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Quei bei giorni di Lesa. Le vacanze di Alessandro Manzoni sul Lago ...

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<strong>Quei</strong> <strong>bei</strong> <strong>giorni</strong> <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. <strong>Le</strong> <strong>vacanze</strong> <strong>di</strong> <strong>Alessandro</strong> <strong>Manzoni</strong> <strong>sul</strong> <strong>Lago</strong> Maggiore<br />

<strong>di</strong> Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola<br />

Erano passati quattro anni dalla morte dell'amatissima prima moglie Enrichetta<br />

Blondel, madre <strong>di</strong> otto figli, quando <strong>Manzoni</strong> si risposò con donna Teresa Borri<br />

Stampa, il 2 Gennaio 1837. La nuova moglie, nata a Brivio in Brianza nel 1799, era<br />

una donna esile e graziosa, dai capelli folti e scuri. Aveva sposato, a <strong>di</strong>ciannove anni,<br />

il conte Stefano Decio Stampa, <strong>di</strong>scendente da una insigne famiglia <strong>di</strong> origine<br />

francese, che ebbe il titolo nobiliare con regio imperiale <strong>di</strong>ploma il 5 Aprile del 1787.<br />

I coniugi si trovavano proprio a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, nella villa <strong>di</strong> famiglia prospiciente il lago, la più<br />

bella casa del borgo secondo Ruggiero Bonghi, quando il conte ebbe un primo sbocco<br />

<strong>di</strong> sangue. Nessuno volle dargli importanza e Stefano si curò con <strong>di</strong>eta e salassi.<br />

Teresa era incinta. Il 23 Novembre del 1819 <strong>di</strong>ede alla luce un bambino, che fu<br />

chiamato Giuseppe Stefano. Il padre stava ancora male e decise <strong>di</strong> fare un viaggio a<br />

Parigi per visitare la suocera. Al ritorno la sua salute peggiorò e andò con il bambino<br />

a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> per respirare aria pura. Teresa restò a Milano per una laringite. Sto meglio che<br />

a Milano, le scriveva Stefano, ma si lamentava del baccano per la festa <strong>di</strong> San Martino.<br />

Una vera musica <strong>di</strong> gatti, il tutto alle cinque del mattino, momento in cui io godo <strong>di</strong> più il<br />

dolce riposo.<br />

Quando Teresa lo raggiunse, Stefano Decio non aveva nemmeno la forza <strong>di</strong><br />

camminare e si nutriva solo <strong>di</strong> marmellata <strong>di</strong> rose. Si faceva portare a spalla dai<br />

domestici su una portantina <strong>sul</strong>la riva del lago, per vedere il golfo <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, tanto<br />

amato. Morì nel <strong>di</strong>cembre del 1820. La giovane vedova fece erigere nell'atrio della<br />

casa un cippo in nero <strong>di</strong> Varenna, a memoria del defunto, con un'iscrizione: A Stefano<br />

Stampa - Cultore delle scienze e delle belle arti - caro a pochissimi fedeli amici -<br />

Amantissimo della Patria - Teresa Borri - per il desiderio <strong>di</strong> tanto <strong>di</strong>letto volto - consorte<br />

inconsolabile poneva - Nato a Venezia morì nel borgo <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> nell'anno ventiquattresimo <strong>di</strong><br />

sua età, secondo <strong>di</strong> matrimonio, 1820.<br />

Il conte aveva fatto testamento il 28 Luglio del 1820 e <strong>di</strong>viso il patrimonio in parti<br />

uguali tra moglie e figlio, assegnando una pensione alla madre Julia, che fece subito<br />

causa a Teresa. Il contenzioso durò per anni, ma finalmente nel 1822 Teresa ebbe<br />

una parte dell'ere<strong>di</strong>tà e nell'estate raggiunse <strong><strong>Le</strong>sa</strong> con Stefanino, malgrado una parte<br />

della villa fosse ancora parzialmente occupata dai marchesi Caccia Piatti, certi<br />

parenti degli Stampa, che facevano rumore e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne e le impe<strong>di</strong>vano <strong>di</strong> godere del<br />

giar<strong>di</strong>no. Il piccolo Stefano voleva stare tutto il giorno <strong>sul</strong> lago a tirar sassi e<br />

scappava sempre da casa per vedere l'acqua. Teresa era sempre in ansia. Nel 1822,<br />

quando finalmente potè <strong>di</strong>sporre dell'ere<strong>di</strong>tà, commissionò al pittore Francesco<br />

Hayez un ritratto <strong>di</strong> famiglia, ma non ne fu sod<strong>di</strong>sfatta. Nel quadro, Teresa Borri è al<br />

centro, in abiti vedovili per la recente scomparsa del marito, assieme alla madre<br />

Marianna Meda, al fratello Giuseppe Borri e al figlioletto Stefano. Il quadro restò poi<br />

nello stu<strong>di</strong>o del pittore per parecchi decenni. Teresa non era convinta del ri<strong>sul</strong>tato.<br />

Del ritratto <strong>di</strong> Peppino ne sono poco sod<strong>di</strong>sfatta. Sul mio non faccio parola ... si accordano<br />

tutti nel <strong>di</strong>re che è perfettamente <strong>di</strong>pinto. In quanto a me <strong>di</strong>co solo che mi fece un gozzo<br />

rispettabilissimo, e che io ne ho uno <strong>di</strong>scretamente visibile. Ma quello <strong>di</strong> Steffanino quant'è


interessante, quanto gentile, vago e simile!. Hayez rispose che un quadro corre rischio<br />

d'esser impasticciato, quando si vuole rinnovare qualcosa. Propose alla contessa <strong>di</strong><br />

restituirle il denaro anticipato, mentre lui si sarebbe ripreso la tela. <strong>Le</strong>i chiese invece<br />

dei cambiamenti. Nel gennaio del 1828, Hayez ammetteva la propria inadempienza,<br />

scusandola con l'intenso lavoro. Teresa aspettò fino al 24 settembre, quando lo<br />

pregava con una nuova missiva <strong>di</strong> schiarire il fondo e <strong>di</strong> togliere il busto del<br />

compianto marito dalla colonna. Alla fine il pittore si tenne il quadro e risarcì la<br />

nobildonna con la tela <strong>di</strong> argomento storico della Congiura dei Lampugnani. Il<br />

ritratto <strong>di</strong> famiglia, da cui fu eliminato il busto <strong>di</strong> Stefano Decio fu, molto più tar<strong>di</strong>,<br />

rilevato dal figlio Stefano per farne dono alla madre, che nel 1851 lo ricordava nel<br />

piccolo catalogo <strong>di</strong> libri ed oggetti d'arte conservati nella villa <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. La tipologia<br />

della "scena <strong>di</strong> conversazione", non molto frequente nella pittura romantica italiana,<br />

potrebbe essere stata suggerita dalla contessa, che aveva soggiornato per lungo<br />

tempo con il marito a Parigi.<br />

Teresa curava moltissimo la salute del figlio, che, da piccolo, era molto magro.<br />

Temeva che potesse ammalarsi come il padre, e lo tenne a dormire nel suo letto<br />

finché fu bambino. Donna Teresa fu sempre legatissima al figlio; con lui ebbe una<br />

fittissima corrispondenza per tutta la vita. Ciononostante lo educava con severità,<br />

<strong>di</strong>cendo ai conta<strong>di</strong>ni con i quali giocava <strong>di</strong> picchiarlo, se anche Stefano lo avesse<br />

fatto; quando non era rispettoso con le persone <strong>di</strong> servizio la madre gli faceva<br />

chiedere scusa e gli domandava se credea d'essere el Contin Ciccin descritto dal Porta.<br />

Teresa scriveva alla madre: Stefany se porte bien, mais il n'a pas pris d'embonpoint, il<br />

voudrait se tenir deboit au pied du lac du matin au soir. Fin da bambino amava starsene<br />

da solo <strong>sul</strong>la riva del lago. Il piccolo mostrò una pre<strong>di</strong>lezione per il <strong>di</strong>segno, i colori, i<br />

pennelli, così la madre lo mandò a lezione da Massimo d'Azeglio prima e da<br />

Francesco Hayez poi.<br />

Teresa sentì parlare <strong>di</strong> Luigi Rossari, professore <strong>di</strong> letteratura all'Istituto Regio<br />

Scuola Normale <strong>di</strong> Milano e compagno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> universitari del fratello <strong>di</strong> Teresa al<br />

Collegio Borromeo <strong>di</strong> Pavia. Decise <strong>di</strong> assumerlo come istitutore del figlio. Come<br />

maestro si guadagnò subito le simpatie <strong>di</strong> Stefano e tra i due nacque una grande<br />

amicizia che durò tutta la vita. Attraverso Rossari, conobbe Tommaso Grossi, che, a<br />

sua volta, parlò a <strong>Manzoni</strong> <strong>di</strong> Teresa, sapendo che il <strong>Manzoni</strong> non sapeva risolversi a<br />

viver solo essendo nato per il matrimonio. La descrisse come una donna colta,<br />

intelligente e sensibile. Lo scrittore mandò la madre, Giulia Beccaria, a visitarla e<br />

quella si mostrò invaghita e innamorata morta della povera Teresa. Ritornò a vederla; e <strong>di</strong><br />

lì ad alcuni <strong>giorni</strong> venne <strong>di</strong> persona il <strong>Manzoni</strong>, e dopo qualche altra visita la domandò in<br />

moglie. <strong>Le</strong>i esitò, ma soltanto perché temeva che il figlio Stefano, che aveva ormai<br />

<strong>di</strong>ciotto anni, non ne fosse contento. Lui <strong>di</strong>sse alla madre <strong>di</strong> fare quello che credeva<br />

meglio per tutti e due. Sul secondo matrimonio girava per Milano la frase scherzosa:<br />

<strong>Manzoni</strong> ha attentato alla <strong>di</strong>gnità della Stampa! Come osservava Piero Chiara, il periodo<br />

<strong>di</strong> Teresa Stampa corrisponde a un suo ritorno <strong>di</strong> facoltà espressive, quasi che, se gli<br />

mancasse il talamo, non avesse quella creatività che probabilmente era legata anche alla<br />

sua struttura fisica, al suo temperamento che aveva bisogno <strong>di</strong> una compagna, <strong>di</strong> una vita<br />

coniugale.


