cristiana fiducia che prima o poi<br />

avrebbe ottenuto il suo compenso.<br />

Era indubbiamente un'anima eletta.<br />

Molti dei presenti gettarono piccoli oggetti nella<br />

fossa, mentre veniva interrata; altri lasciarono dei<br />

piccoli mazzi di fiori, quale estremo gesto d'amore<br />

che sarebbe stato molto apprezzato dalla destinataria,<br />

se mai avesse potuto prenderne atto.<br />

Per ultimo il sindacalista, quello che amava la verità<br />

sopra ogni cosa, scrisse con il pennarello indelebile<br />

alcune parole sul solito cartone identificativo che<br />

viene posto sulle tombe, in attesa della lapide<br />

definitiva.<br />

A cerimonia ultimata il custode capo, ricordandosi di<br />

colpo che con quel morto si arrivava alle centomila<br />

salme, si avvicinò al tumulo per capire chi fosse,<br />

riservandosi di chiedere al comune di organizzare una<br />

commovente cerimonia ufficiale per celebrare<br />

l'evento.<br />

Con immenso stupore si accorse che molte delle<br />

piccole confezioni di fiori erano legate con dei<br />

preservativi; osservando poi il cartello vide la<br />

45


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

seguente scritta aggiuntiva, dopo le generalità: della<br />

defunta:<br />

-Puttana per libera scelta, ha sempre svolto con<br />

profonda dedizione la sua missione terrena.<br />

Profondamente colpito e sorpreso, volgendo smarrito<br />

lo sguardo a terra scorse un piccolo involucro, che<br />

evidentemente non era stato gettato in tempo nella<br />

fossa, lo raccolse: era una confezione multipla di<br />

contraccettivi Hatù ad effetto ritardato, i più costosi.<br />

Date le circostanze decise che non era il caso di<br />

proporre la celebrazione di quel particolare evento, la<br />

comunità non avrebbe apprezzato il gesto.<br />

Era preferibile attendere un morto illustre e poi,<br />

barando sul numero, avrebbero indetto una toccante<br />

cerimonia ufficiale, facendo notare come il caso<br />

avesse scelto proprio un'anima eletta per quell’<br />

importante ricorrenza.<br />

Con deferenza depose sulla tomba il piccolo<br />

involucro.<br />

Diamo a Cesare quel che è di Cesare pensò e poi<br />

andò a chiudere il cancello grande del cimitero<br />

comunale.<br />

indice<br />

46


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.4 L’isola tartaruga<br />

di Cinzia Balestra<br />

-“Papà guarda” urlò Pietro indicando l'orizzonte con<br />

il dito indice teso. Pietro non ci poteva credere.<br />

Si trovava davanti alla tartaruga più grande che avesse<br />

mai visto. Era là dall'altra parte del mare che<br />

procedeva incurante dello stupore che si alzava in<br />

prossimità della riva.<br />

Il papà di Pietro sorrideva mentre prendeva il figlio in<br />

braccio traboccante di emozione.<br />

Era indeciso se dire a Pietro che la tartaruga verso la<br />

quale protendeva tutta la tensione del suo corpo non<br />

era una vera e propria tartaruga, ma semplicemente<br />

un'isola.<br />

-“Dobbiamo portarle da mangiare!” urlò Pietro<br />

interrompendo i dubbi di suo padre.<br />

Non era la prima volta che i loro piedi calcavano quel<br />

lungomare.<br />

Non era la prima volta che Pietro notava quell'isola<br />

vicino alla costa, ma quella mattina, con la stessa<br />

rapidità di un quadro che cade, eccola là, al posto di<br />

un pezzo di terra sul mare, il piccolo scorgeva la più<br />

grande tartaruga che avesse mai visto.<br />

“In effetti” pensava il padre “sembra proprio una<br />

grande tartaruga” e si stupiva del fatto che non se ne<br />

fosse mai accorto prima. Cosa che, se mai fosse<br />

possibile, faceva aumentare ancora di più l'amore che<br />

provava per la creatura che gli saltellava intorno.<br />

-“Che cosa mangiano le tartarughe papà?”<br />

47


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Il papà di Pietro non lo sapeva, come del resto non<br />

sapeva tante altre cose. Non aveva sempre tutte le<br />

risposte. Non sapeva rispondere quando Pietro gli<br />

chiedeva con la stessa innocenza dove era andata la<br />

sua mamma e quando sarebbe tornata.<br />

“Presto” rispondeva il padre senza avere la minima<br />

voglia di rispondere. Non le voleva le domande.<br />

Voleva solo essere lasciato in pace e morire d'inerzia<br />

dietro un dolore che non lascia via di fuga.<br />

E invece doveva rispondere, rispondere e mentire.<br />

Pietro non aveva ancora compiuto tre anni e si<br />

ritrovava già senza madre e con un padre bugiardo e<br />

infelice.<br />

-“Andiamo ad accarezzare la tartaruga, papà?”<br />

-“Non si può Pietro, se ci avviciniamo lei scappa via”.<br />

La risposta convinse il bimbo che con le guance rosse<br />

tornò a studiare i contorni di quello strano animale in<br />

silenzio.<br />

Prima il lungo collo, poi il grande carapace colorato<br />

di verde. Le zampe non si vedevano in quanto<br />

sommerse dall'acqua.<br />

Pietro era cresciuto, mancava poco e sarebbe arrivato<br />

quasi all'altezza della vita di suo padre.<br />

Come può cambiare la vita di un bambino nell'altezza<br />

che separa una ginocchia da un'anca di un uomo.<br />

-“Pietro andiamo a casa”, disse il padre<br />

interrompendo i pensieri del bambino immobile<br />

come una statua di sale.<br />

-“Ancora cinque minuti, papà”.<br />

48


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-“Va bene, cinque minuti, ma non di più. Il sole sta<br />

tramontando”.<br />

Il cielo azzurro e sereno si macchiava di rosso. Un<br />

rosso vivo e intenso che risplendeva sulle guance di<br />

Pietro.<br />

Il tramonto portava via con sé quella giornata così<br />

normale da essere perfetta. Una giornata dove un<br />

padre bugiardo assaporava i frutti dolci delle sue<br />

bugie.<br />

Quando era piccolo il papà di Pietro si arrabbiava se<br />

non gli raccontavano tutta la verità solo perché era un<br />

bambino.<br />

Ora che era abbastanza grande per capirla, la verità,<br />

non la capiva e tanto meno riusciva a gestirla.<br />

Ma faceva del suo meglio per garantire a suo figlio<br />

quelle bugie che l'avrebbero tenuto al sicuro, protetto<br />

da una realtà che non lo aveva guardato in faccia e<br />

che non era stata disposta a scendere a compromessi.<br />

Amava suo figlio più di quanto la realtà avrebbe<br />

potuto immaginare. Se la realtà non era stata disposta<br />

a scendere a patti, lui sì, era stato capace a scendere a<br />

patti con se stesso.<br />

Le prime volte mentì senza sceglierlo. Le parole<br />

vennero alla bocca da sole. Poi, superate le prime<br />

volte, decise coscientemente di mentire a suo figlio,<br />

più che poteva, ogni volta che poteva.<br />

Ci sarebbe stato tempo per presentargli la realtà.<br />

La verità è che non voleva niente di meglio per suo<br />

figlio che una giornata piena di verità camuffate<br />

ingenuamente da bugie.<br />

49


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una giornata dove poter credere che Mamma è in<br />

viaggio e che prima o poi, quando meno se lo<br />

sarebbero aspettato, sarebbe arrivata alla porta con<br />

tanti regali e sorrisi per tutti. Una giornata dove poter<br />

credere che un pezzo di terra che si stacca dalla costa<br />

in tempi immemori diventa una tartaruga gigante<br />

intenta a nuotare silenziosa.<br />

Pietro era felice. Questa era la sola cosa che<br />

importava a suo padre. In fondo lo sapevano<br />

entrambi che quella non era una tartaruga vera e che<br />

Mamma non avrebbe più preparato la sua torta di<br />

mele. Nessuno dei due però lo avrebbe mai detto,<br />

almeno per ora.<br />

La realtà delle cose era il loro piccolo segreto<br />

quotidiano. Ogni giorno la verità sbiadiva di fronte al<br />

loro bisogno di sognante complicità.<br />

-“Andiamo Pietro. I cinque minuti sono finiti”.<br />

-“Ma papà e se la tartaruga va via e domani non è più<br />

qui?”<br />

-“Non andrà da nessuna parte”.<br />

-“Come fai ad esserne così sicuro?”<br />

-“Perché sta aspettando quella poltrona della sua<br />

amica che tarda ad arrivare! Lo sai no che le<br />

tartarughe non viaggiano mai da sole? Vedrai che<br />

domani la tartaruga sarà ancora lì!”<br />

-“Già” disse Pietro “non si viaggia mai da soli”.<br />

Prese la mano che suo padre gli tendeva, la strinse<br />

forte e s'incamminò verso casa con lo stomaco che<br />

brontolava per la fame.<br />

50


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

L'isola tartaruga, intanto, si specchiava<br />

nell'increspature dell'acqua marina tinta di rosso<br />

rubino, incurante di realtà e di bugie.<br />

indice<br />

51


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.5 Sull’accelerato<br />

di Alessandro Cuppini<br />

Questo successe sull’accelerato, come si chiamava<br />

allora, che da Torino andava a Savona, ai primi anni<br />

’50 del secolo scorso. Gli accelerati erano gli attuali<br />

regionali: treni costituiti quasi totalmente da carrozze<br />

di terza classe, con gli scompartimenti aperti e<br />

arredati da panchette di legno e una folla di pendolari<br />

che dalla provincia si muoveva verso la città ogni<br />

giorno oppure settimanalmente.<br />

A Torino quando avevi vent’anni ci andavi per due<br />

motivi: per lavorare o, chi poteva, per studiare. Di<br />

ragazzi in gamba a Savona ce n’erano tanti; ma quelli<br />

che il papà poteva mantenere per cinque anni a fare lo<br />

studente in città erano pochini. Gli studenti si<br />

conoscevano tutti sul treno: partivano il lunedì prima<br />

dell’alba per essere a lezione alle nove e ritornavano al<br />

venerdì sera con l’accelerato che arrivava a Savona<br />

alle 21,08. Negli scompartimenti e negli anni si<br />

formavano compagnie di amici. Il lunedì mattina si<br />

chiacchierava, si dormicchiava o si leggeva; e c’era<br />

anche chi tentava di ripassare qualcosa in vista<br />

dell’esame che avrebbe avuto quella mattina. Ma il<br />

venerdì tornando a casa gli studenti giocavano a carte,<br />

cantavano e scherzavano, programmando gite al mare<br />

con la Topolino di papà o un film nell’ultima fila<br />

dell’Excelsior con la morosa.<br />

Pendolava con gli studenti anche un controllore, tal<br />

Casalegno, sempre quello.<br />

Sempre impeccabile nella sua divisa azzurra, gli<br />

occhiali cerchiati d’oro e i baffetti curatissimi, era alto<br />

sì e no uno e sessanta, ma lui suppliva all’evidente<br />

52


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complesso che l’affliggeva con un cipiglio e un modo<br />

rigido di trattare gli studenti che l’aveva sùbito reso<br />

oggetto di caricature ed imitazioni. I soliti ben<br />

informàti dicevano che era stato un fascista convinto,<br />

che nel settembre ’43 si era nascosto aspettando che<br />

passasse la buriana e che nel ’46 aveva ripreso servizio<br />

nelle Ferrovie dello Stato. Ma a cinquant’anni la testa<br />

non si cambia, e lui adottava forse anche senza<br />

accorgersene quei modi e quel fare arrogante e<br />

tronfio che durante il ventennio gli era stato familiare.<br />

La divisa e il cappello gli davano l’importanza e il<br />

rispetto cui ambiva.<br />

Forse all’inferiorità fisica si aggiungeva quella<br />

intellettuale: Casalegno era consapevole di aver a che<br />

fare con persone più istruite di lui, e quindi<br />

recuperava con il Regolamento ferroviario che, quello<br />

sì, nessuno di loro conosceva meglio di lui. Sapendo<br />

che in una discussione di pura logica avrebbe avuto la<br />

peggio, si mascherava dietro la Norma ed era<br />

inflessibile e rigido, che in paragone il vetro era più<br />

elastico.<br />

Il lunedì mattina passava a controllare gli<br />

abbonamenti mensili. La regola voleva che<br />

l’abbonamento andasse sempre portato con sé,<br />

tuttavia poteva succedere di dimenticarlo.<br />

Biglietto?, chiedeva allo studente smemorato, ben<br />

sapendo che di abbonamento si trattava dato che<br />

quello lo vedeva tutte le settimane ormai da anni. Lo<br />

studente smemorato conosceva la sua sorte e tuttavia<br />

provava ad intenerire cuor-di-pietra Casalegno:<br />

Signor Casalegno, l’ho dimenticato a casa. Ma lei sa che ho<br />

l’abbonamento mensile e dunque…<br />

53


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Che importa? Lei sa bene cosa dice il Regolamento: il titolo di<br />

viaggio va esibito ad ogni richiesta, e qui Casalegno<br />

contemporaneamente alzava un dito, la voce di due<br />

toni e i tacchi di un centimetro buono…ad o-gni richie-sta,<br />

ripeto, del personale direttivo.<br />

Amava riferirsi a sé stesso come personale direttivo.<br />

Lo so bene, tentava ancóra di convincerlo lo studente<br />

smemorato. Glielo faccio vedere la prossima settimana,<br />

quando torno a casa.<br />

Casalegno neanche rispondeva. Stava già scrivendo<br />

sul suo formulario, tutto concentrato nell’emettere un<br />

nuovo biglietto, più il supplemento perché era stato<br />

staccato sul treno, più la multa per aver sorpreso lo<br />

studente smemorato senza biglietto: il massimo della<br />

cifra possibile, insomma.<br />

Intorno ai due che discutevano si era formato il solito<br />

capannello di sostenitori, studenti che protestavano<br />

rivivendo nella disavventura dello studente<br />

smemorato una loro personale vicenda. Perché a tutti,<br />

prima o poi, càpita di dimenticare nella tasca dell’altra<br />

giacca l’abbonamento.<br />

Ma scusi, signor Casalegno, interveniva uno. Non potrebbe<br />

evitare di appioppargli la multa? In fondo lui l’abbonamento ce<br />

l’ha, lo sa bene.<br />

Io non appioppo, io applico il Regolamento! , rispondeva<br />

rude.<br />

Ma potrebbe fargli pagare solo il biglietto, non le pare?<br />

Tutto inutile. E guai se poi qualcuno, nella rabbia, si<br />

lasciava sfuggire un’esclamazione mormorata:<br />

Che stronzo!<br />

54


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Come ha detto?, chiedeva Casalegno, l’occhio<br />

inferocito e l’udito finissimo.<br />

Vuol ripetere? Vuole che la denunci per ingiurie a pubblico<br />

ufficiale?<br />

Lo studente offensivo si girava dall’altra parte<br />

masticando fiele, senza dire più verbo. E lui,<br />

Casalegno, girava sui doppi tacchi e si allontanava con<br />

la testa girata all’indietro e gli occhi fiammeggianti, a<br />

sfidare il gruppo di studenti che attorno allo<br />

smemorato cercavano di consolarlo. E passava allo<br />

scompartimento successivo, probabilmente con la<br />

segreta speranza di trovare qualche altro<br />

inadempiente e ripetere la rappresentazione.<br />

La stessa scena si ripeteva se capitava a qualche<br />

studente di lasciar scadere la cosiddetta tessera, ossia il<br />

documento che dava diritto all’abbonamento scontato<br />

per studenti pendolari. La tessera aveva una validità<br />

annuale; il suo rinnovo era praticamente automatico,<br />

e consisteva nell’apposizione da parte della biglietteria<br />

di Savona di un timbro con una nuova data<br />

posticipata di un altro anno, oltre che nell’esazione di<br />

una modesta tassa. Ma gli studenti avevano una<br />

pericolosa e singolare tendenza a dimenticare questa<br />

banale operazione burocratica. Casalegno controllava<br />

pignolo ogni data di emissione, guardandosi bene<br />

dall’avvisare il malcapitato se notava la prossimità<br />

della scadenza, gioendo quando beccava in fallo il<br />

malcapitato.<br />

Ma l’ha vista quattro giorni fa, la mia tessera! Non poteva<br />

avvisarmi, signor Casalegno?, protestava lo studente<br />

distratto.<br />

Non sono mica qui a farle da segretario, caro signore!,<br />

rispondeva il controllore mentre con gli occhiali a<br />

55


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

cavallo del naso e a gambe aperte, compilava il<br />

modulo della multa in bella calligrafia, bilanciandosi<br />

sulle punte dei piedi.<br />

Una sera d’estate il treno tornava a Savona. Era<br />

affollato di studenti felici per il fine settimana a casa<br />

che si stava avvicinando. I finestrini erano spalancati,<br />

l’aria calda della campagna piemontese circolava<br />

liberamente nelle carrozze.<br />

Dopo la stazione di Ceva i pendolari locali<br />

scendevano quasi tutti, e gli studenti rimanevano<br />

padroni del treno fino a Savona. Quella sera però<br />

nella prima carrozza c’era un passeggero in più, un<br />

signore elegante e silenzioso che seguiva bonario gli<br />

scherzi e le chiacchiere degli studenti con un sorriso<br />

di partecipazione distaccata.<br />

Che sia un viaggiatore di commercio?, si chiedevano i suoi<br />

compagni di viaggio. Ma i viaggiatori di commercio<br />

tornano a casa il venerdì sera, e quel signore non era<br />

di Savona, l’avevano capìto dalle poche parole che<br />

aveva scambiato con uno di loro mentre sistemava la<br />

valigia sulla reticella sopra la sua testa. Non era<br />

nemmeno un turista: non erano ancóra i tempi del<br />

turismo mordi-e-fuggi del fine settimana. E poi quel<br />

signore era troppo elegante per fare sia il viaggiatore<br />

di commercio che il turista.<br />

Forse è un nobile che va a giocarsi la villa a Sanremo! ,<br />

azzardò uno studente fantasioso.<br />

Venne Casalegno a controllare i biglietti. Tutto era in<br />

ordine. Stava già per uscire dallo scompartimento<br />

quando scorse la valigia del misterioso viaggiatore<br />

sopra la reticella. E chiese gentilmente:<br />

Di chi è quella valigia?<br />

56


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

È mia, ripose il signore elegante.<br />

Me la può far vedere?<br />

Il signore elegante un po’ sorpreso si alzò, prese la<br />

bella valigia in pelle marrone e l’appoggiò sul sedile.<br />

Gli studenti conoscevano bene l’espressione che<br />

Casalegno aveva stampata sul volto: stava preparando<br />

una scena delle sue. Quelli che erano seduti negli<br />

scompartimenti a fianco si girarono e si misero in<br />

ginocchio sulle panche, uno sull’altro come fossero in<br />

loggione a teatro. Altri che erano in piedi lungo il<br />

corridoio andarono nelle carrozze vicine a chiamare<br />

gli amici e un piccolo assembramento si andava<br />

formando all’ingresso del primo scompartimento.<br />

Il metro di Casalegno era di quelli pieghevoli,<br />

suddivisi in frazioni di venti centimetri l’una; lui lo<br />

aprì con aria condiscendente e prese a misurare la<br />

valigia.<br />

La sua valigia è fuori di un centimetro in lunghezza rispetto<br />

alle dimensioni consentite, sentenziò con una voce<br />

sepolcrale, fissando il malcapitato come se l’avesse<br />

sorpreso mentre stava massacrando la madre. Il<br />

signore elegante con molta signorilità protestò:<br />

Mi par strano. L’ho comperata in una delle migliori valigerie<br />

di Torino. Ma è sicuro?<br />

Guardi anche lei, disse Casalegno.<br />

Ed insieme verificarono di nuovo le misure.<br />

Sono costretto a farle la multa, disse il controllore.<br />

Ma via, signor Casalegno!, disse lo studente fantasioso.<br />

Ma le pare? Per un centimetro!<br />

Anche gli altri studenti protestavano in coro<br />

prendendo le difese del signore elegante:<br />

Che ne sapeva questo signore delle misure ufficiali delle FFSS?<br />

57


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mica è un baule. È una valigia di cuoio molle. Il centimetro<br />

mentre misura va e viene!<br />

Il signore elegante stava in piedi con un mezzo<br />

sorriso sulle labbra, voltandosi a destra e a sinistra nel<br />

seguire le voci concitate degli studenti, ma sempre<br />

con distacco signorile.<br />

Casalegno rispose a tutti con una sola frase:<br />

Prego lor signori di evitare di immischiarsi in una faccenda di<br />

rispetto del Regolamento che riguarda solo il signore qui<br />

presente.<br />

Poi finì di compilare il suo modulo, che, riguardando<br />

un’infrazione non usuale, aveva richiesto un certo<br />

studio delle norme vigenti. Alla fine la multa fu<br />

stabilita in lire 435, che non era per niente poco a<br />

quei tempi. Il signore elegante non disse nulla.<br />

Estrasse un portafoglio di lama e pagò. Anzi: oblò,<br />

come avrebbe detto Casalegno.<br />

Il controllore incassò le mille lire, fornì il resto e stava<br />

per andarsene quando il signore elegante disse:<br />

Scusi: mi può far vedere il suo metro per favore?<br />

Casalegno girò su sé stesso con un sopracciglio<br />

sollevato in segno di sorpresa: Perché?<br />

Così, per una mia curiosità.<br />

Non sono qui per soddisfare le sue curiosità, caro lei!, fu la<br />

risposta sprezzante di Casalegno.<br />

Vede, caro signore, disse il signore elegante. Lei purtroppo<br />

non può rifiutarsi perché io sono un funzionario dell’Ufficio<br />

Pesi e Misure che ha sede presso l’Istituto Galileo Ferraris di<br />

Torino.<br />

E così dicendo il signore elegante estrasse un<br />

tesserino che chi gli era a fianco ed ebbe modo di<br />

intravedere descrisse come particolarmente<br />

58


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complicato e colorato. Dopo che Casalegno gli ebbe<br />

dato un’occhiata, il signore elegante continuò:<br />

Come lei sa, qualunque cittadino che utilizzi sistemi di misura<br />

quale il metro, la bilancia, il cronometro e così via per scopi<br />

pubblici o di compravendita ha il dovere di mostrare il suo<br />

strumento a richiesta di un funzionario dell’Ufficio Pesi e<br />

Misure. Perciò mi favorisca il suo metro per cortesia.<br />

La folla di studenti che circondavano il primo<br />

scompartimento era diventata nel frattempo strabocchevole;<br />

malgrado i finestrini aperti nel piccolo<br />

scompartimento si sudava per la ressa. Ciononostante<br />

il silenzio gravava e si poteva udire solo il ritmico<br />

sferragliare del treno. Casalegno era impallidito: per la<br />

prima volta da quando era in servizio come<br />

controllore qualcuno gli stava tenendo testa,<br />

affrontandolo per giunta sul suo terreno, quello dei<br />

Regolamenti e delle Norme. La sua autorità non era<br />

ancóra stata scalfita ma tutto dipendeva da come<br />

sarebbe terminata la faccenda. Estrasse il metro di<br />

tasca, un normale metro pieghevole di legno dipinto<br />

d’arancio; lo porse al signore elegante senza dire una<br />

parola. Questi lo prese con mani esperte e andò<br />

sùbito a verificare nella prima sezione, il tratto da 0 a<br />

20 centimetri.<br />

Ahi, ahi, ahi!, disse il signore elegante. Vedo che sono<br />

quattro anni che lei non fa verificare il suo strumento presso<br />

l’Ufficio Pesi e Misure. Lei sa certamente che avrebbe dovuto<br />

farlo verificare annualmente e l’Ufficio le avrebbe rilasciato un<br />

certificato di conformità all’uso. Come mai non l’ha fatto?<br />

Il balbettio di Casalegno fu coperto dall’ululato della<br />

folla di studenti festanti:<br />

Come mai non l’ha fatto, signor Casalegno?, urlò lo<br />

studente fantasioso.<br />

59


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Io lo sapevo, ma non sono mica qui a farle da segretario!,<br />

rincarò lo studente distratto.<br />

Eppure il Regolamento parla chiaro!, chiosò lo studente<br />

smemorato.<br />

Tutto il treno ormai si era trasferito nella prima<br />

carrozza, richiamato da un tam-tam rapidissimo che<br />

aveva percorso tutti i vagoni.<br />

C’è uno che sta menando Casalegno!, era la voce che<br />

girava.<br />

Non era vero naturalmente, ma era servita a coagulare<br />

ancor più velocemente tutti gli studenti in un unico<br />

grumo che ondeggiava nella prima carrozza. Alcuni<br />

cori irriverenti e offensivi iniziarono spontaneamente,<br />

coordinati dallo studente oltraggioso, che col<br />

Casalegno ce l’aveva particolarmente. In un frastuono<br />

infernale, ingigantito dallo sferragliare del treno nella<br />

lunga galleria tra Ceva e Cengio, nessuno udì le parole<br />

che si scambiarono i due. Si vide il signore elegante<br />

tirare fuori dalla valigia incriminata un suo formulario<br />

che rapidamente riempì; si vide Casalegno, con una<br />

smorfia servile tirare fuori la multa che aveva<br />

comminato al signore elegante e fare il gesto di<br />

stracciarla; si vide il signore elegante fare un cenno di<br />

diniego e chi gli era più vicino poté udirlo<br />

pronunciare queste parole:<br />

Troppo tardi, caro signore. E poi sul Regolamento, lei capisce,<br />

non posso transigere.<br />

Poi tutti videro Casalegno tirare fuori un biglietto da<br />

mille, forse lo stesso che gli aveva appena dato il<br />

signore elegante, mentre questi gli passava la ricevuta.<br />

Le urla e gli ululati a quel punto raggiunsero il<br />

diapason.<br />

60


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Il treno frenò con un lungo stridio entrando nella<br />

