05.03.2013 Views

Catalogo 2010.pdf - Libreria Antiquaria Alberto Govi

Catalogo 2010.pdf - Libreria Antiquaria Alberto Govi

Catalogo 2010.pdf - Libreria Antiquaria Alberto Govi

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Sermartelli, nr. 184<br />

<strong>Catalogo</strong> 2010<br />

<strong>Libreria</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Govi</strong>


<strong>Libreria</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Govi</strong><br />

di Fabrizio <strong>Govi</strong> Sas<br />

P.O. Box Modena succ. 4<br />

Via Bononcini, 24<br />

I-41124 Modena (Italia)<br />

Tel. 059/375881<br />

Fax 059/3681271<br />

e.mail info@libreriagovi.com<br />

www.libreriagovi.com<br />

P.IVA 02834060366<br />

C.C.P 41314337<br />

I libri sono in buono stato e completi, salvo indicazione contraria.<br />

Le spedizioni vengono effettuate a mezzo posta contrassegno o al saldo della fattura preventiva.<br />

Le spese di porto ed imballo sono a carico del committente.<br />

La merce viaggia assicurata con relative spese a carico dell’acquirente.<br />

Se vengono richiesti più articoli, alcuni dei quali fossero già venduti, verranno spediti i soli rimasti,<br />

senza che il committente possa per tale motivo ricusarli.<br />

Ci scusiamo di non poter rispondere alle richieste di libri già venduti.<br />

Gli Enti Pubblici che ordianano telefonicamente sono pregati di far seguire l’ordine scritto col<br />

numero di Codice Fiscale.<br />

Privacy. Autocertificazione sostitutiva DPS Obbligo di cui alla lett.g) del co.1 e al punto 19 dell’Allegato<br />

B Ai sensi degli artt.34 co.1-bis D.Lgs. n.196/03 e 47 DPR n.445/00: si autocertifica<br />

che presso la suddetta libreria si effettua esclusivamnete il trattamento di dati personali non sensibili<br />

e che tali dati sono trattati in osservanza delle misure di sicurezza prescritte dal D.Lgs.n.196/<br />

03 e dall’Allegato B) allo stesso.


<strong>Catalogo</strong> 2010


Augustinus, nr. 14


1) ACCADEMIA DEGLI INTRONATI. Dieci paradosse degli<br />

Academici Intronati da Siena. Milano, Giovanni Antonio<br />

degli Antoni, 1564.<br />

In 8vo (cm 16); pergamena rigida recente; cc. 52. Marca tipografica al<br />

titolo ed in fine. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE, edita per le cure di Giovanni Paolo Ubaldini, di<br />

questa raccolta di dieci “paradosse”, ossia bizzarre dispute tra i membri<br />

dell’Accademia degli Intronati di Siena. I temi dibattuti sono, tra<br />

gli altri, se esista o meno l’amore, se il male sia necessario, se i tiranni<br />

ottengano veramente ciò che vogliono, se ci si debba preoccupare per<br />

la nascita dei bambini, se la ragione sia dannosa all’uomo, se le donne<br />

debbano preferire gli uomini brutti, ecc. Tra i vari interlocutori<br />

spiccano i nomi di Alessandro Piccolomini (Lo Stordito), dell’arcivescovo<br />

Francesco Bandini Piccolomini (Lo Scaltrito), di Antonio Vignali<br />

(L’Arsiccio), di Giovan Francesco Franceschi (Il Moscone) e di Alessandro<br />

Marzi (Il Cerloso).<br />

L’Accademia degli Intronati, una delle prime accademie letterarie italiane,<br />

fu fondata all’inizio del XVI secolo e redasse i suoi primi statuti<br />

nel 1525. I membri dovevano sottostare alle seguenti regole generali:<br />

«orare, studere, gaudere, neminem laedere, nemini credere, de mundo<br />

non curare». L’accademia acquistò fama e prestigio anche per la serie<br />

di commedie che furono composte, messe in scena e pubblicate sotto il<br />

suo nome nel corso del Cinquecento (cfr. M. Maylender, Storia delle<br />

accademie d’Italia, Bologna, 1926-1930, V, pp. 350-362).<br />

Edit16, CNCE49. G. Bologna, Le cinquecentine della Biblioteca Trivulziana: I. Le edizioni milanesi, Milano, 1965,<br />

nr. 475. € 1.600,00<br />

2) ADAM, Victor (1801-1867). Viaggio d’un cacciatore nelle diverse parti del mondo, ovvero<br />

prospetto generale delle caccie e delle pesche di tutti i paesi. Prima versione italiana. Africa [tutto il<br />

pubblicato]. Venezia, Giuseppe Antonelli, 1841 (il titolo generale è datato 1839).<br />

(segue:)<br />

EIUSDEM. Museo del cacciatore o collezione di tutte le specie di selvaggina di pelo o di piuma che<br />

si cacciano coll’archibugio colla descrizione de’ loro caratteri, costumi, ec. Diretto da un cacciatore<br />

naturalista, ed eseguito in litografia sul vero da Vittore Adam. Prima traduzione italiana. Venezia,<br />

Giuseppe Antonelli, 1844.<br />

Tre volumi in 4to (cm 25,7); legatura coeva in mezza pelle con fregi e titolo in oro al dorso; pp. (8), 331, (1<br />

bianca) con 40 tavole litografiche a piena pagina + pp. (4), 587, (1) + 72 tavole litografiche a piena pagina.<br />

Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE IN ITALIANO di queste due opere di caccia di Victor Adam, entrambe uscite<br />

in Francia pochi anni prima. Esse trattano rispettivamente della caccia in Africa e della caccia agli animali<br />

di bosco e di pianura (sia uccelli che quadrupedi) e agl’uccelli acquatici. Le due opere furono ristampate<br />

insieme dall’Antonelli nel 1849.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\BA1\0017728 e IT\ICCU\BA1\0017729. Ceresoli, p. 28. € 1.900,00<br />

3) AESOPUS (ca. 620-560 a.C.). Fabulae…, plures quingentis, et aliae quaedam narrationes, cum<br />

hictorica (sic) vitae fortunaeq(ue) Aesopi,… Quibus additae sunt et Livianae et Gellianae ac aliorum<br />

quaedam, cum interpretatione Graecorum, et explicatione quorundarum aliorum. Lyon, Jean de<br />

Tournes, 1579.<br />

In 16mo (cm 11); vitello marmorizzato del Settecento, dorso con tassello e titolo in oro, tagli rossi, risguardi<br />

in carta marmorizzata (un po’ liso, minime mancanze alla cuffia superiore); pp. 637, (19). Con un ritratto di<br />

Esopo in medaglione sul titolo e 110 piccoli legni nel testo. Ex-libris inciso in rame di Léonard Machon,<br />

avvocato e tesoriere reale a Lione, datato 1721-1722. Alcune lievissime bruniture sparse, margine superiore<br />

alla fine del volume un po’ corto con lieve fastidio ai titoli correnti, per il resto ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE di questo libro scolatisco illustrato. È la ristampa dell’edizione De Tournes del 1571,<br />

basata su quella rivista da Joachim Camerarius (la sua dedica e prefazione sono qui presenti) stampata a<br />

- 5 -


Lipsia nel 1564. Questa edizione ottenne un enorme successo come libro scolastico fino al tardo Settecento<br />

(cfr. A. Elsenbroich, Sammeln und Umgelstalten Aesopischer Fabeln bei Neulateinern des 16. Jahrhunderts, in:<br />

“Daphnis”, 14, 1985, pp. 14-21).<br />

I legni, in parte già utilizzati nelle precedenti edizioni di De Tournes, nonché negli Alciati dello stesso<br />

editore e in Le théâtre des bons engins (1545) di La Perrière, sono generalmente attribuiti a Bernard Salomon<br />

(cfr. R. Brun, Le livre français illustré de la Renaissance, Paris, 1969, pp. 77-81, 184).<br />

Index Aureliensis, 101.261. A. Cartier, Bibliographie des éditions des de Tournes, Paris, 1937, pp. 588-589, nr. 592.<br />

€ 900,00<br />

LEGATURA ALLE ARMI DEL CARDINALE<br />

COSIMO DE TORRES<br />

4) AGOSTINI, Giovanni (fl. 1 a metà del XVII secolo).<br />

Clavis aurea Magni P. Augustini Coelestis<br />

Theolgiae Clavigeri; qua liber Apocalypsis septem<br />

obsignatus Sigillis potissum aperitur. Proposita per fr.<br />

Ioannem Augustinum plumbinen. in S. Spiritus<br />

Gymnasio studii magistrum. Roma, Francesco<br />

Corbelletti, 1627.<br />

In 4to (cm 21,5); pergamena floscia coeva, piatti e dorso<br />

decorati con filetti e piccole torri in oro, tagli dorati, al<br />

centro dei piatti incise in oro vi sono le armi di Cosimo De<br />

Torres (Roma, 1584-1642, che, eletto cardinale nel 1622 da<br />

papa Gregorio XV, fu legato pontificio, vescovo di Perugia<br />

e prefetto della S. Congregazione del Concilio); pp. (2), 63,<br />

(1). Marca tipografica sul titolo. Leggere fioriture, ma ottima<br />

copia.<br />

EDIZIONE APPARENTEMENTE SCONSCIUTA di<br />

questa Clavis aurea agostiniana ad interpretazione dei sigilli<br />

dell’Apocalisse commentata da Giovanni Agostini.<br />

Questi era originario di Piombino (cfr. G.M. Mazzucchelli,<br />

Gli scrittori d’Italia, Brescia, 1753, I, p. 211).<br />

Apparentemente sconosciuto. € 950,00<br />

LA PRIMA MONOGRAFIA SU UNA CHIESA DI ROMA<br />

5) ALBERICI, Giacomo (1554-1610). Compendio<br />

delle Grandezze dell’Illustre, et Devotissima Chiesa di<br />

Santa Maria del Popolo di Roma. Roma, Stampatori<br />

Camerali, 1600.<br />

In 4to (cm 22,5); legatura coeva in piena pergamena con<br />

titolo manoscritto lungo il dorso e legacci in seta; pp. (16),<br />

96. Con 5 tavole calcografiche nel testo a piena pagina, che<br />

raffigurano gli episodi legati alla fondazione del tempio,<br />

la facciata della chiesa con le sue tre navate, l’altare maggiore,<br />

la vera immagine della Madonna col Bambino tratta<br />

da un dipinto del XIII secolo e le persone da lei miracolate.<br />

Frontespizio e testo entro cornice ornamentale in legno.<br />

Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE IN ITALIANO, dedicata a Donna<br />

Flaminia Aldobrandini, di questa opera che costituisce<br />

una sorta di compendio delle Historiarum Sanctissimae et<br />

Gloriosissimae Virginis Deiparae De Populo Almae Urbis dello<br />

stesso Alberici, che furono pubblicate a Roma da Nicolò<br />

Muzio nel 1599.<br />

Secondo L. Schudt (Le guide di Roma, Wien-Augsburg, 1930,<br />

nr. 931), la presente sarebbe la prima monografia consa-<br />

- 6 -


crata ad una chiesa di Roma e, come tale, segnerebbe l’inizio di una fortunata serie di opere storicoartistiche<br />

vertenti sui principali monumenti della Città Eterna.<br />

Alberici descrive la chiesa non solo da un punto di vista architettonico, tracciando la storia della sua<br />

fabbrica, ma fornisce anche una descrizione dettagliata dell’interno (cappelle, decorazioni, altari) e narra<br />

le vicende miracolistiche legate alla sua fondazione.<br />

Santa Maria del Popolo, consacrata come semplice cappella nel 1099 e ricostruita sotto Sisto IV fra il 1472<br />

e il 1478, è dotata di una cupola ottogonale, la prima del Rinascimento romano (cfr. L. Patridge, The<br />

Renaissance in Rome, 1400-1600, London, 1996, pp. 45-46).<br />

Giacomo Alberici, originario di Sarnico vicino Bergamo, entrò nel 1570 nell’Ordine degli Agostiniani, di<br />

cui successivamente fu nominato vicario generale. Fu autore di varie opere agiografiche, di una guida della<br />

Terra Santa e di una bibliografia degli scrittori veneziani (cfr. J.F. Ossinger, Bibliotheca augustiniana historica,<br />

Ingolstadt, 1768, pp. 19-20).<br />

Edit16, CNC651. Index Aureliensis, 102.246. E. Bentivoglio-S. Valtieri, Santa Maria del Popolo, Roma, 1976, p. 277.<br />

€ 2.200,00<br />

6) [ALGAROTTI, Francesco (1712-1764)]. Il Newtonianismo ovvero Dialoghi sopra la Luce, i<br />

Colori e l’Attrazione. Sesta edizione. Napoli, Eredi Hertz, 1746.<br />

In 8vo (cm 21); mezza pergamena coeva con titolo manoscritto al dorso, piatti ricoperti da carta damascata,<br />

tagli picchiettati; pp. (14), XIV, 395, (7, di cui le ultime 2 bianche) con una tavola in rame fuori testo più volte<br />

ripiegata raffigurante esperimenti ottici. Titolo in rosso e nero con marca tipografica al centro. Ottima<br />

copia.<br />

Edizione aumentata e corredata di una nuova tavola del celebre Newtonianismo per la Dame, che fu più volte<br />

ristampato in quanto riuscito tentativo di esporre le scoperte di Newton sull’ottica e il colore ad un pubblico<br />

di non specialisti, quali le donne erano per eccellenza.<br />

L’opera, scritta tra Bologna e Parigi a partire dal 1733, fu più volte ripresa, corretta e perfezionata sia nel<br />

contenuto che nello stile (cfr. G. Toraldo di Francia, Il newtonianismo per le dame, in: “Luce ed immagini”,<br />

XVI, 1962, 2, pp. 1-5; inoltre M. De Zan, La messa all’Indice del „Newtonianismo per le dame“ di F. A., in:<br />

“Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento”, a cura di R. Cremante e W. Tega, Bologna, 1984,<br />

pp. 133-47).<br />

Algarotti, scienziato e letterato influenzato dagli orientamenti culturali del Manfredi, del Zanotti, del Redi<br />

e del Guercino, fu in stretto contatto con tutti i maggiori esponenti dell’Illuminismo europeo, proponendosi<br />

di fare per l’Italia ciò che Voltaire e Fontenelle, cui l’opera è dedicata, avevano fatto per la Francia. Il<br />

linguaggio piano, lontano da ogni forma di pedantesca erudizione, e le competenze scientifiche dell’autore<br />

fanno di quest’opera un modello di letteratura di divulgazione (cfr. D.B.I., II, pp. 356-360).<br />

ICCU, IT\ICCU\RMSE\005486. € 450,00<br />

IL MAGGIOR POLIGRAFO ITALIANO DEL SETTECENTO<br />

7) ALGAROTTI, Francesco (1712-1764). Opere. Venezia, Carlo Palese, 1791-1794.<br />

Diciassette volumi in 8vo (cm 18,5) uniformemente rilegati in mezza pelle dell’epoca con punte, dorso con<br />

duplice tassello con titolo e numerazione dei volumi impressi in oro, piatti in carta marmorizzata, tagli<br />

colorati. Ogni tomo è corredato da un frontespizio inciso fuori testo e da testatine e finalini calcografici, per<br />

lo più sottoscritti da Francesco Novelli e Raffaello Morghen. Vol. I (Memorie e poesie, 1791): pp. 1 bianca, (7),<br />

XIX, (5), CXXXV, (9), 200 con 2 tavole f.t., tra cui il ritratto dell’Algarotti inciso da Raffaello Morghen su<br />

disegno di Francesco Mingardi dal quadro Jean-Étienne Liotard; Vol. II (Dialoghi sopra l’ottica neutoniana,<br />

1791): pp. 424 e 1 tavola f.t. più volte ripiegata; Vol. III (Saggi sopra le belle arti, 1791): pp. 474, 2 bianche; Vol.<br />

IV (Saggi sopra differenti soggetti, 1791): pp. 558, 2 bianche; Vol. V (Opere militari, 1791): pp. 455, 1 bianca;<br />

Vol. VI (Viaggi di Russia, Il congresso di Citera, Vita di Stefano Benedetto Pallavicini, 1792): pp. 399 [i.e. 401], (3);<br />

Vol. VII (Pensieri diversi sopra materie filosofiche e filologiche, Lettere di Polianzio ad Ermogene intorno alla<br />

traduzione dell’Eneide del Caro, 1792): pp. 396; Vol. VIII (Lettere sopra la pittura, 1792): pp. 400; Vol IX (Lettere<br />

varie parte prima, 1792): pp. 366, (2); Vol. X (Lettere varie parte seconda, 1792): pp. 398, (2); Vol. XI (Carteggio<br />

inedito, parte prima, lettere italiane, 1794): pp. 406, (2); Vol. XII (Carteggio inedito, parte seconda, lettere italiane,<br />

1794): pp. 446, (2); Vol. XIII (Carteggio inedito, parte terza, lettere italiane, 1794): pp. 427, 1 bianca, (1), 3<br />

bianche; Vol. XIV (Carteggio inedito, parte quarta, lettere italiane, 1794): pp. 445, (3); Vol. XV (Carteggio inedito,<br />

parte quinta, lettere francesi, 1794): pp. 384, (2), 2 bianche; Vol. XVI (Carteggio inedito, parte sesta, lettere francesi,<br />

1794): pp. 433, (3); Vol. XVII (Carteggio inedito, parte settima, lettere francesi, 1794): pp. 522, (22). Sui risguardi<br />

fissi ex-libris nobiliare coevo a stampa recante le inziali C.B.V. Freschissima copia come nuova in bella<br />

- 7 -


legatura coeva perfettamente conservata.<br />

TERZA EDIZIONE delle Opere di Francesco Algarotti, curata da<br />

Francesco Aglietti e considerata come la più completa e la più<br />

accurata tra le stampe antiche dei suoi scritti. La prima edizione,<br />

apparsa a Livorno in otto volumi presso Marco Coltellini tra il<br />

1764 e il 1765, fu promossa dall’autore, ma la morte, che lo colse<br />

nel maggio del 1764, gli impedì di portarla a termine. Tra l’edizione<br />

livornese e quella veneziana è da porre poi una stampa uscita<br />

a Cremona dai torchi di Lorenzo Manini in dieci volumi (1778-<br />

1784).<br />

La raccolta comprende, tra le altre cose, il Neutonianismo per le<br />

dame, stampato per la prima volta nel 1737 (qui ribattezzato Dialoghi<br />

sopra l’ottica neutoniana), primo esempio di divulgazione scientifica<br />

pensata esclusivamente per le donne; i testi linguistici Saggio<br />

sopra la lingua francese e Saggio sopra la necessità di scrivere nella<br />

propria lingua, che contengono un paragone storico fra il francese<br />

e l’italiano e si basano sull’idea di lingua come espressione del<br />

genio di un popolo; il celebre saggio Sopra la pittura (1756 e 1762),<br />

che, oltre ad enunciare i requisiti necessari ad un buon pittore e a<br />

discutere da un punto di vista estetico dell’essenza della pittura,<br />

definisce i gusti dell’autore, avverso al manierismo e al barocco; il<br />

saggio Sopra l’architettura (1756), nel quale Algarotti recupera le<br />

idee del suo maestro Carlo Lodoli; il Saggio sopra l’opera in musica,<br />

apparso per la prima volta nel 1755 e poi nuovamente nel 1763<br />

con alcune modifiche, fondamentale trattato dedicato alla<br />

scenografia, all’architettura e alla prassi del melodramma.<br />

Francesco Algarotti nacque a Venezia da una nobile e facoltosa famiglia. Allievo a Venezia di Carlo Lodoli<br />

e a Bologna di Eustachio Manfredi e Francesco Maria Zanotti, egli fu avviato allo studio della letteratura e<br />

delle arti figurative, ma apprese anche i rudimenti dell’astronomia e della fisica. Tra il 1733 e il 1738,<br />

viaggiò per l’Europa, facendo tappa soprattutto a Parigi, dove divenne intimo di Maupertius, e a Londra,<br />

dove imparò l’inglese e conobbe Alexander Pope.<br />

Nel 1739 s’imbarcò su una galea inglese diretta in Russia attraverso il Baltico. Egli scrisse poi una relazione<br />

sul suo soggiorno russo, intitolata Viaggi di Russia e pubblicata per la prima volta nelle Opere. Sulla via<br />

del ritorno fece tappa a Berlino, dove il principe ereditario di Prussia, il futuro Federico II, lo volle tenere<br />

presso di sé, impiegandolo tra l’altro in alcune missioni diplomatiche.<br />

Dal 1742 al 1746 Algarotti fu invece al servizio dell’elettore di Sassonia Augusto III, dal quale fu incaricato<br />

di raccogliere opere d’arte per la Galleria di Dresda. Nel 1746 fece ritorno alla corte di Federico II, che lo<br />

nominò cavaliere dell’Ordine del Merito. Nei sette anni in cui rimase a Berlino, Algarotti, oltre ad aver<br />

commercio con Voltaire e gli altri letterati e scienziati presenti a corte, compose varie opere, fra cui alcuni<br />

interessanti testi di arte militare, poi raccolti nelle Opere.<br />

Dopo il rientro in Italia nel 1753, egli visse prima a Venezia, quindi a Bologna, dove fondò l’Accademia<br />

degli Indomiti, infine a Pisa, dove s’era trasferito per poter attendere all’edizione collettiva dei suoi scritti.<br />

Algarotti fu il maggior rappresentante italiano di quel tipo di intellettuale cosmopolita e “da salotto”, che<br />

a metà Settecento si andò affermando anche nel nostro paese sulla scia del modello francese. Uomo di<br />

mondo, rispettato ed onorato presso le corti di Prussia e di Sassonia, egli fu in contatto epistolare con tutti<br />

i maggiori letterati del tempo, rimanendo così sempre aggiornato sulle novità del mondo dei dotti. Algarotti<br />

fu inoltre un fine critico musicale e uno stimato esperto d’arte. Oltre ai pezzi da lui acquistati per conto dei<br />

suoi committenti, egli si formò anche una notevole collezione personale, formata da circa duecento quadri<br />

di pittori contemporanei come G.B. Tiepolo, Canaletto, F. Galli-Bibiena, S. Ricci, C. Maratta e W. Hogarth,<br />

della quale Giovanni Antonio Selva nel 1776 redasse un catalogo.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\RMRE\001897. € 1.500,00<br />

8) ALIGHIERI, Dante (1265-1321)-VELLUTELLO, Alessandro (1473-?). La Comedia di Dante<br />

Aligieri con la noua espositione di Alessandro Vellutello. In fine: Venezia, Francesco Marcolini<br />

ad istanza di Alessandro Vellutello, giugno 1544.<br />

In 4to (cm 22); legatura moderna in vitello marroncino, piatti entro cornice a secco, dorso a cinque nervi con<br />

fregi, tassello e titolo in oro; cc. (442). Manca l’ultima carta bianca. Con 10 xilografie a tre quarti di pagina<br />

- 8 -


nella Descrittione de lo Inferno, tre grandi figure a piena pagina<br />

all’inizio di ogni cantica e 74 figure in legno a tre quarti di pagina<br />

poste ad illustrazione dei canti. I versi 64, 65 e 66 del secondo<br />

canto del Purgatorio (c. V 7 verso) sono scritti a mano, perché,<br />

omessi inizialmente per errore di stampa, furono integrati manualmente,<br />

ma non in tutti gli esemplari. Margine superiore sobrio,<br />

lieve alone marginale su poche carte, rinforzo nel margine<br />

interno di due carte finali, ma nel complesso ottima copia di tutta<br />

freschezza.<br />

PRIMA EDIZIONE della Divina Commedia con il commento di<br />

Alessandro Vellutello.<br />

«This edition presents for the first time Alessandro Vellutello’s<br />

commentary on the poem, the first of two new commentaries to<br />

be published during the 16 th century. Born in the Tuscan city of<br />

Lucca, Vellutello was active in Venice during the early part of the<br />

century. Vellutello first made a name for himself by publishing a<br />

commentary on Petrarch in 1525 and an edition of Virgil’s works<br />

in 1533. By the time he turned to Dante, the Petrarch commentary<br />

had been twice reprinted and was well on its way to becoming<br />

one of the great editorial successes of the period. A sign of the<br />

commentator’s stature: Vellutello dedicates his Dante to Pope<br />

Paul III (1534-1549), sometimes known as “the last Renaissance<br />

pope” for his nepotism, his broad culture and patronage of the<br />

arts and letters. Vellutello’s commentary is particularly<br />

noteworthy for its rebellion against Pietro Bembo’s literary<br />

authority. In his “Letter to the Readers”, Vellutello does not demur from accusing Bembo (though without<br />

naming him) of having provided corrupted texts of Petrarch and Dante to Aldus Manutius… The<br />

inconsistency between text and commentary created by Bernardino Stagnino’s editions of Aldus’ text with<br />

Landino’s commentary [1512, 1520 and 1536] was another major inconvenience which Vellutello’s edition<br />

was designed to overcome. Yet, while Vellutello’s textual departures from the Bembo-Aldine text are many,<br />

they do not go far enough to dethrone the Bembo-Aldine text as the 16 th -century vulgate. Rebelling against<br />

Pietro Bembo on the one hand, Vellutello found himself battling on the other against his great predecessor<br />

Cristoforo Landino, whom he frequently criticizes and corrects. Vellutello’s strict subordination of the<br />

commentary to the text contrasts greatly with the digressive Landino. And as a Tuscan from Lucca, it is<br />

significant that Vellutello observes the linguistic situation of Florence with considerable detachment. In a<br />

rare digression (Purgatorio XXIV) he rejects, from a Pisan and Lucchese point of view, the supposed<br />

preeminence of the Florentine dialect. Against Landino, Machiavelli and the Florentines, Vellutello<br />

champions the “Italian” (vs. the Florentine) Dante, whose linguistic theory, according to one interpretation<br />

of the poet’s De vulgari eloquentia (On Eloquence in the Vernacular) promoted a supra-regional “volgare<br />

illustre” (illustrious vernacular). But attention to the language of Dante is not otherwise a particular strength<br />

of Vellutello’s commentary. In fact, it is perhaps his interest in the historical background of the poem which<br />

represents his most significant contribution. For example, he recognized in Giovanni Villani’s Cronica,<br />

unpublished at thetime, a necessary source for the interpretation of the poem. Generally, Vellutello’s<br />

references to historical sources reveal a broad knowledge of and curiosity about medieval history which<br />

was exceptional among litterati of his time. Finally however, the Vellutello commentary illustrates how the<br />

Comedy had become separated from any living literature which might have sought inspiration in the poem.<br />

The editor presents the Comedy, as if from a remote plateau, to an audience seeking general intellectual<br />

education or perhaps simple diversion. The success of Vellutello’s Dante commentary was not as great as<br />

that of his Petrarch. Cannibalized in the Lyons editions of Rovillé in the following decades, it was reprinted<br />

independently only once, in 1554, although it will appear together with Landino’s commentary in the<br />

Sessa imprints of 1564, 1578 and 1596 (Renaissance Dante in Print (1472-1629), at http://www.italnet.nd.edu/<br />

Dante/text/1544.venice.html).<br />

Le figure, attribuite allo stesso Marcolini, che era un ottimo disegnatore, oltre che un amico del Tiziano e del<br />

Sansovino, sono ritenute da L. Volkmann (Iconografia dantesca: le rappresentazioni figurate della Divina Commedia,<br />

Firenze, 1898, pp. 72-73) «le prime illustrazioni moderne della Divina Commedia». I legni furono<br />

riutilizzati dal Marcolini anche per la sua edizione degli Inferni del Doni.<br />

Cfr. D. Pirovano, a cura di, La Comedia di Dante Aligieri con la nova esposizione di Alessandro Vellutello, Roma,<br />

2006. Edit16, CNCE1163. C. de Batines, Bibliografia Dantesca, Prato, 1845, I, pp. 82-83. G. Mambelli, Gli<br />

annali delle edizioni dantesche, Bologna, 1931, nr. 30. Adams, D-94. Gamba, nr. 387. Prince d’Essling, Les<br />

- 9 -


livres à figures vénitiens, Firenze-Parigi, 1908, nr. 545. R. Mortimer, Italian 16 th Century Books in the Harvard<br />

College Library, Cambridge, 1974, nr. 146. S. Casali, Gli annali della tipografia veneziana di Francesco Marcolini,<br />

Bologna, 1953, nr. 72.<br />

9) AMBROGIO DA SIENA (1478-1511). Questa è<br />

la vita del divo et glorioso confessore sancto Nichola da<br />

Tollentino... In fine: Venezia, Bernardino Benali, 7<br />

marzo 1524.<br />

In 8vo (cm 15); legatura recente in piena pelle marron con<br />

titolo in oro lungo il dorso; cc. (46). Il verso del frontespizio è<br />

occupato dal ritratto in legno a piena pagina di San Nicola<br />

da Tolentino, mentre il titolo e l’inizio dell’opera sono al verso.<br />

Ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE di questa agiografia che, dopo la prima<br />

edizione veneziana della fine del XV secolo, fu ristampata<br />

anche nel 1511 e nel 1592. San Nicola da Tolentino (1245-<br />

1305) fu canonizzato nel 1446.<br />

Ambrogio da Siena, teologo agostiniano, fu principalmente<br />

attivo nella sua città natale.<br />

Edit16, CNCE1508 (2 copie censite). Prince d’Essling, Les livres<br />

à figures vénitiens, Firenze-Parigi, 1908, nr. 2277. € 2.000,00<br />

10) AMMIRATO, Scipione (1531-1601). Il Rota overo<br />

dell’imprese dialogo… Nel qual si ragiona di molte<br />

imprese di diversi eccellenti autori, et di alcune regole et<br />

avvertimenti intorno questa material, scritto al S.<br />

Vincenzo Carrafa. Napoli, Giovanni Maria Scotto, 1562.<br />

In 8vo (cm 14,4); legatura del XVII secolo in piena pelle con grandi armi impresse in oro al centro dei piatti,<br />

risguardi marmorizzati (angoli e cuffie un po’ danneggiati, spellature varie); pp. 230, (10, di cui le ultime 2<br />

bianche). Due firme di appartenenza sul titolo, una di un certo Palazzi, che potrebbe trattarsi di Giovanni<br />

Andrea Palazzi, autore nel 1575 di un importante trattato sulle imprese. Leggere fioriture e bruniture<br />

sparse, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, dedicata a Vincenzo Carafa,<br />

di questo importante trattato teorico sull’arte delle<br />

imprese. A Roma nel 1555 Paolo Giovio aveva dato alle<br />

stampe la prima opera dedicata a questo particolare<br />

genere letterario-figurativo, che stava diventando sempre<br />

più diffuso negli ambienti colti e nei salotti nobiliari dei<br />

maggiori centri italiani, ossia il Dialogo dell’imprese<br />

militari e amorose. Il dialogo era stato ristampato con note<br />

e commenti sia da G. Ruscelli (Venezia, G. Ziletti, 1556)<br />

che da L. Domenichi (Venezia, G. Giolito de’ Ferrari,<br />

1556). Il Rota, pur prendendo spunto dalla riflessione<br />

teorica del Giovio, si propone come testo nuovo ed<br />

originale.<br />

L’impresa, che risaliva alla metà del XV secolo, trovò il<br />

suo momento di massima diffusione e popolarità verso<br />

la seconda metà del Cinquecento. Distinguendosi<br />

dall’emblema soprattutto per la necessaria compresenza<br />

e mutua dipendenza di parola e immagine, l’impresa<br />

doveva sottostare a molteplici regole, ma aveva il pregio<br />

di poter essere utilizzata per diverse finalità, prestandosi<br />

sia al gioco letterario sia all’autocelebrazione (cfr. D.<br />

Drysdall, The Emblem according to the Italian‘Impresa’<br />

Theorists, in: “The Emblem in Renaissance and Baroque<br />

Europe. Tradition and Variety”, a cura di A. Adams e<br />

- 10 -


A.J. Harper, Leiden 1992 , pp. 22-32).<br />

I protagonisti del dialogo dell’Ammirato sono il vescovo di Potenza Nino de Nini, il fiorentino Alfonso<br />

Cambi, il semplicista e botanico Bartolomeo Maranta e l’uomo che dà nome al trattato, ossia il poeta e<br />

drammaturgo napoletano Bernardino Rota (1508-1575).<br />

La parte teorica del dialogo prende spunto dalla visita che i quattro personaggi recano alla villa del Rota,<br />

in cui quest’ultimo aveva fatto dipingere ad affresco una serie di quarantasei imprese dedicate alla moglie<br />

scomparsa, Porzia Capece, cui egli aveva già dedicato una raccolta di rime apparse nel 1560. Rota aveva<br />

così voluto realizzare tramite le imprese, in uno spazio architettonico reale, una sorta di teatro delle memoria<br />

(cfr. G. Arbizzoni, Imprese e poesia nel ‘Rota’ di Scipione Ammirato, in: “Un nodo di parole e di cose. Storia e<br />

fortuna delle imprese”, Roma, 2002, pp. 37-57; inoltre M. Rossi, Impresistica monumentale di Bernardino Rota,<br />

in: “Con parola brieve e con figura: emblemi e imprese fra antico e moderno”, a cura di L. Bolzoni e S.<br />

Volterrani, Pisa, 2008, pp. 295-318).<br />

S. Ammirato, originario di Lecce da famiglia oriunda fiorentina, studiò diritto a Napoli, dove venne in<br />

contatto con i circoli letterari della città. Come molti dei letterati dell’epoca, viaggiò a lungo tra Roma,<br />

Padova, Venezia (quivi strinse amicizia coll’Aretino e con lo Speroni, ma fu costretto a fuggire a causa della<br />

scoperta di una sua relazione con una Contarini) e Lecce, dove fondò l’Accademia dei Trasformati. Nel<br />

1569 si trasferì a Firenze, dove, entrato nelle grazie del granduca, rimase fino alla morte. Scrittore molto<br />

versatile, fu poeta, storico, novelliere, commediografo e moralista. La sua fama è comunque soprattutto<br />

legata alle Istorie fiorentine (1600-1647) (cfr. D.B.I., III, pp. 1-4; A. Vallone, Scipione Ammirato poeta, in: “Studi<br />

e ricerche di letteratura salentina”, Lecce, 1959, pp. 29-96).<br />

Edit16, CNCE1565. Index Aureliensis, 104.844. € 1.500,00<br />

PRIMO ESEMPIO A STAMPA DI BORDURA ORNAMENTALE SU FONDO NERO<br />

11) APPIANUS ALEXANDRINUS (fl. II secolo d.C.)-DECEMBRIO, Pier Candido tr. (1399-<br />

1477). [Historia romana] [pars prima]. In fine: Venezia, Erhart Ratdolt, Bernhard Maler e<br />

Peter Löslein, 1477.<br />

In 4to grande (cm 28); bella legatura del XVIII secolo in marocchino rosso, piatti con elaborate decorazioni<br />

floreali impresse in oro, dorso a sei nervi con fregi e titolo in oro, risguardi in carta marmorizzata, titolo<br />

manoscritto sul taglio laterale; cc. (132, di cui la 1 bianca). Carattere romano. 32-33 linee. Alla carta a 2 il<br />

testo è incorniciato dalla prima bordura ornamentale su fondo nero ad apparire in un testo a stampa (cfr.<br />

A.M. Hind, An Introduction to a History of Woodcut, New York, 1963, II, p. 458 e sgg.). Inoltre con sei grandi<br />

iniziali xilografiche ornate, sempre su fondo nero. Numerose annotazioni marginali coeve. Piccoli fori<br />

tondi di tarlo all’inizio e alla fine del volume, qualche lieve arrossatura, ma bellissima copia di grande<br />

freschezza e a pieni margini.<br />

EDITIO PRINCEPS della Historia Romana dello storico alessandrino Appiano nella traduzione latina<br />

dell’umanista pavese Pier Candido Decembrio. Un secondo volume, contenente il De bellis civilibus<br />

Romanorum, fu stampato da Ratdolt nello stesso anno, ma i due volumi si trovano spesso separati. Il De<br />

bellis civilibus Romanorum, sempre nella versione del Decembrio, era già apparso nel 1472 preso i torchi di<br />

Vindelino da Spira.<br />

La Storia Romana, conclusa intorno al 160 d.C., abbandona l’ordinamento annalistico della materia in<br />

favore di un resoconto basato sulle storie locali dei vari popoli e paesi che componevano l’impero, a partire<br />

dalla loro sottomissione e incorporazione nell’impero stesso. Dei ventiquattro libri di cui era composta, ne<br />

sono rimasti integri solamente dieci (dal VI all’VIII e dal XI al XVII). La storia di Roma dalle origini alla<br />

morte dell’imperatore Traiano è quindi narrata attraverso vari capitoli monografici: età regia, storia italica,<br />

storia sannitica, storia celtica, storia siciliana ed isolana, storia iberica, storia annibalica, storia libica,<br />

storia macedonica ed illirica, storia ellenica e ionica, storia mitridatica, guerre civili (libri XIII-XVII), storia<br />

egizia, conquiste degli imperatori fino a Traiano, storia dacica, storia arabica. La parte più significativa<br />

dell’opera e di maggior successo editoriale è quella che descrive le guerre civili.<br />

Appiano visse tra Alessandria e Roma durante i regni di Traiano, Adriano e Antonino Pio. Fu avvocato ed<br />

ottenne la carica di procuratore nella provincia d’Egitto.<br />

Nato a Pavia, figlio del vigevanese Uberto Decembrio che fu uno dei primi umanisti lombardi, P.C. Decembrio<br />

seguì le orme paterne, formandosi nelle belle lettere e nelle arti liberali. Nel 1419 fu chiamato da Filippo<br />

Maria Visconti alla corte milanese in qualità di segretario. Dopo la morte di quest’ultimo (1447), Decembrio<br />

parteggiò per la Repubblica Ambrosiana, che lo inviò ambasciatore in Francia per chiedere soccorso contro<br />

Francesco I Sforza, che stava per sottometterla: egli stesso fu poi incaricato di consegnare al nuovo padrone<br />

le chiavi della città. In seguito all’insediamento del nuovo regime, nel 1450 esulò a Roma, dove papa<br />

Niccolò V lo nominò segretario apostolico; ruolo che svolse anche sotto il suo successore, Callisto III. Ebbe<br />

- 11 -


poi simile incarico dal re di Napoli, Alfonso d’Aragona. Nel 1459, riconciliatosi con il duca Francesco,<br />

tornò a Milano. Tra il 1466 e il 1474 fu a Ferrara allo corte di Borso d’Este. Rientrato definitivamente a<br />

Milano, una malattia improvvisa pose termine alla sua vita il 12 novembre 1477. Fu tumulato in un fastoso<br />

sepolcro nella basilica di Sant’Ambrogio.<br />

La straordinaria produzione del Decembrio (gli sono attribuite centoventisette opere) si divide essenzialmente<br />

tra le traduzioni e le opere storiche. Tradusse dal greco in latino parte dell’Iliade, la Ciropedia di<br />

Senofonte, alcune Vite di Plutarco, le Storie di Appiano, la Repubblica di Platone; dal latino in italiano i<br />

Commentari di Giulio Cesare, la Storia di Curzio Rufo, la prima decade di Tito Livio. Scrisse un Compendio<br />

di Storia Romana, un riassunto delle Vite di Plutarco, la Peregrina Istoria sulle magistrature romane e, soprattutto,<br />

le Vite dei duchi Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza sulla base del modello svetoniano.<br />

Hain, 1307. Essling, 221. Sander, 482. Goff, A-928. BMC, V, p. 244. S.F.W. Hoffmann, Bibliographisches<br />

Lexicon der gesammten Literatur der Griechen, Leipzig, 1838, I, pp. 215-216. € 15.000,00<br />

«IL MAGNO VITEI WAS THE FIRST PROSE ROMANCE OF SIGNIFICANT LENGTH<br />

TO MARVEL AT ASIAN RULERS AND THE NATIONS THEY GOVERNED»<br />

12) ARRIVABENE, Lodovico (ca. 1530-1597). Il Magno Vitei di Lodovico Arrivabene Mantoano.<br />

In questo libro, oltre al piacere, che porge la narratione delle alte cavallerie del glorioso Vitei primo<br />

Ré della China, et del valoroso Iolao, si hà nella persona di Ezonlom, uno ritratto di ottimo Prencipe,<br />

et di Capitano perfetto. Verona, Girolamo Discepolo, 1597.<br />

In 4to (cm 19,5); legatura posteriore in piena pelle, dorso a nervi, taglio picchiettato (spellature e piccole<br />

mancanze); pp. (24), 526 [i.e 576, recte 578], (22, di cui le ultime 2 bianche). Molteplici errori di numerazione<br />

delle pagine. Marca tipografica al titolo. Alcuni fascicoli un po’ bruniti, lievi fioriture sparse, piccolo<br />

strappo al margine bianco di una carta, per il resto ottima copia marginosa.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE (2 a Verona 1599 con il titolo Istoria della<br />

China), dedicata a Francesco Maria II della Rovere, dell’ultima e<br />

più importante opera di L. Arrivabene.<br />

«Exemples of the use of China as exemplar exist at least as early as<br />

the sixteenth century. In the Baroque era, the romance of chivalry<br />

was followed by the heroic-gallant romance and the novel. Lodovico<br />

Arrivabene’s Il magno Vitei (The great Vitei) (1597) was the first<br />

prose romance of significant length to marvel at Asian rulers and<br />

the nations they governed. As the “first king of China”, Vitei is<br />

portrayed as an excellent prince who presides over the most<br />

virtuous nation known to mankind. Vitei’s military exploits against<br />

neighbouring nations, his learning, inventions, and virtue, are all<br />

celebrated by Arrivabene. Asia is shown as a land of both real and<br />

fabulous wonders. This Italian homily is an early example of what<br />

was to become in the eighteenth century a more widespread notion<br />

that China was a model society which Europe should emulate.<br />

China is depicted by Arrivabene as a highly organized society<br />

with exceptional lay morality ruled by exemplary princes with<br />

model governance. Il magno Vitei was later followed by Lob des<br />

Krieges-Gottes (Praise of the God of War) (1628) by the father of<br />

German Baroque poetry Martin Opitz» (C. Stamy, Oriental<br />

Precedents: The Novelty of America and Its Modernist Reform, in:<br />

“Marianne Moore and China: Orientalism and a Writing of<br />

America”, Oxford, Oxford, 2000, pp. 1-27).<br />

«Una cospicua tradizione culturale arricchisce la trama di quest’opera:<br />

dalla letteratura di gusto alessandrino (con il consueto repertorio di avventure picaresche, descrizioni<br />

di tempeste ed incredibili riconoscimenti) alla più recente produzione epico-cavalleresca, dalla<br />

didascalica scientifica (l’autore cerca di spiegare le eclissi, i terremoti in Giappone, il flusso e riflusso<br />

dell’oceano) alla precettistica politica dettata da un rigido ideale morale-religioso… [L’opera] ci mostra<br />

l’evoluzione del genere epico-cavalleresco dal poema al romanzo in prosa; l’affermarsi di un particolare<br />

tipo di eroe, cavaliere saggio e virtuoso che vive nel clima religioso e moralistico della Controriforma; quella<br />

tendenza infine a rinnovare e ad ampliare il vecchio contenuto dei poemi che contribuirà nel corso del ‘600<br />

e del ‘700 alla diffusione del genere romanzesco “eroico-galante” presso un vasto pubblico di lettori» (cfr.<br />

D.B.I., IV, pp. 329-331).<br />

- 12 -


«Attorno alle gesta gloriose di Ezonlon, governatore della Cina, e del figlio Vitei, [Arrivabene] trova modo<br />

di dissertare d’arte (è la scultura superiore alla pittura?) e di scienza (l’oceano raggiunge un livello più alto<br />

della terra? si muove quest’ultima? si possono prevedere terremoti e tempeste? come avvengono le eclissi?),<br />

di costumi (auguri, sortilegi, duelli, popoli e paesi) e di morale (l’amicizia, la ragione e gli animali), di<br />

strategia militare, invenzioni straordinarie, creature tutte spirituali, mostri e animali favolosi, e così via<br />

seguitando» (G. Raya, Il romanzo, Milano, 1950, pp. 97-98).<br />

«In quest’opera l’autore imitò assai felicemente lo stile del Boccaccio; la qual cosa essendo al suo tempo da<br />

molti disapprovata, dettò una lunga apologia nella lettera A’ Benigni et intendenti lettori, che vi ha premessa.<br />

Nell’opera leggionsi particolari racconti, tra’ quali sono a guisa di Novella esposte Le sceleratezze di Tiatira»<br />

(G. Passano, I Novellieri italiani in prosa, Torino, 1878, I, pp. 29-30).<br />

L. Arrivabene, mantovano, figlio di Leonardo, che ricoprì diversi incarichi pubblici per i Gonzaga, fu tra il<br />

1549 e il 1559 a Parigi al seguito del padre alla corte di Caterina de’ Medici. Nella capitale francese conobbe<br />

il famoso medico Jacques Dubois, alla morte del quale scrisse il dialogo satirico Sylvius Ocreatus (Parigi,<br />

1555), in cui cerca di screditare i medici francesi a vantaggio di quelli italiani e si scaglia in particolare<br />

contro F. Rabelais. Nel 1565 lo troviamo a Canneto sull’Oglio in qualità di arciprete della chiesa parrocchiale.<br />

Nel 1566 si recò a Bologna a terminare gli studi letterari e giuridici. Nel 1589 divenne vicario<br />

generale del vescovo di Mantova. Fra le sue numerose opere ricordiamo il Mascheromastige (1590) e il<br />

Dialogo delle cose più illustri di Terra Santa (1592).<br />

Edit16, CNCE 3156. L. Carpané - M. Menato, Annali della tipografia veronese del Cinquecento, Baden-Baden,<br />

1994, II, 617. B. Gamba, Delle novelle italiane in prosa, Firenze, 1835, pp. 80-81, nr. 33. Index Aureliensis,<br />

109.057. € 1.800,00<br />

13) AUBERT, Guillaume (1534?-1601). Elegie sur le trespas de feu Ioachi. Du Bellay Ang.<br />

Paris, Frédéric Morel, 1560.<br />

In 4to (cm 23); mezza pelle recente; cc. (6) di cui 1 bianca. Marca tipografica sul titolo. Bellissimo esemplare<br />

reglé.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa elegia sulla morte di Joachim Du Bellay (c. 1522-1560), il più importante<br />

poeta della Pléiade dopo Pierre de Ronsard.<br />

Nato da una famiglia di diplomatici, alti prelati (era nipote del Cardinale Du Bellay) e militari, cominciò<br />

tardi gli studi a causa della salute cagionevole. Costretto a letto per due anni , si mise a leggere i poeti e<br />

desiderò condividerne le glorie. I suoi felici e rapidi successi in poesia lo fecero accogliere alla corte di<br />

Francesco I e di sua sorella, la regina di Navarra. Entrò a far parte della Pléiade e nel 1549 pubblicò<br />

l’importantissimo manifesto Défence et illustration de la langue française, che propugnava un rinnovamento<br />

ed arricchimento del francese attraverso l’imitazione dei<br />

testi greco-latini ed italiani.<br />

La raccolta di sonetti l’Olive (1549-50) rappresenta una<br />

pietra miliare nella storia letteraria francese, essendo un<br />

esempio pratico dei precetti della Défence.<br />

A Roma, dove si era recato nel 1553 e dove visse quasi<br />

quattro anni presso lo zio cardinale, Du Bellay scrisse Les<br />

regrets che contengono i suoi versi più belli. In essil’autore<br />

plasma la forma del sonetto in un mezzo adatto ad esprimere<br />

i pensieri ed i sentimenti più personali. La vena<br />

elegiaca, che richiama Ovidio, si mescola con quella satirica<br />

di Orazio e della poesia burlesca contemporanea italiana<br />

(cfr. G.H. Tucker, Joachim du Bellay, poète français et<br />

néolatin entre exile et la patrie, in: “Revue de literature<br />

française comparée”, 3, 1994, pp. 57-63).<br />

Guillaume Aubert, nato a Poitiers, fu avvocato al Parlamento<br />

di Parigi e autore di numerose opere letterarie. Tradusse<br />

in francese i dodici libri di Amadigi di Gaula (1555)<br />

e la sua Oraison de la paix (1559) ne fece un precursore<br />

della Lega delle Nazioni. Nel 1569 curò l’edizione delle<br />

opere francesi del suo amico du Bellay. Lasciò anche alcuni<br />

scritti storici e giuridici (cfr. G. Fagniez, a cura di,<br />

Mémorial juridique et historique de G. Aubert, in: “Memoires<br />

de la Société de l’Histoire de Paris”, XXXI, 1909, pp. 47-82).<br />

- 13 -


Adams, A-2117. Index Aureliensi, 109.622. A. Cioranesco, Bibliographie de la literature française du 16 e siècle,<br />

Paris, 1959, p. 90, nr. 2672. € 650,00<br />

14) AUGUSTINUS, Aurelius Sanctus (354-430). De civitate Dei cum commento. In fine: Venezia<br />

Boneto Locatelli per Ottaviano Scoto, 18 febbraio 1489.<br />

In folio (cm 30,5); legatura del XVIII secolo in mezza pelle verde, dorso a tre nervi con fregi, tassello e titolo<br />

in oro, tagli rossi (piccole mancanze al dorso); cc. 264 non numerate. Con una bella xilografia a piena<br />

pagina al verso del titolo tratta dall’edizione basileese di Amerbach del 1489. Marca tipografica dello Scoto<br />

al recto dell’ultima carta. Stampato su due colonne con il commento posto a cornice del testo. Iniziali in<br />

rosso e blu. Sul frontespizio firma di appartenenza (Liber mei Joañis Montigio) e due timbri. Esemplare<br />

proveniente dalla collezione Walter Ashburner. Lievi aloni marginali, ma bellissima copia fresca e<br />

marginosa.<br />

BELLA EDIZIONE INCUNABOLO del De civitate Dei accompagnato dal canonico commento medievale<br />

di Thomas Waleys (ca. 1287-1350) e Nicholas Trivet (ca. 1258-1328), che, apparso per la prima volta<br />

nell’edizione di Strasburgo di Johann Mentelin del 1468, non era stato incluso nella precedente edizione<br />

del Locatelli (1486).<br />

La bella xilografia raffigura, nella parte superiore, Agostino intento a scrivere sul suo leggio; nella parte<br />

inferiore, le città di Gerusalemme e Babilonia, con i loro rispettivi fondatori Abele e Caino, separate da un<br />

fiume.<br />

Hain, 2065. GW, 2889. BMC, V, p. 437. Goff, A-1245. OCLC, 21697235. Sander, 670. € 8.500,00<br />

15) AVVISI EDITORIALI DAL 1773 AL 1899. Gruppo di 20 interessanti avvisi editoriali<br />

(chiamati anche avvisi tipografici o sottoscrizioni), stampati fra il 1773 e il 1899.<br />

Ogni avviso promuove una o più opere, fornendo il piano editoriale, se si tratta di più volumi, descrivendo<br />

i contenuti del libro, sollecitando in certi casi la sottoscrizione, indicando i dati tipografici, il formato e il<br />

prezzo, anche in relazione al tipo di carta impiegata.<br />

Diamo di seguito un elenco essenziale per editori del materiale offerto: descrizioni più dettagliate sono<br />

disponibili su richiesta.<br />

PEZZANA (Eredi di). La Sacra Bibbia volgarizzata da N. Malermi. Volumi sette. Venezia, 1773. Avviso in 4to<br />

grande di pp. 4.<br />

VALVASENSE. Della santità e de’ doveri dei sacerdoti di Mons. Compaing. Venezia, 1782. Un foglietto in 8vo<br />

stampato solo al recto di cm 21x15.<br />

ZATTA e figli. Opere del Sig. Ab. Pietro Metastasio. Tomo I. Venezia, 1794. Un opuscolo in 12mo (cm 14x8,5)<br />

di pp. 12 + 1 tavola in rame di Novelli che accompagna la scena nona del’atto terzo dell’Attilio Regolo.<br />

Precede un discorso dello Zatta sull’edizione «che sarà divisa in tomi 8 in 12 tascabile». Segue (pp. 9-12)<br />

Opere in corso di Associazione e Carte geografiche recentemente pubblicate. Brossura azzurra orginale.<br />

CURTI q. Mario. Fusinieri, A. Ricerche meccaniche. Venezia, 1797. Un foglietto in 8vo (cm 20x14,5) stampato<br />

su ambo i lati.<br />

PASQUALI, Giustino q. Mario (nominato dal Gov. Provv. francese tipografo municipale insieme a Zatta e<br />

Pinelli). Si annuncia la ristampa dei Poemi interi del “Parnaso Italiano” (al recto) e il Prospetto di una nuova<br />

edizione delle Tragedie del Co. Vittorio Alfieri (al verso). Venezia, 1797. Un foglietto in 8vo (cm 20x14).<br />

SILVESTRI. Cinque avvisi: G. Pozzi, Callopistria. Arrigo da Settimello, Arrighetto. Avvertimenti di Lord<br />

Chesterfield. Associazioni varie (pp. 4). Vico, Principj (pp. 4). In 12mo e in 8vo. Anni 1815 e 1816.<br />

STAMPERIA DEL SEMINARIO DI PADOVA. Tre avvisi stampati sul recto di tre foglietti volanti di cm<br />

19x12: Edizioni della stamperia del Seminario di Padova recentemente pubblicate… In corso di stampa; Collectio<br />

classicorum latinorum; Bibliotheca classica poetarum greacorum. Novembre 1820.<br />

VINCENZI e C. Agli amatori delle belle arti. Annuncia la pubblicazione di un volume «in folio reale aperto<br />

carta velina fina, con caratteri de signori fratelli Amoretti di Parma», con 40 tavole. Modena, 1822. Un foglio<br />

di cm 29x20 stampato solo sul recto. L’opera uscirà con modifiche nel 1834.<br />

MARZORATI-VERCELLOTTI e comp. “Manifesto d’Associazione” a Bibl. Economica, opere di Religione<br />

e altro. Torino, 1829. In 4to di pp. 4.<br />

GIUNCHI. “Associazione allo Specchio Geografico”. In 8vo. Bella copertina con cornici in legno e pp. 4 di<br />

testo + 1 bollettino sciolto da spedire per associarsi. Roma, 1831.<br />

VALLARDI. Manuale calcografico. In 8vo di pp. XVI. Le pp. 2-15 contengono un importante manifesto<br />

programmatico, cui fa seguito la descrizione della nuova opera con i prezzi. Milano, 1832.<br />

CARDINALI. Biblioteca del negoziante compilata da B.P. Sanguinetti. Cm 27x21. Modena, 1835. L’editore<br />

- 14 -


Cardinali era bolognese. L’opera non fu apparentemente mai pubblicata.<br />

PASTORI e Comp. Missel. Paris, 1840. In 8vo grande di pp. 8 + 4. Con una tavola in legno acciaiato a tutta<br />

pagina e un bollettino di sottoscrizione sciolto.<br />

SASSI. De’ Brignoli (opera sui fiori). Modena, 1846. In 8vo di pp. 4. L’opera non fu apparentemente mai<br />

pubblicata.<br />

TIPOGRAFIA DEL COMMERCIO. Arte vetraria di B. Cecchetti. In 8vo grande, copertina illustrata, pp. 18,<br />

(2). Venezia, 1861.<br />

AGNELLI. Cantù. Milano, storia del popolo e pel popolo. In 16mo di pp. 10, (2). Milano, 1871.<br />

BOCCA. Groppali. Genesi sociale. In 16mo di pp. 4. 1899.<br />

€ 1.900,00<br />

16) [BALDINI, Baccio (m. 1590 ca.)]. Discorso sopra la Mascherata della Genealogia degl’Iddei<br />

de’ Gentili. Mandata fuori dall’Illustrissimo, et Eccellentiss. S. Duca di Firenze, et Siena Il giorno 21<br />

di Febbraio MDLXV. In Firenze, Appresso i Giunti, 1565 (in fine 1566).<br />

In 4to (cm 20,5); pergamena rigida settecentesca, risguardi marmorizzati (piccoli difetti al dorso e agli<br />

angoli); pp. (4), 5-88, 97-132 (recte 124), (4). Arme medicea in legno sul titolo e grande marca tipografica al<br />

verso dell’ultima carta. Capilettera e testate in legno. Con numerose postille manoscritte esplicative di<br />

mano antica. Titolo e prime carte un po’ arrossate, ma nel complesso ottima copia marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa descrizione della festa e della processione,<br />

che ebbero luogo di notte, con l’illuminazione di migliaia di<br />

torce, l’ultimo giovedì di carnevale in occasione delle celebrazioni<br />

per il matrimonio di Giovanna, figlia dell’imperatore Ferdinando,<br />

con Francesco de’ Medici, figlio maggiore di Cosimo I, duca di Firenze.<br />

Particolarmente interessante la descrizione dei ventuno Carri, che<br />

formavano l’elaborato corteo ideato da Vincenzo Borghini, che, come<br />

ha messo in rilievo il Seznec (La Masquerade des Dieux à Florence en<br />

1565, in “Mélanges d’archéologie et d’histoire”, 52, (1935), pp. 224-<br />

243), trasse ispirazione dal trattato iconografico Le Immagini de gli<br />

Dei del Cartari. Giunse tuttavia a tali commistioni e sottigliezze che<br />

il pubblico non fu in grado di capire alcunchè, come ci riferisce lo<br />

stesso Baldini in apertura.<br />

«Giorgio Vasari designed the twenty-one triumphal chariots besides<br />

hundreds of costumes for those who walked in the procession» (A.M.<br />

Nagler, Theatre Festivals of the Medici 1539-1637, New Haven, 1964,<br />

p. 24). Circa centocinquanta disegni originali realizzati dal Vasari<br />

per l’occasione si trovano oggi conservati presso la Biblioteca<br />

Nazionale di Firenze.<br />

L’opera si apre con le quattro Canzoni della Mascherata e si chiude con<br />

un Epigramma di Bartolomeo Panciatichi e con un componimento<br />

intitolato De Triumphis Deorum in Nuptiis Francisci Medicis, et Ioannae<br />

Austriacae, opera dell’allora tredicenne Lorenzo Giacomini.<br />

Sul Baldini vedi F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole, 1843, XII,<br />

164 e G.M. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, Brescia, 1753, II, 132. Melzi, I, 341. Razzolini, p. 33. Moreni, I,<br />

66. L.S. Camerini, I Giunti tipografi editori di Firenze, Firenze, 1979, nr. 365. € 1.500,00<br />

17) BARBARO, Francesco (1390-1454). De re uxoria libelli duo. Paris, Josse Bade, (2 giugno<br />

1514).<br />

In 4to (cm 19); legatura posteriore realizzata utilizzando probabilmente i piatti originali, che recano al<br />

centro un grande fregio a secco e la data 1513 (forse aggiunta successivamente), risguardi in carta<br />

marmorizzata, tagli rossi originali; cc. XXXIII, 1 bianca. Marca tipografica al titolo. Margine superiore un<br />

po’ corto, che in alcuni casi sfiora il titolo corrente, per il resto ottima copia reglée recante varie belle inziali<br />

colorate in rosso, blu, verde e oro.<br />

SECONDA EMISSIONE DELLA PRIMA EDIZIONE del tutto identica alla prima, apparsa il 7 ottobre<br />

1513, con la sola modifica del colophon sulla penultima carta.<br />

Essa fu edita dal giureconsulto francese André Tiraqueau (1488-1558), che proprio allora andò in sposo a<br />

- 15 -


Marie Cailler, come si può leggere nella dedica allo suocero<br />

Arthur Cailler. Tiraqueau aveva pubblicato nel 1513 il De<br />

legibus connubialibus, in cui forniva una definizione del quadro<br />

giuridico del matrimonio diversa da quella proposta dal<br />

Barbaro.<br />

Il De re uxoria rappresenta uno dei più influenti trattati<br />

rinascimentali sul matrimonio e lo status giuridico della donna,<br />

come testimoniano le numerose ristampe e le traduzioni in<br />

inglese, francese, tedesco ed italiano. Ma Barbaro non si è limitato<br />

a fornire alle mogli semplici istruzioni circa le loro obbligazioni<br />

personali e domestiche. Egli ha voluto porre la famiglia<br />

alla base del sistema politico aristocratico di Venezia, sua<br />

città natale. Anche se è scritto per un amico dell’aristocrazia<br />

fiorentina, il trattato riflette infatti i valori della classe dirigente<br />

veneziana.<br />

Nel Libro I sono discussi due argomenti fondamentali: la natura<br />

del matrimonio e la scelta di una moglie; nel libro II i<br />

doveri della moglie verso il marito, la famiglia e i figli. I due<br />

principali doveri di una moglie sono indicati nella gestione<br />

della famiglia e nell’educazione dei bambini, due ambiti cui<br />

Barbaro attibuisce una notevole responsabilità. Le attività domestiche<br />

includono la formazione e la vigilanza dei servi e<br />

l’approvvigionamento e la gestione quotidiana della famiglia.<br />

La cura e la formazione dei bambini sono tuttavia considerati<br />

come il compito più importante.<br />

«With his emphasis in the De re uxoria on the family as the basic unit of state and society, and on the duties<br />

of wives in this context, Barbaro created a new literary genre. Aided by his studies of works from Greek<br />

antiquity on similar themes, Barbaro gave the conventional treatise on family life a new twist. He was to be<br />

followed by such famous works as Leon Battista Alberti’s Della familia and Vegio’s treatise on the education<br />

of children, as well as several tracts on matrimony by humanist friends, including Guiniforte Barzizza,<br />

Poggio Bracciolini, and Giovanni Antonio Campano. But the De re uxoria stands as a pioneering work on<br />

the subject of love, marriage, and family among the aristocratic classes of Europe in the early modern<br />

period» (B.G. Kohl-R.G. Witt., a cura di, The Earthly Republic. Italian Humanists on Government and Society,<br />

Manchester, 1978, pp. 186-187).<br />

Francesco Barbaro, di nobile e ricca famiglia veneziana, studiò letteratura latina e retorica sotto Giovanni<br />

Conversini e Gasparino Barzizza. Nel 1398 seguì il suo maestro a Padova, presso la cui università conseguì<br />

nel 1412 il dottorato in arti. In qugl’anni egli conobbe anche il dotto veneziano Zaccaria Trevisan, che<br />

lo istruì nei rudimenti del greco. Durante un soggiorno a Firenze, strinse amicizia con i letterati Leonardo<br />

Bruni, Poggio Bracciolini e Ambrogio Traversari e con il magnate Lorenzo de’ Medici, per il cui matrimonio<br />

con Ginevra Cavalcanti egli pensò e scrisse il De re uxoria. Anche se il trattato ricevette le lodi di Guarino<br />

Veronese, Poggio Bracciolini e Pier Paolo Vergerio, Barbaro non compose altre opere. Di nuovo a Venezia,<br />

nel 1419 sposò la giovane nobildonna veneziana Maria Loredan e cominciò la sua carriera di statista,<br />

venendo eletto membro del Senato all’età eccezionalmente precoce di ventinove anni (cfr. P. Gothein,<br />

Francesco Barbaro. Frühhumanismus und Staatskunst in Venedig, Berlin, 1932, pp. 63-71).<br />

Index Aureliensis, 112.869 Ph. Renouard, Bibliographie des impressions et des oeuvres de Josse Badius Ascensius,<br />

Paris, 1908, II, p. 144, nr. 2. G. Müller, Bildung und Erziehung im Humanismus der italienischen Renaissance,<br />

Wiesbaden, 1969, pp. 165, 186. R. Kelso, Doctrine for the Lady of the Renaissance, Urbana (IL), 1956, p. 333, nr.<br />

65. € 2.200,00<br />

18) BAROZZI, Jacopo detto il Vignola (1507-1573). Regola delli cinque ordini d’architettura di<br />

M. Iacomo Barozzio da Vignola. Bologna, Giuseppe Longhi, [seconda metà del XVII secolo].<br />

In folio (cm 42); tutta tela della seconda metà del XIX secolo con titolo in oro al dorso; XLV tavole incise<br />

incluso il frontespizio con il ritratto dell’autore e la dedica datata 18 agosto 1635. Dalla tavola XXXVIII, che<br />

contiene un bel ritratto di Michelangelo, comincia la Nuova et ultima aggiunta delle porte d’architettura di<br />

Michelangelo Buonarroti. Piccolo strappo anticamente restaurato al verso del frontespizio lontano dal testo,<br />

leggero alone nel margine interno delle ultime carte, qualche lieve fioritura, ma nel complesso ottima copia<br />

marginosa. Ottima impressione delle tavole.<br />

- 16 -


Ristampa bolognese dell’edizione senese di Bernardino Oppi del 1635.<br />

M. Walcher Casotti, Le edizioni della Regola, in: “Pietro Cataneo. Giacomo Barozzi da Vignola. Trattati”, a<br />

cura di E. Bassi, Milano, 1985, p. 546. ICCU, IT\ICCU\VIAE\000350. € 1.500,00<br />

CON UNA LETTERA INEDITA DI AMERIGO VESPUCCI<br />

19) BARTOLOZZI, Francesco (1728-1815). Ricerche istorico-critiche circa alle scoperte d’Americo<br />

Vespucci con l’aggiunta di una relazione del medesimo fin ora inedita compilate da Francesco<br />

Bartolozzi [segue:] Apologia delle ricerche istorico-critiche circa alle scoperte d’Amerigo Vespucci<br />

alle quali puo servire d’aggiunta scritta da Francesco Bartolozzi in confutazione della lettera seconda<br />

allo stampatore data col nome del padre Canovai delle Scuole Pie. Firenze, Gaetano Cambiagi, 1789.<br />

Due opere in un volume in 8vo (cm 18,8); mezza pergamena di poco posteriore con titolo manoscritto al<br />

dorso; pp. 182, (2) + pp. 40. Ottima copia intonsa con barbe.<br />

PRIMA EDIZIONE. Il capitolo finale della prima opera contiene una lettera di Amerigo Vespucci a Lorenzo<br />

di Pier Francesco de’ Medici riguardante il suo terzo viaggio nelle Americhe.<br />

Francesco Bartolozzi, fiorentino, fu uno dei maggiori incisori del suo tempo. Attivo a Londra dal 1764 al<br />

1801, fu membro della Royal Academy e collaborò proficuamente con Angelica Kauffmann.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\SBLE\007919 e IT\ICCU\LIAE\020970. Sabin, 3800 e 3799. Ch. Leclerc, Bibliotheca<br />

americana, Paris, 1867, nr. 121. € 550,00<br />

IL FONDATORE DEL CONCETTO PARASSITARIO DI INFEZIONE<br />

20) BASSI, Agostino (1773-1856). Del mal del segno calcinaccio o moscardino malattia che affligge<br />

i bachi da seta e sul modo di liberarne le bigattaje anche le più infestate. Opera… la quale tratta<br />

altresì delle malattie del negrone e del giallume e del miglior governo de’ filugelli. [Parte 1a Teoria<br />

e Parte 2a Pratica]. Novara, Nella Stamperia Rasario, a spese dell’Autore, 1836. Cm 22,5. Pp.<br />

XI, (1 bianca), 67, (3) + pp. XIV, 60, (2).(legato con:)<br />

IDEM. Memoria… in addizione alla di lui opera sul calcino in cui si espongono nuove pratiche e si<br />

rendono più facili e più economiche le già esposte. Unitevi le relazioni dei vantaggi ottenuti già da<br />

molti coltivatori dei bachi da seta coll’uso degli insegnamenti dell’autore ed altre notizie relative.<br />

Novara, Nella Stamperia Ibertis già Rasario, a spese dell’Autore, 1837. Cm 21. Pp. (6), 38, (4), 24.<br />

Due opere in un volume in 8vo, legatura coeva in mezza pelle, dorso con decorazioni e titolo in oro (piccola<br />

mancanza alla parte inferiore del dorso). Minime fioriture, ma ottima copia in parte ancora a fogli chiusi.<br />

RARISSIMA EDIZIONE novarese uscita a spese dell’autore subito dopo la prima di Lodi (1835-1836) e<br />

prima di quella milanese del ’37, universalmente considerata come la seconda. Della Memoria, forse qui in<br />

edizione originale, sono rintracciabili solamente due edizioni, entrambe del 1837, una stampata a Milano,<br />

l’altra a Torino. Si tratta di un supplemento, pressoché sconosciuto, alle due parti dell’opera principale sul<br />

calcino.<br />

Già a partire dal 1807 Bassi aveva cominciato ad interessarsi alla malattia dei bachi da seta allora conosciuta<br />

in Italia come mal del segno o calcino o calcinaccio, a causa dell’efflorescenza bianca prodotta dai<br />

bachi morti. Dopo vent’anni di studi, scoprì che la causa della malattia risiedeva nel contagio di un fungo<br />

parassitario, che poteva essere combattuto disinfestando i luoghi contaminati con sostanze chimiche come<br />

il cloruro di calcio o il nitrato di potassio. Finalmente le teorie sul contagio di Fracastoro e Kircher ricevevano<br />

una solida base scientifica. In qualità di pioniere e fondatore della dottrina dei microbi parassitari, egli<br />

precorse e influenzò Swann, Pasteur, che molto da qui attinse nei suoi Studi sulle malattie dei bachi da seta<br />

(1870), e Koch (cfr. A. Pazzini, The influence of Agostino Bassi on the Evolution of Microbiology, in: “Scientia<br />

Medica Italica”, 3, 1954, pp. 187-195).<br />

Il Bassi, nativo di Mairago presso Lodi, dopo la laurea in legge, abbracciò per alcuni anni la carriera<br />

politica, rivestendo diverse cariche amministrative e diplomatiche sia a Lodi che all’estero. Costretto a<br />

rinunciare ad ogni incarico a causa di un’affezione oculare che lo porterà negli ultimi anni di vita al limite<br />

della cecità, si dedicò interamente all’attività agricolo-zootecnica (coltivazione e allevamento razionali,<br />

viticoltura sperimentale) e a quegli esperimenti scientifici che gli daranno fama internazionale. Essi vennero<br />

condotti in un podere detto “La Fracchia” e in un fondo di sua proprietà, dove egli aveva fra l’altro eretto<br />

una “casara”, che, per il metodo razionale di lavorazione del latte per farne formaggio e per il metodo di<br />

tenuta, mirava a servire da modello. Oltre alle opere sulle malattie dei bachi da seta, scrisse diversi saggi<br />

dedicati alle patate, al vino e alla parassitologia in generale.<br />

Garrison Morton, 2532 (1a edizione). Wellcome, II, p. 112 (edizione di Milano). ICCU, IT0061461 e IT0582525<br />

(Memoria, edizione di Milano). D.S.B., I, pp. 492-493. € 850,00<br />

- 17 -


21) BENTIVOGLIO, Ercole (1507-1573). I fantasmi comedia. Venezia, Gabriel Giolito, 1544.<br />

In 8vo (cm 16); piena pelle moderna; cc. 36. Marca tipografica al titolo. Leggere fioriture, ma ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo riuscito adattamento<br />

della Mostellaria di Plauto (cfr. E.A. Sonnen-schein, a cura<br />

di, Titus Maccius Plautus ‘Mostellaria’, Oxford, 1957, p. XVI;<br />

inoltre F. Bertini, Un rifacimento rinascimentale di Plauto ‘I<br />

Fantasmi’ di Ercole Bentivoglio, in: “Respublica litterarum”,<br />

15, 1992, pp. 161-169).<br />

La scena si svolge a Ferrara, la lingua è moderna e la trama<br />

piena di invenzioni. Nel prologo Bentivoglio esprime la propria<br />

concezione della commedia, che egli vede come uno specchio<br />

che riflette la natura dell’uomo, un’imitazione della vita<br />

e un’immagine della verità. Nello stesso prologo sono poi<br />

elogiati gli antichi commediografi come maestri inarrivabili<br />

dell’arte e modelli da seguire (cfr. M.Ukas, Didactic Purpose in<br />

the ‘Commedia Erudita’, in: “Italica”, 36,1959, p. 199).<br />

Ercole Bentivoglio, rampollo di una nobile famiglia bolognese,<br />

nacque a Mantova poco prima della cacciata dei<br />

Bentivoglio da quella città. Sua madre Lucrezia era figlia illegittima<br />

di Ercole I d’Este. Dopo la morte di papa Giulio II i<br />

suoi genitori furono quindi autorizzati a trasferirsi a Ferrara<br />

e il giovane Ercole entrò a servizio dello zio, divenendo amico<br />

di Ludovico Ariosto. Nel 1534 pubblicò un breve poema<br />

d’amore intitolato Sogno amoroso. Quando Tullia d’Aragona<br />

si stabilì a Ferrara, egli compose per lei diversi sonetti. Durante<br />

le sue numerose missioni diplomatiche, Bentivoglio<br />

visitò diverse città italiane ed entrò in contatto con gli ambienti<br />

letterari veneziani. A Ferrara divenne membro dell’Accademia degli Elevati e più tardi della Accademia<br />

dei Filareti.<br />

Nel 1545 pubblicò la sua commedia di maggior successo, Il Geloso, e un anno dopo la sua opera letteraria<br />

più apprezzata, Le Satire. Intorno al 1550 si stabilì a Venezia, dove entrò a far parte dell’Accademia dei<br />

Pellegrini e divenne intimo di numerosi letterati veneziani, tra cui Anton Francesco Doni e Francesco<br />

Sansovino. Come un patrizio veneziano, egli partecipò anche ad alcune sessioni del ‘Maggior Consiglio’.<br />

Morì a Venezia nel 1573 (cf. R. Verdina, Umanisti e Cinquecentisti minori. I. Ercole Bentivoglio, in: ”Rivista di<br />

sintesi letteraria”, I/4, 1934, pp. 470-487).<br />

Edit16, CNCE. M. Bregoli Russo, Renaissance Italian Theater, Firenze, 1984, nr. 89. L.G. Clubb, Italian Plays<br />

(1500-1700) in the Folger Library, Florence, 1968, nr. 143. M.T. Herrick, Italian Comedy in the Renaissance,<br />

Urbana- London, 1966, p. 116. € 1.500,00<br />

CON UN CAPITOLO IN LODE DEL FORMAGGIO<br />

22) BENTIVOGLIO, Ercole (1507-1573). Le satire et altre rime piacevoli. Venezia, Gabriel<br />

Giolito, 1546.<br />

(legato con:)<br />

MORATO, Fulvio Pellegrino (d. 1549). Rimario de tutte le cadentie di Dante e Petrarca, raccolte…<br />

Novamente con la gionta rispampato. Venezia, Francesco Bindoni e Maffeo Pasini, 1546.<br />

Due opere in un volume in 8vo (cm 15,5); legatura della fine del XIX secolo in piena pelle con impressioni<br />

a secco sui piatti, tagli dorati (cerniera anteriore un po’ debole); cc. 26 + cc. (28). Marche tipografiche al titolo<br />

ed in fine. Ex-libris di George Dunn e Robert Samuel Turner. Dalla biblioteca di Giuseppe Martini. Leggere<br />

fioriture e lievi bruniture, ma ottima copia.<br />

(I) RARA PRIMA EDIZIONE. Bentivoglio fu insieme all’amico Ariosto il maggior autore di satire del<br />

Cinquecento italiano. Durante la sua vita e nel periodo immediatamente successivo alla sua morte, le sue<br />

sei satire furono ristampate per ben cinque volte unitamente ad altre opere poetiche o all’interno di collezioni<br />

antologiche (cfr. A. Corsaro, Ercole Bentivoglio e la satira cinquecentesca, in: “Studi di filologia e critica offerti<br />

dagli allievi a Lanfranco Caretti”, Roma, 1985, I, p. 119-147).<br />

Nella prima Satira sono ridicolizzati gli uomini che s’innamorano in età avanzata, facendo della loro<br />

passione l’unico motivo della loro vita. La seconda poesia, dedicata a Pietro Antonio Acciaioli, cancelliere<br />

presso la corte di Ferrara, è un resoconto delle atrocità commesse dai soldati spagnoli durante l’assedio di<br />

- 18 -


Firenze (1529), a cui Bentivoglio fu costretto a partecipare dal<br />

padre contro la sua volontà e durante il quale fu al comando<br />

di una compagnia di truppe pontificie. La terza satira è indirizzata<br />

al noto medico Antonio Musa Brasavola (1500-1555) e<br />

lamenta la mancanza di bravi medici. La satira quarta (verosimilmente<br />

dedicata a Marcantonio Flaminio) è un elogio della<br />

moderazione nella vita, mentre la quinta offre un quadro completo<br />

e singolarmente vivido della vita quotidiana di un gentiluomo<br />

ferrarese amante delle lettere: egli si alza con il sole, va<br />

alla toeletta evitando un eccessivo uso del profumo, trascorre<br />

un’ora nello studio («intento sopra i cari libri»), va a fare esercizio<br />

fisico fino all’ora di pranzo e, se è un giorno di festa,<br />

partecipa alla Messa; dopo pranzo, discorre di donne e di guerra<br />

e gioca un po’ a carte, poi si rimette di vuovo al lavoro per<br />

quattro ore; nel tardo pomeriggio esce di casa per passeggiare<br />

per un paio d’ore, divertendosi ad ascoltare i pettegolezzi degli<br />

aspiranti politici di piazza e le inevitabili oscenità sugli<br />

scandali dei religiosi; se incontra Ariosto, parla con lui di poesia,<br />

ridendo alle spalle di poetuncoli come Marco Guazzo;<br />

quindi rientra per la cena, dove trova un’allegra compagnia,<br />

che dopo mangiato si dedica a vari passatempi: chi va a letto,<br />

chi gioca a dadi, chi s’impegna in altre attività innominabili;<br />

ma il poeta si rimette sui libri. Le sesta ed ultima satira ritorna<br />

al tema di una vita tranquilla e sobria.<br />

Tra i componimenti contenuti nel volume merita una menzione<br />

a parte il lungo capitolo in lode del formaggio. «This process<br />

also emerges in more modern times, when cheese had<br />

enthusiastic admirers and won the praise of individuals such<br />

as Ercole Bentivoglio, from Ferrara, the sixteenth century author<br />

of a long poem (in terzina form), praising the milk product:<br />

‘Cheese is he principal human nourishment’, he begins,<br />

proclaiming the nobility of cheese, which only fools could describe as vulgar and plebeian: ‘People who are<br />

coarse and of little discernment say that it is he food of country folk’. It gives strength to the body (‘nor do<br />

I believe that a man can be vigorous without eating plenty of it’) and adds flavor to many dishes (‘Without<br />

it, soup, tortellini, and torte cannot be perfect dishes but are insipid, silly, inert, and dead’). He praises<br />

instead a custom practiced in Lombardy, where ‘the first thing placed on the table is cheese’, and ‘those<br />

people, so intelligent and blessed, never allow it to be removed until all the dishes are taken away from the<br />

table, and supper is ended’» (A. Capatti-M. Montanari, Italian Cuisine. A Cultural History, New York, 2003,<br />

p. 76).<br />

Edit16, CNCE 5340. E. Bentivoglio, Satire, a cura di A. Corsaro, Ferrara, 1987, pp. 30, 32.<br />

(II) RARA EDIZIONE del primo dizionario italiano in rima, che fu stampato per la prima volta a Ferrara<br />

nel 1528. Rivolgendosi a una platea di giovani studenti della lingua volgare, Morato sperava, come dimostra<br />

la dedica, che il suo dizionario non solo insegnasse a comporre versi, ma fosse anche d’aiuto ai principianti<br />

del Nord Italia circa l’uso delle doppie nelle consonanti (cfr. G. Presa-A. Uboldi, I rimari italiani, Milano,<br />

1974, pp. 125-126).<br />

Fulvio Pellegrino Morato, originario di Mantova, fu in seguito esiliato dalla sua città per motivi sconosciuti.<br />

Nel 1517 lo troviamo presso la corte estense di Ferrara, dove il duca gli affidò l’educazione dei suoi due figli<br />

più giovani, Ippolito e Francesco. Nel 1526 gli nacque una figlia, Olimpia, destinata a diventare una delle<br />

donne più erudite del suo tempo. Nel 1532, costretto a lasciare Ferrara, aprì una scuola a Vicenza, in cui<br />

tenne lezioni su Cicerone ed Orazio. In quel periodo conobbe Bartolomeo Testa, seguace del riformatore<br />

svizzero Zwingli, sotto l’influenza del quale Morato cominciò a diffondere tra i suoi studenti le idee di<br />

Erasmo, Melantone, Zwingli e Lutero. Egli incontrò anche Celio Secondo Curione, che sarebbe rimasto per<br />

lungo tempo amico suo e della figlia. Perseguito dalla Santa Inquisizione per aver tenuto pubbliche lezioni<br />

sull’Institutio di Calvino, egli riuscì a riparare a Ferrara grazie all’intervento dell’amico Celio Calcagnini.<br />