Teresa venerava il <strong>Manzoni</strong>. Era sempre euforica, loquace, esuberante. In lei,<br />

racconta Pietro Citati, l'Agnese, Perpetua e l'Adalgisa <strong>di</strong> Gadda si erano date convegno e<br />

abbracciate. Non erano passati pochi mesi dalle nozze, che iniziò a litigare con la<br />

suocera Giulia Beccaria, nota per il suo carattere <strong>di</strong>spotico. Non si coinvolse<br />

affettivamente con i tanti figli <strong>di</strong> <strong>Manzoni</strong>. Vittorina <strong>Manzoni</strong> scrisse: i nostri rapporti<br />

con Donna Teresa, per <strong>di</strong>re la verità non erano mai stati molto spontanei. Fin da principio<br />

lei ci teneva molto ad essere chiamata mamma da Matilde e da me; e a questo ci teneva<br />

anche papà, che le voleva molto bene. Noi volevamo compiacere lei, che era buona, e Lui...<br />

e scrivevamo quella parola; ma a <strong>di</strong>rla non si riusciva! Il Tommaseo descrisse così la<br />

nuova famiglia: Lui buono; la madre accorata; la moglie maliziosa; il figliuolo Filippo senza<br />

affetto. Nel 1842, qualche anno dopo il secondo matrimonio il Manozni <strong>di</strong>chiarò che<br />

erano passati quasi sei anni che l'aveva sposata e che non aveva mai avuto nemmeno<br />

una volta il minimo lagnarsi <strong>di</strong> lei; che quello che era stato per lui il primo giorno lo<br />

era stata tutti gli altri; che la rivedeva sempre collo stesso piacere, che il suo<br />

pensiero ricorreva sempre a lei con sod<strong>di</strong>sfazion, con piacere gran<strong>di</strong>ssimo, che gli<br />

aveva saputo mantenere quanto gli aveva promesso il primo giorno della loro<br />

unione; che, in una parola, essa formava la sua felicità. Come riferiva Giuseppe Borri<br />

nei Colloqui col <strong>Manzoni</strong>, ricorda come lo scrittore gli aveva parlato della contentezza<br />

che provava nella mia unione con tua sorella ... Non ch'io <strong>di</strong>ca ch'ella sia una perfezione.<br />

Ha i suoi piccoli <strong>di</strong>fetti, come io ho i miei assai grossi; ma mi è facile tollerare i suoi,<br />

ed essa tollera maravigliosamente i miei. Stefano, il figlio <strong>di</strong> Teresa, che allora era<br />

<strong>di</strong>ventato allievo dell'Hayez e frequentava l'Accademia <strong>di</strong> Brera, non amava stare in<br />

via Morone, a causa dell'invadenza <strong>di</strong> Donna Giulia. E non apprezzava nemmeno<br />

Brusuglio, la terra che <strong>Manzoni</strong> possedeva nei pressi <strong>di</strong> Cormano, dove aveva la villa<br />

ere<strong>di</strong>tata dall'Imbonati e la coltivazione <strong>di</strong> bachi da seta. Stefano soffocava nell'unica<br />

stanza che gli era stata assegnata da Giulia, trovava la campagna calda e monotona,<br />

all'infuori del giar<strong>di</strong>no dove sorgeva quel tumulo, quel rialto artificiale, chiamato<br />

pomposamente da don Lisander la "Montagnetta". Nell'agosto del 1838 decise <strong>di</strong><br />

emigrare verso il suo lago: Stefano sta bene solo, e vuole restar solo nella<br />

contemplazione della natura e co' suoi fantasmi. Si sistemò quin<strong>di</strong> felicemente in casa<br />

propria. I Caccia Piatti erano stati relegati in un appartamento e non infasti<strong>di</strong>vano<br />

più, ma sorvegliavano Stefano per la madre.<br />

Donna Teresa non si oppose alla decisione del figlio, che sapeve avere una scorza<br />

ruvida e per il quale provava un affetto quasi morboso. Il 3 Agosto del 1837 gli<br />

scriveva: Sono le quattro e sarai a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>; se non ho fallato giocando a indovinare, amezzo<br />

giorno sarai stato a Sesto Calende; ad un'ora sarai entrato a Belgirate; chissà se ho<br />

indovinato! forse sì forse no; ad ogni modo ho curiosità <strong>di</strong> saperlo; voglio che mi scrivi il tuo<br />

orario <strong>di</strong> viaggio; vorrei sapere d'averti incontrato con verità, dove ho immagnato che fossi.<br />

Mi <strong>di</strong>rai a che ora hai pranzato, e cosa. Io vivo e corro <strong>di</strong>etro a te coll'immaginazione ... Io<br />

invi<strong>di</strong>o tutto quello che ti sta attorno; vorrei essere in ciascuna <strong>di</strong> quelle cose <strong>di</strong>nanzi a cui ti<br />

fermi; se fossi un folletto o una Fata entrerei in uno <strong>di</strong> quei noci <strong>sul</strong>la riva <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>; poi<br />

entrerei nel cipresso <strong>di</strong> Belgirate; o in un pilone, o in un masso, insomma in una qualunque<br />

cosa dove tu fossi, così mo invece il mio pensiero ti vede in ogni luogo senza trovarto mai,<br />

come ci accade pensando a Dio; figurati!... Nelle tua camera ci fa un odore strano e


nocivissimo <strong>di</strong> acqua <strong>di</strong> ragia con un misto <strong>di</strong> <strong>di</strong> cento altri odori che danno i varj colori;<br />

d'ora innanzi, non più né più mai <strong>di</strong>pinti nella camerada letto; uno stu<strong>di</strong>o e presto uno<br />

stu<strong>di</strong>o; intanto a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, guardati <strong>di</strong> appendere i tuoi <strong>di</strong>pinti nella camera da letto; te lo<br />

raccomanda la tua mamma che ti vuole ben che non è dato agli uomini maschi <strong>di</strong><br />

concepire. Teresa arrivò per la prima volta con <strong>Alessandro</strong> nel luglio del 1839. Molti<br />

anni prima il <strong>Manzoni</strong> aveva visto per la prima volta il <strong>Lago</strong> Maggiore, quando nel<br />

viaggio <strong>di</strong> ritorno da Parigi aveva fatto tappa a Ginevra ed era rientrato in Italia<br />

attraverso il Sempione. Allora era insieme a Enrichetta e passando da <strong><strong>Le</strong>sa</strong> mai<br />

avrebbe pensato che in quel luogo avrebbe trascorso molto tempo. Anche se Villa<br />

Stampa non era sua, ma del figlio adottivo, e seppur non era stata costruita e<br />

pensata dallo scrittore, egli veniva volentieri. Sul lago scomparivano tutti i malesseri<br />

<strong>di</strong> Teresa, veri o immaginari che fossero. <strong>Le</strong>i stava bene, mentre a Brusuglio trovava<br />

che l'estate fosse calda e pesante. Vedrai in che bon essere son io in salute! scriveva al<br />

figlio al suo ritorno. È stato <strong><strong>Le</strong>sa</strong> e poi <strong><strong>Le</strong>sa</strong>; quel <strong><strong>Le</strong>sa</strong> che delizia tanto <strong>Alessandro</strong>, e ne<br />

parla ancora col miele alla bocca. Malgrado la pre<strong>di</strong>lezione per il <strong>Lago</strong> Maggiore,<br />

Teresa lasciò sempre libero il marito <strong>di</strong> andare e venire anche da Brusuglio, nel cui<br />

cimitero giacevano la prima moglie e le figlie.<br />

Nel giugno del '39 il Conte Stefano fece un'escursione <strong>sul</strong> <strong>Lago</strong> d'Orta e in Valsesia<br />

in compagnia dell'amico Matteo Cagliari. L'itinerario prevedeva la partenza da <strong><strong>Le</strong>sa</strong> in<br />

barca per Pallanza, da cui avrebbero raggiunto Omegna, l'arrivo a Orta via lago da<br />

Oira. Da Orta Stefano scrive alla madre raccontandole del delizioso viaggo e <strong>di</strong> aver<br />

visto <strong>sul</strong>le montagne del Cusio un piccolo temporale senza tuono, ma <strong>di</strong> un effetto<br />

meraviglioso il quale si <strong>di</strong>ssipò prima <strong>di</strong> toccarci; ma lasciò una coda <strong>di</strong> nuvole che si<br />

sfogarono la mattina. Passò la giornata a Orta ammirando il paese e visitando il Sacro<br />