stazione di Cengio. Scesero tre persone: due studenti<br />

e Casalegno, mentre dai finestrini tra gli schiamazzi<br />

alcuni lo richiamavano:<br />

Dove va signor Casalegno? Non mi ha ancóra controllato<br />

l’abbonamento, a me!<br />

Signor Casalegno! Lo studente Bacigalupo ha la tessera<br />

scaduta da tre giorni!<br />

Intanto nel primo scompartimento della prima<br />

carrozza almeno venti studenti vezzeggiavano il loro<br />

eroe, il signore elegante:<br />

Prenda una sigaretta, signore!<br />

Gradisce una mentina?<br />

Lui sorrideva e non diceva nulla. Il lunedì successivo<br />

sul treno da Savona a Torino c’era un altro<br />

controllore, e di Casalegno non si seppe più nulla.<br />

Storia vera, raccontata da un ingegnere di Savona che<br />

aveva pendolato e frequentato il Poli in quegli anni.<br />

indice<br />

61


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.6 Gelido soffio di vento<br />

di Giulia Pirrini<br />

Una fredda mattina invernale, una solitaria ed esile<br />

figura dai capelli corvini contemplava il sorgere del<br />

sole: il cielo era cereo e la foschia accarezzava<br />

dolcemente le colline, verso l’orizzonte.<br />

Nemmeno quella notte Nadia era riuscita a dormire,<br />

fissando il soffitto per ore pensando alla vita. E alla<br />

morte.<br />

C’era una leggera brezza gelida che lacerava le sue<br />

calde e candide carni. Lei però pareva non avvertirla,<br />

il suo sguardo era lontano, gli occhi malinconici:<br />

ammirava la vallata, il suo paese natale, che tanto<br />

amava, che tanto le aveva dato e tanto le aveva tolto.<br />

Quella mattina, si era alzata di buon’ora e si era<br />

diretta al terrazzo panoramico: aveva sempre adorato<br />

quel posto, le sue pietre rosse, l’atmosfera<br />

confortante, dal sapore antico, che la avvolgeva e la<br />

portava lontano. Si poteva raggiungere soltanto da un<br />

piccolo sentiero acciottolato, tra le case della città<br />

vecchia; varcato l’enorme cancello di metallo nero, si<br />

poteva ammirare una chiesa, silenziosa, austera e<br />

davanti, nella corte, un pozzo in pietra bianca, ormai<br />

in disuso, ma dal grande fascino, dovuto alle tante<br />

leggende locali.<br />

Per un istante, un tenero sorriso illuminò il viso di<br />

Nadia, all’improvviso tornata bambina, mentre<br />

correva per quelle strade lastricate, divertendosi a<br />

sentire il rumore dei tacchi di sua madre, con l’eco<br />

delle risate che vagava per le vie del borgo. Quella<br />

62


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

bambina non c’era più, svanita molti anni prima, al<br />

suo posto una giovane donna frustrata, stanca, senza<br />

più desideri o fantasie. Anche l’eco ormai era andato<br />

perduto, dissolto nello scorrere del tempo.<br />

Una lacrima rigò la guancia scarna di Nadia, che<br />

parve destarsi da un meraviglioso ma effimero sogno.<br />

Distolse lo sguardo dai ricordi, sapeva bene che il<br />

passato non poteva tornare, e nemmeno quella<br />

bambina, per quanto lo desiderasse ardentemente, per<br />

quanto il presente fosse insopportabilmente vuoto. I<br />

pensieri che avevano tormentato le sue notti<br />

all’improvviso tornarono e le dilaniarono il cuore e<br />

l’anima, profondamente.<br />

Vuota, ecco com’era la sua esistenza: il nulla saturava<br />

il suo cuore, non c’era spazio per nient’altro. Il futuro<br />

che fin da piccola aveva sognato, che aveva rincorso a<br />

perdifiato, con passione, che adesso era lì, tangibile, si<br />

era rivelato solo una fredda e vana illusione. Di notte,<br />

nel silenzio, la tristezza si faceva strada fra<br />

l’ingombrante vuoto e la destava dall’apatia, una<br />

tristezza furiosa, violenta, lacerante, che la piegava, la<br />

vinceva. Il vuoto però era lì, tenace e paziente<br />

compagno di viaggio, pronto a prendersi ciò che<br />

restava di lei.<br />

Fino a quel momento Nadia aveva desiderato<br />

ardentemente di continuare a soffrire, quella<br />

sofferenza era l’unica cosa che le facesse sentire la<br />

vita. Resisteva in lei una flebile fiamma di speranza,<br />

l’illusione che qualcosa potesse ancora cambiare.<br />

Aveva trascorso così lunghe notti, in bilico fra<br />

63


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

disperazione e vuoto, a rincorrere freneticamente<br />

qualcosa che le desse la forza di urlare via inutilità e<br />

mediocrità.<br />

Mediocrità.<br />

Così si sentiva, profondamente e disgustosamente<br />

mediocre, inutile. E non c’è scampo. Non si può<br />

uscire da questo sistema, si è costretti a<br />

inginocchiarsi, ad abbassare la testa, a perdere la<br />

propria diversità, la propria personalità, sguazzando<br />

nella mediocrità, esaltando l’apparenza e soffocando<br />

la sostanza.<br />

Il mondo è avido di mediocrità, non ne è mai sazio.<br />

Milioni e milioni di individui tutti uguali, stesso<br />

lavoro, stessa casa, stessa automobile, persone<br />

addestrate fin da piccole, anno dopo anno. Il mondo<br />

è una immensa catena di montaggio che produce ciò<br />

che gli serve: operai, impiegati, artigiani; le rare<br />

eccezioni servono solo per produrre nuova<br />

mediocrità: nuove invenzioni necessitano di nuovi<br />

involucri lavoranti e la mediocrità si aggiunge alla<br />

mediocrità, fino alla fine del mondo.<br />

Lentamente, subdolamente, ci assuefanno all’idea<br />

della nostra inutilità: nessuno è indispensabile, siamo<br />

“tutti sulla stessa barca”, “lo fanno tutti”, così questa<br />

condizione viene accettata, quasi giustificata.<br />

Incessantemente e intenzionalmente, la coscienza<br />

viene distratta da cose effimere, superflue: prolificano<br />

centri commerciali, si susseguono mode, prodotti di<br />

ogni tipo, pubblicità. Comprare, spendere, possedere<br />

diventa il pane dell’anima, marcio surrogato della<br />

64


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

felicità, e non si è mai soddisfatti: più consumi, più<br />

possiedi e più sei importante, più sei parte del<br />

meccanismo, inconsapevole, forse, ma mai<br />

incolpevole. Allora il vuoto ti prende, un pezzettino<br />

per volta e ti uccide, sempre di più, inesorabilmente.<br />

Nadia aveva provato a lottare, a liberarsi del vuoto<br />

che putrefà lo spirito, che lo avvelena, ma il nulla è<br />

forte, è ovunque e vince sempre, in un modo o<br />

nell’altro. E alla fine del cammino, resta soltanto<br />

l’amarezza di non aver vissuto, la penosa<br />

consapevolezza di essere stato solo un insignificante e<br />

fuggevole ingranaggio in un meccanismo freddo e<br />

sterile.<br />

Nadia abbassò lo sguardo, vitreo.<br />

Cos’è la vita, in fondo. È nient’altro che un solitario,<br />

gelido soffio di vento nell’universo; non sposta<br />

montagne, non prosciuga oceani, non oscura cieli. Un<br />

filo d’erba, talvolta, viene mosso dolcemente, per<br />

pochi istanti, impercettibilmente, poi tutto torna<br />

immobile. Fra pochi istanti, nemmeno quel filo d’erba<br />

esisterà più. E cosa è rimasto di quel soffio, cosa di<br />

quel momento? Anche i ricordi con il tempo si<br />

affievoliscono e muoiono. Di te, della tua essenza, di<br />

quello che hai fatto e detto, di quello che hai provato<br />

e pensato, cosa resta? Tu esistevi, eri lì, vivevi in<br />

quell’istante, però di te niente è rimasto. Il tempo è<br />

un nemico che non si può sconfiggere, non lascia<br />

tracce, cancella ogni cosa, ogni respiro, ogni filo<br />

d’erba, facilitato dall’assurda e caparbia mediocrità<br />

dell’esistenza.<br />

65


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Camminiamo lungo il sentiero della vita, soli, nel<br />

silenzio, nel vuoto che ci avvolge, di cui facciamo<br />

parte noi stessi; gli sforzi che facciamo ogni istante<br />

per vivere, per sopravvivere, per amare, per odiare,<br />

per primeggiare, per partire, per arrivare, per<br />

migliorare, sono solo vane illusioni, hanno<br />

unicamente scopo egoistico, spinti dalla necessità di<br />

mentire a noi stessi, di sentirci importanti per<br />

qualcosa o per qualcuno, di convincerci che<br />

lasceremo una qualche traccia, qualcosa di<br />

importante, che congelerà la memoria che il mondo<br />

ha di noi.<br />

Invece non siamo altro che un piccolo, effimero,<br />

gelido soffio di vento.<br />

Nadia trascinava con sé il peso di questi pensieri,<br />

divenuto ormai insostenibile.<br />

La domanda che ogni notte aveva respinto con forza<br />

la trovò ora debole, inerme e le squarciò l’animo,<br />

come una fredda lama lacera la carne: che la morte<br />

potesse finalmente separarla da quell’ingombrante<br />

nulla, donandole la serenità che in vita non era<br />

riuscita a raggiungere?<br />

La consapevolezza si fece violentemente strada nella<br />

sua coscienza, la flebile fiamma di speranza<br />

tenacemente sopravvissuta nel suo cuore, infine, si<br />

arrese.<br />

Nadia strinse a sé, delicatamente, i pochi brandelli<br />

rimasti della sua esistenza, guardò ancora una volta la<br />

sua città, le sorrise, con gratitudine, e svanì, nel gelido<br />

vento d’inverno.<br />

66


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

67<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.7 Il destino non buca il biglietto<br />

di Mario Trapletti (Trap)<br />

“A vent’anni si è stupidi davvero / quante balle si ha<br />

in testa a quell’età”.<br />

Venti: quelli che avevo io; ‘Eskimo’, invece, solo uno.<br />

La cantavamo sulla spiaggia intorno al fuoco, tra una<br />

canna e l’altra. No prego, non sono andato fuori di<br />

testa per la roba io, ero l’ottantaseiesimo io. Ci pensi<br />

e il cervello va su un binario morto se no deragli.<br />

Allora tanto valeva. Due canne avremo fatto ma<br />

erano i vent’anni. La sera del venerdì niente figa in<br />

giro, anche se era il primo agosto.<br />

- E io vi dico – mi fosse morta la lingua in quel<br />

momento – che mi faccio tutto un viaggio in treno<br />

senza pagare il biglietto e non mi beccano! Le sfide<br />

dello stupido, che giochi con la vita e non lo sai.<br />

Ancora canne e birra e la mattina presto da Sirolo mi<br />

portano in macchina (quella 2CV che pareva un<br />

presagio) alla stazione di Ancona. Il primo treno che<br />

partiva era l’Adria Express 13534 Ancona-Basilea che<br />

neanche sapevamo dov’era. “Zfizzerrra!” c’ha<br />

scatarrato un biondone che gli facevamo schifo. Solo<br />

cinquecento lire avevo in tasca che sai dove c’andavo.<br />

- Vi porto il cioccolato svizzero con le scritte<br />

tedesche - gli ho promesso e sono saltato su che mi<br />

ballavano le gambe di sonno e di canne e quei<br />

sacramenti dei miei soci ridevano come se lo<br />

sapevano che era l’ultima volta che li facevo ridere. Il<br />

treno era pieno che mi chiedevo dove andava tutta<br />

68


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

quella gente in Svizzera. Macché! tanti erano italiani<br />

che andavano solo a Rimini o rientravano in Emilia<br />

Romagna dal Conero. C’era su di tutto; tante lingue.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

- Mi dava un po’ fastidio quello sballottamento<br />

continuo perché io mica stavo fermo che poi mi<br />

beccava il bucabiglietti. Erano quegli scompartimenti<br />

con la porta scorrevole che la gente la tiene chiusa<br />

così è convinta di stare a casa sua; qualcuno tira<br />

anche le tendine per l’intimità. Tante casette a<br />

schiera, manca solo l’orticello. C’era di quelli che<br />

facevano colazione e bevevano e ridevano e gli<br />

svizzeri li guardavano con gli occhi che dicevano<br />

“italiani terroni spaghetti”.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

I bambini giocavano strillavano saltavano, qualcuno<br />

scappava fuori e la mamma “Andrea… Gigino…<br />

Marco torna dentroooo!”. Proprio come tante<br />

casette: donne che si truccavano, giovani che si<br />

baciavano, gente che leggeva il giornale e io passavo<br />

e li guardavo dai vetri come nelle vetrine di negozi<br />

dove si vendeva la vita semplice di tutti i giorni. La<br />

vita la vita la vita! che io potevo essere<br />

l’ottantaseiesimo. Lo conosco a memoria l’elenco:<br />

…<br />

Mader Eckhardt, anni 14<br />

Mader Kai, anni 8<br />

69


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mader Margret Rohrs, anni 39<br />

Manea Ved. De Marchi Elisabetta, anni 60<br />

Marangon Maria Angela, anni 22<br />

Marceddu Rossella, anni 19<br />

Marino Angela, anni 23<br />

…<br />

Lì tra<br />

Marceddu Rossella, anni 19<br />

e<br />

Marino Angela, anni 23<br />

ci dovevo stare io Marchetti Giulio, anni 20. Ci<br />

dovevo stare io ci dovevo stare io ci dovevo stare io.<br />

Una stazione ogni tanto scendevo e guardavo il treno<br />

da sotto che era anche bello, cominciava a piacermi<br />

con tutta quella vita che andava e veniva, saliva e<br />

scendeva come formiche in ferie. Il treno sembra<br />

proprio la vita che si sale e a un certo punto si scende:<br />

incontri gli altri che anche loro salgono e scendono,<br />

uno qua uno là. Sul treno si fa tutto. Che storia, mi<br />

stava prendendo e qualcuno di quelli che andavano<br />

lontano mi riconosceva mi salutava mi offriva da<br />

mangiare e da bere e una ragazza mi ha baciato e<br />

fumavo nei corridoi con gli uomini che ridevano<br />

perché traballavo un po’ e dicevo scemenze e<br />

avevano capito che scappavo per il biglietto. Uno<br />

anziano mi ha offerto di tirare la pipa e aveva 85 anni<br />

70


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e io potevo essere l’ottantaseiesimo se il mio nome lo<br />

leggevo tra Marceddu Rossella, anni 19 e Marino<br />

Angela, anni 23. Perché io ero Marchetti Giulio, anni<br />

20, ero.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

Però non ci sono nell’elenco, l’ho letto e riletto tante<br />

volte e non avevo fumato. L’Adria Express 13534 è<br />

arrivato quasi puntuale a Bologna alle 10:20, dieci<br />

minuti di sosta e ripartivamo. Il treno è una bella<br />

bestia che tira il fiato un attimo, una pisciatina e via di<br />

nuovo a far scintille sui binari. Gente che scende,<br />

gente che sale. Ero seduto che giocavo a carte con<br />

una svizzerina tenera come una simmenthal e uno mi<br />

ha gridato “Il controllore!”. Ho perso quel momento<br />

a dare un bacio sulla guancia alla biondina e quello mi<br />

ha visto che scappavo. Io via! Mi cade l’occhio sul<br />

grande orologio della stazione, le 10:24. E lui dietro<br />

giù per i gradini e io via a salti e spinte e la svizzerina<br />

“Zcappa! Zcappa!” e fortuna che siamo sul primo<br />

binario e vedo il cartello USCITA e lui a gridare:<br />

- Fermalo! Fermalo! - e io che sono già fuori dalla<br />

stazione e corro ancora e mi infilo fra i taxi e<br />

Quel bastardo mi si è buttato addosso, ho pensato intanto<br />

che finivo per terra con un sacco di cemento sulle<br />

spalle. Ma quel tuono che erano mille tuoni quegli<br />

schianti quelle urla – mi scorticano quelle urla! –<br />

quelle invocazioni quelle sirene quell’inferno, non<br />

c’entravo io col mio biglietto.<br />

71


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Volete sapere che ore sono? Le 10:25, il mio orologio<br />

segna solo le 10:25. Sempre. Però io non sono<br />

l’ottantaseiesimo dell’elenco ma le ho viste le foto<br />

delle due carrozze sul primo binario e lì dentro c’era<br />

la mia svizzerina, c’ero stato io lì.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

Ma la mia testa la mia testa la mia testa è rimasta là a<br />

quel 2 agosto 1980.<br />

85 morti.<br />

L’ho più preso il treno.<br />

72<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.8 La pensione<br />

di Pierangelo Colombo<br />

Un canglore metallico susseguì la lucente moneta<br />

inserita nella feritoia della macchinetta, mentre le dita,<br />

correndo lungo la tastiera, ne sfiorò i pulsanti<br />

severamente allineati, premendo infine il più usurato<br />

selezionando un caffè espresso.<br />

La porta a vetri della saletta filtrava appena il fracasso<br />

dell’officina: torni, frese, presse, una sirena che<br />

segnalava il blocco di un macchinario; rumori che si<br />

mescolarono alla voce di due giovani colleghi che, già<br />

servitisi alla macchinetta, discutevano<br />

appassionatamente di calcio, mentre Raffaele,<br />

immerso nei propri pensieri, osservava il caffè cadere<br />

a cascata nel bicchierino di plastica.<br />

La luce bianca al neon sviliva ancor di più il grigiore<br />

della giornata autunnale che filtrava a stento<br />

attraverso i vetri satinati delle finestrelle, mentre<br />

l’orologio scandiva inesorabile i minuti di quella pausa<br />

turno.<br />

Accompagnando i gesti con un sospiro, Raffaele<br />

prelevò il bicchiere fumante portandoselo alle labbra.<br />

Le dita indurite dai calli percepirono appena,<br />

attraverso l’esiguo spessore del bicchierino, il calore<br />

del caffè bollente. Calore che assaporò attraverso il<br />

palmo della mano, mentre l’aroma del caffè si<br />

mescolava all’odore di olio chimico che ne<br />

impregnava la pelle assieme al sapone: vanamente<br />

adoperato per attutirne l’afrore.<br />

73


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Raffaele fissò le proprie mani: dita tozze da<br />

carpentiere, dove il grasso e l’olio usati sul tornio<br />

andavano ad annerirne i solchi fra le creste delle pelle<br />

esaltandone così l’impronta digitale. Le vibrazioni del<br />

macchinario, assorbite attraverso la pelle, sembravano<br />

rimbombare nella mano in una infinita eco per poi<br />

essere rilasciate lentamente attraverso un lieve<br />

tremore.<br />

Mani che, nonostante il lungo sfregare con sapone e<br />

detergenti, sembravano sempre lorde. Mani di cui<br />

Raffaele a volte provava vergogna. Le aveva tenute<br />

strette a pugno quando aveva accompagnato la figlia<br />

all’altare; disagio che aveva provato anche quando,<br />

dinanzi la fonte battesimale, con quelle dita che<br />

parevano insudiciarne la candida veste aveva tenuto il<br />

nipotino facendogli da padrino.<br />

Mani però, che in quasi trentanove anni di lavoro, gli<br />

avevano sempre permesso di guadagnare il pane<br />

onestamente, senza scorciatoie o compromessi, e di<br />

questo ne andava fiero, nonostante siano valori sviliti<br />

al tempo d’oggi.<br />

Sorseggiò lentamente quel caffè che sentì amaro<br />

come non mai. L’ultimo caffè da operaio. Alle<br />

quattordici in punto infatti, timbrando l’uscita<br />

avrebbe chiuso definitivamente con la vita lavorativa.<br />

Il miraggio illusorio di un’indipendenza economica<br />

l’avevano spinto, poco più che sedicenne, a scegliere<br />

il lavoro al tedio studio dell’algebra e del latino.<br />

Lasciando i banchi di scuola, per quelli assai più ardui<br />

dell’officina, aveva dato inizio a lunghi anni dove la<br />

74


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

sirena chiamava alle otto ore che sembravano non<br />

passare mai nel fischiettare la solitudine per<br />

alleggerire la fatica.<br />

Lunghi i pomeriggi estivi, quando la canicola rendeva<br />

irrespirabile l’aria pregna di polvere e sudore, quando<br />

la limaglia pareva penetrare nella pelle<br />

punzecchiandola come spilli, rendendo una doccia<br />

più ambibile dell’oro.<br />

Pungenti i freddi mattini d’inverno, quando le mani<br />

intorpidite dal freddo faticavano a manovrare gli<br />

utensili gelati e il pensiero correva svelto a quel letto<br />

caldo lasciato prima ancora dell’alba, quando, facendo<br />

il primo turno, puntava la sveglia alle cinque e cinque<br />

rubando così qualche minuto al tempo tiranno.<br />

Sonno dissolto lentamente sulla corriera che,<br />

dall’entroterra, lo portava alla città della “Lanterna”<br />

che, austera, pareva ergersi dal mare nero dell’alba<br />

indicandogli la meta. Fitta la nebbia che pareva<br />

trasformare quella corriera in un fantasma diretto<br />

verso le luci di una fabbrica dove i dialetti si<br />

confondono soffocati dal rumore e tante storie<br />

diverse s’incrociano in un unico destino.<br />

Raffaele attendeva il pensionamento con la stessa<br />

ansia con cui un soldato di leva conta i giorni<br />

mancanti al tanto sospirato congedo.<br />

Non era così però che aveva sognato quel suo ultimo<br />

caffè, quelle sue ultime ore in tuta blu che ormai<br />

indossava come una seconda pelle. Sognava una<br />

bottiglia di prosecco con i compagni di una vita,<br />

qualche pasterella a fine turno ribattendo a scherni e<br />

75


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

battute di spirito. Immaginava le pacche degli amici,<br />

le vigorose strette di mano ad accompagnare magari<br />

una leggera malinconia capace di far lucidare lo<br />

sguardo di tutti.<br />

Era solo invece in quella saletta, dove il brusio della<br />

macchinetta indicava l’uscita dei due colleghi di cui<br />

conosceva soltanto il nome. La crisi, il riassetto della<br />

società, avevano portato lo scompiglio con la cassa<br />

integrazione, la mobilità, il riposo compensativo,<br />

perciò Raffaele si trovava in un turno e un reparto<br />

che non erano il suo. A rendere più amaro quel caffè<br />

però, era la strana sensazione che provava dinanzi a<br />

quel prepensionamento a cui era stato aggiunto un<br />

incentivo per “togliere il disturbo”, risolvendo il<br />

problema d’esubero del personale.<br />

Raffaele sapeva per esperienza che nessuno era<br />

indispensabile: troppi i colleghi visti andandosene con<br />

l’arrogante presunzione d’essere insostituibili,<br />

rimpiazzati invece senza alcun disagio. Credeva però,<br />

o meglio sperava, d’essere qualcosa in più di un<br />

semplice numero su di un cartellino; ed ora pagava<br />

pesantemente lo scotto d’essersi illuso nella sua<br />

meticolosità, la disponibilità nei confronti delle<br />

esigenze dell’azienda, la docile sottomissione ad ogni<br />

richiesta. Bruciava la consapevolezza d’essere di<br />

troppo, superfluo, un peso per l’azienda; così come<br />

bruciava il pensiero di ricevere soldi per andarsene:<br />

una specie di rottamazione.<br />

Malinconicamente, uscì dalla saletta diretto alle ultime<br />

due ore di lavoro, come un mulo che si accinge al<br />

76


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

giogo, quando, in lontananza vide la figura del<br />

caporeparto, dirigersi verso di lui.<br />

Una speranza, fievole come un lumicino, si accese nel<br />

suo animo. Illusione dettata da un beffardo sorriso<br />

dipinto sul viso dell’uomo che, ambiguo, si dirigeva<br />

verso di lui.<br />

“Eccolo, ora mi dirà di salire in direzione, ne sono<br />

certo, forse mi daranno una lettera di ringraziamento;<br />

forse un orologio, magari una patacca, una penna o<br />

una medaglia. Oh mio Dio cosa dirò? Mi sudano già<br />

le mani!” il cuore esplose in una corsa sfrenata.<br />

«Belandi! Allora sei pronto per fare il nonno a tempo<br />

pieno?» eruppe il caporeparto con un gran sorriso<br />

mentre, con una pacca sulla spalla infuse un<br />

entusiasmo tale in Raffaele da fargli tremare le mani.<br />

Raffaele ristette in attesa di quella frase che tanto gli<br />

coceva dentro, con il desiderio di rivalutazione, di<br />

farsi finalmente una persona e non un numero.<br />

«Senti un po’, ho visto Luca del personale..» Raffaele<br />

trattenne il fiato aspettando una conferma ai propri<br />

desideri, «dice che il tesserino puoi lasciarlo in<br />

portineria quando esci, senza salire in ufficio.»<br />

Raffaele ristette senza parole, sentendo tutto il peso<br />

della delusione cocente piombargli addosso con la<br />

stessa soffocante potenza di una slavina.<br />

«Grazie!» disse poi, tornando mestamente al suo<br />

posto.<br />

indice<br />

77


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.9 Il disertore<br />

di Gianni Martinetti<br />

Così ne parlavano i giornali:<br />

“ ... frammento di memoriale trovato nelle tasche del disertore<br />

Vannini Giulio, di anni 23, ucciso da un colpo di arma da<br />

fuoco, sfuggito, accidentalmente, al sottufficiale di P.S. Franchi<br />

Artemisio…”<br />

Questa volta starò bene attento e, se vorranno<br />

riprendermi, dovranno faticare a lungo.<br />

Loro, i capoccioni, questa la chiamano diserzione, io,<br />

libertà.<br />

Ma perché non riescono a convincersi che non posso<br />

sottomettermi alla costrizione di una divisa, di un<br />

orario da rispettare, di una successione monotona di<br />

atti, tutti programmati?<br />

Io sono nato per essere libero: non ho mai avuto<br />

programmi e scadenze, non ho mai cercato di<br />

accaparrare denaro, non ho mai posseduto una casa.<br />

Sono nato nei boschi, sono sempre vissuto nei boschi<br />

e voglio morire nei boschi.<br />

Non ho altri desideri, non faccio del male ... e allora<br />

perché non mi si lascia in pace?<br />

Non ho mai cercato niente, non ho mai dato noia a<br />

nessuno, chiedo solo di essere lasciato nella mia<br />

solitudine.<br />

E’ così difficile ottenere una cosa tanto semplice?<br />

Non m'importa di essere chiamato animale selvatico,<br />

straccione, eremita: le parole lasciano solo un breve<br />

scompiglio superficiale, per poi fuggire via come il<br />

vento di marzo.<br />

78


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non voglio essere obbligato ad ossequiare un altro<br />