Qui fu incaricato della formazione di due dei figli di Alfonso I e divenne docente presso il locale Studio. La<br />

sua opera di maggior successo è un trattato araldico sul simbolismo dei colori e dei fiori (1535) (cfr. A.<br />

Olivieri, Riforma ed eresia a Vicenza nel Cinquecento, Roma, 1992, pp. 300-346).<br />

Edit16, CNCE59160 (1 copia a Trieste). € 2.800,00<br />

- 19 -


23) [BERLAIMONT, Noel van (d. 1531)]-CORNELIUS, Valerius (1512-1578). Colloquia<br />

cum dictionariolum sex linguarum: Teutonicae, Latinae, Germanicae, Gallicae, Hispanicae, et Italicae…<br />

Recognita et emendate, ac praeterea duobus Dialogis aucta, …Gemeine gesprache oder Colloquia,<br />

sampt einem Dictionario von sechs Sprache,… so begeren die selbige Sprachen zu lehren. Antwerp,<br />

Gilles van den Rade per Henry Hendricx, 1579.<br />

In 8vo oblungo (cm 7,5x11); legatura del XVII secolo in piena pelle, dorso a nervi con tassello e titolo in oro,<br />

tagli colorati (risguardi recenti, dorso restaurato); cc. (240). Lievi aloni e leggere fioriture sparse, ma ottima<br />

copia.<br />

RARA EDIZIONE RIVISTA ED AU-<br />

MENTATA di questo frasario poliglotta<br />

basato sul Vocabulaire di Noel van<br />

Berlaimont. Questi, maestro di scuola originario<br />

di Anversa, intorno al 1530 compose<br />

un dizionario fiammingo-francese<br />

ad uso dei mercanti e degli studenti. La<br />

prima edizione dell’opera fu stampata da<br />

Vorsterman ad Anversa nel 1536 (cfr. M.<br />

Colombo-Timelli, Dictionnaires pour<br />

voyageurs, dictionnaires pour marchands ou<br />

la polyglossie au quotidien aux XVIe et XVIIe siècles, in: “Linguisticae Investigationes”,<br />

XVI, 2, 1992, pp. 395-420).<br />

Date la sua semplicità e praticità, che<br />

andavano incontro alle esigenze dei viaggiatori<br />

del tempo, l’opera ebbe straordinario<br />

successo e fu ristampata un centinaio di volte, sia nella sua forma originale, sia in diverse combinazioni<br />

bilingui, sia in edizioni poliglotte.<br />

Ad appena vent’anni dalla morte del Berlaimont, nel 1551, apparve la prima versione poliglotta del suo<br />

frasario, stampata a Lovanio da Bartholomy de Grave e contenente il fiammingo, lo spagnolo, il francese e<br />

il latino. La parte latina venne curata dal celebre umanista Cornelius Valerius, allora docente presso il<br />

Collegium Trilingue di Lovanio (cfr. H. de Vocht, Cornelii Valerii ab Auwater epistolae et carmina, publ. from the<br />

original drafts, with introduction and notes, Louvain, 1957, passim). Edizioni ulteriormente aumentate o<br />

modificate apparvero negli anni successivi.<br />

Nel 1576 ad Anversa l’editore Henry Hendricx per primo introdusse alcuni dialoghi di uso comune in<br />

inglese e tedesco. Il successo editoriale gli permise di dare alle stampe la presente edizione del 1579 con<br />

l’aggiunta di due nuovi dialoghi. L’incremento del numero delle lingue e dei dialoghi obbligò tuttavia gli<br />

editori a ridurre il numero delle voci per non appesantire eccessivamente il volumetto. Hendricx snellì la<br />

parte grammaticale e operò tagli nella sezione di interesse religioso (cfr. C.B. Bourland, The Spanish School-<br />

Master and the Polyglot Derivatives of Noel de Berlaimont’s ‘Vocabulare’, in: “Revue Hispanique”, LXXXI, 1933,<br />

pp. 289-298).<br />

Index Aureliensis, 142.995. F. Claes, Lijst van Nederlandse woordenlijsten en woordenboeken gedrukt tot 1600,<br />

Louvain, 1974, nr. 280. J. Peeters-Fontanais, Bibliographie des impressions espagnoles des Pays-Bas Méridionaux,<br />

Louvain, 1933, nr. 330. R. Rizzi, a cura di, Colloquia, et dictionariolum octo linguarum, Viareggio, 1996, p. VIII.<br />

W.R.R. Verdeyen, Colloquia et Dictionariolum Septem linguarum, Antwerp, 1925-1935, nr. 18. € 1.900,00<br />

108 TAVOLE A COLORI DI PESCI<br />

24) BLOCH, Marcus Elieser (1723-1799). Kupfer zu Dr. Bolch’s oeconomische Naturgeschichte<br />

der Fische Deutschlandes. [Berlin, Hr. Hesse a spese dell’autore, 1784].<br />

In folio oblungo (cm 25x40); legatura coeva in mezza pelle, dorso con tassello e titolo in oro, tagli rossi<br />

(dorso lacunoso, cerniere deboli, cuffie e punte danneggiate); titolo inciso (D. Berger sc. 1784) e 108 tavole<br />

a piena pagina incise in rame e magnificamente colorate a mano all’epoca. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE dell’atlante destinato ad accompagnare i tre volumi di testo sui pesci tedeschi, pubblicati<br />

da Bloch a Berlino fra il 1782 e il 1784, che costituivano la prima parte della più generale Allgemeine<br />

Geschichte der Fische, uscita in 15 volumi (di cui 3 di tavole) dal 1782 al ’95. Essa, finanziata personalmente<br />

dall’autore e portata a termine grazie ai sussidi e ai finanziamenti donati da vari principi e patroni,<br />

rappresentò la più grande opera di ittiologia del secolo.<br />

Originario di Ansbach, Marcus Bloch studiò medicina e scienze naturali a Berlino e a Francoforte sull’Oder,<br />

- 20 -


dove si laureò nel 1747. Esercitò la professione medica a Berlino per molti anni. Compì inoltre alcuni viaggi<br />

di interesse naturalistico e si formò un’importante collezione ittica, che dopo la sua morte fu comprata dal<br />

governo prussiano ed oggi si trova presso il Museo Zoologico di Berlino. Morì a Carlsbad nel 1799.<br />

C. Nissen, Schöne Fischbücher, Stuttgart, 1951, nr. 23. C. Nissen, Die zoologische Buchillustration, Stuttgart,<br />

1969, nr. 415. € 12.000,00<br />

ANTOLOGIA NEOLATINA DI POESIE D’AMORE<br />

25) BLYENBURGH, Damas van (1558-1616). Veneres Blyenburgicae, Sive amorum hortus: in<br />

quinque areolas divisus, & fragrantissimis cxlviij celeberrimorum poetarum flosculis refertus.<br />

Dordrecht, Isaac Caninus per David Episcopius, 1600.<br />

In 8vo (cm 16). Pp.(16), 865, (88), ult. ca. bianca. Perg. rigida coeva, tass. in mar. marron con tit. oro al dorso,<br />

tagli rossi. Lievissime bruniture ma ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di quella che sembra essere la sola<br />

antologia contenente solo poesia neolatina in tutto il XVI secolo. Essa<br />

include quasi 150 autori di ogni paese europeo: Angeriano, Bembo,<br />

Bourbon, Buchanan, Cordus, Dolet, Du Bellay, Erasmus, Flaminio,<br />

Gruyter, Manuzio, Marullus, Melissus, Poliziano, Sabinus, Scaliger<br />

e molti altri compreso l’autore. Il volume è dedicato allo statista, storico,<br />

poeta, filologo olandese Janus Dousa. (cfr. C.L. Heesakkers, De<br />

Nederlands muze in Latjins gewaad, Leiden, 1991, pp.147 e 158).<br />

Forse l’aspetto più sorprendente della poesia amorosa neolatina si<br />

ritrova nel suo trattare, con molta maggior disinvoltura di quella<br />

vernacolare, tutti gli aspetti più personali ed intimi della vita affettiva<br />

ed erotica. Un esempio eloquente è il modo in cui Joachim du<br />

Bellay tratta un episodio di seduzione ed adulterio con una giovane<br />

romana maritata ad un vecchio: nei Regrets la vicenda è descritta in<br />

modo piuttosto vago e conciso, mentre negli Amores è raccontata con<br />

dovizia di particolari.<br />

Poco si sa di Blyenburgh. Egli fu maestro della zecca di Dordrecht e<br />

più tardi primo consigliere di Thomax Galax, governatore della<br />

Virginia. (cfr. Gerlo e Vervliet, Bibliographie de l’humanisme des anciens<br />

Pays Bas, Bruxelles, 1972, p.252, nr. 3255).<br />

Il suo progetto culturale era quello di stampare una vasta raccolta di<br />

testi poetici significativi di vari autori nei diversi campi della vita<br />

civile. Pubblicò infatti nel 1599 a Leiden il Cento ethicus ex variis poetis,<br />

ma altre due antologie dedicate alla economia domestica e alla politica<br />

non videro mai la luce.<br />

Index Aureliensis, 120.032. Adams, B-2116. € 900,00<br />

IL DECAMERONE ALDINO<br />

26) BOCCACCIO, Giovanni (1313-1375). Il Decamerone di M. Giovanni Boccaccio novamente<br />

corretto con tre novelle aggiunte. In fine: eredi di Aldo Manuzio & Andrea Torresani, novembre<br />

1522.<br />

In 4to (cm 20); legatura inglese della fine del Seicento in piena pelle, triplice filettatura a secco sui piatti,<br />

supralibros più tardo impresso in oro al piatto anteriore, dorso a quattro nervi con tassello posteriore e<br />

titolo in oro, tagli marmorizzati; cc. 317, 1 bianca, (8). Ancora aldina sul titolo ed in fine. Esemplare appartenuto<br />

a Richard Leveson (firma autografa sul titolo), a Sir John Leveson Gower of Trentham in Staffordshire<br />

(1694-1754) (ex-libris inciso sul risguardo fisso) ed a Granville Leveson Gower (1786-1861), terzo duca di<br />

Sutherland, le cui armi sono impresse sulla legatura. Frontespizio un po’ sporco e con una lieve macchia<br />

centrale che continua anche nella carta successiva, qualche leggero alone marginale, ma nel complesso<br />

ottima copia marginosa e dalla carta “croccante”.<br />

PRIMA EDIZIONE ALDINA del grande capolavoro del Boccaccio.<br />

Nella dedica di Francesco Torresani, figlio di Andrea, a Roberto Maggi, protonotario apostolico e segretario<br />

di Altobello Averoldi, si dice che l’edizione fu curata dallo stesso Aldo Manuzio prima di morire. Se così<br />

fosse, si tratterebbe dell’unico testo volgare da lui personalmente editato. Più probabilmente egli raccolse il<br />

materiale per l’edizione che fu poi approntata all’interno dell’officina.<br />

- 21 -


Il testo si basa in gran parte su quello allestito da Nicolò Delfin per l’edizione di De Gregori del 1516, ma<br />

recupera anche le tre novelle pseudo-boccaccesche che furono pubblicate per la prima volta a Firenze da<br />

Filippo Giunta sempre nel 1516.<br />

L’edizione aldina del 1522 assurse a modello testuale e venne infatti utilizzata dai correttori della celebre<br />

ventisettana (Firenze, eredi di Filippo Giunta, 1527), ossia Bardo Segni, Pier Vettori, Baccio Cavalcanti e<br />

Francesco Guidetti, i quali, confrontando appunto il testo del 1522 con alcuni manoscritti, in particolate<br />

con l’autorevole codice Mannelli, approntarono la migliore edizione del Decameron fino ai tempi moderni.<br />

Ne è prova l’esemplare dell’edizione aldina, oggi conservato alla BNF, che conserva tutte le postille dei<br />

correttori fiorentini (cfr. M. Pacioni, Il paratesto nelle edizioni rinascimentali italiane del ‘Decameron’, in: “Dante,<br />

Petrarca, Boccaccio e il paratesto: le edizioni rinascimentali delle Tre Corone”, a cura di M. Santoro,<br />

Roma, 2006, p. 87; inoltre P. Trovato, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi<br />

letterari italiani (1470-1570), Bologna, 1991, pp. 94-95 e 166).<br />

Edit16, CNCE6258. A. Bacchi della Lega, Serie delle edizioni delle opere di Giovanni Boccaccio, Bologna, 1875,<br />

p. 35. Gamba, 171. Renouard, 95/9. A. Cataldi Palau, Gian Francesco d’Asola e la tipografia aldina, Genova,<br />

1998, nr. 82. € 15.000,00<br />

27) BOCCACCIO, Giovanni (1313-1375). Il Decameron... Ricorretto in Roma, et Emendato<br />

secondo l’ordine del Sacro Conc. di Trento, e riscontrato in Firenze con Testi Antichi & alla sua vera<br />

lezione ridotto da’ Deputati di loro Alt. Ser... Firenze, Giunti, 1573.<br />

In 4to (cm 20,5); legatura di inizio Ottocento in mezza pergamena, dorso con duplice tassello rosso e blu<br />

con titolo e dati tipografici impressi in oro; pp. (32), 578, (3). Marca tipografica al titolo e numerosi iniziali<br />

istoriate. Piccola macchia alle pp. 197-198, antico timbro sul titolo, per il resto ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa celebre revisione del Decameron prodotta<br />

da un gruppo di deputati dell’Accademia Fiorentina guidati<br />

dal grande filologo volgare Vincenzo Borghini. Il progetto fu realizzato<br />

con la benedizione papale. Gli editori ebbero in sostanza il<br />

ruolo di censori e misero in pratica quanto enunciato nell’Indice<br />

tridentino del 1564 che imponeva la lettura del Decameron solo in<br />

versione espurgata. A selezionare i passaggi da epurare furono il<br />

Maestro del Sacro Palazzo, Tommaso Manriques, e il confessore di<br />

Pio V, Eustachio Locatelli. Dopo l’uscita dell’edizione, tuttavia, fu<br />

nominato un nuovo Maestro, Fra Paolo Costabili, per il quale la<br />

censura dei deputati non era andata abbastanza lontano. Di conseguenza,<br />

egli ordinò che l’edizione fosse rimossa dalla circolazione.<br />

Il divieto delle vendite dell’edizione del 1573 indusse i Giunti<br />

ad affidare a Leonardo Salviati una seconda versione riveduta, al<br />

fine di cercare di recuperare le perdite subite (cfr. R. Mordenti, Le<br />

due censure: la collazione dei testi del ‘Decameron’ ‘rassettati’ da Vincenzo<br />

Borghi e Lionardo Salviati, in: “Le Pouvoir et la Plume”, Paris,<br />

1982, pp. 253-273).<br />

Il dolore per l’epurazione fu compensato da Borghini e Salviati<br />

con un grande scrupolo filologico. Furono loro a creare il mito del<br />

codice Mannelli, che per secoli, prima della scoperta del codice<br />

Hamilton della biblioteca di Berlino, fu considerato come il testimone<br />

più autorevole del capolavoro boccaccesco. Nel corso dei<br />

due secoli seguenti l’assoluto dominio delle edizioni giuntine del<br />

1573 e del 1582 andò di pari passo con la venerazione per quel<br />

codice, il cui trascrittore era considerato molto vicino al Boccaccio.<br />

I deputati fecero uno studio comparativo dei manoscritti e delle prime fonti a stampa. Il loro lavoro si fondò<br />

inoltre su una conoscenza, incomparabilmente superiore a quella dei loro predecessori, di tutte le varietà di<br />

toscano dal Duecento ai loro giorni. Essi presero poi in considerazione anche l’uso orale, in particolare<br />

quello delle figure più conservatrici, come le donne ed i contadini, per trovare conferma della correttezza di<br />

certe forme scritte (cfr. B. Richardson, Editing the ‘Decameron’ in the Sixteenth Century, in: “Italian Studies”,<br />

45, 1990, pp. 28-30).<br />

Adams, B-2156. Index Aureliensis, 120.384. B. Gamba, Serie dei testi di lingua, (Venezia, 1839), nr. 180.<br />

€ 1.400,00<br />

- 22 -


28) BOCCACCIO, Giovanni (1313-1375). Le Decameron..., Traduit d’Italien en François par<br />

M. Antoine le Maçon...Reveu, corrigé et illustré outre les precedentes impressions. Lyon, Barthélemy<br />

Honorat, 1579.<br />

Due volumi in 12mo (cm 12); vitello marron dell’Ottocento con filetti a secco sui piatti, dorso a quattro<br />

nervetti con titolo, numerazione dei volumi e data, pure a secco, taglio dorato; cc. 1-345 +cc. 346-616, (14).<br />

Marca tipografica sul titolo, ritratto del Boccaccio e 10 vignette entro cornice ovale. Ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE TASCABILE, apparentemente sconosciuta, del<br />

Decameron nella traduzione francese di Antoine Le Maçon, apparsa<br />

per la prima volta nel 1545.<br />

Nei sessantacinque anni precedenti aveva tenuto il campo la traduzione<br />

di Laurent du Premierfait, che era più una parafrasi che<br />

una traduzione vera e propria. Quella di Le Maçon fu quindi la<br />

prima versione francese condotta sull’originale con scrupolo<br />

filologico.<br />

Le Maçon fu tesoriere alle finanze di Borgogna e segretario di<br />

Margherita d’Angoulème, regina di Navarra, che lo spinse a compiere<br />

l’impresa. Nella dedica alla sua patrona, l’autore dice di<br />

aver intrapreso la traduzione con riluttanza, incerto sulle proprie<br />

capacità e su quelle della lingua francese di poter restituire la<br />

ricchezza dell’originale. Egli ricevette comunque incoraggiamento<br />

da varie persone colte, sia francesi che italiane, cui aveva sottoposto<br />

parti del suo lavoro. La traduzione rende gran parte dello<br />

spirito dell’opera e si legge come se fosse un originale.<br />

Estienne Pasquier nelle sue Recherches de la France (Parigi, 1596)<br />

pone Le Maçon fra quei traduttori verso i quali la lingua francese<br />

è non poco indebitata (cfr. H. Hauvette, Les plus anciennes traductions<br />

françaises de Boccace, XVI e -XVII e siècles, Bordeaux, 1909, 72-97).<br />

Barthélemy Honorat (fl. 1572-1589) fu insieme a Jean de Tournes e<br />

Guillaume Rouillé uno dei grandi tipografi lionesi che contribuirono<br />

in modo significativo allo sviluppo del libro illustrato.<br />

Come si diceva, la presente edizione, che reca sul titolo la marca di<br />

Honorat con il motto “a poco a poco” (cfr. J. Baudrier, Bibliographie Lyonnaise, IV, Lyon, 1899, nr. 7), sembra<br />

sconosciuta. Baudrier menziona solamente un’edizione del 1578, in quanto citata nella Bibliothèque di Du<br />

Verdier (I, 126).<br />

L’edizione di Honorat del Boccaccio fu ristampata con identica collazione sempre a Lione nel 1597 da Jean<br />

Le Fèvre and Jean Veyrat; inoltre ad Amsterdam da Cornelis Claez.<br />

Le vignette sono simili, ma non identiche a quelle disegnate da Pierre Vase per le numerose edizioni di<br />

Rouillé.<br />

Apparentemente sconosciuto. € 1.500,00<br />

29) BOCCACCIO, Giovanni (1313-1375). Nimfale fiesolano nel quale si contiene l’innamoramento<br />

di Affrico e Mensola, poemetto in ottava rima di Gioanni Boccaccio, ridotto a vera lezione.<br />

Londra, e si trova a Parigi presso Molini, 1778.<br />

In 8vo (cm 19,5); legatura coeva in piena pelle marmorizzata, dorso con ricchi fregi, tassello rosso e titolo in<br />

oro, risguardi in carta marmorizzata, tagli rossi; pp. (2), IV, 160. Frontespizio inciso da Nicolas Delaunay<br />

su disegno di C. Marillier. Ottima copia marginosa su carta forte della tiratura in 8vo (ne esistono anche<br />

una tiratura in 4to, una in 12, più comune, ed una in sei esemplari su pergamena).<br />

BELLA EDIZIONE, esemplata su quella rivista e corretta del 1568, del Ninfale fiesolano del Boccaccio,<br />

poemetto idillico-mitologico in ottave, pubblicato per la prima volta nel 1477.<br />

Composto tra il 1344 e il 1346, si basa sulla favola etiologica che spiega miticamente il nome di due<br />

fiumicelli toscani, l’Africo e la Mensola, ed è insieme la favola delle prime origini della civiltà toscana. Le<br />

colline di Fiesole erano abitate da ninfe dedite al culto di Diana e alla caccia. Il pastore Africo s’innamora<br />

di una di esse, a nome Mensola, ma egli cerca invano per parecchi giorni di arrivare fino a lei, poiché le<br />

ninfe fuggono spaventate al suo cospetto. Su suggerimento di Venere, Africo si veste da ninfa e riesce con<br />

questo stratagemma a conseguire il suo intento. Mensola partorisce un figlio e s’innamora di Africo, che<br />

tuttavia, per paura di non poterla più rivedere, si butta giù da una rupe. Mensola, a sua volta, per punizione<br />

viene buttata da Diana nel fiume che poi prenderà il suo nome. Il figlioletto Proneo diventerà uno dei<br />

- 23 -


fondatori di Fiesole e porrà fine alla riununcia forzata all’amore cui erano costrette le ninfe.<br />

M. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, Firenze, 1951, p. 121 («Edizione stampata<br />

a Parigi dallo stesso Gian Claudio Molini»). Gamba, 227. <strong>Catalogo</strong> unico, T\ICCU\PARE\022093. A. Bacchi<br />

della Lega, Serie delle edizioni delle opere di Giovanni Boccaccio, Bologna, 1875, p. 130. L. Razzolini-A. Bacchi<br />

della Lega, Bibliografia dei testi di lingua a stampa citati dagli Accademici della Crusca, Bologna, 1890, p. 66<br />

(«Questo nitido libretto fa parte della Collezione degli Autori Italiani stampata in 49 volumi a Parigi per<br />

Prault, a spese di Durand, Delalain e Molini»). € 580,00<br />

«PATH-BREAKING PERFORMANCE – THE ONLY PERFORMANCE IN THE WHOLE HISTORY OF<br />

THE THEORY OF POPULATION TO DESERVE ANY CREDIT AT ALL» (SCHUMPETER)<br />

30) BOTERO, Giovanni (1544-1617). Della ragion di stato, libri dieci, con tre libri delle cause<br />

della grandezza, e magnificenza delle città. Venezia, Giovanni e Giovanni Paolo Giolito de’ Ferrari,<br />

1589.<br />

In 4to (cm 20,5); solida legatura dell’Ottocento in mezza pergamena con punte, dorso con ricchi fregi,<br />

tassello e titolo in oro, piatti in carta marmorizzata, tagli picchiettati; pp. (16), 367, (1). Marca tipografica sul<br />

titolo. Fregio tipografico al verso dell’ultima carta. Note manoscritte sui risguardi e firma di appartenza sul<br />

frontespizio. A tratti lievemente fiorito, ma nel complesso ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE COLLETTIVA, dedicata al principe vescovo<br />

di Salisburgo Wolf Dietrich von Ratenau, del più celebre e<br />

influente trattato italiano di politica dopo il Principe di<br />

Machiavelli. «Quest’opera ebbe grandissimo corso e reputazione<br />

ai suoi tempi e valse all’autore la fama di politico galantuomo.<br />

Fu tradotta in quasi tutte le lingue viventi ed in latino. Anche<br />

modernamente si fecero dell’uomo e del libro molti elogi e si<br />

attribuì a lui il merito dell’avere inaugurato quella che oggi si<br />

dice economia politica… L’edizione ora descritta della Ragione<br />

di Stato fu originale» (S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari,<br />

Roma, 1895, II, p. 432-433).<br />

In realtà la prima edizione dell’opera apparve nello stesso anno<br />

sempre presso i tipi dei figli di Giolito, composta da sole 295<br />

pagine, perché non contenente i Tre libri delle cause della grandezza,<br />

e magnificenza delle città, i quali erano già usciti autonomamente<br />

a Roma nel 1588 (cfr. T. Bozza, Scrittori politici italiani,<br />

Roma, 1949, pp. 66-68, nr. 34). In questa operetta di esigua mole,<br />

ma di grande importanza, Botero elabora per la prima volta una<br />

teoria scientifica sulla dislocazione topografica e sull’incremento<br />

degli agglomerati urbani, che identifica precisi rapporti fra ambiente<br />

naturale, risorse economiche e sviluppo demografico.<br />

Con il Della ragion di stato, mostrando che ragion di stato, ragion<br />

di coscienza e ragion civile erano in fondo un’unica cosa, Botero<br />

cercava di fare ordine attorno ad un concetto che sembrava essere<br />

già corrente, ma su cui nessuna sistematizzazione era stata<br />

tentata, e di ridurre a normalità, per così dire, un’idea dietro la quale l’uso comune sembrava intendere<br />

piuttosto l’eccezionalità di azioni di governo esorbitanti dall’ordinario, dettate da imperiose esigenze di<br />

sopravvivenza di un’entità chiamata stato che in quel secolo progrediva verso una più concreta forma. Si<br />

trattava insomma di tranquilizzare gli animi già scossi di quanti, sotto le spoglie della ragion di stato,<br />

intravvedevano oscuri meccanismi di un potere che si pretendeva autoreferenziale, e dietro quell’espressione<br />

sentivano riecheggiare il monito di Machiavelli, secondo il quale lo stato aveva ragioni e logiche che<br />

la ragione e la logica ordinarie non bastavano a gestire, e che non necessariamente si armonizzavano con<br />

quelle dell’etica e della religione. Consapevole della circolazione che l’idea aveva raggiunto, nelle intenzioni<br />

di Botero la ragione di stato non doveva ridursi ad altro che alla conoscenza dei mezzi attraverso i<br />

quali il buon governo del principe poteva realizzarsi, e quindi la ragion di stato altro non era che la politica,<br />

mera arte di governare, e non qualcosa di eccedente, contrastante o diversamente fondato rispetto a questa.<br />

Con la pubblicazione del trattato il dibattito si aprì (cfr. C. Continisio, Introduzione, in: “G. Botero, Della<br />

Ragione di Stato”, Roma, 1997, pp. XI-XXIX).<br />

Antimchiavellico in apparenza, ma fortemente influenzato dalle dottrine del grande fiorentino, «Botero<br />

fece scuola e, tra la fine di quel secolo XVI e buona parte del successivo, i teorici della Ragion di Stato ne<br />

- 24 -


seguirono le orme, al punto di non potersi più intendere quale sia il vero significato del machiavellismo.<br />

Questo è diventato bifronte. L’una faccia è stata ripudiata teoricamente come contraria alla morale e alla<br />

religione; l’altra è stata accettata praticamente come sistema di governo» (A. Panella, Gli antimachiavellici,<br />

Firenze, 1943, p. 63).<br />

Il successo della Ragion di stato, tuttavia, non fu dovuto solamente a questa sua rielaborazione dottrinale<br />

del machiavellismo, ma anche alla vasta e sistematica esposizione, che ad essa si affianca, di tutta la nuova<br />

problematica che lo stato moderno nascente portava con sé: esazione fiscale, organizzazione militare,<br />

commercio, industria, amministrazione della giustizia, annona, urbanistica. Meglio di qualsiasi altra opera<br />

di quel tempo, il libro del Botero documenta il tipico trapasso, che allora si operava, dallo stato patrimoniale<br />

di impronta feudale e tirannica allo stato di “politìa”, fondato sull’amministrazione oculata, la<br />

centralizzazione livellatrice, la gerarchia burocratica, l’estinzione progressiva delle cariche ereditarie o<br />

venali. In questo contesto un posto di rilievo occupano le dottrine economiche del Botero: in particolare in<br />

campo tributario egli sostiene la funzione preminente dell’imposta rispetto ai cespiti demaniali nel finanziamento<br />

della spesa pubblica e la doverosa prevalenza della tassazione diretta dei redditi a sgravio delle<br />

gabelle sui consumi; tenta inoltre di conciliare il protezionismo particolaristico con l’aspirazione alla<br />

liberalizzazione degli scambi e delle vie commerciali (cfr. D.B.I., XIII, pp. 352-362, a cura di L. Firpo).<br />

Nato a Bene Vagienna (CU), nel 1559 Giovanni Botero entrò nel collegio della Compagnia di Gesù di<br />

Palermo, dove lo aveva chiamato uno zio paterno. Nel 1560 si trasferì a Roma presso il Collegio Romano.<br />

Nonostante le sue indubbie doti intellettuali, a causa del suo tormentato e turbolento carattere, dopo solo<br />

un anno di frequentazione i padri superiori lo mandarono ad insegnare retorica presso il piccolo collegio<br />

umbro di Amelia.<br />

Negli anni seguenti fu trasferito in varie località italiane e francesi, dove si distinse per la sua facilità nel<br />

comporre epigrammi e discorsi di vario genere in latino e rappresentazioni sceniche edificanti. Nel 1578<br />

giunse a Milano, dove ricevette diversi incarichi da parte di Carlo Borromeo, che contribuì enormemente a<br />

forgiare la personalità ribelle di Botero. Nel biennio 1583-’85, trascorso a fianco del grande vescovo in<br />

qualità di segretario e famiglio, egli collaborò all’opera di restaurazione della diocesi.<br />

Nel 1585 Margherita Trivulzio lo volle accanto al figlio Federico Borromeo, allora ventenne, come aio e<br />

consigliere. Nel 1588 Botero accompagnò a Roma il suo giovane e nobile discepolo per l’elezione a cardinale.<br />

Nel 1590 partecipò a tre conclavi. Nel 1591 dedicò al cardinale Carlo di Lorena la prima parte (in sei<br />

libri) dell’opera che doveva consolidare definitivamente la sua fama europea, le Relazioni universali. Nel<br />

1592 uscì la seconda parte dedicata all’infante Filippo di Spagna.<br />

Dopo l’elezione a vescovo di Federico Borromeo, Botero fu costretto di malavoglia a seguirlo a Milano, dove<br />

nel 1596 terminò la quarta parte delle Relazioni, la cui prima edizione completa apparve a Bergamo in<br />

quello stesso anno. Nel 1599 fu chiamato a Torino a fare da precettore ai tre figli del duca di Savoia. Nel<br />

1606, al seguito di questi ultimi, raggiunse la corte di Madrid. Rimase per un anno in Spagna, avendo modo<br />

di visitare molte città del regno. Rientrato a Torino, nel 1606 continuò a vivere a corte come segretario e<br />

consigliere. Ormai divenuto benestante e agiato, Botero tornò a dedicarsi negli ultimi anni all’attività<br />

letteraria, sia poetica che teatrale. Morì il 23 giugno del 1617 (cfr. Giovanni Botero e la «ragion di stato», Atti<br />

del convegno di studi in memoria di Luigi Firpo, Torino, 8-10 marzo 1990, a cura di A.E. Baldini, Firenze,<br />

1992, passim; inoltre R. Descendre, L’État du Monde: Giovanni Botero entre raison d’État et géopolitique, Ginevra,<br />

2009, passim).<br />

Edit16, CNCE7272. Adams, B-2548. Gamba, nr. 1271. Goldsmiths, nr. 248. € 6.500,00<br />

31) BOUCHET, Guillaume (ca. 1513-1593). Livre premier des sérées de Guillaume Bouchet,<br />

iuge et Consul des marchands à Poictiers. Où sous une gentille invention de banquetz, ou convis<br />

faits au soir entre Seigneurs & Dames voisins, sont contenus plusieurs & divers beaux discours, non<br />

moins utiles, que remplis d’honneste recreation. Imprimé sur la copie faicte à Poictiers. S.n.t., 1585.<br />

In 12mo (cm 11,5); graziosa legatura di fine Ottocento in piena pelle, piatti entro filettatura dorata, dorso<br />

con ricchi fregi, tassello e titolo in oro, tagli rossi; pp. (32), 766, 2 bianche. Copia lievemente brunita, ma ben<br />

conservata.<br />

RARA EDIZIONE del primo dei tre libri delle Sérées di Guillaume Bouchet, che fu stampato per la prima<br />

volta a Poitiers nel 1584. Il secondo e il terzo libro uscirono invece postumi a Parigi rispettivamente nel<br />

1597 e nel 1598. La prima edizione completa fu stampata solamente nel 1608.<br />

All’indomani della pubblicazione a Poitiers del libro primo, apparvero alcune edizioni in 12mo e in 16mo<br />

di questa operetta di grande successo, alcune delle quali, come la presente, non recano il privilegio reale e<br />

sono quindi da considerarsi come delle contraffazioni (cfr. C.E. Roybet, Notice, in: “Les Sérées de Guillaume<br />

Bouchet Sieur de Brocourt”, Charleston, SC, 2009, p. XVII).<br />

- 25 -


Guillaume Bouchet, Sieur de Brocourt, fu scrittore ed editore appartenente<br />

ad una famiglia di stampatori di Poitiers. Amico di Jacques<br />

Du Fouilloux, di cui pubblicò la Vénerie, e di J.B. De la Péruse, egli<br />

volle raccogliere in volume, alla fine della sua vita, le conversazioni<br />

che si tenevano a quei tempi in società intorno alla tavola, con lo<br />

scopo di intrattenere coloro che volessero passare piacevolemente<br />

alcune ore dopo la cena.<br />

L’opera raccoglie quindi storielle, barzellette, arguzie ed exempla,<br />

che forniscono un quadro vivace della società borghese di quel periodo.<br />

Il capitolo decimo tratta temi inerenti i medici e la medicina<br />

(cfr. A. Janier, Les Serées (1584-1597-1598) du libraire-imprimeur<br />

Guillaume Bouchet (1514-1594), Paris, 2006, passim).<br />

«C’est un ramas bizarre de science, de plaisanteries, de morale et<br />

d’obscénités, où nos aïeux puisaient une érudition fort douteuse,<br />

mais qui les amusait dans les soirées d’hiver, soit en lisant, soit en<br />

racontant ces billevescées comiques. J’avoue à ma honte que j’ai fait<br />

quelquefois comme eux. Je regarde ce livre comme un des plus<br />

curieux de cette espèce perdue (Viollet-Leduc)» (J. Gay, Bibliographie<br />

des ouvrages relatifs à l’amour, aux femmes et au mariage et des livres<br />

facétieux, pantagruéliques… Lille, 1899, III, coll. 1105-1106).<br />

Brunet, I, coll. 1165-1166. OCLC, 220684665. Tchemerzine, I, p. 924.<br />

Index Aureliensis, 122.833. € 900,00<br />

32) (BREMA). Nottwendige verantwortung und bestendiger<br />

beweisslicher gegenbericht de Raths und Gemeinde der Stadt Bremen, widder die unchristliche<br />

ungegründete, derselbigen Widderwertigen, der Aussgetrettenen gewesen des Rahts daselbst, hin<br />

unnd widder geprengete verleumdung, Und in sonderheit, widder die meuchlings abgetruckte<br />

Ehrenrührige lesterliche Schriffte Dithmar Kenckels gewesen Burgermesiters. (Bremen, Arend<br />

Wessel?), 1566.<br />

In 4to; cartonato antico, tagli rossi; cc. (84). Armi della città di Brema sul titolo. Leggere bruniture, margine<br />

inferiore un po’ corto, per il resto ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE. La Riforma fu introdotta a Brema nel 1522 da Heinrich von Zütphen, che fu arso vivo<br />

dall’Arcivescovo di Brunswick-Wolfenbüttel, un brutale libertino, odiato per la sua lussuria e la sua avarizia,<br />

che vide nel movimento di riforma una rivolta contro il suo potere. Nonostante la sua iniziale vittoria<br />

contro il riformatore, la città gli si rivolse contro e nel 1532 entrò a fare parte della Lega di Smalcalda,<br />

venendo per due volte assediata dalle forze imperiali.<br />

Nel corso del secolo la Riforma andò sempre più radicandosi a Brema, ma in seguito alla vittoria in città del<br />

partito dei Filippisti, ossia di coloro che ritenevano che le opere di Lutero e Melantone fossero da considerarsi<br />

come unicum dottrinale, contro i così detti Gnesio-luterani, ossia coloro che si attenevano esclusivamente<br />

agli scritti del fondatore, Brema fu esclusa dalla Lega Anseatica e con il Consensus Bremenis del 1595 si diede<br />

una confessione riformata diversa da quella della maggior parte delle altre città imperiali tedesche.<br />

La presente opera condensa le dispute, riguardanti soprattutto l’interpretazione dell’Ultima Cena, tra<br />

l’allievo di Melantone Albert Hardenberg (m. 1574), nominato predicatore nella cattedrale di Brema, e il<br />

gnesio-luterano Simon Musæus (m. 1576), chiamato a controbatterlo dal consiglio comunale. Quest’ultimo<br />

dichiarò Hardenberg eretico, causando una sollevazione popolare. Musaeus e i consigliori a lui vicini<br />

furono quindi costretti ad andare in esilio (cfr. B. Moeller, Die Reformation in Bremen, in: “Jahrbuch der<br />

Wittheit zu Bremen”, 17, 1973, pp. 51-73).<br />

VD16, B-7436. K. Schottenloher, Bibliographie zur deutschen Geschichte im Zeitalter der Glaubensspaltung, 1517-<br />

1585, II, Stuttgart, 1956, p. 473, nr. 23963. € 650,00<br />

IL PIÙ “EVANGELICO” DEGLI AUTORI VOLGARI DI LIBRI DI LETTERE<br />

33) BRUNETTI, Orazio (1521-1587). Lettere di meesser [sic] Horatio Brunetto. [Venezia, Andrea<br />

Arrivabene], 1548.<br />

In 8vo (cm 15,5); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso e sul taglio inferiore (un po’<br />

sporca, piccole mancanze al piatto anteriore); cc. (11), 1 bianca, 261, (3). Marca tipografica con il pozzo di<br />

Andrea Arrivabene. Sul frontespizio di alcuni esemplari l’erroneo “meesser” è corretto in “messer”. Qual-<br />

- 26 -


che lieve alone marginale, ma nel complesso ottima copia genuina.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, dedicata a Renata di Francia, duchessa<br />

di Ferrara (la dedica, dallo scoperto contenuto “evangelico”, è<br />

datata Venezia 1 dicembre 1547), di questa importante raccolta<br />

epistolare.<br />

Tra i corrispondenti ricordiamo: Anton Giacomo Corso, Alessandro<br />

Citolini, Francesco Priuli, Francesco Grimani, Giovan Battista<br />

Giraldi, Girolamo Parabosco, Ercole Bentivoglio, Lodovico<br />

Domenichi, Lodovico Dolce, Sperone Speroni, Pier Paolo Vergerio<br />

(nascosto dietro le iniziali V.V.) e molti altri, tra cui numerose<br />

figure femminile, citate solo con il nome di battesimo.<br />

«We have already seen that the missives which made their way<br />

into volumes of lettere volgari cannot be treated as completely<br />

spontaneous, sincere expressions of the writers’ ideas and feelings.<br />

This is particularly true of collections like Franco’s, Martelli’s,<br />

Tolomei’s, and Tasso’s, in which one featured personality had<br />

the opportunity to select and revise so as to polish his image. In<br />

Brunetto’s case, however, there was no preexisting image. Before<br />

the appearance of his letters in 1548, he was a complete unknown,<br />

a young physician whose literary and other interests may have<br />

been recognized by a small circle of friends but not by the general<br />

public. Hence, in publishing his correspondence, he had the<br />

opportunity to fashion a public personality for himself. It is highly<br />

significant that the persona he decided to assume was that of an<br />

Evangelical. Brunetto went about molding his image in several<br />

ways. First, he dedicated his collection to Renee, Duchess of Ferrara, a famous Evangelical, claiming her<br />

patronage by reason of their common spiritual orientation. Not all his letters, he admitted, concerned<br />

divine things, but she would be able to choose the ‘flowers’ and reject the ‘vile herbs’. The heterogeneity of<br />

themes in his letters was more strongly emphasized in his letter ‘to the friendly reader’’ Here again,<br />

however, he hinted that selective perusal of the book would benefit like-minded readers, and ‘spiritual<br />

discourses’ headed the list of subjects he promised to provide. Placing three Evangelical letters at the very<br />

beginning, where they would catch the eye of a potential purchaser interested in Evangelism, was another<br />

way of indicating what his primary concerns were. Yet another tactic, more ingenious and at the same time<br />

more transparent, was to write twice to one ‘V.V.’, an Evangelical whom he had never met, for the express<br />

purpose of soliciting a response. The main theme of both letters-condolences to the addressee for the<br />

persecution that he was undergoing, with assurance drawn from Matthew’s Gospel that persecution was<br />

a sign of election-as well as the initials would have been a clear signal to all ‘friendly readers’ that the<br />

recipient was none other than Vergerio, Bishop (vescovo) of Capodistria, who was known to be in deep<br />

trouble with the ‘orthodox’ ecclesiastical establishment. To a certain extent Brunetto’s claim to Duchess<br />

Renee that his collection had a strongly Evangelical tone was misleading. Letters on literary, philosophical,<br />

amorous, and medical subjects form the bulk of his volume. Some of these are very long (more like short<br />

treatises than actual letters) and may never have been sent. Others, particularly love letters, are clearly<br />

fictitious creations. Still, all his efforts to make his collection appeal to Evangelically inclined readers<br />

indicate strongly that in 1548 Brunetto had reason to believe that Evangelism had not died with Contarini<br />

and Giberti or fled north with Ochino and Vermigli. It was alive, comparatively well, and living in Italy» (A.<br />

Jacobson Schutte, The Lettere Volgari and the Crisis of Evangelism in Italy, in: “Renaissance Quarterly”, vol.<br />

28, nr. 4, 1975, pp. 666-668).<br />

Orazio Brunetti, originario di Porcia in Friuli, svolse prevalentemente la professione medica. Tramite l’amico<br />

e collega Leandro Zarotto di Capodistria, entrò in contatto con le idee riformate diffuse dal Vergerio (cfr.<br />

G.G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritti da’ letterati del Friuli, Udine, 1780, IV, pp. 353-354).<br />

Le Lettere del Brunetti furono curiosamente ristampate a Venezia da Giorgio Angelieri nel 1597. Più che di<br />

una ristampa, si tratta in realtà di una rimessione dell’edizione del 1548, rispetto alla quale furono<br />

ricomposti solamente il titolo (in cui l’opera viene presentata come modello di scrittura), la dedica e l’errata.<br />

Probabilmente varie copie rimaste invendute nella bottega dell’Arrivabene giunsero dopo cinquant’anni<br />

nelle mani dell’Angelieri, che in barba alla censura le rimise sul mercato (cfr. L. Braida, Libri di lettere. Le<br />

raccolte epistolari del Cinquecento tra inquitudini religiose e “buon volgare”, Bari, 2009, pp. 280-281).<br />

Edit16, CNCE7657. Adams, B-2915. A. Quondam, Le «carte messaggiere». Retorica e modelli di comunicazione<br />

epistolare: per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, Roma, 1981, p. 290. J. Basso, Le genre épistolaire en<br />

langue italienne (1538-1662). Répertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy, 1990. € 1.800,00<br />

- 27 -


«LE TÉMOIGNAGE LE PLUS MARQUANT DE LA RÉCEPTION DE HENRI III PAR LES GENS DE<br />

LETTRES ET LES ARTISTES LOCAUX VÉNITIENS» (A. BETTONI)<br />

34) BUCCIO, Pietro (fl. 2 a metà del XVI secolo). Le coronationi di Polonia, et di Francia del<br />

Christianiss. Re Henrico III. Con le attioni, et successi de’ suoi viaggi descritte in dieci giornate da<br />

M. Pietro Buccio. Primo volume [tutto il pubblicato]. Padova, Lorenzo Pasquati, 1576.<br />

In 4to (cm 19,5); pergamena rigida del XVII secolo con titolo manoscritto al dorso; cc. (4), 218 [recte 216].<br />

Marca tipografica al frontespizio. Titolo un po’ sporco e con piccoli antichi restauri che non ledono il testo,<br />

lievi aloni chiari sul margine di alcune carte, piccoli segni di tarlo nelle primissime pagine senza danno al<br />

testo, per il resto ottima copia marginosa.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE in prima tiratura. Tutti gli<br />

esemplari repertoriati di quest’opera, ad eccezione di quelli<br />

della Marciana, del Museo Correr e del nostro, al posto della<br />

carta A 1 presentano un bifolio numerato 1 e 2 (cui fa seguito<br />

un’altra carta 2), che finisce per creare un anomalo fascicolo<br />

di cinque carte, in cui il primo esordio dell’opera viene modificato<br />

in un esordio di più ampio respiro (cfr. A. Bettoni, La<br />

francofilìa di Pietro Buccio: un accademico bresciano a Padova nel<br />

Cinquecento, in: “Incroci. Scritti in onore di Mario Mammi”, a<br />

cura di R. Dell’Acqua, C. La Rocca e G. Zanotti, Padova, 2006,<br />

p. 24).<br />

Buccio, oratore e poeta bresciano, dedica la sua opera a<br />

Caterina de’ Medici e divide il testo della narrazione in dieci<br />

Giornate, di cui però al lettore del 1576 offre solamente le prime<br />

cinque. Il racconto del viaggio e delle incoronazioni di Enrico<br />

III, fatto in prima persona dalla voce narrante dello stesso<br />

Buccio, testimone oculare degli eventi, è inserito in una cornice<br />

di Dialoghi, in cui egli finge di trovarsi a Pavia insieme ad<br />

alcuni membri dell’Accademia degli Affidati. Gli interlocutori<br />

dei dialoghi, mentre si recano al luogo delle loro riunioni (che<br />

il Maylender ci informa essere le case del Monastero di San<br />

Pietro in Ciel d’oro in Cittadella, cfr. Storia delle Accademie d’Italia,<br />

Bologna, 1926, I, p. 74), discorrono, strada facendo, di argomenti<br />

di attualità e invitano il Buccio a narrare davanti<br />

all’assemblea riunita degli accademici i fatti di cui è stato protagonista.<br />

Durante tre di questi Dialoghi, che introducono al racconto giornaliero del Buccio, a sua volta<br />

accademico legato agli Occulti di Brescia e agli Animosi di Padova, vi è un interessante confronto fra lo<br />

Studio di Padova, dei cui professori e studenti si fa un lungo elogio, e l’Accademia della stessa città. Tutti<br />

i riscontri fatti sui personaggi dialoganti e sui dati forniti nell’opera si sono dimostrati corretti, a riprova<br />

dell’attendibilità di questo scrittore, che pur si diverte a proporsi, di volta in volta, come voce narrante,<br />

personaggio ed autore (cfr. A. Bettoni, op. cit., pp. 29-31).<br />

Buccio, che vedeva in Enrico III un «buon principe» in grado di garantire la libertà di pensiero che i giovani<br />

intellettuali europei andavano cercando, «s’addresse à une véritable universitas, faite de professeurs, de<br />

lecteurs, d’étudiants, d’auditeurs libres, italiens et étrangers, et de représentants divers du gouvernement<br />

et de la culture locaux, qui se réunissaient “universellement” dans les salles de l’ “Academia” padouane en<br />

tant que public des nouvelles et des cours. Il leur explique dans la forme du “raisonnement” préalable mais<br />

“accompli” l’histoire bien connue des aspirations juvéniles au voyage qui sait former l’homme et le rendre<br />

sage et tolérant pour le reste de sa vie» (A. Bettoni, Les ‘Coronationi’ de Pietro Buccio et le passage du roi en<br />

Vénétie, 1574. Remarques sur le mécénat “épisodique” de Henri III, in: “Henri III mécène des arts, des sciences et<br />

des lettres”, a cura di I. de Conihout, J.-F. Maillard, G. Poirier, Paris, 2006, p. 117).<br />

Di grande interesse la quinta Giornata dell’opera, in cui si racconta con grande dovizia di particolari<br />

dell’entrata e del soggiorno veneziano del futuro re di Francia. «During the course of the sixteenth century,<br />

the formula for the reception of distinguished foreign dignitaries had become standardized, based around<br />

the central focus of a welcome by a doge at the confines of the lagoon, the main theatrical apparatus being<br />

the Bucintoro escorted by a flotilla of smaller craft. As in the case of Henry III’s entry, this ceremony had<br />

normally been preceded by a formal reception by a group of appointed senators as the visitor left one of the<br />

territories of the terraferma. One commentator [Buccio (c. 205)] specifically remarks on the imposing vista of<br />

Venice seen by Henry from Marghera, a vision of a mythical city built upon the seas but safe from attacks by<br />

land or sea, a theatre of marvels waiting to be explored. In this way the entry was symbolically choreographed<br />

- 28 -


so that the ceremonial route, the Venetian equivalent to an entry through the gates of a city, passed through<br />

a number of stages in which Venice was gradually revealed» (I. Fenlon, Magnificence as Civic Image: Music<br />

and Cerimonial Space in Early Modern Venice, in: “Music and Culture in Late Renaissance Italy”, Oxford,<br />

2003, pp. 20-21).<br />

Enrico III di Valois (1551-1589), quarto figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici, duca d’Angoulême e duca<br />

d’Orléans dal 1560, divenne re di Francia alla morte del fratello Carlo IX nel 1574. Sposò nel 1575 Luisa di<br />

Lorena. Fu l’ultimo re della dinastia Valois. Prima di salire al trono di Francia, grazie all’abilità diplomatica<br />

del vescovo di Valence, Jean de Montluc, che era stato inviato da Caterina de’ Medici come ambasciatore<br />

straordinario per sostenere davanti alla Dieta la candidatura del figlio, l’11 maggio 1573 Enrico fu<br />

eletto re di Polonia con il nome di Henryk Walezy. Conservò il titolo fino al 18 giugno dell’anno seguente.<br />

Il 30 maggio 1574, appresa la morte del fratello Carlo IX, lasciò di nascosto la Polonia per far ritorno in<br />

Francia, passando per Vienna, Venezia, Ferrara, Mantova e Torino (cfr. P. Champion, Henri III, roi de<br />

Pologne, Paris, 1943-1951, passim).<br />

Poco si sa della vita del Buccio, oltre ai dati che egli stesso ci fornisce durante la narrazione di quest’opera.<br />

Morì probabilmente di peste a Padova nel 1576, prima di poter portare a termine o pubblicare le restanti<br />

cinque giornate delle Coronationi (cfr. A. Bettoni, Francia e Venezia alla fine del Cinquecento: viaggi di uomini,<br />

scambi di cultura, in preparazione).<br />

Edit16, CNCE7789. BMSTCItalian, p. 129. P. de Nolhac-A. Solerti, Il viaggio in Italia di Enrico III re di Francia<br />

e le feste a Venezia, Ferrara, Mantova e Torino, Torino, 1890, pp. 11-12, nr. 13 («Di quest’opera, rarissima, non<br />

uscì che il primo volume, con cinque giornate… egli [Buccio] offre una quantità di dettagli precisi, che ci<br />

fanno rimpiangere la mancata fine dell’opera»). V. Peroni, Biblioteca bresciana, Brescia, 1818, I, pp. 210-211.<br />

€ 3.900,00<br />

LA DISPUTA SULL’USURA E L’INTERESSE CONTRO GLI ANABATTISTI<br />

35) BULLINGER, Heinrich (1504-1575). Von dem unverschampte(n) fräfel / ergerlichem<br />

verwyrren / unnd unwarhafftem leeren / der selbstgesandten Widertdöuffern / vier gespräch Bücher<br />

/ zu verwarnenn den einfalten…Ein guter Bericht vonn Zinsen. Ouch ein schöne underwysung von<br />

Zähenden. Zürich, Christoffel Froschauer, 1531.<br />

In 8vo (cm 15); cartonato posteriore; pp. (8), CLXXVIII. Firma di appartenenza ed ex-libris a stampa di<br />

Howard Osgood (1831-1911, professore di letteratura ebraica presso il Rochester Theological Seminary).<br />

Due piccoli fori di tarlo nel margine delle prime carte, timbro a secco nell’angolo inferiore esterno del titolo,<br />

per il resto ottima copia.<br />

RARISSIMA PRIMA EDIZIONE di questo trattato contro<br />

gli Anabattisti che Bullinger aveva in preparazione<br />

da molti anni.<br />

La spinta alla pubblicazione giunse dall’urgenza di far<br />

fronte all’attivismo anabattista vicino alla sua città natale<br />

di Bremgarten. Fra le altre cose, essi si rifiutavano di<br />

pagare gli interessi e le decime. Nel gennaio del 1531,<br />

Bullinger e i locali Anabattisti ebbero una disputa su<br />

questa questione. Per l’occasione il libro fu completato e<br />

nel febbraio dello stesso anno dato alle stampe. Un mese<br />

dopo Zwingli lodò l’opera del suo protégé, appoggiandola<br />

in pieno (cfr. J. W. Baker, Church State, and Dissent:<br />

The Crisis of the Swiss Reformation, 1531-1536, in: “Church<br />

History”, 57/2, 1988, pp. 135-152).<br />

Nell’opera, che è scritta in forma di dialogo, l’autore,<br />

ovviamente responsabile dell’esposizione di entrambe<br />

le posizioni, vuol mettere in risalto come il radicalismo<br />

anarchico degli Anabattisti e la loro avversione per ogni<br />

pratica commerciale, scolastica, clericale e politica sia<br />

figlia della loro profonda ottusità ed ignoranza.<br />

Questo di Bullinger rimase il più veemente attacco con<br />

gli Anabattisti fino al 1566, quando lo stesso Bullinger<br />

ritornò con nuovi argomenti sulla questione. Esso influenzò<br />

profondamente le autorità civili e religiose della<br />

Svizzera tedesca (cfr. D.J. Grieser, Seducers of the Simple<br />

- 29 -


Folk: The Polemical War Against Anabaptism, Cambridge, MA, 1993, pp. 115-132).<br />

Nel dibattito sul legame fra Protestantesimo e capitalismo gli studiosi hanno attribuito a Jean Calvin il<br />

primato nell’aver fatto uscire il tema dell’usura dal pensiero medievale. Il diritto canonico aveva dato una<br />

definizione dell’usura che aveva dominato la scena europea per secoli, portando alla condanna della sua<br />

pratica già a partire dal V secolo.<br />

Mentre Martin Lutero nel suo sermone sull’usura del 1520 aveva dimostrato un punto di vista conservatore,<br />

considerando il prestito ad interesse come contrario alle leggi naturali e divine, Zwingli (Von göttlicher<br />

und menschlicher Gerechtigkeit, 1523) fece un passo in avanti, in quanto, pur sconsigliando al buon cristiano<br />

di praticare Zins (interesse) e Wucher (usura) e pur invitando i magistrati a vigilare contro i soprusi, sosteneva<br />

l’obbligo di onorare i contratti (cfr. E. Ramp, Das Zinsproblem. Eine historische Untersuchung, Zürich,<br />

1949, pp. 73-76).<br />

Bullinger, da parte sua, anticipa la teoria calvinistica di ben quindici anni ed è possibile che Calvino abbia<br />

tratto ispirazione dal presente trattato, che poté leggere nella traduzione latina di Leo Jud (1535) (cfr. André<br />

Bieler, La pensée économique et sociale de Calvin, Genève, 1959, pp. 474-475).<br />

Contrariamente alla totale condanna dell’usura promossa dagli Anabattisti, che sulla base delle Scritture<br />

aspiravano ad un etica pauperistica, nel contesto dell’economia del Cinquecento il Bericht propone un<br />

nuovo approccio al problema, ponendo un distinguo fra interesse e profitto ragionevole, da una parte, ed<br />

estorsione e strozzinaggio dall’altra.<br />

Riprendendo la teoria monetaria aristotelica e citando le Istituzioni di Giustiniano, Bullinger spiega che,<br />

come la terra produce frutti, così il denaro deve fruttare attraverso il Zins. Egli considera poi il denaro come<br />

il nervo vivificante dell’economia, ponendolo al centro di ogni impresa commerciale e del commercio (cfr.<br />

J.W. Baker, Heinrich Bullinger and the Idea of Usury, in: “Sixteenth Century Journal”, 5/1, 1974, pp. 49-70;<br />

inoltre W.A. Schulze, Die Lehre Bullingers vom Zins, in: “Archiv für Reformationsgeschichte”, 48, 1957, pp.<br />

225-229).<br />

Heinrich Bullinger, originario di Bremgarten (Aargau), nel 1519 s’immatricolò presso l’Università di Colonia,<br />

laureandosi nel 1522. In seguito al rogo dei libri di Lutero, cominciò ad interessarsi alla teologia,<br />

abbracciando il credo evangelico. Nel gennaio del 1523 accettò un ruolo di insegnante presso il monastero<br />

cistercense di Kappel, dove incontrò per la prima volta Huldrych Zwingli.<br />

Negli anni seguenti Bullinger fu a fianco del suo mentore nelle dispute contro gli Anabattisti a Zurigo<br />

(1525) e a Berna (1528). Dopo la morte di Zwingli (1531), egli fu chiamato a ricoprire la carica di quest’ultimo<br />

e venne nominato Antistes della chiesa zurighese.<br />

Nei primi dieci anni del suo mandato, Bullinger riformò profondamente e rinnovò la legislazione cittadina,<br />

attraverso la sua poliedrica azione. Tenne dai sei agli otto sermoni alla settimana, fu direttore della locale<br />

Accademia fino al 1537 e insegnò per molti anni teologia. Nel 1566 promosse la seconda Confessione<br />

Elvetica.<br />

Il suo pensiero, trasmesso da migliaia di lettere e decine di pubblicazioni, varcò i confine svizzeri per<br />

giungere in Germania, in Olanda, in Inghilterra e in Scozia. Egli fu infatti in corrispondenza con eminenti<br />

personalità del mondo riformato, tra cui vari esuli italiani, in Francia, in Germania, in Polonia, in Ungheria<br />

e in Inghilterra, dove la sua influenza fu particolarmente forte grazie all’azione di John Hooper, che prima<br />

di rientrare in patria lavorò al suo fianco dal 1547 al 1549. Bullinger consolidò il lascito di Zwingli,<br />

portandolo ancora oltre (cfr. F. Büsser, Heinrich Bullinger, Zürich, 2004/05, passim).<br />

VD16, B-9758. Index Aureliensis, 127.191. H.J. Hillerbrand, Anabaptist Bibliography, St. Louis (MO), 1991, nr.<br />

4731. J. Staedtke, a cura di, Heinrich Bullinger Werke. Vol. I: Beschreibendes Verzeichnis der gedruckten Werke von<br />

Heinrich Bullinger, Zürich, 1972, nr. 28. € 4.800,00<br />

36) CAMÕES, Luis de (ca. 1517-1579). Os Lusiadas, poema epico restituido à su primitiva<br />

linguagem… augmentado com a vida d’este poeta, una noticia acerca de Vasco de Gama, as estancias<br />

e lições achadas por Manuel de Faria e Souza, as variantes colhidas nas melhores edições, e muitas<br />

notas philologicas, historicas, geographicas e mythologicas; por JOSÉ DA FONSECA. Paris, na<br />

livraria europea de Baudry, 1846.<br />

In 8vo (cm 21); mezza pelle coeva con nervetti, filetti a secco e titolo in oro (qualche scoloritura ma in ottimo<br />

stato); pp. XXXIV, 585, (1). Ritratto di Camões in antiporta. Poche fioriture sparse, lieve alone d’umidità<br />

nell’angolo superiore esterno delle ultime carte, per il resto ottima copia.<br />

Importante edizione critica corredata da 200 pagine di note filologiche, storiche, geografiche e mitologiche.<br />

Graesse, II-27 («C’est la meilleure édition»). € 250,00<br />

- 30 -


37) CANNOCCHIALE A RIFRAZIONE, firmato “Olivo Venezia”, a tre allunghi in pergamena,<br />

corpo in cartone ricoperto di carta colorata e fregi allegorici, porta lenti ed anelli in<br />

corno. Italia, fine del XVIII-inizio del XIX secolo. Diametro 5 cm, lunghezza 80 cm ca. Piccole<br />

mancanze, ma ben conservato.<br />

Angelo Olivo da Venezia inventò un cannocchiale da lui chiamato dittoratico o di doppia veduta, per il<br />

quale, il 4 ottobre 1819, fu insignito della medaglia d’argento (cfr. F. Mutinelli, Annali delle Provincie Venete<br />

dall’anno 1801 al 1840, Venezia, 1843, p. 340). € 1.000,00<br />

38) CARAFA, Carlo Maria (1651-1695). Opere politiche-cristiane di Carlo Maria Carafa Principe<br />

di Butera, della Roccella, e del Sacro Romano Imperio, Grande di Spagna etc. Divise in tre libri.<br />

Mazzarino, per Giovanni Vanberge, 1692.<br />

Tre parti in un volume in folio (cm 34); legatura della metà circa del XIX secolo in mezza pelle con fregi e<br />

titolo in oro al dorso, piatti in carta marmorizzata, taglio picchiettato (qualche spellatura); pp. (12), 158 +<br />

(10), 156 + (14), 134, (10) con il ritratto dell’autore in antiporta, 4 tavole allegoriche fuori testo e 12 piccoli<br />

ritratti di principi santi nel testo. Le incisioni in rame sono firmate da Andrea Magliar, Jacques Blondeau e<br />

dai fratelli di origine siciliana Giacomo e Teresa Del Pò. Leggere fioriture marginali, qualche leggero alone<br />

e piccola macchia, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di una delle più belle edizioni<br />

siciliane del Seicento. Fu stampata nella tipografia impiantata<br />

nel proprio palazzo dallo stesso Carlo Carafa, marchese<br />

di Mazzarino, che l’affidò dapprima al palermitano Giuseppe<br />

La Barbera (1687-’89) e poi al fiammingo Jan van Berg (1690-<br />

’92).<br />

Il volume raccoglie tutte e tre le opere politiche del Carafa, già<br />

apparse singolarmente nel 1687, ’90 e ’92, ossia: Il principe<br />

politico-cristiano cioè Istruzione cristiana per i principi, e regnanti<br />

(diviso a sua volta in Trattato primo. Il principe istrutto da’ sentimenti<br />

cavati dalla Sacra Scrittura e Trattato secondo. Il principe<br />

esemplificato d’alcune virtù di principi santi scelte dalle loro vite);<br />

L’ambasciadore politico-cristiano; e infine lo Scrutinio politico contro<br />

la falsa ragion di stato di Niccolò Macchiavelli... In cui si<br />

discuoprono, si detestano, e si riducono al dovere, con esempi, ragioni,<br />

e sentenze di savi, gli errori, e gl’inganni promulgati nel di lui<br />

libro, intitolato: Il principe.<br />

«L’opera, che è l’ultima pubblicata nella stamperia privata del<br />

Principe a Mazzarino, è sconosciuta allo stesso Mira. L’Evola<br />

poi, parlandone nel suo libro sulla tipografia siciliana dice<br />

“opera estremamente rara e mai prima descritta”. Tipograficamente<br />

il volume si presenta importante con il testo riquadrato<br />

ed ottima scelta di carta e caratteri e bellissime incisioni. Del<br />

resto i libri usciti da questo luogo di stampa sono tra le più<br />

rinomate e rare edizioni del Seicento siciliano, con<br />

l’ornamentazione affidata a rinomati artisti…» (G. Moncada lo Giudice di Monforte, Una biblioteca siciliana,<br />

Roma, 2001, pp. 155-156, nr. 485).<br />

C.M. Carafa, principe di Branciforte e Butera, nacque a Caulonia in Calabria. Nel 1671 successe al padre<br />

nei titoli e nella gestione dei vasti possedimenti di famiglia e, poco dopo, sposò Isabella d’Avalos, figlia del<br />

marchese del Vasto. Deputato del Regno, nel 1683 fu nominato ambasciatore presso Innocenzo XI per<br />

rendere al pontefice il tradizionale omaggio della chinea. Dopo questo viaggio si ritirò nei suoi feudi,<br />

dedicandosi agli studi filosofici e scientifici. Morì senza lasciare figli.<br />

S.P. Michel, Repertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au XVII siècle conservés dans les bibliothèques de<br />

France, Paris, 1968, II, p. 41. € 2.500,00<br />

39a) CARDUCCI, Giosuè (1835-1907). Rime. San Miniato, Tipografia Ristori, 1857.<br />

In 16mo (cm 15); legatura coeva o di poco posteriore in marocchino nero, dorso a nervi con titolo in oro<br />

(brossure originali a stampa conservate, ma molto logore); pp. (8), 93, (3). Esemplare un po’ arrossato e con<br />

un alone pronunciato nelle ultime carte.<br />

- 31 -


RARA PRIMA EDIZIONE (tirata a 520 esemplari e stampata a spese dell’autore)<br />

della prima opera del Carducci, che comprende 25 sonetti e 13<br />

canti.<br />

Le Rime furono successivamente rimaneggiate, spesso anche in modo sostanziale,<br />

in qualche caso attraverso lo smembramento e la riduzione di<br />

componimenti di ampio respiro. Furono poi quasi tutte accolte nei Juvenilia<br />

e in piccola parte nei Levia gravia.<br />

Parenti, Rarità bibliografiche dell’Ottocento, vol. II, pp. 58-60. Salveraglio p.<br />

26, nr. 12. <strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0\0632856. Parenti, p. 127. € 1.500,00<br />

39b) EIUSDEM. Rime nuove. Bologna, Nicola Zanichelli, 1887.<br />

In 16mo (cm 15,4); legatura coeva in mezza pelle, dorso a nervetti con titolo<br />

in oro; pp. (4), 337, (3) con il ritratto dell’autore in antiporta. Lievi bruniture<br />

e fioriture sparse.<br />

PRIMA EDIZIONE.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TER\0007871. € 550,00<br />

39c) EIUSDEM. Terze odi barbare. Bologna, Nicola Zanichelli,<br />

1889.<br />

In 16mo (cm 15,4); legatura coeva in mezza pelle, dorso a nervetti con titolo<br />

in oro; pp. (4), 140, (2). Lievi bruniture e fioriture sparse.<br />

PRIMA EDIZIONE.<br />

Parenti, p. 129. <strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0\0637131. € 250,00<br />

Nato a Valdicastello, vicino Pietrasanta nel lucchese, Giosuè Carducci condusse un’infanzia abbastanza<br />

serena, fino a quando nel maggio del 1848 la sua casa di Bolgheri fu fatta bersaglio di colpi di fucile, sparati<br />

in segno di avvertimento al padre dottore per le sue idee rivoluzionarie. La famiglia si trasferì così nella<br />

vicina Castegneto (oggi Castagneto Carducci), quindi l’anno seguente a Firenze, dove il giovane Giosuè fu<br />

mandato a studiare nella scuola degli Scolopi. Nel 1853 entrò alla Scuola normale superiore di Pisa,<br />

laurendosi tre anni dopo in filosofia e filologia. Prima ancora di prendere la laurea, insegnò per un certo<br />

periodo a San Miniato, dove nel 1557 pubblicò le sue prime Rime, che recuperavano lo spirito polemico del<br />

gruppo “Amici pedanti”, da lui fondato a Pisa insieme ad alcuni studenti che si opponevano al cattolicesimo<br />

bigotto imperante alla Normale. Nel 1858, dopo la morte del padre e del fratello Dante, si sposò e prese<br />

a vivere con sé la madre e il fratello minore. In quegl’anni cominciò la collaborazione con l’editore fiorentino<br />

Barbera, per il quale appronterà una collana di classici. Nel 1860 ottenne la cattedra di eloquenza<br />

presso l’Università di Bologna, che mantenne fino al 1903.<br />

Animato da profonda passione politica, deluso dal governo italiano, pur non divenendo mai un socialista<br />

radicale, per indole e temperamento Carducci fu sempre piuttosto severo e sarcastico nei confronti della<br />

classe politica del suo paese, accusata di eccessivo servilismo nei confronti della chiesa. Il laicismo fu uno<br />

dei cardini del suo impegno civile e una costante della sua produzione poetica. Esemplare in questo senso<br />

il celebre inno A Satana, pubblicato nel 1865 sotto lo pseudonimo di Enotrio Romano. Questo atteggiamento<br />

severo e dissacratore gli causò non pochi problemi con le autorità.<br />

Nel 1877, presso l’editore Nicola Zanichelli di Bologna pubblicò le celebri Odi barbare, ossia quattordici<br />

liriche in metro barbaro o neoclassico. Nel 1882, sempre presso lo stesso editore, uscirono le Nuove odi<br />

barbare (venti nuovi componimenti, di cui tre traduzioni da Platen e Klopstock, seguiti dalla versione in<br />

latino e tedesco di quattro odi), infine nel 1889 le Terze odi barbare (altre venti). Le tre raccolte furono fuse<br />

insieme nel 1893 in due libri, per poi passare nell’omonima sezione delle definitive Poesie. Nell’impossobilità<br />

di far coincidere la prosodia del verso italiano con le arsi di quello greco-latino, Carducci cercò con le Odi<br />

barbare di ricreare il suono del verso classico attraverso il ritmo del verso italiano. L’operazione era svolta<br />

in polemica con i metri tradizionali della nostra letteratura. Per quanto riguarda i temi, il poeta riprendeva<br />

i miti dell’antica Grecia e dell’antica Roma, ammantandoli di una vena nostalgica, ma al contempo<br />

celebrativa del progresso civile della nazione, senza tralasciare i consueti toni polemici.<br />

Rime e ritmi (Bologna, 1899) fu l’ultima raccolta poetica del Carducci prima del silenzio. Gli ultimi anni di<br />

vita, segnati da una precoce decadenza fisica, furono solamente allietati dal premio Nobel per la letteratura<br />

che gli fu consegnato 1906.<br />

- 32 -


40) CASTI, Giambattista (Acquapendente, 1724-Parigi, 1803). Gli animali parlanti, poema<br />

epico diviso in ventisei canti… Vi sono in fine aggiunti quattro Apologhi del medesimo autore non<br />

appartenenti al Poema. In Parigi, Presso Treuttel e Wuertz; In Cremona, Presso li fratelli Manini;<br />

In Genova, Presso Frantin, Gravier e Comp.a; Anno X 1802.<br />

Tre volumi in 8vo grande (cm 22,7); legatura coeva in mezzo marocchino, ricche impressioni e titolo in oro<br />

sul dorso, tagli marmorizzati (piccolo danno al piatto posteriore del primo volume); pp. XIV, (2), 387, (1) +<br />

pp. (4), 412 + pp. (4), 415, (1). Lievi bruniture a tratti, ma ottima copia fresca e marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa popolarissima e fortunatissima<br />

opera che andò incontro a numerosissime edizioni nel corso del<br />

secolo.<br />

«Gli Animali parlanti ebbero un successo strepitoso… Da essi presero<br />

le mosse il Leopardi traduttore della Batracomiomachia e autore<br />

dei Paralipomeni, che nel Discorso sopra la Batracomiomachia ne<br />

rileverà l’uso felicissimo delle sestine. La loro presenza si avvertirà<br />

fin dentro all’Ottocento più periferico.<br />

Il C. finge di derivare la materia del poema favolistico-satirico da<br />

un testo braminico, che narrava eventi di antiche età<br />

preadamitiche quando gli aligeri-volatili-pennuti e i pelosi-quadrupedi-cornuti<br />

erano forniti di intelletto e parola. Gli animali si sono<br />

dati una monarchia assoluta, sotto il Leone. Alla morte del Monarca,<br />

il dispotismo della Leonessa esaspera gli oppositori (i<br />

Clubisti) e fa precipitare la situazione verso la guerra civile. I<br />

realisti vengono battuti in guerra. Si arriva a un armistizio. Sull’isola<br />

di Atlantide viene convocato un congresso generale. Un<br />

cataclisma fa però sprofondare l’isola. Gli animali che riusciranno<br />

a salvarsi perderanno le loro preistoriche virtù. La caustica<br />

narrazione ripercorre - in veste zooepica- le vicende politiche della<br />

Francia del Settecento, attraverso lo scontro tra assolutismo<br />

monarchico e nuovo spirito repubblicano. Lo scetticismo pernicioso<br />

che Foscolo contestava all’opera, altro non è che realistica<br />

consapevolezza delle precarie conquiste dell’età rivoluzionaria…<br />

Un limite è nella lungaggine della macchina narrativa; ma l’ottuagenaria<br />

età non concesse al C. il tempo d’essere breve, com’egli stesso era disposto a confessare» (D.B.I., s.v.).<br />

Il Casti, abate libertino e dalle idee repubblicane, ebbe una vita avventurosa, che lo vide viaggiare fra le più<br />

importanti corti europee dell’epoca, sia spinto da incarichi diplomatici che dalla propria ambizione letteraria:<br />

Vienna, dove visse a più riprese per molti anni, prendendo il posto di poeta cesareo che era stato del<br />

Metastasio e quello di librettista comico che aveva occupato Da Ponte; Pietroburgo, dove visse sei anni e<br />

scrisse il Poema tartaro ambientato alla corte di Caterina II; Parigi, dove si dischiarò apertamente<br />

antinapoleonico; Costantinopoli; ecc. Nella sua vastissima produzione, oltre alla presente che rimane la<br />

sua opera più importante, spiccano i libretti melodrammatici: «il C. fu il vero creatore dell’opera buffa<br />

italiana, e questo merito gli riconosceva già l’Arteaga, mentre U. Foscolo e W. Goethe ammiravano le sue<br />

opere di questo genere» (Diz. Lett. it. Laterza, s.v.).<br />

«Il C. morì a Parigi la notte del 6 febbraio 1803, probabilmente a causa della grippe che in quei giorni<br />

imperversava. Una morte troppo anodina per i guardiani dei costumi, che dell’abate europeo temevano il<br />

materialismo e la forza delle idee ancor più che il chiacchierato libertinaggio. Preferirono quindi immaginare<br />

che morisse di colica prodotta da viziosa indigestione: morì barzellettando sulla sua indigestione e sulla<br />

sua morte, scrisse l’avventuriero Francesco Apostoli» (D.B.I., s.v.).<br />

Gamba, 2559. Parenti, Rarità biliografiche dell’Ottocento, VI, pp. 123-124. € 900,00<br />

41) CASTIGLIONE, Baldassare (1478-1529). Il Libro del Cortegiano... Nuovamente con somma<br />

diligenza corretto, et revisto per il Dolce secondo l’essemplare del proprio autore. Venezia,<br />

Gabriel Giolito, 1552.<br />

In 8vo; pergamena floscia coeva; cc. 204. Marca tipografica al titolo ed in fine. Freschissima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, CURATA DA LUDOVICO DOLCE, di questa celebre opera, che fu pubblicata<br />

per la prima volta dagli eredi di Aldo nel 1528.<br />

La richiesta per il Cortegiano fu da subito considerevole e già nel ‘28 apparve presso i Giunti la prima<br />

edizione tascabile in 8vo. Negli anni seguenti gli editori si contesero il titolo a suon di novità. Due edizioni<br />

- 33 -


veneziane del 1538 venivano dichiarate sul frontespizio<br />

“nuovamente corrette”, mentre l’officina aldina rispose nel 1547<br />

con un’edizione che si diceva essere stata nuovamente collazionata<br />

sul manoscritto autografo dell’autore.<br />

Giolito rispose nel 1552 con la presente edizione curata da Ludovico<br />

Dolce, che fu più volte ristampata fino al 1562 (cfr. B. Richardson,<br />

Print Culture in Renaissance Italy. The Editor and the Vernacular Text,<br />

1470-1600, Cambridge, 1994, pp. 124-125; inoltre C. Ossola, Il Libro<br />

del Cortegiano: esemplarità e difformità, in: “La corte e il ‘Cortegiano’”,<br />

a cura di C. Ossola e A. Prosperi, Roma, 1980, I, pp. 43-50).<br />

L. Dolce, di antica famiglia veneziana, rimase orfano in giovane<br />

età. Compiuti i primi studi a Padova, fece ritorno a Venezia, dove<br />

visse per il resto della sua vita coi proventi delle sue numerose<br />

pubblicazioni e della sua attività di revisore editoriale presso Giolito<br />

de’ Ferrari, con cui collaborò per quasi trent’anni. Fece parte dell’Accademia<br />

dei Pellegrini, fra i cui membri figuravano A.F. Doni,<br />

F. Sansovino, G. Denores, E. Bentivoglio e tanti altri. Traduttore dal<br />

greco e dal latino, fu autore anche di satire, poemi, commedie e<br />

trattati sulla lingua e sull’arte (cfr. R.H. Terpening, Lodovico Dolce.<br />

Renaissance Man of Letters, Toronto, 1997, pp. 2-24).<br />

Edit16, CNCE10080. Index Aureliensis, 133.602. P. Burke, Fortunes of<br />

the ‘Courtier’. The European Reception of Castiglione’s ‘Cortegiano’,<br />

Cambridge, 1995, pp. 41-43 and p. 160, no. 58. B. Richardson, op.<br />

cit., p. 246. € 2.200,00<br />

42) [CAVALCANTI, Bartolomeo (1503-1562)]-SPERONE, Speroni (1500-1588). Giuditio<br />

sopra la Tragedia di Canace et Macareo con molte utili considerationi circa l’arte Tragica, et di altri<br />

poemi con la Tragedia appresso. Lucca, Vincenzo Busdraghi, 4 maggio 1550.<br />

In 8vo (cm 15,5); pergamena rigida del XVIII secolo, dorso a quattro nervi con tassello e titolo in oro, tagli<br />

spruzzati; cc. 95. Manca l’ultima carta bianca. Bel frontespizio xilografico con al centro la marca tipografica<br />

del Busdraghi, ripetuta più in grande ed entro cornice anche al verso della carta 95 e, in controparte, al<br />

recto della carta 55. Capilettera ornati. Ottima copia di questa raffinata edizione dall’elegante carattere<br />

corsivo.<br />

Il Giuditio, attribuito anche a G.B. Giraldi (cfr. S. Speroni, Canace<br />

e scritti in sua difesa, a cura di C. Roaf, Bologna, 1982, pp. XXIV-<br />

XXIX), è in prima edizione, mentre la Canace dello Speroni, il<br />

cui testo è qui riprodotto dalla pagina 55 con frontespizio a sé,<br />

apparve per la prima volta presso il Valgrisi nel 1546.<br />

Benchè il primo libro stampato dal Busdraghi (1524-1601) siano<br />

le Quattro novelle del Molza, uscite nel 1549 e conosciute in<br />

un solo esemplare, da quanto egli afferma nella dedica a G.B.<br />

Giraldi («Sendo ridotta la mia stampa [ossia stamperia] a termine<br />

ch’io comincio a servirmene, et insieme capitatomi alle mani<br />

il presente giuditio… di occulto autore, l’ho impresso a un pari<br />

con l’intera tragedia benché in carattere assai humile», c. 1 verso)<br />

si può congetturare che questa edizione sia il primo progetto<br />

editoriale del Busdraghi, già da tempo in preparazione, ma licenziato<br />

solo in seguito per motivi ignoti. Questa ipotesi sembra<br />

trovare conferma nel fatto che il Giuditio, datato «il primo di<br />

luglio MDXLIII», circolò dapprima in forma manoscritta (cfr.<br />

Speroni, op. cit., pp. XXXIII-XXXVII).<br />

Scritto in forma di dialogo, il narratore vi afferma di voler riportare,<br />

quanto più fedelmente possibile, alcuni pareri intorno ad<br />

una tragedia da poco scritta, che egli aveva udito esprimere a<br />

Bologna e Venezia da dotti uomini intenti a discorre di cose alte<br />

sotto i portici ed in gondola. La Canace fu composta infatti nel<br />

1542 e letta a Padova davanti all’Accademia degli Infiammati.<br />

- 34 -


Anch’essa ebbe una prima circolazione manoscritta. Al 1553 circa risale invece probabilmente l’Apologia<br />

(apparsa a stampa solo nel 1597) che lo Speroni scrisse in risposta alle critiche cui la sua tragedia era stata<br />

sottoposta nel Giuditio, dimostrando una posizione molto affine a quella sostenuta dal Giraldi nel Discorso<br />

intorno al comporre delle comedie e delle tragedie, scritto nel 1543, ma pubblicato solamente nel 1554 insieme al<br />

Discorso intorno al comporre de i romanzi.<br />

«The opening attack in the new battle over Speroni’s Canace is thus in many ways a remarkable critical<br />

document. As early as 1543, this Giudizio of Cavalcanti evolves a fairly complete theory of the tragedy,<br />

based in large part upon Aristotle’s Poetics but referring also to certain of Horace’s tenets and to the current<br />

rhetorical tradition. It calls upon the dramatic poet to observe the laws handed down by the ancients; but<br />

it also urges him to follow the examples of such practitioners of the art as Seneca and Trissino. Especially,<br />

it recommends attention to the needs of the audience, to the fact that tragic poetry is made to be performed<br />

in public. The tragic effect must be thought of in terms of that audience; it must be achieved through a<br />

proper subject, involving the right kind of characters, combined in a proper plot. Lyric effects are not<br />

acceptable, and hence such florid diction as Speroni’s is to be condemned. In every way, the peculiar<br />

requirements of tragic poetry must be satisfied. The Canace, because it fails to satify them, is a fit target for the<br />

practical critic as well as for the thoerist» (B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance,<br />

