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I Classici che hanno fatto l Italia.pdf - Libreria Antiquaria Alberto Govi

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tramontato, rendendo obsoleto, se non vanaglorioso, ogni tentativo di ripristinare un canone, seppur<br />

notevolmente allargato.<br />

Qualsiasi canone sia oggi proposto viene dunque interpretato come un anticanone, ossia<br />

solamente come una proposta di canone, suscettibile di allargamenti, modifi<strong>che</strong> e nuove aggiunte; o,<br />

meglio ancora, come un catalogo cumulativo, aperto alle proposte della grande rete globale.<br />

A questa impostazione non sfuggono neppure i <strong>Classici</strong> <strong>che</strong> <strong>hanno</strong> <strong>fatto</strong> l’<strong>Italia</strong> con la loro<br />

proposta di 400 opere selezionate con criteri rigorosi e coerenti, le quali tuttavia avrebbero potuto<br />

an<strong>che</strong> essere 389 o 551 senza <strong>che</strong> lo spirito dell’opera ne uscisse inficiato. Che anticanone sia,<br />

allora! Ma un punto di partenza si rende pur sempre necessario; una delimitazione del cammino <strong>che</strong><br />

permetta di orientarsi nel mare magnum della rete e <strong>che</strong> supplisca alla sparizione di quella <strong>che</strong> fino<br />

a tempi relativamente recenti si soleva chiamare “cultura generale”.<br />

Chiunque si avvicini al mercato del libro antico, ancorché abbia alle spalle una solida formazione<br />

universitaria, si trova subito di fronte a due grandi ostacoli. In primo luogo, stenta a capire il valore<br />

commerciale dei libri e a cogliere quali siano gli elementi <strong>che</strong>, sommati, contribuiscono a definirlo.<br />

Non è qui ovviamente la sede per tracciare una storia del commercio del libro manoscritto e del<br />

libro a stampa (su cui recentemente si è diretta l’attenzione di molti studiosi) né per soffermarsi sui<br />

grandi bibliofili del passato (per i quali si rimanda alla sempre fondamentale opera in tre volumi di<br />

G.A.E. Bogeng, Die grossen Bibliophilen, Leizig, 1922). Basti osservare <strong>che</strong> il libro a stampa<br />

(lasciamo da parte in questa sede ogni riferimento al mercato del libro nel mondo antico e in età<br />

medievale) è ed è sempre stato un bene commerciale. Già a partire dal Quattrocento le neonate<br />

officine tipografi<strong>che</strong> costituiscono delle vere e proprie imprese commerciali, i cui direttori, i<br />

tipografi, cercano di interpretare le esigenze del mercato e decidono di conseguenza i testi da<br />

stampare e le tirature. Il collezionismo librario, più limitato socialmente prima dell’invenzione della<br />

stampa a causa dell’alto costo dei codici manoscritti, si allarga velocemente a larghi strati della<br />

popolazione man mano <strong>che</strong> i costi di produzione del libro si vanno sempre più abbassando.<br />

Rinnovate esigenze di scrupolo filologico spingono i tipografi più colti a servirsi di collaboratori<br />

editoriali altamente qualificati, in questo furbescamente imitati da colleghi più intraprendenti <strong>che</strong> si<br />

contendono i lettori a colpi di millantate novità. Parallelamente si sviluppa an<strong>che</strong> la bibliofilia e,<br />

con essa, la ricerca delle edizioni più rare del passato. Già nel Seicento sono attestate aste pubbli<strong>che</strong><br />

di incunaboli.<br />

In secondo luogo, il nostro neofita rimane spiazzato e sorpreso dalla vastità dei libri <strong>che</strong><br />

sono stati prodotti: migliaia di titoli e di autori, talvolta di estremo interesse, <strong>che</strong> egli non ha mai<br />

neppur sentito nominare e fatica a trovare nei consueti repertori. Egli stenta dunque ad orientarsi,

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