uomo, solamente perché porta dei gradi. Non capisco<br />

perché dovrei farlo: è un estraneo che non conosco e<br />

che non ho mai cercato di conoscere.<br />

Io voglio salutare solamente il sorgere dell'alba e<br />

l'arrivo di un nuovo giorno; voglio poter cantare con<br />

le cicale la mia gioia di vivere.<br />

Non voglio appartenere alla comunità: troppi odi,<br />

troppo rancore, troppa slealtà.<br />

Le mie lepri e i miei scoiattoli non sono così.<br />

Forse se i capoccioni avessero capito questo modo di<br />

vivere mi avrebbero lasciato andare.<br />

Non hanno voluto ascoltare le mie ragioni e si sono<br />

sentiti in dovere di privarmi dell'unico bene che ho<br />

avuto e che adesso cerco di riavere: la mia libertà.<br />

Tre volte sono scappato, tre volte mi hanno ripreso,<br />

tre volte mi hanno condannato.<br />

Ho passato più di un anno in carcere.<br />

Il solo ricordo di quella detenzione forzata mi fa<br />

venire i brividi.<br />

Continuavo a misurare quei cinque metri quadri della<br />

cella a passo rabbioso, quasi animalesco, nella<br />

disperata attesa del ritorno al reggimento per poter<br />

tentare di nuovo la fuga.<br />

Questa volta però non mi farò riprendere; proteggerò<br />

con astuzia la mia riconquistata libertà.<br />

Mi attenderanno certamente all'imboccatura della mia<br />

caverna, sicuramente nascosti nei pressi: sono<br />

convinti che prima o poi vi farò ritorno, come ho<br />

fatto le altre volte, ma non sarò cosi ingenuo.<br />

79


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ritornerò mai più. Troverò un altro buco in cui<br />

ripararsi di notte dal freddo e dalle intemperie.<br />

Loro non possono sapere che, prima, una ragione<br />

ben precisa mi costringeva a ritornare: volevo<br />

rivedere il mio grillo.<br />

Quando mi hanno preso l'ultima volta, me l'hanno<br />

ucciso schiacciandolo sotto i piedi.<br />

E pensare che quel grillo era lì da tanto tempo.<br />

Eravamo diventati amici e io non l'avevo mai<br />

dimenticato.<br />

Sono stati cattivi.<br />

Ma perché non riescono a capire?<br />

Forse non è che non riescono, non vogliono.<br />

E’ una colpa voler essere al di fuori degli schemi della<br />

società?<br />

Eppure non sono dannoso per gli altri, sono soltanto,<br />

secondo il loro linguaggio, passivo.<br />

O è inumano anche l'essere passivo?<br />

Non ho mai cercato la carità per sopravvivere; mi<br />

sono sempre bastati pochi frutti raccogliticci.<br />

Ma perché devo difendermi?<br />

Non mi sento in colpa. Dovrebbero essere loro a<br />

sentirsi in colpa.<br />

Loro, la Giustizia - che bei termini usano nelle loro<br />

definizioni - e i suoi responsabili: i giustizieri, loro<br />

sono i colpevoli.<br />

Io non ho mai accettato codici e leggi: loro mi ci<br />

hanno costretto con la scusa della superiore volontà.<br />

Io non ho mai imposto a nessuno di seguire il mio<br />

modo di vita.<br />

80


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ho mai costretto nessuno -se non gli garbava - a<br />

danzare nudo sotto la pioggia come faccio io.<br />

L'unica persona a cui l'avevo proposto, una pastorella<br />

incontrata per caso sull'alpe, si era adirata o aveva<br />

finto e se ne era fuggita via, dandomi del matto.<br />

Forse avrà avuto paura di prendere un raffreddore.<br />

Peccato, perché non saprà mai quanto sia bello<br />

distendersi nel muschio del sottobosco e sentire le<br />

gocce d'acqua saturare i pori della pelle, accarezzare i<br />

peli della pancia e giocherellare sullo stomaco e sul<br />

ventre. Non conoscerà mai quegli attimi meravigliosi<br />

in cui ci si sente totalmente immersi nelle profondità<br />

naturali come piccole particelle di un grande spirito.<br />

O forse avrà avuto timore di mostrare le sue nudità.<br />

Nel mio mondo non ci sono pudori, non ci sono<br />

inibizioni; mi sento parte integrante della natura, non<br />

sconvolgo l'equilibrio delle cose.<br />

Ma perché non vogliono capire?<br />

Non importa.<br />

Questa volta non riusciranno a scovarmi anche se per<br />

acciuffare un “disertore recidivo” come me, sono<br />

capaci di organizzare una battuta a largo raggio.<br />

Che strano: come si prendano tanta pena per chi non<br />

vuole sottostare alle loro leggi.<br />

Preferiscono spendere un sacco di soldi per<br />

riagguantarmi e mantenermi in galera, anziché<br />

lasciarmi libero e indipendente sulle mie rocce.<br />

Chissà se useranno anche i cani?<br />

Chissà se mi spareranno addosso?<br />

Ho paura.<br />

81


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non devono trovarmi, non mi lascerò trovare.<br />

Ma perché non vogliono capire?<br />

Uno come me non può dar fastidio.<br />

Forse per loro costituisco un esempio da non imitare,<br />

che non deve essere seguito da altri e quindi un<br />

esempio da castigo esemplare e, al limite, da<br />

eliminare.<br />

Ecco il perché di tanta fatica: io sono - per usare il<br />

loro linguaggio - un rivoluzionario, un disfattista, un<br />

anarcoide ribelle alle superiori autorità.<br />

Devo essere eliminato, altrimenti potrei venire<br />

additato come - e cito sempre parole loro -<br />

catalizzatore di pericolosi sfaldamenti nei confronti di<br />

un'autorità che deve essere arbitra assoluta della<br />

convivenza sociale. Non so se l'autorità sia una cosa<br />

giusta per gli altri uomini, non mi interessa: so<br />

soltanto che è una limitazione della mia libertà.<br />

Mi ribello a questo sopruso: è nel mio diritto di uomo<br />

libero.<br />

Non voglio autorità e per questo non mi devono<br />

trovare.<br />

... (parole illeggibili perché slavate dalla pioggia - o, forse,<br />

macchiate dal sangue)<br />

Chissà se mi spareranno addosso?<br />

indice<br />

82


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.10 La Collanina<br />

di Maria Carla Bracaccini<br />

Il convegno è appena terminato e, di tutto quanto è<br />

stato detto, non riesco che a pensare alla frase con cui<br />

una signora ha finito il suo intervento.<br />

Colpita dal cancro, ancora viva e decisa a continuare<br />

la sua strada.<br />

Come me!<br />

“Siamo delle lungoviventi grazie alla scienza e per<br />

questo dobbiamo sfruttare al meglio questa seconda<br />

possibilità che ci è offerta.”<br />

Lungovivente, io sono una lungovivente, mi ripeto<br />

camminando per tornare a casa.<br />

E' estate, le vie dei centro della mia città sono tutte<br />

illuminate, i negozi ancora aperti nonostante l'ora<br />

tarda e dalla piazza arriva il suono di un'orchestrina.<br />

Gli ambulanti hanno quasi terminato di sistemare le<br />

loro bancarelle. Domani sarà la festa del patrono della<br />

città e mi sono ripromessa di rispettare tutte le<br />

tradizioni, cosa che da alcuni anni non faccio.<br />

Avere i figli e le loro famiglie tutti riuniti attorno alla<br />

tavola imbandita con piatti tradizionali, comprare ai<br />

grandi il “ciuffoletto” un piccolo regalo, andare con i<br />

piccoli per bancarelle a cercare i giochi che da tempo<br />

chiedono.<br />

Ma “quella” ha rovinato tutto. Accidenti, ci voleva<br />

proprio che pronunciasse quella parola.<br />

Ho impiegato tanto tempo e tanta fatica per riuscire a<br />

riprendere in mano la mia vita e non ho ancora<br />

83


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

terminato perché ogni giorno debbo fare un piccolo<br />

passo in avanti.<br />

La malattia mi ha costretto a mettere in discussione<br />

tutto il mio vissuto.<br />

Molte cose che “prima” ritenevo importanti hanno<br />

quasi perso significato.<br />

Le domande che mi pongo frequentemente e che mi<br />

fanno star male sono sempre le stesse.<br />

“Perché? Ho delle colpe? E' tutto finito qui? Sono<br />

anch'io tra coloro che ce la fanno? Merito una<br />

seconda possibilità?”.<br />

Lentamente, molto lentamente, grazie all'amore per la<br />

vita e per chi mi è caro, riesco ad essere meno<br />

spaventata, gioisco per piccoli gesti, come un<br />

abbraccio dei miei piccolini, un sorriso dell'uomo<br />

della mia vita, un lavoretto che sono riuscita a portare<br />

a termine ma soprattutto comincio di nuovo a vedere<br />

davanti a me un futuro, ad avere voglia di fare<br />

progetti, a sognare.<br />

Oggi mi sono alzata piena di energia ed ho trascorso<br />

la giornata ad organizzarmi per domani.<br />

Nonostante io mi sforzi per far sì che ogni giorno sia<br />

migliore di quello appena trascorso, a volte basta una<br />

parola, un avvenimento per farmi tornare indietro,<br />

per sentirmi angosciata e questa sera la signora è<br />

riuscita in questo.<br />

Tutta presa dai miei pensieri non riesco neanche a<br />

dare uno sguardo alle bancarelle.<br />

Alla fine della via però, sono attratta da una musica<br />

che per me è molto importante.<br />

84


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi fermo. La ballerina del carillon gira lentamente<br />

accompagnata dalla ninna nanna di Brahms.<br />

Associo sempre questa musica a mio padre ed anche<br />

ora sento nel cuore quella dolce malinconia che il suo<br />

ricordo mi provoca sempre.<br />

Rimango ferma a fissare la ballerina dal bianco tutù,<br />

le braccia sollevate, il visino perfetto inclinato e nel<br />

momento in cui cessano la musica ed il suo dolce<br />

volteggiare, odo una voce dal forte accento straniero.<br />

“Per quel collo da principessa ci vuole una collana<br />

che brilli”.Un anziano uomo di colore con due occhi<br />

colmi di dolcezza, mi guarda rivolgendomi un caldo<br />

sorriso.<br />

Sul momento non credo si rivolga a me, ma lì ci sono<br />

solo io.<br />

In mano ha una collanina di minuscole perline<br />

bianche che brillano sotto la luce del faretto posto al<br />

centro della sua bancarella e me la porge.<br />

Non so che fare. Allora lui si alza, mi si avvicina,<br />

prende la mia mano, ci posa la collanina e,chinando il<br />

capo da un lato dice. “Prego, provala, è stata fatta<br />

proprio per te!”<br />

Sì, è proprio carina e corta proprio come piace a me.<br />

La indosso e guardandomi in un piccolo specchio che<br />

il signore tiene in mano, trovo che mi stia veramente<br />

bene.<br />

Chiedo il prezzo, pago e lo saluto con un semplice<br />

buonasera.<br />

Lui invece, prima di tornare a sedersi mormora. “Ciao<br />

bella signora, fai brillare anche i tuoi occhi.”<br />

85


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una semplice parola mi ha riempito di angoscia, una<br />

collanina ed il sorriso di un vecchio signore mi hanno<br />

scaldato il cuore.<br />

Riacquisto la mia serenità.<br />

Sì, è vero che una tremenda malattia mi ha colpito, sì<br />

è vero che grazie alla scienza io ora sono qui.<br />

Sì e vero, sono una lungovivente ma con un collo da<br />

principessa ed una collana che lo fa brillare, mi dico<br />

con un sorriso mentre apro la porta della mia casa,<br />

del mio regno.<br />

indice<br />

86


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3. Sezione Donna<br />

3.1 Ogni sera, tranne il giovedì<br />

di Vanes Ferlini<br />

Le compravo una rosa ogni sera. Mi compravo il suo<br />

sorriso, che ogni sera svaniva sempre più<br />

velocemente. Lasciava il posto alla maschera<br />

indecifrabile del viso da eterna bambina che non si<br />

rassegna allo scorrere del tempo. L'unico a sorridere<br />

davvero era il pakistano. Si presentava puntuale al<br />

nostro tavolo: alle nove e trenta, ogni sera tranne il<br />

giovedì, con il mazzo di rose a stelo lungo. Non<br />

avevo voglia di tirare sul prezzo e lui ne approfittava:<br />

la stessa rosa costava ogni sera sempre più cara. Era<br />

l'unico regalo che lei accettava da me e questo mi<br />

sollevava parecchio, perché non avrei potuto<br />

permettermi doni più costosi.<br />

Forse anche il pakistano si chiedeva come mai quella<br />

bella signora, elegante ma non appariscente,<br />

voluttuosa ma non sfacciata, non sorrideva più come<br />

al principio. Piccoli mutamenti, gesti insignificanti,<br />

parole sfuggite come per caso. Sintomi imprevedibili.<br />

Un pennacchio di fumo che sale dal vulcano<br />

dormiente. Nessuno si preoccupa: in definitiva si<br />

tratta solo di un esile filo di fumo.<br />

Nemmeno io mi preoccupai. La noia, la mancanza di<br />

interessi radicati, una vita affettiva ridotta a una<br />

scatola vuota. Motivi più che sufficienti a spiegare il<br />

suo stato di sfiducia e apatia.<br />

87


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi resi conto che soffriva di solitudine. Non era<br />

causata dal recente divorzio, doveva possedere radici<br />

ben più lontane, ben ramificate negli interstizi delle<br />

banalità di ogni giorno. Forse per questo lei si<br />

attaccò tanto a me. Le piaceva ricevere piccole<br />

attenzioni, come quelle degli innamorati ai primi<br />

incontri. La faceva sentire giovane e desiderabile... e<br />

non ne faceva mistero.<br />

Il tavolo riservato. Sempre lo stesso, a partire dal<br />

primo incontro. Tutte le sere ad eccezione del<br />

giovedì. Il maitre ci accompagnava al tavolo, quindi ci<br />

lasciava soli per una mezz'oretta prima di tornare a<br />

prendere l'ordinazione. Nel frattempo lei mi aveva<br />

raccontato la sua giornata o per meglio dire le<br />

sensazioni della giornata e io avevo ascoltato in<br />

religioso silenzio, come un confessore troppo buono<br />

che non osa interrompere il penitente.<br />

Luci vellutate e notturni di Chopin suonati dal<br />

pianista all'angolo opposto della sala. Creavano<br />

l'illusione di un universo parallelo, limpido e<br />

incorruttibile, che non possedeva nulla in comune<br />

con il mondo di fuori. Nessuna possibilità di<br />

contatto.<br />

A volte entravano nella sala uomini d'affari o dirigenti<br />

d'azienda, impettiti nei loro gessati, stirati alla<br />

perfezione. Tutti la notavano, non potevano farne a<br />

meno. Qualcuno si ostinava a fissarla a lungo. Lei era<br />

consapevole degli sguardi che si ritrovava addosso,<br />

ma non li ricambiava mai.<br />

88


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Si limitava a sorridermi lievemente, con la complicità<br />

dei bambini, e io mi sentivo importante, perché<br />

snobbava tutti gli altri, guardava me solo.<br />

Non ho mai capito, né d'altronde me lo sono chiesto,<br />

perché prediligesse quel locale. Era stata lei a<br />

sceglierlo, la prima volta, e non mi passò mai per la<br />

mente di proporle una variazione. Là dentro tutto<br />

sembrava armonico e perfetto: qualcuno aveva creato<br />

l'ambiente ideale nel quale specchiarsi e trovarsi<br />

migliori di come ci vediamo di solito.<br />

A me chiedeva solo la presenza, lo sguardo, una frase<br />

dolce di tanto in tanto... e io glieli offrivo volentieri,<br />

tutte le sere. Tranne il giovedì.<br />

Era sempre lei a pagare il conto. Anche perché, con il<br />

mio stipendio da interinale, non me lo sarei potuto<br />

permettere. All'inizio lo trovai imbarazzante, ma<br />

diventò presto una consuetudine. Le mie timide<br />

proteste suonavano ancora più false di quanto non<br />

fossero in realtà, quindi la lasciai fare, sfidando gli<br />

sguardi ficcanti dei camerieri. Ben presto venne meno<br />

anche il sottile disagio che mi prendeva quando lei<br />

estraeva la carta di credito dal portafoglio di Armani.<br />

“Tu fai così tanto, per me” mi sussurrava.<br />

In realtà non facevo nulla. Stavo ad ascoltarla per<br />

gran parte della serata.<br />

Sono bravo ad ascoltare. Non è facile come si crede,<br />

non è sufficiente capire ciò che l'altro ti vuole dire.<br />

Bisogna assimilare le parole, rielaborarle, come la<br />

creta nelle mani dello scultore, quindi restituirle al<br />

mittente sotto forma di comprensione. E’ sufficiente<br />

89


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

anche una frase di dieci parole, purché siano quelle<br />

che l'interlocutore vuol sentirsi dire.<br />

Con lei tutto questo mi riusciva facile. Non era una<br />

finzione, la mia. Mi piaceva restare ad ascoltarla per<br />

ore... e lei lo sapeva.<br />

Non si lasciava mai andare agli sproloqui. Discorsi<br />

asciutti, frasi misurate, cadenzate sul velluto di una<br />

voce profonda da contralto, incrinata però dalle<br />

troppe sigarette. E forse da qualcos'altro.<br />

In quelle ore di intimità, il solco generazionale che ci<br />

divideva sembrava sparire come per incanto. Lei si<br />

sforzava di colmarlo, di approssimarsi a me in ogni<br />

modo, dato che io ero troppo giovane per<br />

avvicinarmi a lei. Portava i suoi cinquantadue anni in<br />

modo splendido. Mi confidava che, con le nuove<br />

conoscenze maschili, si spacciava per una<br />

quarantenne neo-divorziata alla ricerca di una<br />

relazione sincera e duratura. Utopia.<br />

Con la stessa sincerità disarmante confessava che le<br />

nuove conoscenze naufragavano nel giro di due o tre<br />

settimane. Gli uomini non la soddisfacevano in nulla,<br />

non sapevano infonderle quello stimolo nuovo alla<br />

vita che lei stava cercando con ostinazione disperata.<br />

Un paio di volte mi disse di essere stata a letto con<br />

uomini appena conosciuti. Non lo esplicitò a chiare<br />

lettere, me lo fece capire con giri di parole. Una vera<br />

signora, in tutto. In quelle circostanze mi fissò a<br />

lungo, forse per cogliere in me qualche sintomo di<br />

gelosia.<br />

90


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ero geloso né scandalizzato per le sue<br />

confessioni intime. Non potevo esserlo: ci<br />

conoscevamo da troppo tempo. Ciò che davvero mi<br />

metteva a disagio era la sua solitudine, ma non riuscii<br />

a immaginare quanto fosse tremenda.<br />

Ero il suo confidente. Discreto e sicuro, perché<br />

sapeva che non avrei mai fatto alcun cenno ad anima<br />

viva. Comprensivo, perché le offrivo la parola giusta<br />

proprio quando lei se l'aspettava.<br />

Le sue confessioni non erano mai dirette, non<br />

sembravano premeditate. Era capace di discorrere di<br />

argomenti futili (almeno dal mio punto di vista) per la<br />

serata intera, per scivolare all'improvviso sull'intimo,<br />

approfittando di una liaison involontaria o di una<br />

associazione di idee in apparenza casuale. Cercavo di<br />

cogliere questi momenti e di farle capire che li avevo<br />

fatti miei. Scorgevo allora nei suoi occhi un lampo di<br />

fuoco antico, un risveglio di fiamma rimasta sopita<br />

troppo a lungo sotto la cenere del vuoto quotidiano.<br />

Di rado mi azzardavo a darle consigli. Per lei era<br />

comunque sufficiente sapere che partecipavo alle sue<br />

emozioni più intime. Le serate trascorrevano con<br />

velocità imprevedibile, ogni cena aveva il sapore della<br />

prima volta. Tranne il giovedì.<br />

Dopo una settimana smettemmo di darci<br />

l'appuntamento. Ci ritrovavamo al medesimo tavolo,<br />

sempre alla stessa ora, per accordo tacito.<br />

Durante il giorno non mi chiamava mai, né in ufficio<br />

né sul cellulare. Nemmeno io la chiamavo. Del resto,<br />

non avevo nulla da dirle. La sera, invece, eravamo<br />

91


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

immersi nel nostro mondo esclusivo, dove le parole<br />

fluivano facili e tutto sembrava possibile. Oppure<br />

impossibile, dipendeva dalla serata.<br />

Tenevo spesso lo sguardo fisso sul suo viso. La bocca<br />

languida, gli occhi verde pallido e minuscole rughe a<br />

zampa di gallina sugli angoli. Diventavano più<br />

pronunciate quando rideva.<br />

Adoravo quelle rughe. Una sera mi disse che, per la<br />

prima volta in vita sua, intendeva rivolgersi a un<br />

chirurgo estetico per farle sparire.<br />

Minacciai di non presentarmi più all'appuntamento se<br />

avesse posto in atto quel piano sciagurato. Lei rise di<br />

gusto, come non accadde più, in seguito.<br />

Con il passare del tempo diventò abulica. Non<br />

riuscivo più a farla ridere di sé stessa (è sempre una<br />

gran medicina) e anche quando sorrideva delle mie<br />

battute sembrava facesse più che altro per<br />

accontentarmi. Non mi accorsi a quale punto fosse<br />

giunta la sua solitudine. O forse, in modo inconscio,<br />

non volli rendermene conto.<br />

“Il giovedì sera è triste, non so mai cosa fare” mi<br />

disse. Era il giorno di chiusura del nostro locale. Le<br />

risposi con un motto di spirito che non ricordo<br />

neppure.<br />

Lei non mi fece mai una colpa per non aver saputo<br />

aiutarla anzi, anche nelle sere più tristi non mancava<br />

di regalarmi sguardi pieni di dolcezza, come non ho<br />

mai avuto da nessuna donna.<br />

92


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi resta però il rimorso di non aver captato i segnali<br />

di aiuto che mi lanciava. Talvolta erano così palesi<br />

che adesso vorrei sbattere la testa al muro.<br />

“Oggi non sono andata in ufficio. Ho aspettato che<br />

si facesse sera.”<br />

Una frase che poteva significare tutto oppure nulla.<br />

Un filo di fumo. E io non l'ho capita, ero troppo<br />

lusingato del ruolo che lei mi attribuiva. Ero la<br />

persona più importante della sua vita... lo sarei<br />

sempre stato. Quando mi fissava negli occhi, era<br />

come se rivendicasse la mia appartenenza a lei.Io le<br />

appartenevo ma lei non era mia.<br />

In tutto quel tempo non ci siamo mai neppure<br />

sfiorati. Nessun bacio sulla guancia, né un lieve tocco<br />

di mani. Eppure lei era così intensamente dentro di<br />

me.<br />

Non le piaceva ricevere apprezzamenti per<br />

l'abbigliamento o la pettinatura. Frasi udite troppe<br />

volte da altri uomini. Non era quello che voleva da<br />

me. Di conseguenza non mi curavo troppo della sua<br />

mise o di come si truccava. Era sempre di un'eleganza<br />

sobria, incorruttibile.<br />

Una sera aveva indossato una gonna corta, sopra il<br />

ginocchio. Non portava calze. Mentre pagava il<br />

conto, mi sorpresi a osservare le sue caviglie<br />

affusolate. Non potei neppure evitare il confronto<br />

con le gambe della mia ragazza. Quest'ultima ne uscì<br />

irrimediabilmente sconfitta, ahimè.<br />

L'insistenza del mio sguardo fu tale che lei se ne<br />

accorse. Per dissimulare l'imbarazzo inventai una<br />

93


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

battuta di spirito, l'ennesima delle mie stupidaggini<br />

senza capo né coda.<br />

Lei mi sorrise in modo nuovo, stringendo gli occhi,<br />

come non l'avevo mai veduta prima. Non era certo<br />

per la mia pessima uscita. Era rimasta lusingata dal<br />

mio sguardo impudente, lo considerava un<br />

complimento muto e, per questo, assai più sincero<br />

delle parole.<br />

Da quella sera la nostra complicità si accrebbe,<br />

fomentata dall'atmosfera surreale del locale.<br />

Ogni sera, appena seduti al tavolo, spegnevamo il<br />

cellulare. Era il rito propiziatorio per isolarci da tutto<br />

ciò che non fosse noi. In tutto questo non ci trovavo<br />

nulla di male. Anche i camerieri, dopo la terza serata,<br />

smisero di rivolgerci occhiate curiose. Eravamo<br />

entrambi convinti che le nostre serate non avrebbero<br />

avuto un termine, sarebbero durate per sempre.<br />

“Buona notte, Elisabetta.”<br />

La salutavo sempre così, mentre ci incamminavamo<br />

sul marciapiede, in direzioni opposte. Lei rispondeva:<br />

“Ciao” e mi guardava di sottecchi.<br />

Ero l'unico a chiamarla con il suo vero nome, per<br />

esteso. Per tutti gli altri lei era Lisa, Elisa oppure<br />

Betta. La maledetta mania dei nomignoli. Io invece la<br />

chiamavo Elisabetta e scandivo bene tutte le sillabe.<br />

Lei doveva essere contenta, capiva che rappresentava<br />

qualcosa di speciale per me, impossibile da<br />

pronunciare con sillabe diverse dal suo nome.<br />

94


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

La gente, invece, trova singolare che un figlio si<br />

rivolga alla madre con il suo nome di battesimo,<br />

come fosse un'amica.<br />

Una sera mi telefonò Anna, la migliore amica di<br />

Elisabetta. O per lo meno, la ritenevo tale. “E’<br />

successa una disgrazia. Tua madre è caduta dal<br />

balcone di casa” mi disse.<br />

Una comunicazione telegrafica, come un flash<br />

d'agenzia.<br />

E’ impossibile cadere da quel balcone, se proprio non<br />

si vuole.<br />

Immaginai le dolci rughe, agli angoli degli occhi,<br />

tumefatte sull'asfalto. Era giovedì sera.<br />

Rimasi davanti allo specchio, per convincermi che<br />

non era colpa mia.<br />

Non erano servite le rose che le avevo regalato. In<br />

realtà non avevo saputo ascoltare, non l'avevo mai<br />

capita... non avevo capito nulla.<br />

Adesso neppure il pakistano sorride. Entrambi orfani<br />

di una parte di noi.<br />

indice<br />

95


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.2 Elegia<br />

di Marco Romagnoli<br />

Il tralucere di un raggio di sole filtra appena dalla<br />

finestra accostata e ti alzi dal letto per<br />

cominciare un nuovo giorno. “Sveglia è mattina,<br />

hanno aperto già il portone…”<br />

Raggiungi il bagno, accendi la luce e ti guardi. Guardi<br />

i tuoi occhi ancora assonnati che<br />

riflettono immagini oniriche già lontane... in quel<br />

prato, forse troppo verde, quasi abbagliante, dove<br />

correvi inseguita da non si sa chi e che cosa, mentre<br />

qualcuno, dietro una pianta sulla collina delle more,<br />

rideva forte la sua gioia di esistere e la tua incapacità<br />

di comprendere. Guardi i tuoi capelli scomposti, presi<br />

da un vortice di cuscino e violati; ribelli, forse. Guardi<br />

le tue mani, i piedi. Ti tocchi, vedi te stessa senza<br />

pudori; l'immagine di una presenza che si perpetua<br />

nel suo durare.<br />

Ti osservi interessata, non capitava da un po'. Di<br />

solito sei attenta ad altre cose.<br />

“Sveglia, è mattina, il caffè scotta... troppo.” Il tuo<br />

corpo è lì, a giudicarti, a domandarti<br />

qualcosa, a rappresentarti. “Siamo divinità, e ci<br />

muoviamo nello spazio profondo. Corriamo dietro i<br />

tuoni.”<br />

Il tuo corpo è lì, triste per non essere celebrato come<br />

dovrebbe. Usato più che servito, a volte sollecitato<br />

più del consentito. Quasi mai corteggiato o conteso.<br />

Il tuo corpo piange riflettendo nello specchio la sua<br />

impotenza, la sua sottomissione. E tu, per un attimo,<br />

96


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ne provi tenerezza, quasi gli parli come a un figlio<br />