Chicago, 1961, pp. 922-923).<br />

B. Cavalcanti trascorse gli anni della giovinezza a Firenze, sua città natale, dove ebbe modo di frequentare<br />

le riunioni degli Orti Oricellari, durante le quali conobbe F. Cattani da Diacceto, P. Vettori, L. Alamanni e<br />

soprattutto N. Machiavelli, che lasciò una fortissima impronta sul suo pensiero. Molto attivo a livello<br />

diplomatico negli anni della repubblica fiorentina, dopo l’insediamento dei Medici lasciò la città e nel 1537<br />

partecipò alla battaglia di Montemurlo, in cui i fuorisciti furono severamente sconfitti. Dopo un breve<br />

soggiorno in Francia, Cavalcanti si stabilì a Ferrara, dove per un certo periodo si dedicò esclusivamente<br />

all’attività letteraria ed entrò in contatto con G.B Giraldi, L. Capilupi, D. Barbaro, S. Speroni, V. Maggi e P.<br />

Manuzio. In questi anni compose la prima stesura della sua opera più celebre, la Retorica, che fu pubblicata<br />

a Venezia nel 1559. Nel 1548 lasciò Ferrara e si stabilì dapprima a Roma, quindi a Parma. Per un breve<br />

periodo parve riconciliarsi con il duca Cosimo, ma nel 1555 partecipò in prima persona alla difesa di Siena<br />

dall’attacco dell’esercito mediceo. In seguito a questa vicenda fu costretto ad un grande sforzo economico<br />

per riscattare il figlio che era stato imprigionato a Firenze con l’accusa di complotto. Si spense a Padova nel<br />

1562 (cfr. D.B.I., XXII, pp. 611-617).<br />

Edit16, CNCE21258. Gamba, 1653. Adams, S-1573. Weinberg, op. cit., p. 1122. Speroni, op. cit., p. LXXIV, nr. 3.<br />

€ 2.200,00<br />

«THE FIRST APPLICATION OF THE MODERN PRINCIPLES OF PSYCHIATRY» (G. MORA)<br />

43) [CHIARUGI, Vincenzo (1759-1820)]. Regolamento dei Regi Spedali di Santa Maria Nuova<br />

e di Bonifazio. Firenze, Gaetano Cambiagi, 1789.<br />

In 4to (cm 28); legatura dei primi decenni dell’Ottocento in mezza pergamena con punte, piatti in carta<br />

marmorizzata, dorso con tassello e titolo in oro, tagli gialli; antiporta calcografica, pp. LXXVIII [i.e. LXXX],<br />

(2), 416, (2) tavole incise in rame più volte ripiegate, (1) tabella più volte ripiegata, pp. (82) di tabelle e<br />

spiegazioni, 2 bianche, (9) tavole calcografiche più volte ripiegate (piante, spaccati e prospetti dell’edificio).<br />

Il presente esemplare reca inoltre in aggiunta una seconda Pianta del Regio Spedale di S. Maria Nuova di<br />

Firenze, che mostra alcune significative differenze rispetto all’altra, in particolare per quanto riguarda la<br />

disposizione di alcuni ambienti e la loro destinazione d’uso. Sul titolo armi degli Asburgo-Lorena incise in<br />

rame. Le figure furono incise da Giovanni Battista Cecchi e Benedetto Eredi su disegni di E.I. Oricellarius,<br />

Santi Pacini, Carlo Cecci, Luigi Mulinelli e Lorenzo Martelli. Bellissima copia su carta greve.<br />

PRIMA EDIZIONE, edita per le cure di Marco Covoni-Girolami e da questi dedicata al Granduca Pietro<br />

Leopoldo, di quest’opera fondamentale nella storia della psichiatria.<br />

Originario di Empoli, Vincenzo Chiarugi si laureò a Pisa nel 1779 e cominciò a lavorare presso l’ospedale<br />

di Santa Maria Nuova a Firenze. Grazie all’appoggio e all’amicizia di Pietro Leopoldo, riuscì a portare<br />

avanti il suo straordinario programma riformatore.<br />

Il Granduca fu infatti uno dei primi reggenti europei ad occuparsi della cura e del trattamento delle malattie<br />

mentali all’interno di un vasto programma di riforme sociali. Nel 1774 promosse la Legge sui pazzi, la<br />

prima del genere mai promulgata. Nel 1785 fece costruire un nuovo ospedale, il San Bonifacio, progettato<br />

esclusivamente per i malati di mente, da affiancare a quello di Santa Maria Nuova. Alla testa del nuovo<br />

ospedale fu messo il ventiseienne Chiarugi, che vi introdusse un nuovo metodo terapeutico basato sulla<br />

dolcezza e sulla convinzione che i malati psichiatrici andassero guariti alla stregua degli altri pazienti. Il<br />

San Bonifacio aprì ufficialmente nel 1788 e l’anno seguente Chiarugi fu incaricato di redigerne i regolamenti.<br />

- 35 -


Pochi anni dopo (Firenze, Luigi Carlieri, 1793-1794), egli pubblicò Della pazzia in genere, e in specie. Trattato<br />

medico-analitico con una centuria di osservazioni, opera monumentale, che rappresenta la prima trattazione<br />

sistematica e razionale dei disturbi mentali e segna la nascita della psichiatria clinica come disciplina<br />

autonoma.<br />

Chiarugi teorizzò e mise in pratica presso gli ospedali da lui gestiti il rispetto della personalità fisica e<br />

morale del malato di mente; mise al bando ogni forma di coercizione; e impose che la struttura ospedaliera<br />

(edificio e personale) fosse idonea allo scopo e consentisse ai pazienti di usufruire di spazi verdi e di avere<br />

sempre a disposizione un medico ed un chirurgo.<br />

In sostanza Chiarugi fu il primo ad introdurre ed applicare quelli che sono ancor’oggi considerati come i<br />

principi basilari della moderna psichiatria. In molti anni di attività egli riuscì a guarire o, per lo meno, a<br />

ristabilire i tre quinti dei suoi pazienti. Morì a Firenze il 22 dicembre del 1820 (cfr. A. Scapini, La pazzia<br />

nell’interpretazione di Vincenzo Chiarugi, Pisa, 1966, passim).<br />

«In considering Chiarugi’s reform now from a historical perspective, there is no question that it constitutes<br />

the first application of the principles of psychiatric treatment which are at the basis of psychiatry even<br />

today. There is no evidence in the history of psychiatry of any other reform of similar type prior to that of<br />

Chiarugi. It is important to stress that such a reform involved not only the organization of a new hospital<br />

and new facilities, but the cooperation and dedication of a large staff, and – even more important than this<br />

– the overcoming of all kinds of prejudices and misunderstangings. This gives an indication of the depth<br />

and significance of Chiarugi’s reform… A detailed history was required for each patient admitted to the<br />

hospital. The hospital was built to meet high hygienic standards, men were separated from women, and<br />

the rooms and furniture offered full protection to the patients… Under no circumstances could force be<br />

used on patients, and the only methods of restriction allowed were strait jacktes and strips of reinforced<br />

cotton, in order to prevent impairment in the patient’s circulation» (G. Mora, Vincenzo Chiarugi and his<br />

Psychiatric Reform in Florence in the Late 18 th Century, in: “Journal of the History of Medicine and Allied<br />

Sciences”, XIV, 1959, pp. 427-432).<br />

Wellcome Library, III, p. 33. OCLC, 45879476. Norman, 474. € 3.900,00<br />

IL PRELUDIO DEL SACCO DI ROMA<br />

44) CLEMENTE VII (1523-1534). Monitorium contra dominos Ascanium, Vespasianum et alios<br />

de Columna ac eorum complices, et alios, qui omnibus seculis inauditum Sacrilegii laesaeque Maiestatis<br />

ac Rebellionis crimen, in Principem Apostolorum et Clementem VII. Pontificem Max. Turcica<br />

impietate perpetrarunt. S.n.t. (Roma, Francesco Minizio Calvo, 1526).<br />

In 4to (cm 18,5); cartoncino colorato del XVIII secolo; cc. 6. Margini sobri, ma ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE. «La politica di Clemente VII diveniva sempre più filofrancese, e Ascanio<br />

Colonna, di fede imperiale come la maggior parte dei suoi consorti, si univa ad essi, stringendosi nell’opposizione<br />

al pontefice intorno al cardinale Pompeo. Quando questi capeggiò la spedizione che il 20 settembre<br />

1526 vide i Colonnesi, in nome dell’autorità imperiale e in odio al papa, mettere a sacco i palazzi<br />

- 36 -


vaticani e la basilica di S. Pietro, Ascanio era con lui. Addivenuto Clemente VII ad un accordo con l’ambasciatore<br />

imperiale, Ugo de Moncada, i Colonnesi dovettero ritirarsi, ma il loro scontento era pari alla<br />

volontà del pontefice di non mantenere la promessa di perdono nei loro confronti. Così Ascanio, Pompeo<br />

e Vespasiano Colonna furono compresi nel monitorio che il papa lanciò ai primi di novembre contro i<br />

Colonna... Poco dopo il pontefice fece assaltare le case dei Colonna a Roma e i loro possedimenti nella<br />

campagna romana e privò il cardinal Pompeo della porpora» (D.B.I., XXVII, p. 271 e p. 409).<br />

F. Barberi, Tipografi Romani del Cinquecento. Guillery, Ginnasio Mediceo, Calvo, Dorico, Cartolari, Firenze, 1983,<br />

p. 94. F. Barberi, Le edizioni romane di F. Minizio Calvo, in: “Miscellanea G. Ferrari”, Firenze, 1952, p. 83, nr.<br />

77. Edit16, CNCE 41677(-79). € 650,00<br />

45) COLER, Jakob (1537-1612). Historia disputationis seu potius colloquii, inter Iacobum Colerum<br />

et Mathiam Flacium Illyricum, de peccato originis, habitae in arce Langenaw Silesiorum 12. Maij<br />

Anno 1574. Paulo ante obitum Illyrici. Berlino, Nikolaus Voltz, 1585.<br />

In 4to; cartonato recente; cc. (60). Qualche lievissima macchia, ma ottima copia.<br />

RARISSIMA PRIMA EDIZIONE dei protocolli della disputa fra i due teologi luterani Jakob Coler e Matthias<br />

Flacius Illyricus (1520-1575) sull’origine del peccato, tenutasi nel castello di Lähnhaus il 4 maggio 1574 e<br />

in quello di Langenau (Slesia) otto giorni più tardi. L’opera era già introvabile nel Settecento e per questo se<br />

ne fece una ristampa a Stralsund nel 1726.<br />

Flacio, avendo affermato la naturale incapacità dell’uomo, senza volere cadde in espressioni consonanti<br />

con il concetto manicheo del peccato, inteso non come accidente dell’umana natura, ma come parte ad essa<br />

consustanziale fin dalla Caduta. Questa fu l’ultima grande disputa alla quale prese parte il famoso riformatore<br />

luterano. In quel tempo egli aveva trovato rifugio a Francoforte, dove Catharina von Meerfeld,<br />

badessa del convento delle Dame Bianche, lo aveva fatto riparare con la sua famiglia a dispetto delle<br />

autorità. Flacius cadde ammalato alla fine del 1574. Il Consiglio cittadino gli ordinò di abbandonare la città<br />

il primo di maggio del 1575, ma la morte lo colse l’11 di marzo (cfr. E. Schmid, Des Flacius Erbsünde-Streit, in:<br />

“Zeitschrift für die historische Theologie”, 19, 1849, pp. 2-78, 218-279).<br />

Jakob Coler, nativo di Greiz (Sassonia), fece i suoi primi studi a Zwickau e poi all’Università di Frankfurt<br />

a.O., dove G. Sabinus fu uno dei suoi insegnanti. Come pastore in numerose cittadine della Slesia, egli si<br />

guadagnò presto la reputazione di rigido difensore del puro Luteranesimo, cosa che lo mise varie volte in<br />

seri guai. La sua disputa con Flacius attirò l’attenzione di Andreas Musculus, rettore dell’Università di<br />

Frankfurt a. O., che gli offrì la cattedra di ebraico. Poco tempo dopo l’Elettore del Brandenburgo lo chiamò<br />

a Berlino alla corte concistoriale. Fu poi sovrintendente a Güstrow e assessore a Rostock. Coler è anche<br />

conosciuto per aver collaborato alla stimatissima edizione<br />

della Bibbia ebraica curata da Elias Hutter.<br />

VD16, C-4512. K. Schottenloher, Bibliographie zur deutschen<br />

Geschichte im Zeitlater der Glaubensspaltung, Stuttgart, 1956, I,<br />

p. 257, nr. 6337. € 650,00<br />

SUD AMERICA<br />

46) COLETI, Giovanni Domenico (1727-1798). Dizionario<br />

storico-geografico dell’America Meridionale. Venezia,<br />

[Nicolò] Coleti, 1771.<br />

Due tomi in un volume in 4to (cm 26); legatura coeva in piena<br />

pergamena rigida, dorso con tassello e titolo in oro, tagli<br />

marmorizzati; pp. VII, (1), 196 + pp. 192. Con una grande<br />

carta geografica fuori testo più volte ripiegata. Leggero alone<br />

marginale all’inizio e alla fine del volume, ma nel complesso<br />

ottima copia marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE della più vasta ed importante opera del<br />

Coleti, in cui questi raccolse una amplissima messe di notizie<br />

ed informazioni di prima mano, da lui vagliate attraverso<br />

il confronto con gli scritti dei primi storici del Nuovo<br />

Mondo e con l’ausilio di collaboratori scelti e fidati.<br />

«In due volumi, disposti in ordine alfabetico e preceduti da<br />

una carta dell’America del Sud da lui stesso disegnata, il<br />

Coleti allinea informazioni precise su fiumi, laghi, regioni e<br />

- 37 -


popoli di un continente, la cui conoscenza, a distanza di quasi tre secoli dalla scoperta, non era ancora<br />

molto diffusa tra il grande pubblico» (D.B.I., XXVI, p. 725).<br />

Originario di Venezia, Giovanni Domenico Coleti entrò giovanissimo nel collegio gesuitico di Ravenna.<br />

Nel 1755 si imbarcò per l’America latina, giungendo a Cartagena. Presi i voti, si trasferì a Quito, dove<br />

terminò gli studi teologici ed apprese lo spagnolo. Cominciò quindi ad insegnare grammatica e, nel tempo<br />

libero, a raccogliere materiale con lo scopo di scrivere una grande storia del Sud America.<br />

Nel 1767, in seguito al decreto di espulsione di Carlo III, che bandiva i Gesuiti da tutti i territori del Regno,<br />

fece ritorno in Italia. Dopo la soppressione dell’Ordine nel 1773, lavorò come segretario di alti prelati e fu<br />

nominato protonotario apostolico. Morì a Venezia nel gennaio del 1798.<br />

Coleti fu in contatto epistolare con tutti i maggiori intellettuali del suo tempo, da Algarotti a Muratori, da<br />

Tiraboschi a Morelli.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\PUVE\003107 e 00308. Sabin, 14339. Leclerc, 125. De Backer-Sommervolgel, II,<br />

1285. € 1.900,00<br />

UN ORIGINALE CUOCO NAPOLETANO<br />

47) CORRADO, Vincenzo (1738-1836). Il Credenziere di buon gusto opera meccanica dell’Oritano<br />

V.C. Napoli, Nella Stamp. Raimondiana, 1778.<br />

(legato con:) IDEM. Del Cibo Pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ Nobili, e de’ Letterati… In<br />

Napoli, Nella Stamp. dei Fratelli Raimondi, 1781.<br />

(legato con:) IDEM. Il Moltiplico e governo degli Animali domestici per uso di cibo… In Napoli,<br />

Nella Stamp. Raimondiana, 1784.<br />

Tre opere in un volume in 4to (23,5); pergamena rigida coeva con titolo in oro al dorso (piccolo restauro al<br />

dorso); ritratto dell’autore in antiporta (G. Aloja inc.), pp. (20), 62 (manca ultima bianca) con una bellissima<br />

tavola fuori testo più volte ripiegata (cm 23x40; G. Giannini del. - G. Aloja inc.) + pp. (8), 47, 1 bianca + pp.<br />

XVI, 42, 2 bianche. Frontespizi entro bordura floreale e con marchi tipografici, graziosa vignetta al titolo<br />

della terza opera, capilettera, testatine e finalini incisi. Anche il Del Cibo Pitagorico e il Moltiplico dovrebbero<br />

avere un ritratto in antiporta, qui mancanti dall’origine, ma pensiamo che la cosa non abbia eccessiva<br />

rilevanza, considerato il fatto che la raccolta è stata messa insieme all’epoca e chi l’ha realizzata ha<br />

evidentemente ritenuto superfluo ripetere lo stesso ritratto tre volte. Bruniture e fioriture sparse dovute alla<br />

cattiva qualità della carta (come spesso nelle edizioni napoletane di fine Settecento), strappo restaurato al<br />

margine della tavola ripiegata, per il resto ottima copia genuina nella sua legatura originale.<br />

PRIMA EDIZIONE di tutte e tre le opere, che hanno goduto di una certa fortuna come testimoniano le<br />

numerose ristampe antiche e moderne (le ultime sono dell’editore Forni di Bologna con commento di C.<br />

Bemporad e dell’editore Sigma di Bari).<br />

I) Dopo la dedica e una lunga, ma molto vivace, Prefazione, in cui si traccia una breve storia della cucina<br />

dall’antichità e si spiegano gli argomenti e le ragioni dell’opera, seguono 8 Trattati dedicati rispettivamente:<br />

allo Zucchero e alle Pozioni calde; ai Sorbetti; ai Dolci in Forno, Stainato e Confettura; ai Frutti in composta,<br />

canditi e graniti; alle Marmellate di frutti e di fiori; agli Spiriti e Rosoli; alle Acque di Odore, agli Aceti e ai Profumi;<br />

ai Desserts (uno per ogni mese dell’anno).<br />

- 38 -


«Il Credenziere di buon gusto è una breve opera, lontana dalla supponente completezza dell’omonimo libro<br />

di Leonardi ma molto più interessante grazie alle sue doti di spontaneità ed immediatezza, che rifugge dai<br />

paradigmi schematici della cucina neoclassica fossilizzata ancora sui modelli francesi della metà del<br />

secolo» (C. Benporat, Storia della gastronomia italiana, Milano, 1990, p. 297).<br />

II) Interessante dissertazione, dedicata a John Child, di forte impronta vegetariana. L’autore si richiama a<br />

Pitagora, ma sembra condividere personalmente l’alimentazione vegetariana, ritenendola più sana e più<br />

confacente alla vera natura umana. Dato comunque che il piacere della tavola non deve andare perduto,<br />

Corrado insegna qui come rendere gustose erbe, radici e fiori che altrimenti non sarebbero facilmente<br />

ingeribili.<br />

III) L’operetta comincia con una divertenete dedica all’Ombra di Apicio, che sarebbe apparso all’autore in<br />

più di una circostanza per rendere nota la sua approvazione del lavoro svolto da quest’ultimo. Segue un<br />

sonetto intitolato Ritratto dell’Autore, opera di Domenico Maria Pinto, canonico della Cattedrale di Oria,<br />

città natale del Corrado situata nella provincia salentina. Il sonetto è accompagnato da copiose note dello<br />

stesso autore, contenenti numerose notizie sulla vita del Corrado e sui suoi scritti. Gli animali trattati sono:<br />

polli, colombi, pavoni, anitre, oche, fagiani, bovini, ovini, suini, conigli e api.<br />

«Anche V.C., come l’anonimo “cuoco piemontese”, non oppone pregiudiziali di sorta all’adozione del<br />

lessico gastronomico francese… Per altro aspetto, il C. rivela una maggiore fedeltà alla pratica tradizionale<br />

della cucina italiana o per lo meno lo sforzo più costante per attuare l’assimilazione della cucina forestiera<br />

a quella locale, con effetti registrabili nella larga esemplificazione offerta dal suo ricettario, il quale non<br />

indulge ad una didascalica particolareggiata e tende piuttosto a risolversi in termini di estrema concisione,<br />

senza danno per l’intelligibilità delle singole ricette» (E. Faccioli a cura di, Arte della cucina, Milano, 1966,<br />

vol. II pp. 273-290).<br />

Corrado nacque ad Oria nel 1738. Trasferitosi giovanissimo a Napoli, nel 1755 entrò nell’Ordine dei<br />

Benedettini. Al seguito del padre Generale, compì numerosi viaggi, durante i quali prese coscienza dei<br />

problemi connessi con l’agricoltura e il commercio. Dopo il Latini (1692), ultimo dei grandi trattatisti<br />

italiani di tradizione rinascimentale, egli fu tra i primi autori di ricettari volti a svincolarsi dall’assoluto<br />

dominio della cucina francese, protagonista dele tavole italiane per tutto il Settecento (cfr. Benporat, op. cit.,<br />

pp. 289-290).<br />

Westbury, pp. 56-59. € 3.800,00<br />

48) [CORRER, Gregorio (1409-1464)]. Progne tragoedia, nunc primum edita. [Venezia], In<br />

Academia Veneta, 1558.<br />

In 4to (cm 18,5); legatura del XIX secolo in mezza pelle, piatti in<br />

carta colorata con titolo in oro, risguardi marmorizzati; cc. (6),<br />

27 [i.e. 23], (1 bianca). Vari errori di paginazione e numerazione.<br />

Marca tipografica incisa in rame al titolo. Frontespizio un po’<br />

sporco, ma ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di questa celebre tragedia latina<br />

in versi che nel 1561 fu tradotta in volgare e stampata da L.<br />

Domenichi. La presente edizione fu curata da Giovanni Ricci,<br />

giurista veneziano, professore a Padova dal 1553 e membro dell’Accademia<br />

Veneziana, sulla base di una copia manoscritta da<br />

lungo tempo conservata nella sua biblioteca, come egli stesso<br />

riferisce nella dedica a Francisco Vargas, ambasciatore del re di<br />

Spagna nella città lagunare.<br />

La paternità della tragedia, sconosciuta sia al Ricci che al<br />

Domenichi (che la pubblicò a proprio nome), venne a lungo dibattuta.<br />

Fu Jacopo Morelli nel 1798 a dirimere definitivamente la<br />

questione (cfr. Operette, Venezia, 1820, II, pp. 211-214).<br />

«Corraro führt mit der dramatischem Gestaltung des Progne-<br />

Themas, das von Ovids Metamorphosen entnahm, die lange<br />

Reihe der Dramatiker der Renaissance an, die in ihrer Stoffwahl<br />

auf Ovid zurückgriffen, der neben Seneca und Vergil das am<br />

meisten herangezogenen Vorbild für die Renaissancetragödie<br />

darstellt» (U. de Vries, Die Progne des Gregorio Corraro und ihr<br />

Verhältnis zur Antike, Heidelberg, 1987, p. 181).<br />

«This tragedy must have been well received by many influential<br />

- 39 -


people. Aeneas Sylvius, it may be recalled, said in 1449 that Italy had “nothing in Latin [tragedy] today<br />

besides Seneca, except Gregorio Corraro”. Corraro took his argument from the celebrated story of Tereus,<br />

Procne, and Philomela in Ovid’s Metamorphoses, but he knew that a play and not a narrative was demanded,<br />

so he tried to reshape the story to fit into the framework of Senecan tragedy. He imitated Senecan tragedy in<br />

general and the Thyestes in particular… The printed version of 1558 is not devided into acts, the choral<br />

odes do separate the play into a prologue and four episodes of varying lenght. The third “act”, for example,<br />

is by far the longest. It is notable that the Italian condensed Ovid’s matter of months and years to a matter<br />

of days. The twenty-four-hour rule was not yet in effect, of course, but Corraro made a determined if not<br />

altogether successfull effort to create the illusion of a few hours passing, and the reader is almost convinced<br />

that all of the events take place within a couple of days or so… This play can hardly be ranked very high in<br />

European drama, but it settled Renaissance tragedy on the course laid by Loschi, and this was the course<br />

followed by tragedy during the next century and a half (M.T. Herrick, Italian Tragedy in the Renaissance,<br />

Urbana, 1965, pp. 15-21).<br />

G. Correr, di nobile famiglia veneziana, si formò a Mantova sotto Vittorino da Feltre, da cui apprese il<br />

grande amore per la cultura classica e una perfetta padronanza della lingua latina. Fu proprio negli anni<br />

mantovani, tra il 1426 e il 1428, che il diciottenne Correr compose la tragedia Progne e il trattatello Quomodo<br />

educari debeant pueri et erudiri. Trasferitosi in seguito a Roma presso lo zio cardinale Antonio Correr, nel<br />

1431 decise di prendere lo stato ecclesiastico. Nel 1433 scrisse il Liber Satyrarum, una raccolta di sei satire<br />

di ispirazione oraziana. Nel 1434 divenne protonotario apostolico e si recò al Concilio di Basilea, dove<br />

tenne una brillante orazione sulla riforma della Chiesa. Quello stesso anno a Firenze, dove si trovava<br />

insieme alla Curia, ebbe modo di conoscere il Bruni, il Niccoli e il Traversari. Nel 1439 partecipò ai lavori<br />

del Concilio di Firenze. Nel 1443, su invito del suo vecchio maestro Vittorino da Feltre, compose la celebre<br />

Epistola ad Ceciliam virginem de fugiendo saeculo, indirizzata a Cecilia Gonzaga, figlia del marchese di<br />

Mantova. Nel 1445 dopo la morte dell’amatissimo zio Antonio, presso il cui capezzale egli rimase sino alla<br />

fine, Correr scrisse il De vita et obitu beatae memoriae Antonii episcopi Ostiensis soliloquium ad Deum. Nel 1464,<br />

pochi mesi prima di morire, fu nominato patriarca di Venezia. Di lui, oltre alle opere citate e ad altri scritti,<br />

ci restano le numerose lettere che egli scambiò con alcuni dei più celebrati umanisti del tempo (cfr. D.B.I.,<br />

XXIX, pp. 497-500).<br />

Fondata nel 1558 a Venezia per iniziativa dei patrizi Federico Badoer, Domenico Venier e Girolamo Molino,<br />

l’Accademia Veneziana fu detta anche Accademia della Fama. Di tutto ciò che fu stampato nell’Accademia<br />

si occupò Paolo Manuzio, sia come curatore che come tipografo. Nel 1560 il Consiglio dei Dieci<br />

incaricò l’Accademia della stampa di leggi, ordinanze ed altri atti del governo veneto. Soppressa nel 1561,<br />

fu riattivata nel 1594.<br />

Edit16, CNCE13529. OCLC, 6559699. Adams, C-2690. Bregoli Russo, 183. Clubb, 313. Renouard, p. 274, nr. 14.<br />

€ 1.500,00<br />

49) CORTI, Alfonso (1822-1876). De systemate vasorum Psammosauri Grisei. Vindobonae,<br />

Typis Congregationis Mechitharisticae, 1847.<br />

In 4to grande (cm 33); brossura muta originale (angolo superiore esterno del piatto anteriore mancante); pp.<br />

65, (5) con 6 tavole litografiche a colori fuori testo (J. Rauh sc.). Leggere fioriture, titolo un po’ sporco<br />

nell’angolo superiore in corrispondenza della mancanza nella brossura, ma nel complesso ottima copia in<br />

parte a fogli chiusi.<br />

EDIZIONE ORIGINALE della prima opera del Corti, ossia la tesi di laurea con la quale conseguì il titolo<br />

di dottore presso l’Università di Vienna il 6 agosto del 1847. L’opera descrive il sistema cardiovascolare del<br />

Varanus Griseus, utilizzando il metodo di iniezione su due esemplari di quella specie procurati al Corti<br />

dal suo maestro viennese, il celebre anatomista J. Hyrtl. «De systemate… included his own drawings based<br />

on injection specimens that he himself had prepared » (D.S.B., III, p. 424).<br />

«Questo primo lavoro scientifico non comporta scoperte di valore particolare, sebbene oltrepassi il livello<br />

abituale delle tesi di medicina e provi il virtuosismo del Corti nelle preparazioni anatomiche» (D.B.I., XXIX,<br />

p. 779).<br />

A. Corti, nato a Gambarana da una illustre famiglia pavese, studiò medicina dapprima a Pavia sotto B.<br />

Panizza e M. Rusconi, quindi a Vienna, dove entrò nel gruppo di lavoro di J. Hyrtl, che gli affidò fra l’altro<br />

anche l’esecuzione di alcuni preparati per il Museo anatomico dell’università di Vienna. Dopo il ’48 fu<br />

costretto a rifugiarsi in Svizzera, dove visse per un certo tempo a Berna, ospite a casa dell’illustre fisiologo<br />

G.G. Valentin. Nel 1850 era a Würzburg, dove ebbe modo di impadronirsi delle nuove tecniche di esame<br />

microscopico sviluppate da A. Kölliker, grazie alle quale condusse a termine il suo capolavoro, uno studio<br />

dell’organo uditivo dei mammiferi, pubblicato a Parigi nel 1851 con il titolo Recherches sur l’organe de l’ouïe<br />

- 40 -


des mammifères. Lavorò per un certo tempo a Torino, prima di ritirarsi completamente nel 1854 a vita privata<br />

nella sua villa di Casteggio. Dedicò gli ultimi vent’anni della sua vita alla viticoltura e alla cura dei figli.<br />

Hirsch, II, p. 117. Rlg Union Catalog, record id, DCLC89202020-B e DCSG170821-B. € 350,00<br />

50) CREMONINI, Cesare (1550-1631). Le pompe funebri, overo Aminta, e Clori. Favola Silvestre.<br />

Ferrara, Vittorio Baldini, 1590.<br />

In 4to (cm 18,5); cartonato posteriore; pp. (4) 160. Marca tipografica al titolo. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE della prima opera pubblicata di Cesare<br />

Cremonini, un dramma pastorale dedicato ad Alfonso II d’Este,<br />

che fu messo in scena presso la corte di Ferrara in presenza di<br />

Eleonora d’Este.<br />

«Cremonini’s Pompe is otherwise marked by a spiritual and<br />

moral dimension conspicuously absent from [Tasso’s] Aminta,<br />

though which had been hinted at obliquely in other plays under<br />

the veil of pagan mythology. The action of the Pompe is framed<br />

by a sacrifice and games in honor of the dead shepherd-lover,<br />

Dafni, whose shade recites the prologue, and it features a priest<br />

and a minister who note at length the necessity of religion in<br />

pastoral life. Even the satyr, Rustico, comments on the importance<br />

of piety. More unusually, philosophical and theological ideas<br />

are raised independently of the plot, such as the affirmation of<br />

the immortality of the soul and of Free Will. The introduction of<br />

such questions, and especially of moralizing and pious sententiae,<br />

became more noticeable in later pastoral drama, particularly after<br />

the publication of Guarini’s Pastor fido» (L. Sampson, Pastoral<br />

Drama in Early Modern Italy. The Making of a New Genre, London,<br />

2006, pp. 101-102).<br />

«Le Pompe funebri è la più nota tra i lavori poetici di Cremonini,<br />

come risulta anche dalla fortuna a stampa (edizioni successive:<br />

Ferrara, 1591; 1592, 1599; Vicenza, 1610; Parigi 1634). All’opera<br />

è preposta una dedica ad Alfonso d’Este, in cui l’autore dichiara<br />

di aver osato consacrare un ‘silvestre componimento’ al duca<br />

seguendo l’esempio di Virgilio, ‘giudice soprano di tutte le poesie’, che aveva dimostrato che ‘le selve’<br />

potevano essere ‘degne degli altissimi consoli di Roma’» (E. Bergonzi, Cesare Cremonini scrittore, il periodo<br />

ferrarese e i primi anni padovani, la pastorale ‘Le Pompe funebri’, in: “Aevum”, 67/3m 1993, p. 581).<br />

Cesare Cremonini è stato uno dei più illustri filosofi aristotelici del suo rime. Nato a Cento, studiò a Ferrara,<br />

dove entrò a servizio dei principi d’Este e strinse amicizia con Torquato Tasso. Insegnò filosofia presso<br />

l’Università di Ferrara dal 1573 al 1591. In quell’anno fu chiamato dal Senato veneziano a ricoprire la<br />

cattedra di filosofia dell’Università di Padova, succedendo a Francesco Piccolomini. Qui conobbe e divenne<br />

amico di Galileo, nonostante le differenze di opinione su molte questioni. Nel 1599 fu, insieme a Galilei,<br />

Lorenzo Pignoria e Paolo Beni, uno dei membri fondatori della Accademia dei Ricovrati, cui successivamente<br />

aderirono anche Giovanni Battista Guarini e Pomponio Torelli. Cremonini fu più volte perseguito<br />

dal Tribunale dell’Inquisizione di Padova, perché accusato di credere alla mortalità dell’anima, ne uscì<br />

sempre scagionato (cfr. H.C. Kuhn, Venetianischer Aristotelismus im Ende der Aristotelischen Welt: Aspekte der<br />

Werke und des Denkens des Cesare Cremonini, Frankfurt a.M., 1996, passim).<br />

Edit16, CNCE13724. Index Aurelienis, 146.703. L.G. Clubb, Italian Plays (1500-1700) in the Folger Library,<br />

Firenze, 1968, nr. 322. E. Riondato-A. Pioppi, a cura di, Cesare Cremonini: aspetti del pensiero e scritti, Atti del<br />

Convegno di studio, Padova, 26-27 febbraio 1999, Padova, 20, p. 33. € 1.500,00<br />

RARISSIME EDIZIONI ILLUSTRATE DEL BERTOLDO E DEL BERTOLDINO<br />

51) CROCE, Giulio Cesare (1550-1609). Astutie sottilissime di Bertoldo. Viterbo, Agostino<br />

Discepolo, 1627.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. Le piacevoli, e ridicolose semplicità di Bertoldino figliuolo del già astuto, et accorto<br />

Bertoldo… Viterbo, Agostino Discepoli, 1627.<br />

Due opere in un volume in 12mo (cm 13); cartoncino colorato posteriore; pp. 96 con il ritratto di Bertoldo sul<br />

- 41 -


titolo e 13 vignette nel testo + pp. 96 con 10 vignette nel testo, una della quali sul frontespizio. Manca la<br />

carta c 10 della seconda opera. Qualche lieve alone, leggerissima brunitura uniforme, piccola mancanza<br />

all’angolo superiore del primo titolo con minima perdita di parte di lettera, ma nel complesso ottimamente<br />

conservato considerando la povertà dell’edizione.<br />

EDIZIONE APPARENTEMENTE SCONOSCIUTA del celebre capolavoro<br />

di Giulio Cesare Croce, un vero e proprio unicum nel panorama<br />

della letteratura italiana.<br />

La più antica edizione conosciuta del Bertoldo è quella che diede a<br />

Milano Pandolfo Malatesta nel 1606. La data della dedica a Filippo<br />

Contarini (18 gennaio 1605) e il fatto che Croce stampò praticamente<br />

tutte le sue opere a Bologna lasciano tuttavia supporre l’esistenza di<br />

una precedente edizione bolognese, risalente con ogni probabilità al<br />

1605. Ad una stampa bolognese più antica allude anche l’edizione<br />

modenese di G.M. Verdi del 1608, la prima ad includere Le piacevoli, et<br />

ridicolose simplicità di Bertoldino, l’altrettanto celebre seguito del Bertoldo<br />

(cfr. G.C.. Croce, Le sottilissime astuzie di Bertoldo, a cura di P. Cigada, V.<br />

Branca e P. Camporesi, Milano, 1993-’94).<br />

Nonostante il grande successo e le numerossisime ristampe, tutte le<br />

edizioni delle due opere del Croce risalenti alla prima del Seicento<br />

sono di grandissima rarità; gran parte di esse sono andate perdute,<br />

mentre delle poche rimaste ne sopravvivono solamente alcuni esemplari.<br />

L’azione del Bertoldo si svolge a Verona, città dove vive la corte del<br />

crudele re longobardo Alboino. Croce confonde o deliberatamente combina<br />

vari elementi della storia tardo-medievale. Bertoldo, nome tipico<br />

da contadino, è una figura rozza, quasi mostruosa, ma, al tempo stesso,<br />

portatrice di istinti naturali portentosi legati agli ancestrali riti della<br />

raccolta e della fecondità.<br />

Rispetto allo spregiudicato Dialogus Salomonis et Marcolphi, testo latino<br />

anonimo molto diffuso durante il tardo medioevo, da cui Croce trasse ispirazione per il suo capolavoro, nel<br />

Bertoldo la prudenza circa le questioni religiose e il rispetto dell’ordine sociale prestabilito rispecchiano<br />

chiaramente il mutato clima della Controriforma. L’ardimento di Bertoldo, che viene accolto a corte e<br />

diventa consigliere del re, è accettato unicamente nell’ottica del rovesciamento<br />

carnevalesco dei ruoli. Alboino apprezza l’arguzia, la saggezza<br />

popolare e le qualità da buffone ed indovino di Bertoldo, che gli<br />

vengono dal suo contatto primordiale con la natura. Ma, nonostante la<br />

cultura rozza della terra, legata al genitale e al fecale, sembri avere la<br />

meglio sulla cultura alta e raffinata, alla fine Bertoldo viene punito per<br />

aver osato sovvertire l’ordine naturale delle cose e contravvenire ai<br />

limiti imposti dal suo stato di contadino: morirà infatti a causa dei cibi<br />

sofisticati di corte, che il suo stomaco abituato alle rape non riesce a<br />

sopportare.<br />

Protagonisti del Bertoldino sono invece la saggia Marcolfa, moglie di<br />

Bertoldo, e il figlio Bertoldino, anima semplice e sciocca quanto il padre<br />

era astuto. Chiamati a corte, Marcolfa sentenzia, mentre tutti si<br />

divertono per le innocue sciocchezze di Bertoldino. Alla fine Marcolfa<br />

chiede licenza al re di tornare nella sua capanna, non potendo sopportare<br />

l’artificiosità della vita di corte (cfr. P. Camporesi, La maschera di<br />

Bertoldo, Torino, 1976, passim).<br />

Giulio Cesare Croce, poeta e narratore autodidatta, per la sua capacità<br />

di mediare fra mondo colto e mondo popolare, tra cultura orale e cultura<br />

scritta, rappresenta una figura unica nel panorama letterario italiano.<br />

Nato a San Giovanni in Persiceto (BO) nel 1550 da una famiglia di<br />

fabbri ferrai, al Croce sono attribuite oltre quattrocento opere, in parte<br />

ancora inedite, che furono per lo più pubblicate in modesti libretti a<br />

basso costo. Scritti in italiano o in bolognese, i suoi opuscoli contengono<br />

vivaci descrizioni del mondo dei poveri, burle, facezie, proverbi,<br />

narrazioni di feste e calamità pubbliche. € 4.500,00<br />

- 42 -


52) DALLA TORRE, Poncino (fl. fine del XVI secolo). Le piacevoli et ridicolose facetie di M.<br />

Poncino dalla Torre cremonese. Di nuovo ristampate con l’aggiunta d’alcun’altre, che nella prima<br />

impressione mancavano. Venezia, Domenico Imberti, 1618.<br />

In 8vo (cm 13,7); graziosa legatura del XVIII secolo in mezza pelle con punte, piatti in carta colorata, dorso<br />

con fregi e titolo in oro, tagli marmorizzati; cc. 71, (1 bianca). Margini sobri, lievi aloni chiari su alcune carte,<br />

titolo un po’ arrossato.<br />

SETTIMA O OTTAVA EDIZIONE di questa fortunata raccolta di facezie stampata per la prima volta a<br />

Cremona nel 1581 (seconda edizione accresciuta 1585).<br />

«Carattere comune delle facezie è quello di essere ambientate a Cremona e di avere l’autore come soggetto<br />

narrante. Dato il carattere delle narrazioni, la prontezza di spirito, l’argutezza e il saper “ben parlare”<br />

fanno risolvere a favore del Dalla Torre tutte le situazioni con derisione di chi con propria sventura si trova<br />

sulla strada del narratore. Questo testo è un prezioso ritratto d’epoca dove è possibile ritrovare i costumi, le<br />

tradizioni locali e la vita di tutti i giorni. Nelle quaranta [poi aumentate a quarantasette] facezie che<br />

compongono il testo c’è sempre un lieto fine e le burle non hanno mai conseguenze gravi. Il Dalla Torre<br />

godeva di uno status giuridico tale che si poteva permettere di prendere di mira non solo i contadini e gli<br />

ebrei, ma anche dottori, procuratori e perfino podestà… Lo stesso atteggiamento denigratorio che colpisce<br />

gli ebrei, colpisce anche le donne, che nella facezia XXVI sono accusate di essere per natura leggere e poco<br />

oneste e quindi di ricevere “honeste burla di vergogna”» (Dizionario biografico degli Italiani, XXXII, p. 48).<br />

Poco o nulla si sa della vita dell’autore, che esercitò la professione di notaio presso lo studio di un procuratore<br />

di Cremona, sua città natale (cfr. F. Arisi, Cremona literata, Parma, 1711, II, p. 166).<br />

S.P. Michel, Répertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au XVII e siècle conservés dans les bibliothèques de<br />

France, Paris, Paris, 1984, VIII, p. 64 (edizione Imberti del 1627). B. Gamba, Delle novelle italiane in prosa<br />

bibliografia, Firenze, 1835, nr. 109. € 950,00<br />

53) DEDEKIND, Friedrich (1524-1598). Grobianus et Grobiana, De morum simplicitate libri<br />

tres in gratiam omnium Rusticitatis amantium conscripti,... Iam denuo ab autore emendati et plerisque<br />

in locis cum praeceptis tum exemplis auctis. Frankfurt a.M., eredi di Christian Egenolff, 1558.<br />

In 8vo; mezza pergamena posteriore; cc. 96. Lievi bruniture, ma buona copia.<br />

Grobianus costituisce una pietra miliare fra i libri di cortesia ed etichetta del Rinascimento. Esso rappresenta<br />

il culmine della tradizione dei libri di buone maniere, introducendo un aspetto di autocritica ed ironia.<br />

In esso i consigli dell’autore sono presentati in forma di precetti rovesciati.<br />

La presente edizione del poema di Dedekind è una precoce ristampa della terza e finale versione del 1552,<br />

alla quale l’autore ha aggiunto la Grobiana come terza parte.<br />

Grobiana è aggiunta, spiega il poeta, per rispondere alla giusta richiesta delle sue lettrici ed è indirizzata<br />

alle giovani donne o “vergini”. Coerentemente con i precedenti due libri, Dedekind parla in seconda<br />

persona singolare a un’ipotetica Grobiana (o immaginaria lettrice), il cui rozzo comportamento è descritto<br />

in scene vivide e suggestive.<br />

«In adding the Grobiana section, Dedekind, like Erasmus, could be seen as contributing to the ‘improvement’<br />

of the position of women, not only by encouraging in man (always by negative examples) attitudes of<br />

respect and reverence toward women but by integrating delinquent women into the civilizing process by<br />

the same ironic-didactic method employed for male readers... Like Castiglione and other authors of manner<br />

books, Dedekind includes Grobiana as something difficult to leave out and a logical continuation of the text,<br />

a gesture made to complete or exhaust the topic of manners which would primarily focus on men. Following<br />

common sense he would see symmetry at work here; yet, like Castiglione’s courtly discussants, he is unable<br />

to treat women in the same manner or as equivalents to men. Because of the multiplicity of positions in<br />

civility’s code of cultural masculinity (inspiration, allure, horror, policing, delinquency) and so rendered<br />

in the civilizing process, they are not privy or translatable to the civil irony of the work. Taking on the topic<br />

of female behaviour, claiming to treat it in the same way and for the same didactic purpose as the rest of the<br />

text, is a task that disrupts and unravels the coherence of the ironic-didactic reversals» (B. Correll, The End<br />

of Conduct: Grobianus and the Text of the Subject, Ithaca, NY, 1996, pp. 119-120).<br />

F. Dedekind, nativo di Neustadt am Rübenberge vicino Hanover, studiò a Marburg e Wittenberg, dove<br />

compose il Grobianus nel 1549. Divenne pastore, prima nella sua città, poi a Lüneburg. E’ anche autore di<br />

due drammi didattici, Der christlicher Ritter (1576) e Papista conversus (1596).<br />

VD16, D-388. G. Richter, Christian Egenolffs Erben, 1555-1667, in: “Archiv für Geschichte des Buchwesens”,<br />

7, (1967), col. 562, nr. 54. € 800,00<br />

- 43 -


54) DE NORES, Giasone (Nicosia, 1530 - Padova, 1590). Della rhetorica di Giason Denores<br />

libri tre, ne’ quali, oltra i precetti dell’arte, si contengono Vinti Orationi tradotte de’ più famosi, et<br />

illustri Philosophi, et Oratori: con gli Argomenti loro, Discorsi, Tavole, et Ruote, ove si potrà facilmente<br />

vedere l’osservatione, et l’essecutione di tutto l’artificio Oratorio: utilissimi à Predicatori, à<br />

Giudici, ad Avocati. Venezia, Paolo Megietto, 1584.<br />

In 4to (cm 21); pergamena semirigida coeva con titolo manoscritto lungo il dorso (manca una piccola<br />

porzione di dorso); cc. (4), 264, (2). Marca tipografica al titolo e sull’ultima carta. Con tre tavole in rame nel<br />

testo, due delle quali aventi al centro una volvelle mobile. Con numerosi schemi grafici e tabelle nel testo.<br />

Leggeri aloni marginali, due fascicoli fortemente bruniti, segni di tarlo nel margine superiore bianco di<br />

numerose carte in parte abilmente restaurati, piccolo foro alla carta 166 che comporta una minima perdita<br />

di testo, ma nel complesso bella copia genuina e marginosa nella sua prima legatura.<br />

PRIMA EDIZIONE, prima tiratura, dedicata a Tommaso Contarini. Come era già emerso in piccolo scritto<br />

introduttivo alla retorica apparso nel 1578 (Introduttione sopra i tre libri della Rhetorica di Aristotele), anche in<br />

questo ponderoso volume De Nores tende a limitare il campo di pertinenza della retorica a vantaggio della<br />

poetica, il suo scopo essendo quello di definire la retorica come una disciplina morale propria delle repubbliche<br />

democratiche e quindi soggetta non tanto a valori estetici, quanto piuttosto a valori di ordine eticosociale.<br />

«Since action, elocution, and disposition contribute nothing to rhetorical proof, be it demonstrative,<br />

ethical, or pathetic, and since they have as their sole purpose to give pleasure, to add beauty, to beguile the<br />

listener, their affiliation is clearly much closer with poetics than with its sister art; in fact, they belong<br />

primarily to poetics, and their use in rhetoric is accidental. The implication is that the specific domain of<br />

poetry is the pleasurable, the amusing, the idle, and that it is not concerned with more serious purposes» (B.<br />

Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, Chicago, 1961, p. 205).<br />

«Secondo un modello già aristotelico, la società umana è vista organizzata da leggi concernenti prima il<br />

piano familiare, poi via via gli altri livelli di comunità, tutte ispirate ad un ideale di felicità che è sempre più<br />

perfezionato a mano a mano che si salgono i gradi della gerarchia. E la retorica è progressivamente finalizzata<br />

a questi diversi piani della felicità. Nel primo libro si discutono i generi delle orazioni e la tipologia<br />

dell’argomentazione; nel secondo le figure della dispositio; nel terzo l’elocutio con esempi tratti dagli autori<br />

classici. Anche al termine di questo trattato, la materia analizzata è riassunta nel motivo grafico di una<br />

ruota, al cui interno si collocano tutte le categorie precedentemente illustrate» (D.B.I., XXXVIII, p. 771).<br />

Il Denores, appartenente ad una ricca famiglia cipriota proprietaria di terre ed impegnata nella vita politica<br />

e diplomatica dell’isola, studiò a Padova sotto Trifone Gabriele e Sperone Speroni. Nel 1570 fu costretto a<br />

riparare a Venezia con tutta la famiglia in seguito alla conquista turca di Cipro. Alla stregua degl’altri<br />

cinquemila esuli greci, cercò in molti modi di trovare un suo spazio nella città lagunare, coltivando amicizie<br />

con importanti famiglie aristocratiche. Nel 1573 divenne lettore di retorica presso l’Accademia dei<br />

Rinascenti di Padova. Nel 1577 gli fu offerta dall’università patavina la cattedra di filosofia morale che era<br />

stata fino ad alcuni anni prima del celebre Robortello. Famosa rimase la sua polemica con il Guarini sulla<br />

liceità del genere pastorale.<br />

Edit16, CNCE 16816. BMSTC Italian, p. 469. Adams, D-302. Gamba, 1348. € 800,00<br />

STAMPATO IN CIVILTÉ<br />

«LE TALENT LE PLUS NAÏF, LE PLUS ORIGINAL ET LE PLUS PIQUANT DE SON ÉPOQUE»<br />

(CHARLES NODIER)<br />

55) DES PÉRIERS, Bonaventure (ca. 1510-1544). Les nouvelle récréations et joyeux devis. Lyon,<br />

Robert Granjon, 1558.<br />

In 4to (cm 18,5); legatura di fine Ottocento in marocchino rosso con grande fregio dorato sui piatti, dorso a<br />

cinque nervi con fleurons e titolo in oro, dentelles interne, risguardi in carta marmorizzata, tagli dorati<br />

(Trautz-Bauzonnet); cc. (6), CVII, (1). Marca tipografia al titolo. Antica firma di appartenenza ed alcune<br />

postille coeve. Insignificanti restauri marginali al frontespizio, ma ottimo esemplare reglé appartenuto a H.<br />

Bordes (cat. 1902, nr. 146) e al Compte de Lignerolles (cat. I, 1894, nr. 1875).<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questa celebre collezione di novelle, certamente la più importante nella<br />

storia della letteratura francese del Rinascimento dopo l’Heptaméron di Marguerite de Navarre.<br />

L’opera, composta da novanta brevi racconti, apparve postuma per le cure di Jacques Peletier du Mans e<br />

Nicolas Denisot. In parte ispirata alle Facetiae di Poggio Bracciolini, a Boccaccio e alle Cent Nouvelles<br />

nouvelles, essa contiene tuttavia per la maggior parte storie di nuova invenzione, per lo più ambientate nelle<br />

regioni dell’Orléanais, del Maine, dell’Anjou e del Poitou, ma anche anche a Parigi negli ambienti di corte.<br />

Le novelle sono molto brevi (mediamente circa tre pagine), ma molto ben raccontate. Non vi sono digressioni,<br />

né spiegazioni moraleggianti: le storie hanno il solo scopo di intrattenere e divertire (cfr. L. Sozzi, Les<br />

- 44 -


contes de Bonaventure Des Périers, Genève, 1998, pp. 87-95).<br />

Nel dicembre del 1557 Robert Granjon ottenne un privilegio<br />

reale (qui riprodotto unitamente a quello dell’opera) per i nuovi<br />

caratteri da lui disegnati e fusi, che inizialmente vennero chiamati<br />

lettre fançoise d’art de main, perché ispirati alla lettre<br />

courante, una scrittura calligrafica corsiva molto diffusa in<br />

Francia.<br />

Nati con un intento dichiaratamente patriottico, i nuovi caratteri<br />

furono utilizzati per la prima volta nel 1557 per la versione<br />

francese del Dialogue de la vie et de la mort di Innocenzo<br />

Ringhieri e vennero successivamente ribattezzati civilité dal<br />

titolo di una delle prime opere stampate con essi, ossia la<br />

Civilité puérile (1558), un’adattamento francese del De civilitate<br />

morum puerilium di Erasmo.<br />

«Of the books printed in this style the Joyeux Devis of Des<br />

Périers has by far the greatest reputation as literature, both for<br />

its own sake and for the influence of the author upon Rabelais.<br />

It is a collection of comic stories left unprinted at the author’s<br />

death in 1544 and prepared for the press, so the preface tells<br />

us, by ‘a certain virtuous person’, supposedly Jaques Peletier…<br />

These books [printed in civilité] have been the quarry of great<br />

collectors, and they are worthy of their notoriety in the history<br />

of printing. Granjon set and printed them beautifully. Up to a<br />

point they reproduce the delightful patterns and rhythms of<br />

expert handwriting, a combination of neatness and verve<br />

needing only Granjon’s admirable title-pages and fluent big initials to make ornamental books» (H. Carter-<br />

H.D.L. Vervliet, Civilité types, Oxfrod, 1966, p. 20).<br />

Les nouvelles récréations vennero ristampate a Lione da Guillaume Rouillé nel 1561, in quanto nel frattempo<br />

Granjon gli aveva ceduto il privilegio dell’opera, ma non quello del carattere (cfr. J.W. Hassel, The French<br />

Editions of Des Périers’ Tales: a Bibliographical Study, in: “Kentucky Romance Quarterly”, 12, 1975, pp. 186-<br />

201).<br />

Bonaventure Des Périers nacque in Borgogna vicino Beaune. Pupillo dell’abbate di Saint-Martin, Robert<br />

Hurault, che era stato in precedenza tutore di Margurite de Navarre, egli si avvicinò alle idee riformate.<br />

Prese parte alla realizzazione della Bibbia di Olivétan e, successivamente, lavorò per alcuni mesi nella<br />

bottega di Estienne Dolet. Nel 1536 entrò al servizio della Regina di Navarra come valet de chambre. Ma due<br />

anni dopo, in seguito alla pubblicazione del pamphlet antireligioso Cymbalum mundi, Marguerite fu costretta<br />

ad allontanarlo dalla sua corte, pur continuando ad aiutarlo segretamente. Negli anni successivi<br />

condusse una vita raminga, cominciando a manifestare i primi sintomi di squilibrio psichico. Come riferisce<br />

Henri Estienne (Apologie pour Hérodote, 1566), Des Périers si tolse la vita nell’agosto del 1544. Nello<br />

stesso anno Antoine du Moulin pubblicò alcuni suoi scritti sotto il titolo di Oeuvres (cfr. M.C. Smith, A<br />

Sixteenth-Century Anti-Theist, in: “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, LII, 3, 19, pp. 596-597).<br />

Cioranesco, 7715. Tchemerzine, 858. Baudrier, II, 60. Carter-Vervliet, nr. 5. € 20.000,00<br />

BIBBIA ETERODOSSA<br />

56) DIODATI, Giovanni traduttore (1576-1649) - ERBERG, Matthias von editor (m. ca.<br />

1720). La Sacro-Santa Biblia in lingua italiana. Cioè il vecchio e Nuovo Testamento nella purità<br />

della lingua volgare, moderna e corretta, corrispondente per tutto al Testo fondamentale vero, distinta<br />

per Versetti à prò della Gioventù, e stampata con lettere molto leggibili, à prò di quei, che sono<br />

d’età avanzata: volume a tutti i desiderosi della loro propria salute utilissimo, arrichito d’ardentissimi<br />

Sospirii à Dio, quasi per ogni Capitolo. Da Mattia d’Erberg, cultore delle sacre Lettere. Norimbergo,<br />

Alle Spese di quest’istesso Autore, dimorante prossimo all’albergo dei trè Rè, l’Anno MDCCXII<br />

(1712).<br />

In folio (cm 32,5); solida legatura coeva in piena pelle, dorso a sei nervi con ricchi fregi e titolo in oro, tagli<br />

marmorizzati (molto ben conservata); pp. (4), 808, 207, (1) con due belle antiporte incise in rame da J.J. Wolff<br />

su disegno di P. Decker, contenenti una rappresentazione allegorica del Vecchio e Nuovo Testamento.<br />

Testo stampato su due colonne. Xilografia raffigurante il volto di Cristo sul titolo. Ottima copia di grande<br />

freschezza.<br />

- 45 -


PRIMA EDIZIONE, seconda tiratura (la prima apparve sempre a Nürnberg l’anno precedente) recante<br />

nella dedica la menzione di Nicolò Malermi, Antonio Brucioli e Giovanni Diodati (traduttori eterodossi, ad<br />

eccezione del primo, della Bibbia in volgare), i cui nomi sono in certi esemplari parzialmente o totalmente<br />

omessi. Questa nuova edizione rivista della Bibbia del Diodati è rivolta dall’editore M. von Erberg, della cui<br />

vita poco si conosce, ai giovani ed agli anziani di lingua italiana che non potevano leggere le Sacre Scritture<br />

in lingua originale (cfr. E. Teza, Le Bibbie Italiane del Malermi e del Diodati racconciate nel Settecento, in: “Atti e<br />

memorie della R. Accademia di Padova”, vol. XXI, pp. 235-247).<br />

La traduzione della Bibbia di Giovanni Diodati, apparsa per la prima volta a Ginevra nel 1607 e poi in<br />

versione rivista e corretta dallo stesso Diodati nel 1641, fu la prima traduzione in lingua italiana basata<br />

solo sui testi originali. Questa traduzione, che contiene anche gli scritti apocrifi, rappresentò per secoli la<br />

traduzione per eccellenza dei protestanti italiani. Dopo la presente, successive revisioni della Bibbia del<br />

Diodati apparvero a Lipsia nel 1744 a cura di J.D. Muller e nel 1819 per opera di J.B. Roland. Nel 1924 (poi<br />

ristampata anche nel 1994 e nel 1997) uscì la cosidetta edizione “Luzzi”, dal nome del pastore e teologo<br />

valdese Giovanni Luzzi, che nel 1906 fu incaricato dalla Società Biblica Britannica e Forestiera di presiedere<br />

un comitato per la revisione della Bibbia del Diodati. Risale infine al 1991 la stampa della “Nuova<br />

Diodati”.<br />

G. Diodati, figlio di una ricca famiglia di banchieri lucchesi emigrati a Ginevra alla fine del Cinquecento,<br />

ottenne a soli ventuno anni la cattedra di lingua ebraica e poi successivamente quella di teologia. Amico di<br />

P. Sarpi, ne tradusse in francese (1621) la Storia del Concilio di Trento.<br />

T.H. Darlow-H.F. Moule, Historical Catalogue of the printed editions of Holy Scripture in the library of the British<br />

and Foreign Bible Society, (reprint: New York, 1963), nr. 5603. ICCU, IT\ICCU\PARE\026706. € 900,00<br />

STAMPATO IN CIVILITÉ<br />

57) [DOMENICHI, Lodovico (1515-1564)]. Facecies, et motz subtilz, d’aucuns excellens espritz<br />

et tresnobles seigneurs. En Francois, en Italien. Lyon, Robert Granjon, 1559.<br />

In 8vo (cm 16); graziosa legatura della fine del XVIII secolo in piena pelle, piatti entro elaborata cornice<br />

dorata, dorso con fregi, tasselli e titolo in oro, risguardi marmorizzati, tagli dorati; cc. LXIIII. Marca tipografica<br />

al titolo. Ex-libris a stampa della <strong>Libreria</strong> del Prior Ricasoli. Testo stampato su due colonne: la parte<br />

italiana in carattere corsivo, quella francese in civilité. Piccolo restauro nel margine inferiore del titolo ben<br />

lontano dal testo, lieve brunitura uniforme, piccolo foro alla carta 33 con minima perdita di testo, ma nel<br />

complesso ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE BILINGUE e prima edizione in francese, nella versione di Bernard de Girard Du<br />

Haillan (ca. 1535-1610), della celebre raccolta di motti, burle e facezie di Ludovico Domenichi che, pubblicata<br />

per la prima volta da Torrentino nel 1548, fu più volte ampliata dall’autore (1562, 1564) e ristampata<br />

numerose volte.<br />

- 46 -


L’opera, divisa in due sezioni, comprende il così detto Bel Libretto o Detti piacevoli, oggi attribuiti a Poliziano<br />

(cfr. T. Zenato, Per il testo dei ‘Detti piacevoli’ di Poliziano, in: “Filologia e Critica”, VI, 1981, pp. 50-98), e varie<br />

storielle divertenti e barzellette, tratte per lo più dai Conviviales sermones di Johannes Gast, da Erasmo e<br />

dagli Elogia di Paolo Giovio. Varie sono le personalità eminenti del tempo coinvolte nella narrazione. Tra<br />

queste ricordiamo: Bronzino, Andrea Vesalio, Enrico VIII, Laura Battiferri, Tullia d’Aragona, Claudio<br />

Tolomei, Girolamo Ruscelli, Pietro Aretino, Baldassare Castiglione e molti altri (cfr. A. Fontes-Baratto,<br />

Pouvoir (s du) rire. Théorie et pratique des facéties aux XV e et XVI e siècles: des facéties humanistes aux trois receuils<br />

de Lodovico Domenichi, in: “Reécriture 3. Commentaires, parodies, variations dans la litérature italienne de<br />

la Renaissance”, Parigi, 1987, pp. 45-79).<br />

Nel catalogo di opere prodotte in civilité da Granjon, dopo la pubblicazione delle celebri Nouvelle récréations<br />

di B. Des Périers, «in the same vein, though much inferior in style, are the Facecies of Domenichi which<br />

Granjon printed in 1559 with a French translation, a concession by Guillaume Rouillé, who held the<br />

privilege» (H. Carter-H.D.L. Vervliet, Civilité types, Oxfrod, 1966, p. 20).<br />

Il Domenichi, nativo di Piacenza, studiò legge a Padova e Pavia avendo come maestri Celio Curione e<br />

Andrea Alciati. Amico per un breve periodo dell’Aretino e del Doni, fu uno dei maggiori poligrafi del<br />

secolo, collaboratore, in qualità di editore e traduttore, di molti stampatori, in particolare del Giolito a<br />

Venezia, di Bernardo Giunta e di Lorenzo Torrentino a Firenze. Per aver collaborato alla pubblicazione di<br />

libri eretici venne condannato alla reclusione a vita nella fortezza di Pisa (1552), ma, grazie all’intercessione<br />

di Renata di Francia, Duchessa di Ferrara, la pena gli fu commutata in un anno di esilio da Firenze.<br />

Quivi tornò alla fine di quell’anno, riprendendo la sua attività editoriale e divenendo in breve tempo<br />

storiografo ufficiale dei Medici (cfr. A. D’Alessandro, Prime ricerche su Lodovico Domenichi, in: “Le corti<br />

Farnesiane di Parma e Piacenza, 1545-1622”, 1978, pp. 171-200).<br />

Baudrier, II, 61. Cioranesco, 8753. Carter-Vervliet, nr. 20. € 2.800,00<br />

58) DONI, Anton Francesco (1513-1574). I Marmi del Doni, Academico Peregrino. Al Mag.co<br />

et Eccellente S. Antonio da Feltro dedicati. Venezia, Francesco Marcolini, 1552.<br />

Quattro parti in un volume in 4to (cm 20,6); bella legatura coeva in piena pelle, dorso a quattro nervi con<br />

fregi in oro, piatti con duplice filettatura a secco, fleurons agl’angoli e decoro centrale impressi in oro<br />

(piccolo restauro al dorso); pp. 167, (1) + pp. 119, (1) + pp. 166, (2) + pp. 93, (3). Marche tipografiche di vario<br />

tipo sui frontespizi e al verso dell’ultima carta di ciascuna sezione. Con complessive 44 figure in legno nel<br />

testo (in parte lievemente colorate in rosso all’epoca), fra cui i ritratti del Doni, del Marcolini, del Gelli e del<br />

Petrarca. A p. 81 della quarta parte si trova riprodotto il frontespizio degli Inferni, di cui si annuncia<br />

l’imminente pubblicazione; si tratta probabilmente del primo esempio nella storia della stampa di lancio<br />

editoriale di un’opera attraverso la riproduzione del titolo della<br />

stessa. Piccolo alone nel margine interno della prima parte<br />

dell’opera, strappo restaurato senza danno alla p. 16 della<br />

terza parte, per il resto ottima copia genuina.<br />

PRIMA EDIZIONE. «Le quattro parti de’ Marmi suddetti, se<br />

bene abbiano frontespizj, dedicatorie, numerazioni e registri<br />

separati, tuttavolta formano un sol volume… Si può credere<br />

che ogni parte dell’opera venisse pubblicata disgiuntamente;<br />

e che ne fosse cominciata la stampa nel settembre del 1552 ed<br />

avesse fine ne’ primi giorni di gennaro 1553. L’edizione è eseguita<br />

coi due soliti caratteri corsivi del Marcolini… Le opere<br />

del Doni generalmente furono più volte ristampate, ma di questa<br />

de’ Marmi non se ne conosce che due sole edizioni; la<br />

sopradescritta originale, e quella di Venetia pressio Gio. Battista<br />

Bertoni, 1609… I ragionamenti o dialoghi della presente opera<br />

vertono sopra soggetti di morale, di letteratura ed altro: e finse<br />

l’Autore che fossero tenuti fra persone di diverse condizioni e<br />

luoghi nelle scalee situate nella piazza di S. Liberata in Firenze,<br />

ivi dette volgarmente i Marmi» (S. Casali, Gli annali della<br />

tipografia veneziana di Francesco Marcolini, Bologna, 1953, pp.<br />

237-238).<br />

Per una descrizione del ricco contenuto, che comprende vari<br />

cicalamenti e un dialogo sulla stampa, cfr. P. Cherchi, La “selva”<br />

dei ‘Marmi’ doniani, in: “Esperienze Letterarie”, a. XXVI,<br />

2001, pp. 3-40.<br />

- 47 -


Il fiorentino Anton Francesco Doni fu uno dei più originali poligrafi del Cinquecento. Tipografo, poeta,<br />

scrittore, disegnatore, egli produsse bizzarri manoscritti e pubblicò opere stravaganti, spesso corredate da<br />

fantasiosi apparati iconografici (Zucca, 1551-‘52; Mondi, 1552). Spirito polemico (violentissime le sue diatribe<br />

con Pietro Aretino e con Ludovico Domenichi) e girovago (soggiornò a Pavia, Milano, Piacenza, Venezia,<br />

Ancona e Pesaro, solo per citare i luoghi in cui dimorò più a lungo), si occupò con competenza ed originalità<br />

anche di critica d’arte (Disegno, 1549; Pitture, 1564). A lui si devono inoltre i primi saggi bio-bibliografici<br />

di autori italiani (<strong>Libreria</strong>, 1550 e Seconda libreria, 1551).<br />

C. Ricottini-Marsili-Libelli, Anton Francesco Doni scrittore e stampatore, Firenze, 1960, nr. 40. <strong>Catalogo</strong> unico,<br />

IT\ICCU\LIAE\000558. Casali, op. cit., nr. 95. R. Mortimer, Harvard College Library… Italian 16 th Century<br />

Books, Cambridge Ma, 1974, nr. 165. Gamba, nr. 1368. Adams, D-824. € 6.500,00<br />

59) DOUSA, Janus (Jan van der Does, 1545-1604). Epodon ex puris iambis libri II. Antwerpen,<br />

Christophe Plantin, 1584.<br />

In 8vo; cartonato posteriore, taglio rosso; pp. (16), 102, (2 bianche). Marca tipografica al titolo. Ex-libris del<br />

Ginnasio di Altenburg. Piccola macchia sul titolo, lieve brunitura uniforme, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE. L’opera fu stampata dal Plantin a<br />

Leiden, ma una parte degli esemplari reca sul frontespizio<br />

Antwerpen come luogo di stampa (cfr. R. Breugelmans, Lugduni<br />

Batavorum ex officina Christophori Plantini, in: “Quaerendo”, 5/2,<br />

1975, p. 92)<br />

Dopo la dedica a Johannes Posthius (1537-1597), datata Leiden<br />

1583, in cui l’autore cita i suoi modelli (Orazio e Catullo fra gli<br />

antichi, Aurelio Augurelli e Giulio Cesare Scaligero fra i moderni),<br />

segue un epodos di dedica allo stesso Posthius, in cui sono elogiati<br />

umanisti e poeti fiamminghi come Justus Lipsius, Bonaventura<br />

Vulcanius e Johannes Secundus. Quindi nel volume figurano due<br />

componimenti indirizzati a Dousa: un epodos del Vulcanius e una<br />

parodia di Carolus Rocasius.<br />

I primi due carmina del libro I sono dedicati all’opera De incerto<br />

urinarum iudicio del medico Pietro Foresti. Nel carmen terzo, dedicato<br />

a Cl. Lanaeus, Dousa elenca illustri poeti ed umanisti italiani,<br />

come Girolamo Vida, Marcantonio Flamini, Pietro Bembo, Andrea<br />

Navagero, Marco Marullo, Jacopo Sadoleto, Jacopo Sannazaro, ecc.,<br />

e francesi, come Antoine de Baif, Michel de l’Hospital, Remy e<br />

Joachim Du Bellay, Philippe des Portes, Guillaume Budé, Adrien<br />

Turnèbe, Pierre Ronsard, ecc.<br />

Il quarto componimento è una gratulatio per Justus Lipsius, il quinto<br />

è indirizzato a Hadrian Blidenburg, il sesto a Janus Gruterus, il<br />

settimo di nuovo a Lipsius, l’ottavo a Janus Hautenus, il nono è sul<br />

ritratto del Goltzius di Phillippus Gallio, il decimo è dedicato a<br />

Hadrian Blidenburg, l’undicesimo a Janus Hesychius, il dodicesimo a Georgius Benedictus Harlemensis,<br />

il tredicesimo nuovamente a Lipsius, il quattordicesimo all’album amicorum di Domenicus Baudius, il<br />

quindicesimo a Nicolaus Clemens Trelaeus Mosellanus, il sedicesimo a Carolus Rocasius, il diciasettesimo<br />

a Nathan Chytraeus (in cui si parla anche dell’Accademia di Rostock e di David Chytraeus), il diciottesimo<br />

a Bonaventura Vulcanius.<br />

Gli epodi del secondo libro, che si apre con una dedica di Hadranus Iunius al Dousa, sono indirizzati a<br />

Georgius Ratarellus, preside del consiglio di Utrecht, a Hadrianus Iunius, Philippus Morus, Emanueles<br />

Hieronymus, Cornelius Laurimannus, Gerartus Falcoburgius, Stefano Pighi e Gulielmus Cripius. Un componimento<br />

contiene l’epitaffio di Rogerus Hangouardus. Chiudono il volume tre componimenti al Dousa<br />

di Dominicus Baudius, Janus Gruterus e Georgius Benedictus Harlemensis (cfr. Ch.L. Heesakkers-W.M.S.<br />

Reinders, Genoeglijk bovenal zijm mij Muzen. De Leidse Neolatijnse dichter Janus Dousa, Leiden, 1993, p. 95).<br />

Janus Dousa fu il più importante tra gli umanisti fondatori dell’Università di Leida, di cui fu curatore e<br />

bibliotecario, e grande promotore del movimento noelatino nei Paesi Bassi. Dopo gli studi compiuti in<br />

Olanda, a Lovianio, Douai e Parigi, nel 1566 si ritirò nella sua proprietà, dedicandosi alla poesia latina e<br />

allo studio dei classici. Prese parte alla guerra d’indipendenza del suo paese in qualità di comandante e<br />

nel 1585 partecipò ad una ambasceria presso Elisabetta d’Inghilterra. Divenuto embro del Grande Consiglio,<br />

si trasferì da Leida a L’Aia. Morì nel 1604.<br />

- 48 -


L.Voet, The Plantin Press (1555-1589), Amsterdam, 1981, II, pp. 843-844, nr. 1109B. Index Aureliensis, nr.<br />

155.632. R. Breugelmans, op. cit., p. 96, nr. 36. BMSTCDutch, p. 65. G. Ellinger, Geschichte der neulateinischen<br />

Lyrik in den Niederlanden vom Ausgang des 15. bis zum Beginn des 17. Jahrhunderts, Berlin-Leipzig, 1933, pp.<br />

114-129. € 850,00<br />

60) DU FOUILLOUX, Jacques (1521-1580). La caccia di<br />

Giacomo di Foglioso scudiero e signore di esso luogo, paese di<br />

Gastina in Poitu. Con molte ricette, et rimedij per risanare i<br />

cani da diverse malattie. Tradotta di lingua francese da Cesare<br />

Parona. Milano, Antonio Comi, 1615.<br />

In 8vo (cm 16,5); mezza pelle del primo Ottocento con fregi, tassello<br />

e titolo in oro al dorso (abile restauro alla cuffia superiore); pp.<br />

(8), 338, (6) con 40 figure xilografiche a mezza pagina. Stemma del<br />

dedicatario Ercole Visconti sul frontespizio, che contraddistingue<br />

l’edizione originale dalle numerose contraffazioni. Lievi fioriture<br />

e bruniture sparse, margini sobri, ma nel complesso copia più che<br />

buona.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE IN ITALIANO della celebre Venerie<br />

(Poitiers, 1561) di Jacques du Fouilloux, grande cacciatore del tempo<br />

di Carlo IX. Si tratta di uno dei libri di caccia di maggior successo<br />

del Cinque-Seicento, che andò incontro a un gran numero di<br />

edizioni.<br />

«Delle illustrazioni, tolte solo in parte dall’originale francese, alcune<br />

sono più volte ripetute; raffigurano varie razze di cani, il<br />

cinghiale, la lepre, la volpe, il tasso e il cervo. L’opera consta di<br />

LXIII capitoli seguiti da una serie di Ricette per risanare i cani di più<br />

sorte d’infermità» (Ceresoli, p. 224).<br />

Catalo unico, IT\ICCU\RMRE\000946. Thiébaud, 314. € 2.800,00<br />

L’ESEMPLARE DI HARRY SCHRAEMLI<br />

61) DURANTE, Castore (1529-1590). Il tesoro della sanità, di Castor Durante da Gualdo, medico,<br />

et cittadino romano. Nel quale s’insegna il modo di conservar la sanità, et prolungar la vita, et si<br />

tratta della natura de’ cibi, et de’ rimedij de’ nocumenti loro. Con<br />

la tavola delle cose notabili. Venezia, Andrea Muschio, 1586.<br />

In 8vo (cm 16); legatura del XVIII secolo in mezza pergamena, piatti<br />

ricoperti di carta colorata, dorso con tassello e titolo in oro; pp. (16),<br />

328. Marca tipografica al titolo. Ex-libris a stampa di Harry Schraemli<br />

(manca al catalogo Harry Schraemli Sammlung, Zweitausend Jahre<br />

gastronomische Literatur, Zürich, 1942). Qualche lieve alone marginale,<br />

nota cancellata alla p. 171, alcune carte leggermente fiorite, per il resto<br />

ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE IN 8VO (la prima assoluta, in 4to, uscì a Roma<br />

nello stesso anno), dedicata a Camilla Peretta, sorella di Sisto V, di<br />

questa celebre opera che costituisce il rifacimento volgare di un inedito<br />

De victus et exercitationis servanda ratione, presentato al pontefice e<br />

conservato oggi all’Estense di Modena.<br />

Come ogni regimen sanitatis, Il tesoro si divide in due parti. Nella prima<br />

sono prese in esame «le sei cose non naturali»: aria, moto e quiete,<br />

sonno e veglia, inanizione e replezione, accidenti dell’animo, cibo e<br />

bevande. La seconda esamina gli alimenti, indicando per ciascuno<br />

«nomi», «qualità», «scelta», «giovamenti», «nocumenti» e «rimedi».<br />

Per la sua semplicità e facilità di consultazione, Il tesoro divenne un’opera<br />

diffusissima e fu ristampato innumerevoli volte (cfr. E. Camillo,<br />

Prefazione, in: “C. Durante, Il tesoro della sanità”, Milano, 1982, pp. XI-<br />

XXIII).<br />

«He gives twelve rules on how best to enjoy wine, and describes many<br />

- 49 -


of the wines in favour at the time in Italy» (A.L. Simon, Bibliotheca gastronomica, London, 1953, nr. 537).<br />

Medico, botanico e poeta nato a Gualdo Tadino (PG), figlio del giurista Giovanni Diletto, Castore Durante<br />

si laureò in medicina a Perugia verso il 1567, anno in cui fu nominato medico condotto dal comune di<br />

Gualdo. La sua prima opera fu la De bonitate et vitio alimentorum centuria (Pesaro, 1565), sorta di prontuario,<br />

disposto in ordine alfabetico, di un centinaio tra piante e prodotti alimentari. L’anno successivo dedicò al<br />

legato papale a Perugia, T. Crispi, il suo volgarizzamento del sesto libro dell’Eneide virgiliana. Dal 1568<br />

Durante si trasferì a Viterbo, dove approfondì gli studi medici. La sua fama di semplicista e medico gli valse<br />

intorno al 1581 l’ufficio di archiatra di Sisto V e la cattedra di botanica nell’Archiginnasio romano, che era<br />

stata di Andrea Bacci. Nel 1585 pubblicò la sua opera più celebre, l’Herbario nuovo. Negli ultimi anni di vita<br />

decise di fare ritorno a Viterbo, dove morì nel 1590 (cfr. D.B.I., vol. XLII, pp. 105-107).<br />

Edit16, CNCE17926. Lord Westbury, Handlist of Italian Cookery Books, Firenze, 1963, p. 83. G. Vicaire,<br />

Bibliographie gastronomique, Paris, 1890, p. 303. R.J. Durling, A Catalogue of 16 th Century Printed Books in the<br />

National Library of Medicine, Washington, 1967, nr. 1334. € 2.400,00<br />

LA PRIMA STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI VIENNA<br />

62) EDER, Georg (1523-1587). Catalogus Rectorum et Illustrium Virorum Archigymnasii<br />

Viennensis: in quo praeter elegantissimam temporum seriem, summa quaedam continentur quasi<br />

capita earum rerum, quae celeberrimae huic Academiae sub cuiusq(ue) magistratu memoria<br />

contingerunt dignae. Ab anno M.CC.XXXVII. usque ad annum M.D.LIX… Wien, Raphael<br />

Hofhalter, 1559.<br />

In 4to; cartonato recente; pp. (16), 106, (5). Ritratto in legno a piena pagina dell’autore entro una cartouche<br />

decorativa datata 1558. Marca tipografica in fine. Testo entro bordura ornamentale. Segni di tarlo nel<br />

margine interno bianco della prima e dell’ultima carta, per il resto ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di quest’opera che non si limita a<br />

dare un semplice elenco cronologico dei rettori dell’università<br />

di Vienna, ma fornisce anche numerose e dettagliate informazioni<br />

sulla sua storia e la sua organizzazione.<br />

Eder pone la fondazione dell’università nell’anno 1237, ma fu<br />

solo il 12 marzo del 1365 che il duca Rodolfo IV ne sanzionò<br />

ufficialmente la fondazione e, dopo pochi mesi, papa Urbano<br />

V la ratificò, senza peraltro concedere il permesso di creare<br />

una facoltà di teologia. Il movimento umanistico raggiunse gli<br />

ambienti dell’università viennese durante il regno dell’imperatore<br />

Massimilano I, che fondò nel 1497 il Collegio dei Poeti,<br />

il cui primo direttore fu Conrad Celtis. In quegl’anni vennero<br />

inoltre istituite due nuove cattedre, quella di Poetica e retorica<br />

e quella di Scienze naturali. I maggiori umanisti della città,<br />

vicini alla corte di Massimiliano, furono anche lettori o docenti<br />

dell’università. Tra questi ricordiamo: Georg Tanstetter,<br />

Johannes Stabius, Thomas Resch, Andreas Stiborius, Stefan<br />

Rosinus, Johannes Cuspinian e il riformato Johannes<br />

Vadianus.<br />

Nel volume, tra le altre cose, si menziona l’invenzione della<br />

stampa (p. 24); sono ricordati Georg Peuerbach e Johannes<br />

Regiomontanus, i quali portarono ad altissimi livelli gli studi<br />

di astronomia e matematica (p. 29); si fa menzione delle rivolte<br />

studentesche del 1512 (p. 55); si fà un elogio di Wolfgang<br />

Lazius, medico e storico, che divenne rettore nel 1546 (pp. 79-<br />

80); sono esposte le riforme promosse da Eder durante il suo rettorato, in particolare la reintroduzione delle<br />

disputationes quodlibetales e di alcune pratiche della miglior tradizione umanistica, come l’incoronazione<br />

dei poeti (pp. 89-91). In fine (pp. 91-101) l’autore, rinviando ad altri tempi la stesura di una storia maggiormente<br />

dettagliata della sua università, si limita a delineare sommariamente quelle che a suo avviso debbano<br />

essere le parti principali di una opera siffatta: libro primo fondazione, libro secondo dalla fondazione<br />

fino alla morte di Massimiliano I, libro terzo periodo e riforme di Ferdinando I, libro quarto periodo a lui<br />

contemporaneo, libro quinto ed ultimo elogio delle maggiori personalità avute dall’università. Nessuno,<br />

pare, realizzò mai questo progetto (cfr. K. Mühlberger, Zwischen Reform und Tradition. Die Universität Wien in<br />

der Zeit des Renaissance-Humanismus und der Reformation, in: “Mitteilungen der Österreichischen Gesellschaft<br />