Monte. Pensa <strong>di</strong> andare a Varallo il giorno dopo a con<strong>di</strong>zione che il tempo sia bello:<br />

e, se non è bello, mi fermerò qui ancora, essendo bene alloggiato ed essendovi bellissima<br />

vista, che non voglio aver viaggiato per nulla. Nel settembre dello stesso anno Stefano si<br />

recò in Ossola e in Vall'Anzasca, per visitare Macugnaga. L'8 ottobre scriveva ancora<br />

a Donna Teresa e descriveva il clima con occhi da pittore: Che tempo!! Che tempo!!!<br />

Disperazione della <strong>di</strong>sperazione delle <strong>di</strong>sperazioni!!!! In tutto il mese <strong>di</strong> 7mbre ci sono state<br />

4 giornate belle <strong>di</strong> seguito, e l'8bre è già comininciato con un'acquerugiola continua e<br />

seccante, tanto più che le montagne sono involte in una densa nebbia, ed il tempo non è<br />

ancor freddo, cosicché c'è ancora la trista speranza che che duri per un pezzo fin che non<br />

nevichi un bel pezzo nelle montagne e faccia qualche gran vento.<br />

L'anno successivo, il 6 novembre del '40, in una lunga missiva Stefano raccontava<br />

della pioggia incessante: Cara mamma, il giorno <strong>di</strong> S. Carlo abbiamo avuto il lago ad un<br />

altezza che da quarant'anni in qua non si era mai veduta. Ma prima c'è stato un tempo <strong>di</strong><br />

casa del Diavolo; c'è stato un temporale che durò tutta una notte e tutto un giorno, con<br />

pioggia <strong>di</strong>rotta e marengo così forte che fece alzare il lago un braccio e mezzo soltanto in<br />

una notte. Il Pendola ha rischiato <strong>di</strong> perdervi la sua barca ancor nuova, ed è stato in l'acqua<br />

forse un pajo d'ore per salvarla, in modo che ci passavan le onde sopra il capo, giacché<br />

<strong>sul</strong>la punta del pizzo c'eran tre barche affondate, questa sua e due <strong>di</strong> suo fratello, le quali<br />

urtandosi fra <strong>di</strong> loro si sarebbero spezzate infallibilmente. Ma riusciron poi a salvarle tutte<br />

e tre. - La Bovera, torrente presso a Villa essendo cresciuto moltissimo, e scaricandosi anche


verso <strong><strong>Le</strong>sa</strong> ha rovinato varie strade e soprattutto la migliore - L'Erno è cresciuto tanto, che<br />

oltre a farsi un canale quasi netto in mezzo alle campagne, ha portato via un pezzo d'una<br />

masseria altre volte Borroni e che ne porta ancora il nome, e minaccia seriamente un'altra<br />

dei Connelli d'in Villa, la posta è stata tre <strong>giorni</strong> senza tornare da Domodossola, giacché in<br />

Sempione credo non sarà praticabile ... E noi a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> abbiamo avuto lo stradone<br />

intieramente coperto dal lago, <strong>di</strong>modoché veniva sotto la porta alla metà del nostro portico,<br />

in cucina poi era alta in modo, che abbiamo dovuto levar fuori i polli, che rischiavano<br />

d'annegarsi benché si fosse alzata la caponera due o tre volte; non <strong>di</strong>co poi niente della<br />

scuderia, tinera e rimessa, bottega del Rossi etc. etc. A Belgirate poi s'andava in chiesa in<br />

barca, giacché <strong>sul</strong>lo stradone ce n'era quasi un braccio ed era tutto coperto da casa<br />

Connelli, altre volte Cavalli, sino a casa Castellengo, altre volte <strong>di</strong> Strio ... Intanto ti <strong>di</strong>rò<br />

l'ultima ed eccellente notizia che il tempo par che si metta daccapo, o almeno non c'è<br />

speranza che ritorni sereno. Ma la carta è terminata e anche tutto quello che vi aveva da<br />

raccontare, dunque finirò... Vi faccio tanti baci e vi <strong>di</strong>co tante cose che si possono<br />

indovinare, a tutti e due e mi professo <strong>di</strong> essere tuo Stefano. Stefano, che era sempre<br />

allegro, veniva chiamato dagli amici il "conte orchestra" perché sapeva suonare vari<br />

strumenti musicali. Smemorato e trasandato nel vestire, era uno sperimentatore<br />

nato, amava <strong>di</strong>pingere paesaggi e si interessava <strong>di</strong> magnetismo e <strong>di</strong> dagherrotipia.<br />

Dalle sue stessa parole appare l'ultimo dei romantici: la mia natura non è fatta che per<br />

<strong>di</strong>pingere, andar per valli e monti, leggere e sollevarsi qualche momento con un po' <strong>di</strong><br />

musica: ma non ho mai avuta la vocazione <strong>di</strong> scrivere ... Mi lasci <strong>di</strong>pingere: mi lasci andar<br />

per valli e monti sconosciuto da tutti, in<strong>di</strong>pendente e libero come l'aria; mi lasci la mia<br />

natura. Nella villa <strong>di</strong> Torricella conservava due quadri <strong>di</strong> paesaggio <strong>di</strong>pinti a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, uno<br />

dei quali ritraeva la Via Varim sopra la ferrovia, con il muro com'è ancora oggi.<br />

I <strong>Manzoni</strong> tornarono <strong>di</strong> nuovo nella metà <strong>di</strong> settembre del '43 e vi rimasero più <strong>di</strong><br />

un mese. <strong>Alessandro</strong> incontrò a Stresa l'abate Rosmini, che si era trasferito a Stresa<br />

nel 1839, con cui <strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> questioni <strong>di</strong> lingua e in autunno trovò a Belgirate un<br />

calzolaio che gli fece delle scarpe comode. Da Milano Teresa scrisse a Stefano <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>narne altre tre paia, un paio col legnazz, cioè con la suola <strong>di</strong> sughero e due senza.<br />

Al <strong>Manzoni</strong> piaceva molto trascorrere l'estate <strong>sul</strong> lago, infatti scriveva, in una lettera<br />

alla figlia Vittoria del 2 Novembre 1846: Abbiamo prolungato come ve<strong>di</strong> il nostro<br />

soggiorno a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> perché la salute <strong>di</strong> Teresa ci guadagna davvero; e oltre ciò, io m'<br />

innamoro ogni giorno <strong>di</strong> più, <strong>di</strong> questo lago, <strong>di</strong> questi monti, <strong>di</strong> questa quiete. Ogni mattina<br />

si recava nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Martino per ricevere la Comunione ed<br />

assistere alla Messa. Nella Villa Stampa il <strong>Manzoni</strong> aveva una stanza che guardava il<br />

lago, dotata <strong>di</strong> un lavabo a colonna e <strong>di</strong> lussuosi pavimenti <strong>di</strong> legno. Dove oggi ha<br />

sede la Sala <strong>Manzoni</strong>ana c'era l'abitazione del fattore, che si chiamava Enrico Rovera.<br />

Nella grande stanza vi era stata ricavata una saletta riservata al contabile, che<br />

arrivava saltuariamente per l'amministrazione. In quel locale c'era anche un<br />

pianoforte che veniva utilizzato ogni tanto dal figlio del fattore, Federico, che aveva<br />

imparato da solo a suonare. Il giar<strong>di</strong>no della villa conteneva una rigogliosa limonaia,<br />

che produceva abbondanti frutti anche d'inverno, ed era coltivato il cotone ad uso<br />

ornamentale. <strong>Manzoni</strong> voleva organizzarne una piantagione a Brusuglio e per questo<br />

aveva chiesto all'amico Ruggiero Bonghi, che villeggiava a Belgirate, <strong>di</strong> procurargli


della semente a Napoli. Aveva mandato Stefano a Belgirate con il campione <strong>di</strong> seme<br />

<strong>di</strong> cotone. Ringrazia per me il caro Bonghi - scriveva al figliastro - e ancora <strong>di</strong> più la sua<br />

signora, che vuol prendersi per lei medesima l'incomodo <strong>di</strong> procurare il seme <strong>di</strong> cotone, a<br />

Napoli. Credo che non avrai <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che importa averlo qui nel mese <strong>di</strong> marzo;<br />

e questa volta dopo due inutili tentativi, spero, se Dio mi lascia al mondo un'altr'anno, non<br />

solo <strong>di</strong> vedere nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> i fiori del cotone (che <strong>di</strong> quelli n'ho visti anche nel<br />

giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Milano, e venuto a un seme non ben maturato qui); ma <strong>di</strong> coglierne il filo,<br />

venuto a perfezione.<br />

Spesso venivano a fare visita al <strong>Manzoni</strong> il conte Cavour, il Berchet, Giulio Carcano,<br />

il Rosmini, il Tommaseo e Massimo d'Azeglio. I terreni della proprietà Stampa erano<br />

molto estesi e comprendevano una vasta area che si inerpicava <strong>sul</strong>la collina: sopra<br />

l'attuale linea ferroviaria vi era la "scigolana", un fondo coltivato a vigneto e uliveto. I<br />

vini <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> erano molto rinomati. Si producevano in quantità, sia bianchi che rossi<br />

ed erano molto apprezzati dagli Stampa e dal <strong>Manzoni</strong>, che li conservavano per anni<br />

in una capiente cantina a<strong>di</strong>acente alla villa. A <strong>Manzoni</strong>, che adorava quei vini, era<br />

venuto il desiderio <strong>di</strong> impiantare una vigna anche in Brianza. Sulla collina, dove<br />

attualmente sorge la villetta Monguzzi, c'erano le stalle, così pure, al posto della Villa<br />