amato senza cortesia.<br />

“Ma non ti accorgi che stando in alto vedi il mondo<br />

da lontano?” Il tuo corpo ti determina e tu lo escludi.<br />

Ti concede, e tu lo dimentichi. Ti ama, e tu lo biasimi.<br />

Ma allora... fu inganno quando, bambina, ti divertivi<br />

con lui, giocavi per ore senza che fosse stanco, lo<br />

rincorrevi felice perché non ti abbandonasse? Il tuo<br />

corpo continua a piangere.<br />

“Di te, sì, proprio di te che non hai paura, che chiedi<br />

se qualcuno ti presta la faccia e stai facendo una<br />

magra figura...”<br />

Esci dal bagno senza quasi esserti lavata, infili il golf<br />

del giorno prima, i soliti jeans, le solite scarpe da<br />

tennis. Traversi veloce la cucina... te ne vai.<br />

“Lontano si ferma un treno ... che bella mattinata. Il<br />

cielo è sereno.”<br />

indice<br />

97


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.3 Parole (da donna a donna)<br />

di Chiara Loria<br />

(Leggendo alcune liriche di Antonia Pozzi..)<br />

Le tue parole<br />

povera anima di donna<br />

infelice quanto me<br />

fan tremare il cuore<br />

povere e nude come sono.<br />

Il cuore sente l'impotenza<br />

e vorrebbe morire:<br />

non sa dire parole<br />

come le tue.<br />

Ma bastano le tue per piangere.<br />

Una stella mi guarda:<br />

colgo nel suo sfavillio<br />

un moto di pena<br />

per me<br />

che non so parlare...<br />

98<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.4 Le sorelle Q<br />

di Tiziana D’Oppido<br />

Le sorelle Q. escono di casa solo alla mattina o, più<br />

raramente, al pomeriggio. Il buio della sera può<br />

nascondere insidie e quindi preferiscono restare al<br />

sicuro tra le pareti domestiche. I loro genitori<br />

concordano compiaciuti. Se le sorelle si attardano per<br />

strada e non tornano all'orario stabilito, loro si<br />

preoccupano, cercano di rintracciarle telefonicamente<br />

e i loro volti ansiosi fanno capolino dietro le tende<br />

finemente ricamate delle finestre fino a che non le<br />

vedono rincasare. Quando arriva l'inverno gelido,<br />

spesso possono passare giorni o settimane intere<br />

senza che le sorelle mettano il naso fuori di casa. Gli<br />

sbalzi di temperatura possono essere insidiosi per la<br />

salute e portare i classici malanni di stagione, se non<br />

vere e proprie malattie. Talvolta si sentono in giro<br />

delle storie spaventose a riguardo, gente che<br />

apparentemente scoppia di salute muore da un giorno<br />

all'altro per un virus preso nell'aria, per il contagio di<br />

un'infezione, per una bronchite mal curata.<br />

Le sorelle Q. sono cordiali e affabili con i loro parenti<br />

e conoscenti. Di solito non fanno visite ma talvolta<br />

ne ricevono e sono ben liete di poter scambiare<br />

qualche chiacchiera con gli amici e di poter offrire<br />

loro qualche gustoso manicaretto preparato dalla<br />

mamma.<br />

A volte si cimentano pure loro nelle fatiche dell'arte<br />

culinaria. Amano mangiare sano, anche spendendo<br />

qualcosa in più perché sanno bene quanto è<br />

99


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

importante seguire un regime alimentare corretto per<br />

salvaguardare la propria salute. Nel bucato, non è<br />

raro che diano una mano alla loro madre, soprattutto<br />

per quanto riguarda il lavaggio e l'amidatura della loro<br />

biancheria intima. Ascoltano docilmente i consigli dei<br />

loro genitori, li rispettano e li accudiscono<br />

amorevolmente, ora che sono più anziani e pieni di<br />

acciacchi. Le sorelle Q. non guidano la macchina né<br />

avvertono l'esigenza di avere la patente. In fondo<br />

abitano in centro città dove tutto è a portata di mano<br />

e questa è una grande fortuna.<br />

I genitori le appoggiano e le incoraggiano nelle loro<br />

scelte, infondendo loro sicurezza e tranquillità ma<br />

anche disapprovandole e indirizzandole sulla strada<br />

giusta quando ritengono che stiano sbagliando per<br />

loro inesperienza o ingenuità.<br />

Le sorelle Q. sono di buona famiglia e appartenenti<br />

alla media borghesia. Non sono ricche ma<br />

economicamente in casa non manca nulla e grazie alla<br />

pensione del papà non hanno mai avuto<br />

preoccupazioni legate alla mancanza di danaro. Del<br />

resto non amano viaggiare né cedono a sfizi o vizi<br />

come alcool, sigarette, cene fuori casa o discoteche.<br />

Indossano solo capi di boutique: vestiti caldi e<br />

comodi d'inverno, freschi e delicati d'estate. Di tanto<br />

in tanto cambiano parrucchiere, non per capriccio,<br />

ma perché ha esagerato con la tinta o perché anziché<br />

dare una spuntatina ai capelli ha effettuato un taglio<br />

troppo o troppo poco corto. Hanno entrambe<br />

adottato una pettinatura pratica, di media lunghezza,<br />

100


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

che appesantisce il capello, così quando fuori è umido<br />

o piovoso si riesce a tenere a bada la chioma e a<br />

evitare che si elettrizzi o sia in disordine.<br />

Le sorelle si coricano presto la sera, perché fa bene<br />

alla salute e perché una buona dormita nelle ore<br />

giuste fa risvegliare con la pelle riposata e liscia.<br />

Condividono la stanza da letto e a volte può capitare<br />

che prima d'addormentarsi si raccontino qualche<br />

curiosità letta sul giornale, facciano il punto su<br />

qualche impegno per il giorno dopo o confidino l'un<br />

l'altra con malcelata emozione i loro progetti per<br />

l'avvenire.<br />

Quando le sorelle Q. finiranno l'Università,<br />

cominceranno a pensare, senza fretta, al loro futuro<br />

lavorativo. C'è la crisi ma se la caveranno, perché<br />

studiano discipline umanistiche e sono serie e con la<br />

testa a posto e quindi il mondo lavorativo saprà<br />

apprezzare due persone come loro. Col lavoro si<br />

comincerà a pensare anche a un degno compagno e<br />

bisognerà tenere gli occhi aperti, perché di questi<br />

tempi è difficile riuscire a trovare un ragazzo per bene<br />

e senza grilli per la testa. Ma per adesso non se ne<br />

preoccupano e sorridono alla vita fiduciose e serene.<br />

Le sorelle Q. hanno cinquantacinque anni e un<br />

radioso futuro davanti.<br />

indice<br />

101


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.5 Stasera<br />

di Sabrina Balbinetti<br />

C'è qualcosa di magico<br />

stasera.<br />

Madame<br />

ha messo il suo foulard migliore<br />

di seta arancio e oro.<br />

Le sue spalle<br />

sinuose di mare<br />

sono morbide curve<br />

che catturano i sensi.<br />

Una gonna<br />

di sabbia e conchiglie<br />

nasconde<br />

un ventre di donna<br />

che instancabilmente<br />

ci dona la vita.<br />

102<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.6 E’ donna<br />

di Stefania Pellegrini<br />

Passi di rugiada nel vento<br />

ombre di foglie nell'aria<br />

danzano<br />

il ritmo delle note<br />

la leggerezza del cuore.<br />

Armonie di forme<br />

sposano la bellezza<br />

nella genesi<br />

di un dono supremo.<br />

Fuoco, passione<br />

alimento di forza<br />

nello spirito che sostiene.<br />

Dolcezza e amore<br />

essenze nel tuo nome.<br />

Tutto questo<br />

è<br />

Donna.<br />

103<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.7 Giovanna, una ragazza allegra<br />

di Francesca Levo Calvi<br />

Ti guardo mentre dormi accanto a me. Sembri un<br />

angelo. Il tuo viso è disteso, la bocca accenna a un<br />

sorriso e sono sicura che tu stia sognando: un sogno<br />

appagante vista la tua espressione.<br />

Mi hai raccontato che spesso sogni il mare e te che<br />

nuoti verso una spiaggia di rena candida, con dietro<br />

una fitta pineta. Uguale a quella che tanti anni fa<br />

abbiamo percorso in tandem io e te ridendo a non<br />

finire, come ridono due ventenni innamorati in libera<br />

uscita.<br />

Chiudo gli occhi e mi rivedo.<br />

Sono allegra, i miei capelli rossi, una massa fulgente,<br />

raccolti in capo con un nastro che hai legato tu,<br />

baciandomi sul collo.<br />

Sono allegra, si e anche in forma, e sul tandem voglio<br />

mettermi davanti; batto i piedi, faccio i capricci e tu<br />

ridi, un poco sbronzo per tutta la birra che abbiamo<br />

bevuto a pranzo nel piccolo bar accanto al lago.<br />

Sono allegra e ti abbraccio, cercando di aderire al tuo<br />

corpo forte, robusto. Tu mi circondi la vita con le<br />

braccia abbronzate e finiamo dietro un boschetto a<br />

far l’amore, a baciarci sino allo sfinimento.<br />

Sono sempre allegra quando, ancora seminudi ti<br />

lancio la sfida di chi arriva prima alla macchina e<br />

scattando mi metto a correre, senza scarpe, afferrata<br />

al volo la camicia che m’infilo in piena luce. Ma che<br />

importa, ho ventanni, sono bella, sono felice e vinco<br />

la scommessa.<br />

104


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Tu arrivi ansante, mi guardi fisso con i tuoi occhi<br />

azzurri improvvisamente glaciali e d’un tratto mi<br />

molli un ceffone, poi mi prendi i polsi stringendoli<br />

forte e guardandomi, davanti al mio stupore mi intimi<br />

di non sfidarti. Che non accada mai più o sarà peggio<br />

per me.<br />

In macchina al ritorno non parliamo, io troppo<br />

stupita non sento neppure il bruciore dello schiaffo,<br />

tu inquieto guidi forte, sorpassi a destra<br />

sull’autostrada, vai fuori dei limiti, sei a tavoletta.<br />

Non ti guardo, spaventata come sono. Ho<br />

conosciuto una parte di te nascosta, un altro uomo,<br />

violento e arrogante, un uomo che non avevo<br />

neppure intravisto. La scena mi torna sempre davanti,<br />

il tuo freddo sguardo, io spaurita. Penso a cosa posso<br />

aver fatto per scatenare quella violenza, penso che<br />

forse hai bevuto troppo, penso che ne riparleremo,<br />

penso che certo tu ti scuserai.<br />

Ora, dieci anni dopo, ti guardo dormire accanto a me,<br />

in questa casa, in cui dopo esserci sposati, siamo<br />

venuti ad abitare. Regalo dei tuoi, questo cottage con<br />

giardino, piccola piscina, due cani da guardia. E qui<br />

viviamo noi due.<br />

Io allegra davvero non lo sono più stata. Tu violento<br />

lo sei stato ancora e ancora e ancora. In tante<br />

circostanze, troppe, tutte per me inspiegabili. Non<br />

riesco ancora adesso a capire cosa succeda nella tua<br />

mente quando ti trasformi in quell’essere pazzo che<br />

mi insegue per casa per picchiarmi, insultarmi,<br />

105


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

violentarmi. Una malattia, mi sono detta spesso, forse<br />

per scusarti.<br />

Non ne parliamo mai e tu non mi chiedi scusa. Io<br />

taccio con tutti, anche con i miei, che vivono in<br />

un’altra città. Sono a disagio anche quando mi<br />

telefonano, come se riuscissero a vedere le ferite che<br />

ho sul corpo e nell’anima. Tante volte ho pensato di<br />

andarmene, di scappare, ma dove?<br />

Mi vergogno di te, di me, di una situazione che<br />

credevo di saper gestire fidandomi del nostro amore,<br />

che avrebbe sicuramente prodotto un tuo<br />

cambiamento, una maturità che ti avrebbe fatto<br />

capire i tuoi errori.<br />

Nulla di tutto questo è accaduto.<br />

Vivere per me è diventato sempre più difficile, con la<br />

paura dentro e l’incapacità di chiedere aiuto. Sento<br />

disagio e vergogna anche nei confronti degli estranei,<br />

del portalettere che mi suona alla porta e che vede il<br />

mio labbro spaccato o un braccio ingessato. Sento<br />

che il disagio sta diventando un insopportabile peso,<br />

che devo fare qualcosa per non morire.<br />

E adesso aspetto un bambino.<br />

Smetto di guardarti dormire, mi alzo faticosamente<br />

dal letto divenuto troppo basso per me, ormai al sesto<br />

mese.<br />

Vado in bagno, ho molto caldo, mi voglio rinfrescare<br />

e aprendo la doccia mi cade l’attenzione sul vicino<br />

specchio che hai rotto con un pugno ieri. Mi metto di<br />

fronte alla miriade di schegge che miracolosamente<br />

stanno insieme senza cadere. Sembra una magia per<br />

106


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

riflettere una, dieci, cento volte il mio volto<br />

tumefatto, un occhio nerastro e un labbro tagliato.<br />

Mi accade spesso, e se non mi guardo nello specchio,<br />

non me ne ricordo, cancello.<br />

Per uscire mi trucco molto, mi metto spesso cappelli<br />

a falda larga oppure quello che mi piace di più, nero<br />

con la veletta che ripara il mio viso dagli sguardi<br />

altrui. Nelle belle giornate aspetto che tramonti e poi<br />

vado a passeggiare un poco, almeno un’oretta ha<br />

detto il medico, per le gambe e per il bimbo, ma<br />

soprattutto, mi ha detto guardandomi fisso negli<br />

occhi, “per te, tesoro”. Mi chiama tesoro: è mio<br />

cognato ma non mi chiede mai nulla. È il fratello di<br />

quest’uomo che dorme beatamente nel nostro letto<br />

matrimoniale. Otto ore filate, da sempre e per<br />

sempre. Senza ritegno. Si, senza ritegno, senza<br />

vergogna per quello che fa a me, a noi, al nostro<br />

bambino.<br />

Non cambierà mai nulla, ora lo so. Nascerà un<br />

bambino dai capelli rossi che prenderà da me e dagli<br />

occhi azzurri come il padre.<br />

Nascerà una nuova vita che dovrà condividere con<br />

me un marito e un padre amoroso e paziente ma che<br />

forse, ogni tanto, sorprendendo entrambi prenderà a<br />

calci la moglie dopo averla sbattuta per terra, oppure<br />

le sputerà addosso torcendole i polsi, magari a causa<br />

di una frittata poco cotta o per una telefonata troppo<br />

lunga.<br />

E la splendida creatura che uscirà alla vita sarà<br />

costretta ad assistere e intuirà, con il passare del<br />

107


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

tempo, le angherie, i soprusi, le violenze con cui suo<br />

padre sta lentamente uccidendo sua madre.<br />

Ma io ti salverò piccolo mio.<br />

Tu mi darai la forza.<br />

Ecco perché ora sono qui, seduta sulla sedia azzurra,<br />

dalla parte del suo letto e vedo le sue spalle robuste,<br />

intuisco i muscoli sotto il pigiama di seta blu. Respiro<br />

con affanno e non bastano le finestre aperte sul<br />

giardino. Respiro con affanno impugnando a due<br />

mani la tua rivoltella carica, quella con cui mi hai già<br />

minacciato e che conservi nel cassetto dello studio.<br />

Mi appoggio allo schienale della seggiola e sorrido<br />

perché so che sarò coraggiosa, proprio io che ho<br />

persino paura dei grilli anche quando passeggiamo io<br />

e te, bambino mio, in giardino. Lo devo a te, si,<br />

questo coraggio e sento che ci salveremo entrambi.<br />

Mi alzo, vado verso il bagno e faccio insieme alla mia<br />

creatura una lunga doccia che lava tutto: la pena, la<br />

paura, l’angoscia, il rimorso. Ti accarezzo e attraverso<br />

la mia pelle sento il nostro legame, forte,<br />

indissolubile. Ti nutri di me e nel tuo crescere e<br />

muoverti sento gioia e orgoglio.<br />

Sì, tu per me sei la salvezza.<br />

Ora sono una donna nuova e dopo essermi vestita<br />

dell’abito più bello che posso indossare e che avvolge<br />

la mia grande pancia compierò un ultimo atto.<br />

Che ora posso, che ora devo fare.<br />

Prendo il telefono e, accarezzando dolcemente la mia<br />

pancia in cui tu, creatura splendida, sei al sicuro,<br />

formo il numero della polizia e alla voce neutra che<br />

108


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

mi risponde dico con voce ferma:<br />

«Sono Alessandra De Giorgis, abito in Viale Monti al<br />

numero 12.<br />

Voglio denunciare mio marito per gravi violenze su<br />

di me. Sono incinta. Potete venire subito?<br />

Temo che si svegli. Grazie. »<br />

Mi rilasso, sempre tenendo la pistola con le mani<br />

incrociate sul mio grembo.<br />

Come se l’avessi chiamato, l’ombra di mio marito<br />

appare nell’arco del soggiorno e poi viene avanti,<br />

verso di me, lo sguardo stupito e ancora assonnato-<br />

Alzo il braccio, stringo i denti e, girandomi lenta<br />

verso di lui, gli punto la pistola : - Resta lì, non ti<br />

avvicinare. Ti ho denunciato ai carabinieri, che stanno<br />

arrivando. Finalmente ne ho avuto il coraggio.-<br />

E alzandomi con fatica lo fronteggio senza più<br />

paura e guardandolo negli occhi gli dico quello che<br />

per anni ho solo pensato:<br />

“Sappi che sia io che mio figlio siamo pronti a tutto<br />

per liberarci per sempre dalla belva che c’è in te.”<br />

indice<br />

109


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.8 La vacuità<br />

di Vadis Cappa<br />

Mi dono<br />

senza ricever denaro<br />

mi offro<br />

senza pretender riguardo<br />

Prostituisco il mio cervello<br />

accogliendo la vacuità<br />

E poi stanca di inseguire l'amore<br />

cedo il mio corpo<br />

a chi vorrà usarlo<br />

110<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.9 Cronaca di un interno molto particolare<br />