- 50 -


für Wissenschaftsgeschichte“, 15, 1995, pp. 13-42).<br />

Georg Eder, originario di Freising in Baviera, dopo gli studi di filosofia a Colonia, divenne rettore della<br />

scuola di latino a Passau. Nel 1550 si trasferì a Vienna, dove, durante la sua lunghissima carriera, rivestì<br />

la carica di rettore dell’università per ben undici volte, quella di preside della facoltà di legge per cinque<br />

volte e infine quella di preside della facoltà di teologia per una volta. Nell’anno 1567 divenne membro<br />

dell’Alta Corte Imperiale di Giustizia. È autore di numerose orazioni e di varti scritti polemici contro il<br />

protestantesimo (cfr. J. von Aschbach, Geschichte der Wiener Universität, III, Wien, 1888, pp. 166-169).<br />

VD16, E-528. A. Mayer, Wiens Buchdrucker-Geschichte, 1482-1882, Wien, 1883, I, p. 86 (dove si sottolinea<br />

l’apparizione della marca tipografica di Hofhalters per la prima volta in quest’edizione). K. Schottenloher,<br />

Bibliographie zur deutschen Geschichte im Zeitalter der Glaubensspaltung, 1517-1585, Stuttgart, 1957, IV, p. 710,<br />

nr. 43882. € 2.900,00<br />

63) ERASMUS, Desiderius (1466-1536). Farrago nova epistolarum Des. Erasmi Roterodami ad<br />

alios, et aliorum ad hunc: admixtis quibusdam, quas scripsit etiam adolescens. Basel, Johannes<br />

Froben, (ottobre 1519).<br />

In folio (cm 30,5); legatura del XVII secolo in piena pelle, dorso a sei nervi con fregi, tassello e titolo in oro,<br />

risguardi originali in carta marmorizzata e in carta bianca, tagli rossi (dorso e parte dei piatti abilmente<br />

restaurati); pp. 398, (12). Bellissimo frontespizio entro elaborata cornice ideata ed incisa in legno da Urs<br />

Graf (con il suo monogramma in calce), che fu utilizzata per la prima volta nell’edizione frobeniana degli<br />

Adagia del 1513 (cfr. F. Hieronymus, Basler Buchillustration 1500 bis 1545, Basel, 1984, pp. 120-121 e 176),<br />

pagina 3 posta entro cornice ornamentale con al centro una grande iniziale istoriata, marca tipografica al<br />

verso dell’ultima carta. Annotazioni e firme di appartenenza sul titolo. Piccoli fori tondi di tarlo lungo tutto<br />

il volume, leggero alone chiaro nell’angolo inferiore interno delle prime carte, alcune pagine un po’ arrossate,<br />

ma nel complesso ottima copia fresca e marginosa.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE della prima cospicua raccolta di<br />

lettere inviate da Erasmo e a lui indirizzate. Tra i vari corrispondenti<br />

spiccano i nomi di Guillaume Budé, Christophe<br />

Longueil, Willibald Pirckheimer, John Colet, Fausto Anderlini,<br />

Philipp Melanchthon, Petrus Mosellanus, Martin Luther,<br />

Ulrich Hutten, Thomas More, Johannes Oecolampadius,<br />

Eobanus Hessus e Robert Gaguin.<br />

Coinvolto nella disputa sorta intorno alla figura dell’ebraista<br />

e cabalista Johannes Reuchlin, spinto dall’esigenza di negare<br />

il proprio coinvolgimento e, persino, il proprio supporto<br />

alla stesura delle satiriche Epistolae obscurorum virorum di<br />

Wolfgang Angst, Crotus Rubeanus e Ulrich von Hutten, desideroso<br />

di dare voce alla propria posizione moderata, cercando<br />

di evitare ulteriori possibili manipolazioni del suo pensiero<br />

attraverso la pubblicazione non autorizzata della sua corrispondenza,<br />

nel 1519 Erasmo decise di pubblicare una raccolta<br />

di lettere, da lui inviate o a lui indirizzate, organizzate e<br />

raccolte dal suo fedele castigator Beatus Rhenanus , che rendesse<br />

finalmente giustizia della sua posizione. Nel volume,<br />

che inaugura, si può dire, la politica erasmiana di divulgazione<br />

del proprio programma culturale e di autopromozione<br />

attarverso la stampa del proprio epistolario, emergono in modo<br />

chiaro il suo moderato supporto alla causa trilingue (latino,<br />

greco ed ebraico) del Reuchlin, ma nello stesso tempo il suo<br />

rifiuto della satira feroce del gruppo dell’Epistolae obscurorum<br />

virorum; l’intreccio delle sue relazioni con gli umanisti inglesi; e la sua iniziale ammirazione per Lutero (P.<br />

G. Bietenholz, Erasmus and the German public, 1518-1520; the authorized and unauthorized circulation of this<br />

correspondence, in: “The Sixteenth Century Journal”, 8, Supplement, 1977, pp. 61-78).<br />

«Erasmus’s response to the Reuchlin controversy was a purpose-built compilation of letters, published by<br />

Froben under the copy-editing responsibility of Beatus Rhenanus – the Farrago nova epistolarum D. Erasmi<br />

Roterodami ad alios et aliorum ad hunc: admixtis quibusdam quas scripsit etiam adolescens (Basel, October 1519)…<br />

The Farrago volume artfully organises carefully selected letters (including some ‘juvenile’ correspondence,<br />

as the title indicates) with a number of important contemporary agendas in mind. They are characteristically<br />

- 51 -


agendas which converge on the practice of humane letters and bonae litterae, particularly in England, under<br />

a humanistically educated Prince who supports Europe-wide peace, and the growing tide of theological<br />

reform with whose successful challenge to traditional theology and theological institutions Reuchlin and<br />

Luther were becoming increasingly strongly associated. Any such analysis has to begin with a<br />

reorganisation of the component letters in the Farrago volume, by dismantling Allen’s literal-mindedly<br />

chronological arrangement in favour of the organisation within the Farrago volume itself. A number of<br />

strong, topical agendas re-emerge immediately: a series of exchanges with Budé on the importance of Greek<br />

studies; Erasmus’s educational programme, as implemented in England, and his scholarly relationship<br />

with a circle of public servants around Cardinal Wolsey associated with the ‘universal peace’ signed in<br />

1518 (Colet, More, Tunstall, Fisher and Wolsey); scholarly correspondence with the Royal English Secretary<br />

Ammonius; the Reuchlin/Luther debates and strong support for their arguments coming out of England…<br />

Erasmus’s exchanges of letters with the English humanist community, printed at the very centre of the<br />

Farrago volume, refer casually and positively to Reuchlin and his writings, as part of the ‘rebirth’ of Latin,<br />

Greek and Hebrew letters which they believed was restoring an explicitly Christian learning… Three<br />

months after the appearance of Reuchlin’s Illustrium virorum epistolae, Erasmus wrote a long letter of carefully<br />

judged support for Reuchlin, to Jacob van Hoogstraten, the inquisitor vigorously pursuing the Hebraist.<br />

This letter was rushed into print as the penultimate item in the Farrago volume. It establishes the absolutely<br />

contemporary moment of the volume’s appearance, and recapitulates the controversy so as to propose a<br />

spirit of enlightened compromise amongst the antagonists… The Farrago volume is not just cautiously pro-<br />

Reuchlin. It is also self-consciously pro-Luther, in a highly specific, urbane, scholarly vein. Particular care<br />

has been taken here by Erasmus in the choice of letters, to and from himself, which refer to Luther and his<br />

writings. A letter from Luther himself to Erasmus testifies to the reformer’s respect and admiration for the<br />

great humanist... What needs to be noted is the way in which familiarity (in the epistolae sense of cordial<br />

communality of learned interests, and affection based on shared study rather than personality) shades and<br />

tempers the debate… The most telling letter included in the Farrago collection of epistolae is Erasmus’s reply<br />

to Luther’s above, which by the time that volume appeared had already seen publication in Peter<br />

Mosellanus’s Oratio de ratione disputandi volume (July 1519)… Indeed, by the time Erasmus’s Farrago volume<br />

came out in the autumn, its author probably already knew that the care he had taken there to choreograph<br />

his own religious and political moderation – particularly in relation to Luther — was to no avail.<br />

Nevertheless, the Farrago volume was a runaway best-seller. By February 1520 Erasmus told Budaeus that<br />

Froben was asking for a second edition (and Erasmus was proposing tweeking the editing to contain the<br />

volume’s impact)» (L. Jardin, Before Clarissa: Erasmus, ‘Letters of Obscure Men’, and Epistolary Fictions, in:<br />

“Self-Presentation and Social Identification. The Rhetoric and Pragmatics of Letter Writing in Early Modern<br />

Times”, a cura di T. Van Houdt, J. Papy, G. Tournoy e C. Matheeussen, Leuven, 2002, pp. 385-404).<br />

VD16, E-2938. Adams, E-851. I. Bezzel, Erasmusdrucke des 16. Jahrhunderts in bayerischen Bibliotheken, Stuttgart,<br />

1979, nr. 1017. Bibliotheca Erasmiana. Répertoire des oeuvres d’Érasme, Nieuwkoop, 1961, p. 99. € 6.500,00<br />

«THE FIRST PRINTED ILLUSTRATIONS OF THE DEVELOPMENT OF THE CHICK»<br />

(NORMAN SALE, II, NR. 437)<br />

64) FABRIZI DA ACQUAPENDENTE, Girolamo (ca. 1533-1619). De formatione ovi et pulli<br />

tractatus. Padova, Luigi Benci, 1621.<br />

In folio (cm 38,5); pergamena floscia coeva; pp. (4), 68, (2) con 7 tavole incise in rame a piena pagina, di cui<br />

3 incluse nella numerazione e 4 fuori testo, che contengono numerose illustrazioni raffiguranti i ventiquattro<br />

giorni di incubazione del pollo. Piccolo danno all’angolo superiore esterno di una carta, minima porzione<br />

mancante nel margine superiore di una tavola, dovuta non alla rifilatura, ma alle dimensioni della<br />

lastra eccedenti quelle del foglio, per il resto ottima copia a pieni margini.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, pubblicata postuma da Jean Prevost, di questo fondamentale studio di<br />

embriologia, che ebbe notevole influenza su W. Harvey e M. Malpighi. Esso fa seguito e completa il De<br />

formatu foetu, che Fabrizi pubblicò a Venezia nel 1600.<br />

Rispetto alla precendente, nella presente opera l’autore approfondì la formazione del feto a partire dall’uovo<br />

e dal suo sviluppo nell’utero.<br />

Partendo dalle dimostrazioni che teneva in casa sua per gli studenti, Fabrizi «tratta della formazione del<br />

feto partendo dal “luogo esterno” in cui essa si verifica, cioè l’uovo, per poi procedere a quello del luogo<br />

interno, cioè l’utero, nel quale il proceso si svolge in modo nascosto ed inaccessibile all’osservazione, e nel<br />

quale quindi il fenomeno si può ricostruire solo per analogia, e cioè partendo dal “fatto” per ricostruire l’<br />

“azione” (cfr. D.B.I., s.v.).<br />

Oltre agli autori antichi, nell’opera sono citati anche i “moderni” Andrea Vesalio, Realdo Colombo, Girolamo<br />

Falloppia e Giulio Cesare Aranzi.<br />

- 52 -


Nella descrizione dell’apparato riproduttivo del pollo,<br />

Fabrizi superò V. Coiter e U. Aldrovandi. Egli per primo<br />

scoprì la bursa, oggi chiamata bursa Fabricii, e descrisse in<br />

modo corretto la funzione dell’ovario e dell’ovidotto (cfr.<br />

B.H. Adelmann, The Embryological Treatises of Hieronymus<br />

Fabricius of Aquapendente, Ithaca, 1942, pp. 122-134).<br />

Girolamo Fabrizi (o Fabrici) d’Acquapendente, conosciuto<br />

abitualmente come l’Acquapendente dal nome del suo paese<br />

natale vicino Viterbo, si trasferì a Padova intorno al<br />

1550, laureandosi nel 1559. Dopo la morte del suo maestro<br />

Gabriele Falloppia, resasi vacante la cattedra di anatomia,<br />

egli fu chiamato all’insegnamento. La nomina ufficiale alla<br />

cattedra di chirurgia arrivò nel 1565 e gli fu poi più volte<br />

confermata con vari aumenti di stipendio determinati dal<br />

suo crescente prestigio internazionale. Nel 1584 inaugurò<br />

il teatro anatomico smontabile, da lui promosso e fortemente<br />

voluto. Nel 1613, dopo cinquant’anni d’insegnamento, rassegnò<br />

le dimissioni.<br />

Accanto all’attività accademica, Fabrizi esercitò la professione<br />

di medico pratico con notevole profitto economico.<br />

Fu medico personale di duchi e alti prelati e nel 1605 curò<br />

Paolo Sarpi, ferito in un attentato.<br />

Negli ultimi anni Fabrizi si dedicò a raccogliere e pubblicare<br />

alcuni dei suoi scritti. Tra questi ricordiamo il De visione,<br />

voce, auditu (1600), De locutione et eius instrumentis (1601), il<br />

De venarum ostiolis (1603) sulle valvole delle vene, il De respiratione et eius instrumentis (1615) e il Pentateuchos<br />

chirurgicum, stampato per la prima volta nel 1592, nel quale a partire dal 1617 furono inserite le Operationes<br />

chirurgicae, destinate ad una duratura fortuna editoriale. Rimasero invece inedite, insieme a molti altri testi,<br />

le Tabulae anatomicae, che egli avrebbe voluto pubblicare in otto volumi e che sono in parte andate perdute.<br />

Numerose sono poi le opere spurie tramandate a suo nome. Fabrizi morì a Padova nel 1619.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\UFIE\000878. Garrison-Morton, 466. Osler, 2559. € 5.500,00<br />

IL PIÙ SONTUOSO LIBRO DI FAVOLE DEL RINASCIMENTO<br />

65) FAERNO, Gabriele (1510-1561). Fabulae centum ex antiquis auctoribus delectae et a Gabriele<br />

Faerno Cremonensi carminibus explicatae. Roma, [Paolo Manuzio per] Vincenzo Luchini, (1564).<br />

In 4to (cm 21,4); legatura francese della fine del XVII o dell’inizio del XVIII in piena pelle alle armi del Duc<br />

de Biron, forse Charles-Armand de Gontaut (1663-1756) o Louis-Antoine (1700-1788), suo figlio; le armi<br />

sono impresse in oro sui piatti e in cinque dei sei comparti del dorso, il sesto essendo occupato dal titolo;<br />

sguardie e tagli marmorizzati; cc. (4), 100. Frontespizio architettonico inciso in rame con le armi di papa Pio<br />

IV, protettore del Faerno, e di San Carlo Borromeo, a cui è indirizzata la dedica del suo segretario Silvio<br />

Antoniano, autore fra l’altro di un celebre trattato di educazione. Con inoltre 100 figure calcografiche a<br />

piena pagina numerate, variamente attribuite a Tiziano o all’antiquario Pirro Ligorio. Ex-libris a stampa di<br />

J. Dawson Brodie. Segno di tarlo anticamente restaurato nel margine interno di una decina di carte, lievi<br />

fioriture a tratti, alcune pagine lievemente brunite, ma nel complesso ottima copia marginosa e ben rilegata.<br />

PRIMA EDIZIONE, seconda emissione. Esistono tre differenti emissioni, che si distinguono per la data<br />

nel colophon (1563, ‘64 e ‘65) e per alcune piccole correzioni testuali.<br />

L’opera ebbe straordianrio successo e fu più volte ristampata fino alla fine del Settecento e tradotta in<br />

tedesco, inglese, olandese e francese (da Charles Perrault). Le successive edizioni cinquecentesche apparvero<br />

tuttavia in formato ridotto e con le figure incise in legno, per lo più riprese in controparte dall’edizione<br />

originale (cfr. G. Faerno, Le favole, a cura di L. Marcozzi, Roma, 2005).<br />

Il Faerno lavorava ad una raccolta di favole già da diversi anni, come egli stesso ricorda in una lettera del<br />

1558 a Onofrio Panvinio, nella quale dichiara: «Ho in ordine le mie fabule al numero di cento che sono in<br />

versi come creddo che sappiate et esse fabule sono parte d’Esopo, parte d’altri autori, et parte cose non mai<br />

più scritte in alcuna lingua... spesso anco le antique parono nuove» (L. Ceretti, Faerno filologo in otto lettere<br />

inedite al Panvinio, in: “Aevum”, XXVII, 1953, p. 328).<br />

L’apparato iconografico ebbe grande influenza anche oltrampe; da esso infatti trassero ispirazione vari<br />

illustratori di La Fontaine.<br />

- 53 -


Originario di Cremona, Gabriele Faerno entrò nel 1528 nel<br />

Collegium notarium della sua città natale. Fu quindi per un<br />

certo periodo al servizio di Ermete Stampa, al seguito del quale<br />

nel 1538 andò in missione in Spagna. Nel 1548 ottenne un<br />

posto di revisore e correttore presso la Biblioteca vaticana, il<br />

cui direttore era all’epoca Marcelo Cervini. A Roma conobbe<br />

ed entrò in contatto con letterati come Giovanni della Casa,<br />

Marco Antonio Flaminio, Paolo Giovio e Fulvio Orsini. Per i<br />

successivi anni della sua vita si occupò prevalentemente di<br />

classici latini, ma la morte lo colse nel 1561 prima che potesse<br />

pubblicare i risultati del suo lavoro. Solo alcuni dei testi da lui<br />

filologicamente curati uscirono a stampa negli anni seguenti<br />

(cfr. L. Cisorio, Faerno da Cremona. Favolista, filologo e letterato<br />

del Cinquecento, Cremona, 1926, passim).<br />

F. Barberi, Paolo Manuzio e la stamperia del popolo romano (1561-<br />

1570), Roma, 1985. Edit16, CNCE18496. Adams, F-115.<br />

Mortimer, 178. Venduto<br />

66) FALTERI, Orazio (fl. secolo XVI). Trionfo di Cristo,<br />

nella Domenica delle Palme: opera spirituale, e devota,<br />

del M. R. M. Orazio Falteri piovano di Doccia. Siena,<br />

Alla Loggia del Papa [Luca Bonetti], 1609.<br />

In 4to (cm 20); mezza pelle moderna; pp. (24). Frontespizio<br />

entro bordura con al centro una grande vignetta in legno. Ottima copia marginosa.<br />

RARISSIMA SECONDA EDIZIONE (la prima apparve a Siena sempre per tipi di Luca Bonetti nel 1601),<br />

dedicata ad Alessandro Pazzi, canonico e abate di Pescia, di questa sacra rappresentazione in tre atti,<br />

inframmezzati da tre intermedi, che fu recitata sul poggio di Santa Maria a Rugiano in quella che era la<br />

contea di Turicchi. Chiude il volume un sonetto dell’autore.<br />

L’autore fu sacerdote della Pieve di Sant’Andrea a Doccia (FI).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\LO1E\023527 (per la prima edizione). S.P. Michel, Répertoire des ouvrages imprimés<br />

en langue italienne au XVII e siècle conservés dans les bibliothèques de France, Paris, 1970, III, p. 23. € 1.800,00<br />

TEORIA DELLA TRADUZIONE<br />

67) FAUSTO DA LONGIANO, Sebastiano (ca. 1502-<br />

1565). Dialogo, del modo de lo tradurre d’una in altra lingua<br />

secondo regole mostrate da Cicerone: a li vertuosissimi<br />

Signori Costanti, Nobilissimi Vicentini. Venezia, Giovanni<br />

Griffio per Lodovico delli Avanzi, 1556.<br />

In 8vo (cm 14,5); cartone antico; cc. 54, (l), 1 bianca. Marca tipografica<br />

al titolo. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE. Insieme alla Manière de bien traduire (1540)<br />

di E. Dolet e alla Interpretatio linguarum (1559) di Lawrence<br />

Humphrey, il Dialogo di Fausto da Longiano, dedicato ai membri<br />

dell’aristocratica e conservatrice Accademia dei Costanti di<br />

Vicenza (cfr. M. Maylander, Storia delle Accademie in Italia, Bologna<br />

1930, II, pp. 114-117), rappresenta uno dei più importanti trattati<br />

rinascimentali sull’arte di tradurre.<br />

L’opera è scritta in forma di dialogo fra l’Inquieto, che pone le<br />

domande, e l’Occulto (lo stesso Fausto), che fornisce le risposte.<br />

«The interest of this work, however, lies in more than its<br />

restatement of Cicero’s rules for rhetorical translation…<br />

Longiano’s treatise appears, then, to make a decisive break with<br />

what we have called the disruptive fallacy. Point by point, he has<br />

taken Cicero’s brief statement on translation and built it, through<br />

gloss and commentary, into a finely structured work not only<br />

corrective, but innovative in spirit. The result is a microcosm of<br />

- 54 -


the entire translative act with the two subdivisions of the second part summarizing the stages of that act. At<br />

the initial level (Argument, Arrangement, Elocution), the Translator is a Reader with all the analytical and<br />

perceptual commitments implied in the term; at the narrower level (Composition, Dignity and Number), he<br />

transposes these insights, gleaned as Reader, into the speculative function of Writer. Together, the two<br />

functions are predicated on a deeper awareness that reciprocity between any two languages is at best<br />

relative, sometimes determined by precise equivalencies in morphology and syntax, at other times, by new<br />

and transforming patterns of expression. This relativistic credo, in fact, cuts across each topic treated by<br />

Longiano, turning his work into an affirmation that where there is no attempt to sort out the articulative<br />

potency of language, grasping its inseparability from ideas, there con be no translation» (G.L. Norton, The<br />

ideology and language of translation in Renaissance France and their humanist antecedents, Genève, 1984, p. 202).<br />

Sebastiano Fausto fu di professione traduttore ed editore. Egli compose inoltre un trattato di educazione di<br />

impostazione erasmiana e un importante commento a Petrarca (1532). Scrisse poi di svariate altre materie,<br />

tra cui il duello, il matrimonio e la meteorologia (cfr. A Scapellini, Fausto da Longiano, in: “Studi Romagnoli”,<br />

10, 1959, pp. 283-300).<br />

Edit16, CNCE18624. M. Ballard, De Cicéron à Benjamin: traducteurs, traductions, réflexions, Villeneuve d’Arcq,<br />

2007, pp. 96-97. M. Furlan, La Retórica de la Traducción en el Renacimiento. Elementos para la constitución de una<br />

teoría de la traducción renacentista, Barcelona, 2002, pp. 271-300. B. Guthmüller, Fausto da Longiano e il problema<br />

del tradurre, in: “Quaderni veneti”, 12, 1990, pp. 9-152. € 1.500,00<br />

68) FERRAND, Jacques-Philippe (1653-1732). L’art du feu ou de peindre en email. Dans lequel<br />

on découvre les plus beaux secrets de cette science. Avec des instructions pour peindre, et apprêter<br />

les couleurs de mignature dans leur perfection. Paris, J. Collombat, 1721.<br />

In 12mo (cm 16,5); legatura coeva in piena pelle, dorso a nervi con fregi, tassello e titolo in oro, risguardi<br />

marmorizzati, taglio rosso (cerniere parzialmente danneggiate); pp. (16), 236, (16). Leggerissima brunitura<br />

uniforme, ma ottima copia.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di quest’opera sull’arte di dipingere a smalto, sulle tecniche miniaturistiche di<br />

pittura e sulla preparazione dei colori.Ferrand, pittore attivo anche fuori dai confini francesi, fu allievo di<br />

Mignard e di Samuel Bernard. Nel 1690 divenne membro dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture<br />

(cfr. L. E. Dussieux, Notice sur la vie et les ouvrages de J.Ph. Ferrand, Paris, 1855, passim).<br />

Benezit, II, 273. € 480,00<br />

CON 389 TAVOLE A COLORI<br />

69) FERRARIO, Giulio (1767-1847). Il costume antico e moderno ovvero storia del governo,<br />

della milizia, della religione, delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni provata<br />

con monumenti dell’antichità e rappresentata con analoghi disegni. Terza edizione. Torino, Alessandro<br />

Fontana, 1830-1833.<br />

Ventisei volumi in 8vo (cm 21,5) di circa 13.000 pp. complessive. Con 391 tavole (comprese 2 tabelle) fuori<br />

testo incise all’acquaforte e acquerellate a mano, molte delle quali ripiegate, cosi’ ripartite: 231 per l’Europa,<br />

33 per l’Africa, 92 per l’Asia, 33 per l’America. Esse raffigurano costumi civili, religiosi e militari, scene<br />

di vita tradizionale, vedute e monumenti. Legatura coeva in mezza pelle verde con titoli e filetti al dorso,<br />

piatti in carta marmorizzata. Lievi fioriture sparse, ma ottima copia.<br />

TERZA EDIZIONE di questa monumentale documentazione degli usi e costumi del mondo, che fu compilata<br />

da numerosi collaboratori sotto la supervisione del Ferrario.<br />

La prima edizione, apparsa in 4to grande fra il 1816 e il 1829 (le aggiunte uscirono invece fra il ‘31 e il ‘34)<br />

e disponibile da subito in versione italiana e inglese, costituì una grande impresa editioriale. Essa fu<br />

venduta a fascicoli in sottoscrizione: una copia in bianco e nero costava 1716 franchi francesi contro i 2288<br />

franchi di un esemplare colorato.<br />

Largamente apprezzata in tutta Europa, l’opera venne più volte ristampata e tradotta anche fuori dai<br />

confini italiani, perché contenente una vera e propria miniera di informazioni storiche, geografiche,<br />

etnologiche ed antropologiche relative anche a parti del mondo al tempo ancora scarsamente sconosciute.<br />

A partire dall’edizione fiorentina del Batelli del 1826, tutte le numerose ristampe pubblicate negli anni<br />

seguenti apparvero in formato ridotto.<br />

Giulio Ferrario, milanese, fu bibliotecario della Biblioteca Braidense dal 1838, fondatore della Società<br />

tipografica de’ Classici italiani ed autore di fortunate opere di taglio storico-letterario (cfr. C. Frati, Dizionario<br />

bio-bibliografico dei bibliotecari e bibliofili italiani, Firenze, 1933, pp. 221-222).<br />

Brunet, II, 1233. Graesse, II, 571. Colas, 1054. Vinet, 2114. Cicognara, 1648. CLIO, 1837 (C30). Lipperheide, 51.<br />

€ 2.500,00<br />

- 55 -


IL PRIMO LIBRO ITALIANO DI CUCINA SCRITTO DA UNA DONNA<br />

70) FERRARIS TAMBURINI, Giulia. Come posso mangiar bene? Libro di cucina, con oltre<br />

1000 ricette di vivande comuni, facili ed economiche per gli stomachi sani e per quelli delicati.<br />

Milano, Ulrico Hoepli, 1900.<br />

In 16mo grande (cm 18,5); tela editoriale stampata, tagli rossi; pp. 462 con varie figure nel testo e 6 tavole<br />

fuori testo. Dalla collezione “Biblioteca delle famiglie”. Lievi fioriture marginali su alcune carte, ma nel<br />

complesso ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE del primo ricettario scritto da un’Italiana.<br />

Nella seconda metà dell’Ottocento la nuova società borghese cambiò le regole della tavola, promuovendo<br />

il rapido sviluppo della cucina familiare affidata alle donne. Il progressivo aumento del tasso di alfabetismo,<br />

non solo maschile, ma anche femminile, permise poi il fiorire di una letteratura manualistica destinata<br />

appunto alle famiglie. Nell’Italia di fine Ottocento si assisté ad una vera e propria esplosione dell’editoria<br />

gastronomica, per la prima volta indirizzata non più ai cuochi professionisti, ma alle donne di casa e alla<br />

servitù delle classi medie.<br />

La femminilizzazione del personale di cucina è tuttavia un processo lento, che si sviluppa pian piano<br />

dopo l’Unità d’Italia. Dopo l’uscita de La scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891), il più importante<br />

ricettario italiano fino alla metà del Novecento, che non a caso è sottotitolato Manuale pratico per le famiglie,<br />

nasce anche in Italia, con un ritardo di alcuni secoli su altri paesi europei ed extraeuropei, la letteratura<br />

gastronomica al femminile. Nel 1892 apparve la versione italiana del ricettario austriaco di Katharina Polt<br />

“Prato”, che fu stampata a Graz per le cure di Ottilia Visconti Aparnik con il titolo Manuale di cucina per<br />

principianti e per cuoche già pratiche.<br />

Come posso mangiar bene? della Ferraris Tamburini, che uscì nella collana “Biblioteca delle Famiglie” per<br />

fare da pendent a Come devo governare la mia casa? della stessa autrice (1898), inaugurò quindi un nuovo<br />

genere, destinato ad avere un lungo e duraturo successo. Il libro si rivolge espressamente alle padrone di<br />

casa. Le ricette, ordinate alfabeticamente, sono inserite nel contesto più generale della didattica familiare e<br />

domestica, secondo un progetto educativo che in quegli anni vede coinvolti tutti i livelli dell’istruzione al<br />

femminile (cfr. A. Colella, Figura di vespa e leggerezza di farfalla. Le donne e il cibo nell’Italia borghese di fine<br />

Ottocento, Firenze, 2003, p. 99).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\NAP\0135201. € 650,00<br />

71) FERRO, Marcello (fl. seconda metà del XVI secolo).<br />

La Chlori egloga pastorale. Venezia, Ricciardo Amadino,<br />

1590.<br />

In 8vo (cm 14,5); cartonato coevo cucito alla rustica, titolo<br />

manoscritto al dorso e sul piatto anteriore; pp. (4), 99. Marca<br />

tipografica al titolo. Dalla biblioteca di Giuseppe Martini.<br />

Leggere fioriture, ma ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, dedicata ad Odoardo Farnese, di<br />

questo dramma pastorale in cinque atti che trae ispirazione<br />

dall’Aminta del Tasso e mostra alcuni parallelismi con il Pastor<br />

Fido del Guarini apparso nello stesso anno. L’intrigo amoroso<br />

vede coinvolte le ninfe Clori e Delia ed i pastori Coridone, Tirsi,<br />

Fileno e Ergasto.<br />

L’argomento della Chlori fu ripreso da Alessandro Striggio per<br />

un balletto musicato da Monteverdi, da Apostolo Zeno per il<br />

libretto de Il Tirso (1696) e da Händel per una cantata a tre voci<br />

(HWV 96).<br />

Poco si sa della vita di Marcello Ferro. Visse prevalentemente a<br />

Macerata, dove fu membro dell’Accademia dei Catenati, fondata<br />

nel 1574 da Girolamo Zoppio e ancora oggi esistente (cfr. M.<br />

Maylander, Storia delle Accademie in Italia, Bologna, 1930, III, pp.<br />

508-521 e 515)<br />

Edit16, CNCE18883. L.G. Clubb, Italian Plays (1500-1700) in the<br />

Folger Library, Firenze, 1968, nr. 420. € 1.900,00<br />

- 56 -


72) (FIRENZE). Legge dell’Ill. et Eccell. S. Duca di Fiorenza et di Siena, in commodo di quelli che<br />

volessino edificare per tutto il suo felice stato passata nel suo Consiglio de quarant’otto il di 28. di<br />

Gennaro. M D LI. Firenze, eredi di Bernardo Giunta, 1561.<br />

In 4to; cartonato recente; cc. (4). Armi dei Medici al titolo. Ottima copia intonsa.<br />

RARA EDIZIONE di questa legge che, promulgata da Cosimo I de’ Medici nel 1551 in materia di pianificazione<br />

edilizia nei territori del Granducato di Toscana, fu pubblicata per la prima volta dal Torrentino nel 1551.<br />

Edit16, CNCE69949. € 400,00<br />

STAMPATO A MESSINA AGLI INIZI DEL SEICENTO<br />

73) FLACCOMIO, Francesco (m. 1622). Variloquiorum Don Francisci Flaccomii S.T.D. et Canonici<br />

Messanensis. [segue:] Idyllia sacra. Messina, Pietro Brea, 1618.<br />

Due opere in un volume in 8vo piccolo (cm 14,5); pergamena molle coeva (in parte staccata dal dorso); pp.<br />

(8), 157, 3 bianche + pp. 16. Vignetta in legno sui frontespizi. Esemplare fresco e genuino.<br />

RARISSIMA PRIMA EDIZIONE per entrambe le opere, che sono dedicate dall’autore all’arcivescovo<br />

Andrea Mastrilli.<br />

La prima opera, divisa in due Decadi, comprende vari dialoghi, fra cui da segnalare quello scientificoastronomico<br />

di 34 pagine, che è una sorta di cosmologia corredata di misure in migliaia di passi (non si<br />

tralascia la descrizione di fenomeni naturali inusitati, come la pioggia di rane). Altri dialoghi sono: De<br />

humanis literis; De Poetis; De Musica; ecc.<br />

Francesco Flaccomio, sacerdote di grande erudizione, fu canonico della Cattedrale di Messina ed autore di<br />

varie opere, tra cui il poema eroico sulla Sicilia, Sicelis (1609).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\PALE\002411 e IT\ICCU\PALE\004234. € 550,00<br />

74) FONTANA, Felice (1730-1805). Osservazioni sopra la ruggine del grano. Lucca, Jacopo<br />

Giusti, 1767.<br />

In 8vo (cm 22); legatura coeva o di poco posteriore in mezza pelle con tassello e titolo in oro (minimi danni<br />

alle cerniere); pp. 114 con una tavola in rame a colori fuori testo più volte ripiegata. Leggera brunitura<br />

uniforme, ma esemplare intonso con barbe e in parte a fogli chiusi.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. «In 1766 Fontana demonstrated that the blight which had devastated the Tuscun<br />

countryside was caused by parasitic plants that feed on grain and that reproduce by means of spores»<br />

(D.S.B., V, p. 56).<br />

Le figure colorate, che mostrano le Puccinia graminis e l’Uredo, sono «meravigliose pel tempo, forse anzi le<br />

prime in tal genere» (P.A. Saccardo, La Botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, Venezia, 1895,<br />

parte Ia, p. 74).<br />

F. Fontana, originario di Pomarolo in Trentino, ricevette i primi rudimenti da Girolamo Tartarotti a Rovereto,<br />

quindi studiò matematica a Parma sotto il Belgrado ed anatomia e fisiologia a Padova. Nel 1765 fu nominato<br />

professore di logica all’università di Pisa. L’anno dopo fu fatto fisico di corte dal granduca di Toscana<br />

Pietro Leopoldo. Su incarico di quest’ultimo fondò il Museo di fisica e storia naturale di Firenze. Nel 1775<br />

partì per un viaggio quinquennale che lo portò nelle maggiori città europee, dove ebbe modo di conoscere<br />

tutti i più importanti scienziati dell’epoca e di pubblicare diverse memorie e dissertazioni. Dedicò gli ultimi<br />

anni di vita al suo museo ed in particolare alle cere anatomiche, che con suo grande dolore, poco prima<br />

della sua morte, furono portate in Francia dalle truppe napoleoniche (C. Adami, Di Felice e Gregorio Fontana,<br />

Rovereto, 1905, pp. VII-XIX).<br />

Pritzel, 2956. Cfr. Felice Fontana, Observations on Rust of Grain, Phytopathological Classics no. 2, Washington<br />

DC, American Phytopathological Society, 1932. Adami, op. cit., p. XXXIX. € 900,00<br />

75) FONTANA, Gregorio (1735-1803). Disquisitiones physico-mathematicae nunc primum editae.<br />

Papiae, Ex typogr. Monasteri S. Salvatoris, 1780.<br />

In 4to (cm 24,2); cartone coevo; pp. (12), XI, 384 e 3 tavole in rame fuori testo. Bellissima edizione stampata<br />

su carta fine ed impreziosita da 18 fra vignette, testate e finalini, disegnati e incisi in rame da Giovanni<br />

Ramis (cfr. Thieme-Becker, XXVII-597). Piccolo timbro sul margine inferiore del titolo, minime fioriture<br />

marginali, ma ottima copia marginosa.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. «Nel frattempo aveva pubblicato in Pavia (1780) un’opera, che levò molto grido:<br />

le Disquisitioni fisico-matematiche, dedicate all’arciduca Ferdinando d’Austria. Qui, alla grandiosità del<br />

contenuto, corrisponde anche l’eleganza del grosso volume, che si può citare come modello dell’arte tipo-<br />

- 57 -


grafica alla fine del Settecento. Nelle prime disquisizioni tratta esaurientemente del problema termico<br />

solare, secondo i diversi climi del globo, esponendo i risultati sicuri di laboriossisimi calcoli; applica poi il<br />

metodo dei massimi e minimi alle funzioni irrazionali e trascendenti, superando quanti avevano scritto<br />

intorno al medesimo soggetto; espone alcuni teoremi intorno agli infiniti logaritmici; persegue le vie delle<br />

comete» (C. Adami, Di Felice e Gregorio Fontana, 1905, p. XXII).<br />

Delle 15 dissertazioni che compongono l’opera, la quinta (De sideribus intervallum inter datos duos almicantarath<br />

interceptum velocissime trajicientibus), la sesta (De astronomiae nauticae theorematibus) e la settima (De cometarum<br />

motu) interessano l’astronomia.<br />

Gregorio Fontana nacque a Villa di Nogaredo nel 1735. Compiuti i primi studi a Rovereto, nel 1756 a 21<br />

anni era già lettore di Filosofia e Matematica nel Collegio del Nazareno di Roma. Nel 1766 fu fatto rettore<br />

dell’Ateneo Lombardo e successe al Boscovich nella cattedra di calcolo sublime. Fu inoltre bibliotecario del<br />

Collegio Ghislieri, dando inizio alla formazione della Biblioteca universitaria ticinese. Morì nel 1803.<br />

Riccardi, I-470 (elenca i titoli delle quindici Disquisizioni). Houzeau-Lancaster, I-3517. Horblit collection, nr. 392.<br />

€ 900,00<br />

ALLE ARMI DI N. CATIN DE CHARTERET<br />

76) FRANCIA. GUERRE DI RELGIONE. MISCELLANEA di cinque placchette di parte<br />

cattolica.<br />

Un volume in 8vo (cm 14,3) rilegato in piena pelle coeva, piatti entro duplice filettatura in oro con al centro<br />

le armi di N. Catin de Charteret e il suo monogramma ai quattro angoli, titolo (Plusieurs discours) impresso<br />

in oro lungo il dorso (lievi danni alle cerniere, manca la cuffia superiore). Sul primo titolo ex-libris manoscritto<br />

della biblioteca della casa dei Gesuiti di Saint-Charles a Parigi.<br />

(I) [PITHOU, François (1543-1621)]. Brieve responce d’un catholique<br />

François, à l’Apologie ou defense des Ligueurs, et perturbateurs du<br />

repos public, se disant fausement Catholiques unis les uns avec les autres.<br />

Sn.t., 1586. Pp. 51, 5 bianche.<br />

Edizione originale, di cui esiste una tiratura recante 29 pagine.<br />

François Pithou, fratello del celebre giureconsulto Pierre, fu allievo<br />

di Jacques Cujas. Preferendo l’esilio all’apostasia, all’epoca<br />

del massacro di San Bartolomeo scappò dalla Francia, rifugiandosi<br />

dapprima a Heidelberg, quindi a Basilea, dove si dedicò<br />

allo studio dell’ebraico e pubblicò varie opere. Successivamente<br />

rientrò in patria e si convertì al cattolicesimo (cfr. E. Haag-E. Haag,<br />

La France protestante, Parigi, 1858, VIII, p. 257).<br />

H. Hauser, Les sources de l’histoire de France, Parigi, 1912-1967, nr.<br />

2366. R.O. Lindsay-J. Neu, French political pamphlets: 1547-1648,<br />

Madison, 1969, nr. 1154. OCLC, 404869974. A. Cioranesco,<br />

Bibliographie de la literature française du seizième siècle, Parigi, 1959,<br />

nr. 17639.<br />

(segue:)<br />

(II) Le Procès de Henri Garnet, provincial des Jésuites d’Angleterre.<br />

Executé à mort en la ville de Londres, le XXVIII. jour de Mars 1606,<br />

Tourné mot à mot de l’Anglois,... Plus, le bannissement des Moines,<br />

Prêtres, Jesuites, Seminaires, et leurs semblables hors du Royaume de la<br />

Grand Bretagne. S.n.t., 1607. Pp. 36.<br />

Herni Garnett (Nottingham, 1555-1606) entrò nella Compagnia<br />

di Gesù nel 1575. Dopo aver insegnato per un periodo a Roma,<br />

fece ritorno in Inghilterra dove fu nominato provinciale dell’Ordine. Implicato nella così detta Congiura<br />

delle Polveri, fu impiccato nel maggio del 1606. Su questo evento, che fece molto scalpore, furono pubblicate<br />

numerose opere.<br />

Bibliothèque Nationale, notice n°: FRBNF33552016. OCLC, 460871965.<br />

(segue:)<br />

(III) Coppie d’une lettre escrite à Monseigneur Paulino autresfois Dataire, soubs le Pontificat de Clément VIII.<br />

D’heureuse mémoire. Traduit de latin en français. S.n.t., 1611. Pp. 29, 3 bianche.<br />

La lettera è datata Douai, 21 septembre 1610, ed è firmata con le iniziali G.D.W.<br />

(IV-V) Chiudono il volume due opere mutile dei titoli e delle carte preliminari: Discours du siege tenu devant<br />

la Charité, pp. 3-22, 2 bianche; Apologie du maistre André Maillart, pp. 5-72.<br />

€ 850,00<br />

- 58 -


STATISTICA E DEMOGRAFIA<br />

77) [FROUMENTEAU, N.]. Le secret des finances de France, descouvert, et départi en trois livres<br />

par N. Froumenteau, et maintenant publié, pour ouvrir les moyens légitimes et nécessaires de payer<br />

les dettes du Roy, décharger ses sujets des subsides imposez depuis trente un ans, et recouvrer tous<br />

les deniers [sic] prins à sa Majesté. (Paris o Genève), 1581.<br />

Tre parti in un volume in 8vo (cm 16); legatura francese del XVIII secolo in piena pelle, dorso a nervi con<br />

fregi, tassello e titolo in oro, risguardi marmorizzati, taglio rosso (cerniere un po’ consunte); pp. (56), 152 +<br />

pp. 472 (la carta b8 è bianca) + pp. (8), 439 (recte 435), (1 bianca). Diversi ex-libris e alcune note d’appartenenza<br />

sui fogli di guardia. Insignificanti bruniture su pochi fascicoli, piccolo strappetto al margine di una<br />

carta senza danno, margini sobri, ma nel complesso ottima copia di tutta freschezza.<br />

EDIZIONE DEFINITIVA, aumentata di un terzo libro, de Le secret des thrésors de France, apparso sempre<br />

nel 1581. Delle diverse tirature di questa edizione stampate nello stesso anno, la presente riporta il nome<br />

dell’autore N. Froumenteau (probabilmente uno pseudonimo per Nicolas Barnaud du Crest) sul frontespizio<br />

e presenta l’Épître del secondo volume in trenta pagine anziché sedici come in altre tirature. Inoltre il «Le»<br />

iniziale del titolo è in corsivo.Si tratta quindi della migliore edizione di questa importante analisi statistica<br />

delle finanze pubbliche francesi negli anni che vanno dal 1550 al 1580. Molto critico nei confronti del<br />

régime fiscal allora in vigore, Froumenteau anticipa in certi punti le teorie di autori come Boisguilbert,<br />

Vauban, Boulainvilliers e i fisiocratici. Di fede protestante, egli fornisce anche informazioni statistiche<br />

sulla popolazione e sui danni causati dalle guerre di religione (765.000 morti e 128.000 abitazioni distrutte).<br />

L’opera è inoltre una feroce invettiva contro la dinastia regnante dei Valois e contro Enrico III in particolare,<br />

il quale, secondo Froumenteau, si sarebbe intascato più di conquecento milioni di libbre d’oro dalle casse<br />

dello stato.<br />

Adams, F-1084. Hauser, 2340. Kress, 146. Einaudi, 5204. INED, 1932 («on peut regarder ce livre comme un<br />

premier essai de statistique, tout en considérant que ces évaluations sont assez arbitraires»). BMSTCFrench,<br />

p. 189. Cioranesco, 3113. E. Haag, La France protestante, Paris, 1877-89, VI, pp. 747 e sgg. N.B.G., XVIII, p. 952<br />

(«une statistique des misères de la France»). Dictionnaire des Sciences Économiques, Paris, 1956, I, p. 565<br />

(«étude des plus intéressants sur les finances et les conditiones de vie depuis Henri III»). € 1.200,00<br />

78) GABLER, Johann Ulrich (fl. fine del XVI secolo). Has de tutelis conclusiones à se collectas<br />

cum consensu & authoritate Magnifici D. Domini Rectoris, caeterorumq(ue) Iuridici Collegij<br />

Clarissimorum Doctorum ac Professorum, in Regia & Catholica Dolana Academia, mensis Ianuarii,<br />

die 28. Sub Praesidio nobilis et clarissimi viri Domini Petri Pouteri I.V.D. et Canonum Professoris<br />

primarij,… Publico disputationis certamine defendendas suscepit… Dôle, Antoine Dominique,<br />

1589.<br />

In 4to (cm 16,5); legatura coeva in piena pelle con impressioni a secco e in oro, ormai quasi illeggibili; cc. (8).<br />

Ottima copia.<br />

EDIZIONE APPARENTEMENTE SCONOSCIUTA. Si tratta di una pubblica discussione tenutasi il 28<br />

gennaio del 1589 presso la facoltà di legge dell’Università di Dôle nel Jura, sotto la guida del rettore Pierre<br />

Pouthier (m. 1601).<br />

All’inizio vi sono alcuni versi del Gabler indirizzati al suo patrono, il conte Georg III von Helfenstein,<br />

mentre alla fine si trovano dei componimenti di tre studenti compagni dell’autore.<br />

Per la stampa a Dôle vedi B. Gaulard-D. Ducout, 1490-1990, 500 e<br />

anniversaire de l’imprimerie à Dôle, (Dôle, 1990).<br />

€ 450,00<br />

CON UN ARTICOLO SUL CAVIALE E LA BOTTARGA<br />

79) GALLERIA DI MINERVA riaperta a benefizio della Repubblica delle Lettere dal zelo di<br />

Almorò Albrizzi librajo e stampatore di Venezia, Lipsia, e Charlesbourg, e compastore della sceltissima<br />

Accademia dell’Onore letterario di Forlì. Nella quale si contiene quanto di più scelto vien scritto da’<br />

Letterati per lo più viventi in ogni materia sagra e profana, con molte rare e curiose notizie, insegnamenti<br />

segreti di varie materie e figure in rame. ANNO PRIMO. Venezia, Nella stamperia Hermol-<br />

Albrizziana, 1724.<br />

In 12mo (cm 17); cartone coevo con nervi passanti e titolo manoscritto al dorso; pp. 24, 12, 20, 72, 68, 12, 20.<br />

Con una vignetta in rame sul titolo e varie piccole figure in rame nel testo raffiguranti monete antiche.<br />

Piccolo foro ad una carta con piccola perdita di testo, per il resto ottima copia intonsa con barbe.<br />

- 59 -


RARA EDIZIONE ORIGINALE del primo numero del periodico scientifico-letterario<br />

Galleria di Minerva riaperta, continuazione voluta da Almorò<br />

Albrizzi della più celebre Galleria di Minerva, che suo padre Girolamo<br />

Albrizzi aveva pubblicato in sette volumi fra il 1696 e il 1717. Un secondo<br />

ed ultimo numero apparve nel 1725 (cfr. M. Infelise, Editoria veneziana nel<br />

‘700, Milano, 1989, p. 41; inoltre M. Berengo, Giornali veneziani del Settecento,<br />

Milano, 1962, p. XV).<br />

La Galleria di Minerva raccoglie, ripartiti in varie sezioni, gli Atti eruditi<br />

della Società Albrizziana. La prima sezione contiene articoli di storia naturale.<br />

La seconda riporta invece una Lettera in cui si mostra, che il Caviale e la<br />

Bottarga erano in uso appo gli Antichi, indirizzata dal dottor Giuseppe<br />

Lanzoni ad Antonio Astori, accademico animoso di Venezia ed arcade.<br />

Dopo la parte ecclesiastica, si apre la lunga parte antiquaria che tratta<br />

per lo più di numismatica. Chiudono il volume le parti storico-letterarie e<br />

poetiche.<br />

Almorò (Ermolao) Albrizzi, nato a Venezia nel 1695, fu stampatore ed<br />

editore per tradizione familiare. Grande viaggiatore, seppe espandere<br />

l’attività del padre Girolamo fuori dai confini veneziani, sino a Lipsia e<br />

alla Transilvania. Nel 1724 fondò a Venezia l’Accademia Albrizziana, la<br />

quale contò fra i suoi membri tutti i più bei nomi del tempo e rimase attiva<br />

fino al 1749 (dal 1744 l’Accademia si trasferì a Roma) (cfr. M. Maylender,<br />

Storia delle Accademie d’Italia, Bologna, 1926, I, pp. 111-125).<br />

L’Albrizzi, dotato di naturale ingegno e di spirito imprenditoriale, rappresenta<br />

uno dei più tipici esemplari della civiltà letteraria del tempo.<br />

Numerose furono le pubblicazioni da lui curate (cfr. G. Cinelli-Calvoli,<br />

Biblioteca volante, Venezia, 1734, I, pp. 22-25), tra queste vari interessanti tentativi di letteratura periodica.<br />

Morì a Forlì il 5 aprile 1764 (cfr. I. Parenzo, Almorò Albrizzi e la Società letteraria universale Albrizziana, in:<br />

“Rivista letteraria”, VII, Udine, 1935, nr. 5, pp. 20-28).<br />

<strong>Catalogo</strong> delle pubblicazioni periodiche esistenti in varie biblioteche di Roma e Firenze…, Roma, 1955, p. 181.<br />

€ 1.100,00<br />

80) GALVANI, Luigi (1737-1798) – GHERARDI, Silvestro ed. (1802-1879). Opere edite ed<br />

inedite... raccolte e pubblicate per cura dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Bologna,<br />

Emidio dall’Olmo, 1841.<br />

(seguito da:)<br />

GHERARDI, Silvestro. Osservazioni intorno ad un articolo del Chiarissimo Signor Professore G.<br />

Grimelli sulla collezione Galvaniana pubblicata dall’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna<br />

e nuove notizie sul Galvani, illustrazioni e difese delle opere sue, Discorso... letto all’Accademia nella<br />

seduta del 24 febbraio 1842... Bologna, Emidio dall’Olmo, 1842.<br />

Due volumi in 4to (cm 31,2); brossura originale stampata; pp. (8), 120, 505, (3) + pp. (4, di cui le prime 2<br />

bianche), 58, (2). Ritratto del Galvani inciso in rame (A. Marchi su disegno di F. Spagnoli), facsimile di una<br />

lettera dell’autore e 9 tavole fuori testo, di cui 4 ripiegate. Esemplare come nuovo, intonso con barbe e a fogli<br />

chiusi.<br />

PRIMA EDIZIONE COLLETTIVA, curata da Silvestro Gherardi, delle opere di Galvani, contenente una<br />

biografia dell’autore, le classiche opere sull’elettricità animale (tra cui la prima edizione critica del De<br />

viribus electricitatis) ed alcune memorie anatomiche mai pubblicate in precedenza oppure apparse nei<br />

volumi dei Commentari dell’Istituto delle Scienze. Il Gherardi, che insegnò fisica a Bologna tra il 1827 e il 1848,<br />

ebbe accesso ai manoscritti originali del Galvani conservati presso la biblioteca dell’Accademia delle<br />

Scienze.<br />

Tra gli scritti inediti, che testimoniano quanto il Galvani fu attivo anche nel campo dell’anatomia e della<br />

fisiologia, ricordiamo: De ossibus; De renibus et ureteribus volatilium; De volatilium aure; De Manzoliniana<br />

suppelectili; Disquisitiones anatomicae circa membranam pituitariam.<br />

F. Ronalds, Catalogue of books and papers relating to electricity, magnetism, etc. including the Ronalds Library,<br />

London, 1880, p. 191. Wheeler Gift, 999. F. Rossetti-G. Cantoni, Bibliografia italiana di elettricità e magnetismo,<br />

Padova, 1881, p. 45. J.F. Fulton-H. Cushing, A bibliographical study of the Galvani and the Aldini writings on<br />

animal electricity, in: “Annals of Science”, I, 1936, nr. 6. J.F. Fulton-M.E. Stanton, Bibliography of Galvani’s<br />

writings on animal electricity, in: Luigi Galvani, Commentary on the effects of electricity on muscular motion...<br />

- 60 -


together with… a bibliography of the editions and translations of Galvani’s books... Norwalk, 1954, nr. 7. Memorie<br />

ed esperimenti inediti di Luigi Galvani, Bologna, 1937, pp. 461-464, nr. 1 e 2. € 950,00<br />

81) GARZONI, Tommaso (1549-1589). La Sinagoga degl’Ignoranti. Venezia, Giovani Battista<br />

Somasco, 1589.<br />

In 4to; pergamena antica; pp. (12), 203, (1). Marca tipografica al titolo. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE, apparsa postuma, di quet’opera polemica che fu scritta in risposta ad uno scrittore<br />

francese, di cui non si fa il nome, il quale aveva qualificato Garzoni come persona ignorante.<br />

La Sinagoga è una dotta e vivace analisi dell’ignoranza, sue cause ed effetti. In contrasto con le altre opere<br />

del Garzone, nelle quali egli utilizza innumerevoli fonti per le sue citazioni e aneddoti, la Sinagoga è basata<br />

soprattutto sugli Adagia di Erasmo, che, tuttavia, per ragioni di prudenza non è mai nominato. Lo è invece<br />

Paolo Manuzio, che nel 1575 aveva pubblicato un’edizione espurgata degli Adagia (cfr. P. Cherchi, La<br />

Sinagoga degli Ignoranti di T. Garzoni e gli “Adagia” di Erasmo, in: “Giornale storico della letteratura italiana”,<br />

XCLVI, 1969, pp. 391-95).<br />

Ottavio Garzoni nacque a Bagnacavallo in Romagna. Cominciò a studiare legge e logica all’età di 14 anni<br />

a Ferrara e, più tardi, filosofia e teologia a Siena. Divenne prete e predicatore, vestendo l’abito dei Canonici<br />

Regolari Lateranensi. Nel 1566 cambiò il suo nome in quello di Tommaso.<br />

Opere come L’hospitale de’ pazzi incurabili del 1586 (una ricognizione di tutti i generi di follia che pone il<br />

Garzoni fra i precursori della moderna psichiatria) o La piazza universale di tutte le professioni del mondo<br />

(1589), sono una miniera di informazioni sulla vita del suo tempo e fecero di Garzoni il più tradotto autore<br />

italiano del Cinquecento.<br />

Edit16, CNCE20472. € 1.500,00<br />

82) IL GAZZETTIERE AMERICANO contenente un distinto Ragguaglio di tutte le parti del<br />

Nuovo Mondo della loro situazione, clima, terreno, prodotti, stato antico e moderno, merci, manifatture,<br />

e commercio. Con una esatta descrizione delle città, piazze, porti, baje, fiumi, laghi, montagne,<br />

passi, e fortificazioni. Il tutto destinato ad esporre lo state presente delle cose in quella parte di Globo,<br />

e le mire, e interessi delle diverse Potenze, che hanno degli stabilimenti in America. Tradotto dall’inglese<br />

e arricchito di aggiunte, note, carte, e rami. Livorno, Marco Coltellini, 1763.<br />

Tre volumi in folio (cm 30,5); legatura coeva in piena pergamena rigida, dorso con tassello e titolo in oro,<br />

tagli rossi; pp. XXIII, (1 bianca), 216, (2) + pp. 256, (2) + pp. 253, (3). Con un’antiporta incisa che raffigura<br />

Colombo che incontra i nativi americani e 77 tavole<br />

fuori testo a piena pagina, di cui 25 ripiegate, disegnate<br />

ed incise in rame da F. Gregori, V. Vanni, V. Rossi, A.<br />

Scacciati, G.M. Terreni e C. Faucci Carlo. Vignetta in<br />

rame sui frontespizi incisa da C. Coltellini e da G.M.<br />

Terreni. A parte un lieve arrossamento a tratti nel terzo<br />

volume, bellissima copia marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE IN ITALIANO di questa enciclopedia<br />

storico-geografica sul Nuovo Mondo disposta<br />

in ordine alfabetico.<br />

«This is a translation of an anonimous English book,<br />

The American Gazetteer, published in London by Andrew<br />

Miller the previous year. The translator is not known,<br />

but he faithfully rendered the English into Italian. A<br />

comparison of the entries shows that although the<br />

words were translated literally the printer, Marco<br />

Cotellini, has elevated the cramped, unattractive<br />

English original into a handsome book, and the visual<br />

effect of the Italian edition is strikingly superior.<br />

Because it is a translation of an English work, there is<br />

much more information about the English colonies in<br />

America than is found in most geographical books<br />

written by continental authors up to this time (Hough,<br />

S.J., The Italians and the Creation of America, Providence<br />

RI, 1980, nr. 81).<br />

- 61 -


«Of non-Iberian Europe, Italy probably had the longest tradition of travel literature. … It was therefore<br />

natural for the Italian public to be avidly interested in the new discoveries, even though... these discoveries<br />

did not directly concern the Italians» (Penrose, p. 304).<br />

Il Gazzettiere tratta dei traffici commerciali, delle arti, delle produzioni manifatturiere, della flora, della<br />

fauna e delle influenze politiche degli stati europei aventi interessi oltreoceano.<br />

L’apparato iconografico comprende: 35 tavole che mostrano animali, scene di caccia, popoli, edifici, piantagioni,<br />

le cascate del Niagara, ecc.; 3 tavole ripiegate raffiguranti vedute a volo d’uccello, come la veduta<br />

di Quebec; e 39 carte geografiche, in gran parte basate su quelle di Emanuel Bowen (1714-67), geografo di<br />

Giorgio II e Luigi XV (New York, Boston, Santiago, Acapulco, Lima, Havana, la Florida, St. Eustatius, Santo<br />

Domingo, il Venezuela, la regione dei Grandi Laghi, Newfoundland, la baia di Hudson, il New England,<br />

la Giamaica, le isole Barbados e molte altre località).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\SBLE\000659. Sabin, 26814. Borba, p. 347. € 6.500,00<br />

83) GELLI, Giovanni Battista (1498-1563). La Circe. Firenze, (Lorenzo Torrentino), (1 aprile)<br />

1549.<br />

Pp. 266, (6, di cui le ultime 5 bianche). Frontespizio entro bordura xilografica con al centro le armi medicee.<br />

PRIMA EDIZIONE, prima tiratura, dedicata a Cosimo de’ Medici, del capolavoro del Gelli. Si tratta di<br />

un’opera satirica tratta dalla vicenda omerica di Ulisse e di undici suoi uomini trasformati in animali dalla<br />

maga Circe. Benché Ulisse riesca a persuaderla a far tornare normali i suoi uomini, solo uno di loro, un<br />

filosofo divenuto elefante, accetta di tornare al suo stato originario. Il rifiuto degli altri si richiama in modo<br />

ironico al celebre brano di Pico della Mirandola, in cui si descrive la possibile trasformazione degli uomini<br />

in animali o angeli. Attraverso la favola omerica, il Gelli mette in satira vari aspetti della società dei suoi<br />

tempi, in particolare la corruzione, l’immoralità e l’ambizione (cfr. A.L. De Gaetano, Giambattista Gelli and<br />

the Florentine Academy. The Rebellion against Latin, Firenze, 1976, pp. 161-221).<br />

La Circe, nella versione corretta e rivista dell’autore stampata dal Torrentino nel 1550, ebbe grande successo<br />

e fu più volte ristampata e tradotta. Esercitò inoltre una notevole influenza non solo nell’ambito della<br />

letteratura italiana, ma anche su autori stranieri come Montaigne, La Fontaine o Swifts (cfr. R. Tissoni, Per<br />

il testo della Circe di G.B. Gelli, in: “Studi di filologia italiana”, 20, 1962, pp. 99-136).<br />

Edit16, CNCE20570. D. Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino impressore ducale,<br />

Firenze, 1819, pp. 53-54, nr. VII. B. Gamba, Serie dei testi di lingua, Venezia, 1839, nr. 491. Adams, G-333.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. Il Gello sopra un sonetto di M. Franc. Petrarca. Firenze, [Lorenzo Torrentino], 1549.<br />

Pp. 89, (3 bianche). Frontespizio entro bordura xilografica con al centro le armi medicee. Ritratto del Gelli<br />

al verso del titolo.<br />

PRIMA EDIZIONE, dedicata a Livia Torniella Borromea, del commento del Gelli al sonetto petrarchesco<br />

O tempo, o ciel volubil che fuggendo (cfr. A. Bonfatti, Il Petrarca peripatetico di G.B. Gelli, in: “Aevum”, luglioagosto<br />

1953, pp. 359-369).<br />

«Presumibilmente fra il 1547 e il 154818, sotto i consoli Selvaggio Ghettini prima e Cosimo Bartoli poi, Gelli<br />

tenne tre lezione sul sonetto di Petrarca Otempo, o ciel volubil che fuggendo, in merito alle quali, oltre ai<br />

consueti riferimenti alle più evidenti intersezioni con la lettera o il senso di altre sue opere, occorre ricordare<br />

in quale clima culturale vengano chiosati questi ed altri versi di Petrarca. Come è ben noto Benedetto<br />

Varchi, esule antimediceo formatosi nel circolo padovano degli Infiammati, amico e ammiratore del Bembo,<br />

fece il suo ritorno a Firenze ed il suo ingresso ufficiale nell’Accademia fiorentina nel 1543. Altrettanto nota<br />

è la difesa che, con coerenza strategica ed alcune concessioni tattiche, egli fece di un bembismo retorico, di<br />

un canone formale che condannava l’espressione dantesca come fuori di regola ed esaltava la poesia<br />

petrarchesca come vertice di eloquenza. Gelli, che a difesa della superiorità del fiorentino parlato aveva già<br />

censurato le posizioni di Bembo nel IV e nel IX Ragionamento dei Capricci, si adopererà a ribaltare i termini<br />

della questione giustificando e lodando il realismo stilistico dantesco e svelando la dottrina riposta negli<br />

armonici versi del Petrarca. Gelli per il tramite delle sue lezioni tenta di recuperare il credito perduto dalla<br />

cultura fiorentina nell’esegesi petrarchesca con uno scarto interpretativo, riportando il commento in ambito<br />

filosofico più che stilistico e linguistico. I non fiorentini non sono stati in grado di comprendere il valore<br />

dottrinario della poesia di Petrarca perché si sono perduti nella sterile ammirazione della forma. Illuminante<br />

in tal senso è l’epiteto utilizzato costantemente per designare Petrarca, che viene sempre indicato con<br />

l’appellativo di “dotto”» (D. Ghirlanda, Le lezioni di Giovan Battista Gelli all’Accademia fiorentina (1541-<br />

1551), in: “Scrittori in cattedra. La forma della ‘lezione’ dalle Origini al Novecento”, a cura di F. Calitti,<br />

Roma, 2002, pp. 69-70).<br />

Edit16, CNCE20575. Moreni, pp. 75-76, nr. XXIII. Gamba, nr. 501.<br />

(legato con:)<br />

- 62 -


EIUSDEM. La sporta. Firenze, [Lorenzo Torrentino], 1548.<br />

Cc. (52). Ritratto del Gelli al verso del titolo.<br />

SECONDA EDIZIONE (la prima apparve a Firenze nel 1543) dedicata a Don Francesco di Toledo.<br />

«According to some contemporaries, Gelli stole La sporta (“The Basket”) from Machiavelli. He certainly<br />

took his argument from the Aulularia of Plautus, in which an old miser finds a basket of money and hides<br />

it in vatious places, only to lose it to the young man who is trying to marry his daughter. Thief or no, Gelli<br />

added some realistic scenes of Italian life, two of which may be found in the third act… [The comedy]<br />

follows the ancient pattern in plot and in choice of characters and yet portrays lively contemporary manners.<br />

Although Gelli’s dialogue is not brilliant, it is nevertheless clear and easy» (M. T. Herrick, Italian Comedy in<br />

the Renaissance, Urbana-London, 1966, p. 124).<br />

Edit16, CNCE.20567. Moreni, pp. 30-33, nr. XIX. Gamba, nr. 496.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. Il Gello Accademico Fiorentino sopra un luogo di Dante, nel XVI Canto del Purgatorio:<br />

della creazione dell’anima rationale. Firenze, [Lorenzo Torrentino], 1548.<br />

Pp. 115 [i.e. 119], (1 bianca). Ritratto del Gelli al verso del titolo.<br />

PRIMA EDIZIONE dedicata a Carlo Lenzoni. Uno degli obiettivi principali dell’Accademia Fiorentina fu<br />

quello di promuovere gli studi danteschi e petrarcheschi. Le lezioni si tenevano pubblicamente la domenica<br />

e privatamente il martedì. Il Gelli fu tra i membri più attivi nell’approfondire vari aspetti della poetica e<br />

del pensiero dei due grandi trecenteschi. Dodici delle sue lezioni furono raccolte in volume nel 1551. Nella<br />

presente lezione egli affronta anche la teoria dantesca dell’anima, esponendo il proprio punto di vista di<br />

stampo neoplatonico (cfr. D. Maestri, Le “Letture” di Giovan Battista Gelli sopra la “Commedia” di Dante nella<br />

cultura fiorentina dei tempi di Cosimo I de’ Medici, in: “Lettere italiane”, XXVI/1, 1974, pp. 3-24).<br />

Edit16, CNCE20566. Moreni, pp. 6-7, nr. II. Gamba, nr. 499.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. La prima lettione di Giovanbatista Gelli Accademico Fiorentino fatta da lui lanno 1541.<br />

Sopra un luogo di Dante nel XXVI capitol del Paradiso. Firenze, [Lorenzo Torrentino], 1549.<br />

Pp. 39, (1 bianca).<br />

PRIMA EDIZIONE curata dall’autore e da questi dedicata ad Anton Maria Landi. La lezione era infatti già<br />

stata pubblicata abusivamente da A.F. Doni nelle Lettioni d’Academici fiorentini sopra Dante (Firenze, 1547)<br />

(cfr. E.N. Girardi, Dante nell’umanesimo di G.B. Gelli, in: “Aevum”, marzo-aprile 1953, pp. 132-174).<br />

«Il 5 agosto 1541 Giovan Battista Gelli tenne la sua prima lezione nell’Accademia Fiorentina, esponendo<br />

nei locali di Santa Maria Novella un luogo dantesco del XXVI canto del Paradiso: il discorso di Adamo sulle<br />

origini del linguaggio e sulla lingua primigenia… Sotto il consolato di Lorenzo Benivieni, Gelli tenne la sua<br />

lezione pubblica chiosando ed esponendo le terzine dantesche sull’origine del linguaggio umano e sulla<br />

lingua adamitica (Par. XXVI, vv. 124-138), inaugurando i suoi interventi in merito alla questione della<br />

lingua e alla dignità e funzione del volgare; prima presa di posizione, per la verità già molto articolata, di<br />

una lunga serie insieme duttile e coerente» (Ghirlanda, op. cit., pp. 63-64).<br />

Edit16, CNCE20576. Moreni, pp. 74-75, nr. XXII. Gamba, nr. 500.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. Il Gello sopra Donna mi viene spesso nella mente di M. F. Petrarca. Firenze, [Lorenzo<br />

Torrentino], 1549.<br />

Pp. 44, (2 bianche). Manca l’ultima carta bianca. Frontespizio entro bordura xilografica con al centro le<br />

armi medicee. Ritratto del Gelli al verso del titolo.<br />

PRIMA EDIZIONE dedicata a Lorenzo Pasquali. «Con la lezione sopra la ballata Donna mi viene spesso<br />

nella mente, tenuta nel 1549 sotto il consolato di Pietro Orsilago, Gelli aggiunse un nuovo tassello al suo<br />

disegno volto a riportare a Firenze il baricentro della critica petrarchesca, o quantomeno a rispondere ai<br />

commentatori non fiorentini sul loro stesso terreno» (Ghirlanda, op. cit., p. 74).<br />

Edit16, CNCE20573. Moreni, p. 77, nr. XXV. Gamba, nr. 502.<br />

Sei opere in un volume in 8vo (cm 17) ben legato in piena pergamena coeva con unghie e nervi passanti,<br />

titolo manoscritto sul taglio inferiore. Esemplare appartenuto a Giuseppe Martini. Bellissima copia fresca<br />

e marginosa.<br />

Il Gelli, fiorentino e di umili origini, pur esercitando il mestiere di calzolaio, coltivò intensamente gli studi<br />

letterari, tanto da divenire socio prima dell’Accademia degli Umidi, poi di quella Fiorentina, di cui nel 1548<br />

fu nominato console e presso la quale tenne tutte le sue lezioni sopra Petrarca e Dante. Avverso alle teorie<br />

linguistiche del Bembo, fu un tenace assertore della parlata fiorentina viva e libera da ogni accademismo<br />

letterario. Tra le sue opere ricordiamo due commedie (La Sporta e L’errore), diversi scritti linguistici e traduzioni,<br />

le Lettioni e le sue due opere principali, I Capricci del Bottaio (1546) e La Circe (1549) (cfr. Dizionario<br />

Biografico degli Italiani, s.v.).<br />

€ 8.500,00<br />

- 63 -


84) GELLI, Giovanni Battista (1498-1563). I capricci del bottaio di Giovanbatista Gelli Accademico<br />

Fiorentino. Ristampati nuovamente con alcuni che vi mancavano. Venezia, Bartolomeo Cesano<br />

per Giovita Rapirio, 1550.<br />

Cc. 91, (1 bianca). Marca tipografica al titolo.<br />

Ristampa della prima edizione ufficiale dei Capricci del bottaio uscita a Firenze nel 1548 presso i torchi di<br />

Lorenzo Torrentino. La prima assoluta fu stampata a Firenze da A.F. Doni ad insaputa dell’autore nel<br />

1546.<br />

L’opera, il cui titolo completo è Ragionamenti di Giusto bottaio da Firenze, fu redatta da Gelli fra il 1542 e il<br />

1548. Si tratta di un dialogo, scandito in dieci diversi ragionamenti, avvenuto fra il corpo e l’anima di Giusto<br />

Bottaio, e registrato, nella finzione, da ser Bindo notaio, nipote del protagonista. Giusto Bottaio è un commerciante<br />

non digiuno di cultura, rappresentante tipico di quell’operosa borghesia fiorentina, a cui appartiene<br />

lo stesso autore. L’idea di mettere a confronto, nello spazio di una notte, l’anima e il corpo del<br />

protagonista rappresenta uno spunto particolarmente felice, poiché mette in atto un meccanismo grazie al<br />

quale il protagonista è condotto, alla fine del dialogo, alla coscienza della vera saggezza. La vena di saggio<br />

moralista che contraddistingue l’intera produzione di Gelli trova nei Capricci una delle sue più compiute<br />

espressioni. Nell’operetta il proposito di divulgare verità filosofiche attraverso l’uso della lingua volgare si<br />

collega a una concezione dell’esistenza dominata dal buon senso e da un lucido spirito critico.<br />

Cinque sono le redazioni dell’operetta, che documentano una lunga fase elaborativa. Le problematiche<br />

religiose affrontate nel corso dei ragionamenti e le dichiarate simpatie dello scrittore fiorentino per la riforma<br />

luterana valsero ai Capricci la condanna ecclesiastica e l’inserimento nell’Indice dei libri proibiti (1554).<br />

Come la Circe, anche i Capricci ebbero numerose edizioni e furono presto tradotti in tutte le principali lingue<br />

europee (cfr. N. Tarantino, La Circe e i Capricci del bottaio di G.B. Gelli, in: “Studi di letteratura italiana, 23,<br />

1923, pp. 1-56).<br />

Sulle vicende editoriali dell’opera vedi la nota al testo dell’edizione critica G. B. Gelli, Dialoghi. I capricci del<br />

bottaio. La Circe. Ragionamento sulla lingua, a cura di R. Tissoni, Bari, Laterza, 1967.<br />

Edit16, CNCE20577.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. La Circe. Venezia, Agostino Bindoni, 1550.<br />

Cc. 88. Marca tipografica al titolo.<br />

Ristampa della prima edizione apparsa a Firenze nel 1549 presso i torchi di Lorenzo Torrentino.<br />

Edit16, CNCE20579.<br />

Due opere in un volume in 8vo (cm 15,5) ben legato in piena pergamena floscia coeva con titolo manoscritto<br />

sul piatto anteriore e tagli dorati. Bellissima copia, come nuova.<br />

€ 1.500,00<br />

STAMPATO AD ORVIETO<br />

85) [GERBI, Lorenzo (1530-1593)]. Della Metamorfosi cioe Trasformatione del Virtuoso. Libri<br />

quattro. Di Lorenzo Selva Pistolese. Orvieto, Rosato Tintinnassi, 1582.<br />

In 4to (cm 20,5); legatura recente in pergamena molle realizzata con materiale antico; pp. (12), 319, (1)<br />

segnate † 4 , *², A-Rr 4 . Con stemma del dedicatario sul titolo e marca tipografica al verso dell’ultima carta.<br />

Fregio tipografico al verso della 3 carta preliminare. Grandi iniziali figurate. Ottima copia.<br />

«PRIMA ED ASSAI RARA EDIZIONE» (G. Passano, I Novellieri italiani in prosa, Torino, 1878, pp. 563-<br />

565) e primo libro stampato da Tintinnassi ad Orvieto.<br />

Alla dedica di Ascanio Giacobacci a Giacomo Buoncompagno, duca di Sora, figlio naturale di Gregorio<br />

XIII e grande mecenate, segue l’avviso de L’autore a un suo amico, con cui questi accompagna il dono del libro<br />

e spiega di non voler rivelare il proprio nome. L’opera, fortunatissima, venne ristampata con le correzioni<br />

dell’autore a Firenze dai Giunti l’anno successivo e, quindi, di nuovo nel ’91, nel ’98, nel 1608 e nel 1615<br />

sempre dai Giunti. Fu tradotta in francese (La metamorphose du vertueux) e stampata a Parigi nel 1611.<br />

«Questo libro… è un romanzo degno in molte parti della elegante penna del Firenzuola. In esso l’autore<br />

narra, sotto finto nome, che Acrisio povero e costumato giovinetto di San Marcello, vinto dalle preghiere<br />

della madre, lascia la sua terra natia e la fanciulla del suo cuore, la virtuosa Clori, per recarsi a Napoli a<br />

cercarvi le paterne ricchezze. Riconosciuto da un suo parente le recupera, e lieto si rimette in via per la<br />

patria: senonché, prima di giungervi, per certi incantesimi della figliuola di quel suo parente, è mutato in<br />

serpe. Molti sono i casi, che, ora lieti ora tristi, gli accadono durante la trasformazione, né egli puote<br />

ritornare alla primiera forma, che presso l’amata giovane lasciata in duro abbandono. La quale muore poco<br />

appresso, dopo averlo ripreso aspramente de’ suoi errori, e datigli molti avvisi salutari ed esortazioni al<br />

vivere virtuoso. Questa è l’orditura del romanzo, il cui scopo morale è che non la donna di città, in cui è<br />

- 64 -


simboleggiata la virtù speculativa, né le giovani della campagna,<br />

che figurano la morale, ma la sola Clori, per la quale s’intende la<br />

grazia divina, ci può rendere la divina immagine. Ed affinché piacevole<br />

e fruttuosa ad un tempo ne riuscisse la lettura, ai ragionamenti<br />

morali e teologici di cui è arricchito, volle l’autore far succedere bellissime<br />

descrizioni della montagna pistoiese, amene Novelle, e squisite<br />

ottave. Aggiungendovi eziandio i leggiadri madrigali, e gli allegri<br />

rispetti che, forse da fanciullo, aveva udito cantare da vergini<br />

labbra all’aere puro de’ suoi colli nativi. Nelle tredici Novelle sparse<br />

nell’opera (cioè 12 nel libro III ed una nel libro IV) sono con bel garbo<br />

narrati avvenimenti di streghe e strane fattucchiere» (Passano, op. cit.).<br />

I racconti degli strani incontri del protagonista con demoni, streghe,<br />

santi e donne di ogni tipo e la narrazione dei casi capitati ad Acrisio<br />

sotto forma di serpe, come il rapimento da parte di un’aquila, nonché<br />

le varie digressioni e novelle, sono svolti con grande garbo e<br />

freschezza.<br />

Lorenzo Gerbi firmò tutta la sua produzione con due pseudonimi,<br />

quello di Lorenzo Selva, usato per le opere profane, e quello di Evangelista<br />

Marcellino per gli scritti religiosi. Egli, predicatore<br />

francescano e cronista dell’ordine, nacque in Toscana nel 1530 e<br />

morì nel 1593 (cfr. V. Capponi, Biografia Pistoiese, Pistoia, 1878, p.<br />

253; inoltre L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum, Roma, 1906, p.<br />

74).<br />

Rosato Tintinnassi, nativo di Perugia, si trasferì ad Orvieto nel 1580.<br />

Quivi rilevò la bottega di Luciano Pasini e fu attivo fino al 1585,<br />

distinguendosi per la grande cura editoriale delle sue edizioni (complessivamente nove, tutte in volgare).<br />

Secondo Gianolio Dalmazzo (Il libro e l’arte della stampa, Torino, 1926, p. CCVI) dal 1582 egli lavorò in<br />

società con Baldo Salviani. Utilizzò due marche: la prima, quella qui presente, rappresenta del fumo che si<br />

leva verso il sole in un paesaggio con alberi entro cornice figurata e con il motto «Et caelum terrena petunt»;<br />

la seconda mostra tre piante di cardi che separano quattro piante di granturco e riporta il motto «Nec me<br />

spineda retardant».<br />

R. Kelso, The doctrine of the English gentleman in the sixteenth century, Urbana, 1929, 805a (altra edizione).<br />

BMSTCItalian, p. 620. Edit16, CNC35269. L. Tammaro Conti, Annali tipografici di Orvieto, Perugia, 1977, nr.<br />

8. B. Gamba, Delle novelle italiane in prosa, Firenze, 1835, p. 159, nr. 116. G. Fumagalli, Lexicon typographicum<br />

Italiae, Firenze, 1905, p. 270. € 2.800,00<br />

86) GHERARDO DA PRATO (fl. verso la fine del XIII secolo). Historia della preziosa cintola<br />

della gloriosissima Vergine Maria, la quale hoggi si conserva in Prato. Composta per Fra Gherardo<br />

da Prato dell’Ordine de’ Frati Minori di San Francesco. Firenze, al Canto de’ Pazzi, s.d. [fine<br />

XVI-inizio XVII secolo].<br />

In 4to (cm 20,5); sciolto, conservato in cartoncino colorato recente; cc. (8). Sul titolo xilografia della Vergine<br />

in trono nell’atto di porgere la cintola. Testo su due colonne. Esemplare con aloni, tracce d’uso e piccoli fori,<br />

in parte restaurati, nel testo.<br />

RARA EDIZIONE di questo poemetto in ottave del frate minorita Gherardo da Prato, che narra le vicende<br />

legate all’arrivo a Prato della cintola della Vergine.<br />

Edit16, CNCE47706 (1 sola copia censita). <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 2444. M. Sander, Le livre à figures italien<br />

depuis 1467 jusqu’a 1530, Milano, 1942, nn. 3107-3109 (altre edizioni). A. Cioni, a cura di, La poesia religiosa.<br />

I cantari agiografici e le rime di argomento sacro, Firenze, 1963, p. 72, nn. 1-3 (altre edizioni). A. Jacobson<br />

Schutte, Printed Italian Vernacular Religious Books (1465-1550), Genève, 1983, p. 188 (altre edizioni). € 950,00<br />

CON UN LEGNO DI UGO DA CARPI<br />

87) GIACOMO DELLA MARCA, San (1393-1476). Confessione del beato frate Iacomo della<br />

Marcha del ordine et oberva[n]tia de Sancto Francesco. In fine: Venezia, Bernardino Benali, s.d.<br />

[1510 circa].<br />

In 8vo (cm 14,5); legatura della fine del XIX secolo in marocchino verde con bordure e fleurons dorati sui<br />

piatti, titolo in oro al dorso, dentelles interne, risguardi in carta marmorizzata, tagli dorati; cc. (8). Sul<br />