Falcetti c'era un'altra stalla e una cascina con il fienile. Tra la villa e questi terreni vi<br />

era una peschiera che accoglieva specie lacustri. In alto, sopra l'attuale stra<strong>di</strong>na<br />

interna proveniente da Stresa, vi era il Belvedere, dove spesso arrivava il <strong>Manzoni</strong> si<br />

incontrava con il Rosmini. Dalla villa sino all'attuale casa Lambertenghi c'era un viale.<br />

Da lì si arrivava a un tavolo in sasso dove lo scrittore amava sedersi con Giulio<br />

Carcano o con lo stesso Rosmini. Su quel tavolo, all'ombra degli alberi, il <strong>Manzoni</strong><br />

lavorò alle correzioni dei suoi scritti. Piero Chiara ricorda, in Divagazioni<br />

manzoniane, nel volume Colloqui a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> <strong>sul</strong> <strong>Manzoni</strong> riporta che uno dei passatempi<br />

preferiti dal <strong>Manzoni</strong> e dai sui amici che soggiornavano a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> era il gioco degli 'scarafaggi'.<br />

Esso consisteva nel macchiare dei fogli, ripiegarli e poi vedere gli strani <strong>di</strong>segni che si erano<br />

formati.<br />

<strong>Manzoni</strong>, che per inciso detestava l'umi<strong>di</strong>tà, aveva <strong>di</strong>menticato a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> il parapioggia<br />

azzurro e poiché lì c'era ancora Rossari, Stefano gli chiese <strong>di</strong> riportarlo a Milano;<br />

Rossari non capì o non aveva voglia <strong>di</strong> trasportarlo. Teresa si arrabbiò con il figlio<br />

per aver <strong>di</strong>sturbato il maestro. Cosa mai t'è saltato in mente <strong>di</strong> consegnar o far<br />

consegnare l'ombrello <strong>di</strong> papà a Rossari, quando si poteva portarlo noi in legno tanto e<br />

tanto bene, benissimo!!! Passaporto <strong>di</strong> Rossari, ad Arona! Ombrella <strong>di</strong> papà, a Rossari! Ma<br />

non hai pensato che doveva essere incomodato lui, dovendo venire per Velocifero! Sarebbe<br />

toccato a noi portargli del suo in carrozza nostra, piuttosto che caricarlo lui delle cose non<br />

sue! Oh! Pasticcino! Intanto Rossari, non credendo vero, o non avendo capito che<br />

quell'ombrella dovesse portarla lui (quella <strong>di</strong> papà), egli l'ha consegnata al Pendola e il<br />

Pendola deve averla rimessa in casa, e tu la porterai a Milano o la manderai.<br />

Nell'agosto del 1844 Teresa e Stefano avevano programmato la partenza per <strong><strong>Le</strong>sa</strong>,<br />

dove avrebbero ospitato il barone Sigismondo Trechi, un carissimo amico del<br />

<strong>Manzoni</strong>. Per la sua stanza era stato or<strong>di</strong>nato un comò, ma erano in ritardo nella<br />

consegna. Ho pensato <strong>di</strong> comperare comperare e poi comperare un cantarà, un trumò, un<br />

qualche cosso a cassettoni, antico ma bono, bello e fatto e finito da un secolo per averlo in


futuro per il 7 o l'8 o il 9 giacché Trechi verrà il 9 o il 10 credo. Tutto era pronto,<br />

quando Teresa si ammalò. Si sentiva debolissimamente rotta a bocconcini, a minuzzoli.<br />

Fu <strong>di</strong>agnosticato un tumore, curato con frizioni mercuriali e <strong>di</strong> jo<strong>di</strong>o, ma lei<br />

peggiorava. Passavano i mesi ed era sempre più sofferente; i me<strong>di</strong>ci tastavano un<br />

ventre duro e gonfio, in cui avvertivano dei movimenti. Nella notte fra il 7 o l'8<br />

febbraio Teresa fu colpita da atroci dolori. I me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>cevano che il tumore stava<br />

scoppiando, le fecero dei salassi. Ad un tratto si accorsero tutti che erano le doglie<br />

da parto. L'ipotesi <strong>di</strong> una gravidanza era stata esclusa per l'età. Teresa aveva infatti<br />

quarantacinque anni. Nacquero due gemelline, una senza vita, l'altra si spense subito<br />

dopo. <strong>Manzoni</strong> tagliò una ciocca <strong>di</strong> capelli e la mise in una busta su cui scrisse E tu<br />

senza nome, ma figlia beata del Salvatore in cielo, bene<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> là i tuoi parenti, che ti<br />

piansero invi<strong>di</strong>andoti. Teresa ed <strong>Alessandro</strong> <strong>Manzoni</strong>. Il male era svanito in un momento.<br />

I <strong>Manzoni</strong> ritornarono <strong>sul</strong> lago nel 1846 e rimasero fino alla metà <strong>di</strong> novembre.<br />

<strong>Alessandro</strong> scrive molto e vede ogni poco il suo tanto amato e venerato Rosmini: or l'uno<br />

va, or l'altro viene da <strong><strong>Le</strong>sa</strong> a Stresa, e da Stresa a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. I figli della Blondel non venivano<br />

mai ospitati a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. La figlia del <strong>Manzoni</strong>, Vittoria, si sposò a Nervi il 27 settembre. Il<br />

<strong>Manzoni</strong> presenziò, ma Donna Teresa non fu invitata: alla vigilia <strong>di</strong> veder partire solo il<br />

marito ... s'accorò talmente, da prendersi una malattia. In <strong>di</strong>cembre si ammalò alla gola e<br />

fece testamento. Lasciava tutto al figlio: voglio che tutto quello che ho <strong>di</strong> mio, sia a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>,<br />

sia a Milano o presso <strong>di</strong> lui o presso <strong>di</strong> me in casa <strong>Manzoni</strong>, <strong>di</strong> mobili <strong>di</strong> libri, effetti preziosi<br />

e tutto, sia per lui. Alle figlie <strong>di</strong> <strong>Manzoni</strong> non lasciava nulla e niente era previsto per i<br />

figliastri. <strong>Manzoni</strong>, spaventato, scrisse al Rosmini <strong>di</strong> pregare per la moglie. Dopo sei<br />

salassi iniziò a stare meglio. Come raccontavano Vittoria e Matilde Giorgini, in<br />

<strong>Manzoni</strong> intimo, Donna Teresa, negli ultima anni specialmente, era proprio quello che<br />

a Lucca <strong>di</strong> <strong>di</strong>ce una calìa. Era stata sempre preoccupata, soprattutto, della sua salute,<br />

e la sua insonnia, la sua <strong>di</strong>sappetenza, erano i soli argomenti che la interessavano<br />

veramente. Dava una straor<strong>di</strong>naria importanza alle cure della sua persona, ed aveva<br />

finito col creare attorno a sé una specie <strong>di</strong> corte. Una sola, fra le sua ancelle, la<br />

sapeva pettinare senza farle male; un'altra era l'unica che le sapesse rifar bene il<br />

letto; solamente una terza sapeva somministrarle pozioni e farle gl'impiastri...<br />

Insomma, per sopportare lo stato <strong>di</strong> cose che si era andato a formare in casa<br />

<strong>Manzoni</strong>, non ci voleva che la pazienza angelica del povero papà! ... Però Donna<br />

Teresa, a parte le sue miserie, era una degnissima persona, e per malignare <strong>sul</strong> conto<br />

suo ci voleva solo la penna <strong>di</strong> Cantù, spesso tuffata nel veleno. Il mettere in dubbio<br />

la rispettabilità, la pietà o anche solo la bontà <strong>di</strong> Donna Teresa, sarebbe una colpa.<br />

Nel '47 passarono ancora l'autunno a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. L'amicizia tra i <strong>Manzoni</strong> e il Rosmini, che<br />

si conoscevano dal 1826, era ormai intima. La stima <strong>di</strong> Teresa per l'abate era tale<br />

che ogni piccolo dono, ogni opuscolo, che questa da lui riceveva era un regalo<br />

prezioso. Al ritorno a Milano, Teresa non stava ancora tanto bene. Stefano era<br />

preoccupato per la madre e <strong>Manzoni</strong> gli scriveva ogni giorno da Milano brevissimi<br />

biglietti, quasi telegrafici, <strong>sul</strong>lo stato <strong>di</strong> salute e sui rime<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>letti: il tamarindo, la<br />

cassia, la acque <strong>di</strong> Boario, il chinino, l'olio <strong>di</strong> ricino. <strong>Manzoni</strong> era abituato ai mali <strong>di</strong><br />

Teresa, che erano tanti, ma spesso minimi e innocui. La mattina del 18 marzò 1848<br />

scoppiò a Milano l'insurrezione contro gli austriaci. Stefano era a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, i <strong>Manzoni</strong> in


città. Accettarono prontamente l'invito del figliastro a raggiungerlo <strong>sul</strong> lago.<br />