di Daniela Mascotto<br />

Non mostrar mai<br />

né il fondo della tua borsa<br />

né del tuo animo<br />

(Proverbio italiano)<br />

In quell’istante ho avuto l’impressione che mi<br />

sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di insolito e<br />

di travolgente sia in senso fisico che mentale. Sta<br />

di fatto che ho corso realmente il rischio di finire<br />

nelle cantonali galere svizzere e tutto per un<br />

fraintendimento sorto al confine, quando mi è<br />

stato chiesto di aprire la borsa e di rovesciarne il<br />

contenuto sul banco della gendarmeria.<br />

E’ noto quanto l’interno della borsa di una donna<br />

sia misterioso e al tempo stesso rivelatore della<br />

personalità della legittima proprietaria. E’ altresì<br />

risaputo che nella borsa ogni donna inserisce ciò<br />

che vuole, salvo poi trovarsi in reale difficoltà a<br />

reperire quello che le serve al momento<br />

opportuno. Pertanto, dovendo esibire il<br />

passaporto alla frontiera e non riuscendo a<br />

trovarlo all’interno della mia capiente borsa, ho<br />

preso a tirare fuori ad una ad una le cose che mi<br />

capitavano tra le mani per riuscire prima o poi a<br />

estrarre anche il passaporto. Insospettito dalla<br />

stranezza degli oggetti che afferravo alla cieca,<br />

l’agente mi ha intimato di rivoltare la borsa, cosa<br />

che io ho fatto senza alcun ripensamento. E da lì<br />

111


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

è emerso tutto il mio mondo di archeologa, di<br />

donna e di mamma: un mondo a me correlato e<br />

parallelo, che, tuttavia, ha suscitato equivoci e<br />

fraintendimenti rivelandosi, in quel contesto,<br />

tutto un altro mondo.<br />

Nel corso dei miei studi orientati sulle civiltà<br />

paleocristiane, ho acquisito una discreta<br />

esperienza in fatto di iscrizioni rupestri e reperti<br />

di vario genere rinvenuti in necropoli di zone al<br />

confine italo-svizzero. Studiando segni e oggetti<br />

volti per lo più ad esaltare il concetto di fertilità e<br />

di abbondanza, ho finito per acquisire e<br />

catalogare una simbologia che, tra i tanti segni, ne<br />

annovera alcuni con riferimenti sessuali<br />

coinvolgenti la sfera riproduttiva. Che poi io li<br />

abbia classificati e raccolti in un quaderno, che<br />

porto sempre con me, facendo corrispondere ad<br />

ogni segno il significato preciso del termine<br />

tradotto in italiano ed in tedesco, questo è stato<br />

solo uno dei tanti modi per procedere nella mia<br />

ricerca. Così come un altro modo è stato quello<br />

di farmi riprodurre, da artigiani valenti, non solo i<br />

simboli stessi, quanto anche le principali<br />

tipologie di statuette antropomorfe con attributi<br />

sessuali evidenziati. Il tutto al fine di raffrontare i<br />

nuovi reperti con quelli da me già riprodotti, fare<br />

accostamenti e dedurre epoche di appartenenza.<br />

Orbene, se la logica delle cose fosse stata<br />

rispettata, tutto sarebbe andato liscio al momento<br />

di riversare il contenuto della mia borsa sul<br />

112


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

bancone della dogana. Avrei potuto dimostrare,<br />

anche a parole, la mia posizione di archeologa e<br />

di studiosa di certa simbologia. Cosa che non ho<br />

potuto fare data l’irruenza con cui sono stata<br />

trattata: un’aggressione in piena regola. Provare<br />

imbarazzo e paura per me è stato un tutt’uno,<br />

mentre stupore e stordimento mi assalivano nel<br />

vedermi ammanettare all’istante e condurre su un<br />

mezzo blindato alla più vicina stazione di polizia<br />

per essere interrogata.<br />

Pur sapendomi destreggiare con la lingua tedesca,<br />

ho impiegato parecchie ore a far capire agli agenti<br />

che il quaderno e i reperti riprodotti li portavo in<br />

borsa per motivi di studio e non per chissà quale<br />

patologica perversione da esportare oltre<br />

frontiera e venderla a prezzo d’oro all’interno di<br />

un giro illecito di oggetti di antiquariato o peggio<br />

di un ignobile mercato del sesso. Senza contare<br />

che, una volta convinti gli agenti che io ero una<br />

archeologa - il tutto grazie anche ai contatti messi<br />

in atto con le scuole di scavi italiana e svizzera -<br />

gli agenti mi hanno contestato il possesso di<br />

materiale a loro avviso sottratto dai siti e da me<br />

illegittimamente posseduto. Riuscita a<br />

dimostrare, attraverso opportune fatture, che si<br />

trattava di riproduzioni fatte eseguire per motivi<br />

di studio, ho dovuto dibattermi ancora contro<br />

una ultima infamante accusa. Quella simbologia<br />

per gli agenti avrebbe potuto richiamare anche la<br />

simbologia di una nota società segreta creata per<br />

113


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

osteggiare l’integrazione razziale. E questa è stata<br />

l’accusa più pesante che io mi sia mai sentita<br />

rivolgere, sia per la mia natura pacifista, sia per il<br />

convincimento che ho sempre avuto in fatto di<br />

parità di diritti tra i popoli. Oltretutto la mia<br />

formazione umanistica non potrebbe che<br />

portarmi ad una benigna predisposizione verso il<br />

prossimo. Ma non è stato così: mai battaglia fu<br />

più dura che contro quel manipolo di agenti<br />

svizzeri intestarditi nel non volermi riconoscere<br />

un destino di studiosa e di donna perbene.<br />

Grazie all’intervento del Consolato, la situazione<br />

si è sbrogliata, non prima in ogni caso che<br />

passasse una intera giornata. Alla fine mi sono<br />

stati dati indietro gli effetti personali, più<br />

precisamente la borsa e, a parte, il relativo<br />

contenuto raccolto in un sacchetto di plastica<br />

trasparente. A quel punto, nel riprendere quanto<br />

di mia appartenenza, mi sono vergognata e ancor<br />

prima meravigliata per quanta roba così<br />

disassortita io portassi con me in quella borsa:<br />

oltre a quanto già oggetto di contestazione, come<br />

le riproduzioni archeologiche e il quadernetto,<br />

solo in quel mentre ho realizzato che nella mia<br />

borsa stavano, mescolati alla rinfusa, strumenti<br />

per la pulizia dei reperti come pennellini,<br />

scovolini, taglierini, ma anche pettini, fermagli,<br />

fatture varie, ciucci del bambino, monetine<br />

sciolte, caramelline, foglietti volanti appuntati,<br />

scontrini fiscali, rossetto, documenti, paperotti di<br />

114


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

gomma, biglietti di mezzi di trasporto, snacks,<br />

penne variamente colorate e matite, chiodi<br />

arrugginiti, chewingum, punti del latte per la<br />

raccolta premi, briciole, specchietto, fazzoletti,<br />

fiori secchi, cioccolatini, ombrellino, chiavi in uso<br />

e fuori uso evidentemente da buttare, CD e<br />

DVD, elastici, crema per mani e una quantità di<br />

altra spazzatura, non da ultimo reperti di polvere<br />

cumulata in matassine giusto per rendersi visibile<br />

e avere un posto onorevole tra tutta quella<br />

incredibile miscellanea, sorta di intricato<br />

guazzabuglio lasciato macerare a tempo<br />

indeterminato, fintanto che un imprevisto, sia<br />

pure increscioso, mi ha indotto a ricredermi su<br />

quel contenuto inteso nel suo dettaglio. Sono<br />

addirittura arrivata al punto di pensare che il<br />

sospetto degli agenti possa anche essere dipeso,<br />

più che dai reperti archeologici, soprattutto dalla<br />

imprevedibile quantità di cose, le più varie,<br />

all’interno di una borsa apparentemente<br />

insignificante oltre che usurata.<br />

Quell’episodio, sul momento, mi ha fatto dare<br />

l’addio alle borse grandi. Anzi, me lo ha imposto.<br />

In ogni caso, in chiusura di quella giornata<br />

campale, al momento di tornare in possesso di<br />

quanto ancora mi apparteneva nonostante<br />

l’arresto, mi sono ripresa la borsa e gli effetti<br />

personali, che ho voluto tenere così come mi<br />

erano stati consegnati: nel sacchetto di<br />

cellophane, rigorosamente separati dalla borsa; di<br />

115


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

essi avrei fatto una cernita a casa, lontana da<br />

occhi indiscreti.<br />

Dopo il fattaccio e col senno di poi, ho pensato<br />

di orientarmi su borse più piccole, un modo<br />

come un altro per riprendermi dalla sconcertante<br />

avventura alla dogana e risorgere dalle ceneri<br />

come l’araba fenice. Dell’uccello di fuoco è noto<br />

il detto "che vi sia ciascun lo dice, dove sia<br />

nessun lo sa". E, prima che mi accadesse<br />

l’inconveniente al confine, questa era la legge a<br />

cui mi appellavo ogni volta che mettevo mano<br />

alla borsa per cercare qualcosa: rovistavo,<br />

rovistavo, rovistavo, sapendo che quanto cercavo<br />

era dentro, senza arrivare quasi mai a trovarlo;<br />

alla fine desistevo convinta di poterne fare anche<br />

a meno, ma lo facevo più per sfinimento che<br />

convinzione, lontana dall’idea di svuotare la<br />

borsa, poiché constatare gli oggetti in essa<br />

contenuti sarebbe stato per me troppo faticoso e<br />

disorientante. E, rinunciando a frugare dentro<br />

alla borsa, mi sentivo rinascere in quanto mi<br />

assolvevo dalla colpa di non saperne gestire il<br />

contenuto. Evitavo elegantemente il problema.<br />

Imponendomi, invece, di smettere la borsa<br />

grande a favore di una borsa più piccola, all’inizio<br />

ho ritenuto che qualcosa per me potesse<br />

cambiare. Come sempre avviene con le novità,<br />

sono partita con intenzioni di ordine ferreo<br />

delineandomi una nuova linea di condotta, che si<br />

sarebbe potuta protrarre fin quando la mia nuova<br />

116


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

borsa, per causa di forza maggiore, avesse<br />

raggiunto i suoi massimi contenutivi al pari<br />

dell’omologa che l’ha preceduta, facendomi così<br />

ricredere sui propositi iniziali. Continuando a<br />

ragionare in termini di progressione temporale,<br />

mi sono detta che l’adozione di una nuova borsa,<br />

quand’anche raggiungesse il livello di guardia del<br />

contenuto, potrebbe nuovamente comportare, da<br />

parte mia, la necessità di un ritorno a buoni<br />

propositi, sia pure di durata limitata, o<br />

all’acquisto di un altro modello in grado di<br />

contenere le cose in maniera più razionale.<br />

In ogni caso, passando da una intenzione all’altra<br />

o da una borsa all’altra, di certo muterebbero i<br />

miei propositi, ma non il mio effettivo<br />

comportamento. Bonariamente potrei anche<br />

trovarmi una giustificazione, pensando che in<br />

fondo così fan tutte le donne! Allora, se così fan<br />

tutte, perché mai smentirsi? Meglio passare la<br />

palla alla fortuna e sperare di non incorrere in<br />

una disavventura come quella alla frontiera italosvizzera.<br />

Le mie borse, in tal caso,<br />

continuerebbero ad essere le borse dalle mille e<br />

una risorsa, come tante donne si portano dietro<br />

sapendo di avere sempre con sé qualcosa di<br />

pronto all’occorrenza, ma irreperibile sul<br />

momento. Problema questo a quanto pare<br />

secondario, se, intanto, la storia del contenuto<br />

delle borse delle donne continua, rimanendo<br />

sempre uguale a se stessa. indice<br />

117


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.10 La prima parte<br />

di Bruno Bianco<br />

Mi sembra che la nave abbia lasciato il porto solo da<br />

pochi minuti e invece già non riesco più a vedere la<br />

costa; non ero mai stata in crociera prima d'ora e<br />

forse devo solo abituarmi al diverso scorrere del<br />

tempo di quando sei in vacanza. Mi stacco dal<br />

parapetto e mi guardo intorno sul ponte; lui non si<br />

vede, allora guardo verso l’ingresso del salone... ah sì,<br />

eccolo! Sta entrando per la cena e come lo vedo<br />

scendo di corsa dalla scala per raggiungere anch'io i<br />

tavoli di quella sala enorme. Mi hanno sistemato con<br />

quattro giovanotti vestiti come Christian De Sica in<br />

un film dei Vanzina e tre ragazze che avranno speso<br />

metà del loro patrimonio dal parrucchiere e l' altra<br />

metà per una scorta industriale di balsamo e fissante<br />

per capelli; penso proprio di essere finita in un tavolo<br />

di single che gli organizzatori hanno deciso di far<br />

accoppiare prima che venga il mattino. Cerco di non<br />

farmi notare e per la centesima volta da quando<br />

siamo partiti apro la mia trousse di raso e controllo di<br />

non aver dimenticato niente...<br />

-Come mai una ragazza giovane e carina come te va<br />

in crociera da sola? Non hai un marito, un fidanzato<br />

o anche solo uno spasimante?-<br />

-Tutti quelli che avevo mi hanno lasciato per andare<br />

in crociera da soli a fare i cascamorti con le donne<br />

che incontrano al loro tavolo!-<br />

E con questo i giovanotti sono sistemati; adesso devo<br />

mettere in riga le signorine che sanno parlare solo di<br />

118


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

vacanze a Porto Cervo e di vita notturna nelle<br />

discoteche di Milano.<br />

-Non dirmi che non sei mai stata all' Hollywood di<br />

Milano;la bella gente che trovi lì alle quattro del<br />

mattino non la vedi da nessun altra parte.-<br />

-E tu non dirmi che non sei mai stata ai Mercati<br />

Generali di Torino; la gente che scarica le cassette di<br />

frutta alle quattro del mattino la vedi anche dalle altre<br />

parti, ma forse tu hai orari differenti da loro.-<br />

E adesso che le mie compagne e i miei compagni di<br />

tavolo parlano tra loro ignorando del tutto la mia<br />

presenza, io posso finire con tranquillità il dolce<br />

senza smettere di controllare cosa capita dalla parte<br />

opposta della sala.<br />

Poi lo vedo alzarsi, salutare con eleganza i suoi<br />

compagni di tavolo e dirigersi verso il fondo del<br />

salone; allora mi alzo anch'io facendo cadere il<br />

tovagliolo che tenevo sulle ginocchia e saluto con un<br />

grugnito i miei compagni di tavolo.<br />

Lui esce dal salone e io lo seguo tenendomi a una<br />

decina di metri; prende le scale del ponte, sale di un<br />

piano e io sempre dietro. Mi sembra un instancabile<br />

camminatore, o forse un anima in pena, o forse tutte<br />

e due le cose. Sale ancora di un piano e sul ponte si<br />

dirige verso prua; io sto controllando a fatica il<br />

fiatone che mi è venuto un po' per lo sforzo e un po'<br />

per la paura che mi possa vedere. Finalmente si ferma<br />

a guardare l’acqua nera della notte, appena appoggiato<br />

al parapetto che lo separa dal mare. E' il mio<br />

momento; decido di usare un vecchio e banale trucco<br />

119


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

da film che si adatta perfettamente alla finzione della<br />

vita di crociera.<br />

-Mi scusi ma a forza di camminare in questo labirinto<br />

devo essermi persa; può essere cosi<br />

gentile da aiutarmi a ritornare al salone della festa?-<br />

Lui si volta di scatto tra lo stupito e l’infastidito; certo<br />

che è davvero un bell' uomo e i capelli sale e pepe dei<br />

suoi sessant'anni lo rendono ancora più attraente.<br />

-Torni indietro da questo lato e prenda la prima scala<br />

che incontra sulla sinistra; scenda di due piani e vedrà<br />

sulla destra le luci del salone.-<br />

A quel vecchio corso di recitazione che avevo fatto ai<br />

tempi del liceo ho imparato che per piangere basta<br />

pensare con intensità a una situazione di grande<br />

impatto emotivo e io non faccio fatica a farlo.<br />

-La ringrazio e mi scusi se l'ho disturbata.-<br />

I miei occhi sono ormai lucidi e lui non può non<br />

notare le lacrime che stanno annacquando il rimmel<br />

che avevo messo con tanta cura prima della cena.<br />

-Si sente bene signorina? Forse è meglio che aspetti<br />

un attimo prima di rientrare nel salone -<br />

-Non è niente di grave. E' solo che forse non è stata<br />

una buona idea venire in crociera da sola per<br />

lasciarmi alle spalle i segni di ferite troppo recenti.-<br />

Ormai le lacrime mi attraversano spietate le guance e<br />

mi lasciano ridicole strisciate di rimmel dagli occhi<br />

fino al collo ma l'importante è aver scardinato la<br />

freddezza di<br />

quell' uomo così affascinante.<br />

120


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-Prenda il mio fazzoletto; non le servirà per le sue<br />

ferite recenti, ma almeno la leverà<br />

dall' imbarazzo di farsi vedere in questo stato da un<br />

perfetto sconosciuto quale io sono per lei.-<br />

Affascinante e gioviale; sono sempre più convinta che<br />

sto facendo la cosa giusta. Adesso lui si presenta e in<br />

pochi minuti ho già messo via il fazzoletto sporco di<br />

rimmel che prometto di rendergli nella giornata di<br />

domani; si stacca dal parapetto e mi dice che anche<br />

lui è da solo in crociera per lasciarsi alle spalle delle<br />

ferite recenti come le mie e che non è il caso di<br />

aggiungere sofferenza a quella che altri hanno già<br />

creato. Parliamo e camminiamo,camminiamo e<br />

parliamo. Restiamo sempre nella parte più periferica<br />

della nave perché a me non va di incontrare gente, di<br />

vedere luci, di sentire musica; lui lo ha capito e mi<br />

cammina di fianco come chi vuole proteggerti dai<br />

pericoli che ti stanno intorno.<br />

Dopo avere disceso e salito decine di scale esterne<br />

della nave, adesso siamo uno di fronte all'altra in<br />

quello che nella mia ignoranza nautica chiamo il<br />

piano terra della nave; alla nostra destra il parapetto ci<br />

protegge dal mare e riusciamo a vedere con chiarezza<br />

le onde grazie alla luce generosa che la luna spande<br />

tutto intorno.<br />

-Sono più delle due! Saremo anche in crociera, ma<br />

come prima serata direi che può andare.-<br />

-Se le andasse, domani sarei davvero lieto di pranzare<br />

con lei.-<br />

121


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-In questo momento non me la sento di prendere<br />

impegni per la colazione, figuriamoci per il pranzo. Se<br />

vuole però mi lasci il suo numero di cellulare;<br />

prometto di chiamarla prima di mezzogiorno.-<br />

Apro la mia trousse di raso anche se so bene di non<br />

avere dentro né la biro né un foglio di carta, ma tanto<br />

lo so che sarà così premuroso da pensare lui sia al<br />

foglio sia alla biro;scrive il numero sul biglietto e<br />

adesso che me lo porge è davvero vicino, mentre i<br />

suoi occhi mi lanciano uno sguardo che sa essere allo<br />

stesso tempo paterno e sensuale. Io continuo ad<br />

armeggiare nella trousse, ma sento che ormai ho<br />

deciso; la sua faccia mi è vicina, i suoi occhi mi sono<br />

vicini, la sua bocca mi è vicina...<br />

Mi sveglio che la cabina è illuminata da un sole<br />

avanzato; guardo l’ora e vedo che è quasi<br />

mezzogiorno.<br />

I miei vestiti sono buttati alla rinfusa sulla poltrona;<br />

faccio la doccia e mi vesto con una lentezza che non<br />

ricordo di avere mai avuto. Prima di uscire per il<br />

pranzo ho ancora un' incombenza da fare; apro la<br />

trousse e mi assicuro che ci sia ancora la bomboletta<br />

spray con l’etere.<br />

Gliene ho fatto respirare più di metà, come quando<br />

continui a spruzzare l’insetticida sullo scarafaggio<br />

anche se vedi che è già completamente stecchito; d'<br />

altronde per prenderlo di peso e buttarlo in mare al di<br />

là del parapetto non potevo permettermi che fosse<br />

tanto sveglio. Sono anche soddisfatta perché prima<br />

che crollasse ho potuto urlargli nelle orecchie il mio<br />

122


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

nome in modo che capisse bene chi ero; poi la luna<br />

ha illuminato quel corpo che nel vuoto ha fatto<br />

quattro giri su se stesso prima di sbattere sull' acqua<br />

dura del mare.<br />

Il primo è per tutte le volte che è entrato nel mio<br />

letto dicendo che la mamma era molto contenta che<br />

lui mi mettesse le mani dentro le mutandine.<br />

Il secondo è per tutte le volte che è uscito dalla mia<br />

stanza per rientrare nel letto della mamma e fare<br />

l’amore con lei che pensava quanto era stata fortunata<br />

ad aver trovato un uomo così affettuoso dopo un<br />

matrimonio tanto disgraziato.<br />

Il terzo è per tutte le volte che si è ripetuto con altre<br />

bambine di dieci anni, figlie di donne vedove o<br />

divorziate sedotte da un uomo che quando si stufava<br />

delle figlie non aveva più nessun motivo per restare<br />

con le madri.<br />

Il quarto è per tutte le volte che in questi quindici<br />

anni ho dovuto aspettare prima di trovare l'occasione<br />

giusta, perché non vale la pena finire in galera per<br />

aver schiacciato uno scarafaggio e siccome il delitto<br />

perfetto non esiste bisogna avere la pazienza di<br />

aspettare l’occasione buona che nella vita prima o poi<br />

arriva, visto che c' è sempre una giustizia a questo<br />

mondo.<br />

-Non vorremmo disturbarti, ma avremmo qualcosa<br />

da dirti. -<br />

Ad aspettarmi sul ponte ci sono i quattro giovanotti a<br />

scusarsi per il comportamento alla cena della sera<br />

123


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

prima e a invitarmi a un aperitivo tutti insieme prima<br />

del pranzo.<br />

-Non volevamo infastidirti con i nostri discorsi insulsi<br />

di ieri sera, ma ci siamo fatte un po' prendere dal<br />

clima di festa che c' è tutto intorno.<br />

Anche le tre ragazze nella notte sembrano aver<br />

riflettuto sulle regole della buona creanza e mi<br />

chiedono di non mancare all' aperitivo.<br />

Io accetto le scuse di tutti e do appuntamento ai<br />

tavolini del bar tra qualche minuto; me li lascio alle<br />

spalle e vado oltre, nel punto esatto dove stanotte si è<br />

chiusa la prima parte della mia vita. Apro la trousse di<br />

raso, prendo la bomboletta che ho usato da<br />

insetticida e la butto lontano tra le onde del mare;<br />

mentre chiudo la cerniera vedo che è rimasto il<br />

biglietto dove aveva scritto il suo numero di telefono.<br />

Lo prendo e inizio stracciarlo con ordine e rigore, in<br />

due, in quattro, in otto; poi apro il pugno e i ritagli<br />

iniziano a cadere nel vuoto, oscillando con precisa<br />

lentezza.<br />

Resto a guardare fino a che anche l’ultimo coriandolo<br />

non scompare nello strato più profondo dell' acqua<br />

dura del mare; chiudo la trousse e sorrido.<br />

La prima parte della mia vita, quella passata<br />

annegando nelle onde molli, finisce; adesso inizio la<br />

seconda, quella che si appoggerà sull' acqua dura del<br />

mare.<br />

indice<br />

124


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4. Sezione (R)esistere<br />

4.1 Il rifiuto (Là, dietro la curva...)<br />

di Maria Teresa Montanaro<br />

La strada si snoda a tratti più stretta, a tratti più<br />

ampia, salendo verso le colline che abbracciano da<br />

sempre Torino.<br />

Il caos del traffico scema, la gente che si incontra<br />

cammina più lentamente, ai grovigli di strade si<br />

sostituiscono gli alberi.<br />

Sembra che il tempo, qui fuori dal centro, si dilati per<br />

lasciare alle persone la possibilità di riflettere, di<br />

pensare.<br />

Una grande curva che piega a destra; il panorama è<br />

molto bello, si vede tutta la città.<br />

Parcheggio ed osservo l'edificio.<br />

Chi transita velocemente non può capire di che cosa<br />

si tratta, l'indicazione è troppo piccola...<br />

L'entrata, costituita da un cancello scorrevole,<br />

potrebbe essere quella di un asilo come quella<br />

di un'autorimessa.<br />

Entrando, un ampio cortile quadrato. E appena ci si<br />

trova lì, il mondo che abbiamo lasciato fuori diventa<br />

lontano, sfuocato, irreale. Qui in questo cortile<br />

capisco paradossalmente che solo ora faccio parte<br />

della realtà.<br />

125


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una porta, un breve corridoio; l'ascensore.<br />

I “dimenticati” sono qui sopra di me: al primo piano,<br />

gli autosufficienti; al secondo, parzialmente<br />

autosufficienti; al terzo piano gli altri. Vado all'ultimo<br />

piano.<br />

L'odore di medicinale mi assale ricordandomi che<br />

questo mondo è un pianeta a parte, con un'aria tutta<br />

sua, e non sempre piacevole da respirare.<br />

Non c'è tempo di perdersi nei pensieri: davanti a me,<br />

la prima camera.<br />

Due letti: in uno Giovanni, nell'altro più nessuno.<br />

Già, mi dimenticavo; lui, quello dell'altro letto, era qui<br />

perché un tumore stava pian piano invadendo tutto il<br />

suo corpo.<br />

Nel giro di una settimana ha smesso prima di<br />

mangiare, poi di camminare, poi di scherzare con il<br />

compagno di stanza, poi di sorridermi quando<br />

venivo, poi di parlarmi, poi di guardare nella mia<br />

direzione. Oggi non occupa più quel letto rifatto.<br />

Giovanni mi vede e subito i suoi occhi si fanno<br />

lucenti. Qualche volta mi racconta di sua figlia,<br />

qualche volta di quella mattina in cui metà del suo<br />

corpo ha smesso di vivere.<br />

In fondo al corridoio bianco c'è il salone. I letti<br />

percorrono tutto il suo perimetro. Ora si capisce<br />

meglio di essere in un istituto per anziani. Guardo<br />

negli occhi l'altra faccia dell'anzianità.<br />

126


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Molti occhi stanchi si posano su di me, qualcuno mi<br />

vede bene, per altri sono una macchia di colore.<br />

Le orecchie non sanno distinguere con esattezza i<br />

nomi che vengono chiamati o gridati.<br />

Alcuni chiamano l'infermiere, altri si lamentano di<br />

chissà quale dolore, parecchi vorrebbero cambiare<br />

posizione, ma da soli non possono farcela; alcuni mi<br />

dicono una parola, qualcuno infine chiama e basta.<br />

Molti non chiamano più.<br />

Quanti sono? Quanti anni hanno? Perché sono qui?<br />

Perché loro?<br />

Quanti frammenti di storia, quante vite vissute<br />

intensamente o con passività, quanti padri, quanti<br />

nonni.<br />

Nell'aria si sentono le fiamme spente di antichi amori,<br />

dei loro sogni, dei loro progetti, delle loro parole fatte<br />

o non dette mai, dei loro momenti belli o brutti, dei<br />

viaggi, delle delusioni; si avverte l'eco della loro antica<br />

forza, di un vigore che non torna, delle lacrime<br />

versate, del tempo sprecato in passato, quel tempo<br />

che poi è scivolato così rapido. Per tutti un destino<br />

comune, da vivere, questa volta, con tutto il tempo.<br />

Qui il tempo non fugge più, non ha più fretta. C'è<br />

tutto lo spazio per ... cosa?<br />

Per pensare, ripensare, pentirsi, rifare tutto con i<br />

sogni, rivivere ogni cosa con la memoria, cambiare il<br />

passato con la fantasia.<br />

127


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ma questo presente è così immobile da soffocare la<br />

mente: e così il più delle volte le ore servono solo per<br />

piangere, per sentire il nulla inesorabile di una<br />

malattia, per aspettare l'ora successiva.<br />

Guardo questi uomini che giorno dopo giorno,<br />

settimana dopo settimana, perdono a poco a poco<br />

l'orgoglio, il pudore; ne scoprono l'infinità inutilità.<br />

Renato è in fondo al salone. E' paralizzato da otto o<br />

nove mesi. Prega moltissimo, progetta attività<br />

giovanili, si rattrista di aver parlato male al dottore o<br />

all'infermiera.<br />

Ma parla sempre di meno di quando uscirà. Non ci<br />

crede più.<br />

Giuseppe è nell'angolo in fondo a destra. Mi accosto<br />

al suo letto e volto le spalle al salone.<br />

Voglio parlare un po' con lui, c'è molto da imparare.<br />

Alle 18:30 l'infermiera porta la cena; ne approfitto per<br />

aiutarlo a mangiare: non può infatti portare i bocconi<br />

alla bocca da solo; è affetto da una malattia che ha<br />

leso tutto il suo corpo e il viso.<br />

Cosa dirgli? Di che cosa parlare con lui? Intanto,<br />

riempio il cucchiaio di pastina in brodo e lo imbocco.<br />

Deglutisce e sembra soffrire per ritrovare il filo del<br />

discorso interrotto: stringe gli occhi che vedono male<br />

e corruccia le sopracciglia in una smorfia che<br />

commuove.<br />

128


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi sembra di percepire lo sforzo della sua mente che<br />

fa ordine fra i pensieri: poi la sua voce simpatica,<br />

flemme ed ovattata, ritorna fra le voci drammatiche<br />

del salone.<br />

Guarda il soffitto, sorride di tanto in tanto; nel suo<br />

viso non c'è traccia di impazienza né di fastidio.<br />

Non traspare da lui nessuna insoddisfazione, nessun<br />

rancore.<br />

Può forse conoscere la fretta, l'ansia, il rimorso?<br />

Giuseppe no, non può provare questi sentimenti; non<br />

conosce paura, confusione, dubbio, vendetta,<br />

desiderio, sesso, sconfitta, gioia ...<br />

Giuseppe no, non può conoscerli, perché ha<br />

cinquanta anni e da quaranta è all'istituto.<br />

Chi è un bambino di dieci anni che ha chiuso la porta<br />

sul mondo e per il resto della vita è stato in un letto?<br />

Quante persone sono arrivate lì e poi se ne sono<br />

andate ... e lui era già là, c'era dopo, c'era sempre.<br />

Giuseppe non può leggere, non può vedere le foto di<br />

una rivista, non può camminare, non può stringere la<br />

mano di nessuno.<br />

-“Io non me la prendo proprio mai, io non mi<br />

arrabbio con nessuno.”- mi ha detto un giorno,<br />

sentenziandolo con la sua voce che sembra<br />

proclamare le grandi verità che non hanno tempo né<br />

fine.<br />

129


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E per me lo sono diventate.<br />