- 65 -


frontespizio bella xilografia a tre quarti di pagina, firmata Ugo, che<br />

raffigura l’abbraccio del Cristo davanti alla Porta d’oro. Ugo da Carpi<br />

la riprese da una analoga figura di Zoan Andrea (Ia), che apparve per<br />

la prima volta nel Breviarium romanum di Bernardino Stagnino del<br />

1498. Nella versione di Ugo da Carpi essa fu riproposta dal Benali<br />

anche per il Breviarium del 1523 (cfr. M. Rossi, a cura di, Ugo da Carpi,<br />

l’opera incisa. Xilografie e chiaroscuri da Tiziano, Raffaello e Parmigianino,<br />

Carpi, 2009, pp. 108 e 185). Dodici piccole figure in legno nell’ultima<br />

carta raffiguranti i busti degli apostoli. Impressione dei legni un po’<br />

debole, ma bella copia in elegante legatura.<br />

RARA EDIZIONE del De confessione di Giacomo della Marca, fortunato<br />

opuscolo sulle regole della confessione scritto sia in latino che<br />

in volgare, che tra il 1473 e il 1788 fu dato alle stampe numerose volte.<br />

Teologo francescano nato a Monteprandone nel 1393, battezzato col<br />

nome di Domenico, Giacomo della Marca studiò diritto a Perugia,<br />

dove visse nella casa del giurista Francesco di Baldo degli Ubaldi.<br />

Nel 1416 entrò nell’ordine presso il convento di Santa Maria degli<br />

Angeli ad Assisi. Dopo alcuni anni di apprendistato, svolse l’attività<br />

di predicatore prevalentemente nell’Italia centrale. Nel 1432 venne<br />

inviato a proseguire il suo apostolato in Europa orientale. Rientrato<br />

in Italia nel 1440, morì a Napoli nel 1476 (cfr. D.B.I., LIV, pp. 214-220).<br />

Bernardino Benali (1458-1543), editore e tipografo originario di<br />

Bergamo, giunse a Venezia verso il 1480. Fu in società con altri tipografi,<br />

come Giovanni Tacuino, Giorgio Arrivabene, Lazzaro Soardi.<br />

Morì probabilmente poco dopo il 1543, data dell’ultima edizione da<br />

lui sottoscritta (cfr. D.B.I., VIII, pp. 165-167).<br />

M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu’a 1530, Milano, 1942, nr. 3028. Prince d’Essling, Les<br />

livres à figures vénitiens, Firenze-Parigi, 1908, nr. 1840. € 2.200,00<br />

88) GIARDA, Cristoforo (1595-1649). Bibliothecae Alexandrinae Icones symbolicae P.D.<br />

Christofori Giardae cler. reg. S. Pauli elogiis illustratae… Pars prior [tutto il pubblicato]. Milano,<br />

Giovanni Battista Bidelli, 1628.<br />

In 4to (cm 22,2); cartone originale giallo cucito alla rustica<br />

con titolo manoscritto lungo il dorso e sul piatto anteriore;<br />

pp. (8), 1-12, (4), 13-22, (4), 23-33, (5), 35-42, (4), 43-49, 1<br />

bianca, (4), 51-56, (4), 57-64, (4), 65-70, (4), 71-75, 1 bianca,<br />

(4), 77-90, (4), 91-98, (4), 99-106, (4), 107-110, (4), 111-115, 1<br />

bianca, (4), 117-125, 1 bianca, (4), 127-134, (4), 135-140, (4).<br />

Bel frontespizio calcografico inciso da Cesare Bassano<br />

(1583-ca. 1648). Fuori testo sono intercalati 16 bifoli contenenti<br />

altrettante tavole in rame a tutta pagina, accompagnate<br />

dalle rispettive descrizioni. Ottima copia su carta<br />

forte.<br />

EDIZIONE ORIGINALE, seconda tiratura (la prima fu<br />

pubblicata senza data dagli eredi di Melchiorre Malatesta,<br />

probabilmente poco tempo prima stando all’imprimatur<br />

stampato al verso del titolo che reca la data 1626).<br />

L’opera è dedicata dagli eredi Malatesta a Giovanni Battista<br />

Trotti.<br />

Si tratta di un importante, quanto poco conosciuto trattato<br />

d’iconografia, concepito dall’autore per celebrare la biblioteca<br />

dell’istituto barnabita San Alessandro di Milano, che<br />

viene paragonata all’antica biblioteca di Alessandria.<br />

Le tavole riproducono le immagini allegoriche delle sedici<br />

Arti liberali, che erano affrescate sulle pareti della biblioteca<br />

e sulla base delle quale erano divisi i libri sugli scaffali:<br />

Sacra Scriptura, Sacra Theologia, Lex canonica, Lex civilis,<br />

- 66 -


Philosophia naturalis, Philosophia moralis, Medicina, Chirurgia, Rhetorica, Poesia, Astronomia, Geographia,<br />

Mathematica, Architectura, Historia, Eruditio (cfr. C. Giarda, Bibliothecae Alexandrinae icones symbolicae, a cura<br />

di Stephen Orgel, New York-London, 1979; E.H. Gombrich, Symbolic Images. Studies in the Art of the Renaissance,<br />

London, 1972, pp. 145-146, 148-150, 228-229).<br />

Cristoforo Giarda (al secolo Pietro Antonio) fu un barnabita originario di Vespolate, vicino Novara. Eletto<br />

vescovo di Castro, fu ucciso da sicari inviati dai Farnese. Il suo assassinio suscitò la rappresaglia papale,<br />

che si concluse con la distruzione di quel paese.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\RMLE\024261. <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 4372 (ediz. Bidelli). M. Praz, Studies in<br />

Seventeenth-Century Imagery, Roma, 1975, p. 349 (ediz. Bidelli). Cicognara, nr. 1899 (ediz. Malatesta).<br />

€ 1.800,00<br />

89) GIOVIO, Paolo (1483-1552). Lettere volgari… raccolte per Messer Lodovico Domenichi.<br />

Venezia, Giovanni Battista e Melchiorre Sessa, (1560).<br />

In 8vo (cm 15,3); legatura inglese dei primi del Novecento in piena pelle con elaborate impressioni a secco,<br />

risguardi in carta marmorizzata (parte superiore del dorso e cerniere restaurate); cc. 122, (2). Frontespizio<br />

con fregio tipografico e marca editoriale al centro. Ex-libris a stampa di William Wickham. Titolo un po’<br />

sporco, ma ottima copia annotata nel margine da almeno due mani differenti.<br />

PRIMA EDIZIONE, curata da Lodovico Domenichi e da questi dedicata<br />

al gentiluomo genovese Matteo Montenegro in data 1 aprile 1560,<br />

delle lettere volgari di Paolo Giovio.<br />

Dopo la morte di quest’ultimo, il Domenichi si diede a raccogliere<br />

l’epistolario in italiano del suo defunto maestro e, grazie anche alla<br />

collaborazione del nipote Giulio Giovio, riuscì a pubblicarne una buona<br />

parte.<br />

Le presunte edizioni del 1548 e del 1555 sono in realtà l’edizione del<br />

1560 con date di stampa erronee.<br />

Le lettere del Giovio apparvero copiosamente anche in varie antologie<br />

epistolari del tempo «a partire dall’antologia dell’Atanagi del 1554, in<br />

quella ruscelliana del 1556, nelle Lettere facete del 1561» (L. Braida, Libri<br />

di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquitudini religiose e<br />

“buon volgare”, Bari, 2009, p. 199).<br />

Dopo gli studi compiuti a Pavia e Padova sotto la guida di P.<br />

Pomponazzi, Paolo Giovio esercitò la professione medica a Como, sua<br />

città natale, ma ben presto preferì dedicarsi, seguendo la sua vera vocazione,<br />

alla raccolta di notizie e documenti storici. Viaggiò molto per<br />

l’Italia e per l’Europa. Nel 1513 fu alla corte di Leone X. Nel 1519<br />

accompagnò a Firenze il cardinale Giuliano de’ Medici, che poi, eletto<br />

papa, lo tenne presso di sé a Roma fino al 1527. Nel 1528 fu nominato<br />

vescovo di Nocera dei Pagani, ma continuò ad avere incarichi e a compiere<br />

viaggi. Nel 1549 divenne vescovo di Como, ma nel 1551 si trasferì<br />

a Firenze su invito di Cosimo I. Vastissima fu la sua produzione, prevalentemente<br />

in latino, e grandissimo fu il successo dei suoi scritti,<br />

stampati e tradotti innumerevoli volte in tutta Europa (cfr. T.C. Price Zimmermann, Paolo Giovio, Princeton,<br />

1995, passim; B. Agosti, Paolo Giovio. Uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento, Firenze, 2008,<br />

passim).<br />

Edit16, CNCE21232. OCLC, 23642177. P. Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero, Roma, 1956-’58. A. Quondam,<br />

Le «carte messaggiere». Retorica e modelli di comunicazione epistolare: per un indice dei libri di lettere del Cinquecento,<br />

Roma, 1981, p. 298. Adams, G-697. Gamba, 1431. BMSTCItalian (Supplement), p. 40. J. Basso, Le genre épistolaire<br />

en langue italienne (1538-1662). Répertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy, 1990, I, pp. 199-200. € 1.200,00<br />

90) GIRALDI CINTIO, Giovanni Battista (1504-1573). De gli Hecatommithi. Mondovì,<br />

Leonardo Torrentino, [dicembre] 1565.<br />

Due volumi in 8vo grande (cm 17); sontuosa legatura di fine Ottocento in piena pelle marron, piatti con<br />

grandi placche centrali ed angolari incise in oro, dorsi a cinque nervi con fregi e titoli in oro, risguardi<br />

marmorizzati, tagli dorati; vol. I: pp. 14, (12: tavola della prima parte erroneamente legata dopo il titolo), (4),<br />

1-199, 1 bianca, (4, di cui l’ultima bianca), 201-326, 2 bianche (qui mancanti), (4, di cui le ultime 2 bianche<br />

- 67 -


qui mancanti), 329-486, 2 bianche, (4, di cui l’ultima bianca), 489-<br />

623, 1 bianca, (4, di cui l’ultima bianca), 625-751, 1 bianca, (4, di<br />

cui l’ultima bianca), 753-902, (2: recto Registro, verso bianco); vol.<br />

II: pp. (24, di cui le ultime 2 bianche), (16, di cui le ultime 2 bianche:<br />

errata dei due volumi rilegato subito dopo il titolo), (80: Tavola<br />

della prima e della seconda parte), 1-63, 1 bianca, (4), 65-208, [la<br />

numerazione prosegue a carte] cc. 209-224, [la numerazione riprende<br />

a pagine] pp. (2 di 4, mancando la bianca corrispondente),<br />

217-317, 3 bianche, (4, di cui l’ultima bianca), 321-368, (4), 369-<br />

490, (2), 493-623, 1 bianca, (4, di cui l’ultima bianca), 625-798, 2<br />

bianche, 799-822, [sic] 815-820, 2 bianche. Esemplare completo,<br />

mancante solo di 3 carte bianche. Marca tipografica sui frontespizi,<br />

ritratto dell’autore al verso dei titoli. Carattere corsivo. Nel primo<br />

volume restauri marginali alla terza e all’ultima carta senza danno<br />

al testo, piccolo strappo abilmente restaurato alla pagina 355<br />

dello stesso volume, per il resto ottima copia marginosa e ben<br />

legata.<br />

PRIMA EDIZIONE. Gli Ecatommiti, ossia i Cento racconti, che<br />

Giraldi Cinzio presenta come «giovenil fatica», ebbero una lunga<br />

gestazione. Cominciati nel 1527 e interrotti nel 1531, furono lasciati<br />

da parte per circa trent’anni (numerose novelle ebbero nel<br />

frattempo una circolazione manoscritta). L’autore ne riprese la<br />

stesura nei primi anni sessanta del secolo, quando Emanuele<br />

Filiberto di Savoia, dedicatario dell’opera, lo chiamò ad insegnare<br />

presso l’Università di Mondovì (1562). Egli vi aggiunse nuove<br />

novelle e ne modificò in parte la cornice. Dopo l’editio princeps del 1565, che fu pubblicata a spese della<br />

Compagnia di stampa di Mondovì diretta da Leonardo Torrentino (ultima edizione intrapresa dalla compagnia<br />

di tasca propria), l’opera fu ristampata per ben sei volte fino al 1608 e ebbe un’ampia diffusione in<br />

Spagna, Francia ed Inghilterra.<br />

Si tratta di una delle più cospicue ed importanti raccolte di novelle in lingua italiana, i cui argomenti sono<br />

tratti sovente da fatti contemporanei occorsi nelle corti di Roma e Ferrara. In quanto tale, essa fu utilizzata<br />

in tutta Europa come fonte di storie ed aneddoti. Il caso più celebre è quello della terza novella della settima<br />

decade che narra le vicende del Moro di Venezia, dalla quale Shakespeare trasse l’argomento del suo<br />

Othello. Ma agli Ecatommiti si ispirano anche la shakespeariana Measures for measures ed alcuni testi di Lope<br />

de Vega.<br />

L’opera si compone di dieci deche divise in due parti, precedute da un proemio e da una introduzione, che<br />

contiene altre dieci novelle, più altre tre che sono narrate, come per caso, al termine della terza e della quinta<br />

giornata; il totale delle novelle non è pertanto di cento, come annunciato nel titolo di impronta boccacciana,<br />

bensì di centotredici. Ciascuna giornata si conclude con intermezzi che contemplano anche la recitazione<br />

di versi. La cornice presenta i novellatori nell’atto di fuggire da Roma, saccheggiata dagli eserciti imperiali<br />

nel 1527, e di imbarcarsi da Civitavecchia alla volta di Marsiglia, dove giungeranno dopo avere compiuto<br />

varie tappe lungo il viaggio. In una di queste soste, a Genova, prima della sesta deca, sono inseriti i tre<br />

Dialoghi della vita civile, composti verso il 1550.<br />

La brigata è costituita da dieci uomini e dieci donne che, per distrarsi, narrano alternativamente racconti su<br />

argomenti diversi, in modo che il computo giornaliero sia sempre di dieci novelle. L’avvenimento tragico<br />

all’origine della narrazione ha il corrispettivo nel lignaggio dei personaggi (le donne non sono fanciulle,<br />

ma maritate o vedove), negli argomenti trattati, nei quali prevale un fine morale e un intento edificante, e nel<br />

rigore stesso della scrittura, tesa ad un decoro stilistico alto che riduce la gamma dei registri praticabili.<br />

Pensati in antitesi al Decamerone, che viene comunque assunto come modello linguistico e stilistico, gli<br />

Ecatommiti mirano a «superare il carattere ameno delle raccolte novellistiche, per incanalare il genere<br />

letterario della novella verso finalità etiche, politiche e propagandistiche. Il risultato più evidente e significativo<br />

di questa operazione è stato non soltanto una modernizzazione dei contenuti delle novelle secondo<br />

una mentalità ed un gusto tipicamente controriformistici, ma, soprattutto, un adattamento delle strutture<br />

narrative su schemi e modelli mutuati da altre costruzioni letterarie, specialmente dalla trattatistica» (S.<br />

Villari, Per l’edizione critica degli Ecatommiti, Messina, 1988, pp. 6-7).<br />

Le novelle dell’introduzione vertono sull’elogio dell’amore coniugale e sulla condanna degli amori disonesti.<br />

Nella prima deca il tema è libero; nella seconda si ragiona degli amori contrastati dai familiari con<br />

fine lieto o infelice; nella terza della infedeltà dei mariti e delle mogli; nella quarta di coloro che ricorrono<br />

alle insidie per ottenere ciò che desiderano: nella quinta della fedeltà dei mariti e delle mogli; nella sesta di<br />

- 68 -


motti, detti o risposte usate all’improvviso; nell’ottava dell’ingratitudine; nella nona della varietà degli<br />

avvenimenti umani e dei casi della fortuna; nella decima di atti di cavalleria.<br />

«La presenza delle dediche negli Ecatommiti conferisce maggiore complessità ad una struttura<br />

decameroniana, già per se stessa capace di garantire un’organica classificazione di temi ed argomenti. In<br />

realtà, servendosi delle dediche, l’autore poteva fornire al lettore un’importante ed autorevole chiave di<br />

lettura, enucleare i concetti ed i temi fondamentali di ciascuna deca, indicare i più importanti punti di forza<br />

e di contatto… La complessa struttura degli Ecatommiti accoglie anche un lungo capitolo in terzine, intitolato<br />

“L’Autore all’opera”, che costituisce la parte finale della raccolta ed è introdotto da una presentazione<br />

dell’editore fiammingo Arlenio Arnoldo. Composto ad imitazione del XLVI canto dell’Orlando Furioso, il<br />

capitolo riveste una certa importanza storica, in quanto l’autore, fingendo un dialogo immaginario con la<br />

propria opera, tesse sommarie lodi di un numero cospicuo di personaggi del tempo» (Villari, op. cit., pp. 31-32).<br />

Il capitolo finale fu corretto dall’autore in corso di stampa. Se ne conoscono quindi due tirature: il presente<br />

volume riporta la prima.<br />

Il ferrarese Giraldi Cinzio studiò dapprima medicina e filosofia, poi lettere umane presso lo studio della<br />

sua città natale, succedendo nella cattedra al maestro C. Calcagnini (1541). Durante il ducato di Ercole II<br />

d’Este e negli anni del circolo di Renata di Francia egli fu il protagonista incontrastato del panorama<br />

culturale ferrarese. Successivamente, in seguito ad un contrasto avuto con i duchi della sua città, andò in<br />

volontario esilio prima a Mondovì, poi a Torino ed infine a Pavia.<br />

La critica moderna considera fondamentale il suo contributo alla teoria letteraria (scrisse un discorso<br />

Intorno al comporre delle commedie e delle tragedie ed uno Intorno al comporre dei romanzi, pubblicati a Venezia<br />

nel 1554) e alla codificazione di nuovi e vecchi generi (tragedia, tragicommedia, satira, egloga, commedia,<br />

novella, poema eroico). Il suo teatro (in tutto nove tragedie stampate a Venezia nel 1583, tra cui l’Orbecche<br />

apparsa per la prima volta dagli eredi di Aldo Manuzio nel 1543) segna la rinascita europea del teatro<br />

senechiano con le sue tinte fosche e le sue cruenze, in aperta opposizione alla formula trissiniana, e costituì<br />

una delle fonti principali del teatro elisabettiano (cfr. P. Cherchi, M. Rinaldi e M. Tempera, a cura di, Giovan<br />

Battista Giraldi Cinzio gentiluomo ferrarese, Firenze, 2008, passim).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0E\004617. Adams, G-704. G. Passano, I Novellieri italiani in prosa, Torino,<br />

1878, I, pp. 352-354. € 12.500,00<br />

91) GRANDI, Guido (1671-1742). Istituzioni meccaniche trattato… Firenze, G.G. Tartini e S.<br />

Franchi, 1739.<br />

In 8vo (cm 19,5); legatura coeva in piena pergamena rigida, dorso a cinque nervi con tassello e titolo in oro,<br />

taglio marmorizzato; pp. VIII, 160 con 20 tavole in rame fuori testo più volte ripiegate. Titolo stampato in<br />

rosso e nero. Capilettera e testate ornate. Leggere fioriture, ma ottima copia genuina.<br />

PRIMA EDIZIONE. «A pagina 128 si trovano alcune esperienze sulle resistenze dei solidi, di G. Poleni»<br />

(Riccardi, I, Ia, col. 627, nr. 451*).<br />

G. Grandi, cremonese, è considerato come il primo newtoniano italiano. Membro della Royal Society,<br />

introdusse il calcolo leibnitziano in Italia. Nel 1700 Cosimo de’ Medici gli conferì la cattedra di filosofia<br />

straordinaria nell’Università di Pisa, quindi nel 1714 quella di matematica. Fu autore di importanti opere<br />

di meccanica teorica e pratica. I suoi studi di idraulica suscitarono l’interesse dei governi del centro Italia<br />

(cfr. G. Loria, Storia delle matematiche, Milano, 1950, pp. 653-657).<br />

D.S.B., V, pp. 498-500. Sotheran, 1621. V.L. Roberts-I. Trent, Bibliotheca mechanica, New York, 1991, 144.<br />

€ 750,00<br />

92) [GOURY DE CHAMPGRAND, Charles Jean]. Traité de vénerie, et de chasses. Sçavoir:<br />

Du cerf. Du daim. Du chevreuil. Du lièvre. Du sanglier. Du loup. Du renard. Du bléreau ou taisson.<br />

Du loutre. De la belette, de la marte ou fouine, putois, etc. Du lapin. Première [-seconde] partie.<br />

Paris, Claude-Jean-Baptiste Hérissant, 1769.<br />

Due parti in un volume in 4to (cm 25,2); mezza pelle coeva, piatti in bella carta marmorizzata, dorso con<br />

fregi, tassello rosso e titolo in oro, tagli picchiettati rossi; pp. XII, 280, (2) con 39 tavole a piena pagina fuori<br />

testo incise in rame da Louis Balbou. Lievissima brunitura uniforme, ma ottima copia marginosa e ben<br />

rilegata.<br />

EDIZIONE ORIGINALE del «seul ouvrage cynégétique illustré qui ait été publié en France au XVIII e<br />

siècle; il est assez recherché principlament pour cette raison» (Thiébaud, coll. 469-470).<br />

Le belle tavole mostrano scene di caccia in acqua, nei boschi, nei campi, ecc. e raffigurano vari animali come<br />

lupi, cinghiali, volpi, lontre, castori, ermellini, ecc. L’ultima sezione dell’opera è dedicata alla caccia con il<br />

- 69 -


falcone ed è corredata da diverse tavole di uccelli rapaci.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0E\084510. € 2.500,00<br />

93) GUIDETTI, Giovanni Domenico (1532-<br />

1592)-SORIANO, Francesco (1549-1621).<br />

Cantus ecclesiasticus Officii Majoris Hebdomadae<br />

a Ioanne Guidetto Bononiensi... olim collectus et in<br />

lucem editus. Nunc autem a Francisco Suriano<br />

Romano... emendatus, et ad meliorem vocum<br />

concentum redactus. Officium vero a Scipione<br />

Manlilio Romano..., iuxta formam Breviarii Romani<br />

Clementis VIII. auctoritate recogniti, restitutum.<br />

Roma, Andrea Fei per Giovanni Domenico<br />

Franzini, 1619.<br />

In folio (cm 30,8); legatura del XIX secolo in tutta tela<br />

con cornice a secco sui piatti e fregi in oro al dorso<br />

(piccoli danni alle cuffie e alla cerniera anteriore); pp.<br />

(4), 132. Frontespizio stampato in rosso e nero entro<br />

bella cornice xilografica con al centro la marca tipografica.<br />

Testo e notazione musicale stampati in parte<br />

in rosso. Capilettera ornati. Con inoltre 3 belle incisioni<br />

in rame a piena pagina nel testo, di cui la prima<br />

(Ultima cena) firmata con le iniziali C.C. e l’ultima (Resurrezione) firmata da Claude Deruet (1588-1662),<br />

ritrattista e pittore allievo di Jacques Callot. Bruniture diffuse, alone chiaro nella parte inferiore delle prime<br />

carte, alcuni restauri e rinforzi nei margini interni ed inferiori di alcune carte, margine superiore sobrio, ma<br />

nel complesso buona copia che ha subito i danni di un’assidua frequentazione, come accade sovente in<br />

opere di questo genere.<br />

SECONDA EDIZIONE RIVISTA. «L’opera qui descritta è una revisione del libro originale di Guidetti [1 a<br />

edizione Roma, 1587] curata dal celebre compositore di scuola Romana Francesco Soriano, che curò anche,<br />

assieme a Felice Anerio, l’editio Medicea del Graduale (1614). Contiene: De ordine in universo servato in hoc<br />

opere (p. [3]); Feria V in cena Domini ad Matutinum (1), ad Laudes (24), Ad primam, tertiam, sextam, nonam,<br />

vesperas e completorium senza notaz. (34); Feria VI in Parasceve (tutte le ore liturgiche c.s., p. 43); Sabbato sancto<br />

(79) con Messa. Il Benedictus delle lodi e l’inizio del salmo Miserere sono notati in polifonia a 4 vv.: Cantus,<br />

Altus, Tenor e Bassus (Giovedì santo: p. 32-33; Venerdì santo: p. 68-69; Sabato santo, con Miserere a 6 vv.: p.<br />

100-101; versione a doppio coro alternato: p. 102-103)» (M. Gozzi, a cura di, Le fonti liturgiche a stampa della<br />

Biblioteca musicale L. Feininger presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, Trento, 1994, II, pp. 726-727).<br />

«I Miserere in falso bordone che si trovano per entro l’opera sono fattura di Gio. Pierluigi da Palestrina» (G.<br />

Gaspari, <strong>Catalogo</strong> della Biblioteca musicale G.B. Martini di Bologna, Bologna, 1892, II, p. 242). Si tratta di tre<br />

Miserere mei Deus a quattro, cinque e sei voci, che erano presenti anche nella prima edizione dell’opera.<br />

Il Guidetti, compositore bolognese allievo di Giovanni Pierluigi da Palestrina, collaborò con quest’ultimo<br />

e con Annibale Zoilo alla revisione del graduale e dell’antifonario. Nel 1575 divenne cantore della cappella<br />

papale. Tra le sue opere ricordiamo un Directorium Chori (1582), un Cantus ecclesiasticus Passionis (1586)<br />

e le Praefationes in cantu fermo (1588). Morì a Roma nel 1592 (cfr. D.B.I., LXI, pp. 192-193).<br />

ICCU, IT\ICCU\DE\90134001176. M. Gozzi, op. cit., nr. 745. € 950,00<br />

94) HALLER, Albrecht von (1708-1777) Elementa physiologiae corporis humani. Auctore <strong>Alberto</strong><br />

v. Haller... Tomus primus [-decimus]. Editio prima neapolitana. Ob expulsos errores, praepositam<br />

Cl. Matani praefationem, novum auctorum et librorum indicem adjectum, et auctoris additiones<br />

suis locis appositas, Transalpina editione emendatior, locupletior, utilior, commodior. Napoli,<br />

Vincenzo Orsini per Stefano Manfredi, 1776.<br />

Dieci volumi in 4to grande (cm 25); cartonato originale con titoli manoscritti ai dorsi (freschissimo); pp. XII,<br />

360 + pp. IV, 384 + pp. (2), 328 + pp. VIII, 407, (1 bianca) + pp. IV, 454, (2 bianche) + pp. VIII, 268 + pp. (2),<br />

306, (2 bianche) + pp. XI, (1 bianca), 278, (2) + pp. XVI, 284, + pp. (2), 327, (1 bianca). Ritratto dell’autore in<br />

antiporta e complessive 6 tavole in rame fuori testo. Lievi fioriture sparse, ma bellissima copia intonsa.<br />

- 70 -


PRIMA EDIZIONE NAPOLETANA (1 a Losanna, 1757-’66) che si apre con una prefazione di Antonio<br />

Maria Matani (1730-1779) ed è corredata da ampi indici.«Haller synthetised the whole physiological<br />

knowledge of his time. In the above, probably his greatest work, Haller included some anatomical<br />

descriptions which were most valuable» (Garrison-Morton, 588).<br />

«This massive work, containing structural, physiological and chemical analyses of every part of the body,<br />

constituted Haller’s most important contribution to the development of physiology. It included his work on<br />

muscle irritability, nutrition, reproduction, the circulatory system, respiration, excretion and secretion, and<br />

psychobiology, with all reported theories and experiments supported by copious notes and references.<br />

Haller reported several physiological discoveries in this work that were later forgotte, to be rediscovered<br />

only many years later; among these were his myogenic theory of the heartbeat and the role of bile in the<br />

digestion of fats» (Norman Library, 975).<br />

OCLC, 14825533. Wellcome, III, 199. € 900,00<br />

IL PRIMO AUTENTICO RESOCONTO SULLA RUSSIA FATTO DA UN VIAGGIATORE EUROPEO<br />

95) HERBERSTEIN, Sigismund von (1486-1566)-GIOVIO, Paolo (1483-1552). Rerum<br />

Moscoviticarum Comentarij. Basel, Johann Oporinus, (1551).<br />

In folio (cm 29,5); mezza pelle del XVIII secolo con fregi e titolo oro al dorso; pp. (8), carta geografica della<br />

Russia in legno su doppia pagina, pp. 175, (13) con un ritratto del principe Basilio (Vasilii Ivanovich) III<br />

(1479-1533) al recto di pagina 1 e le armi dell’autore al verso della penultima carta. Capilettera in legno.<br />

Marca tipografica in fine. Bellissima copia marginosa.<br />

SECONDA EDIZIONE (la prima, stampata privatamente<br />

a Vienna nel 1549, è di straordinaria rarità), edita per le<br />

cure di Wolfgang Lazius, di questa fondamentale opera,<br />

che rimane «il lavoro più completo, più documentato, più<br />

esatto sulla Russia all’alba dei tempi moderni. I capitoli<br />

che trattano della storia più o meno leggendaria dei principi<br />

moscoviti e della religione ortodossa mostrano il peso<br />

degli anni; al contrario tutto ciò che si riferisce al paese,<br />

alla società, ai costumi, al commercio, al governo, non ha<br />

perso nulla del suo interesse... Originario della Stiria, S.<br />

von Herberstein si è formato all’università di Vienna, che<br />

era un centro importante di studi storici e geografici. Uomo<br />

di guerra, letterato, Herberstein è anche un diplomatico<br />

che gli Asburgo utilizzano per delicate missioni in Spagna,<br />

Danimarca, in Turchia, e, soprattutto, a due riprese,<br />

in Moscovia» (N. Broc, La geografia del Rinascimento,<br />

Ferrara, 1989, pp. 73-75).<br />

Sigismund von Herberstein fece due viaggi in Russia. Nel<br />

1517-18 fu inviato in missione diplomatica dall’imperatore<br />

Massimiliano I. Vi ritornò nel 1526-27 come ambasciatore<br />

del re di Boemia e Ungheria Ferdinando I. Complessivamente<br />

rimase in Russia per un periodo di sedici mesi,<br />

durante i quali ebbe modo di vedere la città di Mosca e il<br />

suo territorio e di conoscere approfonditamente le usanze<br />

e i costumi locali (cfr. F. Kämpfer, a cura di, Das<br />

Russlandbuch Sigismunds von Herberstein: Rerum Moscoviticarum Commentarii, 1549-1999, Hamburg, 1999,<br />

passim).<br />

Di grande importanza anche la mappa della Russia, la prima tutt’oggi conosciuta, che Herberstein disegnò<br />

personalmente, copiandola con ogni probabilità da una mappa russa del tempo andata perduta. La<br />

carta mostra un vasto territorio che va dalla Finlandia al Mar Caspio (cfr. R.V. Tooley, Dictionary of Mapmakers,<br />

New York, 1979, p. 294). Di mano dell’autore è anche il bel ritratto dello zar, che fu realizzato appositamente<br />

per questa edizione.<br />

Un sezione dell’opera è dedicata alla Lituania e alla navigazione nel Mare del Nord.<br />

Alle pagine 158-175 figura il De legatione Basilii Magni principis Moscoviae di Paolo Giovio (1 a edizione<br />

Roma, 1525), che descrive la legatione mandata da Basilio III a papa Clemente VII nel 1525. Giovio fu<br />

incaricato dal pontefice di intrattenere l’ambasciatore e di ottenere il maggior numero possibile di informazioni<br />

sulla Russia.<br />

Adams, H-299. OCLC, 4606788. Adelung, I, 167-7. € 6.500,00<br />

- 71 -


96) HERBOLARIO VOLGARE: nel quale se dimostra conoscer le herbe: et le sue vrtu: et il modo<br />

di operarle: con molti altri simplici: di novo venute in luce: et di latino in volgare tradutte: con gli<br />

suoi repertorii da ritrovar le herbe: et li rimedij alle infirmita in esso contenute:… In fine: Venezia,<br />

Giovanni Maria Palamides, 31 luglio 1539.<br />

In 8vo (cm 15,5); legatura coeva in piena pelle con impressioni a secco (dorso abilmente rifatto); cc. (6), 152,<br />

(22). Segnatura: AA 6 , A-X 8 , Y 6 . Titolo stampato in rosso e nero con una grande vignetta in legno raffigurante<br />

i Santi Cosma e Damiano. Inoltre con due immagini sacre a piena pagina (verso della carta AA 6 e recto<br />

dell’ultima carta) e 151 figure di piante (con l’eccezione di due che raffigurano un alveare ed una cantina<br />

piena di botti) a tre quarti di pagina incise in legno nel testo. Piccolo segno di tarlo nel margine interno di<br />

alcune carte senza danno al testo, leggeri aloni marginali in alcune parti del volume, ma nel complesso<br />

ottima copia genuina.<br />

RARA EDIZIONE dell’Herbolario volgare, il quale, apparso per la prima volta a Venezia presso i torchi di<br />

Alessandro Bindoni nel 1522, fu ristampato varie volte fino alla fine del secolo.<br />

Tutte le numerose edizioni di erbari latini e volgari (tedeschi, italiani, francesi, olandesi e inglesi), che si<br />

sono succedute tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, risalgono in maniera più o meno<br />

diretta ai due capostipiti del genere, ossia l’Herbarium Apulei Platonici (Roma, 1481 ca., erroneamente attribuito<br />

al celebre scrittore Apuleius, fu in realtà composto fra il IV e il V secolo d.C.) e l’Herbarius stampato a<br />

Magonza da Peter Schöffer nel 1484. In Germania l’opera si diffuse poi sotto il titolo di Hortus Sanitatis,<br />

tradotto in Gart der Gesundheit. In Italia il testo latino (prima edizione: Vicenza, 1591), che deriva da quello<br />

dell’Herbarius Magontinus, ma presenta una nuova serie di legni ridisegnati con accenti più naturalistici, fu<br />

stampato con il titolo Tractatus de virtutibus herbarum ed erroneamente attribuito ad Arnaldo di Villanova.<br />

L’Herbolario volgare deriva testo e immagini, con piccole variazioni, dalla prima edizione latina di Vicenza.<br />

L’opera, che è una compilazioni da varie fonte, tutte risalenti ad almeno un secolo prima dell’edizione di<br />

Magonza, circolò precedentemente in forma manoscritta (cfr. A. Arber, Herbals, their Origin and Evolution. A<br />

Chapter in the History of Botany, 1470-1670, Cambridge, 1912, pp. 11-13).<br />

La presente è la quinta edizione in italiano, ristampa quasi identica all’edizione di G.A. Vavassore del<br />

1534. Fra le due vi è l’edizione del 1536 di A. Bindone e M. Pasini contenente 170 figure. «All the woodcuts<br />

belong to the Latin Hortus Sanitatis, but are not printed from the blocks used in the 1534 edition. The cut of<br />

the annunciation occurs first in a devotional book of 1524… The woodcuts 109, 143 and 149 are slightly<br />

different from the corresponding ones in the 1534 edition; the woodcuts 2-3 are exchanged by misprint» (C.<br />

Klebs, A Catalogue of early Herbals, Lugano, 1925, pp. 9-10, nr. 18).<br />

Il successo degli erbari, sia latini che volgari, deriva dalla praticità e semplicità del loro contenuto, il quale,<br />

essendo ordinato alfabeticamente, permetteva in modo facile ad erboristi, speziali, medici e raccoglitori, di<br />

avere a disposizione le principali nozioni di farmacopea che gli autori medievali avevano appreso dagli<br />

autori antichi. Da un punto di vista scientifico essi hanno invece scarso valore, in quanto le descrizioni<br />

sommarie non permettono spesso l’identificazione delle piante e le virtù terapeutiche sono frequentemente<br />

associate a preghiere e pratiche magico-astrologiche. La pubblicazione degli erbari di Brunfels (1530),<br />

Fuchs (1542) e Mattioli (1565) li renderà del tutto obsoleti anche per l’epoca.<br />

«L’Herbolario volgare consta di sette parti. La prima, di gran lunga più ampia, raffigura 150 semplici (ed è<br />

interessante rilevare che si tratta di piante, indigene o acclimatate, largamente diffuse allora anche in<br />

Germania) e l’iconografia è corredata da una lunga sequenza di prescrizioni e di elenchi delle loro virtù<br />

curative e delle infermità a cui esse si applicano. Le altre parti offrono, senza iconografia e in brevissimi<br />

capitoletti, le ricette dei “semplici lassativi”, di quelli “confortativi” e “specie odorifere”, dei frutti, delle<br />

“gomme”, del “sale, miniere e pietre” e degli animali. In tutte le sette parti il carattere pratico è dominante.<br />

Circa le fonti dichiarate, più che quelle del mondo classico (Plinio è citato tre volte, Galeno cinque, Dioscoride<br />

otto, mentre Aristotele solo nella settima parte, a proposito degli animali), oltre a nomi di autori non medici,<br />

come Bartolomeo Anglico e lo pseudo-<strong>Alberto</strong>, troviamo quelli degli scrittori arabi di materia medica, da<br />

Mesue ad Averroè, da Serapion ad Avicenna, oltre ad opere di autori della scuola salernitana, come il Circa<br />

Instans di Matteo Plateario. L’opera più recente, e anche più citata, è il Liber Pandectarum Medicinae del<br />

mantovano Matteo Silvatico, degli inizi del XIV secolo, che godeva di molta autorità… Le caratteristiche dei<br />

semplici sono basate sulla teoria ippocratica degli elementi… Le malattie, causate dallo squilibrio fra<br />

questi umori, debbono pertanto venir curate con semplici o composti che posseggano caratteri contrari a<br />

quelli degli umori che le causano» (E. Caprotti in: “Apuleius Barbarus, Herbarium Apulei; Herbolario volgare”,<br />

Milano, 1979, I, pp. XV-XVII).<br />

«Le illustrazioni sono rozze e semplici al confronto con quelle di Brunfels, di Fuchs e dei loro successori.<br />

Presumibilmente avevano dietro di sé una serie di disegni copiati da un manoscritto all’altro, prima di<br />

essere intagliate sui blocchi usati per la stampa. Ciononostante, le piante stesse sono nella maggior parte<br />

dei casi riconoscibili… L’opera, nell’insieme, ha un posto nella storia della terminologia botanica italiana,<br />

- 72 -


della “materia medica” e della medicina del Rinascimento, come in quella dell’iconografia botanica» (W.T.<br />

Stearn in: “Apuleius Barbarus, Herbarium Apulei; Herbolario volgare”, Milano, 1979, I, p. XXXVIII).<br />

Edit16, CNCE22581. G.A. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Milano, 1950, nr. 10766. C. Nissen, Die<br />

botanische Buchillustration, Stuttgart, 1966, nr. 2318. Prince d’Essling, Les livres à figures vénitiens, 1 a parte, II,<br />

Firenze-Parigi, 1908, pp. 462-463, nr. 1196. € 8.500,00<br />

97) [HOLBEIN, Hans il Giovane (1497-1543)]. Icones mortis, duodecim imaginibus praeter<br />

priores, totidémque inscriptionibus, praeter epigrammata è Gallicis à Georgio Aemylio in Latinum<br />

versa, cumulatae. Quae his addita sunt, sequens pagina commonstrabit. Basel, 1554. In fine: Lyon,<br />

Jean Frellon, 1547.<br />

In 8vo (cm 15); graziosa legatura della fine del XVIII secolo in piena pelle con ricchi fregi e cornici sui piatti<br />

e sul dorso, risguardi in carta marmorizzata e tagli dorati; cc. (88). Con 53 xilografie nel testo. Leggero alone<br />

sul margine superiore di alcune carte, piccolo segno di tarlo nel margine inferiore di una ventina di carte al<br />

centro del volume, per il resto ottima copia.<br />

La celebre suite di incisioni della Danza della morte di Hans<br />

Holbein il Giovane comprende cinquantuno figure. Di queste,<br />

quarantuno, completate nel 1526 ed incise da Hans Lützelburger,<br />

apparvero per la prima volta nell’edizione lionese stampata nel<br />

1538 dai fratelli Trechsel per i fratelli Frellon (Les simulachres et<br />

histoirees faces de la mort), accompagnate da quatrains in francese,<br />

che sono in genere attribuiti a Jean de Vauzelles o Gilles Corrozet.<br />

Nel 1542 i Frellon ne diedero una edizione latina (Imagines de<br />

morte) nella traduzione del cognato di Lutero, Georgius Aemilius<br />

(Oemler, 1517-1569), poi ristampata nel 1545 con minime varianti.<br />

Nel 1545, sempre dai torchi dei Frellon, apparvero per la prima<br />

volta in una nuova edizione otto dei dieci legni originali non<br />

ancora pubblicati, cui furono aggiunte anche quattro xilografie<br />

spurie. Nel 1547 i Frellon diedero fuori due nuove edizioni, una<br />

intitolata Imagines mortis, l’altra Icones mortis, contenenti i<br />

cinquantatre legni dell’edizione del 1545. Le Icones mortis presentano<br />

quindi lo stesso contenuto e lo stesso apparato iconografico<br />

delle Imagines mortis, ma distruibuito in modo diverso.<br />

«Between the printing of the 1549 Italian edition and the next<br />

Frellon edition of 1562, the Holbein blocks appeared in a 1554<br />

edition under the title of Icones mortis, with a Basel imprint» (R.<br />

Mortimer, Harvard College Library… Part I: French 16 th Century Books,<br />

Cambridge MA, 1964, I, pp. 355-356). La presente edizione è quindi<br />

quella del 1547, modificata da Frellon per essere venduta a Basilea,<br />

città con la quale il tipografo lionese intratteneva stretti rapporti<br />

commerciali e culturali (cfr. J. Baudrier, Bibliographie Lyonnaise, Paris, 1910, V, pp. 156-157, 160; inoltre N.<br />

Zemon Davies, Holbein’s ‘Pictures of Death’ and the Reformation at Lyons, in: “Studies in the Renaissance”,<br />

1956, 3, pp. 97-130).<br />

Il presente esemplare ha la particolarità di recare al verso dell’ultima carta le note tipografiche di Jean<br />

Frellon, che invece mancano negli esemplari censiti nelle bibliografie sopra e sotto citate, permettendo in<br />

questo modo di confermare l’ipotesi avanzata circa la paternità lionese dell’edizione.<br />

Il volume contiene anche il Sermo de mortalitate di San Cipriano, la versione latina (Paraclesis ad periculose<br />

decumbentes) di Wie man den Sterbenden trösten und ihm zusprechen solle di Kaspar Huberinus, il De patientia et<br />

consummatione huius saeculi di Giovanni Crisostomo nella traduzione latina di Sébastien Châteillon (1515-<br />

1563) e la versione latina (Medicina animae) della Seelenarznei di Urbanus Rhegius (1489-1541).<br />

Hans Holbein il Giovane, originario di Augusta e figlio di un altro celebre pittore, Hans Holbein il Vecchio,<br />

si trasferì a Basilea con il fratello Ambrosius, dove conobbe molti eruditi del tempo, tra i quali Erasmo da<br />

Rotterdam. Illustrò le satire di quest’ultimo ed varie altre opere, come la celebre traduzione della Bibbia di<br />

Martin Lutero. Si trasferì poi a Londra e dipinse vari ritratti alla corte di Enrico VIII d’Inghilterra. Sono<br />

celebri i suoi ritratti del re e di Tommaso Moro. Morì a Londra il 7 ottobre del 1543 (cfr. S. Buck-J. Sander, a<br />

cura di, Hans Holbein the Younger Painter at the Court of Henry VIII, London, 2003, passim; Hans Holbein the<br />

younger: the Basel years 1515-1532, contributi di Ch. Muller, S. Kemperdick ed altri, Monaco, 2006, passim).<br />

VD16, C-5281. Baudrier, op. cit., V, pp. 209-210. Die Malerfamilie Holbein in Basel, Ivi, 1960, nr. 418. € 4.800,00<br />

- 73 -


L’UNICA DONNA TIPOGRAFO ATTIVA A PRAGA NEL XVI SECOLO<br />

98) IN CONNUBIUM felicissimum Magnifici, Nobiliss. Et Amplissimi Domini Ludovici<br />

Schwartzmaieri à Schwartzenau; S.Caes. Majest. in summo Regni Boemiae Appellationum tribunali<br />

Consiliarii: et Generosae et Nobilissimaeque Virginis, Dominae Annae Mariae: Illustri Magnifici<br />

ac Strenui domini Ioannis Gvolfangii Freymonii ab Oberhausen in Muhlfelden et Herschingen: eidem<br />

Caes. Maiestatis à consiliis intimis, sacriquae Romani Imperii Procancellarij, Filiae: Sponsorum<br />

lectissimorum: omnia votaque. Praga, Anna Schumann, 1596.<br />

(legato con:)<br />

CONTINUATIO Sylvae Nuptialis Continentis<br />

Clarissimorum Poetarum elogia. In honorem Magnifici,<br />

Nobilissimique Dni. Ludovici Schwartzmaieri à<br />

Schwartzenau...Scripta. (Praga, Anna Schumann,<br />

1596).<br />

Due opere in un volume in 4to (cm 19) di cc. (44) + (16) .<br />

Cartoncino moderno. Qualche leggerissima brunitura,<br />

ma ottima copia.<br />

RARISSIME PRIME EDIZIONI di queste collezioni di<br />

versi pubblicate in occasione del matrimonio di Ludwig<br />

Schwartzmaier, conte palatino e cancelliere presso la<br />

corte d’appello di Praga, con Anna Maria, figlia di Jo.W.<br />

Freymon, cancelliere imperiale a Vienna e storico del<br />

diritto.<br />

Fra gli autori (molti dei quali giuristi) dei circa trenta<br />

componimenti poetici, ricordiamo Nikolaus Reusner, Jo.<br />

Langer, Jo. Link, Hier. Arconatus, Janus Gruter e Paul<br />

Melissus.<br />

La vedova Schumann subentrò nella stamperia del marito<br />

nel 1594 e fu attiva fino al 1602. Apparentemente fu<br />

l’unica donna tipografo a Praga nel XVI secolo.<br />

P. Vecerova, Sumanska tiskarna (1585-1628), Praga, 2002, nr.<br />

210. J. Hejnic -J. Martínek, a cura di, Enchiridion renatae poesis<br />

Latinae in Bohemia et Moravia cultae, Praga, 1966, V, p. 85.<br />

€ 900,00<br />

99) INGEGNERI, Angelo (1550-1613). Danza di Venere, pastorale... Vicenza, Stamperia Nuova,<br />

1584.<br />

In 8vo (cm 14,3); pergamena rigida recente, taglio colorato antico; pp. (16), 126, (2). Con le armi dei Farnese<br />

sul titolo. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE. La dedicataria dell’opera, la quattordicenne Camilla Lupi, alla quale sono indirizzati<br />

anche alcuni componimenti proemiali di Muzio Manfredi e Giovanni Battista Maganza, interpretò il ruolo<br />

di Amarilli durante la rappresentazione della pastorale fatta in presenza di Ranuccio Farnese e di tutta la<br />

corte parmense (cfr. L.G. Clubb, Italian Drama in Shakespeare’s time, New Haven, 1989, p. 176).<br />

La pièce, cominciata sotto gli auspici dell’Accademia degli Olimpici di Vicenza, su richiesta di uno dei<br />

suoi membri, Giacomo Rangone, fu portata a termine per conto della madre della dedicataria, Isabella<br />

Pallavicini Lupi, marchesa di Soragna, la quale ne finanziò anche la messa in scena per preparare l’ingresso<br />

della figlia in società.<br />

La trama della pastorale, ispirata alla storia di Cimone narrata nella quinta giornata del Decameron, è<br />

ambientata in Sicilia in una vallata vicino al Monte Erice, sulla cui sommità si erge un tempio di Venere. Gli<br />

aspetti più innovativi dell’opera sono sostanzialmente due: la complessità della figura del protagonista<br />

rispetto agli eterei ed astratti pastori dei drammi precedenti e l’impiego massiccio del coro. Posta strategicamente<br />

al centro della terza scena del terzo atto, la danza di Venere, un branle (danza circolare di stampo<br />

popolare e di origine medievale, ancora in voga nel Cinquecento come danza di apertura durante le feste),<br />

viene eseguita dal coro intonando un inno alla dea (cfr. R. Puggioni, Introduzione, in: A. Ingegneri, La Danza<br />

di Venere, Roma, 2002, pp. 9-35).<br />

A metà fra l’Aminta (1581) del Tasso e il Pastor fido (1590) del Guarini, il dramma pastorale dell’Ingegneri<br />

è considerato un «miracoloso modello manieristico» (cfr. R. Scrivano, Manierismi e teatro, in: “La norma e lo<br />

- 74 -


scarto. Proposte per il Cinquecento letterario italiano”, Roma, 1980,<br />

p. 207).<br />

Poeta, diplomatico, critico teatrale, cortigiano, autore drammatico,<br />

manager di una fabbrica di saponi e segretario di diversi<br />

nobiluomini (Alderano Cibo principe di Massa e Carrara, cardinal<br />

Cinzio Aldobrandini, Francesco Maria della Rovere, Carlo Emanuele<br />

di Savoia e Ferrante II Gonzaga), Angelo Ingegneri acquisì<br />

fama di letterato traducendo in italiano i Remedia amoris di Ovidio.<br />

Divenne quindi membro dell’Accademia Olimpica di Vicenza<br />

e dell’Accademia degli Innominati di Padua. Con l’autorizzazione<br />

del duca di Parma curò la prima edizione completa della<br />

Gerusalemme liberata (1581) di Torquato Tasso, con il quale fu in<br />

stretti rapporti di amicizia. Dedicò il suo poema epico Argonautica<br />

a Carlo Emanuele di Savoia e i tre libri Del buon segretario al<br />

cardinal Aldobradini. Ma la sua opera più importante resta il<br />

trattato Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le<br />

favole sceniche (1598), testo fondamentale nella storia della drammaturgia<br />

e della critica teatrale del tardo Rinascimento e del primo<br />

Barocco (cfr. M.L. Doglio, Nota biografica, in: “Angelo Ingegneri,<br />

Della poesia rappresentativa”, Modena, 1989, pp. XXV-XXVIII).<br />

M. Cristofari, La tipografia vicentina nel secolo XVI, in: “Miscellanea<br />

di scritti di bibliografia ed erudizione in memoria di Luigi Ferrari”,<br />

Firenze, 1952, p. 199, nr. 79. M. Bregoli Russo, Renaissance Italian<br />

Theater. Joseph Regenstein Library of the University of Chicago, Firenze,<br />

1984, p. 102, nr. 352. Puggioni, op. cit., p. 37. Clubb, 525.<br />

€ 1.900,00<br />

100) KERCKENORDENINGE: Wo ydt mit Christlyker Lere / vorrekinge der Sacramente /<br />

Ordination der Denere des Evangelij / ordentlyken Ceremonien / jn den Kercken / Visitation /<br />

Consistorio unde Scholen / Im Hertochdome tho Mecklenborch / &c. geholden werdt. Rostock,<br />

Ludwig Dietz, 1557.<br />

In 4to (cm 19); cartonato recente; cc. CXL leaves. Frontespizio stampato in rosso e nero con al centro e sul<br />

verso le armi in legno del duca di Mecklenburg. Notazioni<br />

musicali su varie pagine. Minime bruniture e fioriture, ma<br />

ottima copia.<br />

RARISSIMA PRIMA EDIZIONE della prima versione ufficiale<br />

in basso-tedesco delle ordinanze per la chiesa del<br />

ducato di Mecklenburg in materia di amministrazione, gestione<br />

della vita congregazionale, istituzioni caritatevoli,<br />

scuole, calendario e pratiche devozionali e cultuali.<br />

L’ordinanza di Johann Aepinus per la città anseatica di<br />

Stralsund (1525) è considerata come la prima ordinanza di<br />

una chiesa luterana e fu presto seguita da quelle di altre città<br />

territoriali ed imperiali tedesche: Braunschweig, Hamburg,<br />

Lübeck, Nürnberg, Bremen, Strasbourg, Hannover e<br />

Augsburg. La Guerra Smalcaldica (1546-1552) interruppe<br />

questo processo di rinnovamento, ma dopo la pace di<br />

Augusta del 1555 le autorità dei vari stati tedeschi cercarono<br />

a più riprese di rinforzare e riordinare il loro sistema<br />

religioso (cfr. S. Kreiker, Armut, Schule, Obrigkeit.<br />

Armenversorgung und Schulwesen in den evangelischen<br />

Kirchenordnungen des 16. Jahrhunderts, Bielefeld, 1997, pp. 10,<br />

17-18).<br />

Seguendo la volontà di Lutero, le istituzioni civili stabilirono<br />

a partire dal 1530 di regolamentare l’istruzione e la gestione<br />

delle scuole attraverso le ordinanze religiose, affidando<br />

l’educazione in tedesco per i bambini più piccoli e quella<br />

- 75 -


in latino dei collegi alle autorità religiose (cfr. G. Strauss, The Social Function of Schools in the Lutheran<br />

Reformation in Germany, in: “History of Education Quarterly”, 28/2, 1988, pp. 191-206; inoltre H. Schnell,<br />

Das Unterrichtswesen der Grossherzogtümer MecklenburgSchwerin und Strelitz, in: “Monumenta Germaniae<br />

Paedagogica”, XLV/3, Berlin, 1909, pp. 216-219).<br />

L’insegnamento di Lutero fu accolto molto presto nel ducato di Mecklenburg. Nonostante il ritorno al<br />

cattolicesimo da parte del duca <strong>Alberto</strong> VII, un primo ordinamento in basso tedesco (una ristampa di quello<br />

stampato a Magdeburg nel 1534) fu pubblicato a Rostock nel 1540. Nel 1549 Enrico V di Mecklenburg e suo<br />

nipote riconobbero il luteranesimo come religione ufficiale del ducato. Nel 1552, alla morte di Enrico,<br />

Giovanni <strong>Alberto</strong> formò una commissione, guidata da Johannes Aurifaber, con l’incarico di redigere un<br />

nuovo ordinamento della chiesa locale. Nello stesso anno Aurifaber sottopose a Philipp Melanchthon un<br />

primo abbozzo, al quale quest’ultimo apportò numerose correzioni e varie aggiunte: tra queste il celebre<br />

Examen Ordinandorum, una sorta di regolamento esaminatorio per pastori e diaconi. Il neonato ordinamento<br />

della chiesa di Mecklenburg divenne ben presto un modello anche per le chiese di altri stati tedeschi e<br />

Melantone ebbe un ruolo decisivo nella sua diffusione al di fuori dei confini del ducato. Fu stampato per la<br />

prima volta in alto-tedesco da Hans Lufft a Wittenberg nel 1552. Una seconda edizione senza le armi del<br />

duca di Mecklenburg fu commissionata da Melantone nello stesso anno. Finalmente nel 1557 uscì la prima<br />

edizione nella lingua ufficiale del ducato con alcune aggiunte di mano del pastore di Rostock Tileman<br />

Heshusius (cfr. E. Sehling, a cura di, Die evangelischen Kirchenordnungen des XVI. Jahrhunderts, V, Leipzig,<br />

1913, pp. 127-135).<br />

Le notazioni musicali riguardano brani di canti liturgici come la Preghiera del Signore, l’Agnus Dei, ecc. da<br />

cantarsi durante la messa (cfr. S.A. Crist, Early Lutheran Hymnals, in: “Notes”, 63/3, 2007, pp. 525-526).<br />

Johannes Aurifaber (1519?-1575) studiò a Wittenberg e nel 1545 divenne assistente personale di Lutero.<br />

Dopo la morte di quest’ultimo si trasferì a Weimar in qualità di predicatore di corte. Durante i quattordici<br />

anni trascorsi a Weimar, Aurifaber si schierò dalla parte di Matthias Flacius Illyricus nelle varie controversie<br />

fra pastori luterani. Nel 1561 fu costretto, insieme agli altri Flaciani, a lasciare la città. Si stabilì dapprima<br />

ad Eisleben, quindi a Erfurt. Contribuì alla raccolta e pubblicazione delle opere di Luterno. A lui si deve<br />

la celebre edizione del Tischreden di Lutero (1566) (cfr. R. Jauering, Johannes Aurifaber, in: “Des Herren<br />

Namen Steht Uns Bei”, a cura di K. Brinkel e H. von Hintzenstren, Berlin, 1961, pp. 147-154).<br />

VD16, M-1826. C. Borchling-B. Claussen, Niederdeutsche Bibliographie, Neumünster, 1931-1936, I, col. 750,<br />

nr. 1679. € 3.500,00<br />

101) KIRCHER, Athanasius (1602-1680)-KESTLER, Johann Stephan editor (fl. 2 a metà del<br />

XVII secolo). Physiologia Kircheriana Experimentalis, qua summa argumentorum multitudine et<br />

varietate naturalium rerum scientia per experimenta physica, mathematica, medica, chymica, musica,<br />

magnetica, mechanica comprobatur atque stabilitur. Quam ex vastis operibus Ad m . Rev di . P.<br />

Athan. Kircheri extraxit, et in hunc ordinem per classes redegit Romae, anno 1675, Joannes Stephanus<br />

Kestlerus Alsata, authoris discipulus, et in re litteraria assecla, et coadiutor. Amsterdam, Janssonius<br />

van Waesberge, 1680.<br />

In folio (cm 36,2); legatura coeva in piena bazzana, dorso con fregi e titolo in oro (piccoli danni agli angoli,<br />

mancanza alla porzione inferiore del dorso); pp. (8, compreso il bel frontespizio allegorico inciso in rame),<br />

248, (8). Testo stampato su due colonne. Con 10 figure in rame ed numerose altre figure xilografiche nel<br />

testo. Esemplare lievissimante brunito e a tratti un po’ fiorito, ma genuino e marginoso.<br />

PRIMA EDIZIONE pubblicata, all’indomani della morte del Kircher, dal fedele allievo Johan Stephan<br />

Kestler, che raccolse una grande quantità di osservazioni ed esperimenti fatti dal maestro in vari campi di<br />

ricerca, in particolare sulla statica, la meccanica, il moto, i metalli, gli insetti, l’ottica, il magnetismo, l’acustica,<br />

la musica, l’alchimia, la magia, la pirotecnia e la chimica. Benché materialmente compilata da Kestler,<br />

l’opera, che si compone di sette libri, è frutto della straordinaria erudizione del Kircher.<br />

«Kestler, who assisted Kircher in making his machines, “extracted from the vast Works of the Most Reverend<br />

Father Athanasius Kircher” the fruits of his experimental labor, filling its pages with accounts of definitive<br />

tests and splendid machines that, according to Kircher and his disciples, helped philosophers discern the<br />

truth of science in their investigation of the natural world. It was a fitting coda to a half-century’s intellectual<br />

production. Finally someone – perhaps Kircher himself, since the project was completed in Rome in October<br />

1675 though it lay unpublished for five years – had had the good sense to reduce Kircher’s terrifying<br />

prolixity to the equivalent of a big, beautiful book of baroque Cliffs Notes» (P. Findlen, a cura di, Athanasius<br />

Kircher. The last man who knew everything, New York, 2004, p. 4).<br />

Nato a Fulda, Athansius Kircher entrò a sedici anni nell’Ordine dei Gesuiti, dimostrando da subito straordinarie<br />

doti menomoniche e una grande predisposizione per le lingue. Nel 1634 si trasferì a Roma, dove<br />

- 76 -


papa Urbano VIII gli affidò un posto di insegnante presso il Collegio Romano. Per tutto il resto della sua<br />

vita visse a Roma, dedicandosi alla ricerca scientifica, inventando macchine idrauliche e orologi, studiando<br />

i geroglifici egiziani, collezionando quadri, oggetti d’arte e manufatti provenienti dalle missioni del mondo.<br />

Nel 1651, presso il Collegio Romano, Kircher fondò il Musaeum Kircherianum, sorta di “Museo del mondo”<br />

che venne distrutto dai bersaglieri nel 1870. Tra le altre cose, egli scrisse di vulcanologia (Mundus<br />

Subterraneus), di geroglifici (Oedipus Aegyptiacus), di metalli (De Arte Magnetica), di metafisica (Ars Magna<br />

Lucis et Umbrae), di cabala ebraica (Cabbala Haebraicae vetus et Christiana), di musica (Musurgia Universalis),<br />

pubblicando decine di opere. Tra le sue numerose invenzioni figurano la lanterna magica, la camera<br />

oscura, il carillon e nuovi metodi di scrittura stenografica (cfr. P. Findlen, op. cit., passim).<br />

Garrison-Morton, 580 («Includes the first recorded experiment in hypnotism in animals»). Caillet, 5796. De<br />

Backer-Sommervogel, IV, 1076. € 4.500,00<br />

102) LA CAILLE, Nicolas Luis de (1713-1762). Lectiones elementares mechanicae seu brevis<br />

tractatus de motu et aequilibrio. Vienna, Praga e Trieste, Johann Thomas von Trattner, [1759].<br />

In 4to (cm 23); pregevole legatura austriaca coeva, piatti con ricchi decori in oro a cinque cornici concentriche<br />

e al centro un rosone floreale, dorso a sei nervetti con fregio floreale ripetuto sempre in oro, tagli dorati<br />

(lievemente ossidata, minuscolo restauro al piede del dorso); pp. (8), 148 e 5 tavole incise in rame ripiegate<br />

fuori testo. L’edizione ebbe un discreto successo e fu presto ristampata con significative modifiche nella<br />

ricomposizione del testo soprattutto delle carte preliminari. In alcuni esemplari è presente inoltre una carta<br />

finale, qui mancante, che contiene l’errata. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE LATINA tradotta da Karl Scherffer a partire dalla seconda francese del 1757 con<br />

correzioni dell’autore.<br />

La Caille, originario di Rumigny, dal 1739 lavorò al fianco di Cassini e Maraldi nei rilievi per le misurazioni<br />

geodetiche della Francia. Nel 1746 fu nominato professore di matematica al Collège Mazarin. Tra il 1750<br />

e il 1753 compì un viaggio di interesse astronomico al Capo di Buona Speranza. Fu membro dell’Accademia<br />

delle Scienze dal 1741. Morì a Parigi nel 1762 (cfr. Poggendorf, I, 1337-38).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\RLZE\033076. € 1.200,00<br />

103) LAMBERT, François (1487-1530). Christianissimi Doc. Martini Lutheri, et Annemundi<br />

Cocti Equitis Galli, pro sequentibus commentarijs Epistolae. Evangelici in Minoritarum Regulam<br />

Commentarij, Quibus, palàm fit, quid tam de illa, quàm de alijs Monachorum Regulis et<br />

constitutionibus sentiendum sit… [Strasbourg, Johann Knobloch?, 1524].<br />

- 77 -


In 8vo (cm 15,5); cartonato recente; cc. (62), (2 bianche). Titolo<br />

entro bordura ornamentale. Alcune annotazioni marginali<br />

coeve. Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo commento critico alla regola<br />

dell’ordine francescano da parte di uno dei primi luterani<br />

francesi. L’opera si apre con una prefazione al lettore di M.<br />

Lutero ed una di Anémond de Coct, il quale era allora iscritto<br />

all’università di Wittenberg e successivamente divenne allievo<br />

di Guillaume Farel.<br />

François Lambert, originario di Avignone, dove il padre era<br />

segretario presso il palazzo papale, entrò a quindici anni nell’ordine<br />

francescano. Come predicatore itinerante ebbe modo<br />

di visitare la Francia, l’Italia e la Svizzera. Nel 1522, dopo aver<br />

letto alcuni scritti di Lutero, lasciò il suo ordine e si recò in<br />

incognito a Wittenberg, dove fu ricevuto da Lutero. Per alcuni<br />

anni studiò presso la locale università e si sposò, ma il desiderio<br />

di portare la riforma nel suo paese natale lo spinsero a trasferirsi<br />

a Strasburgo nel 1524. Tre anni dopo Filippo di Assia<br />

gli offrì la cattedra di teologia a Marburg, che egli accettò e<br />

mantenne fino alla morte. Rimane dibattuto e poco chiaro a<br />

tutt’oggi se egli in vecchiaia si sia o meno avvicinato alle posizioni<br />

di Zwingli (cfr. R.L. Winters, Francis Lambert of Avignon,<br />

1487-1530: A Study in Reform Origins, Philadelphia, 1938,<br />

passim).<br />

L’attività di François Lambert permise di mantenere vivi i rapporti<br />

fra il sud della Francia (in particolare Lione e Grenoble) e i principali centri del movimento evangelico.<br />

Uomini come Anémond de Coct, Pierre de Sibiville e Aimé Maigret si mossero nella scia da lui tracciata<br />

(cfr. H. Heller, Reform and High Politics in France, 1517-1525, in: “Canadian Catholic Historical Association,<br />

Study Sessions”, 36, 1969, p. 58).<br />

VD16, L-141. P. Fraenkel, Pour retrouver François Lambert. Bio-bibliographie et étude, Baden-Baden, 1987, pp.<br />

52-53, nr. 3b. J. Benzing, Lutherbibliographie, Baden-Baden, 1966, nr. 1596. W.G. Moore, La réforme allemande<br />

et la littérature française. Recherches sur la notoriété de Luther en France, Strasbourg, 1930, p. 483, nr. 171.<br />

€ 2.000,00<br />

104) [LANDO, Ortensio (ca. 1512-ca. 1556)]. Sermoni funebri de vari authori nella morte de<br />

diversi animali. Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1548 (in fine: 1549).<br />

In 8vo (cm 14,8); legatura dei primi del Novecento in cartone marmorizzato; cc. 36. Marche tipografiche sul<br />

titolo ed in fine. Piccolo rinforzo al margine esterno dell’ultima carta, qualche lieve fioritura all’inizio e alla<br />

fine del volume, ma ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, seconda tiratura con dedica a Nicolò degli Alberti da Bormo.<br />

«Sotto questo titolo e con la data eguale nel frontespizio, si fecero due edizioni di questo libretto, che hanno<br />

pochissime varietà nelle iniziali e nelle divisioni delle linee, ma diversa la dedica; la prima essendo diretta<br />

a Giovanni Iacopo Fucchero, l’altra a Nicolò degli Alberti da Bormo, ambedue senza nota di tempo né<br />

soscrizione alcuna… È cosa notoria che questi undici sermoni funebri, attribuiti ad autori immaginari o<br />

quasi, come frate Cipolla, Bertolaccio, frate Puccio, Burchiello, ec., sono uno dei molti libri pubblicati da<br />

Ortensio Lando, che di queste finzioni sommamente si compiaceva. Esso, secondo il solito facendo vista<br />

d’esser persona differente dall’autore, stampava in fine del libretto e col suo nome, una apologia dell’autore<br />

stesso, citando a giustificazione di lui una gran quantità di scrittori antichi e moderni, che avevano<br />

composto libri di materie in apparenza frivole a fine d’insegnare e di dilettare. Altrove però, cioè nel libro<br />

dei Cataloghi, confessava che Ortensio Lando in persona era autore dell’opera. Come avvenne quasi sempre<br />

di queste composizioni bizzarre, ai Sermoni non mancarono i lettori; poiché dopo le due stampe di<br />

Giolito, pubblicate probabilmente a brevissimo intervallo di tempo, di lì a undici anni, ossia nel 1559 [in<br />

realtà anche nel 1558], se ne vide una terza di Genova; e quindi altre più recenti, tutte di Venezia, cioè del<br />

1604 in 12.°, del 1622 per Barezzo Barezzi insieme coi Consigli degli animali del Firenzuola, e del Pittoni col<br />

titolo di Dilettevoli orationi in morte di vari animali, del 1712; e forse altre che non conosciamo. Si stamparono<br />

pure assai volte in Francia due versioni francesi colla giunta di componimenti analoghi; una di Claudio<br />

Pontoux, l’altra di Francesco d’Amboise sotto falso nome di Thierry de Thimophille. A Giorgio Canter<br />

- 78 -


letterato olandese venne pure la fantasia di tradurre i Sermoni in<br />

latino, che la prima volta si stamparono in Leida nel 1590… È<br />

questo il secondo libro d’Ortesio Lando stampato dal Giolito,<br />

avendo già registrate le Lettere di molte valorose donne… (S. Bongi,<br />

Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, Roma, 1890, I, pp. 231-232).<br />

Il volumetto si compone di undici sermoni, scritti da altrettanti<br />

autori fittizi, che celebrano undici diversi animali, seguendo vari<br />

modelli letterari, tra cui soprattutto Luciano, Virgilio e Cornelio<br />

Agrippa. Il sermene dedicato all’asino si richiama infatti alla<br />

digressione in lode dell’asino che chiude il De incertitudine e<br />

vanitate scientiarum. L’Apologia finale del Lando spiega di voler<br />

svelare profondi segreti della natura attraverso creature umili. In<br />

realtà nelle pieghe dei sermoni, oltre ad una certa<br />

desacralizzazione della cultura ufficiale, si nascondono chiari<br />

spunti religiosi riformati in chiave nicodemitica (cfr. M.-F. Piéjus,<br />

Ortensio Lando et l’oraison funèbre parodique, in: “Le funerailles à<br />

la Renaissance”, a cura di J. Balsamo, Genève, 2002, pp. 469-<br />

483).<br />

Ortensio Lando nacque a Milano da una famiglia di origine<br />

piacentina tra il 1510 e il 1512. Dopo aver studiato nella sua città<br />

natale sotto la guida di Alessandro Minuziano e Bernardino<br />

Negro, frequentò l’Università di Bologna, dove seguì i corsi di<br />

Romolo Amaseo. Per cinque anni, dal 1527 al 1531, condusse<br />

vita monastica in vari conventi agostiniani di Padova, Genova,<br />

Siena e Napoli. Dal ’31 al ’35 soggiornò nel convento bolognese<br />

di San Giacomo, studiando varie discipline umanistiche, tra cui il greco. In quegl’anni egli conobbe anche<br />

le opere di Erasmo (di cui vi è già traccia nei dialoghi Cicero relegatus e Cicero revocatus pubblicati nel 1534)<br />

e si legò di amicizia con vari personaggi piuttosto inclini alla Riforma, come il cabalista Giulio Camillo<br />

Delminio e l’umanista Achille Bocchi.<br />

Nel 1534, dopo un breve soggiorno a Roma, preferì lasciare l’Italia, stabilendosi a Lione, dove lavorò come<br />

collaboratore editoriale presso l’officina di Sébastien Gryphe e ebbe modo di conoscere Étienne Dolet. Negli<br />

anni successivi visitò la Germania e si spostò fra varie città italiane, tra cui Lucca, dove fu ospite del<br />

patrizio Vincenzo Buonvisi, anch’egli simaptizzante delle idee riformate.<br />

In viaggio per la Svizzera, nel 1540 pubblicò a Basilea il dialogo Desiderii Erasmi Roterodami Funus, che<br />

suscitò aspre critiche da parte della Chiesa locale. Nel 1541 si recò a Trento per cercare la protezione del<br />

neoeletto principe-vescovo Cristoforo Madruzzo. Rispettivamente al 1542 e al 1543 risalgono invece le<br />

pubblicazioni del Dialogo erasmico di due donne maritate e dei celebri Paradossi. Nello stesso periodo visitò la<br />

corte di Francesco I e nel 1545 conobbe ad Augusta il banchiere Johannes Jacob Fugger. Sempre nel ’45 fu<br />

accolto da Lodovico Domenichi e Anton Francesco Doni nell’Accademia piacentina degli Ortolani e fu<br />

presente all’apertura dei lavori del Concilio di Trento.<br />

Stabilitosi quindi a Venezia, cominciò a collaborare con varie case editrici e a frequentare Pietro Aretino,<br />

con il quale era in corrispondenza già da diversi anni. Nel 1548 tradusse in italiano l’Utopia di Tommaso<br />

Moro e pubblicò il Commentario delle più notabili e mostruose cose d’Italia e le Lettere di molte valorose donne.<br />

Lando fu molto attivo anche negli anni seguenti, dando alle stampe altre numerose opere, che sempre<br />

tradiscono un’aspra critica della cultura tradizionale e una profonda vicinanza con i principi dello<br />

spiritualismo e dell’evangelismo. Tutti suoi scritti furono inseriti prima negli indici veneziani, quindi<br />

nell’Index romano. La sua morte è da porsi fra il 1556 e il 1559 (cfr. C. Fahy, Landiana, in: “Italia Medievale<br />

e Umanistica”, XIX, 1976, pp. 325-383).<br />

«Ortensio Lando treated the important issues and esteemed authorities of learning with a studied nihilism<br />

which mocked the whole structure. He defended first one side and then the other of sixteenth-century<br />

debates, leaving the impression with his readers that neither opinion was worth commitment. He criticized<br />

through ironic paradoxes… If Niccolò Franco was humorous, Lando was bitter and he named his targets<br />

more often» (P. Grendler, The Rejection of Learning in Mid-Cinquecento Italy, in: “Studies in the Renaissance”,<br />

New York, XIII, 1966, p. 239).<br />

G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano, 1859, III, p. 58. <strong>Catalogo</strong> unico,<br />

IT\ICCU\RMLE\016202. € 2.000,00<br />

- 79 -


LA CACCIA GROSSA NEL REGNO DI NAPOLI<br />

105) LANZA, Corrado (fl. metà del XIX secolo). Trattato teorico pratico pei cacciatori... dedicato<br />

a Sua Altezza Reale il Principe di Salerno. Napoli, All’insegna del Diogene, 1848-1849.<br />

Due tomi in un volume in 8vo (cm 20); legatura ottocentesca in mezza pelle rossa, dorso a nervi con titolo<br />

in oro (minime spellature); pp. 311, (1) + 264 con ritratto dell’autore, 8 tavole fuori testo in litografia<br />

raffiguranti scene di caccia ed animali e 3 tavole di partiture musicali di carattere venatorio in fine. Lievi<br />

fioriture, ma bell’esemplare.<br />

«EDIZIONE ORIGINALE, rara, di questo classico trattato su tutte le cacce: di pelo, di penna e alla corsa...<br />

Opera importante, per i suoi tempi completa, l’ultima che tratti della caccia alla corsa, la venerie dei<br />

Francesi, che solo nell’Italia meridionale era ancora possibile, per il territorio montagnoso, coperto da<br />

grandi foreste che davano ricetto a tutta la grossa selvaggina europea, compreso l’orso» (cfr. A. Ceresoli,<br />

Bibliografia delle opere italiane latine e greche su la caccia, la pesca e la cinologia, Bologna, 1969, p. 319).<br />

ICCU, IT\ICCU\SBL\0401200. € 850,00<br />

106) LECCHI, Giovanni Antonio S.J. (Milano, 1702-1776). Idrostatica esaminata ne’ suoi principj<br />

e stabilita nelle sue regole della misura dell’acque correnti dal P. Antonio Lecchi... In Milano, nella<br />

stamperia di Giuseppe Marelli, MDCCLV (1765).<br />

In 4to grande (cm 27); cartonato coevo con passanti e titolo manoscritto al dorso; antiporta incisa in rame,<br />

titolo stampato in rosso e nero con vignetta al centro, pp. (8), 459, (1 bianca) con numerose figure in legno<br />

nel testo e una grande carta in rame fuori testo più volte ripiegata (Disegno dello stato del fiume Chiese a<br />

Gavardo…). Ottima copia intonsa con barbe.<br />

EDIZIONE ORIGINALE dell’opera teorica più importante<br />

ed ambiziosa del celebre idrografo milanese. La prima<br />

parte espone la legge che determina la velocità di flusso<br />

dell’acqua che sgorga da un orifizio, concludendo, contro<br />

l’opinione di Varignon, che essa è proporzionale alla<br />

radice quadrata dell’altezza del condotto dal quale scaturisce<br />

l’acqua. La seconda parte tratta del movimento delle<br />

acque dei fiumi da un punto di vista teorico e delle conseguenti<br />

applicazioni pratiche per l’idraulica. Propone inoltre<br />

l’uso di un quadrante con una sfera sospesa per la<br />

misura della velocità dell’acqua. La terza parte si apre con<br />

una lettera di Boscovich (pp. 319-345), qui in prima edizione,<br />

relativa a misurazioni da lui compiute sull’acqua<br />

fluviale fatta defluire dall’argine attraverso delle<br />

condutture. Quindi Lecchi descrive come realizzare canali<br />

navigabili e divisioni di fiumi, con esempi tratti soprattutto<br />

dall’esperienza da lui maturata in Lombardia. L’appendice<br />

infine contiene cinque capitoli, ciascuno dedicato<br />

alla risoluzione di un diverso problema di idraulica.<br />

L’autore, uno dei maggiori matematici e idrografi del suo<br />

tempo, seguace di Newton, fu attivo in Lombardia, a<br />

Vienna, dove venne nominato idrografo imperiale da Maria<br />

Teresa, e a Roma, sotto papa Clemente XIII, in qualità<br />

di sovrintendente ai lavori idraulici. Insegnò inoltre a Pavia<br />

e Milano (cfr. E. De Tipaldo a cura di, Biografia degli Italiani<br />

illustri, Venezia, 1868, V, pp. 160-162).<br />

Riccardi, I, parte IIa, col. 25, nr. 19* («Raro... È da noverarsi fra le opere che assicurarono all’Italia il primato<br />

nella scienza idraulica»). A. de Backer-Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Liège, 1872,<br />

IV, col. 1635, nr. 21. ICCU, IT005882. € 1.200,00<br />

107) LIEUTAUD, Joseph (1703-1780). Historia anatomico-medica, sistens numerosissima<br />

cadaverum humanorum extispicia, quibus in apricum venit genuina morborum sedes; horumque<br />

reserantur causae, vel patent effectus. Opus quadripartitum, cujus liber primus recenset laesiones<br />

internas abdominis. Secundus exhibet variam stragem pectoris. Tertius prodit diversam labem cerebri.<br />

Quartus vero vitia externa colligit... Recensuit et suas observationes numero plures adjecit,<br />

- 80 -


uberrimumque indicem nosologico ordine concinnavit Antonius Portal... Paris, chez Vincent, 1767.<br />

Due volumi in 4to (cm 25); legatura coeva in piena pelle marmorizzata con filetti a secco sui piatti, dorso a<br />

nervi con ricche decorazioni in oro, doppio tassello verde e rosso, titoli e numerazione dei volumi pure in<br />

oro, risguardi in carta marmorizzata, tagli rossi (minime mancanze); pp. XLVIII, 540, (4: catalogo di libri<br />

medici del Vincent) + pp. XVI, 606, (2). A parte alcune piccole macchie giallognole che interessano solo sette<br />

carte del primo volume, ottima copia di tutta freschezza.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE curata da Antoine Portal (1742-1832). Lieutaud, medico personale di Luigi XV<br />

e Luigi XVI, è considerato il fondatore dell’anatomia patologica in Francia. L’opera raccoglie le esperienze<br />

e le scoperte realizzate dall’autore in oltre 3500 autopsie.<br />

«Lieutaud’s lifework was strongly oriented toward practical medicine, a notion that was then being defined.<br />

Practical medicine as such rejected all theoretical systems and speculative etiologies… Such medicine was<br />

to be concerned with facts, not opinions, and to be learned at the bedside and in the autopsy room… His<br />

name is perpetuated in the medical literature in Lieutaud’s sinus, Lieutaud’s uvula, and especially,<br />

Lieutaud’s body - the triangular area, limited by the interureteric fold and by the uvula of the bladder, that<br />

he isolated and described.» (D.S.B., VIII, pp. 352-354).<br />

Osler, 3239. Wellcome, III, 516. € 480,00<br />

DRAMMI TEATRALI PER GLI STUDENTI<br />

108) LOCHER, Jakob (1471-1528). Spectaculum... more tragico effigiatum. In quo christianissimi<br />

Reges. adversum truculentissimos Thurcos consilium ineunt. expeditionemq(u)e bellicam instituunt.<br />

Inibi salubris pro fide tuenda exhortatio. Eiusdem iudiciu(m) Paridis de pomo aureo. de triplici<br />

hominum vita. de tribus deabus. atque nobis vitam contemplativa(m). activam. ac voluptariam<br />

representant, et que illarum sit melior. tutiorq(u)e. [Augsburg, Johann Foschauer, 1502].<br />

In 4to (cm 19,5); legatura posteriore in mezza pergamena con titolo manoscritto al dorso, tagli azzurri; cc.<br />