Temevano che, se fosse tornato, il Maresciallo Radetzky si sarebbe ricordato dei<br />

versi antiaustriaci pubblicati nell'ode Marzo 1821, nonché dell'appello firmato dal<br />

poeta affinché il Re <strong>di</strong> Sardegna intevenisse nella guerra <strong>di</strong> liberazione. Erano ben<br />

note le idee liberali e democratiche dello scrittore, che aveva salutato le "Cinque<br />

Giornate" plaudendo dalla finestra al passaggio dei militari.<br />

Alla fine <strong>di</strong> luglio raggiunsero il Piemonte, accompagnati da due cameriere. Il 5<br />

agosto venne firmata la capitolazione e gli austriaci rientrarono in città da Porta<br />

Romana. <strong>Manzoni</strong> era in <strong>di</strong>fficoltà economiche, a causa <strong>di</strong> un grave incen<strong>di</strong>o che si<br />

era sprigionato a Brusuglio il mese prima. Scrisse alla figlia Vittoria a Lucca, ancora<br />

ignaro della capitolazione. Cosa passi nel mio cuore in questi momenti, lo potete<br />

indovinare e sarebbe cosa troppo intempestiva e senza costrutto il parlarvi delle mie<br />

inquetu<strong>di</strong>ni. Vi <strong>di</strong>rò invece che qui, e, da quello che si sente generalmente <strong>di</strong> là dal Ticino,<br />

c'è trambusto, agitazione, ma tutt'altro che uno sterile scoraggiamento. La fiducia nella<br />

riuscita non è, <strong>di</strong>rei quasi, nemmeno scemata, e questo è un gran bene per sé, una gran<br />

caparra <strong>di</strong> bene. Preoccupato per la mancanza <strong>di</strong> fon<strong>di</strong>, il <strong>Manzoni</strong> si sente gnudo<br />

bruco. A parte i debiti con i negozianti in città, doveva pagare una tassa <strong>di</strong> ventimila<br />

lire, come emigrante. Per restare a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, poi, occorreva il passaporto, che ottenne<br />

specificando che Teresa era in cattive con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute e non poteva muoversi.<br />

Stefano aveva una piccola somma per una ipoteca <strong>sul</strong> terreno del Nivolé e con quei<br />

pochi denari vivevano in ristrettezze. Temevano che i loro beni <strong>di</strong> Milano potessero<br />

essere messi sotto sequestro e per questo Teresa chiedeva al suo amministratore <strong>di</strong><br />

salvare alcuni oggetti della casa <strong>di</strong> via Morone, a Milano. <strong>Le</strong>i conservava tutto e su<br />

ogni oggetto aveva appuntato un bigliettino con una descrizione o un commento.<br />

Prima <strong>di</strong> partire aveva riempito due bauli e una cassa a cembalo, con il suo nome<br />

scritto sopra e li aveva fatto portare a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> dal Pendola, che era stato un tempo il<br />

loro oste. Contenevano le sue care memorie, come i gioielli ere<strong>di</strong>tati dalla madre, una<br />

reliquia della prozia monaca, un coltello d'oro a filigrana (lavoro stupen<strong>di</strong>ssimo,<br />

fiammingo antico) varie e<strong>di</strong>zioni dei Promessi Sposi, una mèche <strong>di</strong> capelli <strong>di</strong> <strong>Alessandro</strong><br />

giovane, un guanto spaiato, una miniatura del ritratto <strong>di</strong> Giulia con <strong>Alessandro</strong><br />

bambino e un povero, ma somigliante, ritratto <strong>di</strong> <strong>Alessandro</strong> a 17 anni, fatto dal Bor<strong>di</strong>ga.<br />

La tassa <strong>di</strong> ventimila lire fu annullata. <strong>Manzoni</strong> e Teresa restarono in "esilio" a <strong><strong>Le</strong>sa</strong><br />

per tutto il 1849 e fino agli ultimi <strong>giorni</strong> <strong>di</strong> settembre del 1850. Il 9 Marzo Stefano,<br />

che era pure a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> scrisse a Patrizio, suo amministratore ed amico, raccontando<br />

che non avevano avuto inconvenienti i conseguenza delle ostilità, mentre a Solcio, a<br />

Meina e ad Arona sono accadute delle violenze da parte <strong>di</strong> alcuni soldati demoralizzati.<br />

Commentava inoltre come Carlo Alberto era stato sconfitto a Novara: vedendo i<br />

suoi soldati sbandati e demotivati ab<strong>di</strong>cò piuttosto <strong>di</strong> segnare l'armistizio che a quest'ora<br />

conoscerai e proseguiva scrivendo del tra<strong>di</strong>mento del generale Ramorino. Per il<br />

<strong>Manzoni</strong> fu un periodo molto felice e stimolante, ricco <strong>di</strong> fitti scambi <strong>di</strong> lettere e <strong>di</strong><br />

ospiti illustri in soggiorno nella zona. Aveva ritrovato la passione per la scrittura e<br />

per le me<strong>di</strong>tazioni filosofiche. In quegli anni la sponda del lago che guardava una<br />

Lombar<strong>di</strong>a ancora sottomessa all'Austria, era animata <strong>di</strong> presenze significative: il<br />

genero Massimo d'Azeglio villeggiava a Cannero, gli Arconati a Pallanza, i Provana <strong>di</strong>


Collegno a Baveno. Aprivano tutti loro ville estive all'élite intellettuale e politica della<br />

società piemontese e dei rifugiati lombar<strong>di</strong> dopo l'esito sfortunato della sua prima<br />

guerra d'in<strong>di</strong>pendenza. A Belgirate Adelaide Cairoli e i figli mantenevano vivi i<br />

contatti con con gli irredentisti della sinistra garibal<strong>di</strong>na. A <strong><strong>Le</strong>sa</strong> soggiornava Giulio<br />

Carcano, l'autore dell'Angiola Maria e a Meina viveva, mentre nella sua villa<br />

neoclassica, lo scrittore e politico Cesare Correnti. Quando non scriveva o non<br />

doveva ricevere ospiti, il <strong>Manzoni</strong> amava starsene seduto su una se<strong>di</strong>a vicino alla<br />

porta <strong>di</strong> casa, con la testa piegata da un lato, per veder passare le carrozze che<br />

venivano dal Sempione o che salivano verso la frontiera.<br />

La famiglia ricevette un invito dalle sorelle Costanza e Margherita Arconati, che<br />

erano venuta precedentemente a far visita al <strong>Manzoni</strong> in carrozza, a recarsi a<br />

Pallanza in vapore. Stefano convinse la madre a navigare <strong>sul</strong> temuto lago con la sua<br />

goletta, una imbarcazione a vela con due alberi, che in inglese si chiamava schooner. Il<br />

23 settembre del 1850 raccontava in una lettera al Rossari. Questa mattina passate la<br />

mamma, essendosi levata più presto del solito, riuscii a condurla <strong>sul</strong> mio schooner a far<br />

colazione! E la feci anch'io insieme a lei mentre si levava l'ancora e s'orientavan le vele per<br />

ricevere l'ultimo soffio della tramontana che finiva. Infatti bisognò stare una mezz'ora circa<br />

quasi immobili aspettando i primi soffi dell'inverna; e buon per noi che essendo montate<br />

anche le due donne, si potè ridere e <strong>di</strong>scorrere <strong>sul</strong>la novità della cosa, per conseguenza ora<br />

montando <strong>sul</strong> ponte all'ombra, ora ritirandosi nella cabina, il tempo passò e l'inverna venne.<br />

Allora si gonfiarono le vele, s'avvio il legno ed io pregai la mamma... si lasciasse condurre<br />

sino alla sponda opposta del lago, ma non volle <strong>di</strong>cendo che era troppo lontano e il non<br />

poter tornare indoietro quando volesse le faceva apprensione e che allora non si sarebbe<br />

più <strong>di</strong>vertita ecc. per conseguenza siamo andati fino a Belgirate e poi data una virata e<br />

pigliato il lago verso la sponda milanese, virammo <strong>di</strong> nuovo e colla stessa inverna<br />

arrivammo <strong>di</strong>nanzi alla casa dove si gettò l'ancora e si scese. Il ri<strong>sul</strong>tato <strong>di</strong> questa gita fu,<br />

che la mamma trovò comodo e bello il bastimentino, ebbe un po' più <strong>di</strong> confidenza nel mio<br />

saperlo guidare, si <strong>di</strong>vertì alquanto e questo piccolo strapazo la fece stare un po' meglio il<br />

giorno appresso e la preparò all'altra gita a Pallanza ...<br />

E per fare un viaggio comodo e riparato si decise a montare <strong>sul</strong> vapore, che per lei era una<br />

novità, e se non fosse un po' <strong>di</strong> freddo che sentì da Stresa a Pallanza in grazia dell'inverna<br />

forte che c'era, avrebbe fatto un amenissimo viaggio. Però non ne sofferse. Una volta a<br />

Pallanza non vi fu mezzo <strong>di</strong> partire come lo avrebbe desiderato la mamma, e furono tali le<br />

costanti preghiere della signora, che la mamma dovette cedere e si fermò quattro <strong>giorni</strong>;<br />

nei quali la continua <strong>di</strong>strazione e due passeggiate in carrozza a Intra, le giovarono e<br />

risente anche adesso <strong>di</strong> quel giovamento. A Pallanza c'erano Berchet, Ruggiero Bonghi e<br />