Che idea ha del mondo, della vita, del “bene”, del<br />

“male”?<br />

Non riesco ad immaginarlo nonostante mi sforzi.<br />

Vorrei fosse lui a dirmelo, provo a dividere i suoi<br />

pensieri, ma cado in partenza<br />

Non posso, io, immaginare cosa significhi aspettare<br />

l'indomani per vedere lo stesso letto, lo stesso salone,<br />

le ore interminabili che si sono succedute per<br />

quaranta anni: solo, solissimo, con una mente<br />

immatura, con l'esperienza di dieci anni di vita, con i<br />

ricordi di quei pochi anni. Nessun passato vero,<br />

nessun futuro ... un interminabile presente vuoto di<br />

tutto.<br />

Però... la visita di un ragazzo, la mia visita:<br />

un'esplosione di novità!<br />

Gli verso un bicchiere di sciroppo di menta ed acqua:<br />

la settimana intera diventa movimentata; in un vuoto<br />

lungo più del doppio della mia stessa esistenza, un<br />

minuto con un visitatore è per lui un'emozione<br />

estrema, una gioia, un'avventura!<br />

Io sono lì e non so cosa dire, cosa fare, cosa<br />

raccontare, poi capisco che basta una parola, una<br />

banalità qualsiasi.<br />

E' il momento di andare.<br />

Fuori la vita non è più la stessa.<br />

130


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Torno a casa: la gente ride, la gente scherza, i clacson<br />

suonano forte, i negozi espongono ricchi prodotti<br />

colorati, le luci brillano di sera, i ragazzi passeggiano,<br />

ridono forte spensierati.<br />

Il contrasto fa male. Quale dei due era sogno? Che<br />

cos'è più vero?<br />

Due adulti litigano, una donna porta i sacchetti della<br />

spesa.<br />

Nell'aria, le mille emozioni dei minuti che corrono<br />

veloci, i ritardi, gli appuntamenti, gli impegni,<br />

l'angoscia, la tensione, le risate, gli affetti, il lavoro, gli<br />

amici, la casa, l'amore.<br />

L'istituto?<br />

Non sarebbe proprio possibile andarci oggi, non c'è<br />

tempo; domani?<br />

No, domani no, con tutto quello che c'è da fare...<br />

Io ritorno a casa, ho da studiare ancora qualcosa;<br />

devo sapere assolutamente in che anno è stato<br />

composto quel poemetto, devo ripassare il significato<br />

della congiunzione “e” nel sonetto, congiunzione che<br />

sottolinea il rapporto dialettico fra luce e buio, ecc.<br />

ecc.<br />

Devo saperlo per maturare, per diventare uomo.<br />

Certo.<br />

Tanto domani sarà tutto diverso, i compagni di<br />

scuola, il sole, le attività frenetiche di tutti i giorni.<br />

131


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Tanto da questa parte del mondo non è possibile<br />

vedere cosa c'è al di là di quella grande curva in<br />

collina.<br />

Dopo quella grande curva che separa due mondi così<br />

diversi, che nasconde Giuseppe, e gli altri del terzo<br />

piano...<br />

In quel girone dove la vita è senza tempo, dopo<br />

quella grande curva.<br />

132<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.2 I nostri pezzi che un giorno furono interi<br />

poeti<br />

di Dario Maria Desantis<br />

E noi guerrieri sopravvissuti che trasportiamo sulle<br />

[spalle le nostre tombe che bruciano]<br />

nella memoria del cemento dell'indifferenza, con tutti<br />

[i nostri pezzi che un giorno]<br />

furono interi poeti, dai tetti infangati di neve, dalle<br />

[terrazze di Brera e dell'Università Statale]<br />

scaraventavamo giù i fantocci fiammeggianti con le<br />

[foto dei generali imbonitori]<br />

di massacri capitalisti, perché il Cong ci era entrato<br />

[nel cuore sgolando hendrix-rock]<br />

e friggendo a sciami di api impazzite, perché il Cong<br />

[ci era entrato nel sangue corrente]<br />

di dolcissimi folli scolpiti in statue di tauromachia<br />

quando in piedi scopavamo le parlanti e liquide fighe<br />

[febbrili,]<br />

mentre urlavamo nei megafoni ammaccati come i<br />

[nostri crani fioriti di manganelli]<br />

gli slogan antimilitaristi e fiondavamo bottiglie<br />

[diaboliche sbracciandoci contro i poliziotti]<br />

che ci caricavano cingolati dietro le maschere di<br />

[kabuki proletario,]<br />

133


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

con le loro facce proletarie spaventate e omicide da<br />

[bravi ragazzi figli di proletari]<br />

contro la casta scintillante rivoluzionaria degli<br />

[studenti,]<br />

perché anche Pasolini ci odiava mentre noi lo<br />

[amavamo e ci odiava perché noi lo amavamo,]<br />

terrorizzato stregone troppo profetico per sopportare<br />

[se stesso]<br />

e l'asprezza della propria visione.<br />

Mentre noi roteanti spade di assoluta verità, corsari di<br />

[distruzione immortale]<br />

fendevamo il ghiaccio crepuscolare del tempo, sul<br />

[burrascoso vascello del nostro privilegio]<br />

di essere, dentro il tenebroso ventre della bestia<br />

[macellata, una scintilla splendente!]<br />

Giorni dell'ira scavati in trincee psichiatriche allagate<br />

[di vomito e pioggia animale]<br />

mentre aggrappati ai finestroni blindati vittime<br />

[catatoniche orinano il ricordo]<br />

delle loro anime psichedeliche che sognarono vincite<br />

[miliardarie]<br />

di incontaminata rivoluzione,<br />

lanciando contro il muro la moneta del destino e<br />

[invece inerpicate per sentieri di sterpi]<br />

134


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e assolati deserti divoranti tutto quanto contenga una<br />

[goccia dello spirito umano]<br />

o un'inutile sembianza umana impastata d'angoscia<br />

[che estrae dalla piaga mentale]<br />

il tempo lo spazio e il significato di quello stesso<br />

[pronome che chiamiamo 'noi']<br />

che inorridisce specchiando se stesso in se stesso per<br />

[l'orrore di riconoscere]<br />

quella esiguità della mente in quella esiguità<br />

[dell'esistenza che nella solitudine]<br />

di milioni di anni, per affermare se stessa non fa altro<br />

[che invocare la morte.]<br />

135<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.3 Genesi 2,23 *<br />

di Paola Rivolta<br />

(*Dalla “Genesi”. “Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è<br />

carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà<br />

donna perché dall'uomo è stata tolta».”)<br />

Mi chiamo Lucia Rinaudi. Sono nata a Moncalieri il<br />

23 febbraio 1972 da Luciano Rinaudi e Elena Ceriani.<br />

Abito a Candiano, un paese di poche migliaia di<br />

persone in provincia di Torino, in una piccola<br />

abitazione unifamiliare ai margini del centro abitato.<br />

Il 27 aprile 2010, come sempre, mi sono svegliata alle<br />

sei del mattino per andare a lavorare. Sono andata in<br />

bagno. Il bagno è sempre freddo a quell'ora, anche<br />

d'estate. Mi sono seduta sul water e lì sono rimasta<br />

qualche attimo con la testa appoggiata al muro e gli<br />

occhi chiusi. Poi mi sono alzata, sono andata davanti<br />

al lavandino, mi sono sciacquata la faccia e l'ho<br />

asciugata nell'asciugamani appeso al termosifone. Ho<br />

spazzolato i capelli e li ho raccolti senza guardarmi<br />

nello specchio. I miei capelli un tempo erano così<br />

belli. L'invidia delle mie amiche. Neri e lucidi. Lo<br />

potrebbero essere ancora con qualche cura in più e<br />

una tinta per nascondere i primi capelli bianchi. Mi<br />

sono infilata i vestiti da lavoro: una vecchia tuta blu e,<br />

sopra, un grembiule di cotone dello stesso colore, un<br />

po' sbiadito. Li porto tutta la settimana, li lavo il<br />

sabato e sono asciutti per il lunedì successivo. Ho<br />

sceso le scale e sono andata in cucina. Beh, cucina ...<br />

se fosse in una casa diversa, più ricca, la<br />

136


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

chiamerebbero un angolo cottura. Tre mobiletti verde<br />

chiaro con la carta adesiva sul piano e un frigorifero.<br />

Di fronte, un tavolo con quattro sedie di metallo e<br />

formica, verde chiaro anch'essi. Di fianco al tavolo un<br />

divano letto. Ci dormiva mio fratello quando veniva a<br />

trovarmi. Ho acceso i fornelli. I fornelli sono vicini<br />

alla finestra. Da lì vedo la ferrovia e un tratto di<br />

strada. La luce del sole, al mattino, filtra di traverso<br />

sulla facciata della casa. Scosto con le dita la tenda e,<br />

quando è sereno, vedo la luce del sole illuminare la<br />

cancellata. Ho messo sul fuoco il latte per me e mio<br />

figlio. Ho un figlio, sì, di sette anni. Lo sono andata a<br />

svegliare con una carezza, come ogni mattina. Lui si è<br />

stropicciato gli occhi, ha scostato le lenzuola e si è<br />

alzato senza dire una parola. È andato verso il bagno<br />

strascinando i piedi nudi, con la testa china e gli occhi<br />

semi chiusi. È un caro ragazzo. Sono tornata in<br />

cucina e ho messo il latte nelle tazze. La sua è bianca<br />

con un elefante azzurro disegnato sopra e dei piccoli<br />

fiori rosa e gialli. Gliel'ho regalata io al suo terzo<br />

compleanno. Ci mette un attimo a lavarsi, Giorgio.<br />

Così si chiama mio figlio. Sono sicura che l'acqua non<br />

la tocchi quasi. Al tavolo della cucina lui si siede<br />

sempre allo stesso posto, con le spalle alla porta. Io<br />

resto in piedi, con la tazza in mano a guardare fuori<br />

da quella piccola finestra. Poche parole. Qualche<br />

sorriso. Finita la colazione, l'ho aiutato ad allacciarsi<br />

le scarpe e a rassettare la sua capigliatura. Non riesco<br />

ad immaginare di poter rinunciare a questi gesti.<br />

Nemmeno quando sarà grande. Quando avrà una<br />

137


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ragazza e una motocicletta. Ho preso la mia borsa e<br />

lui il suo zaino e siamo usciti. L'ho accompagnato da<br />

mia suocera che abita in paese. Lo porta lei a scuola.<br />

Io farei tardi al lavoro. Lavoro in fabbrica. In una<br />

fabbrica che produce componenti elettriche. Dalle<br />

otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Faccio le<br />

saldature su dei circuiti. Mio fratello una volta mi ha<br />

chiesto per cosa venissero fatti quei circuiti. Non l'ho<br />

mai saputo. Non mi è mai interessato. Quando ti<br />

passano tra le mani decine di quelle tavolette ogni<br />

ora, il cervello diviene attento solo al ritmo da tenere.<br />

Se pensi a qualcosa sei fottuta. Le mani si intrecciano<br />

e il tuo “pezzo” se ne va senza saldatura e tu rischi<br />

una bella strigliata dal capo reparto. Non mi lamento<br />

del mio lavoro, però. Mi stanco, sì. Mi fa un po' male<br />

la schiena. Ma non penso mentre lavoro e questo va<br />

bene. E mi pagano a fine mese.<br />

Il 27 aprile 2010 la sirena della fabbrica ha suonato<br />

come sempre alle cinque del pomeriggio. All'uscita,<br />

quella carogna di Giuseppe, uno che lavora nella<br />

postazione a fianco della mia, infilandosi la sigaretta<br />

in bocca, ad alta voce, ha detto - Cosa dai da mangiare a<br />

tuo marito, stasera? Carne cruda?! - L'ho fulminato con lo<br />

sguardo. È proprio uno stronzo. Ci aveva provato<br />

con me quando avevo cominciato a lavorare lì. Un<br />

giorno ho alzato la voce davanti agli altri operai per<br />

oppormi ai suoi abbracci. Non l'ha mai digerita.<br />

I compagni di lavoro non ci fanno più caso a queste<br />

sue battute. “Carne cruda?!” Lui l'ha visto mio marito.<br />

Un giorno al bar del paese picchiava duro Ernesto.<br />

138


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non lo riuscivano a fermare in tre. Come una belva<br />

inferocita. Mio marito lavora anche lui in una<br />

fabbrica. Una fabbrica metalmeccanica. Lui fa il turno<br />

di notte. Torna alle cinque del mattino. Dicono che la<br />

fabbrica chiuderà quando la Fiat se ne sarà andata<br />

dall'Italia. Tutti sanno che se ne andrà a produrre<br />

all'estero, ma fanno finta di non sapere. Ci si attacca a<br />

quello che si ha. Anche se è uno schifo. Sono salita in<br />

auto con le operaie che mi danno un passaggio fino a<br />

casa. Condividiamo le spese per l'auto di Mirella. Nel<br />

tragitto si fanno battute, pettegolezzi. Si scarica la<br />

tensione della giornata. È bello sentirle ridere. Sono<br />

arrivata a casa alle cinque e mezza. Ho appoggiato la<br />

borsa sulla sedia all'entrata. Ho salito le scale e aperto<br />

la porta della camera di mio figlio. - Giorgio? - Giorgio<br />

era seduto sulla sua seggiola davanti alla scrivania. Un<br />

piccolo tavolo, il tavolo su cui anch'io facevo i<br />

compiti da bambina. Con le spalle girate verso la<br />

porta. Ha davanti a sé il quaderno di scuola. Ho<br />

guardato la pagina bianca, mentre gli appoggiavo la<br />

mano sulla spalla. Per terra, vicino alla sedia un foglio<br />

a quadretti accartocciato. Ho chinato la testa di più<br />

per guardarlo in faccia. Due lacrime gli solcavano le<br />

guance. Ho pensato - Di nuovo! - Gli ho alzato la<br />

maglietta sulla schiena. C'era un segno rosso largo tre<br />

dita. Ho preso Giorgio per le spalle e l'ho costretto ad<br />

alzarsi. Lui si opponeva, diceva - Lascia stare, mamma,<br />

non importa. - alzava la voce e piangeva. Gli ho sfilato<br />

la maglia. Sulle braccia e sul petto altri segni, alcuni<br />

erano rosso cupo. Li conosco bene. Li ho visti su me<br />

139


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stessa. Negli ultimi anni, spesso. Quando l'ho<br />

conosciuto ... mio marito ... non era così. Mi faceva la<br />

corte. Mi portava fiori, dolci. Era affettuoso. Nei<br />

primi anni di matrimonio forse mi avrà dato un paio<br />

di volte una sberla. Io non sapevo fare molto in casa<br />

a quell'epoca. Pensavo - Se imparo a essere più brava come<br />

moglie, passerà. - Ma non è stato così. Mi picchiava e<br />

poi mi chiedeva scusa. A poco a poco i nostri amici<br />

non ci frequentavano più. Nemmeno mio fratello<br />

veniva più a trovarmi. Non sopportava i miei lividi, il<br />

suo alzare la voce, i secchi scapaccioni che mi dava<br />

sul collo. Sorridendo, come se scherzasse. Non<br />

sopportava la mia paura.<br />

Il 27 aprile 2010 ho stretto mio figlio a me. La sua<br />

testa sulla mia pancia. Le mie mani che gli<br />

accarezzavano i capelli. Ho chiuso gli occhi,<br />

rovesciando leggermente la testa all'indietro. Poi li ho<br />

riaperti. Davanti a me c'era lo specchio che è a fianco<br />

della porta. Riflessa c'ero io ... mio figlio di schiena, i<br />

segni sulla sua pelle. Per un attimo mi è mancato il<br />

fiato. Poi ho allontanato delicatamente Giorgio. Gli<br />

ho asciugato le lacrime con le dita. Mi sono chinata<br />

verso di lui - Adesso fa i compiti. Io esco un attimo. Torno<br />

subito. Stai tranquillo. - Mi sono ascoltata dire quelle<br />

poche parole come se non fossi io a pronunciarle.<br />

Sono uscita dalla camera e ho chiuso la porta alle mie<br />

spalle. Ho sceso le scale lentamente. Sono entrata in<br />

cucina e ho preso un coltello che era nel primo<br />

cassetto. È il mio coltello preferito. Piccolo ma<br />

affilato, con il manico leggermente ricurvo. Ci taglio<br />

140


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

le verdure, la carne. È buono per tutto. Ho preso la<br />

borsa sulla seggiola all'ingresso e sono uscita. Ho<br />

attraversato il cortile. Ho aperto il cancello e l'ho<br />

richiuso dietro di me, con attenzione. Ho sentito il<br />

sole illuminarmi il viso. Mi sono diretta verso il<br />

centro del paese. Un passo dietro l'altro. Ho percorso<br />

per intero la strada principale. Il bar è vicino alla<br />

stazione. Ero sicura di trovarlo lì. Ci passa tutti i<br />

pomeriggi fino all'ora di cena. Come mi sono<br />

affacciata alla piazza, ho riconosciuto la sua sagoma<br />

attraverso la vetrata che dà luce alla sala da gioco.<br />

Sono entrata nel bar e sono passata davanti al<br />

bancone. È un lungo bancone di legno scuro con i<br />

riquadri sagomati e il piano d'acciaio. La macchina del<br />

caffè da un lato. La cassa dall'altro. Una larga apertura<br />

squadrata senza porta introduce alla sala con i tavoli.<br />

Il barista mi ha visto e mi ha fatto un cenno di saluto.<br />

Ci conosciamo tutti in paese.<br />

Il 27 aprile 2010 io sono entrata in quella sala. Il<br />

televisore, appeso in alto, nell'angolo opposto<br />

all'ingresso, era acceso. Mi sono avvicinata al tavolo<br />

dove lui stava giocando. I suoi compagni mi hanno<br />

guardata di sfuggita da sopra le carte. Lui non ha fatto<br />

un cenno. Mi sono messa dietro di lui. Ho infilato la<br />

mano destra nella tasca del grembiule da lavoro e ne<br />

ho estratto il coltello. Ho infilato le dita della mano<br />

sinistra tra i suoi capelli, ho chiuso le dita e con il<br />

coltello nella mano destra gli ho aperto la gola.<br />

Improvvisamente, il suo corpo ha cominciato a<br />

sussultare. Si è inarcato. Siamo caduti all'indietro.<br />

141


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ancora un sobbalzo. Mi sono ritrovata seduta per<br />

terra. La schiena appoggiata al muro. Le braccia<br />

abbandonate lungo i fianchi. Sentivo di aver perso<br />

ogni forza: forse il calore di tutto quel sangue.<br />

Pesante sulle mie gambe, il corpo di mio marito.<br />

Quasi un parto, una nascita. Lui tra le mie gambe in<br />

quel lago di sangue. Avevo la testa pesante. In<br />

lontananza le urla della gente. Dentro di me un<br />

silenzio che rincorrevo da anni.<br />

142<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.4 Diario di un soldato<br />

di Claudio Prili<br />

Ho raschiato nel mio zaino<br />

fino a farlo sanguinare<br />

e sotto le unghie briciole<br />

delle ultime croste di pane.<br />

La lama affilata del coltello<br />

nascosta nello stivale<br />

e l'ultima stella cadente<br />

ormai arrugginita,<br />

rinchiusa in cantina<br />

sta ansando sudata.<br />

Affonda ogni sera nel vino<br />

il tuo viso sgualcito di carezze<br />

tra mosche sbadate<br />

in quest'aria malsana<br />

che aspra ristagna<br />

ancora nel naso.<br />

La piazza deserta<br />

rincorre un giornale<br />

tornato aquilone un momento<br />

per poi liquefarsi e marcire<br />

nei rari riflessi di un cielo<br />

graffiato da tetti senza colore.<br />

Coraggio capitano,<br />

tu che odori di salotto<br />

e vedi lontano,<br />

143


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

saltiamo quest'ultimo muro<br />

per correre nudi al mare<br />

e storditi dal sole<br />

finalmente capire<br />

che non resta più nulla<br />

da dover conquistare.<br />

144<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.5 massacro a Wounded Knee - Ginocchio<br />

Ferito<br />

di Domenico Garaffa<br />

miseria di conquista, progresso di ferrovia.<br />

bisonti: case con piccole corna<br />

abbattuti per gusto di lingua;<br />

nutrimento di popolo con quattordici paia di costole<br />

sterminati in uno spreco di pellicce.<br />

volevano portare la danza in tutte le Nazioni.<br />

volevano che nessuno più mentisse loro.<br />

cantare in cerchio, tenendosi per mano<br />

dita tra le dita, nel paese dove il sole<br />

tramonta con il Sacro colore Rosso.<br />

col quale dipinsero il Bastone del Ricordo.<br />

CentoQuarantaQuattroBastoni<br />

…………………………………………<br />

…………………………………………<br />

…………………………………………<br />

massacrati insieme alla Danza dello Spirito<br />

seppelliti in primavera.<br />

sono tornati<br />

con le loro pipe, penne d'aquila e pelli di bisonte.<br />

e i lunghi coltelli? più ottusi di prima<br />

li accolgono con cingolati, elicotteri, armi e tranelli.<br />

145


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

sbriciolano tutto ”il villaggio è libero”<br />

e aggiunsero<br />

DueBastoni<br />

. .<br />

dipinti di Sacro colore Rosso.<br />

Wounded Knee (Ginocchio Ferito) 29.12.1890 - 10.05.1973<br />

nb i punti-bastoni nella versione originale sono in rosso<br />

146<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.6 Il rumore del silenzio<br />

di Maria Denise Spinelli<br />

Di fuoco è il riflesso<br />

del sole<br />

sul mare<br />

arde impietoso<br />

non fa respirare.<br />

Profumo salmastro<br />

speranza<br />

sapore<br />

di vita affamati<br />

di gioia<br />

d’amore.<br />

La luna è un diamante<br />

e osserva pietosa<br />

la morte dei figli<br />

nell’onda furiosa.<br />

Assordante è il silenzio<br />

che cala sul mare<br />

nemmeno una mano<br />

che ti possa aiutare.<br />

Il silenzio ha un rumore<br />

che ti segna la sorte:<br />

Non meriti vita<br />

sei<br />

“condannato a morte”.<br />

147<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.7 Il comandante<br />

di Brunello Buonocore<br />

“Soddisfazione bipartisan al termine del Consiglio. La scuola<br />

non sarà intitolata al comandante partigiano Paride ma a<br />

Sandro Avanzini, il giovane cabarettista nostro concittadino,<br />

morto sette anni fa in un tragico incidente automobilistico”.<br />

- Meglio così - pensa Roberto Giannelli, mentre si<br />

reca con passo sostenuto all'istituto comprensivo.<br />

E' un supplente al primo incarico nella scuola media e<br />

fa fatica a tenere a bada gli studenti.<br />

Il preside ha dato disposizione di commentare la<br />

notizia del giorno: la scuola intitolata ad un<br />

concittadino illustre. Perciò sì discuterà<br />

dell'importanza del far ridere, della capacità di stare<br />

sul palcoscenico, dei grandi comici di ieri e di oggi ...<br />

non della Resistenza. -Lasciamo stare la guerra civile,<br />

mi raccomando; meglio non rievocare quei tristi<br />

momenti che hanno insanguinato il nostro Paese,<br />

mettendo fratello contro fratello...<br />

- si è raccomandato.- Ma quale guerra civile? -pensa<br />

Roberto- ma perché nessuno storico parla più dì<br />

Resistenza, di guerra di liberazione? e perché nessun<br />

insegnante di storia o di lettere si azzarda a sollevare<br />

questioni in merito?-. Nei primi tempi si è arrabbiato<br />

molto, poi si è quasi rassegnato. - Meglio così – pensa<br />

- visto che comunque il programma non prevede di<br />

arrivare oltre la prima guerra mondiale-.<br />

- Quando entra in classe, però, i ragazzi lo colgono di<br />

sorpresa.<br />

148


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

- Prof - gli domandano - ma chi era questo<br />

comandante Paride?-<br />

- Veramente oggi il preside ha dato ordine di parlare<br />

di Sandro Avanzini, un attore, molto promettente,<br />

un attore comico...<br />

- Avanzini lo sappiamo già chi era, prof.<br />

- Losi dice che Avanzini abitava nel suo palazzo e<br />

faceva sempre lo stupido...<br />

- Di Avanzini ci sono i filmati su youtube.<br />

- Avanzini ha scritto un libro di barzellette, che non<br />

fanno ridere nessuno.<br />

- Invece, chi era il comandante Paride? - ripetono -<br />

E alla fine, dopo molte insistenze, il professor<br />

Roberto decide di cedere e di levarsi la maschera:<br />

- Il Comandante Paride era mio nonno -.<br />

Questa mattina il livello di interesse supera ogni<br />

record. Nessuno chiede di andare in bagno e anche la<br />

ricreazione, sì, si fa, ma un'ora più tardi, verso<br />

mezzogiorno.<br />

-Non l'ho mai conosciuto. Ma mia mamma mi ha<br />

raccontato molte cose di lui e mi ha fatto vedere dei<br />

documenti e delle fotografie. Era un uomo grande,<br />

molto più alto di me. No, non aveva l’aria del soldato.<br />

Voleva fare il notaio e sembrava un notaio. Tutto<br />

capitò dopo l’ 8 settembre. Lo sapete che cosa è<br />

successo l’ 8 settembre? Così spiegato in due parole:<br />

l’ 8 settembre del 1943 è la data dell’armistizio, il<br />

momento in cui l’ Italia o meglio l’esercito italiano<br />

cessa le ostilità e in concreto si arrende agli Alleati.<br />

149


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ma non scoppia la pace, anzi la situazione precipita:<br />