(24). Con un legno al verso del titolo ed un diagramma nel testo. Lieve alone nel margine superiore del<br />

volume, piccoli fori tondi di tarlo per lo più nel margine, nel complesso ottima copia marginosa.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questi due drammi teatrali<br />

messi in scena dagli studenti dell’Università di Ingolstadt<br />

e concepiti soprattutto per la loro istruzione nella lingua<br />

latina.<br />

Il primo, Spectatculum, è dedicato al duca Giorgio di<br />

Baviera, in presenza del quale avvenne la prima<br />

rappresentazione, il 13 febbraio del 1502.<br />

Il dramma inizia con una poesia in esametri virgiliani,<br />

che lamenta la diminuzione della Cristianità. L’azione<br />

comincia con la proclamazione di Alessandro di concedere<br />

le indulgenze a coloro che vorranno far parte della<br />

crociata contro gli infedeli. Massimiliano aderisce alla<br />

richiesta papale di condurre la campagna e decide di sollecitare<br />

gli altri monarchi europei. Nell’Atto III i sovrani<br />

europei sfilano davanti a Massimiliano, promettendo il<br />

loro aiuto. Anche Luigi XII di Francia, fino al 1501 disprezzato<br />

avversario di Massimiliano, abbraccia il piano<br />

di unificazione. Lo Spectaculum, tuttavia, non si conclude<br />

con una vittoria finale sui Turchi, forse perché il suo<br />

obietivo principale era quello di sollecitare la pace fra le<br />

forze europee. Alla fine del dramma vi è un elenco con i<br />

nomi degli attori, per lo più studenti, ma vi figura anche<br />

lo stesso Locher.<br />

Ugualmente destinato ad una festa o ad una visita importante,<br />

il Iudicium Paridis fu messo in scena davanti ad un<br />

piccolo pubblico presso l’Università di Ingolstadt il 19 luglio 1502. Esso rappresenta un nuovo tipo di<br />

dramma per Locher, che nella dedica a Georg von Sintzenhofen mostra la sua indignazione per il divieto<br />

di pubblica rappresentazione ricevuto dai censori. La trama, liberamente ispirata a Fulgenzio, svulippa il<br />

mito di Paride. Alla fine del secondo atto due gladiatori si affrontano in un duro combattimento prima di<br />

essere entrambi coronati da Venere. Durante un intermezzo che segue la seduzione di Elena si sviluppa<br />

una bizzarra danza, in cui un coro di pastori riceve un invito a ballare da tre contadine civettuole. Anche<br />

- 81 -


in questo caso nella lista degli attori figura il nome di Locher.<br />

Il teatro latino di Locher illustra la versatilità dei primi esperimenti letterari umanistici e, in quanto tale,<br />

costituisce un episodio importante nello sforzo degli umanisti di trovare un linguaggio consono al dramma.<br />

La sua originalità risiede nella libera e imprevedibile combinazione di coro, spettacolo e trama. Entrambe<br />

i drammi furono ristampati a Cracovia nel 1522; il Iudicium Paridis anche a Vienna nel 1523-’24 (cfr.<br />

C. Dietl, Die Dramen Jacob Lochers und die frühe Humanistenbühne im süddeutschen Raum, Berlin, 2005, pp. 234-<br />

244, 271-274).<br />

Jakob Locher nacque a Ehingen sul Danubio, vicino Ulm. Intorno al 1487 cominciò gli studi universitari a<br />

Basilea, dove ebbe come maestro Sebastian Brant. Nel 1489 si trasferì prima a Friburgo, poi a Ingolstadt per<br />

studiare filosofia, teologia e legge. Nel 1492 fece un viaggio in Italia, facendo tappa a Padova, Pavia, Ferrara<br />

e Bologna, dove ricevette il soprannome di Philomusus.<br />

Rientrato in Germania, cominciò ad insegnare a Friburgo e divenne tutote di Karl e Christoph von Baden.<br />

Nel 1497 fu incoronato poeta dall’imperatore Massimiliano e l’anno successivo fu chiamato ad insegnare<br />

a Ingolstadt al posto di Conrad Celtis. Nel 1498 pubblicò la prima edizione di Orazio stampata in Germania.<br />

Poco dopo tradusse in latino la Nave dei folli di Brant. Morì nel 1528 (cfr. Neue Deutsche Biographie, XVI,<br />

Berlin, 1985, pp. 743-744).<br />

VD16, L-2227. C. Göllner, Turcica, Bucarest-Baden-Baden, 1961, I, pp. 24-25, nr. 12. G.W. Zapf, Jakob Locher<br />

genannt Philomusus in biographisch- und litterarischer Hinsicht, Nürnberg, 1802, pp. 99-103, nr. XXVI. € 2.900,00<br />

109) LORINI, Buonaiuto (ca. 1540-1611). Delle fortificationi di Buonaiuto Lorini, nobile fiorentino,<br />

libri cinque. Ne’ quali si mostra con le più facili regole la scienza con la pratica, di fortificare le<br />

città, et altri luoghi sopra diversi siti. Con tutti gli avvertimenti, che per intelligenza di tal materia<br />

possono occorrere… Venezia, Giovanni Antonio Rampazetto, 1597 (in fine: 1596).<br />

In folio (cm 35); cartone antico rimontato; pp. (12), 219 [recte 217], (1). Manca l’ultima carta bianca. Salto di<br />

numerazione tra le pagine 110-113. Segnatura: a 6 , A 4 , B 2 , C 8 , D 2 , E 6 , F-G 2 , H 8 , I 6 , K 4 , L-R 8 , S 10 . Con un bel<br />

ritratto fuori testo dell’autore inciso in rame a piena pagina entro fregio decorativo e circa 150 xilografie nel<br />

testo (fortezze, armi, strumenti, macchine, città fortificate, misurazioni di elementi geometrici). Marca tipografica<br />

in rame sul titolo ed in legno sull’ultima carta. Esemplare abilmente lavato.<br />

PRIMA EDIZIONE, seconda tiratura, dedicata dall’autore alla Signoria di Venezia in data 12 marzo 1597.<br />

La prima tiratura, recante la data 1596 anche sul titolo, uscì in sole quindici copie, che furono inviate, con<br />

apposite dediche, a governanti e nobili del tempo, tra i quali Ferdinando de’ Medici, Alfonso II d’Este e<br />

Vincenzo Gonzaga. Il trattato ebbe una notevole diffusione e fu tradotto in tedesco già nel 1607. Una<br />

seconda edizione, aumentata di un sesto libro, apparve nel 1609 e fu anch’essa tradotta in tedesco pochi<br />

anni dopo (1616).<br />

Bonaiuto Lorini, fiorentino, fu allievo del grande architetto militare Bernardo Buontalenti e cominciò la sua<br />

attività di ingegnere all’età di ventidue anni, entrando a far parte della cerchia dei tecnici al servizio di<br />

Cosimo I de’ Medici. Tra il 1568 e il 1572 partecipò alla campagna militare nelle Fiandre nelle fila dell’esercito<br />

cattolico di Filippo II. Al rientro in patria, operò soprattutto a Firenze e nei territori della Repubblica di<br />

Venezia. Le prime notizie circa la sua presenza nella città lagunare risalgono al 1579, mentre è del 1581 il<br />

decreto ufficiale di assunzione come ingegnere della Repubblica.<br />

Lorinì lavorò sulla terraferma e tra il 1583 e il 1586 a Corfù. Dopo due anni (1588-’89) passati in Dalmazia,<br />

si dedicò alla realizzazione delle mure di Bergamo e di Brescia e, nel 1592, collaborò con Giulio Savorgnano<br />

alla progettazione di Palmanova, vicino Udine, che divenne la più potente città fortificata d’Europa. Nel<br />

1597 fece ritorno a Firenze, dove il granduca lo incaricò di ispezionare la fortezza di Livorno. Nel 1599 era<br />

nuovamente a Palmanova in veste di ingegnere addetto al cantiere. Negli ultimi anni di vita fu nominato<br />

primo ingegnere della Serenissima. Le ultime notizie circa la sua attività rilagono al 1611, probabile anno<br />

della morte.<br />

Ingegnere militare ed ingegnere idraulico, inventore di macchine per scavare canali e per realizzare terrapieni,<br />

il Lorini fu essenzialmente un tecnico. Questo aspetto concreto del suo lavoro si riflette nel trattato,<br />

che è considerato come « the first systematic course of instruction in all aspect of military architecture, and<br />

the first work to give measured plans in its illustrations» (J. Bury-P. Breman, Writing on Architecture, Civil<br />

and Military c. 1460 to 1640. A Checklist of Printed Editions, ‘tGoy-Houten, 2000, p. 62).<br />

Lorini, che riporta nel trattato anche le teorie del Savorgnano, era un sostenitore dei semirivestimenti in<br />

pietra o mattone, ossia a suo avviso solo la parte inferiore dei bastioni doveva essere rivestita, mentre la<br />

parte superiore, maggiormente esposta al fuoco nemico, doveva essere realizzata a terrazze riempite di<br />

terra (cfr. H. de la Croix, The Literature on Fortification in Renaissance Italy, Chicago, 1960, p. 43; inoltre A. Manno,<br />

Bonaiuto Lorini e la scienza delle fortificazioni, in: “Architettura, storia e documenti”, 1985, nr. 2, p. 39 e sgg.).<br />

- 82 -


L. Marini, Biblioteca istorico-critica di fortificazione permanente, Bologna, 1971, p. 40 e sgg. Gamba, nr. 1493.<br />

Riccardi, II, pp. 52-54. M.J.D. Cockle, A Bibliography of Military Books up to 1642, London, 1978, p. 204 e sgg.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\PARE\053786. € 4.000,00<br />

110) LOTTER, Tobias Conrad (1717-1777)-LOBECK, Tobias (fl. metà del XVIII secolo).<br />

Atlas geographicus portatilis, XXIX mappis orbis habitabilis regna exhibens… Augsburg, Tobias<br />

Lobeck, (1755 ca.).<br />

In 12mo (cm 10,5x7); graziosa legatura coeva con ricchi fregi a secco sui piatti (dorso in parte restaurato);<br />

titolo architettonico, antiporta allegorica, 29 carte geografiche colorate ed indice finale. Tutto inciso in rame<br />

su doppia pagina. Ottima copia.<br />

GRAZIOSO ATLANTE TASCABILE che ebbe all’epoca grande successo, venendo più volte ristampato<br />

nell’arco di pochi anni con l’aggiunta di sempre nuove mappe e, a volte, insieme al testo tedesco (Kurzgefasste<br />

Geographie). Alcune tirature recano delle carte datate 1762, la nostra è quindi da considerarsi stampata<br />

qualche tempo prima.<br />

OCLC, 3453278. € 1.500,00<br />

RARISSIMO LIBRO SENESE DI EMBLEMI<br />

111) [LUCARINI, Alcibiade (fl. a cavallo fra XVI e XVII secolo)]. Imprese dell’Offitioso Accademico<br />

Intronato raccolte da lo Sconosciuto Accad. Unito al Sereniss. Ferdinando II Granduca di<br />

Toscana [-parte seconda a la Sereniss. Madama Caterina Medici Duchessa di Mantova]. Siena,<br />

Ercole Gori, 1629-1628.<br />

Due parti in un volume in 4to (cm 23,5); legatura francese della fine del XVII secolo in piena bazzana, dorso<br />

a cinque nervi con ricchi fregi, tassello e titolo in oro, risguardi in carta marmorizzata, tagli rossi; pp. (48),<br />

204, (16) + pp. (4), 824 [recte 248], (8). Armi dei Medici sul primo titolo, armi dei Gonzaga sul secondo. Con<br />

422 emblemi in legno su mezza pagina. Ex-libris della biblioteca del Castello di Valençay con le armi di<br />

Charles Maurice de Talleyrand (1754-1838), che lo acquistò nel 1803. Segno di tarlo nel margine esterno<br />

bianco di alcune carte, lievissime arrossature, piccolo foro alla pagina 38 della seconda parte che comporta<br />

una minima perdita di parte incisa, ma nel complesso ottima copia marginosa e ben legata.<br />

RARISSIMA PRIMA EDIZIONE di questo originale libro di emblemi,<br />

di cui l’autore aveva fornito un breve saggio alcuni anni<br />

prima, pubblicando alcuni di essi in un piccolo opuscoletto di<br />

sole dieci carte dedicato ai Medici (Siena, eredi di Matteo Florimi,<br />

1613).<br />

L’opera comprende due parti: la prima contiene le imprese, «fatte<br />

ad onore, od’à richiesta di vari Personaggi Grandi…, in occasione<br />

di loro particolari Pensieri, dall’Autore spiegati in Versi Toscani»;<br />

la seconda, a sua volta divisa in tre sezioni, mostra solo imprese<br />

«Spirituali, Morali, e Politiche», accompagnate da una spiegazione<br />

in italiano e in latino.<br />

La terza parte, che avrebbe dovuto raccogliere le imprese realizzate<br />

in occasione di «Feste, Nozze, Veglie, Giostre, Mascarate», non<br />

vide mai la luce.<br />

La spiegazione viene fornita nella nota al lettore, in cui si giustifica<br />

la causa dell’enorme ritardo nella stampa del volume, che era<br />

stata cominciata nell’aprile del 1621, adducendo tre cause principali:<br />

la morte di uno dei fratelli Gori; la scomparsa degli intagliatori,<br />

i fratelli Sottili, e il conseguente passaggio dell’incarico al<br />

vallone Giovanni di Glen, allora in viaggio in Italia; la chiusura<br />

della cartiera Morozzi di Colle, dove era stata ordinata una carta<br />

più grande e più spessa del normale per rendere al meglio la qualità<br />

delle immagini. L’ultima parte della nota rende omaggio all’originalità<br />

delle imprese ideate dall’Offitioso, sostenendone l’indipendenza<br />

dalle raccolte di Paolo Aresi, Giovanni Ferro e Juan<br />

Francisco de Villava (qui chiamato Giovanni Francesco Vigliava), che l’autore ebbe modo di vedere solo<br />

dopo l’inizio della stampa del suo volume.<br />

Nelle carte preliminari, dopo questa interessante nota e dopo alcuni componimenti in lode dell’opera<br />

- 83 -


scritti da vari accademici Filomati ed Uniti, vi è poi un’altrettanto interessante introduzione di mano dello<br />

Sconosciuto (P. Francesco Minozzi), il quale traccia una vera e propria storia del genere dell’impresa,<br />

elencando un certo numero di precetti e citando i maggiori autori del genere, tra cui Giulio Cesare Capaccio,<br />

Paolo Giovio (considerato l’iniziatore), Girolamo Ruscelli, Camillo Camilli e, soprattutto, Scipione Bargagli,<br />

il quale in punto di morte avrebbe confidato allo Sconosciuto di considerare l’Offitioso come il suo più<br />

degno successore.<br />

«Il secondo volume raccoglie dunque oltre duecento imprese di soggetto religioso, precedeute da una breve<br />

dichiarazione che ne illustra l’ordinamento e giustica la novità dell’iniziativa, adducendo, oltre a generici<br />

rinvii a San Bernardo e a Platone, un preciso riferimento, dichiarazione anche di comune matrice culturale,<br />

all’opera di Biralli/Bargagli… Il secondo volume delle Imprese di Lucarini costituisce un organico programma<br />

di illustrazione, attraverso la forza didattica della metafora e l’evidenza dell’immagine, dei misteri<br />

della fede e dei precetti morali che debbono guidare la vita del buon cristiano» (Guido Arbizzoni, «Un<br />

nodo di parole e di cose». Storia e fortuna delle imprese, Roma, 2002, pp. 160-161).<br />

Alcibiade Lucarini, dietro cui si cela l’Offitioso, fu docente di diritto presso lo Studio di Siena. Maylender<br />

(Storia delle Accademie d’Italia, V, p. 406) lo dice fondatore e protettore dell’Accademia senese degli Uniti, di<br />

cui fecero parte vari suoi scolari, tra i quali ricordiamo Giovan Battista Orlandini, Ambrogio Luti, Pandolfo<br />

Ghini Bandinelli, Savino Savini, Fabio Fani, Ranuccio Bassani, Cesare Marescotti, Agostino Agazzari e<br />

Pandolfo Spanocchi.<br />

Landwehr, 491. Praz, p. 405. <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 269. Michel, V, p. 63. L. Bolzoni, a cura di, “Con parola<br />

brieve e con figura”. Libri antichi di imprese e emblemi, Lucca, 2004, nr. 27. € 4.800,00<br />

112) LUCCA (Repubblica di). Metodo degli esercizi<br />

militari continenti il maneggio dell’armi ed altre<br />

regole necessarie da osservarsi e mettersi in pratica<br />

dalle Milizie della Città e Stato della ser.ma Repubblica<br />

di Lucca. Ivi, Domenico Ciuffetti, 1730.<br />

In 4to (cm 20); cartoncino grigio originale; pp. 28. Stemma<br />

sul titolo. A p. 8 bella incisione in legno raffigurante<br />

una Panoplia con un cannone a ruote sovrastato da ogni<br />

tipo di armi e strumenti per l’artigliere, racchiusa entro<br />

un elegante cornice. Leggera brunitura uniforme.<br />

«Allora quando tutto il presidio prenderà l’armi, si farà<br />

battere la Generale di tutti li Tamburi e si partiranno<br />

dalla porta di S.Pietro…».<br />

Dopo la prefazione di cinque pagine seguono gli ordini<br />

impartiti per ogni singolo Esercizio, accompagnati da<br />

una dettagliata descrizione delle manovre da compiere.<br />

Apparentemente sconosciuto. € 500,00<br />

113) LUPICINI, Antonio (ca. 1530-1606). Architettura<br />

militare con altri avvertimenti alla guerra.<br />

Firenze, Giorgio Marescotti, 1582.<br />

In 4to (cm 20,5); cartone colorato antico; pp. 1-32, grande<br />

incisione in legno ripiegata, pp. 41-88. Marca tipografica<br />

al titolo e 4 figure in legno a piena pagina. Leggere fioriture e bruniture, ma ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE. «Antonio Lupicini believes that any architect who is called upon to<br />

design a fortress should be permitted to do so only under the close supervision of military men. Thus,<br />

during the second half of the sixteenth century, the military engineer firmly entrenched himself in and<br />

displaced the civil architect from the field of military architecture… To the great majority of the military<br />

planners, the circle merely represented that geometric figure that permitted the design of blunt bastions and<br />

which, for a given circumference, enclosed the greatest interior space… A second factor which entered into<br />

end determinated the design of a fortress was the shape of the bastion proper. The designer’s aim was to<br />

keep its point as blunt as possible. An acute leading angle was considered impractical because is not only<br />

restricted the bastion’s interior space, but also because its sharp point was easily ruined by enemy fire…<br />

Most treatises, while presenting designs of defensive belts intended to ring large cities, do not show their<br />

interior layouts… Lupicini goes further than most by showing on his large plan a church situated off the<br />

- 84 -


central piazza. Placed in the line with the city’s two gates, this<br />

building introduces the element of axial alignment into the<br />

radial plan» (H. de la Croix, Military Architecture and the Radial<br />

City Plan in Sixteenth Century Italy, in: “Art Bulletin”, XLII, 1960,<br />

pp. 275, 281, 284).<br />

Il fiorentino Antonio Lupicini cominciò la sua carriera partecipando<br />

all’assedio di Montalcino e di Monticello durante la<br />

guerra fra Firenze e Siena. Architetto, astronomo, ingegnere<br />

idraulico e militare, entrò al servizio dei Medici. Nel 1578 ricevette<br />

dall’imperatore Rodolfo II l’incarico di modernizzare le<br />

fortezze imperiali. Alcuni anni dopo supervisionò un progetto<br />

sulle acque della laguna di Venezia commissionato dal Senato<br />

di quella città. Divenuto il massimo ingegnere idraulico<br />

del suo tempo, scrisse importanti opere sulle inondazioni del<br />

Po e dell’Arno (cf. P. Carpeggiani, Sull’attività mantovana di<br />

Antonio Lupicini ingegnere militare ed idraulico, in: “Arte Lombarda”,<br />

49/XXIII, 1978, p. 86).<br />

G. di Piero-M.L. Righini Bonelli, <strong>Catalogo</strong> della biblioteca Mediceo-<br />

Lorenese, (Firenze, 1970), p. 52, nr. 134. Gamba, 1475. Katalog<br />

der Ornamentstichsammlung der Staatlichen Kunstbibliothek Berlin,<br />

(Berlin, 1939), nr. 3515. Riccardi, II, 59/3. € 2.200,00<br />

SULLA VITA CONIUGALE<br />

114) LUTHER, Martin (1483-1546). Vom Eelichen Leben. Wittenberg, [Johann Rhau-<br />

Grunenberg], 1520.<br />

In 4to (cm 20); cartoncino moderno; cc. (16). Titolo entro<br />

bordura ornamentale. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE, seconda tiratura. Tre anni prima<br />

del suo matrimonio, Lutero scrisse il presente trattato<br />

Sulla vita coniugale, il primo da lui dedicato a questo<br />

tema.<br />

Già in precedenza, trattando dei voti monastici (1521),<br />

egli aveva rigettato il celibato, sostenendo che nella<br />

Bibbia non vi sia nessuna indicazione circa la<br />

superiorità del celibato, considerato per di più contro<br />

natura.<br />

In Vom Eelichen Leben egli lamenta poi lo stato<br />

deplorevole in cui versava il matrimonio, attribuendone<br />

gran parte della colpa ai sentimenti misogini così diffusi<br />

in quei tempi. Dio, al contrario, ha creato il matrimonio<br />

come rifugio dal peccato e dalla fornicazione.<br />

Lutero passa quindi in esame i vantaggi spirituali del<br />

matrimonio, cui contrappone gli svantaggi del celibato<br />

(cfr. S. Ozment, When Fathers Ruled. Family Life in<br />

Reformation Europe, Cambridge, MA, 1983, p. 3).<br />

La cornice del titolo, proveninete dall’officina di<br />

Cranach, è qui in secondo stato, senza le armi dei duchi<br />

di Sassonia nella parte superiore (cfr. D. Koepplin-T.<br />

Falk, Lukas Cranach, Basel, 1974, I, pp. 328-329, nr. 215).<br />

La xilografia fu usata per la prima volta nel 1520.<br />

VD16, L-7032. J. Benzing, Lutherbibliographie, Baden-Baden, 1966, p. 146, 1240. € 1.200,00<br />

115) MACROPEDIUS, Georgius (Joris van Lanckveldt, 1487-1558). Adamus... Fabula<br />

christianae pietatis plena. In qua oste(n)ditur, quo pacto lapsus homo post multas multorum<br />

sæculorum calamitates et miserias et miserias per Christum ab initio promißum, tandemq; mundo<br />

exhibitum, saluti restituitur. Utrecht, Herman Borculous, 1552.<br />

- 85 -


In 8vo; pergamena posteriore; cc. (68). Marca tipografica al titolo.<br />

Varie annotazioni marginali nei primi tre atti attestano che la<br />

presente copia venne utilizzata per una messinscena. Piccolo foro<br />

sul frontespizio che tocca alcune lettere, lievi fioriture, ma nel<br />

complesso ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di uno dei maggiori drammi scolastici<br />

neolatini.<br />

Concepiti per l’istruzione morale e religiosa degli studenti e<br />

soprattutto per l’apprendimento del latino, questi testi teatrali<br />

recitati dagli allievi della scuola avevano anche lo scopo di mostrare<br />

ai genitori e alle autorità cittadine l’alto livello d’istruzione impartito<br />

dall’istituto.<br />

«A serious play which exhibits the errors and suffering of Adam<br />

and Eve and their sons, ends ‘comically’ by means of the<br />

intervention of Christ. As is explained in the prologue, ‘The greatest<br />

tranquillity does not come after the Protasis; in the Epitasis the<br />

confusion swells and then advances to its height; then afterwards,<br />

in the Catastrophe, the only son of God, who comes to save mankind,<br />

removes confusion, and by means of this comic event the outcome is<br />

a happy one’» (M.T. Herrick, Tragicomedy, Urbana, IL, 1962, p. 24).<br />

Come in quasi tutti i drammi del Macropedius, anche nell’Adamus<br />

figurano alla fine di ciascuno dei cinque atti delle strofe monodiche<br />

che venivano intonate dal coro sulla musica composta dallo stesso<br />

Macropedius (cfr. R. von Liliencron, Die Chorgesänge des lateinischdeutschen<br />

Schuldramas im XVI. Jahrhundert, in: “Vierteljahrsschrift<br />

für Musikwissenschaft”, 6, 1890, pp. 332 e 375).<br />

Joris van Lanckvelt, meglio conosciuto con il nome umanistico di Georgius Macropedius, nacque a Gemert<br />

nel Brabante settentrionale. Dopo aver studiato presso la scuola di ‘s-Hertogenbosch, dove anche Erasmo<br />

da Rotterdam aveva passato due anni, nel 1502, all’età di quindici anni, entrò nella Confraternita della<br />

Vita Comune. Dieci anni dopo prese i voti e cominciò ad insegnare latino presso la scuola municipale di ‘s-<br />

Hertogenbosch.<br />

Macropedius cominciò a comporre drammi latini già all’età di vent’anni. Nel 1525 fu mandato a Liegi ad<br />

insegnare presso la scuola di San Girolamo, fondata dai suoi confratelli. Nel 1530 fece ritorno a ‘s-<br />

Hertogenbosch, dove pubblicò una grammatica latina. Grazie al prestigio e alla fama acquisiti, l’anno<br />

seguente fu chiamato a dirigere la scuola di Utrecht, dove insegnò anche latino, greco, retorica e musica.<br />

Egli compose tutte le canzoni che venivano intonate a scuola e scrisse vari testi scolastici, tra cui l’Epistolica<br />

(1543), che ebbero grande diffusione in tutta Europa e furono più volte ristampati.<br />

Perseguito dall’Inquisizione, che lo riteneva un simpatizzante delle idee riformate, Macropedius fu costretto<br />

a riscrivere varie parti dell’Adamus prima di poterlo dare alle stampe. Nel 1556 si ritirò dall’insegnamento.<br />

Morì di peste a ‘s-Hertogenbosch due anni dopo. I suoi drammi furono messi in scena non solo nei Paesi<br />

Bassi, ma anche in Germania, Inghilterra, Svizzera, Boemia, Danimarca e Svezia (cfr. T.W. Best, Georgius<br />

Macropedius, New York, 1972, passim).<br />

Census Neederlands Toneel, Leiden, 2005, B-5512. L’Adamus fu incluso nella raccolta dei drammi del<br />

Macropedius (Omnes Fabulae Comicae), che uscì a Utrecht tra il 1552 e il 1553 dai torchi di Herman van<br />

Borculous (cfr. Bibliotheca Belgica, Bruxelles, 1964, M -53). € 1.300,00<br />

116) MACROPEDIUS, Georgius (Joris van Lanckveldt, 1487-1558)-HEGENDORF,<br />

Christoph (1500-1540). Methodus conscribendi epistolas, secundum veram artis rationem tradita.<br />

Eiusdem Epitome praeceptionum de paranda copia verborum et rerum, per quaestiones... Accessit<br />

Christophori Hegendorphini Epistolae conscriendi methodus. Köln, Eredi di Arnold Birckmann,<br />

1582.<br />

In 8vo (cm 15,5); cartonato recente; cc. (2), 123 [recte 125], 1 bianca. Marca tipografica al titolo. Leggera<br />

brunitura uniforme.<br />

RARA EDIZIONE di questa opera scolastica di straordinario successo, la più importante fra quelle scritte<br />

dal Macropedius nella sua lunga carriera di insegnante.<br />

Pubblicata per la prima volta ad Anversa nel 1543 con il titolo di Epistolica, fu ristampata sempre ad<br />

Anversa nel 1546, 1550, 1551, 1556, 1559, 1570; inoltre a 's-Hertogenbosch nel 1556 e a Leida nel 1564.<br />

- 86 -


Dopo la morte di Macropedius, il libro fu ristampato con il titolo di Methodus de conscribendis epistolis:<br />

Dillingen 1561, 1567, 1574; Basilea, 1565; Colonia, 1568, 1570, 1582; Francoforte, 1568; Anversa, 1573;<br />

Londra, 1580, 1592, 1595, 1614, 1637, 1649.<br />

Il trattato, dedicato agli studenti della scuola di Utrecht presso la quale l’autore era docente, insegna come<br />

comporre lettere secondo i canoni retorici classici. Esso fu evidentemente adottato per molti anni come testo<br />

scolastico in molte regioni d’Europa.<br />

Grande successo ebbe anche il manuale di Chrisoph Hegendorf, apparso per la prima volta ad Hagenau<br />

nel 1526. Hegendorf studiò sotto Petrus Mosellanus e fu amico di Melantone. Insegnò greco a Posen e<br />

Francoforte sull’Oder.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\BVEE\021641. € 650,00<br />

117) MAGAZZINI, Vitale (m. 1606). Coltivazione toscana del M. to R.P.D. Vitale Magazzini<br />

Monaco Vallombrosiano all’Ill. mo et Ecc. mo Sig. r Principe D. Lorenzo Medici. Nella quale s’insegna<br />

quanto deve farsi per coltivare perfettamente le Possessioni, per governare diligentemente una casa<br />

di Villa secondo l’uso di Toscana. Data in luce dal M. to R.P.D. Liberio Baralli da Castelfiorentino...<br />

Venezia, Evangelista Deuchino, 1625.<br />

In 4to (cm 20); legatura dei primi del XIX secolo in mezza pergamena con angoli, dorso con tassello e titolo<br />

in oro; pp. (16), 136, (16). Bellissimo frontespizio inciso in rame (F. Valesio f.), in cui, accanto ad attrezzi<br />

agricoli e figure ornamentali, campeggiano le armi dei Medici. Con una figura in legno nel testo a tutta<br />

pagina. Due pagine preliminari con lievi macchie, per il resto bellissima copia di grande freschezza.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE pubblicata postuma per le cure di L. Baralli, decano del monastero di Vallombrosa,<br />

e da questi dedicata a Lorenzo de’ Medici. La Coltivazione toscana, cha fu più volte ristampata fino ad<br />

Ottocento inoltrato, costituisce una delle prime monografie di agricoltura regionale italiana ed in essa si ha<br />

una delle prime notizie sulla coltivazione e il consumo della patata in Italia. «[Dall’opera] si raccoglie che<br />

le patate erano conosciute a Firenze prima del tempo in cui, secondo altri, vuolsi fossero coltivate in Italia.<br />

Furono colà trasportate dalla Spagna e dal Portogallo col mezzo dei padri Carmelitani Scalzi» (F. Re,<br />

Dizionario ragionato, Venezia, 1808-‘09, III, pp. 88-89). Nel mese di marzo l’autore avverte: «Le patate… si<br />

mangiano in fette o a guisa di tartufi o di funghi fritte e infarinate o nel tegame con agresto e sono ragguardevoli<br />

al gusto con sapore di cardoni. E moltiplicano innumerabilmente e facilmente si cuocono e son<br />

tenere» (pp. 21-22).<br />

La prima parte dell’opera è dedicata ai lavori agricoli, mese per mese. Seguono quindi sei capitoli riguardanti<br />

contadini, padroni, fattori, agenti, servi, ecc. Chiudono il volume tredici capitoletti sui venti, ai quali<br />

si attribuisce una fondamentale importanza per la pratica agricola.<br />

L’autore, monaco vallombrosano (cfr. T. Sala, Dizionario storico-biografico di scrittori, letterati ed artisti dell’Ordine<br />

di Vallombrosa, Firenze, 1936, II, p. 6), pur conoscendo tutti gli autori classici, antichi e moderni, che<br />

hanno scritto di agricoltura, dice di confidare maggiormente nella propria esperienza quarantennale e<br />

vuol proporre al lettore soluzioni pratiche, da lui sperimentate in campagna, che non si trovano solitamente<br />

nei libri. Egli si rivolge infatti direttamente agli operatori del settore: ai proprietari, ai fattori, ai<br />

contadini stessi.<br />

ICCU, IT\ICCU\RMLE\020782. <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 1800. Gamba, 1988. S.P. Michel, Repertoire des ouvrages<br />

imprimés en langue italienne au XVII siècle conservés dans les bibliothèques de France, Paris, 1975, V, p. 77. M.<br />

Lastri, Biblioteca georgica, Firenze, 1787, p. 78. D. Moreni, Bibliografia storico ragionata della Toscana, Firenze,<br />

1805, II, pp. 9-10. V. Niccoli, Saggio storico e bibliografico dell’agricoltura italiana, Torino, 1902, p. 97.<br />

€ 1.200,00<br />

«LE PREMIER OUVRAGE FRANÇAIS CONSACRÉ EXCLUSIVEMENT AU FUSIL DE CHASSE»<br />

(THIÉBAUD)<br />

118) [MAGNÉ DE MAROLLES, Gervais Francois]. La chasse au fusil, ouvrage divisé en deux<br />

parties, contenant: la premiere, des recherches sur les armes de trait usitées pour la chasse avant<br />

l’invention des armes a feu; savoir l’arc et l’arbalète: un detail de tout ce qui concerne la fabrication<br />

des canons de fusil, tant à Paris. et dans les differentes manufactures de France, qu’en Espagne;... la<br />

seconde, les enseignemens et connoisances nécessaires pour chasser utilement les differentes espèces<br />

de gibier qui se trouvent en France;... Paris, Théophile Barrois a spese dell’autore, 1788.<br />

(legato con:)<br />

[EIUSDEM]. Supplement au traité de la chasse au fusil, contenant des additions et corrections<br />

importantes. Paris, Théophile Barrois, 1791.<br />

- 87 -


Due opere in un volume in 8vo (cm 20); pelle marmorizzata coeva, dorso liscio con filetti, fregi e titolo in oro<br />

su tassello rosso; pp. XVI, 582, (10) + pp. 111, (1 bianca) con 9 tavole in rame fuori testo, di cui 3 ripiegate.<br />

Il volume ha sofferto un po’ l’umidità e per questo la carta del margine esterno, specie verso la fine, è un po’<br />

debole.<br />

«ÉDITION ORIGINALE COMPLÈTE. Le nom de l’auter se lit dans l’abbrobation et le privilège. Ce livre<br />

est non seulement le premier ouvrage français consacré exclusivement au fusil de chasse et à la chasse à tir,<br />

mais c’est aussi le premier traité de chasse qui consacre une étude importante à la Sauvagine. La section IV<br />

De la chasse de oiseaux aquatiques occupe les pages 502 à 582» (J. Thiébaud, Bibliographie des ouvrages français<br />

sur la chasse, Paris-Brueil en Vexin, 1974, coll. 621-622).<br />

Barbier, I, col. 572. € 1.500,00<br />

119) MANFREDI, Muzio (1535-1608). La Semiramis tragedia di Mutio Manfredi il Fermo,<br />

Academico Innominato, Invaghito et Olimpico. [segue:] La Semiramis boscareccia di Mutio<br />

Manfredi… Bergamo, Comino Ventura, 1593.<br />

Due opere in un volume in 4to (cm 18,7); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso e sul<br />

piatto anteriore (mancano i legacci, minimi danni al dorso, un po’ sciolto); cc. (4), 92 + cc. (4), 67, (1), (1 di<br />

errata), (1 bianca). Il nostro esemplare, oltre alla citata errata, conserva anche un bifolio sciolto recante gli<br />

errori corretti sia della tragedia che della favola boschereccia. Entrambe le errate non risultano repertoriate<br />

in nessuna bibliografia. Marche tipografiche di due tipi differenti ai titoli. Testate e capilettera ornati.<br />

Alcuni fascicoli leggermente arrossati, ma bellissima copia marginosa nella sua prima legatura.<br />

I) PRIMA EDIZIONE, dedicata da Nancy (1 maggio 1593) al cardinale Odoardo Farnese, di questa tragedia<br />

orribile in cinque atti in endecasillabi sciolti.<br />

«The climax of the Italian tragedy of blood may be illustrated by Muzio Manfredi’s Semiramis… The plot<br />

was based on the semi-mythical history of the fabulous warrior-queen who succeeded her husband Ninus<br />

as ruler of Assyria and founded the city of Babylon. The scene is Babylon at the close of Semiramis’ career.<br />

Ninus has been dead for some time, and their only son is now grown. Manfredi’s principal model was<br />

Cinthio’s Orbecche, but he also borrowed from Speroni’s Canace and probably from Groto’s Dalida» (M.T.<br />

Herrick, Italian Tragedy in the Renaissance, Urbana, 1965, pp. 206-207).<br />

Il Manfredi compose questo dramma sul tema del rapporto incestuoso tra madre e figlio intorno al 1583,<br />

curiosamente negli stessi anni in cui il giovane tragediografo spagnolo Cristóbal de Virués, che si trovava<br />

allora in Italia, scriveva una tragedia sullo stesso soggetto, La gran Semíramis (1580 circa) (cfr. A. Giordano<br />

Gramegna, II sentimento tragico nella “Semiramis” di Muzio Manfredi e nella “Gran Semiramis” di Cristóbal de<br />

Virués. Tecnica teatrale, in: “Nascita della tragedia di poesia nei paesi<br />

europei”, Roma, 1990, pp. 301-321).<br />

Alla fine della tragedia vi è una serie di componimenti in lode dell’autore<br />

e dell’opera, scritti da vari autori, tra i quali ricordiamo<br />

Adriana Trivisani Contarini, Barbara Torelli Benedetti, Bernardino<br />

Baldi, Camillo Camili, Giuliano Goselini, Maddalena Campiglia,<br />

Stefano Guazzo, Torquato Tasso, Veronica Franco e molti altri (cfr.<br />

M. Manfredi-A. Decio, La Semiramis. Acripanda. Due regine del teatro<br />

rinascimentale, a cura di G. Distaso, Taranto, 2002, passim).<br />

II) PRIMA EDIZIONE di questa pièce in versi sciolti endecasillabi<br />

e settenari, preceduta da un prologo pure in endecasillabi sciolti ed<br />

accompagnata da cori posti in chiusura di ciascuno dei cinque atti.<br />

Alla fine dell’ultimo atto vi è anche un ballo a Imeneo, che una nota<br />

indica di ripetere più volte prima dell’uscita di scena dei personaggi.<br />

Nella dedica (datata Nancy, 1 giugno 1593) al duca Ranuccio<br />

Farnese, il Muzio ricorda di aver inviato una copia manoscritta della<br />

sua favola boschereccia ad un principe milanese che gliene aveva<br />

fatto richiesta, ma che poi non gli aveva più dato risposta, benché<br />

egli si fosse detto disposto a recarsi nella città lombarda per curarne<br />

personalmente la messa in scena. Aveva così deciso di darla alle<br />

stampe dedicandola a Ranuccio, fratello di Odoardo, cui era stata<br />

dedicata la tragedia omonima, considerando, tra le altre cose, anche<br />

l’affinità tematica delle due composizioni teatrali. La favola si basa<br />

sulla storia d’amore fra la famosa regina Semiramide e il generale<br />

assiro Mennone.<br />

- 88 -


Letterato e poeta originario di Cesena, Manfredi risiedette per alcuni anni a Guastalla alla corte di Ferrante<br />

II Gonzaga. Nel 1591 si trasferì a Nancy al servizio di Dorotea di Lorena, duchessa di Brunswick. Membro,<br />

con il nome di “Il Fermo”, dell’Accademia degli Innominati di Parma, di cui divenne principe nel 1580, fece<br />

parte anche dell’Accademia degli Invaghiti di Ferrara, di quella dei Confusi di Bologna e dell’Accademia<br />

Olimpica. Di lui abbiamo un Sogno amoroso (1596) e raccolte di madrigali (1587), rime (1575 e 1580) e lettere<br />

(1594) (cfr. Diz. Lett. It. Laterza, Roma, 1967, III, p. 478).<br />

Edit16, CNCE38297 e CNCE49300. Bregoli Russo, nr. 387 (1 a opera). Clubb, nr. 584 (2 a opera). Biblioteca<br />

Nazionale Braidense, Le edizioni del XVI secolo, I-Edizioni lombarde, Milano, 1981, nr. 40 e 41. € 1.900,00<br />

120) MANZONI, Alessandro (1785-1873). Il conte di Carmagnola tragedia di Alessandro<br />

Manzoni. Milano, Vincenzo Ferrario, 1820.<br />

In 8vo (cm 23); legatura posteriore in piena pelle, piatti entro duplice filettatura dorata, dorso a cinque nervi<br />

con fregi e titolo in oro, risguardi in carta marmorizzata, astuccio protettivo in cartone; pp. (8), 142, (2<br />

bianche). Le carte preliminari contengono una bianca recante al verso una correzione stampata su una<br />

striscetta incollata, l’occhietto, il frontespizio e la dedica a Claudio Carlo Fauriel. Ottima copia, a fogli<br />

diseguali, impressa su carta pesante.<br />

PRIMA EDIZIONE della prima tragedia del Manzoni, che, come l’Adelchi (1822), nonostante le lodi ricevute<br />

dal Goethe, non fu mai messa in scena. La stampa, iniziata da Giulio Ferrario, editore, stampatore e<br />

bibliotecario di Brera (il cui nome si legge sul frontespizio di qualche rarissimo esemplare), fu continuata<br />

dal fratello Vincenzo.<br />

Cominciata nel gennaio del 1816, la tragedia fu completata nel 1819. La vicenda, tratta da Sismondi, narra<br />

del condottiero Grancesco Bussone detto il Carmagnola, che, assoldato dai Veneziani, sconfigge per loro il<br />

duca di Milano, ma, sospettato di tradire i loro interessi, viene imprigionato a tradimento e messo a morte.<br />

Per la tragedia il Manzoni teorizzò ed utilizzò il coro – luogo di espressione dei pensieri dell’autore – per<br />

esecrare le vecchie guerre fra Italiani. L’idea tragica rimane legata all’interpretazione della storia come<br />

affermazione della dignità dell’uomo (singolo e nazione) e della libertà.<br />

Parenti, Rarità, pp. 173-177. Vismara, 275. Parenti, Prime edizioni italiane, p. 331. € 1.800,00<br />

121a) MANZONI, Alessandro (1785-1873). I promessi sposi<br />

storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro<br />

Manzoni. Milano, Vincenzo, Ferrario, 1825-1826.<br />

Tre volumi in 8vo (cm 20,5); legatura coeva in mezza pelle, piatti in<br />

carta marmorizzata, dorsi con fregi e titoli in oro, tagli picchiettati<br />

(Mirabaud); pp. (4), 352 + (4), 368 + (4), 416, (2). Ottima copia fresca e<br />

marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE della prima redazione dell’opera.<br />

Vismara, 1. Parenti, Prime edizioni italiane, p. 331. Parenti, Bibliografia<br />

manzoniana, pp. 35-36. € 8.500,00<br />

121b) EIUSDEM. I promessi sposi storia milanese del secolo<br />

XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Torino, Giuseppe<br />

Pomba, 1827.<br />

Tre volumi in 12mo (13,2); graziosa legatura coeva in mezza pergamena<br />

con punte, piatti e tagli in carta marmorizzata, dorsi riccamente<br />

ornati in oro con tasselli rossi recanti il titolo sempre in oro; pp. XXI, (1<br />

bianca), 243, (1 bianca) + pp. 263, (1 bianca) + pp. 298, (2). Lievissima<br />

brunitura uniforme, mancanza all’angolo superiore esterno del titolo<br />

del terzo volume, per il resto ottima copia.<br />

PRIMA delle due edizioni “pirata”, pubblicate da Pomba a Torino<br />

all’indomani dell’uscita della prima edizione milanese dell’opera.<br />

Vismara, 6. € 1.200,00<br />

Terminata la composizione dell’Adelchi e del Cinque maggio, Manzoni nel 1821 cominciò quella di Fermo e<br />

Lucia. La prima stesura del romanzo fu condotta a compimento nel settembre del 1823. L’anno seguente<br />

Manzoni stipulò un contratto con l’editore Vincenzo Ferrario, uno dei primi a divulgare in Italia i romanzi<br />

di Walter Scott, ed ottenne l’imprimatur per la sua opera, che nel frattempo era stata rivista e aveva cambiato<br />

- 89 -


nome in Gli sposi promessi. La prima edizione de I Promessi sposi, benché rechi le date 1825-1826, fu in realtà<br />

finita nel giugno del 1827 (da cui il nome di Ventisettana con cui è universalmente conosciuta), a causa delle<br />

continue correzioni dell’autore, che pressoché ogni giorno si recava in tipografia a controllare e modificare<br />

le bozze di stampa. Il successo fu folgorante: le duemile copie della tiratura comune e le poche altre in carta<br />

velina andarono esaurite in meno di due mesi e, già a partire dal dicembre del ’27, per la disperazione del<br />

povero Manzoni, apparvero sul mercato ben otto edizioni, più o meno “pirata”.<br />

Nel luglio del 1827, insoddisfatto della lingua del romanzo, Manzoni si trasferì con l’intera famiglia a<br />

Firenze, dove presso il Gabinetto Vieusseux trovò l’aiuto che cercava per ripulire I promessi sposi dai troppi<br />

termini dialettali lombardi. La cosidetta «sciacquatura in Arno» continuò anche a Milano, dove Manzoni<br />

lavorò al suo romanzo per altri dieci anni alla ricerca di quella lingua nazionale, cui tanto agognava. Nel<br />

1840 si accordò finalmente con i tipografi Guglielmini e Radaelli per la stampa della seconda edizione. Per<br />

evitare l’eccezionale fioritura di contraffazioni che si era avuta negli anni seguenti all’edizione del 1827,<br />

Manzoni decise di pubblicare l’opera in una sontuosa veste grafica, corredata da un ricco apparato<br />

iconografico, che ne rendesse più difficile la riproduzione. Le illustrazioni furono affidate al pittore torinese<br />

Francesco Gonin, che ne realizzò la maggior parte; le restanti sono opera di Paolo e Luigi Riccardi,<br />

Massimo D’Azeglio, Giuseppe Sogni, Luigi Bisi e Federico Moia. L’edizione uscì in sottoscrizione, a spese<br />

dell’autore, ma, nonostante le ottime aspettative di quest’ultimo, l’operazione si rivelò un fiasco: delle<br />

diecimila copie tirate solo la metà fu venduta attraverso le sottoscrizioni e Manzoni ci rimise poco meno<br />

della metà del capitale investito. Per di più, nonostante le precauzioni prese, ricominciò ben presto la<br />

giostra delle contraffazioni.<br />

Quattro anni dopo Manzoni si mise d’accordo con Giuseppe Radaelli, che nel frattempo si era separato dal<br />

Guglielmini, per stampare un’edizione di Opere varie, che avrebbe dovuto affiancare quella dei Promessi<br />

sposi e che uscì anch’essa a dispense su sottoscrizione (cfr. G. Ragone, I tormenti dei «Promessi sposi», in: “I<br />

classici dietro le quinte”, Bari, 2009, pp. 177-196).<br />

122) MARENESI, Ercole Luigi (fl. metà del XIX secolo). Dizionario pittoresco della Storia<br />

Naturale e delle Manifatture ad uso della gioventù compilato sulle opere di F. E. Guerin e degli<br />

autori piu recenti da Ercole Marenesi. Milano, Borroni e Scotti, 1839-1845.<br />

Sei volumi in 8vo (cm 24,5); interessante legatura in cartone editoriale illustrato (i dorsi sono in tela,<br />

ricoperti pure essi di carta stampata, con il titolo e la numerazione del volume), taglio turchino; pp. 542, (24)<br />

con 13 tavole e 1 tabella più volte ripiegata contenente la Classificazione dei corpi naturali + pp. 754 con 23<br />

tavole + pp. 832 con 16 tavole + pp. 777 con 20 tavole + pp. 523 con 9 tavole + pp. 633, 74 (Sommario<br />

sistematico), 137 (Appendice), (1) con 14 tavole. Tutte le 95 tavole fuori testo sono incise in rame e conservano<br />

le veline protettive. Inoltre ogni volume ha un’antiporta figurata, ciascuna recante un soggetto diverso.<br />

Mancano dall’origine alcune pagine alla fine del secondo volume, contenenti probabilmente la lista dei<br />

sottoscrittori dell’opera. Come avverte una nota dell’editore, le tavole potevano essere rilegate insieme a<br />

formare un settimo volume. Superbo esemplare allo stato di nuovo.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di questo dizionario enciclopedico esemplato sull’opera del celebre entomologo<br />

francese F.E. Guérin Méneville (1799-1874), che tra il 1833 e il 1839 curò la pubblicazione del Dictionnaire<br />

pittoresque d’histoire naturelle.<br />

ICCU, IT\ICCU\UBO\1078366. CLIO, IV, p. 2840. € 1.200,00<br />

123) MARZI, Giovanni Battista (fl. alla fine del XVI secolo). La Fanciulla comedia del S. Cavalier<br />

Gio. Battista Marzi. Nuovamente posta in luce da M. Benedetto Giorgeschi. Bologna, Giovanni<br />

Rossi, [ca. 1570].<br />

In 8vo (cm 15); mezza pelle moderna con titolo in oro al dorso; pp. (16), 176. Marca tipografica al titolo.<br />

Piccolo foro nelle ultime tre carte che comporta la perdita di poche lettere, per il resto ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE (una seconda uscì sempre dai torchi del Rossi nel 1574), la cui data si ricava<br />

dalla dedica dell’autore a Costantino Bonelli, vescovo di Città di Castello. In questa dedica piena di riferimenti<br />

personali, l’autore, che era appunto originario di Città di Castello, ricorda di come, alla morte del<br />

padre, il capitano Giacomo Marzi, lui e il fratello gemello Alfonso furono accolti dal cardinale Vitellozzo<br />

Vitelli, che chiamò il Bonelli presso la propria abitazione perché si prendesse cura dei due giovani. Ricorda<br />

inoltre degli onori che il Bonelli ricevette da papa Pio IV e dei suoi importanti incarichi presso il Concilio di<br />

Trento. Racconta infine della prima messa in scena de La Fanciulla, avvenuta con gran dispendio di denari<br />

presso la casa dell’autore stesso nel 1569.<br />

La dedica del Marzi è preceduta da una lettera a lui indirizzata dell’editore G. Rossi, in cui questi chiede il<br />

- 90 -


permesso del Marzi alla pubblicazione della commedia, di cui egli aveva ricevuto il manoscritto originale<br />

da Benedetto Giorgieschi, e si scusa per gli eventuali errori di stampa.<br />

Nelle carte preliminari vi sono poi due componimenti, uno in latino, l’altro in italiano, in lode dell’autore,<br />

definito “academicum herculanum”, con riferimento probabilmente alla potente famiglia bolognese degli<br />

Ercolani, presso la quale evidentemente si svolgevano gli incontri e le riuniuni di un’accademia che ebbe<br />

breve vita, se è vero che essa non risulta neppur menzionata nel monumentale Maylender.<br />

«In Marzi’s La Fanciulla (The Little Girl, 1570?), Bucefalo, flattered by the jealousy of his companion Clarice,<br />

ignores the servant’s explanation that it will last only as long as he has enough money for her support.<br />

Desiring change, the prerogative of such great ones as himself, he schemes to compass a most noble lady,<br />

as he describes her; this is, of course, only the scullery maid Chiaretta. By scolding him for his falseness<br />

after she gave up all other men for his sake, Clarice deceives him with her suppliant speech. Stripped for the<br />

encounter with Chiaretta, Bucefalo admires his body, which painters loved to copy. Tricked, betrayed, and<br />

soundly thrashed, he shivers with cold and fear while Clarice mocks him with triumphant laughter and<br />

insolent infidelity» (D.C. Boughner, The Braggart in Renaissance Comedy: a study in comparative drama from<br />

Aristophanes to Shakespeare, Minneapolis, 1954, p. 74).<br />

Del Marzi ci rimangono anche altre tre commedie (Ottavia furiosa, Firenze, 1589; Il Bacio, Firenze, 1594; La<br />

furba, Venezia, 1607) e una tragedia (Herodiade, Firenze, 1594).<br />

Adams, M-832. Edit16, CNCE29183. Clubb, 594 (che curiosamente data l’edizione al 1621). € 1.200,00<br />

124) [MASSINI, Filippo (1559-1617)]. Lettioni dell’Estatico Insensato, recitate da lui publicamente<br />

in diversi tempi nell’Academia de gli Insensati di Perugia. Nuovamente poste in luce. In Perugia,<br />

Appresso Pietroiacomo Petrucci, 1588.<br />

Quattro parti in un volume in 4to (cm 19); mezza pergamena del XVIII secolo (angoli restaurati); pp. (8), 185,<br />

(3). Marche tipografiche sui titoli delle quattro lezioni e al verso dell’ultima carta. Leggera brunitura uniforme,<br />

frontespizio un po’ sporco, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE. Il volume comprende quattro<br />

lezioni del Massini, edite per le cure di Giovan Battista<br />

Fazio (lo Stordito) e da questi dedicate rispettivamente a G.<br />

Pelicano, Presidente di Romagna, a Giulio della Rovere, a<br />

Giulio Farnese e ad Antonio Caetani.<br />

La prima lezione, Della difesa del Petrarca intorno all’oppositioni<br />

fatteli dal Castelvetro nel suo Comento della Poetica d’Aristotele, fu<br />

letta il 25 agosto del 1582. «In a sense, Massini’s speech<br />

signifies the way in which the common topics in the Dante<br />

quarrel were being made applicable to other authors. His point<br />

of departure is Castelvetro’s attack, in the Poetica, upon certain<br />

of Petrarch’s errors; his authority for the defence in Aristotle.<br />

But his discussion turns, in large part, about the familiar loci<br />

of the contemporary polemic. He agrees with Castelvetro that<br />

the profound secrets of the sciences, especially when they are<br />

inacessible to popular understanding, should be banned from<br />

poetry. But whereas he exonerates Petrarch from the charge,<br />

he believes that Dante erred in presenting such scientific<br />

material without so much as altering the proper terms.<br />

Petrarch’s use of pagan mythology is not to be blamed… Like<br />

Dante, Petrarch frequently speaks of himself; but this is<br />

excusable in his case since he is a lyric poet. In his Trionfi,<br />

Petrarch uses the devices of the dream and of the miraculous<br />

vision. He is justified in so doing by the need to establish<br />

verisimilitude: presented as realities, the events would not be<br />

believable; but there is no reason why the poet should not propose them as the content of a dream. Massini<br />

believes that throughout these arguments he is using “an Aristotelian art of defending the poets”, since he<br />

has distinguished “errors per se” from “errors per accidente” and since he has examined them for doubt,<br />

ambiguity, amphibology, and equivocation» (B. Weinberg, A history of literary criticism in the italian<br />

Renaissance, Chicago, 1961, pp. 865-866).<br />

La seconda e la terza lezione, Della contemplazione dell’huomo estatico e Della conversione dell’huomo a Dio,<br />

prendono spunto da due sonetti di Monsig. Guidiccioni e furono lette rispettivamente il 17 gennaio del<br />

1585 e il 30 agosto del 1587.<br />

- 91 -


La quarta lezione, la più significativa, è un interessante discorso sul madrigale, recitato il 28 aprile del<br />

1581, il cui obiettivo «was to contest the assertions of Ruscelli and Minturno that the madrigal was a<br />

“regulated” poem, to deny the limitations placed upon the form by them, and to indicate how it might be<br />

thought of as belonging to the other category of “free” poems. “Regulation”, for Massini, involves fixity of<br />

subject matter, of style, of metrical pattern; for the madrigal, this means exclusive use of rustic materials (as<br />

recommended by Bembo and Minturno), treated in a low style, in eleven or twelve lines rhyming in a set<br />

way. Massini contends, on the contrary, that the madrigal is free in all these respects… Since he thinks of<br />

the madrigal as admitting any subject matter, it may thus admit any one of the styles, high, middle, or low.<br />

There are, however, preferable practices all along the line. The best subjects are the light ones, “since<br />

pleasantness is without any doubt more proper and more fitting to the very agreeable nature of this<br />

composition, which however is not at all incapable of gravity… In the verse form, the poem is “free” to the<br />

extent that it does not have a fixed number of lines, that some unrhymed lines are permitted, and that<br />

“mezzi versi” may be intermingled with “versi interi”. But Massini nevertheless sets up certain rules…<br />

Massini’s analysis represents an attempt at liberation from the rule-of-thumb poetizing which had given<br />

substance to the late medieval and early Renaissance prosodic treatises…» (Weinberg, op. cit., pp. 207-208).<br />

L’autore, giurista e poeta originario di Perugia, fu professore a Bologna, Fermo, Pisa e Pavia, nonché<br />

membro dell’Accademia degli Insensati col nome di Estatico (cfr. M. Maylender, Storia delle Accademie<br />

d’Italia, Bologna, 1926-30, III, pp. 306-311). Morì a Bologna nel 1617 (cfr. G.B. Vermiglioli, Biografia degli<br />

scrittori perugini e notizia delle opere loro, Perugia, 1829, II, p. 92).<br />

Edit16, CNCE 34384. BMSTCItalian, p. 237. € 1.200,00<br />

125) [MICHELESSI, Domenico (1735-1773)]. Memorie intorno alla vita ed agli scritti del Conte<br />

Francesco Algarotti. Venezia, Giambattista Pasquali, 1770.<br />

In 8vo (cm 17,3); bella legatura coeva in pergamena dorata con cornice ai piatti e rametto fiorito agl’angoli<br />

interni, dorso a nervetti con fregi, tassello e titolo in oro, risguardi fissi in carta azzurra marmorizzata; titolo<br />

calcografico, pp. CCV, (1), (2 di errata, inserite in un secondo momento), 2 bianche originali. Sul primo<br />

risguardo si trova la seguente nota: “Donato alla Famiglia dal Balio Conte Caprara 1770”. Ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE della prima biografia di Francesco Algarotti (1712-1764), il maggior<br />

poligrafo italiano del secolo dei lumi, patron delle arti, amico di Tiepolo e Canaletto, divulgatore delle<br />

teorie di Newton, consigliere di Augusto di Sassonia per la formazione della Pinacoteca di Dresda. Come<br />

mecenate e conoscitore, egli raggiunse una fama europea, che lo portò fino alla corte di Federico di Prussia,<br />

cui quest’opera è dedicata.<br />

L’abbate Domenico Michelessi, ascolano, fu poeta e storico. Nel 1771 si trasferì in Svezia, dove compose, tra<br />

le altre cose, un discorso inaugurale per l’Accademia svedese delle Scienze (cfr. T. Privitera, Un italiano in<br />

Svezia nel XVIII secolo: Domenico Michelessi, in: “Classiconorroena”, 3, 1994, pp. 5-8).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\UBOE\037179. € 350,00<br />

126) [MICHIEL, Marcantonio (1484-1552)] - MORELLI, Jacopo (1745-1819). Notizia d’opere<br />

di disegno, nella prima metà del secolo XVI. esistenti in Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo,<br />

Crema e Venezia. Bassano, s.e. (Remondini?), 1800.<br />

In 8vo (cm 21); legatura coeva in mezza pelle con punte, tassello e titolo in oro al dorso, taglio giallo; pp.<br />

XXIII, (1 bianca), 272. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE di questo importante documento storico-artistico, il cui manoscritto fu rinvenuto presso<br />

la Biblioteca Marciana tra le carte appartenenti ad Apostolo Zeno dall’allora bibliotecario Jacopo Morelli,<br />

che lo fece pubblicare in un numero limitato d’esemplari per le nozze Remondini-Pola. L’identificazione<br />

dell’autore si deve a Cesare Bernasconi nel 1864. Scritta prima delle opere del Vasari, la Notizia contiene<br />

preziose informazioni su importanti artisti e ci tramanda una serie di opere viste in collezioni pubbliche e<br />

private a Padova, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia, negl’anni che vanno dal 1521 al 1543.<br />

Per quanto riguarda in particolare il Giorgine, «è con la pubblicazione, nel 1800, a cura dell’abate Jacopo<br />

Morelli, bibliotecario della Marciana, della Notizia d’opere di disegno di Marcantonio Michiel, che inizia una<br />

nuova fase di studi sull’artista; i quali possono avvalersi finalmente di una serie di riferimenti antichi, o<br />

per meglio dire praticamente coevi a Giorgione, e insomma di un catalogo, forse non completo, ma di forza<br />

ineludibile, di opere che occorre ora rintracciare. Di fatto, la ricerca erudita riuscirà a identificare un buon<br />

numero di quelle citate dal Michiel nel corso di un ventennio di visite alle maggiori collezioni veneziane,<br />

dal 1521 circa (la data 1512 che appare in un passo è un lapsus calami) ai primi anni quaranta» (L. Mauro,<br />

Giorgione, Milano, 1995, prefaz.).<br />

- 92 -


«Specialmente la straordinaria ricchezza delle collezioni veneziane si manifesta in modo che non ha<br />

riscontro in altri... Un’importanza speciale, che risulta da tutto l’ambiente, ha qui la pittura dei Paesi Bassi,<br />

a tal segno che il Michiel appare una delle fonti più antiche per questo studio» (J. Schlosser Magnino, La<br />

letteratura artistica, Firenze, 1967, pp. 216 e 221).<br />

Marcantonio Michiel fu collezionista, grande conoscitore d’arte e figura chiave nel panorama della<br />

storiografia artistica del Cinquecento. Riluttante a dare alle stampe le proprie opere, pubblicò solo una<br />

descrizione storica di Bergamo (1532).<br />

Il testo originale è corredato da un ampio commento e da un utile indice degli artisti citati.<br />

Cicognara, 43 («Libro utilissimo per la ricognizione di molte opere e di molti autori»). ICCU, IT000696. E.A.<br />

Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia, 1847, nr. 4643 («Opera della più grande utilità in fatto<br />

d’arti, lodata e studiata da molti»). € 650,00<br />

GIOVANNA D’ARCO<br />

127) MICQUEAU, Jean Louis (b. ca. 1530). Aureliae urbis memorabilis ab Anglis obsidio, anno<br />

1428. Et Ioannae viraginis Lotharingae res gestae. Paris, Andreas Wechel, 1560.<br />

In 8vo (cm 15,5); legatura del XIX secolo in piena pelle, triplice filetto dorato sui piatti, dentelles interne,<br />

fregi in oro al dorso, tagli dorati, risgaurdi in carta marmorizzata; pp. 112. Alone nella parte inferiore di<br />

tutto il volume, ma copia più che buona.<br />

PRIMA EDIZIONE, che fu stampata ad Orléans da Pierre Trépérel, ma per la distribuzione a Parigi il<br />

nome del tipografo originario fu sostituito con quello di Wechel.<br />

La prima menzione di Giovanna d’Arco si trova nell’anonimo diario dell’assedio di Orléans (settembre<br />

1428-8 maggio 1429), che fu scritto da un testimone oculare degli eventi. L’originale fu pubblicato per la<br />

prima volta da J. Quichérat nella sua opera monumentale Procès de la condamnation et de la réhabilitation de<br />

Jeanne d’Arc, Dite la Pucelle, (Parigi, 1847, p. 95 e sgg.).<br />

Prima di lui, Jean Louis Micqueau, insegnante di lettere presso il College di Orléans e successivamente<br />

ministro a Sedan (cfr. E. Haag, La France Protestante, Paris, 1861, VII, p. 414), ne pubblicò questa trascrizione<br />

latina, che dedicò al suo patrono, il cardinale Carlo di Lorena. Egli ci racconta il famoso episodio di<br />

Giovanna d’Arco (ca. 1412-1431), contadina della Mosa, che convinse il Delfino (Carlo di Ponthieu, più<br />

tardi re Carlo VII) del carattere divino della sua missione e, alla fine, con un esercito di poche migliaia di<br />

uomini costrinse gli inglesi a togliere l’assedio di Orléans. Per i suoi servigi Carlo VII le concesse un titolo<br />

nobiliare. Poco tempo dopo, tuttavia, essa fu catturata e consegnata agli Inglesi, messa sotto processo a<br />

Rouen da un gruppo selezionato di clericali fautori della causa inglese, accusata di eresia e stregoneria ed<br />

infine condannata e giustiziata il 30 maggio del 1431. La sentenza fu poi revocata dal papa il 7 luglio del<br />

1456. Giovanna d’Arco è stato beatificata l’11 aprile<br />

del 1909 e canonizzata come santa il 16 maggio del<br />

1920.<br />

Adams, M-1411. A. Cioranesco, Bibliographie de la<br />

littrérature française du seizième siècle, Paris, 1959, nr.<br />

15083. E. Picot, Catalogue des livres composant la<br />

bibliothèque de feu M. Le Baron James de Rothschild, Paris,<br />

1884-1920, II, nr. 2103. € 650,00<br />

CILE<br />

128) [MOLINA, Juan Ignacio (1740-1829)].<br />

Compendio della storia geografica, naturale, e civile<br />

del Regno del Chile. Bologna, nella Stamperia<br />

di S. Tommaso d’Aquino, 1776.<br />

In 8vo (cm 19); legatura coeva in mezza pergamena con<br />

punte, dorso con tassello e titolo in oro, tagli<br />

marmorizzati; pp. VII, (1), 245, (1). Manca l’ultima carta<br />

bianca. Con inoltre una grande carta ripiegata del<br />

Cile e 10 tavole fuori testo incise in rame da Giovanni<br />

Fabbri, in parte più volte ripiegate. Macchia alle pp. 25-<br />

28, antico rinforzo lungo la piegatura delle due tavole<br />

ripiegate, leggera fioritura a tratti, ma nel complesso<br />

ottima copia genuina.<br />

- 93 -


PRIMA EDIZIONE di questa importante opera monografia sul Cile, che fu scritta in italiano e solo successivamente<br />

tradotta dall’autore in spagnolo. La versione castigliana, ampliata, apparve a Madrid tra il 1788<br />

e il 1795.<br />

Juan Ignacio Molina nacque a Guaraculen vicino Tasca nel Cile. Si formò a Santiago, dove a soli quindici<br />

anni entrò nella Compagnia di Gesù. Apprese le lingue e compose poesie, ma si dedicò soprattutto allo<br />

studio delle scienze naturali. Nel 1767 fu mandato in Italia, che divenne la sua seconda patria. Ordinto<br />

sacerdote ad Imola, divenne tutore a Bologna.<br />

Oltre alle scienze, egli s’interessò anche di storia, divenendo il maggior storiografo e geografo della sua<br />

terra. Dopo il Compendio, apparso anonimo, nel 1782, sempre a Bologna, egli pubblicò il Saggio sulla storia<br />

naturale del Chile. È invece del 1787 il Saggio della storia civile del Chile. Frutto degli studi compiuti nel Parco<br />

bolognese dei Gessi sono le Memorie di storia naturale lette in Bologna (1821). Molina morì a Imola nel 1829.<br />

Per i suoi meriti il Cile ha battezzato la città di Molina in suo onore.<br />

Palau, V, p. 207. <strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\SBLE\000166. De Backer-Sommervogel, V, col. 1165. € 1.350,00<br />

129) MONANTHEUIL, Henri de (1536-1606). Panegyricus Henrico IIII. Francor. Et Navar.<br />

Regi Christianiss. Invictiss. Clementiss. Dictus... In Schola Regia. Lutetiae Parisior. xvj.kal.Iun.<br />

M.D.XCIIII. Paris, Fédéric Morel, 1594.<br />

In 8vo (cm 16); cartonato posteriore; pp. 45, (3). Marca tipografica al titolo, armi di Enrico IV al verso del<br />

frontespizio e 2 xilografie allegoriche a piena pagina sull’ultima carta. Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo discorso, dedicato al cardinale Charles de Bourbon, che fu pronunciato<br />

il 19 luglio del 1594 presso il Collège Royal.<br />

Anche durante la Lega Monanteuil fu un fedele partigiano di Enrico IV, il quale venne incoronato nel<br />

febbraio del 1594. Un mese dopo egli conquistò Parigi e cominciò la sua opera di riappacificazione e<br />

ricostruzione del regno. La Sorbonne fece atto di sottomissione al nuovo re e promosse una dichiarazione<br />

che certificava la leggitimità della sua elezione.<br />

Alla fine del volume si trovano alcuni versi in latino e in greco del tipografo Fédéric Morel, che dal 1581 era<br />

stampatore regio ed insegnava greco presso il Collège Royal.<br />

Henri de Monantheuil, originario di Rheims, studiò dapprima presso l’università della sua città, fondata<br />

appena allora, quindi filosofia con Petrus Ramus al Collège de Presle di Parigi. Studiò inoltre medicina e<br />

divenne preside della facoltà di medicina di Parigi. Dal 1573 fino alla morte insegnò matematica al Collège<br />

Royale (cfr. L. Maierù, Filologia, epistemologia e contenuti matematici in Henri de Monantheuil circa l’angolo di<br />

contatto, in: “La matematizzazione dell’universo. Momenti di cultura matematica fra ‘500 e ‘600”, a cura di<br />

L. Conti, Assisi, 1992, pp. 105-130).<br />

Bibliothèque Nationale, Paris, no. 30961541. € 250,00<br />

STAMPATO SU PERGAMENA A MONTALTO<br />

130) MONTALTO DELLE MARCHE. Priores (populi civitatis) Montis Alti perillustri, ac<br />

reverendiss. Domino Marcolino Monsignano Forolivensi… Praesidatus Gubernatori, ac in statu<br />

Asculi, et Praefectura Nursiae contra Bannitos Commissario Apostolico. Salutem, et foelicitatem<br />

perpetuam. Montalto delle Marche, Giovanni Giubari, 1587.<br />

Documento in folio oblungo (cm 23,5x44,50) stampato su pergamena con legato il sigillo in cera della città<br />

di Montalto. Manca la capsula superiore in metallo del sigillo, che è rotto in più punti, ma completo. Piccole<br />

mancanze lungo le piegature laterali senza danno al testo.<br />

RARISSIMO documento, in copia ufficiale, con il quale i Priori della città di Montalto conferiscono la<br />

cittadinanza perpetua a Marcolino Monsignano, referendario delle due Segnature e governatore del<br />

Presidato di Montalto (AP). Sisto V, poco dopo la sua elezione, aveva infatti voluto elevare a Città il suo<br />

paese di origine, facendone la capitale di un territorio che comprendeva una decina di paesi, i quali, come<br />

lo stesso Montalto, dipendevano in precedenza da Macerata. Nel documento i Priori elogiano l’operato e i<br />

meriti del Monsignano, che in soli dieci mesi aveva, fra le altre cose, fatto erigere il palazzo della Zecca e<br />

migliorato grandemente l’importante strada che collegava Montalto al mare, prima impraticabile per carrozze<br />

e carri.<br />

Il tipografo veneziano Giovanni Giubari fu attivo a Montalto fra il 1586 e il 1590. Operò anche a Fabriano,<br />

Fermo ed Ascoli Piceno (cfr. F. Ascarelli-M. Menato, La tipografia del ‘500 in Italia, Firenze, 1989, pp. 134,<br />

199, 203 e 206).<br />

Apparentemente sconosciuto. € 1.200,00<br />

- 94 -


CON UNO SCRITTO DI FRANCESCO REDI IN PRIMA EDIZIONE<br />

131) MONTANARI, Geminiano (1633-1687). Speculazioni fisiche del dottore Geminiano Montanari<br />

modanese Professor Matematico nello Studio di Bologna Sopra gli effetti di que’ Vetri Temprati,<br />

che rotti in una parte si risolvono tutti in polvere, Esposti in due lettere… Bologna, (Emilio<br />

Maria) Manolessi, (gennaio) 1671.<br />

In 4to (cm 20,7); cartonato moderno con titolo al dorso, taglio colorato antico; pp. (12), 76 con 1 tavola<br />

calcografica fuori testo, più volte ripiegata. Inoltre con due figure in legno a tutta pagina utilizzate come<br />

finalini. Antico rinforzo al margine interno della tavola (fuori dalla parte incisa), per il resto ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di queste due lettere scientifiche di Geminiano Montanari: la prima (Sopra<br />

gli effetti delle gocciole, e vermiciuoli di vetro temprato), indirizzata al Granduca Ferdinando II, è datata 22<br />

aprile 1670; la seconda, indirizzata al nobile veneto Girolamo Savorgnano, è invece datata 31 dicembre<br />

1670.<br />

Il vetro fuso e colato nell’acqua si solidificava rapidamente, assumendo una particolare forma a goccia con<br />

una piccola coda filamentosa. Queste goccie, pur essendo in grado di restire a violenti colpi di martello,<br />

potevano facilmente frantumarsi esercitando una leggera pressione con le dita sulla loro parte più sottile.<br />

Questo particolare comportamento delle goccie di vetro suscitò ampi dibattiti sulla struttura della materia,<br />

cui presero parte aristotelici, gassendisti, cartesiani e galileiani.<br />

Proprio in seno alla scuola galileiana sorse una disputa sulla natura e la spiegazione del fenomeno dei<br />

vetri temprati tra lo stesso Montanari e Donato Rossetti, matematico livornese e lettore di logica presso lo<br />

Studio pisano. Il dibattito finì per coinvolgere anche Francesco Redi, che con la sau autorità svolse il ruolo<br />

di arbitro della contesa.<br />

L’opera si apre con l’elenco dei nomi dei presidenti e dei convittori, cui l’edizione è dedicata, dell’Accademia<br />

bolognese degli Ardenti. Alle pp. (8)-11 figura poi una prefazione al lettore di Agostino Fabri, editore<br />

delle due lettere, che egli ricevette personalmente dall’autore.<br />

Nella prefazione Fabri ricorda che Montanari si intrattene più volte a Firenze con Ferdinando II, qui<br />

celebrato come protettore delle scienze e, in particolare, di Galileo. Racconta poi che, costretto ad interrompere<br />

gli esperimenti sul vetro per problemi agli occhi causati probabilmente dall’assidua frequentazione<br />

delle fornaci, Montanari lesse alcune osservazioni in materia di Francesco Redi, che lo spronarono a<br />

proseguire le sue ricerche, indirizzandole questa volta al Savorgnano, e a farle finalmente pubblicare.<br />

Le Osservazioni del signor Francesco Redi... intorno a quelle gocciole, e fili di vetro, che rotte in qualsiasi parte, tutte<br />

quante si stritolano, riportate integralemente alle pp. 42-50, sono qui in prima edizione (cfr. D. Prandi,<br />

Bibliografia delle opere di Francesco Redi, Reggio Emilia, 1941, p. 8, nr. 31).<br />

Geminiano Montanari nacque a Modena nel 1633. Ebbe un’infanzia ed un’adolescenza piuttosto turbolente.<br />

Nel 1653 fu mandato a studiare legge a Firenze, ma dopo tre anni, inguaiatosi in una relazione con<br />

- 95 -


una nobildonna, fu costretto a riparare per alcuni mesi a Grosseto.<br />

Successivamente fu invitato a recarsi a Vienna e a Salisburgo, dove si laureò in legge e cominciò a praticare<br />

la professione forense. Nella capitale asburgica conobbe Paolo Del Buono, corrispondente dell’Accademia<br />

del Cimento e direttore della zecca imperiale, che lo introdusse allo studio della matematica e delle scienze<br />

naturali.<br />

Nel 1657 Montanari accompagnò Del Buono in un viaggio che lo portò a visitare le miniere della Stiria,<br />

della Boemia e dell’alta Ungheria. Poco dopo egli fece ritorno a Modena, entrando al servizio del duca<br />

Alfonso IV d’Este.<br />

Nel 1661 conobbe Cornelio Malvasia, comandante delle milizie ducali e grande appassionato di astronomia:<br />

era stato lui nel 1650 a segnalare al Senato bolognese il giovane Gian Domenico Cassini, che lavorava<br />

allora presso il suo osservatorio di Panzano, vicino Castelfranco Emilia.<br />

Anche Montanari seguì Malvasia a Panzano e collaborò con lui alla stesura delle sue efemeridi. Malvasia<br />

morì nel 1664, dopo essere riuscito ad ottenere per il suo protetto la cattedra di matematica a Bologna.<br />

Montanari insegnò per quattordici anni presso l’Archiginnasio e presso l’Accademia della Traccia o Accademia<br />

dei Filosofi, da lui stesso fondata.<br />

Nel 1670 si spostò a Padova, dove fu creata appositamente per lui una nuova cattedra di astronomia e<br />

meteorologia. La Repubblica di Venezia lo incaricò inoltre di sovrintendere ai corsi d’acqua, alla laguna,<br />

alle fortificazioni e all’organizzazione dell’artiglieria. Montanari morì a Padova nel 1687.<br />

Uomo estremamente versatile, abile costruttore di strumenti scientifici, egli si occupò di astronomia, di<br />

balistica, di biologia e di economia.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\VEAE\002760. <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 1588. Gamba, nr. 2017. G. Duncan,<br />

Bibliography of glass, London, 1960, nr. 8945. € 1.800,00<br />

132) MORAND, (Jean-François-Clément) (1726-1784). L’art d’exploiter les mines de Charbon<br />

de terre (seguito da:) Memoires sur les feux de Houille, ou charbon de terre. Paris, Académie<br />

Royale des Sciences, 1768-’79.<br />

Tre volumi in folio (cm 42); legatura coeva in piena pelle marmorizzata, dorso a sei nervi con ricchi fregi,<br />

tassello e titolo in oro, tagli rossi, risguardi in carta marmorizzata (qualche lieve spellatura, minimi danni<br />

alle cerniere, ma nel complesso molto ben conservata); pp. (2), XVIII, XIII, (1), 738 + (2), 739-1362, 44 + II,<br />

1363-1612. Con 79 tavole incise in rame fuori testo, di cui 3 a doppia pagina. Le tavole sono opera, tra gli<br />

altri, di Claude-Mathieu Fessard, W. Beilby, Patte, Srs. Buache, Mr. De Voglie e Fossier. Piccolo segno di<br />

tarlo nel margine interno di alcune carte del secondo volume che non tocca il testo, lieve brunitura uniforme<br />

su alcune pagine e tavole, per il resto ottima copia marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE di uno dei più importanti trattati sulla storia e la tecnica di estrazione delle miniere di<br />

carbone. Le tavole rappresentano officine, attrezzi, macchinari e prodotti finiti. Le due tavole più celebri<br />

(Appret du Charbon de Terre pour le chauffage di Fessard) costituiscono una delle prime rappresentazioni<br />

iconografiche dell’uso di blocchi di carbone per il riscaldamento.<br />

Morand, medico dell’Università di Parigi, bibliotecario dell’Académie des Sciences, ebbe importanti incarichi<br />

amministrativi nell’ambito di quell’Accademia, grazie ai suoi meriti scientifici e al suo interesse per le<br />

miniere e la metallurgia.<br />

Si tratta di una delle monografie della celebre Description des arts et métiers, pubblicazione promossa dall’Accademia<br />

delle Scienze di Parigi ed uscita fra il 1761 e il 1789 in 113 cahiers (cfr. Brunet, II, 618-619).<br />

D.C. Ward-A.V. Carozzi, Geology emerging: a catalog illustrating the history of geology (1500-1850) from a<br />

collection in the Library of the University of Illinois at Urbana-Champaign, Urbana, 1984, nr. 1607 (solamente 2<br />

volumi). Kress, 6581. € 1.800,00<br />

133) MOREL, Jean (1539-1633). In miserabilem indignamque necem Eduardi Monini funebris et<br />

panegyrica oratio, ad suos auditores classicos. Paris, Estienne Prevosteau, 1586.<br />

In 8vo; cartonato recente; cc. (12). Marca tipografica al frontespizio. Sul titolo ed in fine ex-libris manoscritto<br />

di Claude Feydeau (1560-1650 ca.), rettore del Convento della Visitazione di Moulins, datato 1588. Ottima<br />

copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di questa orazione funebre pronunciata in memoria del poeta Jean-Edouard<br />

Du Monin (1559-1586). Questi, originario di Gy (Haute-Saône), figlio di un medico, ricevette la propria<br />

istruzione a Gray e successivamente presso l’Università di Dôle. Nel 1577 si trasferì a Parigi, dove cominciò<br />

ad insegnare presso il Collège de Bourgogne. Ammirato per la sua erudizione e per la sua straordinaria<br />

padronanza delle lingue, il 5 novembre 1586 fu misteriosamente pugnalato all’interno del Collège. L’as-<br />

- 96 -


sassinio rimase irrisolto, ma suscitò vasta eco nel mondo intellettuale parigino, che vide pubblicare numerosi<br />

tombeaux in sua memoria (cfr. J.P. Barbier-Mueller, Jean Edouard Du Monin voleur de feu d’artifice. Essai<br />

biographique, in: “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, LXVI/2, 2004, pp. 311-330).<br />

Jean Morel, di umili origini, nacque ad Avègre nella Champagne e si formò a Reims. In seguito divenne<br />

insegnante di retorica a Clermont-Ferrand. Negli anni ’80 del Cinquecento si trasferì a Parigi, dove tenne<br />

lezioni presso il Collège du Cardinal Lemoine, il Collège de Bourgogne e il Collège de Calvi. Nel 1593 fu<br />

nominato decano del Collège de Reims, che divenne uno dei più fiorenti dell’Università di Parigi (cfr. J.B.<br />

Bouillot, Jean Morel, in: “Biographie Ardennaise”, Paris, 1830, II, pp. 233-256).<br />

A. Cioranesco, Bibliographie de la littérature française du 16 e siècle, Paris, 1959, p. 514, nr. 16170. € 650,00<br />

DISEGNI ARCHITETTONICI<br />

134) MORROVALLE-MACERATA. Disegno dell’ornamento, mensa e balaustrata del nuovo<br />

altare del SS. Sacramento da erigersi nella Collegiata di Morrovalle [San Bartolomeo]. Dato li 4<br />