Mary Clarke, l'amante del compianto Claude Fauriel, che pregò <strong>Alessandro</strong> e Teresa<br />

<strong>di</strong> donarle le lettere che lui aveva del Fauriel. <strong>Manzoni</strong> non aveva voglia <strong>di</strong> rientrare a<br />

Milano e sarebbe rimasto <strong>sul</strong> lago con grande gioia. Non era solo per la bellezza del<br />

luogo. A <strong><strong>Le</strong>sa</strong> si respirava un'aria <strong>di</strong> libertà. Lo raccontava il Tommaseo in una<br />

lettera a Giovanni Sforza: Il soggiorno <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> non gli era caro soltanto perché solitu<strong>di</strong>ne,<br />

ma perché l'Aquila fin là non <strong>di</strong>stendeva le penne. Parlandomi <strong>di</strong> ciò nel 1855, e' mi <strong>di</strong>ceva<br />

... che passar quel confine sempre gli parve una méta desiderata. Come ne scriveva<br />

Giuseppe Marenzi nella premessa al volume Colloqui a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> <strong>sul</strong> <strong>Manzoni</strong>, il paese


lacustre era <strong>di</strong>ventato, grazie alla presenza dello scrittore, la sede <strong>di</strong> incontri e colloqui<br />

<strong>di</strong> un'élite culturale lombarda, piemontese e toscana, nella fervida attesa del risorgomento<br />

nazionale che doveva essere anche una rinascita dello spirito.<br />

Quando era in campagna il <strong>Manzoni</strong> indossava sempre il cappello <strong>di</strong> paglia anche<br />

d'inverno, e, per passeggiare indossava pantaloni <strong>di</strong> stoffa leggera, mentre quando<br />

rientrava si cambiava con vestiti più pesanti. In quel frangente si metteva a litigare<br />

con i bottoni delle bretelle. Stefano gli <strong>di</strong>ceva: Ma io ho tante bretelle, papò, ve ne<br />

regalo tre o quattro paia, quanti calzoni avete tante bretelle vi regalo, <strong>di</strong> modo che poi non<br />

ne avete da tribolare. Il <strong>Manzoni</strong> si seccava molto <strong>di</strong> queste osservazioni che gli<br />

parevano irriverenti! Anch'io - racconta Stefano Stampa - in quel tempo, soffriva molto<br />

il caldo e mi vestiva più leggermente <strong>di</strong> lui. Un giorno andammo a passeggiare nella valle<br />

dell'Erno, presso <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, e giunti ad un punto dove una gora attraversa il fiume come un<br />

ponte, ci fermammo ad ammirare una quantità <strong>di</strong> stalattiti <strong>di</strong> ghiaccio, che dalla gora<br />

<strong>di</strong>scendevano a toccare il letto del fiume. Io <strong>di</strong>staccai una <strong>di</strong> quelle stalattiti; vi attorcigliai<br />

intorno la mia pezzuola, portandola come fosse una mazza. Poi ritornammo <strong>sul</strong>la strada<br />

del Sempione. Ma siccome era una bella giornata manzoni sentì il bisogno <strong>di</strong> levarsi anche<br />

il giacché, e così ce ne ritornavamo a casa, quando incontrammo una carrozza con dei<br />

signori, che vedendo queste due persone, una con un bastone <strong>di</strong> ghiaccio, l'altra col<br />

cappello <strong>di</strong> paglia, volevano gettarsi dallo sportello per mirarci, e non cessarono dallo<br />

sporgersi fuori dalla carrozza finché poterono vederci.<br />

<strong>Manzoni</strong> era un grande camminatore e non temeva <strong>di</strong> affrontare gli imprevisti. Il 20<br />

giugno del 1849 Stefano descrisse all'amico Rossari una paseggiata fatta a monte <strong>di</strong><br />

<strong><strong>Le</strong>sa</strong>, passando per Nebbiuno e Massino, con ritorno da Solcio. Partiti alle do<strong>di</strong>ci e<br />

un quarto precise i due raggiungono Belgirate e si incamminano verso San Salvatore.<br />

A Massino una breve sosta per mangiare un po' <strong>di</strong> pane intinto in un bicchiere <strong>di</strong><br />

vino e acqua; per evitare i viottoli che attraversano i prati, temendoli bagnati,<br />

imboccano una strada più lunga che attraversava un terreno in mezzo a stupen<strong>di</strong><br />

castagni. Sull'orlo <strong>di</strong> un vallone <strong>di</strong> terra tutta sfranata, e coronato <strong>di</strong> verzura con<br />

sassoni in fondo - raccontava Stefano nella lettera - che era veramente pittoresco. Per<br />

me era la prima volta che vedevo quel bel vallone e credo che anche tu non lo conosca<br />

ancora. A poca <strong>di</strong>stanza da lì poi trovammo il piano o la china <strong>di</strong> Monte, tutta <strong>di</strong> bellissimi<br />

prati, contornati da castagni stupen<strong>di</strong> e in fondo <strong>di</strong> questa china si spiega la magnifica<br />

pianura novarese che tutta azzurra si spande e si perde nella nebbietta dell'ultimo<br />

orizzonte, rassomigliando moltissimo all'immenso mare! Quel luogo cavò molte<br />

esclamazioni a papà ed io col becco aperto me le trangigiava deliziosamente. ... Dopo<br />

siamo saliti a S. Salvatore, ma il pittoresco della veduta è migliore a Monte che in cima.<br />

Discesi a Massino abbiamo cambiato strada nella <strong>di</strong>scesa a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, e in cima al Moett<br />

Cavretta abbiamo trovato un altro bellissimo punto <strong>di</strong> vista, donde poi facendo un sentiero,<br />

veramente da capre, siamo <strong>di</strong>scesi ai ombriisc <strong>di</strong>etro Casnago e siamo tornati a casa pel<br />

ponte.<br />

Durante la sua permanenza <strong>Manzoni</strong> aveva scritto molto: il <strong>di</strong>scorso Del romanzo<br />

storico nell'inverno del '49, il <strong>di</strong>alogo, intitolato Dell'invenzione, iniziato probabilmente<br />

nel gennaio del '50 e pubblicato in settembre, oltre al saggio Del sistema che fonda la<br />

morale <strong>sul</strong>l'utilità. Del <strong>di</strong>alogo <strong>Manzoni</strong> aveva parlato durante i suoi incontri col


Rosmini nel parco della villa <strong>di</strong> Stresa, che l'Istituto della Carità, la congregazione<br />

fondata dal religioso nel 1828 <strong>sul</strong> Calvario <strong>di</strong> Domodossola, aveva ere<strong>di</strong>tato dalla<br />

benefattrice Madama Anna Maria Bolongaro. Il Rosmini ne aveva seguito la stesura<br />

quasi ogni giorno e ne scriveva in una lettera al suo seguace Don <strong>Alessandro</strong><br />

Pestalozza il 3 Luglio del 1850: Don <strong>Alessandro</strong>, che sta bene, La saluta. E perché non<br />

venire a passare qualche giorno con noi in questa bella stagione? Discorreremo <strong>di</strong> molte<br />

cose <strong>di</strong> filosofia, ora anche Don <strong>Alessandro</strong> ci si è messo, e ne ha scritto un bellissimo<br />

<strong>di</strong>alogo che uscirà nel prossimo fascicolo delle sue Opere varie. I due uomini erano soliti<br />

passeggiare all'ombra del Taxo<strong>di</strong>um o della Magnolia Gran<strong>di</strong>flora e conversare <strong>di</strong><br />

morale, filosofia e politica. Dei <strong>di</strong>aloghi tra <strong>Manzoni</strong> e il Rosmini riferirono, in modo<br />

<strong>di</strong>verso, sia Théophile Gautier, che passò dal Verbano durante il suo viaggio nella<br />

penisola del 1850, che Niccolò Tommaseo. Il francese scrisse che tutti i <strong>giorni</strong> uno dei<br />

suoi amici, filosofo e metafisico profondo, viene con qualsiasi tempo, a intrattenere con lui<br />

una <strong>di</strong> quelle gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni che non possono avere alcuna soluzione quaggiù, perché vi<br />

si parla degli alti misteri dell'anima, dell'inifinito, dell'eternità.<br />

Il <strong>Manzoni</strong> è a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> - scrisse il Rosmini al Tommaseo il 14 Dicembre - e lo vi<strong>di</strong> ieri, e<br />

udì con gran piacere ciò che gli <strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> voi: egli al presente lavora a un <strong>di</strong>scorso <strong>sul</strong><br />

romanzo storico, <strong>sul</strong>l'epopea e gli altri generi <strong>di</strong> storia e d'invenzione: i suoi concetti su ciò vi<br />

sono già noti. Fu un inverno <strong>di</strong> intensa attività per il <strong>Manzoni</strong>, che aveva anche forti<br />

preoccupazioni finanziarie per i debiti che il figlio Filippo andava accumulando a<br />