soldati sbandati un po' dappertutto ... tedeschi e<br />

fascisti che si scatenano contro i partigiani ... Mio<br />

nonno entra in una piccola banda e inizia a compiere<br />

qualche atto di sabotaggio, evitando sempre ogni<br />

inutile spargimento di sangue. Una sera mentre,<br />

insieme a un compagno, si sta recando in paese per<br />

un' azione contro l'abitazione del prefetto, viene<br />

fermato a un posto di blocco e arrestato. Mio nonno<br />

non lo sa che c'è il coprifuoco, torna da una riunione<br />

segreta e ha con sé armi, dinamite e volantini di<br />

propaganda. Il ragazzo che è con lui cerca di reagire,<br />

ma non riesce a sparare e viene ferito gravemente dai<br />

militi della Repubblica Sociale. Quella stessa sera<br />

vengono arrestati altri sette partigiani che, come mio<br />

nonno e il suo amico, stanno tutti tornando dalla<br />

stessa riunione politica; tra di loro anche il padre di<br />

mio nonno, il mio bisnonno. Per circa un mese i<br />

partigiani rimangono in carcere. Poi l'uccisione di uno<br />

squadrista, avvenuta nel bar del paese, fa precipitare<br />

la situazione. Assieme ad altre persone è processato<br />

da un tribunale militare straordinario e, unico fra gli<br />

imputati, viene condannato alla pena di morte per la<br />

sua attività partigiana che, in ogni caso, non era<br />

affatto collegata ai fatti di sangue accaduti in quei<br />

mesi.<br />

L' esecuzione ha luogo di notte, poco prima del<br />

Natale del 1943. Si racconta che al momento<br />

dell'esecuzione mio nonno abbia chiesto di conoscere<br />

i nomi di quelli incaricati di eseguire la sentenza e che<br />

150


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

li abbia abbracciati, perdonandoli per ciò che stavano<br />

per compiere. Mia mamma mi ha fatto vedere l'ultima<br />

lettera che ha scritto a casa, poco prima della<br />

fucilazione; dice qualcosa del tipo: “L'amavo troppo<br />

la mia patria; non la tradite, seguite la mia via nel<br />

ricostruire una nuova unità nazionale. Coloro che mi<br />

giustiziano non pensano che l'uccidersi non produrrà<br />

mai la concordia”. Morì così, a vent'anni.<br />

Il professor Roberto ha un momento di tristezza e<br />

rimane in silenzio per un minuto o due. Anche i<br />

ragazzi non fanno il minimo rumore. Subito dopo<br />

entra il preside.<br />

- Come mai siete così tranquilli? Nelle altre classi<br />

ancora un po' e si mettono a ballare sui banchi.<br />

- Stavamo parlando dell'incidente di Sandro<br />

Avanzini. E' per questo che siamo tristi - interviene<br />

uno studente<br />

- Non è vero, signor preside. - lo corregge Roberto -<br />

Abbiamo parlato del comandante Paride; era mio<br />

nonno: ho raccontato la sua storia.<br />

Lo studente di prima prende ancora l'iniziativa.<br />

- Preside, ma lei lo sa chi era il comandante Paride?<br />

- Certo che lo so. Era un partigiano, morto giovane,<br />

poverino ...<br />

- Non potremmo parlare ancora di lui, qualche volta?<br />

- Sì che potremmo. Lei che ne pensa, professore?<br />

- E' un argomento su cui posso prepararmi.<br />

Vedremo.<br />

All'uscita il professore trova il preside nel corridoio.<br />

151


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

- Signor preside, temo che lei non sia molto contento<br />

di me...<br />

- Al contrario, Giannelli, al contrario.<br />

- Ma come?. Ci ha quasi proibito di parlare dei<br />

partigiani, della Resistenza...<br />

Sconsigliato,non proibito. Ma cambiamo argomento.<br />

Quanti anni mi dà, Giannelli?.<br />

Sessantasei?<br />

No, sono quasi settanta. E tra un mese vado<br />

veramente in pensione. L'ho saputo oggi. E così<br />

posso diventare<br />

coraggioso. Da domani nella mia scuola si parlerà<br />

anche di cose su cui il ministero preferirebbe stendere<br />

un velo di silenzio. E guardi che non ho grande<br />

simpatia per i partigiani.<br />

Mio padre era un fascista e se n'è vantato fino a<br />

quando è vissuto. Ma io ho avuto modo di pensarci e<br />

a qualche conclusione sono arrivato, sa. Mio padre ha<br />

continuato ad esprimere liberamente la sua<br />

opinione;se fosse ancora vivo, stasera potrebbe<br />

andare in televisione a raccontare la sua vita e a<br />

rendere omaggio ad alcuni suoi amici,morti negli<br />

scontri con i partigiani ... Ma se avessero vinto i<br />

fascisti,se avessero vinto Hitler e Mussolini, lo sa,<br />

professore, lei questa mattina non avrebbe potuto<br />

parlare di suo nonno e gli altri insegnanti, i suoi<br />

colleghi, avrebbero dovuto censurare le battute<br />

migliori di Avanzini...<br />

Questo racconto riprende molto liberamente la vicenda di<br />

Giancarlo Puecher, bellissima figura di<br />

152


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

partigiano, nato a Milano nel 1923 e morto fucilato a Erba<br />

(Co) il 23 dicembre 1943.<br />

indice<br />

153


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.8 Io ... schiava<br />

di Susanna Giannotti<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

camminavo muta<br />

dietro il cancello<br />

chiuso di una fabbrica.<br />

Ora sono libera,<br />

posso inseguire<br />

la mia ombra lungo il muro<br />

come un aquilone.<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

annusavo l'odore della polvere<br />

nella stanza buia di un ufficio.<br />

Ora sono libera,<br />

posso respirare l'aria del cielo<br />

e celare dentro il mio dolore.<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

mi sentivo carne da macello<br />

in nome del tuo profitto.<br />

Ora sono libera,<br />

posso morsicarmi le dita<br />

e urlare la mia rabbia<br />

legata ad un letto d'ospedale.<br />

Mi licenziasti,<br />

un giorno,<br />

per aver risposto<br />

ad un tuo rimprovero<br />

154


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ed averti detto “bastardo”<br />

tra i denti.<br />

Ora sono libera,<br />

posso vivere<br />

quel poco che mi resta ...<br />

un giorno dopo l'altro ...<br />

senza te, padrone.<br />

155<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.9 Ad un reduce<br />

di Emanuela Bertello<br />

Ti respiro<br />

oltre le barriere di un'indifferenza<br />

che colora di fango questa notte senza fine.<br />

Vedo le tue mani sporche di sangue<br />

di quei compagni - ormai perduti -<br />

il cui grido lacerante frantuma il silenzio<br />

delle stelle. In uno scricchiolio d'ossa<br />

immagino i tuoi occhi sbarrati della cieca<br />

paura e rischiarati da una flebile fiammella<br />

di speranza che tinge d'immenso quel muro<br />

d'ombra.<br />

Il tuo nome apparirà in un vivido pomeriggio<br />

illuminato dalle lacrime del cielo<br />

testimone indiscusso di questo scempio d'anime<br />

trascinate al largo dalla furia delle onde.<br />

E tu, sbarrato dietro agli occhi di chi non osa<br />

guardare oltre, ti riscalderai il cuore dalle<br />

coltri della pietà che colmeranno i vuoti<br />

di una giovinezza persa lungo il cammino.<br />

indice<br />

156


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.10 Una musica venuta da lontano<br />

di Mario De Fanis<br />

La casetta dove abitava il maestro, trovandosi sotto il<br />

livello stradale, s'affacciava con le finestrelle a sbarre<br />

direttamente sul marciapiede.<br />

Fu quello il palcoscenico sul quale si svolse il dramma<br />

d'iniziazione di Luciano alla musica!<br />

Lui ed Isacco divennero amici, ed il maestro fu<br />

prodigo di incoraggiamenti, ma sembrava proprio che<br />

tra il ragazzo e quella nobile arte non potesse esserci<br />

feeling.<br />

Di fronte alle sue evidenti difficoltà, Luciano scovò<br />

un giorno un pretesto: “Come vuoi che mi convinca<br />

ad insistere, se non ti ho mai sentito eseguire un<br />

brano per intero, insomma della vera musica?!”<br />

“Oh, è da tanto tempo che non suono un pezzo!” si<br />

schermì il vecchio “Le mie dita non hanno più né la<br />

forza, né la mobilità di una volta..<br />

“Ti prego, Isacco, l'anima mia ha sete di musica!”<br />

recitò con enfasi il ragazzo, congiungendo le mani in<br />

atto di preghiera.<br />

“No!No! Non fare così!” lo rimproverò il maestro,<br />

con voce improvvisamente accorata.<br />

“Riserva questo gesto alla vera preghiera, se mai un<br />

giorno ne sentirai il bisogno!”<br />

Restò un attimo sulle sue parole, poi pentito del<br />

rimprovero : “Va bene, va bene, ragazzo petulante, ti<br />

suonerò qualcosa.., ma dopo non me lo chiederai mai<br />

più, prometti?”<br />

157


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Prometto!” acconsentì convinto l'allievo. Allora<br />

Isacco s'avvicinò al riquadro di velluto,<br />

sganciò la valigetta per estrarre lo strumento e dopo<br />

averlo sistemato tra collo e spalla prese a far scivolare<br />

più volte l'archetto sulle corde, provando diversi<br />

accordi, come alla ricerca di una tonalità smarrita;<br />

infine s'arrestò.<br />

Ogni cosa, nella stanza, sembrava in attesa: Mustafà ,<br />

sul divano, schiudeva ogni tanto le palpebre con<br />

indolenza; le ombre della sera occhieggiavano già<br />

dalle finestre. Il ragazzo s'era rincantucciato<br />

nell'angolo opposto a quello del gatto.<br />

All'improvviso, lieve come un sussurro nel silenzio, si<br />

levò nell'aria un'armonia dolce, ma ricolma di una<br />

tristezza che non era di quel tempo, ma di un tempo<br />

più remoto: si levava nella stanza come un volo di<br />

tortore e si spandeva, penetrava dappertutto. Si fece<br />

successivamente più suadente, abbandonandosi ad<br />

una malinconia nascosta, per diventare un attimo<br />

dopo più piena e sonora. Vibrava dentro quelle note<br />

la forza di una fede rasserenante e consolatoria; la<br />

prospettiva di una speranza condivisa, che niente,<br />

neppure la morte, avrebbe più potuto far tacere.<br />

Luciano non riusciva a distinguere il viso del maestro,<br />

chino sullo strumento con il trasporto di un<br />

innamorato, ma osservava affascinato l'archetto che<br />

accarezzava le corde ad evocarne le più nascoste<br />

armonie, per aggredirle poi a tratti con rabbia, quasi<br />

con furore.<br />

158


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Infine, al culmine di un appassionato crescendo, la<br />

musica tacque, si spense nella dolcezza triste di un<br />

addio.<br />

Il vecchio restò un attimo immobile, con l'archetto<br />

appoggiato al violino; poi alzò il viso, e Luciano<br />

s'accorse che piangeva: era un pianto sommesso,<br />

velato, che si scioglieva come se avesse finalmente<br />

trovato la strada per affiorare.<br />

Il giovane rimase nel suo angolo, incapace di parlare.<br />

Gli si affollavano nel cuore pensieri ed emozioni<br />

inesprimibili: s'accorse che in pochi istanti aveva<br />

attraversato un oceano di profonda pena, che la<br />

musica aveva reso puro come un diamante. La sua<br />

luce continuava a brillare in fondo al cuore di un<br />

vecchio e di un ragazzo.<br />

Poi le parole di Isacco bucarono il silenzio: “Ci<br />

facevano suonare sempre questo motivo, mentre li<br />

mandavano alle camere a gas! Capisci? Noi, i<br />

musicisti, suonavamo come per far festa, per coprire<br />

le grida dei compagni, che andavano a morire..E le<br />

note si mescolavano alle urla! Così, ogni volta che<br />

suono, rivedo quei momenti, quando la musica<br />

identificata sino allora come gioia si trasformò per me<br />

in un dolore senza fine.”<br />

Appoggiò il violino sul tavolo, poi si deterse la fronte<br />

madida con la mano sinistra: i polpastrelli delle dita,<br />

sulle falangette, mostravano piccoli tagli.<br />

“Ma hai le dita che sanguinano, Isacco!” esclamò<br />

Luciano, afferrando la mano del suonatore tra le sue.<br />

159


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Non è nulla, non è nulla! Le mani hanno perso<br />

mobilità, te l'ho detto.., così ho dovuto appoggiare<br />

sulle corde con tutta la forza..”<br />

“Perdonami! Perdonami!” fece il ragazzo “Non<br />

sapevo, non immaginavo..”<br />

“No! No, no, Luciano, non è colpa tua ...Anzi, ti<br />

ringrazio, sai, m'ha fatto bene.. Sapessi quanti anni<br />

erano, che non liberavo il cuore da questi fantasmi!”<br />

Poi riprese, portando ogni tanto le dita ferite alla<br />

bocca, per umettarle con la saliva: Iddio, nella sua<br />

misericordia, fece di me un suonatore di violino. Mi<br />

concesse, così, di vivere.., ed io ricevetti questo dono<br />

inconsapevole.<br />

In seguito, però, quante volte mi sono chiesto: che<br />

cosa hai fatto tu, che hai avuto in sorte di conservare la vita?<br />

E che colpa avevano gli altri, cui toccò di morire? Ah, è così<br />

imperscrutabile la misericordia di Dio..”<br />

Ripose con cura nei loro alloggiamenti l'archetto e lo<br />

strumento, facendo scattare i fermagli con sincronia,<br />

per poi continuare: “Sai, i primi tempi, tornato dal<br />

campo, m' ero illuso che con la musica sarei riuscito a<br />

dimenticare.. Invece, quando suonavo, io non facevo<br />

che ricordare, ricordare…, e ancora ricordare: mio<br />

padre che fruga alla cieca sul pavimento per ritrovare<br />

gli occhiali rotti; l'ultimo saluto con la mano di mia<br />

madre;mio fratello che scambiò il suo pane con un<br />

temperino, illudendosi che un giorno ci saremmo<br />

ribellati…. Capisci, adesso, che cosa significa per me,<br />

ogni volta, suonare il violino?”<br />

160


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Luciano fece segno di sì, ed abbracciando con le<br />

lacrime agli occhi quel corpo minuto, fragile come un<br />

uccelletto, ebbe la sensazione di stringere tra le mani<br />

la sua anima.<br />

indice<br />

161


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5. Fuori concorso<br />

5.1 Il cuore nel vaso<br />

di Linda Ghio<br />

C’è un segreto che, sotto sotto, tutte le donne<br />

conoscono, anche se non lo sanno.<br />

Immaginate: un prato, dove l’erba è cresciuta un po’<br />

troppo. È di un verde silenzioso, qua e là screziata di<br />

giallo dove il sole l’ha rosicchiata. Rimane<br />

scompigliata, piegata sotto i passi di una ragazza; lei<br />

cammina senza fretta, ad ampie falcate, e sta attenta<br />

ad aggirare i fiori. Porta in mano uno sgabello di<br />

legno; quando si ferma, lo apre con cura e si guarda<br />

intorno un’ultima volta prima di deporlo a terra. Le<br />

quattro gambe affondano nel folto di ciuffi di un<br />

verde luminoso, e mordono il suolo, salde.<br />

La ragazza è in piedi sullo sgabello, braccia lungo i<br />

fianchi: resta a guardare verso l’alto, per il tempo di<br />

un lungo respiro. Quando solleva le braccia, ha le<br />

mani spalancate; ci sono decine e decine di cuori a<br />

fluttuare nell’aria, bolle di un rosso antico a veleggiare<br />

nella brezza azzurra. Non ha bisogno di afferrarne<br />

alcuno; un piccolo cuore freme, sfarfalla, e curva con<br />

grazia seguendo un’onda di vento per posarsi nel suo<br />

palmo. La ragazza lo tiene fra le mani giunte in una<br />

coppa, e lo protende ancora una volta verso il cielo<br />

perché si impregni di quel sole che le scalda la pelle e<br />

le scivola fra le ciglia. Quando se lo porta al petto,<br />

chinando la testa per guardarlo bene, il piccolo cuore<br />

162


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

è fresco e leggero; lei sorride senza schiudere le<br />

labbra e se lo mette in tasca prima di riattraversare il<br />

prato, e farsi strada fra i campi, fino a casa. In alto, i<br />

cuori hanno proseguito il loro volo e sono ormai<br />

spariti alla vista, nel loro viaggio di capriole e<br />

girotondi verso altre mani in attesa.<br />

Le istruzioni sono semplici, e non sono scritte da<br />

nessuna parte; il piccolo cuore è da portare a casa, e<br />

da conservare con cura. Si potrebbe tenere in una<br />

scatolina di fiammiferi, od un barattolo da cui si sono<br />

mangiati tutti i biscotti. Non può prendere freddo,<br />

altrimenti avvizzisce; non bisogna dimenticarlo in un<br />

canto, altrimenti diventa grigio e appassisce sotto la<br />

polvere; e bisogna tenerlo lontano dal fuoco, perché<br />

ha la tendenza ad infiammarsi e consumare tutto ciò<br />

che lo circonda, se non ci si sta attente. Ma la nostra<br />

ragazza è saggia, di quella saggezza speciale che<br />

appartiene da sempre alle donne; ed è il suo istinto a<br />

dettarle come prendersi cura del piccolo cuore<br />

arrivato dal cielo. Perché una donna sa come<br />

occuparsi di piccole vite che hanno bisogno di<br />

protezione e di un angolino riparato per poter<br />

crescere e acquistare forza. Così la ragazza conserva il<br />

piccolo cuore con cura; lo appoggia in un vaso di<br />

primule vicino alla finestra e lui sta placido e<br />

tranquillo, mormorando di vita sottile, ed aspetta.<br />

Immaginate: un po’ come camminare lungo un molo<br />

di legno, sandali che scricchiolano sulle tavole e onde<br />

grigioazzurre che frusciano nel mare circostante,<br />

seguendo una fila di pallide farfalle, color lilla e crema<br />

163


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e celeste. Una volta in fondo, la ragazza appoggia le<br />

braccia al parapetto, e le guarda comporre spirali ed<br />

archi e segreti nel cielo, mentre si allontanano. E,<br />

quando abbassa gli occhi, c’è una piccola barca a remi<br />

che l’aspetta, grande giusto quanto basta. Ci vuole un<br />

bel coraggio a mettersi a remare da sole ed avviarsi<br />

alla ricerca di qualcosa che non si è ben sicure si saprà<br />

riconoscere, a malapena un pugno di farfalle ad<br />

indicare la via: ma nessuna impresa è troppo grande<br />

per queste piccole donne. Sono sempre loro; quelle<br />

che in silenzio tengono insieme persone, famiglie,<br />

interi Paesi; che bene o male sono sempre lì, a<br />

mandare avanti la baracca, non importa quel che<br />

accada. Quelle che sanno come crescere una fragile<br />

pianta in un campo di rovine, e come crescere piccoli<br />

esseri umani nella selva del mondo.<br />

Sembra quasi impossibile, non è vero – che, dopo<br />

tutto questo dare, alle nostre donne resti ancora<br />

qualche cosa per se stesse; che ancora trovino il<br />

tempo di accudire il piccolo cuore che hanno<br />

adottato, forse il giorno prima, forse anni e anni<br />

addietro. Ma la nostra ragazza, guardiamo lei; lei<br />

resiste, simile ad un piccolo giardino al riparo nel<br />

ventre della metropoli, dove tutti gli uccelli vanno a<br />

rifugiarsi, e dove ogni giorno rami ed arbusti sono<br />

nuovamente carichi di bacche. Le donne hanno radici<br />

profonde e capaci, sanno remare quando c’è bisogno,<br />

e non hanno paura di spingersi al largo, fin dove si<br />

renda necessario.<br />

164


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E torniamo al nostro cuore, quello che riposa in un<br />

vaso di fiori nella cucina di una ragazza di cui non<br />

sappiamo il nome. Non è mica solo per bellezza; è lì<br />

per essere usato, quando fa troppo freddo o c’è<br />

troppo buio, o semplicemente quando se ne sente il<br />

bisogno. Immaginate: basta rimepire una tazza di<br />

acqua calda e deporvi il cuore, e lasciarvelo<br />

galleggiare. Proprio come una bustina di tè: quindi<br />

basta aspettare finchè l’acqua non si sia tinta di un<br />

bell’arancione, o magari rosa antico, a seconda<br />

dell’umore. Deve esserci silenzio, e bisogna essere al<br />

caldo, con indosso abiti comodi; la nostra ragazza è in<br />

pigiama, e si aggira per la cucina in calzini spaiati, e<br />

non se ne preoccupa. Si acciambella su una sedia,<br />

vicino al termosifone, ed aspetta; perché non è una<br />

cosa da fare di fretta, cercando di finire al più presto<br />

perché, insomma, avrebbe dovuto essere pronta da<br />

mezz’ora e dovrebbe già essere in macchina,<br />

dovrebbe. La tazza le scalda le mani, ed è bello<br />

pensare che, dopo essersi regalata un po’ di quel<br />

cuore, la nostra ragazza sia di nuovo pronta ad uscire<br />

e vedersela con il resto del mondo. Ogni tanto,<br />

bisogna dare un po’ a se stesse.<br />

Che poi, in verità – c’è un momento preciso in cui<br />

una ragazza avrà voglia di avventurarsi nei prati con il<br />

suo sgabello, pronta a dialogare con il vento ed il sole,<br />

in cerca di un cuore fluttuante. Forse, una donna<br />

nemmeno si accorge di averlo fatto; magari è sicura di<br />

averlo soltanto sognato. Prendiamo voi, ad esempio;<br />

riuscire a ricordare? Siete proprio sicure di sapere<br />

165


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

cosa c’è nel vostro barattolo dei biscotti, che non vi<br />

sia un piccolo cuore a pulsare nascosto sul fondo<br />

della vostra tazza? Immaginate…<br />

166<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5.2 Io chiedo perdono<br />

di Svilen Angelov<br />

Lunghe file di uomini camminano<br />

passo dopo passo<br />

nel regno del silenzio<br />

dove l'aria fredda ristagna.<br />

Passo dopo passo...<br />

camice con la stella gialla<br />

camminano sulla terra zuppa<br />

abbracciando la furia della paura,<br />

ingoiando il grido del dolore<br />

nel buio più profondo<br />

della notte più estrema.<br />

Ingiustizia suprema<br />

come un mostro aggrappato<br />

sulla merce umana<br />

tra cenere e indifferenza!<br />

Lunghe file di uomini camminano<br />

come alberi spezzati,<br />

vite cambiate,<br />

speranze sperdute<br />

e sogni svaniti<br />

nell'ombra della luna calante d'inverno.<br />

Passo dopo passo…file di uomini<br />

considerati colpevoli di esistere<br />

continuavano a vivere morendo!<br />

Oggi il vento sussurra tra le betulle<br />

167


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e la primavera esplode in fiori,<br />

ci sono di nuovo i magici tramonti,<br />

sentieri emersi nelle timide castagnette<br />

e cascate con nuvole bianche.<br />

Il mio cuore vede le file di uomini<br />

che camminano...<br />

e nel roseo crepuscolo del giorno<br />

in attesa del perdono<br />

i miei occhi dicono<br />

“Mai più”!<br />

168<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5.3 La “Sciura Maria”<br />

di Daniela Vigliano<br />

Al paese e nei dintorni mi conoscono come la<br />

“Sciura Maria”, l’ostetrica. Qui li ho fatti nascere tutti<br />

io i bambini, che ormai sono adulti e hanno a loro<br />

volta figli che ho aiutato a venire al mondo. Qualche<br />

tempo fa mi hanno persino premiata con una<br />

medaglia d’oro al millesimo neonato che, con il mio<br />

aiuto, è arrivato su questa benedetta terra, e mi hanno<br />

fatto una gran festa. La medaglia d’oro l’ho riposta<br />

nel cassetto del comodino da notte, vicino alla foto di<br />

Adriano.<br />

Adesso sono vecchia e stanca e sono in pensione.<br />

Non me la sento più di andare su e giù per le strade<br />

ripide del paese, anche di notte, con l’affanno di<br />

arrivare in tempo perché madre e figlio possano star<br />

bene entrambi e io, per l’infinitesima volta, possa<br />

sentire il vagito del nuovo arrivato.<br />

Quanti parti, nella mia vita! Questo mestiere è forse<br />

uno dei più belli del mondo, io non avrei saputo né<br />

voluto fare altro, ma come ti regala tanta gioia<br />

quando tutto va bene, sa riempirti di angosciosa<br />

impotenza quando un bimbo non ce la fa e diventa<br />

un angioletto.<br />

Ogni volta che tiravo fuori la testina, gli occhi<br />

ancora chiusi e i capelli tutti bagnati, e poi, pian<br />

piano, il corpo, rosso di sangue e ancora incapace di<br />

respirare, l’ansia era sempre la stessa: sentire il primo<br />

vagito, il segnale della vita. Una piccola sculacciata e<br />

il pianto del bimbo mi faceva capire che tutto era a<br />

169


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

posto, che ancora una volta tutto era andato bene.<br />

Allora si faceva gran festa, il padre stappava la<br />

bottiglia più buona e, mentre la mamma e il piccolo<br />

venivano accuditi dalle madri o dalle zie, io brindavo<br />

con lui all’arrivo della nuova vita, a una vita piena di<br />

salute e di buona fortuna. Nessuno si accorgeva che,<br />

tra quelle lacrime di gioia, io nascondevo delle lacrime<br />

mie, mie soltanto, le lacrime del mio grande dolore.<br />

Tutti mi vogliono bene qui, in questo piccolo borgo<br />

incastrato tra i monti dell’Appennino ligure, dove il<br />

sole si vede per poche ore al giorno, dove gli inverni<br />

sono lunghi e freddissimi, dove i fitti boschi di<br />

castagni e di acacie sono il rifugio di lepri e di volpi, e<br />

non solo…<br />

Mio marito era cacciatore. Partiva la domenica col<br />

fucile in spalla e non tornava a casa finchè non aveva<br />

qualcosa che gli gonfiasse la cacciatora del suo<br />

giaccone di velluto a coste verde marcio.<br />

Ho sempre avversato quella sua passione, non mi<br />

piaceva che uccidesse animali indifesi.<br />

“Zunin” gli dicevo “io faccio nascere i bambini e tu<br />

vai ad uccidere delle povere creature. Non ci siamo,<br />

non ci siamo proprio…” Ma lui mi diceva che quasi<br />

tutti gli uomini del paese andavano a caccia, era uno<br />

svago, mica si doveva pensare che si andava ad<br />

ammazzare, si andava solo a divertirsi, a vedere se si<br />

era capaci a colpire qualcosa che vola, o che corre.<br />

Era fatto così, il mio Zunin. Lo chiamavo col<br />

cognome, come tutti in paese. Lavorava in ferrovia ed<br />

era un comunista sfegatato. Buono, un cuore grande<br />

170


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e generoso, ma con una testa dura come il ferro. Se<br />

