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Rapporto Annuale Federculture 2012

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18 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

tra due modelli di società per l’egemonia del cielo e della terra. Le missioni spaziali o<br />

i carri armati per il dominio delle fonti energetiche ora sembrano lasciare il posto ad<br />

altri problemi. Ma anche la sfi da tra nord (la visione del successo) e sud (emblema del<br />

fallimento) va del tutto riconsiderata. L’india e la Cina crescono a ritmi vertiginosi, così<br />

come il Brasile. Gli Stati Uniti e l’Europa, con la maggior parte dei Paesi che fanno parte<br />

del G8, arrancano.<br />

L’India supera l’Italia. Si modifi cano gli equilibri dell’economia e dello sviluppo nel<br />

mondo. Siamo dentro un processo storico. Fino al 2009 quella italiana era la settima<br />

economia al mondo. Dall’anno scorso ci ha sorpassato il Brasile. Nei prossimi mesi il<br />

fatturato totale dell’India sarà sopra quello dell’Italia. Noi siamo in recessione, l’India<br />

cresce di circa l’8%; anche se oltre 500 milioni di persone vivono con meno di due dollari<br />

al giorno, vi sono gruppi industriali come Tata e Infosys e Reliance che competono con<br />

eni e enel. Produce più auto e ha dieci volte più miliardari. Il punto è che le locomotive<br />

di alcuni Paesi lontani dall’Europa camminano molto di più e supereranno a breve le<br />

antiche potenze coloniali di Londra, Parigi, Roma. Nelle previsioni di metà decennio<br />

solo la Germania sarà, tra i Paesi europei, nella classifi ca delle prime sei economie al<br />

mondo. Gli imperi dove non tramontava mai il sole rimangono nei libri di storia. Come<br />

il tavolo del G7, nel quale si decidevano i destini del pianeta, nato tra uomini cresciuti<br />

leggendo Dante, Voltaire, Adam Smith, Shakespeare o ascoltando Beethoven e Verdi.<br />

Allora la domanda: è possibile recuperare competitività? E come?<br />

Anche i singoli sistemi territoriali frantumano i vecchi stereotipi. La città di Salerno,<br />

prima simbolo di bruttezza e degrado, in poco tempo è totalmente cambiata e nei prossimi<br />

anni, grazie a un piano straordinario di interventi, diventerà uno dei luoghi più dinamici e<br />

innovativi del Mediterraneo. Contemporaneamente le delocalizzazioni industriali creano<br />

città fantasma. Occorre allora identifi care, in una visione che guardi ai prossimi decenni,<br />

i contenuti della società che vogliamo. In che tipo di città intendiamo vivere. Il piccolo<br />

borgo medievale, bello, tranquillo ma senza vita né lavoro, o una delle stupende città d’arte,<br />

magari sito unesco, invasa da turisti, rumorosa, con gli spazi, le piazze, i vicoli occupati<br />

da tavolini o da autobus? Oppure cittadine dinamiche solo nel riempire di cemento i<br />

litorali e le colline e che sostituiscono negozi di qualità, librerie, bar storici con fast food<br />

e catene commerciali? C’è un’altra strada possibile? Qualcosa di diverso dal conoscere il<br />

signifi cato dello “spread” o rifugiarsi nella fi losofi a del “vivere sani e belli”. Porsi queste<br />

domande sarebbe già un passo avanti, uno sforzo culturale straordinariamente diffi cile,<br />

anche se indispensabile. Ma non basta. Di fronte all’eclissi della classe operaia, che ha<br />

contribuito ai grandi cambiamenti del secolo scorso, e allo sfi lacciamento di una politica<br />

che ha perso autorevolezza, sembra che le reazioni e le spinte vengano solo dalle corporazioni<br />

di interessi specifi ci come i taxisti, gli autotrasportatori o i “no tav”. Il Paese Italia<br />

invece mostra segnali di rifi uto di un’accettazione passiva della realtà e prefi gura l’entrata<br />

in campo di nuove intelligenze ed energie per provare a cambiare. Per cogliere i molti<br />

malesseri della società italiana e aprire un orizzonte nuovo. Cominciando col guardare la<br />

vita reale, conoscere davvero il Paese per interpretarne le esigenze, scongiurando tuttavia<br />

che la nuova quotidianità possa apparire come l’unico dei mondi possibili. Allora «che<br />

fare?» chiedeva Gramsci nel 1923. E la risposta era combattere «l’indiff erenza che è il<br />

peso morto della storia… è la palude che recinge la vecchia città». Far crescere uomini<br />

Estratto della pubblicazione

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