Vienna, dove era tenuto come ostaggio insieme agli altri prigionieri <strong>di</strong> guerra, in<br />

seguito ai fatti del '48. Il 23 Dicembre Stefano scriveva al Rossari: Il <strong>Manzoni</strong> scrive<br />

sempre e assai e lo faceva perché aveva annunciato il <strong>di</strong>scorso in un manifesto: ho<br />

dovuto lavorarci, non solo per mantenere un impegno contratto col pubblico in tutt'altri<br />

tempi, ma anche per evitare una lite tra due librai. Il lavoro era per <strong>Manzoni</strong> anche un<br />

modo per isolarsi dalle tante <strong>di</strong>strazioni: i <strong>di</strong>sagi <strong>di</strong> Donna Teresa, soprannominata<br />

ironicamente dal consorte il comitato <strong>di</strong> salute pubblica, le ansie per i figli e per le<br />

tasse. Ruggiero Bonghi, il giovane e<strong>sul</strong>e napoletano ospite del Rosmini restituirà i<br />

<strong>di</strong>aloghi tra il filosofo e lo scrittore nelle Stresiane.<br />

Il Tommaseo, che soggiornava a Belgirate, sottolineò invece il ruolo del paesaggio: E<br />

il lago ameno (dacché le acque sempre congiungono meglio che <strong>di</strong>sgiungere) doveva,<br />

avvicinandoli per buona parte dell'anno, stringere più la loro familiarità, e rendere i colloqui<br />

più ispirati nel cospetto <strong>di</strong> quella lieta natura, e più fecon<strong>di</strong> d'idee alla mente e <strong>di</strong> merito al<br />

cuore. Dico <strong>di</strong> merito, perché il Rosmini già infermo faceva <strong>di</strong> buona lena quel miglio <strong>di</strong><br />

cammino da Stresa a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> (anco i nomi consuonano; e il soggiorno del poeta l'ha più soave<br />

a <strong>di</strong>re del filosofo accanto all'Alpe), e giunto in casa dell'amico, si sedeva trafelato e quasi<br />

spasimante ... Raccontava egli stesso che <strong>di</strong>sputando il Rosmini seco mentre che<br />

passeggiavano lungo il lago poneva questa questione degna della sua mente: - Certi usi in<br />

certe stagioni della lingua vengono meno, e altri sottentrano: a quali attenersi? - Ed egli da<br />

poeta e da buon leggitore <strong>di</strong> Platone rispondeva con una similitu<strong>di</strong>ne: - Di lì abbiamo il lago,<br />

e non vi va né pedoni né carrozze; qui la strada carreggiata e ci si passegga: certe ore<br />

l'acqua si ritira e la terra rimane allo scoperto: si <strong>di</strong>scuterà egli se quel tratto sia terra da<br />

camminarci o sia lago? - La risposta è socratica: ma non risolve le <strong>di</strong>fficoltà della mente<br />

neanche <strong>di</strong> chi abbia gran voglia <strong>di</strong> mettere fine a codesta lite uggiosa e malaugurata. <strong>Le</strong>


visite del Rosmini erano frequenti, così come da <strong><strong>Le</strong>sa</strong> il <strong>Manzoni</strong> andava e veniva in<br />

carrozza nelle ore della mattina, a volte solo, ogni tanto con Teresa oppure con<br />

Stefano; e, dopo desinare, non era raro che se ne tornasse a pie<strong>di</strong>, accompagnato<br />

per un pezzo dal Rosmini. Se per caso rimaneva a Villa Bolongaro a dormire voleva<br />

sempre che ci fosse nelle vicinanze qualcuno. <strong>Manzoni</strong> aveva paura <strong>di</strong> restare solo e<br />

stare con l'abate, il filosofo della sua mente, era quello che più desiderava. L'anziano<br />

religioso rappresentava per il <strong>Manzoni</strong> una figura paterna e assistenziale che gli<br />

piaceva.<br />

Teresa e <strong>Alessandro</strong> rientrarono a Milano il 26 settembre del 1850; il <strong>di</strong>alogo<br />

Dell'invenzione fu subito stampato, tanto che <strong>Manzoni</strong> ne regalò una copia alla moglie<br />

già il 9 ottobre. Stefano, che si sentiva finalmente libero dalla famiglia, scrisse a<br />

<strong>Manzoni</strong> che il Rosmini, senza <strong>di</strong> lui si sentiva perso. I <strong>Manzoni</strong> tornarono ancora nel<br />

1851, anche se in quell'estate lo scrittore non visitò molte volte l'abate Rosmini,<br />

perché questo era sprovvisto <strong>di</strong> cavalli. Durante un pranzo a Stresa con Rosmini si<br />

<strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> magnetismo. Stefano aveva assisitito a Milano a certi esperimenti <strong>di</strong><br />

ipnotismo <strong>di</strong> Lafontaine nel ridotto del Teatro alla Scala. Nonostante le proteste <strong>di</strong><br />

donna Teresa, <strong>Manzoni</strong> e Rosmini ne cercavano la spiegazione "scientifica". Stefano<br />

nel nell'estate del 1852 schizzò un ritratto del Rosmini, mentre il filosofo, già<br />

sofferente, <strong>di</strong>scorreva con <strong>Alessandro</strong>. Quell'anno restarono fino al 12 settembre,<br />

quando <strong>Manzoni</strong> raggiunse Massarosa, in Toscana, per visitare la figlia Vittoria e la<br />

nipotina Matil<strong>di</strong>na. Inviò a Teresa una lettera contentente dei pan porcini, sperava <strong>di</strong><br />

ritrovarli poi in qualche libro e <strong>di</strong> ricordare così quei momenti felici. Voleva tornare<br />

<strong>di</strong> nuovo a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, prima <strong>di</strong> rientrare a Milano. Scrisse a Teresa: Penso che l'anno<br />

passato ne siamo partiti alla metà <strong>di</strong> novembre felicissimamente, e che il tempo deve alla<br />

fine aver messo giu<strong>di</strong>zio. E sai meglio <strong>di</strong> me quanto sia più bello a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> che a Milano,<br />

quando è bello ... Rimango nella speranza d'abbracciarti (fino a farti male) nella ventura<br />

settimana; e spero spero spero che la tua lettera m'in<strong>di</strong>cherà <strong><strong>Le</strong>sa</strong> come termine del<br />

viaggio. <strong>Le</strong> sue speranze si realizzarono e lui e Teresa restarono <strong>sul</strong> lago fino alla fine<br />

<strong>di</strong> novembre e tornarono nell'estate del 1853. In una lettera al cognato Giovan<br />

Battista Giorgini, datata 1 Agosto, il <strong>Manzoni</strong> scriveva: Noi si partirà per <strong><strong>Le</strong>sa</strong>, a Dio<br />

piacendo, giovedì 4. Se non è mare, è almeno lago e con Rosmini il lago mi <strong>di</strong>venta mare.<br />

Nel maggio del 1855 l'abate Rosmini, da tempo in precarie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute,<br />

accusò una grave infiammazione al fegato. Teresa si raccomandava <strong>di</strong> dar da bere al<br />

Rosmini l'acqua <strong>di</strong> Boario, mentre i me<strong>di</strong>ci consiglivano <strong>di</strong> dargli il Racahout des<br />

Arabes e la tapioca del Brasile, alimenti che furono prontamente inviati da Teresa<br />

tramite corriera. Don Paoli, segretario del Rosmini, scriveva il 14 giugno a Stefano<br />

Stampa. siamo allo stremo della vita ... il male precipita <strong>di</strong> giorno in giorno visibilmente. Il<br />

singhiozzo che continua ci minaccia <strong>di</strong> una rapida fine. Proseguiva <strong>di</strong>cendo che il Rosmini<br />

sia ancora presentissimo a se stesso. Se papà volesse venire, sa che viene in casa<br />

sua. Ottenuto finalmente il passaporto che attendeva da tempo, Stefano lasciava<br />

Milano il 15 giugno raggiungendo <strong>di</strong>rettamente Stresa, dove faceva visita al Rosmini e<br />

lo rallegra annunciandogli l'arrivo, per il giorno dopo, del suo <strong>di</strong>lettissimo amico.<br />

Verso le quattro del pomeriggio del 16 luglio giunse il <strong>Manzoni</strong> con i due me<strong>di</strong>ci<br />

curanti, il Pogliaghi e il De Bonis. Preso dalla commozione il Rosmini strinse forte la


mano dell'amico e la baciò. Lo scrittore, turbato e colpito, si chinò a sua volta per<br />

baciare la mano del malato, ma per non essere pari a lui, si girò per baciargli i<br />

pie<strong>di</strong>. Unica maniera - commentò poi il <strong>Manzoni</strong> - che gli rimanesse per riprendere il suo<br />

posto. Il De Bonis, scriveva Stefano alla madre, temeche non possa vedere il mese <strong>di</strong><br />

luglio e cercava <strong>di</strong> curare l'infermo con gocce <strong>di</strong> laudano. Il 29 Stefano riprende la<br />

penna per comunicare che non c'è più nulla da sperare; così è purtroppo, cara mamma!<br />

Rosmini morì la notte del 30 Giugno. <strong>Manzoni</strong> entrò poi nella camera vuota del<br />

filosofo e toccò i vari oggetti che vi si trovavano, come per rievocare la presenza<br />

dell'amico; prese un Para<strong>di</strong>so <strong>di</strong> Dante e lo avvicinò alle labbra. Invitato a tenere<br />

qualcosa in memoria, portandosi la mano alla fronte, e poi al cuore <strong>di</strong>sse: la memoria<br />

è qui. E guardando il letto vuoto e toccandolo mormorò le parole del Rosmini:<br />