aveva in mente una cosa, quella era, ed era inutile<br />

provare a fargli cambiare idea.<br />

Mi ha lasciata sola dieci anni fa: stavamo pranzando e<br />

ad un tratto si è accasciato sul piatto, senza una<br />

parola. “Zunin, cos’hai? Non stai bene?”. Non mi<br />

sentiva già più. L’ha fatta veloce, lui.<br />

Come era nei suoi desideri, abbiamo fatto un funerale<br />

civile, che è stato, per quel tempo, una cosa<br />

eccezionale, disonorevole e immorale. Non certo per<br />

me e i suoi fratelli, o per quelli del paese che lo<br />

conoscevano bene e sapevano come la pensava, ma<br />

per alcuni parenti, che vi hanno partecipato,<br />

vergognandosi come cani. Sono rimasti di stucco, nel<br />

vedere il feretro andare dritto al cimitero senza<br />

passare dalla chiesa, con la banda che suonava<br />

l’Internazionale.<br />

Mi pareva di sentirli, i baciapile, commentare a denti<br />

stretti l’avvenimento. Ne avrebbero parlato per<br />

giorni, una volta ritornati a casa loro.<br />

Lui comunque, anche senza chiesa, credo sia andato<br />

nel posto dei buoni, non può essere altrimenti.<br />

Io, dal canto mio, aspetto ormai che venga il mio<br />

turno. Che ci sto a fare qui, senza Adriano, senza<br />

Zunin, senza Venuta? La mia vita ormai non ha più<br />

alcun senso, non sono più utile a nessuno, né alle<br />

mamme né ai bambini. Quante volte invece, quando<br />

qualcuno dei miei assistiti non aveva nemmeno un<br />

soldo per pagarmi, portavo coperte, pannolini,<br />

vestitini e, naturalmente, non volevo nulla per la mia<br />

171


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

prestazione. Anche per questo, qui, mi vogliono<br />

bene.<br />

“Ma sciura Maria” mi diceva Venuta, la nostra “tata”<br />

che è stata con noi da quando mi sono sposata fino a<br />

quando è morta, povera donna, “se fa così, come<br />

faremo a tirare alla fine del mese?”. “Non<br />

preoccuparti, Venuta, ce la faremo, vedrai. I soldi non<br />

sono poi così importanti. L’importante è che quella<br />

gente possa stare bene”.<br />

Venuta, la disponibilità e la bontà fatta persona. Una<br />

dedizione totale alla mia famiglia: per lei la famiglia<br />

eravamo noi. Quando è entrata in casa nostra, poco<br />

più che diciottenne, aveva perso i genitori da poco.<br />

Ricordo come fosse oggi quando si è presentata per<br />

venire a servizio: alta alta, magra magra, con i capelli<br />

neri pettinati lisci all’indietro e legati in una crocchia,<br />

un abito nero in maglia lungo fino alle caviglie che la<br />

rendeva più magra ancora. Mi ha fatto una tenerezza<br />

infinita: era una giovane che sembrava già vecchia,<br />

con il peso del suo dolore su quelle spalle gracili, negli<br />

occhi tristi la richiesta di conforto, di affetto, di aiuto.<br />

Non ho potuto dirle che non mi serviva una ragazza<br />

per le faccende domestiche. Ero fresca sposa e non<br />

avevo ancora molto lavoro che mi impegnasse<br />

lontano da casa tanto tempo da non permettermi di<br />

badare ai lavori casalinghi; ma quella sua aria da<br />

cucciolo spaurito, bisognoso d’amore, mi strinse il<br />

cuore e la assunsi.<br />

Da allora Venuta ha abitato con noi, facendo da<br />

mangiare, curando la casa, badando insomma a tutto<br />

172


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

quel che fa una domestica. Aveva la sua stanza, dove<br />

si ritirava soltanto dopo che noi eravamo andati a<br />

dormire, ed è diventata una di famiglia, quasi come<br />

una sorella per me, che ho soltanto fratelli, con cui<br />

quindi non posso avere grande affiatamento. Con lei<br />

mi confidavo e mi fidavo ciecamente della sua onestà<br />

al punto che le davo i soldi per il mese: per le spese<br />

del cibo, per quel che mancava in casa.<br />

Quando è nato Adriano, Venuta ha perso la sua<br />

immagine di zitellona ed è diventata una seconda<br />

mamma. La tenerezza e l’attenzione affettuosa con<br />

cui accudiva mio figlio, lo lavava, lo vestiva, lo faceva<br />

giocare erano unici. Ha riversato su di lui tutto<br />

l’amore materno di cui era colma, che aspettava<br />

soltanto di potersi manifestare; quel bambino<br />

rappresentava la sua gioia e il suo orgoglio, non solo<br />

il nostro.<br />

Adriano sapeva farsi amare: affettuoso, tenero,<br />

coccolone, trotterellava dietro alla sua “Nuta”<br />

seguendola per tutta la casa, e lei, conquistata da<br />

quell’amore di bimbo, obbediva ad ogni suo<br />

capriccio.<br />

Confesso che a volte provavo persino un po’ di<br />

gelosia per quella complicità che si era creata tra di<br />

loro, ma non poteva essere che così: io ero via quasi<br />

tutto il giorno e mio figlio stava più tempo con<br />

Venuta che con me. E inoltre io, da mamma, non lo<br />

viziavo come lei. Da quando Adriano era piccino fino<br />

a quel maledetto giorno in cui l’abbiamo perso per<br />

sempre, lei ha continuato a sbucciargli la frutta e a<br />

173


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

fargli trovare i pezzi già tagliati nel piatto. Usava<br />

quello stratagemma per fargli mangiare “le vitamine”,<br />

come le chiamava lei.<br />

Quando è mancata, dopo una breve malattia, ho<br />

perso la sorella che non avevo avuto. Mi riempiva la<br />

casa, era una presenza importante. Dopo la morte di<br />

mio marito, avvenuta così repentina, ho passato un<br />

brutto periodo e, se non avessi avuto lei vicina, che<br />

mi confortava e mi consolava, alleviando la mia pena,<br />

non so come avrei fatto a sopportare anche quella<br />

sofferenza. Il dolore pianto insieme per Adriano, me<br />

l’ha resa ancora più sorella. Io ero la madre, lei lo<br />

aveva allevato e amato come una madre. Ora che tutti<br />

se ne sono andati e mi hanno lasciata completamente<br />

sola, trascino la mia esistenza nell’ attesa di poterli<br />

ritrovare.<br />

La mia vita mi sembra uno scherzo del destino: ho<br />

aiutato a nascere mille bambini ma io, il mio, non<br />

sono riuscita a godermelo, se non per qualche anno.<br />

E ogni volta che una nuova vita veniva al mondo tra<br />

le mie mani, ogni volta era un ripercorrere la mia<br />

straziante sofferenza.<br />

Ogni giorno Adriano è nei miei pensieri, e, a volte,<br />

come una stupida sognatrice, mi ritrovo a immaginare<br />

che avrei potuto far nascere suo figlio: quale migliore<br />

ostetrica potrebbe esserci per il proprio nipotino? Ma<br />

poi ripiombo alla terribile realtà, alla mia casa vuota,<br />

al mio Adriano senza vita, le braccia inerti penzolanti<br />

dalla carriola, il petto squarciato dalle pallottole, e<br />

174


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

allora anche io vorrei morire, perché il dolore di una<br />

madre che sopravvive al figlio è insopportabile.<br />

28 settembre 1944. La giornata è uggiosa, sta<br />

venendo giù una pioggerellina fine, quasi autunnale.<br />

Qui, di questa stagione, a fine settembre è raro che le<br />

giornate siano belle e soleggiate. Già c’è poco sole<br />

d’estate, figuriamoci in questo periodo: gli Appennini<br />

ci stanno troppo sul collo, e le nuvole, certi giorni,<br />

sono così basse che sembrano nebbia. Bisogna<br />

rassegnarsi che stiamo entrando nella stagione più<br />

lunga, quella che sembra non finisca mai, che alle sei<br />

di sera è già notte e alle sei di mattino è ancora notte.<br />

Odio l’autunno e l’inverno: io che vorrei sempre<br />

vedere intorno a me la luce, il sole; vorrei il caldo,<br />

quel bel caldo che te ne puoi stare fuori anche di<br />

sera , solo col vestito, le spalle scoperte, a godere del<br />

calore dell’estate, a chiacchierare coi vicini fino a<br />

tarda sera sulle panche, a commentare i fatti del<br />

giorno, a spettegolare come delle vecchie comari<br />

linguacciute. Ma sono nata qui, tra queste aspre<br />

montagne, in questo paese che amo ma che non è il<br />

massimo che Dio fece. E pensare che il mare è<br />

soltanto lì dietro, a qualche decina di chilometri, ma<br />

per noi, qui, sembra distante come la luna.<br />

Sto tornando, verso sera, dal mio solito giro. Sono<br />

appena stata a medicare il cordone ombelicale di un<br />

piccolo nato tre giorni fa che ha urlato come un<br />

ossesso mentre lo disinfettavo.<br />

Poco prima mi era capitato uno di quei casi che non<br />

si augurerebbero nemmeno al peggior nemico: uno<br />

175


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

dei parti più difficili che possano verificarsi. Il<br />

bambino si è presentato podalico e ho dovuto faticare<br />

parecchio perché potesse uscire senza problemi<br />

dall’utero materno. In queste circostanze, non si sa<br />

mai come andrà a finire: il piccolo potrebbe nascere<br />

asfittico con gravi problemi, se non si fa in tempo a<br />

liberarlo dal cordone ombelicale che, come un<br />

cappio, gli si attorciglia attorno al collo. Bisogna agire<br />

in fretta, ma con la massima attenzione: un piccolo<br />

errore potrebbe essere fatale.<br />

Fortunatamente, il mio neonato è venuto alla luce un<br />

po’ blu, cianotico come si dice in termine medico, ma<br />

l’asfissia era lievissima, per cui, appena tagliato il<br />

cordone, ha ripreso il suo colore naturale e ha emesso<br />

l’atteso pianto liberatorio. Una nuova vita è appena<br />

uscita dalle mie mani, grazie a me lui ora vive: mi<br />

sento euforica, felice.<br />

Con la mia pesante borsa mi sto avvicinando alla<br />

porta d’entrata di casa. Lì davanti, un gruppo di tre<br />

ragazzi poco più che ventenni, vestiti con dei calzoni<br />

e dei giubbotti un po’ consunti, stanno fumando e<br />

sembra che aspettino me. Me ne accorgo perché da<br />

quando ho iniziato la discesa dopo la curva che dalla<br />

piazza della chiesa porta verso casa mia, i tre hanno<br />

incominciato a guardarmi e a parlottare tra di loro. Mi<br />

chiedo cosa vorranno da me dei ragazzi così giovani:<br />

certamente non un’ostetrica: sono troppo giovani per<br />

essere padri e troppo vecchi per essere fratelli di<br />

madri a cui possa essere utile un mio aiuto. Più mi<br />

avvicino e più i loro visi si fanno meno sfocati: strano<br />

176


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

che non li conosca, perché i giovani di quell’età, se<br />

sono del paese, li ho fatti nascere io e li ho visti poi<br />

crescere sotto i miei occhi. Non devono essere di<br />

queste parti, è evidente.<br />

Arrivo vicino al portone e sto tirando fuori di tasca le<br />

chiavi di casa, quando uno di loro, con fare<br />

circospetto, mi viene vicino vicino e quasi mi sussurra<br />

all’orecchio: “Lei è la sciura Maria?” Dico di sì, che<br />

sono io. “Avremmo bisogno dell’aiuto di suo figlio”,<br />

continua sottovoce. “Abbiamo un compagno ferito<br />

gravemente e ci hanno detto che suo figlio, Adriano<br />

vero?, studia da medico e cura i partigiani che sono<br />

stati feriti. Ci hanno detto che è in gamba e che sta<br />

dalla nostra parte. Gli dica di seguirci, solo lui può<br />

salvare il nostro amico. Siamo nascosti in un capanno<br />

nei boschi. Non possiamo portarlo allo scoperto,<br />

sarebbe troppo rischioso, qui girano un sacco di quei<br />

bastardi di fascisti”.<br />

Mi prende il panico. Non so perché, ma io che non<br />

ho mai paura di nulla e sono abituata, col mio lavoro,<br />

a dovere prendere decisioni immediate, in questo<br />

caso non so cosa fare e nemmeno cosa dire. Prendo<br />

tempo: “Credo che mio figlio non sia in casa.<br />

Quando arriverà, gli dirò di voi. Vedrà lui cosa fare”.<br />

“Signora, la prego, si metta una mano sulla coscienza!<br />

Non si può lasciare morire così un giovane! glielo<br />

dica che il nostro compagno ha una grossa ferita alla<br />

gamba, che perde molto sangue. Bisogna fare in<br />

fretta, altrimenti non se la caverà. Che prenda tutto<br />

177


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

l’occorrente, lui sa cosa serve, ma che venga subito,<br />

per l’amor di Dio!”.<br />

Oh Signore, ma cosa dico a questi? Chi li ha mai<br />

visti? Certo non posso conoscere tutti i partigiani<br />

della zona, qui i boschi ne sono pieni…però anche<br />

lasciar morire un giovane dissanguato…Adriano<br />

saprebbe come curarlo, fa solo il terzo anno di<br />

medicina, ma è un ragazzo in gamba, e poi si è fatto<br />

esperienza sul campo: è vero che ogni tanto va nei<br />

boschi a medicare i partigiani feriti.<br />

“Aspettate, vado a vedere se è a casa”. Corro su per<br />

le scale e spalanco la porta, come se qualcuno mi<br />

stesse rincorrendo.<br />

“Ehi, ma cosa succede? Ti sei ammattita?” mi fa<br />

Zunin, che vedendomi entrare stranamente affannata,<br />

si gira di scatto verso di me con aria sorpresa. E’ già<br />

sulla sua poltrona preferita vicino alla finestra. Sta<br />

imbrunendo e si è acceso l’abatjour: mi piace sempre<br />

guardarlo leggere assorto, gli occhiali calati sul naso,<br />

il profilo in controluce. Non è un bell’uomo, e ora,<br />

che sta invecchiando, ha messo su qualche chilo che<br />

lo rende un po’ goffo, ma è il mio Zunin, il mio buon<br />

marito, un buon padre per nostro figlio, un uomo che<br />

sotto la dura scorza del burbero comunista racchiude<br />

un animo generosissimo e io gli voglio bene come il<br />

primo giorno in cui ci siamo incontrati. Anzi, di più,<br />

perché l’amore e la passione dei primi anni si sono<br />

trasformati in affetto, amicizia, intimità, complicità.<br />

Sono contenta che sia il compagno della mia vita.<br />

178


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Non mi sono ammattita, ho solo fretta. Adriano è in<br />

casa?”<br />

“Sì, è di là in camera che studia. Perché?”<br />

“Ci sono tre ragazzi, giù, che avrebbero bisogno del<br />

suo aiuto. Sono partigiani, un loro compagno è ferito<br />

gravemente e vorrebbero che lui andasse con loro a<br />

curarlo”<br />

“Li conosci?”<br />

“No, non li ho mai visti, non credo siano delle nostre<br />

parti. Ma che c’entra, mica dobbiamo aiutare solo<br />

quelli che conosciamo”<br />

“Non volevo dire quello, Maria, ma dobbiamo stare<br />

in guardia. Di questi tempi non ci si può mai fidare di<br />

nessuno. Dico solo che sarebbe meglio conoscere<br />

quelli con cui si ha a che fare”. Intanto, mentre mi<br />

parla, sta guardando dalla finestra verso il basso, per<br />

cercare di capire chi siano i tre di cui gli ho parlato, e<br />

si avvicina talmente che il suo respiro crea una<br />

piccola zona appannata lì, dove il suo naso si<br />

appoggia al vetro.<br />

“Non essere così diffidente! Mi sono sembrati dei<br />

bravi ragazzi, solo spaventati e preoccupati per il loro<br />

amico. Vado a chiamare Adriano, magari lui li<br />

conosce”.<br />

La sua stanza è accesa: sono sicura che sta studiando.<br />

Deve dare un esame tra poco e, come d’abitudine,<br />

non si presenterà all’appello se non quando saprà<br />

tutto benissimo. E’ da quando fa le elementari che<br />

vuole essere sempre a posto con compiti e lezioni. E<br />

guai ad aiutarlo, ha sempre voluto fare tutto da solo.<br />

179


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non fa che darci soddisfazioni questo ragazzo, il suo<br />

libretto rosso di Medicina è pieno di voti altissimi,<br />

con molti 30. E’ intelligente, serio, studioso, ma è<br />

anche pieno di amici, con cui si diverte, discute di<br />

politica, fa baldoria nei giorni di festa; è sensibile, di<br />

quella sensibilità che non ti aspetteresti da un ragazzo<br />

così giovane, che gli permette di capire i suoi simili e<br />

di entrare subito in sintonia con loro. E poi è proprio<br />

bello: non starebbe a me dirlo, ma è vero e ha un<br />

sacco di ragazze che gli ronzano intorno, che<br />

vogliono uscire con lui. Insomma, non perché è mio,<br />

ma è il figlio che tutte le madri si augurerebbero di<br />

avere.<br />

Lo chiamo e lui mi invita ad entrare. Gli spiego dei<br />

tre giovani sotto, delle perplessità d suo padre. Come<br />

immaginavo, non si lascia impensierire dai timori di<br />

mio marito e scende le scale per raggiungerli e sentire<br />

di cosa abbiano bisogno, per capire cosa portare con<br />

sé.<br />

Li guardiamo dalla finestra avviarsi per la stradina che<br />

porta verso il bosco, dove si sa che si nascondono i<br />

partigiani. Mi prende sempre una stretta al cuore ogni<br />

volta che mio figlio va a curare qualche ferito, perché<br />

il pericolo che possano trovarlo i fascisti è ogni volta<br />

possibile.<br />

Questa maledetta lotta civile, questo ammazzarsi tra<br />

giovani di una stessa patria è quanto di più terribile<br />

possa essere successo in Italia dall’inizio della guerra.<br />

Anche la guerra, certo, è la disgrazia che ci ha portato<br />

via tanti e tanti giovani, ma gli scontri fratricidi che si<br />

180


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stanno combattendo ora, italiani contro italiani,<br />

addirittura paesani contro paesani è assurda. Io non<br />

sto né con i fascisti né con i partigiani; capisco che,<br />

come dice Zunin, questi ultimi si battono per la<br />

liberazione, ma quello che più importa sono le vite<br />

che si perdono, i ragazzi che muoiono, le madri che<br />

piangono, il dolore che questa assurda lotta civile<br />

lascia dietro di sè come una lunga scia di sangue.<br />

Andiamo a dormire sperando che Adriano torni<br />

presto e che il ferito non sia tanto grave, ma io non<br />

riesco a prendere sonno. Ad ogni rumore sobbalzo,<br />

mi sembra sia lui che apre sotto la porta, ma poi non<br />

arriva nessuno. Di notte i problemi ingigantiscono, il<br />

buio esaspera ogni cosa e la mente torna sempre agli<br />

stessi pensieri, ricamandoci sopra con un unico<br />

colore: il nero. Mi giro e mi rigiro nel letto, finché,<br />

quando è quasi chiaro, mi alzo e vado in cucina a<br />

farmi un caffè, tanto ormai la notte è persa.<br />

Non capisco perché mio figlio non sia ancora<br />

tornato, ho dei brutti presentimenti, anzi ho proprio<br />

paura e mi accorgo che non è il freddo del mattino a<br />

farmi tremare. Possibile che il partigiano ferito sia<br />

così grave da obbligare Adriano a stare via tutta la<br />

notte? L’ansia non mi abbandona e mi sento stringere<br />

lo stomaco come in una morsa.<br />

Poco dopo entra mio marito: sono le sette e deve<br />

prepararsi per andare a lavorare.<br />

Mi chiede di Adriano, a che ora è arrivato. “Non è<br />

ancora tornato. Non ho dormito tutta la notte per<br />

aspettarlo, non so perché sia ancora via. Zunin, ho<br />

181


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

paura che sia successo qualcosa” e mentre lo dico, mi<br />

trovo a pensare che non “deve” essere successo nulla,<br />

perché ne morirei.<br />

Mio marito si avvicina, mi abbraccia e mi consola.<br />

Non è la prima volta che nostro figlio deve stare via<br />

tutta la notte per curare qualcuno. “Forse il ragazzo è<br />

proprio grave e tu sai come è Adriano, lui non viene a<br />

casa finché non vede che il ferito sta un po’ meglio.<br />

Dai, smettila di pensare sempre male, vedrai che tra<br />

poco arriva”. Poi mi saluta con un bacio e se ne va al<br />

lavoro.<br />

Non riesco a calmarmi. E’ via da troppe ore, deve<br />

essere successo qualcosa, qualche intoppo per cui<br />

non può tornare. Forse ha dovuto nascondersi,<br />

avranno sentito arrivare i fascisti e saranno rimasti<br />

chiusi nel capanno per non farsi scoprire. Sì, forse è<br />

così. Sicuramente non può muoversi perché c’è<br />

qualche fascista nei dintorni. Che stupida, ma certo,<br />

non può essere altrimenti. Ha ragione Zunin che<br />

penso sempre al peggio, ma quando si tratta di mio<br />

figlio non sono mai obiettiva, e mi lascio prendere<br />

dall’angoscia.<br />

Rasserenata da questi pensieri, anch’ io mi preparo<br />

per il mio solito giro di visite.<br />

Torno a casa all’ora di pranzo e Venuta, molto<br />

agitata, mi dice che Adriano non c è ancora.<br />

Mio Dio, aiutami! Ti prego, aiutami! Fallo tornare<br />

entro un’ora, ti prego, altrimenti non riesco più a<br />

vivere.<br />

182


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Arriva mio marito. “Adriano non c’è ancora!” gli<br />

grido disperata “Dobbiamo andare a cercarlo! Non è<br />

possibile che stia via tanto così per un ferito. Hai<br />

capito? Se non arriva entro un’ora andiamo, non<br />

possiamo più aspettare! Hai capito? Hai capito?”. Mi<br />

torco le mani, sono tutta un tremito e mi metto a<br />

piangere.<br />

“Maria, calmati, vedrai che adesso arriva, altrimenti sì,<br />

lo andiamo a cercare. Ma adesso calmati, su, stai<br />

tranquilla”.<br />

Passa un quarto d’ora e sentiamo suonare: ci<br />

precipitiamo ad affacciarci. E’ un amico di mio<br />

marito, uno che va sempre a caccia insieme a lui. Gli<br />

dice di scendere. Facciamo le scale volando, io non<br />

capisco più nulla, tremo soltanto e non riesco a<br />

fermare le lacrime che ormai scendono da sole.<br />

Luigi ci spiega che stamattina, mentre andava a<br />

caccia, è passato vicino a un capanno e ha visto<br />

nostro figlio. Dice che è ferito, che bisogna andare<br />

con qualcosa a prenderlo, perché non può reggersi in<br />

piedi. Magari una carriola, ecco, potrebbe andare<br />

bene una carriola. Noi non ce l’abbiamo, ma<br />

conosciamo un muratore che può prestarcela.<br />

“Vengo anche io” grido spaventata “aspettatemi, se è<br />

ferito lo posso medicare subito lì”.<br />

“No, sciura Maria, stia qua ad aspettarci. Andiamo<br />

noi, non c’è bisogno che venga anche lei”.<br />

“Vero, Maria, aspettaci qua, lo medichi poi a casa con<br />

calma”.<br />

Mi lascio convincere e li attendo fuori dalla porta.<br />

183


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Grazie Signore! E’ solo ferito, non è successo nulla di<br />

quel che temevo! Grazie, grazie! E, piangendo,<br />

abbraccio Venuta.<br />

Dopo un tempo che non so, vedo arrivare da lontano<br />

Luigi e mio marito. Sta spingendo lentamente la<br />

carriola, le spalle chine, la testa bassa. Sono ancora<br />

troppo lontani per vedere come sta mio figlio, vedo<br />

solo penzolare le braccia e le gambe: è così alto, come<br />

fa a stare dentro una carriola? Più si avvicinano e più<br />

il mio tremito ricomincia. Vedo Zunin, piange, sta<br />

singhiozzando. E poi vedo quello che una madre non<br />

dovrebbe vedere mai, mai, mai nella sua vita. Adriano<br />

ha il torace squarciato da colpi di pistola, è tutto un<br />

sangue, immobile, le braccia e le gambe inerti<br />

seguono il lento muoversi della carriola, la testa<br />

reclinata da una parte, nella fissità della morte.<br />

Mi precipito sul corpo. Quel corpo martoriato,<br />

trafitto, colpito, lacerato, ucciso. Ucciso. In<br />

un’imboscata: quei ragazzi erano fascisti, non<br />

partigiani. E me lo hanno ucciso. E mi hanno ucciso.<br />

Adriano, io muoio con te, tesoro mio, muoio con te.<br />

E mentre gli pulisco la faccia coperta di sangue e gli<br />

cullo la testa tra le mani, tutto intorno a me si fa buio.<br />

indice<br />

184


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

6. La classifica del concorso<br />

Sezione Poesia inedita a tema libero<br />

1) Gennaro De Falco Blackout metafisico<br />

2) Rita Stanzione Insostenibile<br />

risucchio esistenziale<br />

3) Emanuele Insinna Il tempo dei<br />

[rimbombi]<br />

4) Chris Mao L'altalena<br />

5) Silvia Napoleoni Un giorno<br />

qualunque<br />

6) Roberto Ragazzi Nelle cose<br />

7) Franco Romano Falzari Ferragosto<br />

8) Givanni Battista Basile A te che sei giovane<br />

9) Gabriella Maddalena Cono d'ombra<br />

10) Cristina Mantisi Nella gabbia<br />

Sezione Racconto inedito a tema libero<br />

1) Mario Trapletti Il destino non buca<br />

[il biglietto]<br />

2) Jessica Puliero Maturità<br />

3) Gianni Martinetti Il disertore<br />

4) Gabriele Fumagalli Il Caduto<br />

5) Mario Fulvio Giordanino Anime Elette<br />

6) Maria Carla Bracaccini La Collanina<br />

7) Cinzia Balestra L'isola tartaruga<br />

8) Alessandro Cuppini Sull’accelerato<br />

9) Giulia Pirrini Gelido soffio di<br />

[vento]<br />

10) Pierangelo Colombo La pensione<br />

185


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sezione Donna<br />

1) Bruno Bianco La prima<br />

parte<br />

2) Vanes Ferlini Ogni sera,<br />

tranne il<br />

[giovedì]<br />

3) Vadis Cappa La Vacuità<br />

4) Chiara Loria Parole (da<br />

donna a<br />

[donna)]<br />

5) Tiziana D’Oppido Le sorelle Q<br />

6) Marco Romagnoli Elegia<br />

7) Sabrina Balbinetti Stasera<br />

8) Francesca Levo Calvi Giovanna,<br />

una<br />

[ragazza allegra]<br />

9) Stefania Pellegrini E' donna<br />

10) Daniela Mascotto Cronaca di un<br />

[interno molto particolare]<br />

186


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sezione (R)esistere<br />

1) Dario Maria Desantis I nostri pezzi che<br />

[un giorno furono interi poeti]<br />

2) Claudio Prili Diario di un soldato<br />

3) Maria Teresa Montanaro Il rifiuto<br />

[(…La dentro la curva…)]<br />

4) Rivolta Paola Genesi 2,23<br />

5) Susanna Giannotti Io schiava<br />

6) Domenico Garaffa Massacro a<br />

[Wounded Knee - Ginocchio Ferito]<br />

7) Emanuela Bertello Ad un reduce<br />

8) Brunello Buonocore Il Comandante<br />

9) Mario De Fanis Una musica venuta<br />

[da lontano]<br />

10) Maria Denise Spinelli Il rumore del<br />

[silenzio]<br />

Finito di stampare Giugno 2011<br />

187<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

188

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!