Marzo del 1843.<br />

(insieme con:)<br />

Progetto del nuovo altare della Cappella Maggiore della Chiesa dei RR.PP. dell’Oratorio in Macerata<br />

[San Filioppo].<br />

Manoscritto cartaceo in 4to ad album (cm 27,5x21) di cc. 11 non numerate + 2 cc. non pertinenti. Legatura<br />

coeva in cartone marmorizzato (un po’ lisa, ma solida). Contenuti:<br />

C. 1r, Disegno dell’ornamento… dato li 4 marzo del 1843.<br />

Le carte 1v e 2r costituiscono un’unica pagina disegnata in verticale (cm 55): I due terzi superiori rappresentano<br />

il prospetto del cappellone e del nuovo altare; la parte inferiore la loro pianta.<br />

C. 2v, Prospetto e pianta del ciborio.<br />

C. 3r, Fianco dell’ornamento e dell’altare e spaccato o sezione dell’ornamento e dell’altare.<br />

C. 3v, Altare (fianco e prospetto).<br />

C. 4r, L’ornamento dell’altare (quadro: palmi 7x11).<br />

C. 4v bianca.<br />

Cc. 5r-6r, Abbozzi a penna e matita incompiuti.<br />

C. 6v, Prospetto del nuovo altare della cappella maggiore della chiesa dei RR.PP. dell’Oratorio in Macerata.<br />

Il disegno che mostra la pianta dell’altare è in inchiostro nero con interventi a guazzo grigio scuro.<br />

C. 7r, Reca la scritta di cui sopra e una tabella di ragguaglio fra palmi e metro.<br />

Cc. 7v-8r, Fianco e prospetto dell’altare.<br />

- 97 -


C. 9r, Prospetto dell’Altare precedente, ma molto più in forma di abbozzo.<br />

Cc. 9v-10r, Schizzi geometrici a matita apparentemente per l’ornamento dell’altare di cui sopra.<br />

C. 10v, Pianta e fianco dell’altare in bistro e guazzo grigio.<br />

C. 11r, Pianta e fianco dell’altare in bistro.<br />

I disegni che occupano le prime sei pagine (Morrovalle) sono eseguiti con inchiostro seppia chiaro e sono<br />

accompagnati da didascalie e da dettagliate misure in palmi, scritte in caratteri minuti. Essi sono di ottima<br />

qualità e compendiano in modo molto armonioso gusto classico, neoclassico e barocco.<br />

I disegni che riguardano il prospetto per l’altare di San Filippo in Macerata sono delineati con inchiostro<br />

nero (3 tavole) e bistro (2 tavole). Essi sono lievemente meno accurati, pur rimanendo sempre di ottima<br />

qualità. Anch’essi recano tutte le misure necessarie, ma questa volta espresse in metri e centimetri.<br />

Non ci è stato possibile identificare l’autore dei disegni. € 3.800,00<br />

135) NAVAGERO, Andrea (1483-1529). Il viaggio fatto in Spagna, et in Francia, dal magnifico<br />

m. Andrea Navagiero, fu oratore dell’illustrissimo Senato Veneto, alla cesarea maesta di Carlo V.<br />

Con la descrittione particolare delli luochi, et costumi delli popoli di quelle provincie. Venezia,<br />

Domenico Farri, 1563.<br />

In 8vo (cm 14,2); legatura di inizio Settecento in piena pergamena rigida con titolo manoscritto al dorso,<br />

risguardi fissi in carta marmorizzata; cc. (4, di cui l’ultima bianca), 68. Carattere corsivo. Titolo un po’<br />

sporco, ma ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo interessante, quanto poco<br />

conosciuto documento di viaggio del primo Cinquecento.<br />

Come ricorda il Farri nella dedica al marchese Lepido de<br />

Malaspini, l’autografo incompiuto dell’opera fu donato allo stesso<br />

Farri da Paolo Ramusio, il quale a suo volta lo aveva trovato tra<br />

le carte del padre Giovan Battista, morto nel 1557.<br />

Dall’epistolario del Navagero, in particolare dalle cinque lettere<br />

che dalla Spagna egli inviò all’amico Giovan Battista Ramusio<br />

tra il 1525 e il 1526 e che furono pubblicate nel 1556 all’interno<br />

della raccolta curata da Girolamo Ruscelli e intitolata Lettere di<br />

diversi autori eccellenti, emerge con chiarezza che Ramusio non fu<br />

solo il detentore per un lungo lasso di tempo dell’autografo dell’opera<br />

(il motivo del mancato inserimento di quest’ultima nella<br />

raccolta di Navigationi et viaggi, apparsa tra il 1550 e il 1559,<br />

rimane un mistero), ma anche il committente, il destinatario e<br />

forse anche il correttore della stessa. Nelle lettere a lui indirizzate<br />

compaiono infatti ampi stralci del Viaggio, in cui solo i tempi dei<br />

verbi e i pronomi di luogo vengono modificati.<br />

Appare altresì chiaro che Navagero compose, almeno a livello<br />

embrionale, un’opera che voleva porsi a metà strada fra le relazioni<br />

degli ambasciatori, che era uffialmente proibito divulgare e<br />

erano per questo molto ricercate (in questo senso egli utilizzò<br />

sicuramente propri documenti ufficiali), e la manualistica di viaggio<br />

con i suoi tipici elenchi ed itinerari; e, nello stesso tempo,<br />

intendeva rispondere alle curiosità del gruppo di umanisti con i<br />

quali era in stretto contatto e che, direttamente o indirettamente tramite il Ramusio, volevano ricevere da lui<br />

informazioni di prima mano non solo di natura geografica e politica, ma anche inerenti la botanica (in<br />

particolare per tutto quello che proveninva dal nuovo mondo), l’economia, la demografia, ecc.<br />

L’editore Farri intuì perfettamente la molteplice natura del testo e fin dal titolo (il termine Viaggio, che è<br />

nominato espressamente dal Navagero in una lettera, viene spesso sostuito nella tradizione manoscritta<br />

dal termine Itinerario), pur mettendo in primo piano l’aspetto odeoporico, volle sottolineare il ruolo diplomatico<br />

ufficiale che l’autore aveva rivestito, per attirare l’attenzione del pubblico sugli aspetti segreti che<br />

quel ruolo comportava.<br />

Il Viaggio si compone di due unità testuali ben distinte. La prima parte è il resoconto privato del viaggio<br />

compiuto dal Navagero in Spagna come ambasciatore veneto e comprende la narrazione degli eventi che<br />

vanno dalla partenza da Venezia (1 maggio 1525) fino alla ripartenza e all’arrivo alla frontiera francese (30<br />

maggio 1528). La seconda parte, più succinta, riguarda invece il soggiorno francese (egli visitò, solo per<br />

citare le città più importanti, Bordeaux, Poitiers, Amboise, Orléans, Parigi e Lyon) e il rientro a Venezia il 24<br />

- 98 -


settembre del 1528. Alla fine del volume vi è poi il “ristretto”, forse spurio, unico dei para-testi del Viaggio<br />

a comparire tanto nell’edizione a stampa quanto nella tradizione manoscritta.<br />

L’opera è ricchissima di notizie geografiche, cartografiche, fisiche, botaniche, zoologiche, ittiologiche, climatiche,<br />

etniche, urbanistiche, artistiche, archeologiche, epigrafiche, storiche, demografiche, economiche,<br />

finanziarie e linguistiche. Nella descrizione di Siviglia, per esempio, sulla scia degli interessi per il nuovo<br />

mondo dei sodali Fracastoro e Ramusio, Navagero si sofferma sugli oggetti, gli animali, le piante e gli<br />

uomini che d’oltreoceano entravano in Europa attraverso la porta d’accesso della città andalusa (cfr. I.<br />

Melani, Per non vi far un volume. Andrea Navagero, gli amici tutti e la costruzione di un Viaggio: testi, contesti,<br />

mentalità, in: “Rivista storica italiana”, vol. 119, nr. 2, 2007, pp. 515-604; R. Norbedo, Per l’edizione dell’Itinerario<br />

in Spagna di Andrea Navagero, in: “Lettere italiane”, LII, 2000, pp. 58-73; C. Griggio, Andrea Navagero e<br />

l’Itinerario in Spagna (1524-1528), in: “Miscellanea di studi in onore di Marco Pecoraro”, Firenze, 1991, vol.<br />

I, pp. 153-178).<br />

Andrea Navagero, membro del patriziato veneziano, nel 1504 entrò a far parte del Maggior Consiglio,<br />

mentre ancora perfezionava gli studi classici cominciati sotto Marco Antonio Sabellico e poi terminati a<br />

Padova sotto Marco Musuro. Presso l’ateneo patavino, insime a Girolamo Fracastoro e Luca Gaurico, egli<br />

seguì anche i corsi di Pietro Pomponazzi.<br />

Filologo, umanista ed apprezzato grecista (Ariosto lo nomina insiene al Musuro e al Lascaris tra i massimi<br />

cultori della lingua di Omero), Navagero collaborò a Venezia con Aldo Manuzio, per conto del quale curò<br />

l’edizione di alcuni classici latini, tra cui Cicerone, Quintiliano, Virgilio, Lucrezio e Orazio. Durante il<br />

soggiorno in Spagna egli raccolse vari codici, dai quali trasse nuove lezioni che furono pubblicate postume<br />

(postille a Cicerone e Terenzio, edite da Pier Vettori nel 1534). Nel 1516 fu nominato custode della biblioteca<br />

di San Marco e storiografo ufficiale della Serenissima. La sua storia di Venezia, che avrebbe dovuto continuare<br />

quella del Sabellico, rimase tuttavia a livello di abbozzo ed è andata quasi integralmente perduta.<br />

Il 14 luglio del 1524 Navagero fu nominato, insieme ad Alvise Priuli, ambasciatore dapprima a Madrid,<br />

dove prendeva il posto di Gasparo Contarini, e successivamente in Francia. Il periodo della sua ambasceria<br />

fu particolarmente delicato perché egli dovette gestire la difficile situazione creatasi dopo la disfatta<br />

francese di Pavia (25 febbraio 1525), durante la quale il re e la nobiltà di Francia furono fatti prigionieri<br />

dalle armate imperiali.<br />

Egli fu amico e sodale di Pietro Bembo, Trifone Gabriele, Mario Equicola, Aldo Manuzio (che gli dedicò il<br />

proprio Pindaro del 1513), Giovanni Battista Ramusio, Girolamo Fracastoro, Gasparo Contarini, Baldassarre<br />

Castiglione (anch’egli in missione diplomatica in Spagna negli stessi anni) e Agostino Boeziano, insieme<br />

al quale fu ritratto in un celebre dipinto di Raffaello.<br />

All’indomani della sua morte, che avvenne a Blois nel 1529, si diffuse la voce che Navagero avesse dato alle<br />

fiamme tutte le sue opere. Dal rogo si salvò solo quello che egli aveva lasciato a Venezia prima di partire per<br />

la Francia e che fu successivamente pubblicato dagli amici umanisti. Nel 1530 apparve una prima raccolta<br />

di carmina, tra cui il celebre Lusus. Nel 1545 fu dato alle stampe un piccolo nucleo di sue liriche all’interno<br />

delle Rime di diversi edite da Giolito nel 1545. La prima edizione completa delle sue opere apparve tuttavia<br />

a Padova solo nel 1718.<br />

Navagero fu veicolo d’introduzione in Spagna della lirica petrarichista di matrice bembiana ed ebbe diretta<br />

influenza su autori come Garcilaso de la Vega e Juan Boscàn. Inoltre egli fu forse il traduttore in volgare<br />

del Sumario de la natural y general historia de las Indias di Gonzalo Fernandez de Oviedo, pubblicata dal<br />

Ramusio nel 1534, e delle Decadi di Pietro Martire d’Anghiera.<br />

Edit16, CNCE49467. BMSTCItalian, p. 462. € 5.500,00<br />

«CLASSIC WORK, THE FIRST GENERAL TREATISE ON GLASS-MAKING» (DUNCAN)<br />

136) NERI, Antonio (1576-1614). L’Arte Vetraria distinta in libri sette... Ne quali si scoprono,<br />

effetti meravigliosi, et insegnano segreti bellissimi, del vetro nel fuoco et altre cose curiose. Firenze,<br />

Nella Stamperia dei Giunti, 1612.<br />

In 4to (21); pergamena semirigida coeva con titolo manoscritto al dorso (molto ben conservata); pp. (6), 114,<br />

(6) con marca tipografica al titolo e vari capilettera in legno. Fioriture marginali e leggere bruniture, ma<br />

ottima copia genuina e marginosa.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, dedicata a Don Antonio Medici, del primo libro concernente l’arte vetraria, che<br />

venne più volte ristampato nel corso del secolo e tradotto in varie lingue (cfr. Zecchlin, L. Il libro di prete Neri:<br />

in “Vetro e Silicati”, 7 (1963), pp. 17-20). L’opera, che si articola in sette libri, tratta per lo più della colorazione<br />

e della smaltatura del vetro ad imitazione delle pietre preziose. Molti dei segreti della fabbricazione<br />

del vetro e molte delle formulazioni per creare gemme artificiali sono riportati qui per la prima volta: è il<br />

Neri stesso nella dedica a ricordare che molti di essi siano di sua invenzione. Di grande interesse anche la<br />

- 99 -


prefazione Al curioso lettore, che elogia il vetro, la sua utilità, le<br />

sue applicazioni (sulla tavola: bicchieri, vasi, brocche, ecc.; in<br />

medicinina e chimica: alambicchi, fiale, ampolle, occhiali, ecc.;<br />

nella distillazione; nei monili; e così via) e ne rintraccia le origini<br />

nell’antichità (cfr. F. Abbri, Introduzione, in: “A. Neri, Arte<br />

vetraria”, Firenze, 2001).<br />

Neri fu il primo a realizzare il vetro con il piombo, insegnando<br />

come calcinare il rame usato per la colorazione in rosso e come<br />

utilizzare i residui dell’evaporazione di una soluzione di oro in<br />

acqua regia per la colorazione violacea. Grazie alle sue scoperte<br />

i vetri veneziani divennero famosi in tutto il modo.<br />

«He recommended that glass be made from rocchetta (a fairly<br />

pure sodium sesquicarbonate from the Near East) and tarso,<br />

which he described as a kind of marble but which must have<br />

been some form of silica» (D.S.B., s.v.).<br />

«A work on colouring glass and making artificial gems… both<br />

emphasized experimental method and stressed secrecy and<br />

marvelous results» (L. Thorndike, A History of Magic and<br />

Experimental Science, New York, 1958, VII, pp. 249-250).<br />

A. Neri, un prete originario di Firenze, figlio pare di un medico,<br />

prima di stendere la sua opera, visitò personalmente le vetrerie di<br />

Murano e di Anversa, città dove rimase per lungo tempo, risiedendo<br />

presso la casa dell’amico portoghese Manuel Ximenes.<br />

Cicognara, 1726. Wellcome, 4526. G. Duncan, Bibliography of<br />

glass, London, 1960, 9299. € 10.000,00<br />

137) NEUENAHR, Hermann von (1492-1530). De Gallia Belgica, commentariolus. Antwerpen,<br />

Christophe Plantin, 1584.<br />

In 8vo (cm 15,5); cartonato posteriore; pp. 29, (3). Marca tipografica<br />

al titolo. Ex-libris a stampa e timbro della Mecklenburgische Ritter<br />

und Landschaft Bibliothek di Rostock. Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE, apparsa postuma, di questa breve descrizione<br />

storico-geografica, scritta in forma di lettera e indirizzata a<br />

W. Pirckheimer, della Gallia belgica romana, ossia le regioni renane<br />

da Basilea alle Fiandre, comprendendo anche la zona della Mosella<br />

e l’Alsazia.<br />

Hermann von Neuenahr, figlio del conte Wilhelm von Manderscheid,<br />

studiò presso l’Università di Colonia sotto Johannes Caesarius, con<br />

il quale nel 1509 compì un viaggio in Italia. Al ritorno fu eletto<br />

prevosto di Aquisgrana e nel 1524 arcidiacono del capitolo di Colonia<br />

e cancelliere dell’Università. Sostenitore di Johannes Reuchlin,<br />

nel 1518 pubblicò una raccolta, che comprendeva lettere di sua mano,<br />

di Hermann von dem Busche e di Ulrich von Hutten. Amico e corrispondente<br />

di Erasmo, per il suo elevato rango sociale Neuenahr divenne<br />

una figura di riferimento per molti umansti di area germanica.<br />

Morì prematuramente durante la Dieta di Augusta, dove si trovava<br />

in rappresentanza della diocesi di Colonia (cfr. C.G. Nauert, Graf<br />

Hermann von Neuenahr and the Limit of Humanism in Cologne, in:<br />

“Historical Reflections”, XV, 1988).<br />

L.Voet, The Plantin Press (1555-1589), Amsterdam, 1981, IV, pp. 1636-<br />

1637, nr. 1759. J. Machiels, Catalogus van den boecken vor 1600, Gent,<br />

1979, D-255. BMSTCDutch, p. 63. € 600,00<br />

138) NOCI, Carlo (fl. fine del XVI secolo). La Cinthia favola boscareccia. Napoli, Orazio Salviani<br />

per Giovanni Giacomo Carlino e Antonio Pace, 1594.<br />

In 4to (cm 20); pergamena floscia coeva; pp. (8), 176. Marca tipografica al titolo. Leggere fioriture, ma ottima<br />

copia.<br />

- 100 -


PRIMA EDIZIONE di questo dramma pastorale ispirato<br />

all’Aminta di Torquato Tasso, di cui Noci era un grande ammiratore.<br />

Ristampato per due volte nel corso del Cinquecento, esso è<br />

dedicato al celebre pittore napoletano Giovanni Battista<br />

Caracciolo, seguace di Caravaggio.<br />

La trama racconta del ritorno di Cinthia, che, travestita da ragazzo,<br />

rende visita dopo quattro anni al suo amato Silvano, il quale,<br />

si vocifera, si sarebbe innamorato di un’altra donna. La favola del<br />

Noci costituisce una fonte diretta di The Queenes Arcadia (1606) di<br />

Samuel Daniel (cfr. J. Lawrence, “Who the devil taught thee so much<br />

Italian”: Italian language learning and literary imitation in early modern<br />

England, Mancester, 2005, p. 103).<br />

«Questo testo del Noci si presenta non come un esempio di mescolanza<br />

di generi e modi, come accadde nella ricercata ‘mistione’<br />

della Mirtilla [di Isabella Andreini], quanto invece come esempio<br />

di indicazione, più o meno esplicita, dei modelli stessi che presiedono<br />

alla codificazione della letteratura pastorale: insomma, quasi<br />

un ideale riepilogo dei principali luoghi di quella tradizione, che<br />

accompagna in filigrana il pur ben organizzato percorso diegetico<br />

della favola» (cfr. G. Distaso, Esempi di favola pastorale in area meridionale<br />

fra modelli di scrittua, polemiche letterarie ed echi parodici, in:<br />

“Teatro, scena, rappresentazione dal Quattrocento al Settecento”,<br />

a cura di P. Andrioli, G.A. Camerino, G. Rizzo e P. Viti, Lecce,<br />

2000, p. 239).<br />

Poco si sa della vita del poeta Carlo Noci. Presso la corte del principe<br />

di Conca, di cui era originario, egli conobbe Torquato Tasso e Giovanbattista Marino, che a quell’epoca,<br />

ancora giovanissimo, svolgeva le mansioni di segretario (cfr. C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli<br />

scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, 1844, p. 408).<br />

Edit16, CNCE 23579. M. Bregoli Russo, Renaissance Italian Theater, Firenze, 1984, nr. 430. N. Brindicci, Libri<br />

in scena: editoria e teatro a Napoli nel secolo XVII, Napoli, 2007, p. 139. € 1.350,00<br />

139) Beatae Mariae Virginis OFFICIUM. Venezia, Giovanni Battista Pasquali, 1740.<br />

In 12mo (cm 13,1); graziosa legatura coeva in piena pelle con ricchi fregi in oro sui piatti e sul dorso,<br />

risguardi fissi in seta, tagli dorati (minimi danni alle cerniere); pp. (40), 427, (5) con antiporta, vignetta sul<br />

titolo, 15 tavole nel testo a piena pagina e 20 finalini incisi in rame da Marco Alvise Pitteri (1702-1786) su<br />

disegni di Giovanni Battista Piazzetta (1683-1754). Testo inciso da Angela Baroni. Ex-libris a stampa<br />

Guido Ringler. Lievi aloni marginali lungo gran parte del volume, piccolo strappo all’angolo inferiore<br />

esterno di una carta senza danno al testo, ma nel complesso ottima copia ben rilegata e conservata in<br />

astuccio moderno di piena pelle con impressioni e titolo in oro sul dorso.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di uno dei migliori esempi della sensibilità illustrativa del Piazzetta e di uno dei<br />

più pregevoli figurati veneziani del Settecento.<br />

«Il gioiello più gentile del bibliopola Pasquali è l’Officium Beatae Mariae Virgins stampato nel 1740 per<br />

incarico del ricco negoziante Caime che il libretto ha fatto imprimere in segno di devota gratitudine verso<br />

la Regina Celeste alla quale di tanti benefici si confessa debitore. Il libretto è prezioso sotto ogni aspetto,<br />

essendo il risultato dell’armonica collaborazione di Giovanni Battista Piazzetta e di Marco Pitteri, due<br />

artisti che in quel momento sono i più perfetti rappresentanti della pittura e dell’incisione veneziana. Ben<br />

trentasette sono i disegni di G.B. Piazzetta inclusi nelle pagine che Angela Baroni labore improbo, precisa e<br />

ammirevole, scolpì ad una ad una. Come sempre il vivace pittore è prodigo di audaci scorci, di ardite<br />

luminosità e di quella sensibilità psicologica che fa di lui il pittore più religioso di Venezia, come appare<br />

evidente dalle tavole della Cena degli Apostoli e di Re David. Marco Pitteri con questa traduzione fedele ed<br />

amorosa di originali tanto difficili da interpretare, inizia quella felice collaborazione con il Piazzetta che<br />

solo la morte poteva spezzare quattordici anni più tardi. La forma e il pensiero del pittore nel rievocare gli<br />

episodi della vita della Madre di Dio sono fedelmente interpretati; la delicatezza di taglio giustifica in<br />

pieno l’accuratissima diligentia lodata dall’editore… La raccolta dei rami dell’Officium Beatae Mariae Virgins<br />

deve in seguito essere passata in possesso di Giuseppe Remondini, e il graziosissimo libretto ebbe una<br />

larghissima diffusione grazie l’accorta intraprendenza del valoroso bassanese che nel catalogo edito nel<br />

1761, lo ricorda per ben sei volte, in edizioni in 16 e in 32…» (G. Morazzoni, Il libro illustrato veneziano del<br />

Settecento, Milano, 1943, pp. 115-116).<br />

- 101 -


<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\PUVE\008510. Morazzoni, op. cit., p. 215. T. Gasparrini Leporace, Il libro illustrato<br />

nel Settecento a Venezia, Venezia-Milano, 1955, nr. 56. € 2.500,00<br />

140) OLDRADI, Angelo degli (1525-?). Capitoli piacevoli sopra varii soggetti. [Roma, Valerio<br />

e Luigi Dorico, ca. 1550].<br />

In 8vo (cm 13); legatura degli inizi del XX secolo in piena pelle, duplice filettatura in oro ai piatti, titolo in<br />

oro lungo il dorso, dentelles interne, risguardi in carta marmorizzata, tagli dorati (piccola porzione del<br />

dorso e cerniera anteriore restaurate); cc. (20). Marche tipografiche al titolo ed in fine (cfr. Zappella, 941 e<br />

474). Carattere corsivo. Ottima copia.<br />

RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE dedicata dall’autore<br />

a Francesco Merenda da Forlì. Il volume comprende<br />

quattro capitoli. Il Capitolo del Manto delle donne Romane,<br />

detto da loro Lenzuolo d’ammantare, et vulgarmente chiamato<br />

Batticulo descrive ed loda il tipico manto portato dalle donne<br />

romane, che viene messo a confronto con la moda delle<br />

donne fiamminghe, tedesche, lombarde, veneziane, ecc. Il<br />

Capitolo de lo Specchio è un divertente elogio dello specchio<br />

e dei suoi possibili usi, tra i quali vi è anche la beffa, esemplificata<br />

in due divertenti e scherzose storielle. Il Capitolo<br />

del Cocchio e il Capitolo del Sonaglio tessono le lodi del<br />

cocchio, una carro coperto molto diffuso all’epoca, e del<br />

sonaglio, o campanello, che veniva messo al collo dei bambini<br />

e degli animali, o alla caviglia delle donne.<br />

L’Oldradi nacque a Roma nel 1525 da una famiglia originaria<br />

di Chiavenna. Forse appartenente alla Congrega dei<br />

Rozzi, lavorò per Valerio Dorico alla preparazione di edizioni<br />

in caratteri etiopici (cfr. V. Romani, La stampa del N.T.<br />

in etiopico (1548-49). Figure e temi del Cinquecento romano, in:<br />

“Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco<br />

Barberi”, a cura di G. De Gregori e M. Valenti, Roma,<br />

1976, p. 484). Oltre a traduzioni e piccole pubblicazioni<br />

d’occasione, di lui abbiamo anche un Capitolo del pallamaglio<br />

(1552), due commedie (Il poeta, 1549 e L’hortolana, 1550),<br />

due favole pastorali (Cura d’amore, 1549 e Desiata pace, 1547)<br />

e una Philomena cioè amorose querele (1550). Tutte queste opere furono stampate a Roma da Valerio e Luigi<br />

Dorico.<br />

«One assumes that Oldradi had money of his own, and that he had taken a course of instruction in the<br />

exotic Ethiopian and Chaldean languages probably among certain Oriental or African scholars connected<br />

with the Vatican…; it seems to me that the whole career of Angelo Oldradi would repay further investigation.<br />

He was remarkably versatile and very much of a pioneer. It is only to be lamented that he fell a victim of<br />

scrofula, probably at the age of about forty. Anyone who wrote popular little plays in his own language,<br />

composed and signed news-letters, and at the same time acted as a typographical compositor in exotic<br />

languages, was, to say the least, rather out of the ordinary» (D.E. Rhodes, Ortensia and Hortolana: with notes<br />

on Angelo degli Oldradi, in: “Gutenberg Jahrbuch”, 71, 1996, p. 98).<br />

Edit16, CNCE56844. BMSTCItalian, p. 473. F. Barbieri, I Dorico, tipografi a Roma nel Cinquecento (1526-1572),<br />

in: “La Bibliofilia”, LXVII, 1965, p. 137. € 2.800,00<br />

141) OLINA, Giovanni Pietro. Uccelliera, overo discorso della natura e proprietà di diversi uccelli<br />

e in particolare di que’ che cantano, con il modo di prendergli, conoscergli, allevargli e mantenergli<br />

e con le figure… intagliate in rame da Tempesta e Villamena… Roma, Michelangelo Rossi,<br />

1684.<br />

In 4to grande (cm 25,5); legatura recente in marocchino rosso, dorso a cinque nervi con titolo in oro,<br />

risguardi in carta marmorizzata; cc. (5), 60, pp. 61-62, cc. 63-68, pp. 69-77, (13). Frontespizio figurato e 66<br />

incisioni a piena pagina raffiguranti diversi tipi di uccelli, scene di caccia con varie tecniche e scene<br />

conviviali. Ottima copia.<br />

SECONDA EDIZIONE che presenta alcune tavole differenti rispetto alla prima edizione, che uscì nel<br />

- 102 -


1622 in tre diverse tirature. L’opera descrive molto accuratamente<br />

quarantacinque specie di uccelli ed i modi<br />

di prenderli e conservarli.<br />

«Veramente pregevoli sono le 66 figure che rappresentano<br />

diversi generi di uccelli e curiose vignette e scenette<br />

sul modo di cucinarli, cacciarli, ecc. Il disegno di queste<br />

figure si distingue per l’eleganza e la naturalezza…<br />

Edizione più bella per l’impressione che non l’edizione<br />

originale» (Vinciana, 146).<br />

Le tavole sono opera di Antonio Tempesta, Francesco<br />

Villamena e Vincenzo Leonardi. L’edizione fu voluta<br />

dal grande erudito e amatore d’arte Cassiano dal Pozzo,<br />

le cui armi sono riprodotte sul frontespizio. Firmata<br />

dal suo ‘maestro di casa’ Giovanni Pietro Olina e destinata<br />

alle ricerche naturalistiche dell’Accademia dei<br />

Lincei, l’Uccelliera è la prima impresa editoriale di<br />

Cassiano dal Pozzo.<br />

L’Olina è considerato l’inventore della caccia “a<br />

ragnaja”.<br />

Di notevole interesse un Avviso a chi legge posto al verso<br />

della carta di indice, nel quale viene precisato che alcuni<br />

disegni, in quanto trovati non perfettamente rispondenti<br />

al vero, furono ridisegnati con più precisione da<br />

Vincenzo Lionardi dopo che il discorso ad essi relativo<br />

era già stato stampato: la precisazione ha lo scopo di<br />

chiarire al lettore eventuali incongruenze tra il testo e l’immagine.<br />

Cicognara, 2072. Ceresoli, 386. Nissen, 693. Gamba, 2039. € 4.500,00<br />

LE BIZZARRE MEMORIE DI UN ABATE VENEZIANO<br />

142) OLIVIERI, Antonio (n. 1667). Enciclopedia morale,<br />

e civile della vita costumi ed impegni di religione<br />

dell’Abbate Antonio Olivieri dedicata all’Eminentissimo<br />

Cardianl Olivieri. Cosmopoli [i.e. Venezia], 1724.<br />

In 8vo (cm 16); cartonato originale; pp. 119, 1 bianca. Con il<br />

ritratto dell’autore inciso in legno a piena pagina in antiporta.<br />

Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di «questo curioso libretto, scritto<br />

in dialetto frammischiato di veneziano, di toscano, di<br />

turchesco. L’Olivieri era nato a Costantinopoli, ma di origine<br />

veneziana» (E.A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana,<br />

Venezia, 1847, nr. 3497).<br />

L’autore, che nel 1725 produsse anche un’Aggionta all’Enciclopedia<br />

morale, e civile (Mantova, pp.60), descrive in modo<br />

bizzarro la propria esistenza. Dal momento che egli passò<br />

molti anni a Costantinopoli, l’opera contiene curiose notizie<br />

sui Turchi e sui rapporti commerciali e politici fra Venezia e<br />

l’Impero ottomano.<br />

La narrazione, piuttosto confusa a causa dei molti dettagli<br />

insignificanti, è interessante proprio per questa sua<br />

puntigliosa descrizione della quotidianità dell’autore.<br />

Sull’Olivieri vedi P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori. Studio<br />

bio-bibliografico, Roma, 1927, p. 262.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\BVEE\061749. OCLC, 258106589.<br />

€ 580,00<br />

- 103 -


143) [PAGNINI, Decio (librettista)-SESTI, Domenico (librettista)-PUCCINI, Giacomo (1712-<br />

1781, compositore)-TOMEONI, Pellegrino (1721-1816, compositore)-PARAGLI, Battista<br />

Salvatore (compositore)]. Dione siracusano. Dramma per musica da rappresentarsi<br />

nella…Rinovazione de’Comizi di Lucca L’anno MDCCL. Lucca, Filippo Maria Benedini, (1750).<br />

In 4to (cm 21); cartoncino giallo originale (manca il piatto posteriore); pp. 47, 1 bianca. Alone d’umidità<br />

nell’angolo superiore esterno delle prime carte, ma ottima copia. Un po’ sciolto.<br />

Questo dramma per musica, che non sembra aver lasciato traccia di sé anche nei repertori più specialistici,<br />

è di sicuro interesse per essere, uno dei tre compositori, quel Giacomo Puccini che fondò la dinastia di<br />

maestri di cappella in San Martino a Lucca e che si sarebbe estinta col grande operista morto nel 1924.<br />

L’opera è il prodotto dell’ingegno di due librettisti e tre compositori.<br />

Rarissimo. OCLC, 62504181 (Houghton Library). € 350,00<br />

144) PALINGENIUS STELLATUS, Marcellus (Pier Angelo Manzolli, ca. 1500-1540).<br />

Zodiacus vitae, hoc est, de hominis vita, studio ac miribus optime instituendis Libri XII... opus mire<br />

eruditum, planeq(ue) Philosophicum: nunc denuo longe quam antea cum emendatius, tum diligenter<br />

excusum. Basel, [Robert Winter], settembre 1537.<br />

In 8vo (cm 15,5); legatura coeva in piena pelle con ricche decorazioni floreali impresse a secco, dorso a tre<br />

nervi (porzione inferiore del dorso abilmente restaurata, mancano i legacci); pp. (88), 387, (1 bianca).<br />

Mancano le ultime 2 carte bianche. Antiche firme di appartenenza al titolo e numerose sottolineature e<br />

annotazioni, sia nel margine che sul risguardo posteriore (probabilmente una copia di studio). Leggere<br />

fioriture, qualche lieve alone marginale, ma ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE DATATA e prima edizione fuori dall’Italia, dove fu stampata la prima ed unica volta<br />

da Bernardino dei Vitali a Venezia senza data (con ogni probabilità nella seconda metà del 1536). L’opera,<br />

dedicata a Ercole II d’Este, fu composta fra il 1520 e il 1534 e ottenne l’imprimatur dalle autorità veneziane<br />

nel febbraio del ‘35. Dopo la morte del Palingenio, che avvenne sicuramente prima del ‘51 quando Lilio<br />

Gregorio Giraldi pubblicò i suoi Dialogi duo de poetis nostrorum temporum, nei quali a p. 95 fa menzione<br />

dell’esumazione e del rogo del corpo del Palingenio «ob impietatis crimen», lo Zodiacus Vitae fu dichiarato<br />

eretico e inserito nell’Index del 1558 a causa dell’empietà delle dottrine e dell’aspra critica del clero. Per<br />

questo motivo il poema ebbe molto successo nei paesi protestanti, mentre in Italia fu letto solo da pochi<br />

liberi pensatori come Giordano Bruno. Esso andò incontro a ben sessanta edizioni e a numerose traduzioni:<br />

tra queste la versione inglese realizzata fra il 1560 e il 1565 da Banabe Googe divenne ben presto un testo<br />

scolastico dell’età elisabettiana.<br />

Lo Zodiacus Vitae, un poema didattico in esametri lungo circa diecimila versi, si divide in dodici libri,<br />

ciascuno dei quali porta il nome di un segno dello zodiaco. Esso sintetizza e si rifa a diverse filosofie,<br />

spaziando dal Neoplatonismo a Lucrezio, da Ficino all’Ermetismo, ed è rimarchevole non solo come<br />

prodotto del pensiero italiano nell’età della Riforma, ma anche per le sue qualità poetiche.Il motivo principale<br />

del trattato è il raggiungimento della virtù: la bontà è superiore al sapere, ma bisogna aspirare a<br />

possedere entrambe, e il “summum bonum” non si identifica col possesso di ricchezze. Il libro III introduce<br />

la figura di Epicuro come avvocato del Piacere, contro cui l’autore scaglia i suoi strali, mostrando le male<br />

conseguenze che comporta. Col libro IV l’argomento principale diventa l’amore e il comportamento civile<br />

in generale. Il libro V tratta invece della vera felicità e della natura di Dio. Nel VI il poeta si confronta con la<br />

morte, la quale è un qualcosa che non va temuto, ma piuttosto accolto con benevolenza. A partire dal libro<br />

VII Palingenio sposta il suo interesse verso la contemplazione delle cose celesti, parla della natura dell’universo<br />

e affronta temi come il fato, il libero arbitrio e la divina provvidenza. Nel libro IX il poeta si eleva al di<br />

sopra delle cose terrene e dimostra come il male si generi dall’errore e dall’ignoranza umana. Il libro X<br />

riguarda la preparazione della mente alla contemplazione delle cose celesti ed discute della pietra filosofale,<br />

la cui scoperta può verificarsi solo grazie ad un atto di necromanzia. Nel libro XI Palingenio descrive<br />

minuziosamente il cielo secondo il sistema tolemaico e discute diverse teorie sull’origine e lo sviluppo<br />

dell’universo. Infine il libro XII conclude l’opera con la visione della vita spirituale al di là del cielo, alla<br />

quale solo pochi possono aspirare (cfr. F.S. Ryle, Fate, Free Will and Providence in the ‘Zodiacus Vitae’ of<br />

Marcello Palingenio Stellato, in: “L’uomo e la natura nel Rinascimento”, Milano, 1996, pp. 209-226).<br />

I primi filosofi che presero seriamente in considerazione questo poema furono G.C. Scaligero nelle sue<br />

Poetices (1561) e Giordano Bruno nel libro VIII del suo Immenso (1591), dove egli discute le idee cosmologiche<br />

del Palingenio, mentre alcuni passaggi di quest’opera risultano essere delle vere e proprie parafrasi di<br />

parti dello Zodiacus Vitae (cfr. L. Keller, Palingène, Ronsard et Du Bartas, Bern, 1974, pp. 10-11).<br />

J. Facciolati nelle sue Epistolae latinae (Padova, 1785) sostiene che il nome Marcello Palingenio non sia altro<br />

che l’anagramma di Pier Angelo Manzolli, cognome affatto comune nella Ferrara di quel tempo. Stellato<br />

- 104 -


deriverebbe invece dal distretto chiamato La Stellata vicino Bondeno, una ventina di chilometri a nordovest<br />

della capitale estense. Riferisce inoltre che il Palingenio visse per un certo periodo a Roma, che ebbe<br />

rapporti con il circolo eterodosso di Renata di Francia a Ferrara e che praticò la medicina nei dintorni di<br />

Rimini.<br />

Tuttavia oggi si considera più probabile che il Manzolli fosse originario di Napoli, dal momento che<br />

l’imprimatur dello Zodiacus Vitae nomina «Marcellus Stellatus Neapolitanus». Oltre all’anagramma, egli<br />

utilizza anche un acronimo ad apertura del poema, in cui le lettere inziali dei primi ventinove versi formano<br />

la sua firma, «Marseilles Palingenius Stellatus» (cfr. F. Bacchelli, Note per un inquadramento biografico di<br />

Marcello Palingenio Stellato, in: “Rinascimento”, 2/XXV, 1985, pp. 275-292).<br />

VD-16, M-852. G. Borgiani, Palingenio Stellato, Città di Castello, 1912, p. 211. P. Bietenholz, Der italienische<br />

Humanismus und die Blütezeit des Buchdrucks in Basel, Basel, 1959, pp. 82-83. L. Cantamessa, Astrologia,<br />

Firenze, 2007, nr. 2744. € 3.800,00<br />

145) PAOLINI, Fabio (ca. 1535-1605). Centum fabulae ex antiquis Scriptoribus acceptae, et<br />

Graecis, Latinisq(ue) Tetrastichis Senarijs explicatae… Gabriae Graeci fabulae. Musaei Leander, et<br />

Hero. Galeomyomachia Incerti. Sybillae Vaticinium de Iudicio Christi. Batrochomyomachia [sic]<br />

Homeri… latinis versibus è graeco conversa. Venezia, Eredi di Francesco Ziletti, 1587.<br />

Cinque parti in un volume in 12mo (cm 13); mezza pelle rossa del primo Ottocento, dorso con titolo e fregi<br />

in oro; pp. 214 (con errori di numerazione), (2 bianche). Con 143 vignette in legno nel testo (in parte<br />

ripetute). Marche tipografiche ai titoli. A tratti un po’ fiorito, ma ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo testo didattico compilato dall’autore<br />

per gli studenti delle Scuole veneziane in cui insegnava. L’opera<br />

si compone di sei parti. Tutte si aprono con frontespizio e dedica<br />

propri, tranne i Carmina Sybillae.<br />

Le prime due parti comprendono rispettivamente cento favole da Esopo<br />

e quarantatre favole da Gabria (o Babrio) Graecus (II secolo d.C.), autore<br />

di versioni in metro coliambico di favole esopiche preesistenti. Ogni<br />

pagina è composta dalla vignetta che illustra l’episodio narrato, dal<br />

testo greco (composto a sua volta dal titolo della favola, da quattro<br />

versi, dal titoletto che introduce “la morale” e dal verso finale contenente<br />

la morale vera e propria) e dal testo della traduzione latina.<br />

Nelle dediche della prima e della seconda parte, rispettivamente ai tre<br />

accademici patavini Aloisio Giorgi, Giovanni Micheli e Lorenzo Prioli,<br />

ed a Lorenzo Massa, il Paolini ricorda di aver deciso di riassumere in<br />

versi bilingui una centinaio di favole esopee con lo scopo di istruire i<br />

giovani, fornendo loro una lettura edificante e nello stesso tempo facile<br />

da memorizzare, data la brevità dei testi e della morale espressa in<br />

un solo verso («ut unico versiculo sensum omnem complecterer, quo<br />

commodior carum esset pueris usus ad discendum», p. 112-113). Ricorda<br />

inoltre come in un libro della biblioteca del vescovo di Corfù,<br />

mostratogli dall’amico Giovanni Costantini, avesse trovato alcuni<br />

«tetrasticha in fabulas Aesopi» secondo lui attribuibili al Gabria.<br />

Seguono Hero et Leander di Grammatico Museo (V secolo d.C.) con<br />

dedica a Giovanni Gritti, la Galeomyomachia (o guerra dei topi e dei<br />

gatti) oggi attribuita al bizantino Theodorus Prodromus (XII secolo), i<br />

Carmina Sybillae (ossia la finta profezia sopra Gesù Cristo della Sibilla Cumana) ed infine la<br />

Batrachomyomachia di Omero, tutti nella versione latina dell’autore (cfr. P.F. Grendler, Schooling in Renaissance<br />

Italy. Literacy and Learning, 1300-1600, Baltimore, 1989, p. 69).<br />

Il Paolini, originario di Udine o di Tricesimo, studiò medicina e filosofia a Padova, quindi lettere greche<br />

sotto F. Robortello e A. Riccoboni. A Venezia dapprima esercitò la professione medica, quindi intorno al<br />

1587 si dedicò all’insegnamento dell’eloquenza, tenendo publiche letture sul De Oratore ciceroniano nel<br />

sestiere di Santa Croce, che gli era stato assegnato in qualità di docente dal Senato veneto, il quale in quegli<br />

anni si preoccupava di diffondere l’istruzione tra i bambini di tutti i ceti sociali. Più tardi passò ad insegnare<br />

il greco nella Scuola di San Marco, mentre contemporaneamente teneva lezioni private in casa propria<br />

sugli scrittori greci ed arabi (conosceva anche la lingua araba) di medicina. Fu tra in fondatori dell’Accademia<br />

Urania di Venezia, dove era chiamato con lo pseudonimo di Chiameo Oligenio (cfr. F. Manzano, Cenni<br />

biografici dei letterati ed artisti friulani dal secolo IV al XIX, Udine, 1884-’87, ma Bologna, 1966, pp. 148-149).<br />

- 105 -


Tra le sue pubblicazioni ricordiamo un commento al De Oratore (1587), l’orazione De doctore humanitatis<br />

(1588), in cui traccia una distinzione tra vero umanista e pedante, e diversi commenti a Virgilio (1589),<br />

Tucidide (1603), Avicenna (1595) ed Ippocrate (1593 e 1604). Curò inoltre l’edizione veneziana del 1604 del<br />

De humani corporis fabrica di Vesalio, cui aggiunse in appendice un suo scritto intitolato Vniversa antiquorum<br />

anatome tam ossium, quam partium et externarum, et internarum: ex Rvfo Ephesio... tribvs tabellis explicata per<br />

Fabivm Pavlinvm.<br />

BMSTCItalian, p. 494. Edit 16, CNC 47280. € 1.800,00<br />

146) PARÉ, Ambroise (ca. 1510-1590). Les oeuvres d’Ambroise Paré, conseiller et premier<br />

chirurgien du roy. Treizième édition, corrigée, mise en plus beau langage, et augmentée d’un ample<br />

Traité des fiévres... nouvellement trouvé dans les manuscrits de l’Autheur. Lyon, Pierre Valfray,<br />

1685.<br />

In folio (cm 35); legatura in pergamena antica riadattata, dorso a sei nervi con titolo manoscritto, taglio<br />

picchiettato; pp. (12), 808, (60). Titolo stampato in rosso e nero con grande vignetta in rame al centro.<br />

L’edizione è illustrata da circa 350 xilografie nel testo, alcune grandi un terzo di pagina. I legni sono gli<br />

stessi della prima edizione lionese del 1633, a loro volta copia di quelli delle edizioni parigine del 1575 e<br />

1582. Lieve brunitura uniforme, che riguarda lo specchio di stampa e non i margini, piccoli segni di tarlo<br />

nei margini bianchi di alcune carte senza danno, per il resto bella copia marginosa e di grande freschezza.<br />

Ottima inchiostrazione delle figure. Ricordiamo che la maggior parte delle copie delle varie edizioni dell’Opera<br />

di Paré si incontra in cattivo stato di conservazione, in quanto venivano utilizzate per studio e per<br />

lavoro.<br />

TREDICESIMA ED ULTIMA EDIZIONE ANTICA delle Opere del celebre chirurgo Ambroise Paré, apparse<br />

per la prima volta a Parigi nel 1575. La prima edizione fu seguita da una edizione aumentata nel<br />

1579. Aggiunte presentano anche la quarta edizione del 1585 e la quinta edizione del 1598, che uscì<br />

postuma.<br />

Da questa edizione in poi il testo rimase costante, ad eccezione del Trattato sulle febbri di autore anonimo,<br />

che fu inserito per la prima volta nell’ottava edizione del 1628. Tutte le successive edizioni lionesi, a partire<br />

dalla prima del 1633, sono inferiori per qualità di carta e per cura editoriale. Dopo la presente edizione<br />

l’opera di Paré non fu più stampata fino alla metà dell’Ottocento.<br />

Le numerose figure anatomiche, che mostrano strumenti chirurgici, animali veri e leggendari, piante esotiche<br />

e esseri mostruosi, conferiscono a quest’opera un fascino incomparabile.<br />

Ambroise Paré fu il più grande chirurgo del suo tempo dopo Vesalio. Egli impresse alla chirurgia un rapido<br />

e decisivo progresso. Barbiere-chirurgo dell’esercito dal 1537, vi acquisì vasta esperienza, soprattutto<br />

durante le campagne in Italia. Fu poi chirurgo di Enrico II e dei tre successivi re di Francia. Portò ardite<br />

innovazioni nella tecnica chirurgica; dimostò i grandi vantaggi che si potevano ottenere nel trattamento<br />

delle ferite con la medicazione semplice, invece che con l’applicazione di olio bollente; eseguì con successo<br />

fino ad allora inconsueto l’operazione del labbro leporino e la legatura delle arterie; propose l’introduzione<br />

in chirurgia del trapano a corona e l’applicazione di cinti e di protesi; fu inoltre maestro di ostetricia.<br />

J. Doe, A Bibliography of the Works of Ambroise Paré, Chicago, 1937, nr. 44, pp. 141-143. <strong>Catalogo</strong> unico,<br />

IT\ICCU\MILE\010010. € 3.800,00<br />

147) PASTEUR, Louis (1822-1895). Études sur le vin, ses maladies; causes qui les provoquent,<br />

procédées nouveaux pour le conserver et pour le vieillir. Deuxième édition revue et augmentée.<br />

Parigi, Librairie F. Savy, 1873.<br />

In 8vo (cm 22); tela editoriale; pp. (4), IV, 344 con 32 tavole a colori fuori testo e 25 figure nel testo. Bellissima<br />

copia.<br />

SECONDA EDIZIONE ACCRESCIUTA con importanti aggiunte. Pasteur osserva che le alterazioni del<br />

vino sono da mettere in correlazione alla presenza e alla moltiplicazione della vegetazione microscopica.<br />

Per distruggere i germi, constata che è sufficiente portare il vino ad una temperatura di 50-60° per qualche<br />

istante. Descrive quindi i numerosi apparecchi per attuare la procedura di riscaldamento e i risultati e i<br />

miglioramenti ottenuti sul vino. Le trentadue tavole di batteri e fermenti sono tratte dai disegni “al naturale”<br />

di P. Lackerbauer.<br />

L’opera tratta anche del ruolo dell’ossigeno nella vinificazione e delle malattie del vino. Pasteur «sought to<br />

establish that the aging of wine resulted from the slow penetration of atmosferic oxygen through the porus<br />

wood casks into which new wine was decanted. By virtue of this slow oxydation, he claimed, new wine<br />

grows less harsh and acid to the taste as it becomes clearer and lighter from the precipitation of dark<br />

- 106 -


coloring matters» (D.S.B., X, p. 366).<br />

ICCU, IT\ICCU\LIA\0034427. G. Oberlé, Les fastes de Bacchus et de Comus, Parigi 1989, nr. 986. € 550,00<br />

MUSICA E ACCADEMIE<br />

148) PATRIZI, Fabio (fl. 2 a<br />

metà del XVI secolo). Orationi…, all’ill.mo S. Fran.co Priuli Degniss.<br />

Procurator di San Marco. L’una delle quali tratta le lodi della Musica:: & l’altra, dell’Istitutioni<br />

dell’Academie. Venezia, Gio. Antonio Rampazetto, 1587.<br />

In 4to (cm 20); cartonato posteriore; cc. (16), l’ultima è bianca. Marca tipografica al titolo. Lieve alone,<br />

piccolo segno di tarlo nel margine interno che tocca alcune lettere, per il resto ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE du questi due discorsi indirizzati al procuratore della Basilica di San Marco,<br />

Giovanni Francesco Priuli, in data 23 gennaio 1587.<br />

Il primo contiene un elogio della musica e menziona Bernardino Partenio, autore di Della imitatione poetica<br />

(1560); Lucio Scarano, segretario, poeta e membro dell’Accademia Veneta; un altro poeta veneto, Muzio<br />

Sforza; il giurista e poeta Cornelio Frangipani di Udine; ed infine il grande toerico musicale Giuseppe<br />

Zarlino, autotre delle celebri Istututioni harmoniche (1558). Alla fine dell’orazione vi sono due sonetti<br />

indirizzati al Patrizi da parte di Francesco degli Oratori e Muzio Sforza.<br />

Il secondo discorso, tenuto probabilmente in presenza dell’ambasciatore veneziano Luigi Badoer presso<br />

l’Accademia Veneta, riguarda invece la fondazione delle accademie. Nel testo sono citati Lucio Scarano e<br />

Muzio Sforza, che furono tra i promotori dell’Accademia Veneta.<br />

«L’accademia è tempio di virtù, concentrazione di virtuosi, virtù è fondarla, virtù è farne parte. ‘Tra tutte le<br />

nobili e virtuose attioni… niuna è’ paragonabile a ‘quella che raduna gli huomini in alcun riposto luoco<br />

ove, lontani da tumulti e da pubbliche bisogne, possono agiatamente con vari discorsi e ragionamenti,<br />

onrnar gli animi d’heroici costumi e gl’ingegni di dottrine profonde’. È evidente: così l’assenza rispetto ai<br />

fatti, rispetto alle res gestae, si traveste da superiore essenza. Ne è convinto Fabio Patrizi, l’autore del brano<br />

citato, che pubblica nel 1587, a Venezia due Oartioni, una, appunto, tutta esaltazione dell’ ‘instituzioni<br />

delle accademie’ l’altra tutta ‘lodi della musica’. Un accostamento pertinente. Luogo, stando agli<br />

autoincensimenti, per la conta dei virtuosi – tale l’autoqualifica degli accademici – l’accademia, essa non<br />

può essere musicalmente sorda, nella misura in cui la compiuta formazione esige nozioni musicali, sinchè<br />

si è convinti, con Zarlino, che l’ ‘huomo bene istituito’ non sussiste se ‘senza musica’» (G. Benoni, La<br />

simbologia musicale nelle imprese accademiche, in: “Studi Veneziani”, n.s. XXII, 1991, p. 124).<br />

Répertoire International des Sources Musicales, série B, vol. VI, München, 1971, 639c. G. Gaspari, <strong>Catalogo</strong> della<br />

Biblioteca Musicale G.B. Martini di Bologna, Bologna, 1961, I, p. 166. P. Ulvioni, Accademie e cultura dalla<br />

Controriforma all’Arcadia. Il caso veneziano, in: “Libri e documenti”, 5/2, 1979, p. 39. € 550,00<br />

“BRILLIANT, FEROCIOUS WORK” (ANTONY GRAFTON)<br />

149) PATRIZI, Francesco (1529-1597). Della historia dieci dialoghi… ne’ quail si ragiona di tutte<br />

le cose appartenenti all’historia, et allo scriverla, et all’osservarla. Venezia, Andrea Arrivabene,<br />

1560.<br />

(legato con:)<br />

BABARO, Daniele (1513-1570). Della eloquenza dialogo… nuovamente mandato in luce da<br />

Girolamo Ruscelli. Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1557.<br />

Due opere in un volume in 4to (cm 21); pergamena floscia coeva; cc. (4), 63, (1) + pp. (12), 93, (3). Marche<br />

tipografiche ai titoli. Firma di appartenenza e postille marginali di un certo Antonius Maria de Viscontis<br />

Vertinensis. Qualche leggero alone marginale, ma ottima copia fresca e genuina.<br />

(I) PRIMA EDIZIONE di questo celebre trattato scritto in forma di dialogo, nel quale Patrizi discute in<br />

modo critico e sistematico sulla maniera di scrivere la storia, sulla natura del sapere storico e su come esso<br />

possa essere ripartito in diverse categorie. Nel fare ciò egli prende nettamente le distanze dalle precedenti<br />

indagini storiografiche di stampo umanistico (cfr. P. R. Blum, Francesco Patrizi in the ‘Time-Sack’: History and<br />

Rhetorical Philosophy, in: “Journal of the History of Ideas”, 61/1, 2000, pp. 59-74).<br />

Rispetto ad altri trattatisti rinascimentali come F. Robortello, S. Speroni, C. Sigonio, A. Viperano e A. Sardi,<br />

nella cui indigine la conoscenza storica viene di volta in volta accostata all’etica, alla politica, alla retorica<br />

e alla poetica secondo le categorie aristoteliche, Patrizi dimostra infatti di considerare la storia come una<br />

sequenza di eventi essenzialmente umani, paragonandola negli effetti che ha sulla vita umana ad un’opera<br />

romanzesca.<br />

Egli distingue poi tra storia universale e storia individuale, espone i metodi ed i criteri utilizzati nella<br />

ricerca storica (applicazione del metodo critico-filologico, raccolta e studio delle fonti, ecc), classifica gli<br />

- 107 -


storici, sottolinea il ruolo della storia nell’azione politica e nello<br />

sviluppo del comportamento umano.<br />

Patrizi può essere considerato come uno storiografo eccezionale<br />

e come un pensatore originale; le sue idee e i suoi metodi<br />

ebbero una notevole influenza sui suoi contemporanei, in particolare<br />

su Jean Bodin (cfr. C. Vasoli, I ‘Dialoghi della historia’ di F.<br />

Patrizi: prime considerazioni, in: “ Culture et societé en Italie du<br />

Moyen Age à la Renaissance. Hommage à A. Rochon”, Paris,<br />

1985, pp. 329-352).<br />

«In it Patrizi made clear to what good effect he had studied<br />

Plato… Like Plato, he staged his ten dialogues vividly, offering<br />

readers something like a tour of Venice. He and his friends argued<br />

about history as they walked to the Palazzo of San Marco, as<br />

they rode in a gondola, as they confronted the vast historical<br />

library of Nicola Zeno… Modelling his persona on that of<br />

Socrates, Patrizi made his book an ironic commentary on himself<br />

– the self-portrait of an annoyingly committed historical sceptic<br />

who bothered every Venetian patrician he could find with his<br />

doubts about history and would go to any lengths to keep his<br />

interlocutors engaged» (A. Grafton, What was history? The art of<br />

history in early modern Europe, Cambridge, 2007, p. 127).<br />

Francesco Patrizi nacque a Cherso in Dalmazia nel 1529. Dopo<br />

aver studiato nella sua città natale con Petruccio da Bologna,<br />

compì gli studi universitari a Padova. Non tardò a farsi notare a<br />

Padova e a Venezia, dove nel 1553 pubblicò l’utopia la Città<br />

felice, unitamente ad altri saggi (Dialogo dell’Honore, Il Barignano, Discorso della diversità dei furori poetici,<br />

Lettura sopra un sonetto di Petrarca). Dopo brevi soggiorni a Cherso, Venezia e Ferrara, dove ebbe modo di<br />

conoscere Alfonso d’Este, Scipione Gonzaga, Girolamo della Rovere, il cardinale Ippolito Aldobrandini ed<br />

altre eminenti personalità, decise di partire. Viaggiò molto, percorrendo l’Italia e la Spagna. Si recò alcune<br />

volte in Oriente e, nel 1571, si trovava a Cipro quando la città dovette soccombere all’assalto dei Turchi. Nel<br />

1578 gli fu conferita una cattedra presso l’Università di Ferrara, incarico che ricoprì sino al 1592, quando<br />

il cardinale Aldobrandini lo invitò a trasferirsi a Roma. Il cardinale, una volta divenuto papa con il nome<br />

di Clemente VIII, continuò sempre ad onorarlo. Patrizi morì a Roma nel 1597. Autore poliedrico, si cimentò<br />

in vari campi del sapere. Nel 1557 pubblicò il poema Eridano, scritto in nuovi versi “eroici” di tredici<br />

sillabe. Nel 1562 apparvero i dieci dialoghi Della Retorica,<br />

nel 1571 le Discussioni peripatetiche, nel 1583 la<br />

Milizia Romana di Polibio, di Tito Livio e di Dionigi<br />

Alicarnaseo e nel 1586 i trattati Della poetica e Della nuova<br />

geometria. Poco prima di partire per Roma scrisse la sua<br />

più importante opera filosofica, Nova de Universis<br />

Philosophia (1591), salutata al suo apparire con un certo<br />

entusiasmo, ma respinta e stigmatizzata dalle autorità<br />

ecclesiastiche (cfr. C. Vasoli, Francesco Patrizi da<br />

Cherso, Roma, 1989, passim).<br />

Edit16, CNCE29697. Grafton, op. cit., p. 268.<br />

(II) PRIMA EDIZIONE di questo importante trattato di<br />

retorica, che Barbaro scrisse in forma di dialogo all’età<br />

di ventidue anni.<br />

Gli interlocutori sono Natura, Arte e Anima. L’autore<br />

descrive il rapporto tra natura e arte paragonandolo a<br />

quello tra madre e figlia. L’arte imita la natura, quindi<br />

dipende da essa, ma come la natura non è eterna in<br />

quanto fu creata dal grande Artefice, così l’arte esiste<br />

da prima che la creazione fosse compiuta (cfr. B.<br />

Mitroviæ, Paduan Aristotelianism and Daniele Barbaro’s<br />

commentary on Vitruvius’ ‘De Architectura’, in: “Sixteenth<br />

Century Journal”, 29/3, 2000, p. 675).<br />

«By the same token, Barbaro’s literary dialogue, Della<br />

Eloquenza, explored the subject of imitation and the<br />

- 108 -


common rules governing art and nature in a manner consonant with Palladio’s opinions found in the<br />

Quattro libri. Barbaro’s dialogue presents Aristotelian theory of the operation of the mind and passion in<br />

context of rhetoric, stressing imitation and the rapport between nature and terms of a dialogue. Della<br />

Eloquenza was published in 1557, the year after the translation of Vitruvius to which Palladio contributed,<br />

and it seems likely that Palladio would have imbibed concepts of art imitating the law of nature from his<br />

collaboration with Barbaro» (B. Boucher, Nature and the Antique in the Work of Andrea Palladio, in: “The<br />

Journal of the Society of Architectural Historians”, 59/3, 2000, p. 304).<br />

Daniele Barbaro, veneziano, si formò preso l’Università di Padova. Nel 1547 ricevette il suo primo incarico<br />

ufficiale, quello di creare un giardino botanico. Dal 1548 al 1551 visse presso la corte inglese come<br />

ambasciatore della Serenissima. Durante la sua assenza fu anche nominato patriarca di Aquileia. Tra il<br />

1562 e il ‘63 prese parte ai lavori conclusivi del Concilio di Trento.<br />

Barbaro fu un grande mecenate e patrono delle arti. Suo è il programma iconografico per il soffitto della<br />

Sala del Consiglio dei Dieci nel Palazzo Ducale, che fu dipinto da Paolo Veronese. Suo è anche il grande<br />

progetto di Villa Maser, che fu realizzato da Palladio ed affrescato da Veronese. Le sue numerosi pubblicazioni<br />

(un’edizione commentata di Vitruvio, un trattato di prospettiva, un commentario ai Salmi, un trattato sui<br />

sogni) riflettono la varietà dei suoi studi e dei suoi interessi (cfr. P. Paschini, Daniele Barbaro letterato e prelato<br />

veneziano nel Cinquecento, in: “Rivista di storia della Chiesa in Italia”, 16, 1962, pp. 73-107).<br />

Edit16, CNCE4131. L.D. Green-J.J. Murphy, Renaissance rhetoric short title catalogue, 1460-1700, Aldershot,<br />

2004, p. 60. B. Weinberg, a cura di, Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Bari, 1972, pp. 335-451.<br />

€ 2.900,00<br />

150) PELLEGRINI, Bartolomeo (fl. verso la fine del XVI secolo). Elogio delle opere lodevoli del<br />

molto Mag. Sig. Gio. Martino de Buon’homo. (Vicenza, Eredi di Perin Libraro, 1599?).<br />

In 4to (cm 20); cartone colorato recente; cc. (20). Grande vignetta in legno al titolo, testo entro elaborata<br />

cornice ornamentale. Bellissima copia.<br />

RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE, elegantemente impressa, di questo elogio di Giovanni Martino<br />

Bonomi, membro di una facoltosa famiglia vicentina, dedicato dall’autore ai figli e ai nipoti di quest’ultimo.<br />

Il Bonomi viene descritto come un coscienzioso padre di famiglia, che ha investito molto tempo e denaro<br />

per l’educazione dei suoi figli maschi e femmine, la crescita dei quali viene brevemente raccontata. Tra i<br />

meriti del Bonomi l’autore annovera anche le opere di carità e la tutela data alla figlia del conte Ascanio<br />

Pioveni. Si dice inoltre che il Bonomi fu ritratto dal pittore Alessandro Maganza e sovvenzionò un prezioso<br />

tabernacolo per la chiesa di San Matteo ad Asiago.<br />

L’opera è tutta inframmezzata dalle opinioni dell’autore sul ruolo di una buona madre, sull’educazione in<br />

generale, sulla ricerca della moglie giusta per il proprio figlio, ecc.<br />

M. Cristofari, La tipografia vicentina nel secolo XVI, in: “Miscellanea di scritti di bibliografia ed erudizione in<br />

Memoria di Luigi Ferrari”, Firenze, 1952, p. 209, nr. 246. € 1.600,00<br />

151) PEZZA, Michele detto FRA DIAVOLO (1771-1806). Lettera autografa firmata indirizzata<br />

all’Ammiraglio inglese Sidney Smith, uno degli ufficiali più brillanti della marina<br />

britannica, che era stato mandato nel Mediterraneo per aiutare i Borbonici e gli insorti calabresi<br />

contro i francesi di Giuseppe Bonaparte.<br />

In questa lettera da Amantea, che si trovava sotto assedio nemico, datata 2 luglio 1806, il Pezza comunica<br />

che un corriere da Sigliano riferisce che colà si trovano duemila insorti e cento polacchi con il loro sergente<br />

che hanno disertato unendosi ai calabresi. Egli chiede che Smith approvi il suo piano di unirsi con i suoi<br />

uomini a quelli di Sigliano e di far sollevare Cosenza con tutta la sua provincia.<br />

Non conosciamo la risposta dell’Ammiraglio che però, di certo, due giorni dopo, cioè il 4 luglio, sbragliava<br />

i francesi nella battaglia di Maida.<br />

Bella lettera, in folio, di 4 facciate (scritta sulle prime due e sulla quarta che reca l’indirizzo) di grande<br />

interesse per quel periodo tumultuoso della storia calabrese e anche per essere di pugno di uno dei personaggi<br />

più affascinanti dell’epoca, la cui avventura umana fu oggetto di numerose opere letterarie e musicali.<br />

Michele Pezza nacque ad Itri, paesino laziale all'epoca facente parte del Regno di Napoli. Il soprannome di<br />

Fra Diavolo gli fu affibbiato in seguito alle sue intemperanze, cominciate con l’assassinio del sellaio del<br />

paese, presso il quale stava compiendo il proprio apprendistato. Approfittando della minaccia francese,<br />

nel 1798 egli chiese a Ferdinando IV di poter commutare la propria condanna per omicidio in tredici anni<br />

di servizio militare. Assegnato in origine al corpo dei fucilieri di montagna, dopo la conquista del regno da<br />

parte dell’esercito napoleonico, egli organizzò un manipolo di uomini e tra Fondi e Formia capeggiò la<br />

- 109 -


iscossa dell’esercito napoletano. Nominato Capitano, riuscì nell’impresa di liberare Napoli. Come premio,<br />

fu fatto colonnello, duca di Cassano e capo del distretto di Itri.<br />

Nel 1806, tuttavia, Napoleone riconquistò Napoli. Fra Diavolo riprese la guerriglia, avvalendosi anche<br />

dell’aiuto della flotta inglese. La rivolta da lui organizzata venne però soffocata dalle truppe francesi e,<br />

dopo una lunga e rocambolesca fuga, Fra Diavolo fu catturato e, l'11 novembre del 1806, impiccato nella<br />

Piazza del Mercato di Napoli.<br />

Ottimamente conservata. € 1.200,00<br />

152) PICCOLOMINI, Alessandro (1508-1578)]. L’amor costante. Comedia del S. Stordito<br />

Intronato, composta per la venuta dell’Imperatore in Siena l’anno del XXXVI. Nellaqual comedia<br />

intervengono varij Abbattimenti di diverse sorte d’armi et intrecciati, ogni cosa in tempi e misure di<br />

Morescha, cosa non manco nuova che bella. Senza note tipografiche [Venezia, Andrea Arrivabene<br />

editor, tra il 1541 e il 1549].<br />

In 8vo (cm 14); carta marmorizzata degli anni trenta del Novecento; cc. 78, (1 bianca). Manca l’ultima carta<br />

bianca (k8). Margini corti, segno di tarlo nelle ultime trenta carte del volume che a tratti lede il testo,<br />

cancellature e correzioni di mano antica, ma nel complesso esemplare più che dignitoso.<br />

RARA SECONDA EDIZIONE di questa celebre commedia di<br />

grande successo che fu più volte ristampata. Benché la presente<br />

sia ritenuta da alcuni come la prima edizione, F. Cerreta<br />

(L’Amor costante e le sue edizioni cinquecentesche, in: “La<br />

bibliofilia”, LXXVII, 1975, pp. 111-118) ha dimostrato attraverso<br />

un rigoroso confronto testuale che la prima vera edizione<br />

dell’opera fu stampata da Giovanni Farri e fratelli per conto di<br />

Andrea Arrivabene in data 1540-41. Questi infatti si serviva di<br />

vari tipografi dell’epoca per far stampare le sue edizioni, ma in<br />

ognuna di esse figurano sempre anche il suo nome (nelle due<br />

varianti Andrea Arrivabene o al segno del Pozzo) e/o la sua<br />

marca tipografica.<br />

Nella dedica a Giovanni Soranzo l’Arrivabene ricorda di aver<br />

ricevuto la commedia, insieme ad alcune canzoni e sonetti dell’Accademia<br />

degli Intronati di Siena, da un amico di Pavia,<br />

che ne era venuto in possesso a Milano. La prima messa in<br />

scena avvenne forse a Siena nel 1536 in occasione dell’arrivo<br />

in città di Carlo V. Dopo l’apparizione dell’edizione a stampa,<br />

L’amor costante fu recitato a Venezia per il carnevale del 1541,<br />

quindi a Bologna e Mantova durante il carnevale dell’anno<br />

successivo, a Vicenza dall’Accademia Olimpica nel 1562 ed<br />

infine a Roma in casa Rucellai nel 1586 (cfr. N. Newbigin, Introduzione, in: A. Piccolomini, L’amor costante,<br />

Bologna, 1990, pp. 1-18).<br />

Piccolomini fu un classicista. Nelle sue commedie si ispirò agli antichi e agli imitatori degli antichi, inoltre<br />

rimase rigidamente fedele alla distinzione fra commedia e tragedia e alle regole codificate nella Poetica di<br />

Aristotele, di cui fu commentatore (Annotationi… nel libro della Poetica d’Aristotele). Ma anche in altre sue<br />

opere, come la Institutione morale e La sfera del mondo, egli trova occasione di formulare postulati e principi<br />

teorici sulla commedia riscontrabili nella sua produzione teatrale (cfr. G. Guidotti, Alessandro Piccolomini, «di<br />

professione filosofo», e la commedia, in: “Cuadernos de Filologìa Italiana”, 1999, nr. 6, pp. 103-115).<br />

«The argument of the Costant Love is one of the numerous variations of the Romeo-Juliet story that provided<br />

subject matter throughout the Renaissance for tragedy, comedy, and tragicomedy. Ferrante and Ginevra,<br />

secretly married, were captured and separated by the Turks. Now, under assumed names, they have both<br />

found asylum in the household of Guglielmo in Pisa. When Ginevra is assailed by the impetuous young<br />

Giannino, she proves faithful to her husband and the couple tries to run away. Guglielmo stops them.<br />

Then, offended by their ingratitude, he locks them up and forces them to take some poison provided by the<br />

family physician. Guglielmo’s brother arrives from Spain with some startling revelations, that the slave girl<br />

Ginevra is Guglielmo’s daughter and Giannino his son, both of whom were left in Spain when their father<br />

had to flee the country. It seems that Guglielmo has now poisoned his daughter and his son-in-law. But the<br />

physician had provided for just such an emergency; his poison is mererly a sleeping potion. This pathetic<br />

action is more or less counterbalanced by the comic antics and speech of three farcical characters, a Spanish<br />

captain, a Neapolitan poet, and a German scholar» (M.T. Herrick, Italian Comedy in the Renaissance, Urbana-<br />

London, 1966, p. 108).<br />

- 110 -


«The moresche must not be seen merely as substitute for the traditional intermezzi but as channelling and<br />

formalization of conflict» (N. Newbigin, Politics and Comedy in the Early Years of the Accademia degli Intronati<br />

of Siena, in: “Il teatro italiano del Rinascimento”, Milano, 1980, p. 126).<br />

Piccolomini, letterato, astronomo e commediografo senese, studiò nella sua città natale e a Padova, dove<br />

divenne lettore di filosofia morale. Membro dell’Accademia degli Intronati, è soprattutto noto come commentatore<br />

e volgarizzatore di Aristotele. I suoi meriti maggiori risiedono nelle opere lettararie e teatrali,<br />

dove seppe mettere in pratica con originalità i precetti della poetica aristotelica (cfr. F. Cerreta, Alessandro<br />

Piccolomini, letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena, 1960, passim).<br />

Edit16, CNCE29468. Adams, P-1100. € 1.800,00<br />

153) PILES, Roger de (1635-1709). Recueil de divers ouvrages sur la Peinture et le Coloris. À<br />

Paris, Chez C.A. Jombert, 1755.<br />

In 12mo (16,5); mezza pelle recente con angoli, taglio rosso; pp. XII, 452, (4). Esemplare un po’ ingiallito,<br />

piccole macchie di umidità sui margini di alcune carte all’inizio e alla fine del volume, ma copia più che<br />

buona.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di questa raccolta di scritti, che «étant devenus assez rares, j’ai cru faire plaisir<br />

aux amateurs en les réimprimant tous ensemble», come riferisce l’editore nel Avertissement. Il volume comprende<br />

le tre Conversations sur la Peinture, di cui la terza Sur le coloris, inoltre la Dissertation sur les Ouvrages<br />

des plus fameuse Peintres, comparés avec ceux de Rubens, la Description de quelques Tableaux de Rubens e la vita di<br />

quest’ultimo.<br />

«Nel suo dialogo sul colorito (del 1673) mette i Veneziani sopra a Raffaello, e sopra Tiziano il Rubens…<br />

Con lui appare un nuovo tipo, che avrà la massima importanza in avvenire: l’amatore in funzione di<br />

conoscitore e di critico, il cui giudizio è reso più sicuro dall’attività di raccoglitore» (J. Schlosser Magnino,<br />

La letteratura artistica, Firenze, 1967, p. 633).<br />

Sull’autore vedi L. Mirot, Roger de Piles, Parigi, 1924.<br />

Cicognara, 181. J. Schlosser Magnino, op. cit., p. 637. € 280,00<br />

154) PLANELLI, Antonio (1747-1803). Dell’opera in musica. Trattato del cavaliere Antonio Planelli<br />

dell’ordine gerosolimitano. Napoli, Donato Campo, 1772.<br />

In 8vo (cm 19,5); graziosa legatura coeva in piena pelle, dorso e piatti con ricchi fregi in oro, tagli dorati<br />

(minimi danni agl’angoli); pp. 15, (4), 1 bianca, 272. Frontespizio entro bordura. A tratti lievemente fiorito,<br />

ma ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE di questo poco conosciuto, quanto fondamentale<br />

trattato sull’opera lirica, una delle sintesi più complete<br />

ed organiche del pensiero illuministico sul teatro musicale.<br />

Ispirato al Saggio sopra l’opera in musica di Francesco Algarotti<br />

(in particolare alla seconda redazione pubblicata nel 1762), il<br />

libro del Planelli supera per completezza e sistematicità tutto il<br />

resto della pubblicistica teatrale settecentesca, per lo meno in<br />

lingua italiana.<br />

«Del complesso problema dell’opera in musica vengono analizzati<br />

partitamente, sul piano creativo, interpretativo, percettivo,<br />

organizzativo, sociologico, tutti gli aspetti e ciascuno di essi<br />

messo in relazione con principi e criteri universali, che ne garantiscono<br />

l’armoniosa coesistenza e la possibilità di convergenza<br />

verso un fine unitario, insieme estetico ed etico» (F. Degrada,<br />

Introduzione, in: “A. Planelli, Dell’ opera in musica”, Fiesole,<br />

1981, p. XI).<br />

Sulla scia di Vico, Diderot e D’Alembert, l’autore pone l’accento<br />

soprattutto sugli aspetti emozionalistici dell’opera scenica, la<br />

quale, per poter realizzare quell’indispensabile «illusione» che<br />

permette allo spettatore di vivere fino in fondo il «piacer patetico»,<br />

deve attenersi il più possibile al «verisimile». Per realizzare<br />

ciò, Planelli ritiene che l’unità di luogo debba essere abolita,<br />

date le enormi possibilità sceniche aperte dallo sviluppo della<br />

tecnica teatrale; il numero degli atti essere ridotto da cinque a tre<br />

- 111 -


o addirittura due; l’unità del verso antico venire sostituita dalla varietà metrica del recitativo e delle arie, le<br />

quali devono brillare per semplicità e immediatezza espressiva; gli interpreti rispettare il più fedelmente<br />

possibile la partitura, evitando di introdurre fuorvianti coloriture vocali; i castrati essere relegati alle sole<br />

parti femminili; la recitazione e l’intonazione (o «pronunziazione»), ossia l’«eloquenza del corpo» e le<br />

«modificazioni della voce», allontanarsi da una fastosa visione del melodramma per esprimere con sensibilità<br />

e precisione i sentimenti che si vogliono comunicare; la scena essere come un quadro «lumeggiato»<br />

con la maestria dei grandi pittori, in cui musica, gesto, spazio e colore si fondono ed armonizzano; il «ballo<br />

alto» essere sostituito con il «ballo pantomimo» di Noverre e Angiolini e la danza perfettamente connessa<br />

ed intrecciata all’azione. Per Planelli, l’esempio perfetto di melodramma è rappresentato dall’Alceste di<br />

Gluck.<br />

L’ultima parte del trattato, dedicata alla Direzione dell’opera in musica, contiene un’interessante difesa della<br />

dignità etica e culturale del teatro ed una proposta, forse non del tutto disinteressata (vista la giovane età<br />

dell’autore e la sua ricerca di un impiego come direttore dei teatri regi), per ridimensionare la componente<br />

pomposamente celebrativa con cui veniva vissuto il melodramma presso la corte borbonica, accentuandone<br />

per contro le potenzialità come mezzo di formazione e controllo del pubblico costume.<br />

Nato a Bitonto nel 1747 (ma secondo alcune fonti la data di nascita andrebbe anticipata al 1737), Planelli<br />

compì i propri studi presso l’Università di Altamura e dal 1775 presso l’Abbazia di Montecassino, dove<br />

prese gli ordini sacri. Trasferitosi a Napoli, si perfezionò in fisica e metallurgia sotto Giuseppe Vairo.<br />

Titolare del priorato di Barletta e cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano, nel 1790 entrò nell’amministrazione<br />

statale. Ferdinando IV lo nominò infatti maestro della zecca e lo incaricò di riordinare il Museo Mineralogico<br />

di Napoli. Oltre al presente trattato e alle Riflessioni sulla poesia, pubblicate in appendice alla traduzione<br />

italiana dei Principi elementari delle belle lettere di J.H.S. Formey (Napoli, 1767), del Planelli si conoscono<br />

alcune composizioni orchestrali (cfr. F. Degrada, op. cit., pp. XI-XXVIII).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\NAPE\009083. € 1.350,00<br />

155) PLATINA, Bartolomeo Sacchi detto il (1421-1481). Platina de honesta voluptate et<br />

valitudine vulgare. In fine: Venezia, 1 giugno 1516.<br />

In 4to (cm 20); legatura moderna in piena pelle con impressioni a secco ed in oro sui piatti e sul dorso ad<br />

imitazione di una legatura rinascimentale; cc. (4), XCV, 1 bianca. Segni di tarlo e piccole mancanze abilmente<br />

restaurate, margine superiore un po’ corto che comporta in alcune carte la perdita di qualche lettera<br />

o del numero di pagina, ma nel complesso copia più che buona.<br />

QUINTA EDIZIONE IN ITALIANO, ristampa dell’edizione veneziana del 1508. Il De honesta voluptate et<br />

valetudine, manuale sul come affrontare serenamente, saggiamente e igienicamente la vita, frutto della<br />

collaborazione con Mastro Martino de’ Rossi (cuoco del camerlengo e patriarca d’Aquileia Ludovico Trevisan<br />

a Roma e autore di un Libro de arte coquinaria), apparve a Roma intorno al 1474: la prima edizione volgare<br />

risale al 1487. Platina nel comporre il suo lavoro, oltre a tradurre parti del libro del capocuoco Martino in<br />

latino classico, inquadrò le ricette in un contesto medico-filosofico, soffermandosi sul ruolo che ciascuna<br />

vivanda poteva avere nel sistema culinario dal punto di vista dietetico e conviviale. La sua attenzione si<br />

concentrò soprattutto sui prodotti, fornendo anche numerosi riferimenti a realtà locali.<br />

«Platina deserves praise for several reasons, one of which was that he set a good example for all subsequent<br />

cookery writers (and one which some of them have followed) in stating clearly the source of most of the<br />

recipes which constituted the latter part of his book. This source was “Maestro Martino, former cook of the<br />

Most Reverend Monsignor Chamberlain Patriarch of Aquileia”, as his 15th-century manuscript, only<br />

discovered in the 1930s, describes him» (A. Davidson, The Oxford Companion to food, Oxford, 1999, p. 408).<br />

Il De honesta voluptate et valetudine, suddiviso in dieci capitoli secondo la tradizione classica, costituisce<br />

una preziosissima fonte di notizie sulla vita e la cucina italiana del Quattrocento: dai suggerimenti per fare<br />

sport all’importanza della scelta del cuoco, dal come preparare la tavola all’ora ideale per mangiare, ai<br />

migliori metodi di cottura di ciascun alimento (cfr. M.E. Milham, a cura di, De Honesta Voluptate et Valetudine/<br />

On Right Pleasure and Good Health, Tempe AR, 1998; B. Laurioux, Gastronomie, humanisme et société à Rome au<br />

milieu du XV e siècle. Autor du De honesta voluptate de Platina, Firenze, 2006, s.v.; C. Benporat, Cucina e convivialità<br />

italiana del Cinquecento, Firenze, 2007, p. 10; E. Faccioli, Introduzione, in: “Il piacere onesto e la buona salute<br />

di Bartolomeo Platina”, Torino, 1985, pp. I-XXXIII).<br />

Bartolomeo Sacchi, nato a Piadena (in latino Platina) vicino Cremona, dal 1453 fu al servizio dei Gonzaga,<br />

quindi nel 1457 si tasferì a Firenze per seguire le lezioni dell’Argiropulo. Nel 1461 passò a Roma, dove ai<br />

tempi di Pio II fu cancelliere stenografo della corte papale. Legato alla cerchia dei più stretti collaboratori di<br />