Adorare, tacere, godere. <strong>Manzoni</strong> e Stefano parteciparono al semplice funerale il 3<br />

luglio nella parrocchia e poi nella chiesa del Santissimo Crocifisso, <strong>sul</strong> colle<br />

dominante il lago. <strong>Manzoni</strong> fece ritorno a Milano e poi ripartì per <strong><strong>Le</strong>sa</strong> con Teresa,<br />

ma la lasciò solo per visitare gli Arconati a Cassolnovo, in Lomellina, mentre Stefano<br />

si recò a Parigi con il maggiordomo. In Ottobre <strong>Manzoni</strong> era ancora lontano. Lo<br />

scrittore iniziava ad annoiarsi dei presunti o veri malesseri della moglie, ed era<br />

seriamente preoccupato per la figlia Matilde ammalata <strong>di</strong> tisi, che morì il 30 Luglio<br />

del 1856. L'anno successivo Teresa corse a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> il 4 Luglio per una in<strong>di</strong>sposizione<br />

improvvisa del figlio. <strong>Manzoni</strong> non potè resistere solo a Milano e chiese il<br />

passaporto, che ottenne verso la fine del mese. Raggiunge la moglie e, subito dopo,<br />

visitò la tomba del Rosmini a Stresa. Per la gestione degli affari <strong>di</strong> famiglia e le<br />

incombenze improvvise il <strong>Manzoni</strong> si affidava sempre <strong>di</strong> più l figlio Pietro. Come gli<br />

scriveva dal lago il 30 Settembre 1856 Chi non memoria abbia... Pietro, pregandolo <strong>di</strong><br />

spe<strong>di</strong>rgli per mezzo del solito corriere fasci <strong>di</strong> carte contenenti appunti <strong>sul</strong>la lingua, fogli<br />

e foglietti, libri, l'ombrello, quattro libbre <strong>di</strong> cioccolata in piccoli pani <strong>di</strong> un'oncia, della più<br />

fine, del cioccolattiere Nava, che sta nella corsia de' Servi <strong>di</strong>rimpetto alla galleria ...<br />

<strong>di</strong>menticavo per la seconda volta un par <strong>di</strong> fogli <strong>di</strong> carta sugante rossa, che troverai<br />

nell'arma<strong>di</strong>o del mio stu<strong>di</strong>o. Il 1857 fu l'ultimo anno in cui <strong>Manzoni</strong> soggiornò <strong>sul</strong> lago.<br />

Teresa si ammalò seriamente nel 1858. Morì il 23 agosto del 1861, sola, senza il<br />

conforto del marito e del figlio. Fu sepolta nel cimitero <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. In una lettera al<br />

D'Azeglio, ringraziandolo per le condoglianze, Stefano Stampa ricordava la madre<br />

con un tono commosso: è vero che ho fatto tutto quel che ho potuto per <strong>Le</strong>i, ma Ella<br />

meritava <strong>di</strong>eci volte <strong>di</strong> più. Vedova e sola, è stata per me un padre severissimo. una madre<br />

tenerissima, un fratello ed un compagno famigliarissimo giocando persino con me senza<br />

lasciarsi perdere il rispetto. Insomma s'io sono un galantuomo, lo devo a lei che sacrificò<br />

tutta la sua vita per me. Dopo la scomparsa <strong>di</strong> Donna Teresa, <strong>Manzoni</strong> non ritornò<br />

più a soggiornare <strong>sul</strong> lago: le memorie per me preziose del <strong>Lago</strong> Maggiore, sono appunto<br />

quelle che me ne tengono lontano: perchè ci sentirei, a ogni passo e a ogni momento, più<br />

pungente la mancanza della persona che, più <strong>di</strong> tutte, me ne rendeva caro il soggiorno. Ai<br />

ripetuti inviti <strong>di</strong> Stefano rispondeva che il soggiorno <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> senza la mia Teresa sarebbe<br />

per me troppo triste; mi sarebbe insopportabile. Riprese in casa il figlio primogenito<br />

Pietro e la sua famiglia che lo sollevava dalle brighe dell'azienda domestica. Si spostò<br />

nella camera più ad ovest della casa <strong>di</strong> Morone, lasciando spazio per Pietro e la sua


famiglia. Stefano se ne andò per sempre dalla casa <strong>di</strong> via Morone per trasferirsi in via<br />

Santo Spirito. Si portò con se come cameriera Maria Rovera, la figlia del fattore <strong>di</strong><br />

<strong><strong>Le</strong>sa</strong>, che restò con lui fino al 1908, quando si sposò con il compaesano Carlo Ro<strong>di</strong>.<br />

Stefano conviveva con un'altra cameriera, che presto <strong>di</strong>venne ex e sua amante. Si<br />

chiamava Elisa Cermelli.<br />

Il 22 maggio del 1873 <strong>Manzoni</strong> morì <strong>di</strong> meningite, come conseguenza <strong>di</strong> un trauma<br />

cranico per aver battuto la testa su un gra<strong>di</strong>no, all'uscita della chiesa <strong>di</strong> San Fedele.<br />

Gli sopravvissero solo i figli Enrico e Vittoria. Fu sepolto, dopo solenni funerali, al<br />

Cimitero Monumentale. Un anno dopo Giuseppe Ver<strong>di</strong>, che aveva conosciuto il<br />

<strong>Manzoni</strong> il 30 Giugno del 1868, <strong>di</strong>resse un messa in Requiem, scritta per l'occasione,<br />

nella Chiesa <strong>di</strong> San Marco. Come scriveva il compositore al Sindaco <strong>di</strong> Milano da<br />

Sant'Agata, è un impulso, o <strong>di</strong>rò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge ad onorare,<br />

per quanto posso, questo Grande che ho tanto stimato come scrittore e venerato come<br />

uomo, modello <strong>di</strong> virtù e <strong>di</strong> patriottismo.<br />

Rimasto solo, Stefano evitava <strong>di</strong> tornare a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. Gli metteva malinconia. Viveva con<br />

Elisa Cermelli e la portava ovunque. Nel 1887 la sposò e si stabilì nella sua villa <strong>di</strong><br />

Torricella d'Arcellasco, in Brianza. La moglie morì nel 1904. Stefano si ammalò <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>abete e <strong>di</strong>ventò completamente cieco. Litigò con il comune <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong>: era <strong>di</strong>ventato<br />

irascibile e rabbioso. Fece spostare le salme della madre e del padre dal cimitero e<br />

costruì la tomba <strong>di</strong> famiglia a Torricella. Nel suo testamento nominò erede<br />

universale l'Istituto dei Figli della Provvidenza, magari perché vi si trovava un suo<br />

figlio illegittimo avuto da una cameriera, tale Lucia. Morì nel febbraio del 1907.<br />

Aveva chiesto <strong>di</strong> non avere fiori al suo funerale e <strong>di</strong> essere trasportato come un povero.<br />

La villa <strong>di</strong> <strong><strong>Le</strong>sa</strong> passò all'Istituto, ma fu acquistata nell'aprile del 1926 dalla signora<br />

Martina Ta<strong>di</strong>ni vedova Cengia, già figlia <strong>di</strong> Giacomo Antonio Ta<strong>di</strong>ni, uno dei primi<br />

amici <strong>di</strong> <strong>Manzoni</strong> a <strong><strong>Le</strong>sa</strong>. Nel 1950 è stata acquistata dalla Banca Popolare <strong>di</strong> Novara.<br />

Bibliografia: Ruggiero Bonghi, <strong>Le</strong> Stresiane, Milano, Tipografia E<strong>di</strong>trice L.F. Cogliati,<br />

1897; S.S., <strong>Alessandro</strong> <strong>Manzoni</strong>. La sua famiglia. I suoi amici. Appunti e memorie, Milano,<br />

Hoepli, 1885; Ezio Flori, Sog<strong>giorni</strong> manzoniani. <strong><strong>Le</strong>sa</strong> e Villa Stampa, in "Emporium",<br />

febbraio 1933-IX, anno XXXIX, N. 2 - Vol. LXXVII - N. 458, Bergamo, Istituto<br />

Italiano <strong>di</strong> Arti Grafiche, pp. 76-89; Pietro Citati e E. Milani, Immagini <strong>di</strong> <strong>Alessandro</strong><br />

<strong>Manzoni</strong>, Milano, Mondadori, 1973; Enzo Azzoni, La fotografia <strong>sul</strong> <strong>Lago</strong> Maggiore,<br />

Pallanza, Montefibre, 1980; Natalia Ginzburg, La famiglia <strong>Manzoni</strong>, Torino, Einau<strong>di</strong>,<br />

1983; M. e L. Corgnati, <strong>Alessandro</strong> <strong>Manzoni</strong> "fattore <strong>di</strong> Brusuglio", Milano, Mursia, 1984;<br />

A.A.V.V, Colloqui a <strong><strong>Le</strong>sa</strong> <strong>sul</strong> <strong>Manzoni</strong>, a cura <strong>di</strong> Andrea Gonzi, Intra, Alberti Librario<br />

E<strong>di</strong>tore, 1988.<br />

A <strong><strong>Le</strong>sa</strong> è visitabile il Museo <strong>Manzoni</strong>ano, ricco <strong>di</strong> documenti e cimeli <strong>di</strong> grande<br />

interesse, che ha sede nella Villa Stampa. Per informazioni:<br />

ComSchedaTem.asp?Id=6882

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