Pio II (Francesco Gonzaga, che era stato suo allievo a Mantova, Jacopo Ammannati Piccolomini, il cardinal<br />

Bessarione), Platina si trovò direttamente coinvolto nel conflitto che, alla morte di Pio II nel 1464, vide<br />

- 112 -


opposto il gruppo dei cardinali pieschi al nuovo pontefice Paolo II Barbo. Platina perse l’ufficio di abbreviatore<br />

e, per la sua dura protesta, venne incarcerato nel 1464 con l’accusa di lesa maestà e poi ancora nel 1468,<br />

questa volta perché coinvolto, insieme al gruppo degli accademici romani che si raccoglieva intorno a<br />

Pomponio Leto, in una congiura probabilmente imbastita contro Paolo II; ed in questa occasione vennero<br />

anche addebitate al Platina e agli altri umanisti eresie che si vollero di matrice epicurea. Figura di spicco<br />

dell’umanesimo romano del secondo Quattrocento, Platina avviò un’intensa produzione letteraria nella<br />

quale intese la materia autobiografica come perentoria occasione di confronto sui valori della società che<br />

egli aveva di fronte ed in essa rivendicare una propria identità culturale e politica. Nascevano così alcuni<br />

scritti fortemente coesi che, seppure a volte stratificati dall’autore in diverse redazioni, tracciano un coerente<br />

percorso ideologico: il dialogo De falso et vero bono (elaborato in prima stesura nella prigionia del 1464<br />

con il titolo De falso ac vero bono), il Contra amores (prima intitolato De amore), il De honesta voluptate et<br />

valetudine, le lettere scritte e raccolte in epistolario durante la carcerazione del 1468. Uscito di carcere nel<br />

1569, fu riabilitato da papa Sisto IV, che nel 1478 lo nominò direttore della Biblioteca Vaticana. In quegli<br />

anni pubblicò le Vitæ Pontificum (1479), opera di straordinario successo che fu ristampata innumerevoli<br />

volte fino al Seicento sia in latino che nella versione italiana. Morì a Roma nel 1481 (cfr. A. Campana, a cura<br />

di, Bartolomeo Sacchi il Platina (Piadena 1421-Roma 1481), Atti del Convegno internazionale di studi per il V<br />

centenario, Cremona, 14-15 novembre 1981, Padova, 1986, passim).<br />

Edit16, CNCE47445. Lord Westbury, Handlist of Italian Cookery Books, Firenze, 1963, p. 177. € 5.500,00<br />

156) PO DI PRIMARO. Sezioni dell’argine sinistro del Po’ di Primaro principiate da noi infrascritti<br />

Periti di contro all’Osteria della Bastia e terminate al Cavedone di Marara [sic] colla dimostrazione<br />

dei Peli d’acqua del medesimo Po’ nel passato mese d’agosto del corrente anno 1761… (Explicit:)<br />

Giacomo Benassi Perito d’onore pell’Eccelso Senato di Bologna. Stefano Pesi perito aiutante per<br />

Ferrara.<br />

Manoscritto su carta greve di cm 54x40, colorato all’acqurerello per lo più in ocra e azzurro. Carte 11 non<br />

numerate (manca la dodicesima sicuramente bianca). In dettaglio: a carta 1r titolo entro grande ed elegante<br />

cartiglio giallo; carta 1v bianca; carte 2-10 disegnate su ambo le facciate; carta 11 disegnata solo sul recto,<br />

il verso essendo bianco.<br />

Ogni pagina è divisa orizzontalmente in quattro o cinque bande, che rappresentano le sezioni del grande<br />

argine, spesso costituito da argine vecchio e argine maestro, e talora da un arginello intermedio e da uno<br />

golenale. Le figure sono accompagnate da didascalie e misure.<br />

I rilievi dei periti muovono dall’Osteria della Bastia (certamente il luogo dove si trovava la Bastia del<br />

Zaniolo, un’importante fortificazione che Alfonso I perse e riconquistò a rischio della vita fra il dicembre<br />

1511 e il gennaio 1512, ora ridotta a semplice toponimo) e proseguono toccando i seguenti luoghi: chiesa di<br />

S. Biagio, chiesa della Celletta, chiesa di S. Lazzaro, Porta Marchiana di Argenta, Casino Squarcioni,<br />

Pioppara Scazzerni, Dazio di Consandolo, Casa Caterina Cacciari, sbocco Cavo Benedettino, Passo del<br />

Traghetto, Capitelli Martelli, Palazzo Vincenzi, Passo della Fascinata, Cavedone di Marrara.<br />

Il Po di Primaro si diramava dal Po principale, appena fuori le mura di Ferrara, continuando verso sud-est<br />

fino al mare. Esso perse la sua originalità nel secolo XVIII sotto il pontificato di Benedetto XIV (m. 1758) con<br />

lo scavo del Cavo Benedettino. Ora è un canale di bonifica che si chiama Po morto di Primaro e si arresta<br />

presso un impianto di sollevamento sotto gli argini del Reno.<br />

Bellissimo manoscritto a colori in perfetto stato di conservazione. € 1.250,00<br />

157) PONTINI, Giovanni. La cacciagione de’ volatili, osia l’arte di pigliare uccelli in ogni maniera,<br />

con i rimedj per guarirli dalle loro malattie. Opera del roccolista Giovanni Pontini da Castelcucco<br />

di Asolo. Vicenza, Giandomenico Occhi, 1758.<br />

In 8vo (cm 18,5); carta marmorizzata originale; pp. 110, (2) con 14 tavole incise in rame da Cristoforo<br />

Dall’Acqua, di cui 2 ripiegate. Bellissimo esemplare intonso con barbe nella sua prima legatura d’attesa.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di questa importante opera dedicata alla caccia degli uccelli con le reti,<br />

tuttora attivamente praticata in Veneto. Accanto alle tecniche di cattura, sono descritti anche vari tipi di<br />

uccelli, alcuni dei quali da utilizzare come richiamo, con riferimenti al canto, alle abitidini di vita, al cibo<br />

preferito, alle malattie, ecc.<br />

L’edizione è adornata dalle vivaci e precise figure di Dall’Acqua.<br />

Ceresoli, p. 436. Harting, nr. 286. <strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\VIAE\000142. € 1.800,00<br />

- 113 -


ECCEZIONALE ESEMPLARE SU CARTA FORTE IN LEGATURA COEVA<br />

158) PORCACCHI, Tommaso (1530-1585). L’Isole più famose del Mondo descritte da Thomaso<br />

Porcacchi da Castiglione arretino e intagliate da Girolamo Porro padovano. Con l’Aggiunta di molte<br />

Isole. Venezia, Simone Galignani e Girolamo Porro, 1576 (in fine: Venezia, Giorgio Angelieri<br />

ad istanza di Simone Galignani, 1575).<br />

In folio (cm 30,5); legatura coeva in piena pergamena rigida con unghie, tracce di legacci e titolo manoscritto<br />

lungo il dorso, tagli colorati; pp. (28), 201, (1), 2 bianche. Marca tipografica del Galignani in fine. Con un<br />

bel frontespizio architettonico e 47 carte geografiche a mezza pagina: il tutto inciso in rame da Girolamo<br />

Porro. Bellissima copia marginosa su carta forte, solo a tratti lievissimamente arrossata.<br />

SECONDA EDIZIONE, prima tiratura (la seconda reca la data 1577 sul frontespizio), dedicata da Girolamo<br />

Porro a Giorgio Trivulzio. Rispetto alla prima del 1572, questa seconda edizione presenta diciassette<br />

nuove carte ed altrettante descrizioni di regioni non incluse in precedenza.<br />

L’opera, che venne nuovamente ristampata nel 1590 dagli eredi del Galigani senza nuove aggiunte, fu fatta<br />

oggetto di varie edizioni anche nel Seicento (l’ultima risale al 1686).<br />

Riprendendo la grande tradizione degli isolari, che, inaugurata da Cristoforo Buondelmonti (ca. 1420),<br />

risaliva su per il Quattro-Cinquecento fino a Bartolomeo de li Sonetti (Venezia, 1485), Benedetto Bordone<br />

(Venezia, 1528) e Giovanni Francesco Camocio (Venezia, ca. 1574), Procacchi, con la collaborazione<br />

dell’incisore Girolamo Porro, la portò a perfezione. Il genere dell’isolario si formò come combinazione tra<br />

cartografia nautica (portolani), corografia storico-descrittiva e linguaggio storico-letterario proprio degli<br />

itinerari. «The series of isolarios reaches its culmination in this work by Porcacchi who was born about the<br />

time Bordone died. The engraved maps achieve detail, exactness, and artistic richness of engravings not<br />

present in the earlier, simpler works» (S.J. Hough, The Italians and the Creation of America, Providence, RI,<br />

1980, p. 69).<br />

«Porcacchis Isolario trägt dem Wissenfortschritt im Bereich der Geographie seit Bordone Rechnung; zum<br />

ersten Mal wird in einem Isolario das Interesse an der geografia formuliert… Die Ausstattung mit Kupferstichen<br />

in der Verantwortung Girolamo Porros ist auf der Höhe des zeitgenössischen Wissenstandes in der<br />

ptolomäischen Tradition und erwecken nicht mehr den Anschein, wie noch die Holzschnitte bei Bordone,<br />

Skizzen für den und aus dem Gebrauch der Seefahrt zu sein» (A. Gerstenberg, Thomaso Porcacchis L’Isole piu<br />

famose del mondo. Zur Text- und Wortgeschichte der Geographie im Cinquecento, Tübingen, 2004, p. 56).<br />

Oltre alle consuete isole del Mediterraneo (isole greche, Creta, Cipro, Malta, Baleaeri, Corsica, Sardegna,<br />

Sicilia, Elba, Venezia e la sua laguna, la battaglia di Lepanto, Costantinopoli, ecc.) e del Nord Europa<br />

(Islanda, Inghilterra, Irlanda, Ebridi, Olanda, ecc.), nella terza parte, dedicata alle isole del Nuovo Mondo,<br />

l’opera illustra l’America del Nord (ripresa dalla grande carta mondiale disegnata da Paolo Forlani e<br />

- 114 -


pubblicata a Venezia nel 1565 da Ferdinando Bertelli), Città del Messico, Haiti, le Molucche, le Isole Vergini,<br />

Cuba, la Giamaica e Porto Rico. Il volume si chiude con un mappamondo ed una carta nautica.<br />

Tommaso Porcacchi, proveniente da una famiglia povera di Castiglion Fiorentino, studiò grazie al<br />

mecenatismo del duca Cosimo I. A Firenze conobbe Lodovico Domenichi, che gli permise di pubblicare le<br />

sue prime opere e lo mise in contatto con il grande editore Gabriele Giolito de’ Ferrari, con il quale cominciò<br />

a collaborare. Nel 1556 fondò l’Accademi dei Porcacchi. Nel 1559 si trasferì quindi a Venezia, dove sarebbe<br />

rimasto fino alla morte. Sua moglie fu la poetessa Bianca d’Este, che curò alcune opere postume del marito.<br />

Attivissimo poligrafo, Porcacchi si occupò principalmente di geografia, storia antica e letteratura. Tradusse<br />

e curò le edizioni di molti classici volgari, latini e greci. Morì a Venezia nel 1585 (cfr. R.V. Tooley,<br />

Dictionary of Mapmakers, New York-Amsterdam, 1979, p. 515).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\BVEE\014567. Sabin, 64149. Gerstenberg, op. cit., p. 336. Venduto<br />

159) PRISCIANUS CAESARIENIS (pseud.). Adversus Jacobum Aubertum Pseudomedicum<br />

grammatica expostulatio. Lyon, (1576).<br />

In 8vo (cm 16); cartonato recente; pp. 14, 2 bianche. Ornamento tipografico sul titolo. Ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE. Nel 1575 il medico francese Jacques Aubert (m. 1586) pubblicò un’opera contro<br />

Paracelso e gli alchimisti intitolata De metallorum ortu et causis. Joseph Duchesne (m. 1609), medico<br />

paracelsiano attivo a Ginevra, prese le difese del maestro. Aubert rispose allora con lo scritto Duae apologeticae<br />

responsiones ad Josephum Quercetanum nel 1576.<br />

L’anonimo autore del presente pamphlet, che si cela dietro il nome del grammatico latino Prisciano, si<br />

prende gioco delle conoscenze scientifiche di Aubert e del suo malconcio latino.<br />

L’opuscolo contiene poi alcuni sonetti satirici in francese: «A maistre Iaques. Gros animal metamorphorisé,/<br />

D’une pecore en homme deguisé,/ Qui veux le bruit d’un Aristote avoir,/ Indigne à toy, (car d’estre de<br />

sçavoir/ nâs le renom, veu que ta lourde teste/ n’enfante rien qui ne sente la beste,)... »<br />

Bibliothèque Nationale de France, nr. 31152601. € 450,00<br />

160) RABASCO, Ottaviano (fl. a cavallo fra XVI e XVII secolo). Il Convito o vero discorsi di<br />

quelle materie che al convito appartengono... Firenze, Giandonato e Bernardino Giunta, 1615.<br />

In 4to (cm 22); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto al dorso (piccole mancanze, ma ben conservata);<br />

pp. (12), 253, (39). Con due figure xilografiche nel testo, di cui una a piena pagina, e numerosi<br />

capilettera e testate in legno. Stemma del dedicatario sul titolo. A tratti un po’ fiorito e brunito, segni di tarlo<br />

nel margine interno bianco al centro del volume, che solo in pochi<br />

casi toccano il testo, ma nel complesso bella copia marginosa nella<br />

sua prima legatura.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di questo trattato esaustivo sul convito,<br />

l’ospitalità e le buone maniere a tavola, dedicato a Don Carlo de’<br />

Medici. L’autore, che era originario di Marta (VT), considera fine<br />

del convito l’amicizia e sacra l’ospitalità offerta al forestiero. Si<br />

sofferma su tutti gli aspetti possibili che rendono lieto un banchetto<br />

e piacevole un soggiorno, dagli elementi più contingenti come il<br />

cibo, l’apparechiatura, il servizio a quelli più “filosofici” come l’amicizia,<br />

le buone maniere e la conversazione. Trae numerosi esempi<br />

non solo dalla storia antica, ma anche da quella moderna: descrive,<br />

per esempio, l’alloggio di Gregorio XIII alla Caprarola e nella<br />

Sforzesca.<br />

«Ottaviano Rabasco in his Il Convito of 1615 offers the most complete<br />

taxonomy of banquet types. Normally the banquet was merely an<br />

extended elaborated form of dinner, held around noon, though he<br />

stipulates that it could be served earlier, two hours before noon, at<br />

ten o’clock or eleven o’clock if the breakfast or colazione was not<br />

eaten first thing in the morning. Banquets could also be held in the<br />

evening, but normally the evening meal, supper or cena, was held a<br />

few hours before sleep, and so was smaller and lighter. Menus of<br />

the period do consistently list both banquets and suppers. There<br />

were no hard or fast rules about mealtimes though, and sometimes<br />

even a lunch or merenda could occur in the late afternoon. This was<br />

- 115 -


actually one of the most typical complaints of physicians, that courtiers ate practically round the clock, and<br />

by the clock, Rabasco reminds us, there were three that could be followed: “that of the stomach, that of the<br />

[clock] tower, that of the kitchen”. In other words, though hunger pressed and the clock struck time, one<br />

might have to just wait until food was prepared. Rabasco also distinguishes between private banquets,<br />

intimate and among friends, and grander public banquets. It is the latter that concerns us most here. This<br />

was the time to show off the most exquisite foods, of highest quality, in great quantity, and particularly<br />

showcasing produce and wines from one’s native region, whether it be “salami from Bologna, olives,<br />

confections or moscatello from Genoa, marzolini in Florence, in Siena cheese from the Crete, marzipan in<br />

Piacenza, etc.”. Marzolini are cheeses, as are those from the Crete Senese, presumably something like<br />

pecorino from Pienza. As for the occasion, wedding were common enough along with baptism, but first<br />

place is accorded victory celebrations, reception of foreign princes or ambassadors, and even lesser occasions<br />

such as receiving a doctorate or being ordained» (K. Albala, The banquet. Dining in the great Courts of late<br />

Renaissance Europe, Urbana-Chicago, 2007, pp. XI-XII).<br />

Scrive Rabasco a proposito del banchetto nuziale: «L’apparecchio di tal Convito sarà con eccesso dell’ordinario…;<br />

la Materia sia di vivande in abbondanza con qualche larghezza, nel Bere, per rilassarsi a maggior<br />

allegrezza, non però a dissoluzione; E sia di Cibi che aiutino a scaldar moderatamente per la congiunzion<br />

degli sposi… Il Porco arrosto, Tartuffi, Pignoli, Ruchetta, e condimenti con Pepe, tutti allettamenti, e lusinghe<br />

di Venere, vi sian dunque, i Cibi, per lo più caldi, salati, ben conditi e in abbondanza… Il numero de<br />

parenti e d’amici sarà difficile da determinarsi, non siano però men di dieci Convivianti, e di più sino a<br />

trenta, che questo numero tra gl’Antichi fu detto numero Nuziale… Siano i Ragionamenti allegri, lontano<br />

da ogni grave severità, pendendo allo scherzo e a moderata lascivia… » (pp. 128-129).<br />

Le ultime carte contengono la copiossisima Tavola di tutta l’opera.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\UFIE\002434. Gamba, nr. 2057 («Non senza mio diletto ho fatto lettura di questo<br />

libro, in cui è copia di erudizione, bontà di precetti e sposizione pura e spedita»). <strong>Libreria</strong> Vinciana, nr. 149.<br />

Cicognara, nr. 1773. Westbury, p. 183. Vicaire, 725. € 3.900,00<br />

IL FINNEGANS WAKE DEL CINQUECENTO<br />

161) RABELAIS, François (1494?-1553)-ELLOPOSCLERON, Huldrich (i.e. Johann Fischart,<br />

ca. 1546-1590). Affentheurliche, Naupengeheurliche Geschichtklitterung: Von Thaten unnd Rathen<br />

der vor kurtzen, langen und jeweilen Vollenwolbeschreyten Helden undd Herrn: Grandgoschier,<br />

Gorgellantua und deß Eiteldurstlichen, Durchleuchtigsten Fürsten Pantagruel... Etwan von M. Franz<br />

Rabelais Frantzösisch entworffen: Nun aber in eine Teutschen Model vergossen. Grenflug im<br />

Gänssereich [i.e. Straßburg, Bernard Jobin], 1600.<br />

In 8vo (cm 16,3); legatura del primo Ottocento in mezza pelle, dorso a<br />

nervi con fregi, tassello e titolo in oro; cc. (8), 290 [recte 292]. Titolo<br />

stampato in rosso e nero con vignetta al centro e 13 piccole xilografie nel<br />

testo di Tobias Stimmer. Lievissima brunitura uniforme, ma ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE, l’ultima ad essere stampata nel XVI secolo, che<br />

ripropone il testo dell’edizione rivista ed ampliata dall’autore nel 1590<br />

poco prima di morire. Si tratta di un celebre e fortunatissimo rifacimento<br />

del Gargantua di Rabelais, che, pubblicato per la prima volta nel 1575, fu<br />

corretto ed aumentato anche nel 1582.<br />

La straordinaria inventiva e varietà del linguaggio di Fischart trova la<br />

sua apoteosi nella presente opera, che potrebbe essere tradotta con il<br />

titolo Avventuroso e fantastico scarabocchio (o miscuglio) storico delle gesta e<br />

delle sentenze, ecc. Benché Fischart abbia tradotto solamente il primo<br />

libro di Rabelais, la sua versione tedesca è talmente arricchita di materiali<br />

nuovi da risultare tre volte più lunga dell’originale.<br />

Ammiratore dello stile ironico e satirico di Rabelais, Fischart lo amplifica<br />

ulteriormente, esplorando tutte le possibilità semantiche delle parole,<br />

sperimentando ed inventando neologismi, sinonimi, onomatopee e rime<br />

e ricorrendo a quelle vertiginose strutture seriali (le liste di ha parlato<br />

recentemente U. Eco), che tanto piacevano anche allo scrittore francese.<br />

Avido lettore, Fischart aggiunse poi molto materiale nuovo, attinto per<br />

lo più dalla tradizione classica e dalle vaste opere storiche ed<br />

enciclopediche di epoca medievale.<br />

- 116 -


Le invenzioni linguistiche, i giochi di parole ed immagini, il gusto della compilazione e dell’allusione<br />

costituiscono il piacere della lettura della Geschichtklitterung. Ma una lettura troppo orientata in senso<br />

“barocco” o in senso moderno (alla James Joyce o alla Arno Schmidt) non renderebbe del tutto giustizia a<br />

questo scrittore del Cinquecento, profondamente imbevuto di impegno morale e religioso di matrice<br />

protestante. La sua sperimentazione, infatti, non è mai disgiunta da un rigoroso moralismo, che è proprio<br />

ciò che conferisce autorevolezza alla sua satira (cfr. J.K. Glowa, Johann Fischart’s ‘Geschichtsklitterung’: A<br />

Study of the Narrator and Narrative Strategies, New York, 2000, passim).<br />

Johann Fischart, nato probabilmente a Strasburgo, fu educato a Worms nella casa del poeta Caspar Scheidt.<br />

Intraprese quindi alcuni viaggi: visitò l’Olanda, la Francia, l’Inghilterra e l’Italia, studiando presso lo<br />

Studio di Siena. Al suo ritorno, nel 1574, ricevette a Basilea la laurea in legge. Tra il 1575 e il 1581 produsse<br />

gran parte delle sue opere, vivendo e lavorando in società con il marito della sorella, Bernhard Jobin, uno<br />

stampatore di Strasburgo che pubblicò molti dei suoi scritti. Nel 1581 Fischart fu assunto come avvocato<br />

presso il Reichskammergericht (la corte imperiale di appello) di Spira e nel 1583 fu nominato magistrato a<br />

Forbach vicino Saarbrücken.<br />

Egli scrisse sotto vari pseudonimi (in questo caso Huldrich, ossia Johann, e Ellopos= pesce, Scleronos =<br />

duro: Fisch-hart) più di cinquanta opere satiriche, sia in prosa che in versi, tra le quali ricordiamo Eulenspiegel<br />

(1572), Flöh Haz, Weiber Traz (1573), Das Glückhaft Schiff von Zürich (1576), Podagrammisch Trostbüchlein<br />

(1577), Philosophisch Ehezuchtbüchlein (1578) e Der heilige Brotkorb (1580). Attraverso la sua padronanza<br />

assoluta della lingua tedesca, si può dire che egli proseguì l’impegno di Lutero, contribuendo alla<br />

standardizzazione del tedesco. Fiscart fu sicuramente uno dei maggiori, se non il maggiore pubblicista del<br />

periodo della controriforma. Egli scagliò i propri strali satirici contro la superstizione astrologica, la<br />

pedantria scolastica e, soprattutto, contro il clero, il papa e i Gesuiti (cfr. A. Haufen, Johann Fischart: ein<br />

Literaturbild aus der Zeit der Gegenreformation, Berlin, 1921-1922, passim).<br />

VD16, F-1131. BMSTCGerman, p. 722. € 2.800,00<br />

162) RAMUS, Petrus (Pierre de La Ramée, 1515-1572). Pro philosophica Parisiensis Academiae<br />

disciplina Oratio. Paris, Mathieu David, 1551.<br />

In 8vo (cm 15); pergamena moderna; pp. 125, (1), 2 bianche. Marca tipografica al titolo. Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE. Nella sua tesi di dottorato al Collège de Navarre del 1536, Ramus aveva<br />

attaccato in modo veemente la logica aristotelica, giudicandola fuorviante. Le sue idee furono poi pubblicate<br />

nelle Dialecticae partitiones e nelle Aristotelicae animadversiones (1543). Sotto la guida del rettore Pierre Galland,<br />

l’Università di Parigi si mosse contro l’oppositore, cercando di screditarlo in varie maniere.<br />

«”Who can oppose Aristotle without declaring war against our<br />

forefathers” explained Galland, weighing the full implications of<br />

Ramus’ approach. It is “an open declaration of war against the most<br />

religious pontiffs, the most venerable emperors, the most esteemed<br />

kings”. If every man can reason for himself, what is there in this<br />

world that cannot be re-examined from scratch? The prerogatives of<br />

popes, emperors and kings derive their legitimacy all from sanction<br />

of the theology faculty, which in turn, founded its authority on Aristotle<br />

and Scripture. So Ramus’ position did appear more seditious than<br />

Luther’s, since Luther did not question the authority of Moses and<br />

Ramus challenged the authority of Aristotle. A formal debate was<br />

arranged to examine the validity of Ramus’ charges. Ramus’ views<br />

were declared false and pernicious. In 1544 an edict by King Francis<br />

I followed. Ramus’ books were suppressed and he was forbidden to<br />

teach philosophy. Nevertheless, in 1545 Ramus was appointed<br />

president of the Collège de Presles, and in 1547, through the<br />

intercession of Ramus’ old and long cultivated school fellow, Charles<br />

de Guise, Cardinal of Lorraine, Henry II revoked the ban. The central<br />

event of his rise to fame certainly was Ramus’ appointment as regius<br />

professor of eloquence and philosophy in 1551. In the present oration<br />

Ramus not only pleads for philosophy but also for himself. He<br />

describes his revolutionary courses of studies at the Collège de Presles<br />

and maintains that they are in accord with the University’s statutes.<br />

The close of this plea is perhaps Ramus’ most touching piece of<br />

writing, quite personal and eloquent, and an important source for his<br />

- 117 -


iography. In 1562 Ramus converted to Protestantism, and in 1568 he fled France. He sought a teaching<br />

position in European universities and studied Protestant theology in Basel. In 1571 Ramus, critical of the<br />

actions of the Synod of the Reformed Church of France held at La Rochelle, tried to persuade Bullinger to<br />

reject them. In may 1572 the synod met at Nîmes, where is rejected Ramus’ advocacy of a congregationalist<br />

form of church government. Shortly thereafter Ramus was a victim of the Saint Bartholomew’s Day Massacre<br />

of August 23, 1572» (G. Huppert, Peter Ramus the Humanist as ‘Philosophe’, in: “Modern language Quarterly”,<br />

LI, 1990, pp. 208-223).<br />

Adams, R-113. W.J. Ong, Ramus and Talon Inventory, Cambridge (MA), 1958, p. 156, nR. 198. € 1.900,00<br />

ENRICO DI BRAUNSCHWEIG E EVA VON TROTT<br />

163) (RATISBONA). Supplication: an Kaiserliche Maiestat, der Mordbrenner halben, Auff dem<br />

Reichstag, zu Regenspurg, Kaiserlicher Maiestat uberantwort etc. Wittenberg, Veit Creutzer, 1541.<br />

In 4to (cm 18,5); cartonato posteriore; cc. (53). Manca l’ultima carta bianca. Minime bruniture e fioriture,<br />

piccolo timbro sul margine bianco del titolo, ma ottima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa raccolta di petizioni rivolte all’imperatore Carlo V in occasione della Dieta di<br />

Ratisbona, da lui inaugurata il 5 aprile del 1541.<br />

Nella prima parte sono esposti numerosi casi di assassini e incendiari con i loro nomi e le ammende<br />

comminate. Il rimanente del volume affronta invece i ricorsi riguardanti il famigerato duca Enrico di<br />

Braunschweig (1479-1568, il famoso “böser Heinz” di Lutero , considerato a quel tempo come il “più<br />

grande papista di tutta la Germania”).<br />

Per una disputa dinastica Enrico aveva tenuto prigioniero per dodici anni suo fratello William, liberandolo<br />

solo dopo avergli estorto un contratto a lui sfavorevole (il cui testo è qui stampato integralmente). La<br />

crudeltà di Enrico si era poi riversata contro la moglie, ma lo scandalo maggiore da lui suscitato riguardò<br />

invece la sua relazione illecita con una delle damigelle d’onore della consorte, Eva von Trott. Per nascondere<br />

la loro relazione il duca la fece ufficialmente allontanare dalla corte. Sulla via del ritorno a casa, lei morì<br />

improvvisamente di peste e fu frettolosamente sepolta. In realtà venne interrato un semplice burattino di<br />

legno e il duca poté continuare a vedere la sua amante, nascosta nel castello di Stauffenburg. Dalla loro<br />

relazione nacquero sette figli. Quando la vicenda venne pubblicamente resa nota alla Dieta di Ratisbona,<br />

Enrico fu costretto a trasferire la sua amante e i suoi figli da un castello all’altro, per poi infine sistemarli ad<br />

Hildesheim (cfr. H. v. Strombeck, Eva von Trott, des Herzogs Heinrich des Jüngeren von Braunschweig-Wolfenbüttel<br />

Geliebte, und ihre Nachkommenschaft, in: “Zeitschrift des Harz-Vereins für Geschichte und Alterthumskunde”,<br />

2/III, 1869, pp. 11-57).<br />

VD16, E-4651. € 580,00<br />

L’ULTIMA ASSEMBLEA DEGLI STATI GENERALI PRIMA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE<br />

164) RECUEIL des principaux traitez escrits et publiez pendant la tenue des Estats generaux du<br />

Royaume assemblez à Paris l’an 1614. et 1615. 1. Le premier article du Cahier general du tiers<br />

Estat… 2. Le Caton François, au Roi. 3. Advis, Remonstrances et requestes aux Estats generaux…<br />

4. Le serviteur fidele, et l’homme d’Estat. 5. Les Alarmes. S.n.t. (ma Parigi), 1615.<br />

In 8vo (cm 16); cartone antico; pp. 143, (1), 24. Armi reali al titolo. Un po’ brunito per la qualità della carta,<br />

angoli delle prime carte un po’ arricciati, nel complesso buon esemplare.<br />

Rara raccolta di scritti anonimi (salvo il Traité di Jean Savaron) prodotti dai rappresentanti del Terzo Stato,<br />

che esprimono consigli, rimostranze e richieste rivolte agli Stati Generali riuniti a Parigi nel 1614. La<br />

volontà del Terzo Stato si concretizza nell’enunciazione di 56 articoli (pp. 78-85) esposti al re.<br />

Il Savaron nel suo pamphlet (p. 125 e sgg.) combatte la dottrina molto diffusa secondo la quale i popoli e i<br />

papi avrebbero avuto il diritto di deporre un re che non avesse difeso la religione con sufficiente zelo.<br />

Gli Stati Generali si riunirono a Parigi il 27 ottobre 1614, ma le divisioni fra i vari ceti li resero impotenti.<br />

Alla fine il governo sciolse d’autorità l’assemblea (marzo 1615). Gli Stati Generali non sarebbero più stati<br />

convocati fino al 1789.<br />

Apparentemente sconosciuto. € 350,00<br />

165) REDI, Francesco (1626-1697). Esperinze intorno à sali fattizj. S.n.t. (fine XVII secolo).<br />

In 4to (cm 22,1); senza copertina; pp. 8.<br />

Il trattatello apparve per la prima volta nel “Giornale de’ letterati di Roma” nel 1674. La presente è una<br />

tiratura a parte, autonoma.<br />

- 118 -


L’operetta è divisa in venti punti che affrontano la natura dei sali (o cristalli) che si ricavano riducendo in<br />

cenere «erba, fiore, frutto, legno, o che sia». La prima funzione dell’«abbruciamento» è quella di fare il<br />

ranno o liscivia. L’altra funzione è quella purgativa che per il Redi è identica per ogni tipo di sale ottenuto<br />

(molto più efficace del sale comune). Egli conclude affermando che i sali ricavati dai diversi vegetali non<br />

conservano le virtù e facoltà che hanno allo stato naturale.<br />

Francesco Redi, aretino, si laureò in filosofia e medicina presso l’Università di Pisa nel 1647. Iscritto al<br />

Collegio Medico di Firenze già dall’anno successivo, entrò al servizio dei Medici in qualità di medico e<br />

sovrintendente della farmacia ducale.<br />

Membro dell’Accademia del Cimento e dell’Accademia della Crusca, egli si occupò di entomologia,<br />

parassitologia e tossicologia. Nel 1664 pubblicò le Osservazioni intorno alle vipere, nel 1668 le Esperienze<br />

intorno alla generazione degl’insetti e nel 1684 le Osservazioni intorno agli animali viventi, che si trovano negli<br />

animali viventi. Fu autore anche di un fortunatissimo poema sul vino, Bacco in Toscana, pubblicato a Firenze<br />

nel 1685. Redi morì a Pisa nel 1697.<br />

D. Prandi, Bibliografia delle opere di Francesco Redi, Reggio Emilia, 1941, nr. 38. € 220,00<br />

166) REMEDIA SEPTEM CONTRA AMOREM<br />

ILLICITUM, PRAECIPUE MULIERUM: Et quinq(u)e<br />

incitamenta ad amorem dei, omnibus necessarium. Paris,<br />

Jodocus Badius, March 7, 1521.<br />

In 8vo (cm 13); pergamena posteriore con fregi in oro e strisce di<br />

pelle rossa incollate sul dorso e sui piatti; cc. (44). Marca tipografica<br />

al titolo. Ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo trattatello morale contro “le<br />

tentazioni della carne”, l’ “amore carnale” e il “piacere illecito”,<br />

scritto da un monaco cartusiano e dedicato dal celebre editore<br />

Jodocus Badius a Willem Bibaut, priore del Cartusiani dei Paesi<br />

Bassi.<br />

B. Moreau, Inventaire chronologique des éditions parisiennes du XVI e<br />

siècle, Paris, 1972, III, p. 103, nr. 213. P. Renouard, Bibliographie des<br />

impressions et des oeuvres de Josse Badius Ascensius, Paris, 1908, III,<br />

pp. 208-209. € 1.500,00<br />

167) REUSNER, Nikolas (1545-1602). De Italia, regione<br />

Europae nobilissima libri duo. Quorum primus regionum, alter<br />

orbium Italiae descriptiones continet... Item Elogia in urbes<br />

Italiae Poetica, & oratoria. Strassburg, Bernhard Jobin, 1585.<br />

(legato con:)<br />

AUDEBERT, Germain (1518-1598). Venetiae, Roma. Parthenope. Postrema editio ab Auctore<br />

ante obitum recognita & emendata. Hannover, Typis Wechelianis, 1603.<br />

Due opere in un volume in 8vo (cm 16,5); legatura coeva in piena pergamena rigida con unghie, due armi<br />

nobiliari (non identificate) impresse in nero una sull’altra al piatto anteriore; pp. (16), 171, (8), 448, (80) +<br />

pp. (16), 237, (2). Marche tipografiche ai titoli. Ottima copia.<br />

(I) PRIMA EDIZIONE, dedicata al conte Julius Salm-Neuburg, le cui armi sono impresse al verso del titolo,<br />

di questa descrizione storico-geografica dell’Italia (sono prese in considerazione un centinaio di città), la<br />

quale contiene anche vari componimenti elogiativi di numerosi autori contemporanei, tra cui ricordiamo<br />

Janus Pannonius, Georgius Sabinus, Joachim Honter, Giulio Cesare Scaligero, Mapheus Vegius, Francesco<br />

Franchini, Philipp Lonicer, Marcantonio Flaminio, Georg Fabricius, Jean Jacques Boissard, Eobanus Hessus,<br />

Francesco Maria Molza, Lazzaro Bonamici, Lodovico Ariosto, Nocolas Bourbon, Nathan Chytraeus, George<br />

Buchanan, Eurichius Cordus, Celio Calcagnini, Nicodemus Frischlin, Francesco Spinola, Paolo Manuzio,<br />

Andrea Alciati, Pietro Angeli, Antonius Codrus Urceus, Andrea Navagero, Tito Vespasiano Strozzi,<br />

Giovanni Battista Pigna, Curzio Gonzaga, Michael Marullus, Girolamo Fracastoro e Benedetto Lampridio.<br />

Alla fine dell’opera, con frontespizio separato, si trova una raccolta di epigrammi su varie città italiane,<br />

un’ode a papa Gregorio XIII e numerosi componimenti di Paul Melissus Schede (1539-1602).<br />

Nikolas Reusner, avvocato e storiografo originario di Löwenberg in Slesia, studiò a Wittenberg sotto<br />

Melantone, Lipsia e Basilea, dove ottenne la laurea in legge. Docente di diritto presso le Università di<br />

Strasburgo e Jena, ricevette anche importanti incarichi diplomatici. Nel 1594 l’imperatore Rodolfo II lo<br />

- 119 -


nominò Conte Palatino e poeta laureato. Oltre a numerose<br />

pubblicazioni giuridiche, Reusner è l’autore dei testi del dizionario<br />

biografico Icones sive imagines virorum literis illustrium (1587), illustrato<br />

da Tobias Stimmer<br />

Adams, R-400. VD-16, R-1438.<br />

(II) PRIMA EDIZIONE COLLETTIVA di questi tre componimenti<br />

poetici, qui ristampati con qualche aggiunta nelle pagine preliminari.<br />

Roma era apparso a Parigi nel 1555, Parthenope sempre a Parigi nel<br />

1585 e Venetiae a Venezia nel 1583.<br />

Germain Audebert, poeta originario di Orléans, viaggiò per la penisola<br />

italiana dal 1539 al 1544, visitandone tutte le città più importanti.<br />

Brunet I, col. 550. A. Cioranesco, Bibliographie de la litterature française<br />

du 16 e siècle, Paris, 1959, p. 95, nr. 2869.<br />

€ 1.500,00<br />

168) RICCATI, Vincenzo S.J. (1707-1775). De’ principi della<br />

Meccanica lettere di Vincenzo Riccati al P. Virgilio Cavina professore<br />

delle Matematiche in Cagliari di Sardegna. Venezia, nella<br />

Stamperia Coleti, 1772.<br />

Eccezionale esemplare non rilegato, composto da 14 fogli sciolti (di<br />

cm 45,5x33) segnati A-O, ripiegati una sola volta, ma non pressati:<br />

essi contengono 111, (1) pagine complessive. Se piegati per la rilegatura,<br />

i fogli formerebbero un volume in 4to di quattordici fascicoli<br />

intonsi e a fogli chiusi. Mancano la carta d’errata aggiunta in fine e le 5 tavole fuori testo. Timbro a secco sul<br />

titolo. Due piccole macchie sul primo foglio, per il resto perfettamente conservato.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. «The text is structured as a series of nineteen letters to Virgilio Cavina, dated<br />

from 26 October 1770 to 10 April 1771. The letters discuss inertia, force, and the nature of equilibrium, going<br />

on to discuss the nature of action and its measurement; constant, variable and nascent force; force exerted<br />

in various directions; curvilinear and necessary movements; and the principle of action applied to the<br />

movement of fluids» (V.L. Roberts-I. Trent, Bibliotheca mechanica, New York, 1991, p. 279).<br />

Figlio del celebre matematico Jacopo Francesco, Vincenzo Riccati entrò nella Compagnia di Gesù nel 1726.<br />

Insegnò a Piacenza, Padova, Parma e Bologna. Si occupò anch’egli, come il padre, di problemi matematici<br />

(in particolare di risoluzione delle equazioni differenziali) e fisici e presentò vari progetti di ingegneria<br />

idraulica per contenere le piene dei fiumi Reno, Po, Adige e Brenta. Dopo la soppressione dell’ordine nel<br />

1773, fece ritorno a Treviso, sua città natale (cfr. D.S.B., XI, pp. 401-402).<br />

<strong>Catalogo</strong> Unico, IT\ICCU\UBOE\071745. Riccardi, I, 368. A. de Backer-Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la<br />

Compagnie de Jésus, Liège, 1872, VI, col. 1779, nr. 25. € 950,00<br />

169) ROBERTO BELLARMINO, Santo (1542-1621). De scriptoribus ecclesiasticis liber unus.<br />

Cum adiunctis indicibus undecim, et brevi chronologia ab orbe condito usque ad annum M.DC.XII.<br />

Roma, Bartolomeo Zanetti, 1613.<br />

In 4to (cm 20,2); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso (tracce di legacci, minimi<br />

danni alle cuffie, un po’ sporca); pp. (12), 258, (14), 37, (2), 1 bianca. Stemma della Compagnia di Gesù sul<br />

titolo e grande marca tipografica in fine. Esemplare un po’ fiorito e brunito, ma piuttosto genuino.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa celebre bio-bibliografia di autori ecclesiastici. «Mentre l’Apparatus sacer di<br />

Antonio Possevino (1603) restava fermo alla seconda edizione di Colonia, il repertorio analogo del<br />

Bellarmino andava incontro ad un successo molto maggiore (quattro edizioni a Parigi fra 1617 e 1658; tre<br />

a Lione, le ultime delle quali a distanza di parecchi decenni dalla prima apparsa nel 1613; a Lovanio nel<br />

1678; a Colonia, 1657 e 1684), e tutto ciò nella scia dell’enorme diffusione dell’altra sua opera dottrinariacatechistica<br />

tradotta non solo in tutte le lingue europee ma altresì in diverse lingue orientali e africane» (L.<br />

Balsamo, La bibliografia. Storia di una tradizione, Firenze, 1992, p. 54).<br />

Roberto Bellarmino, gesuita originario di Montepulciano, studiò presso il Collegio Romano e presso le<br />

Università di Padova e Lovanio. Insegnò in varie città, fu predicatore famoso, svolse importanti missioni<br />

diplomatiche, partecipò a tutte le maggiori controversie teoogiche del tempo (comprese quelle riguardanti<br />

Giordano Bruno e Galileo Galilei, da lui conosciuto nel 1611) e nel 1599 fu eletto cardinale. Le sue opere<br />

dottrinali ebbero una straordinaria infuenza in tutta Europa per vari decenni. La sua canonizzazione<br />

- 120 -


avvenne nel 1930 sotto il pontificato di Pio XI.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0E\003366. De Backer-Sommervogel, I, 1266. <strong>Libreria</strong> Vinciana, 3598.<br />

Bestermann, col. 4023. € 550,00<br />

170) RÖSSLIN, Eucharius (ca. 1490-1526) - LONICER, Adam (1528-1586). Hebammenbüchlein.<br />

Von der menschlichen empfengnus und geburt, und der schwangeren frawen allerhand zufellingen<br />

gebrechen , und derselben Cur und wartung. Item von der jungen kindlin pflege, aufferziehung, und<br />

derselben mancherley schwacheyten… Jetzt aber von newem gemehrt und gebessert. In fine:<br />

Franckfurt a.M., eredi di Christian Egenolff, 1562.<br />

In 8vo (cm 16); legatura dei primi del Novecento in piena pelle con ricche impressioni a secco sui piatti e sul<br />

dorso (minimi danni alle cerniere); cc. (8), 109, (1). Mancano le ultime 2 carte bianche. Titolo stampato in<br />

rosso e nero con 2 figure in legno che raffigurano un feto singolo e due gemelli all’interno dell’utero. Con<br />

inoltre 40 figure xilografiche nel testo, di cui 1 a piena pagina, che mostrano il feto in varie posizioni, la<br />

sedia per il parto e le operazioni necessarie per la cura e la crescita dei bambini. Insignificanti restauri nel<br />

margine interno di alcune carte, lieve traccia di inchiostro sul margine bianco del titolo (molto sbiadita),<br />

leggere bruniture uniformi dovute alla qualità della carta, ma nel complesso copia più che buona.<br />

PRIMA EDIZIONE, curata e commentata da Adam Lonicer, del celebre Rosengarten di Eucharius Rösslin<br />

il Vecchio, che è considerato come il primo libro di ostetricia scritto appositamente per le levatrici.<br />

Pubblicata per la prima volta nel 1513 con le figure di Martin Caldenbach, un allievo di Albrecht Dürer,<br />

l’opera fu ristampata innumerevoli volte fino alla fine del Settecento, sia nell’originale tedesco che nella<br />

traduzione latina (De partu hominis) realizzata dal figlio omonimo dell’autore nel 1532. Nel corso del<br />

Cinquecento essa fu poi tradotta in tutte le principali lingue europee.<br />

Rösslin si avvalse soprattutto dei testi di Moschione (VI sec. D.C.) e Sorano di Efeso, conosciuti attraverso<br />

un manoscritto del XIII secolo oggi conservato alla Vaticana, ma ebbe presenti anche gli autori classici<br />

come Ippocrate, Galeno e <strong>Alberto</strong> Magno.<br />

La presente edizione è dedicata da Lonicer ad Anne Müllerin, moglie di Johann Braun von Delft.<br />

Eucharius Rösslin (Rhodion), dal 1493 farmacista a Friburgo, nel 1506 fu nominato medico della città di<br />

Francoforte sul Meno. In seguito fu chiamato a Worms al servizio della cittadinanza e, in particolare, della<br />

moglie del duca di Brunswick-Lüneburg. Fu durante il suo soggiorno a Worms che egli, in qualità di<br />

supervisore delle locali levatrici, scrisse in vernacolo per quest’ultime il celebre manuale intitolato<br />

- 121 -


Rosengarten. Nel 1517 Rösslin fece ritorno a Francoforte, dove rimase come medico fino alla morte. Il figlio<br />

Eucharius, autore di un libro sui minerali e il loro impiego, prese il posto che era stato del padre.<br />

Adam Lonicer, originario di Marburgo e figlio di un professore di greco ed ebraico dell’università di quella<br />

città, dopo un breve periodo di insegnamento presso il Gymnasium di Francoforte, fece ritorno al suo paese<br />

natale a causa dei disordini dovuti alla guerra. Nel 1553 fu fatto professore di matematica a Marburgo e<br />

l’anno seguente docente di medicina. Nello stesso periodo fu nominato medico municipale della città di<br />

Francoforte, dove lavorò anche come revisore editoriale per conto dello suocero, il tipografo Christian<br />

Egenolph. Alla morte di quest’ultimo, Lonicer ereditò una quota dell’attività, che era una delle più prospere<br />

della Germania, e la diresse in società con il cognato. In qualità di medico municipale scrisse anche una<br />

regolamentazione per controllare la peste (1572) e una delle prime e più complete regolamentazioni per le<br />

levatrici pubblicate in Germania nel Cinquecento: la prima in assoluto ad essere scritta da un medico<br />

(Reformation, oder Ordnung für die Hebammen, Frankfurt a.M., 1573). Realizzò inoltre un erbario di grande<br />

successo (1557), che fu ristampato fino al XVIII secolo.<br />

OCLC, 25901679. VD16, R-2843. Wellcome Library, I, 5518. G. Richter, Christian Egenolffs Erben 1555-1667,<br />

Frankfurt a.M., 1965, nr. 145. € 4.800,00<br />

171) ROUSSEAU, Jean Jacques (1712-1778). [Du contract social;] Principes du droit politique…<br />

Amsterdam, Marc Michel Rey, 1762.<br />

In 8vo (cm 20); legatura coeva in piena pelle marmorizzata, dorso a cinque nervi con fregi, tassello e titolo<br />

in oro, tagli e risguardi marmorizzati (minimi danni agl’angoli superiori); pp. (4), VIII, 323, (1). Vignetta in<br />

rame al titolo. Insignificanti fioriture marginali su alcune carte, per il resto ottima copia genuina e marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE, seconda emissione. Rispetto alla prima tiratura, l’editore M.M. Rey, per volontà<br />

dell’autore, soppresse la porzione superiore del titolo (Du contract social;), trasferendola, compreso il punto<br />

e virgola, nell’occhietto. La vignetta centrale fu sostituita e furono soppresse le ultime due pagine, contenenti<br />

un discorso sul matrimonio, che Rousseau temeva potesse irritare le autorità francesi. Questa seconda<br />

tiratura presenta quindi alla pagina (324) il Catalogue de livres imprimez chez Rey, Libraire à Amsterdam.<br />

Nonostante queste misure precauzionali prese dall’autore, l’opera fu comunque proibita in Francia e<br />

numerose copie furono distrutte. Nello stesso anno, con le stesse note tipografiche, apparvero anche un’edizione<br />

ufficiale in 12mo, facente parte delle Oeuvres diverses del Rousseau, e varie contraffazioni sempre in<br />

12mo (cfr. R.A. Leigh, Rousseau, his publishers and the Contrat social, in: "Bulletin of the John Rylands University",<br />

v. 66, n. 2, primavera 1984, pp. 204-227).<br />

Il Conratto sociale è il testo principale in cui Rousseau esprime la tesi fondamentale che un governo dipenda<br />

in modo imprescindibile dal mandato popolare. «Rousseau’s most important political treatise was The<br />

Social Contract (1762), a political matrix and symbol of a wider shift in ideas about the nature of reality, the<br />

self, and politics in Western society (W. Gairdner, Jean-Jacques Rousseau and the Romantic Roots of Modern<br />

Democracy, in: “Humanitas”, vol. 12, 1999, p. 77).<br />

«Furthermore, The Social Contract also appears to concur with the argument in Political Economy that the<br />

proper politicization of passions is their salvation. While Rousseau offers many criticisms of citizens’<br />

private desires, he has none to offer of the general will, the expression of the citizens’ public desires. The<br />

general will, he contends, is “always right and always tends toward the public utility”. The only problem<br />

is that the citizens do not always discern the public good, and “only then does it appear to want what is<br />

bad”. Elaborating on this argument a few pages later, Rousseau contrasts private desire with public desire:<br />

“Private individuals see the good they reject; the public wants the good it does not see”. In other words,<br />

whereas individuals may purposely hold on to desires for bad things, the public only desires such things<br />

out of ignorance. Rousseau concludes this argument by asserting the need for a legislator who will enlighten<br />

the public, but the point here is the distinction he has drawn between private and public passion. Apparently,<br />

in the move from “I desire” to “we desire”, desire itself is redeemed from any harmful intentions. The<br />

“dangerous disposition from which all our vices arise” is “transform[ed] into a sublime virtue”. Although<br />

one might argue that Rousseau does not fully explain why the general will is by definition virtuous, it is<br />

clear that the key to its virtue is its generality, its link to the common interest. The private will, he says,<br />

“tends by its nature toward preferences, and the general will toward equality”. The general will is also, of<br />

course, the guarantee of the citizens’ freedom. Since equality and freedom are among the supreme virtues in<br />

Rousseau’s thought, we can begin to see why he praises the citizens’ public passion» (C. Hall, Reason,<br />

Passion and Politics in Rousseau, in: “Polity”, vol. 34, 2001, p. 69 e sgg.).<br />

«It had the most profound influence on the political thinking of the generation following its publication. It<br />

was, after all, the first great “emotional” plea for the equality of all men in the state: others had argued the<br />

same theoretically, but had themselves tolerated a very different government. Rousseau believed passionately<br />

in what he wrote, and when in 1789 a similiar emotion was released on a national scale, the Contract Social<br />

- 122 -


came into its own as the bible of the revolutionaries in building their ideal state… [Rousseau’s] fundamental<br />

thesis that the government depends absolutely on the mandate of the people, and his genuine creative<br />

insight into the political and economic problems of society gives his work an indisputable cogency» (Printing<br />

and the Mind of Man, nr. 207).<br />

A. Tchemerzine, Bibliographie d’éditions originales et rares d’auteurs français des XV e , XVI e , XVII e et XVIII e siècles,<br />

Paris, 1977, V, p. 543. J. Sénelier, Bibliographie générale des oeuvres de J.J. Rousseau, Paris, 1950, nr. 554. OCLC,<br />

5798807. T.A. Dufour, Recherches bibliographiques sur les oeuvres imprimées de J.-J. Rousseau, Paris, 1925, nr. 133.<br />

€ 12.800,00<br />

172) [ROUSSELON]. Traité des chiens de chasse, contenant l’histoire générale de l’espèce; les<br />

soins à prendre pour faire des éléves, croiser les races, entretenir une meute en santé et guérir le<br />

maladies; la description des races propres à la chasse, avec la figure de chacune d’elles, et la meilleure<br />

méthode pour dresser les chiens; par un des collaborateurs du Traité générale des chasses. Dédié a<br />

M. Le Marquis de Lauriston. Paris, Rousselon, 1827.<br />

In 8vo (cm 20,5); mezza pelle dell’epoca, dorso a nervi con fregi e titolo in oro, piatti, risguardi e tagli<br />

marmorizzati; pp. VIII, 200 con 16 tavole a colori fuori testo (Théodore Susémihl). Lievi arrossature, leggeri<br />

aloni su alcune carte, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questa interessante opera sui cani da caccia, corredata da belle figure a piena<br />

pagina.<br />

Essa tratta della storia dei cani da caccia, delle loro razze e delle loro malattie; insegna inoltre come<br />

approntare un corretto addestramento.<br />

OCLC, 20648553. Thiébaud, coll. 792-793. € 1.400,00<br />

173) ROVATTI, Giuseppe (1746-1812). Dell’origine delle fontane componimento poetico in versi<br />

sciolti di Giusepppe Rovatti. Scritto al Sig. Abbate Pietro Metastasio e dedicato a Sua Eccellenza<br />

il Sig. Marchese Antonio Pallavicini. Modena, Giovanni Montanari, 1770.<br />

In 4to (cm 19); cartoncino recente; pp. (8), 70, (2 bianche). Ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di questo poema scientifico-divulgativo in versi sciolti, che passa in<br />

rassegna, con obiettività e senza commenti, le teorie di autori antichi e moderni sull’argomento, per concludere<br />

che l’opinione corretta sull’origine delle fonti è quella espressa dal grande Vallisnieri nella sua Lezione<br />

accademica sopra l’origine delle fontane, apparsa a Venezia nel 1726.<br />

Modenese, il Rovatti fu naturalista ed, in particolare, entomologo. Nella sua proprietà di campagna a<br />

Solara ebbe modo di compiere diverse osservazioni, in gran parte rimaste inedite, che egli comunicò a L.<br />

Spallanzani, con il quale intrattenne per molti anni un proficuo scambio epistolare. Dal 1776 al 1785 egli<br />

svolse inoltre il compito di revisore editoriale degli scritti dello Spallanzani, il quale, pur essendosi trasferito<br />

da Modena a Pavia nel 1773, continuò a far stampare le sue opere presso la tipografia modenese<br />

Montanari. Nel 1772, sempre a Modena, il Rovatti pubblicò un’Epistola in versi sopra il poema di Dante. Nel<br />

1773 gli fu offerta la cattedra di Storia Naturale presso la riformata università della sua città natale, che egli<br />

tuttavia rifiutò. L’Autografoteca Campori della Biblioteca Estense di Modena conserva anche il nutrito<br />

carteggio che il Rovatti intrattenne con l’abate Metastasio, probabilmente presentatogli dall’abate Giuseppe<br />

Riva, di cui era nipote e che fu per un certo periodo ministro estense a Vienna. Membro dapprima<br />

dell’Accademia Rangoniana, fu successivamente nominato socio dell’Accademia di Scienze e Belle Lettere,<br />

quando quest’ultima cominciò ad avvalersi del contributo scientifico degli accademici rangoniani (cfr.<br />

R. Cottafava, Giuseppe Rovatti: un accademico modenese, in: “Il cerchio della vita. Materiali di ricerca del<br />

Centro Studi Lazzaro Spallanzani di Scandiano sulla storia della scienza nel Settecento”, a cura di W.<br />

Bernardi e P. Manzini, Firenze, 1999, pp. 251-262).<br />

ICCU, IT\ICCU\SBLE\006600. € 190,00<br />

VERONICA GAMBARA<br />

174) RUSCELLI, Girolamo editor (ca. 1515-1566). Rime di diversi eccellenti autori bresciani,<br />

nuovamente raccolte, et mandate in luce da Girolamo Ruscelli; tra le quali sono le rime della Signora<br />

Veronica Gambara, et di M. Pietro Barignano, ridotte alla vera sincerità loro. Venezia, Plinio<br />

Pietrasanta, 1553. Pp. (16), 234 [i.e. 235], (17), 4 bianche. I fascioli P e Q sono erroneamente<br />

rilegati alla fine del volume. Marca tipografica al titolo. Bei capilettera istoriati.<br />

- 123 -


(legato con:)<br />

MANTOVA, Domenico (m. 1550). Rime di M. Domenico Mantova, gentil’huomo bresciano.<br />

Venezia, Plinio Pietrasanta, 1554. Pp. 45, (3). Marca tipografica al titolo. Secondo D.E. Rhodes<br />

(Silent Printers. Anonymous printing at Venice in the sixteenth century, London, 1995, p. 165)<br />

l’edizione fu stampata da Francesco Marcolini.<br />

Due opere in un volume in 8vo (cm 14,3); legatura del XVIII secolo in pergamena rigida con titolo manoscritto<br />

al dorso, tagli marmorizzati. Qualche lieve alone marginale, ma ottima copia.<br />

I) RARA EDIZIONE ORIGINALE. «Si tratta della più cospicua<br />

raccolta cinquecentesca di poesie della Gambara, e della<br />

più significativa antologia di lirici bresciani del XVI secolo»<br />

(Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell’Italia settentrionale,<br />

Atti del Convegno, Brescia-Correggio, 1985, Firenze, 1989,<br />

p. 7). Nella dedica alla contessa Virginia Pallavicina Gambara,<br />

datata 15 novembre 1553, G. Ruscelli, curatore della raccolta,<br />

celebra la città di Brescia e la famiglia Gambara, animatrice di<br />

circoli umanistici e letterari, in cui Veronica era protagonista.<br />

La raccolta, che si apre con le rime di Veronica Gambara e<br />

Pietro Barignano (interessante figura di poeta cortigiano in<br />

realtà di origini pesaresi, morto fra il 1540 e il 1550, su cui<br />

vedi D.B.I., VI, pp. 365-367), comprende anche i versi dei seguenti<br />

autori: M. Agatio, Lucia Albana, B. Arnigio, G. Bornati,<br />

B. Cazzago, L. Cerete, E. Emilii, C. Faita, G. Fenaruolo, G.F.<br />

Gambara, F. Martinengo, V. Martinengo, V. Metello, F.<br />

Moiacola, P. Monte, F. Nores, F. Pocopagni, P. Pocopagni, G.A.<br />

Sacchetto, F. Stella, B. Tibero e G.A. Ugoni.<br />

«The poet Veronica Gambara was a contemporary on the<br />

literary scene and the same age as Vittoria Colonna. Despite<br />

her role, together with Colonna and Gaspara Stampa, as<br />

protagonist in the small group tradionally labelled as the<br />

standard bearers of female Petrarchism, she has not achieved<br />

the same recognition, and has always remained a somewhat<br />

distant figure. Of the same aristocratic rank as Colonna,<br />

Gambara became Lady of Correggio in 1508 when she married Count Giberto X. She, too, was widowed<br />

quite young, in 1518, but in contrast to Vittoria, Veronica continued to be involved in the responsabilities of<br />

family and property. This fact helps to highlight the difference in their lives and their poetic choices.<br />

Gambara’s verse, for example, seldom betrays a tendency to spiritual reflection. Neither before nor after her<br />

husband’s death does she show herself drawn to a religious or mystical life. In fact if one compares her<br />

with Colonna, it is perhaps in this tension between her literary activity and her active life in the world that<br />

we can occasionally glimpse the frustration and dissatisfaction which cloud Veronica’s polished image.<br />

Since we found in her verses serious, measured emotions which adhere to a pessimistic, Petrarchan<br />

understanding of the temporality of all things, it could be maintained that Veronica, and not Vittoria,<br />

deserves to be acclaimed as the role model, for her ability to control a language which was easily imitable,<br />

and more neutral than Colonna’s own intensely expressive tone» (G. Rabitti, Lyric poetry, 1500-1600, in: “A<br />

History of Women’s Writing in Italy”, a cura di L. Panizza e S. Wood, Cambridge, p. 40).<br />

Alcune rime della Gambara presenti nella raccolta erano state stampate in un antologia di qualche anno<br />

precedente sotto il nome di Vittoria Colonna. Ruscelli ne ripristina la giusta ed indiscussa paternità. Il<br />

sonetto Vinca gli sdegni… (p. 2), qui attribuito alla Gambara, è invece della Colonna (cfr. D. Pizzigalli, La<br />

signora della poesia: vita e passioni di Veronica Gambara artista del Rinascimento, Milano, 2004, p. 163).<br />

Originaria di Pralboino vicino Brescia, V. Gambara (1485-1550), figlia del conte Gianfrancesco (anch’egli<br />

antologizzato nella presente raccolta) e di Alda Pio di Carpi, cominciò in giovane età a comporre rime,<br />

come attesta un’affettuosa lettera inviatale dal Bembo l’11 settembre del 1504. Nel 1508 si sposò con il conte<br />

Giberto X da Correggio e nel 1509 si trasferì nella piccola città emiliana. Ebbe due figli, Ippolito che succederà<br />

al padre e Girolamo che seguirà la carriera ecclesiastica. Dopo la morte del marito avvenuta il 26<br />

agosto del 1518, Veronica decise di non risposarsi e di seguire personalmente la gestione dei beni del<br />

marito fino alla maggiore età del primogenito. In ciò si dimostrò estremamente capace e si attirò la stima e<br />

l’amicizia di numerosi potentati circonvicini. Essa decise inoltre di abbandonare il tradizionale orientamento<br />

politico filofrancese per avvicinarsi sempre più al partito imperiale. L’apice del suo prestigio politico<br />

lo raggiunse durante la visita di due giorni che Carlo V fece a Correggio nel marzo del 1530. Durante i<br />

- 124 -


numerosi viaggi diplomatici e personali che compì a Bologna, Brescia e Mantova ebbe inoltre modo di<br />

intrattenere relazioni con intellettuali come P. Bembo, F.M. Molza, B. Cappello, G. Mauro e G.G. Trissino<br />

(cfr. Pizzigalli, op. cit., passim).<br />

Edit16, CNCE34699. Adams, R-547. BMSTCItalian, p. 593. V. Gambara, Rime, a cura di A. Bullock, Firenze,<br />

1995, p. 43.<br />

II) EDIZIONE ORIGINALE, seconda tiratura (la prima reca la data del 1553), pubblicata per le cure di<br />

Girolamo Ruscelli. Questi, nella dedica a Girolamo Martinengo, datata 4 novembre 1553, ricorda come<br />

fosse venuto in possesso di alcune rime del Mantova attraverso un amico comune, che gli aveva però<br />

proibito di stamparle, essendoci un ferreo divieto dell’autore in questo senso. Alla morte di quest’ultimo<br />

però, il Ruscelli, che in quei giorni aveva appena finito di pubblicare le Rime di diversi eccellenti autori<br />

bresciani, diede alle stampe anche questi pochi componimenti (73 in tutto), che talvolta infatti si trovano<br />

rilegati al seguito dell’antologia suddetta. Con indice finale dei componimenti.<br />

Edit16, CNCE34664. BMSTCItalian, p. 410. V. Peroni, Biblioteca bresciana, Brescia, 1818, II, p. 212. € 2.600,00<br />

175) SAINT-GELAIS, Mellin de (1491-1558). Oeuvres poëtiques. Lyon, Antoine de Harsy,<br />

1574.<br />

In 8vo (cm 16); legatura del XVIII secolo in piena pelle, triplice filettatura dorata ai piatti, dorso con fregi e<br />

titolo in oro, dentelle interna, tagli dorati, risguardi in carta blu; pp. (16), 253. Marca tipografica al titolo.<br />

Ottima copia.<br />

SECONDA EDIZIONE NOTEVOLMENTE AUMENTATA. Saint-<br />

Gelais, seguendo l’esempio dei colleghi italiani Cariteo, Antonio<br />

Tebaldeo e Serafino Aquilano, fu per molto tempo riluttante all’idea<br />

di pubblicare i propri testi, preferendo guadagnare fama attraverso<br />

la recitazione orale e l’improvvisazione.<br />

Una prima collezione di sue poesie fu data alle stampe a Lione nel<br />

1547 da Pierre de Tours con il titolo Oeuvres de luy. In essa Saint-<br />

Gelais non ebbe probabilmente nessun ruolo, in quanto il volume<br />

raccoglie anche componimenti di altri autori ed omette testi<br />

programmatici come De Sainct Gelais sur son livre e De lui mesme, che<br />

fecero la loro prima apparizione nella presente edizione.<br />

Questa si apre con una lettera dello stampatore Antoine de Harsy, il<br />

quale, pur non fornendo indicazioni circa i criteri editoriali seguiti,<br />

dice: «Il avoit desia donné assez bon tesmoignage de son sçavoir en<br />

quelques petis fragments semés parmi les autres autheurs…: mais<br />

qui considerera tout l’oeuvre qui maintenent se presente, & le quel<br />

iusque icy nous avoit esté caché, iugera, ie m’asseure, avec moi qu’il<br />

est digne de singuliere recommandation».<br />

La raccolta comprende sonetti, rondeaux, ballate, quatrains, epitaffi,<br />

elegie, epigrammi, canzoni, nonché vari Opuscules relativi ad alcune<br />

celebrazioni di corte. La disposizione dei componimenti rispecchia<br />

quella dei manoscritti B.N. fr. 885 e 878, che furono forse usati dallo<br />

stampatore per la presente edizione (cfr. D. Stone, Jr., Mellin de Saint-<br />

Gelais and Literary History, Lexington, KY, 1983, pp. 103-111).<br />

Mellin de Saint-Gelais ricevette la prima istruzione da Octavien de<br />

Saint-Gelais, suo lontano parente, che era poeta réthoriqueur e vescovo di Angoulême. Dal 1508 al 1517<br />

studiò legge a Bologna e Padova. Durante il suo soggiorno in Italia, egli apprese l’arte di recitare i versi<br />

accompagnandosi con il liuto e conobbe vari poeti italiani, che successivamente introdusse in Francia.<br />

Cominciò a comporre liriche per Francesco I all’età di ventiquattro anni, divenendo ufficialmente poeta di<br />

corte. Egli forniva inoltre lezioni di musica e matematica ai figli del re. Nel 1544 fu incaricato di occuparsi<br />

delle biblioteche reali di Blois e Fontainebleau. Il suo ruolo a corte proseguì anche sotto il regno di Enrico II.<br />

Il suo talento musicale fu elogiato da autori contemporanei come Ponthus de Tyard e Barthélemy Aneau.<br />

Dal 1533 al 1590, infatti, molti dei suoi componimenti furono musicati da lui stesso (che li cantava,<br />

accompagnandosi con vari strumenti) e da altri celebri musicisti del tempo, tra cui Arcadelt, Certon,<br />

Crecquillon, Janequin, Lassus, Sandrin e Sermisy.<br />

Saint-Gelais tradusse inoltre la celebre tragedia di Gian Giorgio Trissino, la Sophonisba (1554), destinata ad<br />

avere una grande influenza sulla nascita del teatro francese. Amico di Clément Marot, collaborò con<br />

quest’ultimo alla composizione del Blason anatomique de l’oeil (1536) e del Blason du bracelet de cheveux (1536)<br />

- 125 -


(cf. H.J. Molinier, Mellin de Saint-Gelays. Étude sur sa vie et ses oeuvres, Genève, 1968, passim).<br />

A. Tchemerzine, Bibliographie d’éditions originales et rare d’auteurs français, V, Paris, 1932, p. 608. D. Stone, a<br />

cura di, Mellin de Saint Gelais: œuvres poétiques françaises, Paris, 1993-1995, I, pp. XII-XV. B. Weinberg, Critical<br />

Prefaces of the French Renaissance, Evanston, IL, 1950, pp. 237-240. € 2.200,00<br />

176) SÁNCHEZ DE LAS BROZAS, Francisco (1523-1600)-ALCIATI, Andrea (1492-1550).<br />

Francisci Sanctii Brocensis in inclyta Salmaticensi Academia Rhetoricae, Graecaeque linguae<br />

professoris, comment. In And. Alciati emblemata,… Lyon, Guillaume Rouillé, 1573.<br />

In 8vo (cm 17); pergamena floscia coeva con unghie, titolo manoscritto lungo il dorso (mancano i legacci);<br />

pp. 558, (26). Marca tipografica al titolo. Con 210 figure in legno nel testo, che illustrano i 211 emblemi<br />

dell’Alciati: l’emblema LXXX (Adversus naturam peccantes) è senza figura. I legni, gli stessi utilizzati dal<br />

Rouillé per le numerose edizioni dell’Alciati da lui pubblicate fra il 1548 e il 1564, furono incisi da Pierre<br />

Eskrich. Le immagini degli emblemi CXCVIII-CCXI, raffiguranti alberi, furono invece incise da Clément<br />

Boussy sugli originali che Albrecht Meyer e Heinrich Füllmaurer disegnarono per l’edizione di Arnoullet<br />

del 1549 del De historia stirpium di Leonhart Fuchs. Segni di tarlo nel margine interno di varie carte senza<br />

danno al testo, alcuni fascicoli un po’ bruniti, fioriture a tratti, ma nel complesso ottima copia fresca e<br />

genuina.<br />

PRIMA EDIZIONE degli emblemi di A. Alciati con il commento<br />

del celebre umanista spagnolo Francisco Sánchez el<br />

Brocense. Composti tra il 1550 e il 1554, questi commentari<br />

ebbero un grande successo, venendo più volte ristampati o<br />

indirettamente ripresi nel corso del XVII secolo, e influirono<br />

enormemente sulla ricezione dell’opera dell’Alciati in Spagna<br />

e nel resto d’Europa (cfr. L. Merino- J. Ureña Bracero, On the<br />

Date of Composition of El Brocense’s ‘Commentaria in Alciati<br />

Emblemata’, in: “Emblematica. An Interdisciplinary Journal for<br />

Emblem Studies”, 13, New York, 2003, pp. 73-96).<br />

Dopo aver tracciato un breve profilo bio-bibliografico<br />

dell’Alciati (p. 5), El Brocense comincia il commento vero e<br />

proprio seguendo il testo delle edizioni degli emblemi apparse<br />

postume nel 1550-51, solo a volte modificandone l’ordine sulla<br />

base di scelte personali (cfr. J. Ureña Bracero, Tipología de los<br />

comentarios del Brocense a los emblemas de Alciato, in: “Florilegio<br />

de Estudios de Emblemática-A Florilegium of Studies on<br />

Emblematics”, a cura di S. López Poza, El Ferrol, 2004, pp. 653-<br />

660).<br />

In tutta l’opera, che ha come scopo principale la ricerca delle<br />

fonti dell’Alciati, ma soprattutto nel commento agli emblemi<br />

181 (Hercules Gallicus) e 182 (Facundia difficilis), «no se puede<br />

dejar de señalar que uno de los elementos que más salta a la<br />

vista… es la deuda que Sánchez de las Brozas tiene con Erasmo.<br />

La presencia de la obra del humanista holandés en el<br />

comentario del Brocense obedece, sobre todo, a dos razones: en primer lugar, al peso evidente de la obra de<br />

Erasmo en el humanismo europeo del siglo XVI; en segundo, a los estrechos lazos que pueden establecerse<br />

entre Erasmo y la obra de Alciato, que hacen más que pertinente el recurso al primero para la explicación<br />

del segundo» (J. Fernández López, Retórica y emblemática en España: los emblemas 181 y 182 de Alciato y sus<br />

comentaristas, in: “Florilegio de estudios Emblemáticos-A Florilegium of Studies on Emblematics”, a cura di<br />

S. López Poza, El Ferrol, 2004, p. 353).<br />

La completezza e profondità del commento del Brocense sono tali da anticipare gli studi filologici compiuti<br />

sull’emblematica alla fine dell’Ottocento (cfr. F. Talavera Esteso, El motivo de la fábula en la emblemática y el<br />

comentario del Brocense a los Emblemata de Alciato, in: “Así dijo la zorra. La tradición fabulística en los pueblos<br />

del Mediterráneo”, a cura di A. Pérez Jiménez e Cruz Andreotti, Málaga, 2002, pp. 239-275).<br />

Francisco Sánchez de las Brozas, detto El Brocense, dal nome del suo paese natale vicino Cáceres<br />

nell’Extremadura, passò gli anni della sua giovinezza in Portogallo al seguito di uno zio materno che<br />

svolgeva diversi incarichi presso la corte di Giovanni III. Nel 1543 fu mandato a studiare a Salamanca.<br />

Sposatosi in giovane età e rimasto vedovo a soli 31 anni, ebbe dodici figli da due matrimoni diversi. Nel<br />

1573 ottenne la cattedra di retorica a Salamanca e nel 1576 quella di greco. Proseguendo l’opera di riforma<br />

- 126 -


degli studi intrapresa cinquant’anni prima da Antonio de Nebrija, compose varie opere didattico-scientifiche:<br />

le Verae brevesque grammatices latinae institutiones (1562), il Grammaticae graecae compendium (1581),<br />

l’Arte para saber latín (1595) e, soprattutto, la Minerva sive de causis linguae latinae (Salamanca, 1587), una<br />

grammatica latina non più di tipo normativo basata sull’usus scribendi, bensì fondata sulla ratio e sulla<br />

logica, che sviluppa grandi intuizioni a livello linguistico, anticipando la grammatica di Port Royal.<br />

Oltre a numerose edizioni commentate di classici latini (Virgilio, Persio, Mela e Orazio) e di autori umanistici<br />

(le Sylvae di Angelo Poliziano e il Canzoniere del Petrarca), El Brocense pubblicò Comentarios alle opere di<br />

Juan de Mena (1582) e Garcilaso de la Vega (1574). Di grande importanza sono anche le sue opere di<br />

retorica e dialettica di impronta vivesiana e ramista (De arte dicendi, 1556; Órganum dialécticum et rethóricum<br />

cunctis discípulis utilíssimum et necessarium, Lyon, 1579; e Scholae dialectiae, 1588), a causa delle quali fu<br />

processato davanti all’Inquisizione per aver criticato la forma letteraria dei Vangeli. La sua vicinanza con<br />

il pensiero di Erasmo da Rotterdam traspare dagli scritti filosofici: i Paradoxa (1582), il De nonnulis Porphyrii<br />

aliorumque in dialéctica erroribus (1588) e la Doctrina de Epicteto (1600). Assolto nel primo processo del 1584,<br />

un nuovo processo cominciato nel 1593 terminò con la sua morte, avvenuta nel 1600 all’età di 78 anni<br />

mentre si trovava agli arresti domiciliari. Pensatore di grande originalità, si attirò gli odi di molti colleghi<br />

per il suo modo di insegnare libero ed anticonformista (era solito tenere le lezioni in castigliano anziché in<br />

latino). Fu conosciuto e stimato da Lope de Vega e Cervantes, che lo cita più volte nelle sue opere. É oggi<br />

considerato come il primo grammatico moderno (cfr. M. Mañas Núñez, Sanctius Brocensis, “El Brocense”, in:<br />

“Alcántara”, 61-62, genn.-giugno 2005, Salamanca, 2005, pp. 11-26).<br />

H. Green, Andrea Alciati and His Book of Emblems. A Biografical and Bibliographical Study, London 1872, 85. A.<br />

Adams-S. Rawles-A. Saunders, A Bibliogrpahy of French Emblem Books of the Sixteenth and Seventeenth Centuries,<br />

Genève, 1999, 20. Baudrier, X, 120. € 1.800,00<br />

177) SÁNCHEZ Y SÁNCHEZ, Juan (fl. 2 a metà del XVIII secolo). Disertacion quimico-medica<br />

sobre la opiata antifebril, inventada por... Josef de Masdevall, Medico de Camara con Exercicio de<br />

S.M. Catòlica, etc. Explicase quimicamente la naturaleza de esta convinacion, sus propiedades,<br />

virtudes, y maravilloso modo de obrar en toda clase de calenturas, especialmente putridas y malignas;<br />

con un tratado muy curioso sobre el Ayre fixo, y la diferencia entre este y el Gas mefitico productivo<br />

de las Epidemias. Por D. Juan Sanchez y Sanchez, Profesor de Farmacia. Malaga, Felix de Casas y<br />

Martinez, [ca. 1794].<br />

In 4to (cm 20,5); legatura coeva in piena pelle, dorso con fregi, tassello e titolo in oro, tagli rossi, risguardi in<br />

carta marmorizzata; pp. (6), 211, (3). Ritratto fuori testo di Josep Masdevall y Terrades (m. 1801) inciso in<br />

rame da Manuel Navarro. La data di pubblicazione si ricava da un riferimento contenuto alla pagina 18.<br />

Una nota manoscritta in calce al frontespizio ricorda come il libro fu donato dal dottor Masdevall al dottor<br />

Piero Orlandi nel 1797. Lievi aloni chiari alle prime ed ultime carte, per il resto ottima copia.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. J. Masdevall y Terrades, originario di Figueres in Catalogna, fu ai suoi tempi<br />

una vera autorità, divenendo anche medico personale del re di Spagna, Carlo IV. Si distinse soprattutto<br />

come epidemiologo, occupandosi di febbri epidemiche, putride e maligne. Scrisse a riguardo due Relazioni<br />

sulle gravi pandemie scoppiate in Catalogna e a Lerida nel 1783, e a Cartagena poco tempo dopo. Egli<br />

inventò un rimedio antifebbrile di grande successo che andò sotto il nome di “opiata antifebril del Masdevall”.<br />

Il presente saggio di J. Sánchez y Sánchez, professore di farmacia, è molto interessante per l’approccio<br />

chimico con cui l’autore tenta di applicare la razionalità del dettato di Lavoisier ad un medicamento, la<br />

opiata, nato in un ambito del tutto empirico. Alla fine dell’opera si trova una Tabla de los terminos tecnicos<br />

usados en esta obra conforme a la nueva Nomenclatura de la Quimica con los nombres antiguos que les corresponden.<br />

Il Capitolo IX descrive la preparazione dell’elettuario, fornendocene la composizione in termini chimici<br />

moderni.<br />

Palau, 296231. Simón Díaz, VII-3579. € 600,00<br />

UNA DELLE MAGGIORI OPERE STORIOGRAFICHE ITALIANE<br />

178) [SARPI, Paolo (1552-1623)]. Historia del Concilio Tridentino. Nella quale si scoprono tutti<br />

gl’artificii della Corte di Roma, per impedire che né la verità di dogmi si palesasse, né la riforma del<br />

papato, et della Chiesa si trattasse. Di Pietro Soave Polano. London, John Bill, 1619.<br />

In folio (cm 27,5); legatura inglese coeva o di poco posteriore in piena pelle, piatti con decorazioni in oro e<br />

a secco, dorso a cinque nervi con tassello, titolo e fregi in oro; pp. (8), 806, (10). Insegna xilografica dei reali<br />

d’Inghilterra sul frontespizio. Titolo un po’ sporco, segni di tarlo abilmente restaurati nel margine inferiore<br />

- 127 -


delle prime dieci pagine, che poi si trasformano in piccoli fori tondi<br />

(tornano a ramificarsi tra le pp. 445 e 490), lievi aloni marginali in gran<br />

parte del volume, ma nel complesso copia più che buona.<br />

PRIMA EDIZIONE di questa celebre storia del Concilio di Trento, che<br />

fu edita, all’insaputa dell’autore, sotto lo pseudonimo di Pietro Soave<br />

Polano (anagramma di Paolo Sarpio Veneto) da Marcantonio De<br />

Dominis (1560-1624), cui era stato affidato il manoscritto dell’opera.<br />

L’Historia, composta fra il 1610 e il 1618, racconta le vicende conciliari<br />

dal pontificato di Leone X in poi. Per il suo afflato morale e l’ampio<br />

respiro delle sue tesi e della sua prosa, essa è considerata come una<br />

delle maggiori opere storiografiche italiane.<br />

Pur non allontanandosi mai dall’ortodossia cattolica, perché sostanzialmente<br />

indifferente alle dispute dottrinali, Sarpi condannò con forza<br />

il temporalismo e lo sfarzo della chiesa contemporanea, contrapponendolo<br />

alla povertà e alla semplicità della chiesa primitiva. Polemizzò<br />

inoltre con i gesuiti, sostenne la superiorità del concilio sul papa e<br />

criticò le decisioni assunte nelle sessioni conclusive del Concilio<br />

tridentino.<br />

«The full force of the acts of the Council was not lost either on those<br />

who desired a reconciliation between the Church and the new<br />

schismatics or on those who distrusted the centralization of power in<br />

Rome. It was both these motives which promted the Venetian patriot,<br />

scientist, scholar and reformer, Paolo Sarpi, to compile his memorable<br />

History of the Coucil of Trent, which was published pseudonymously<br />

in London. A member of Servite Order, hated, yet never excommunicated<br />

by the Papal See, Sarpi was devoted and honoured servant of the Venetian Republic. Like the author in his<br />

lifetime, so in later years his book formed the nucleus of opposition to the papacy of Pius IV. Translated and<br />

reprinted over and over again, the masterpiece of “Father Paul of Venice”, as he was known to generations,<br />

is still read. Ranke made a minute study of it and of the papal counterblast by Cardinal Pallavicini and<br />

found not much difference between the two in point of impartiality, though he preferred Sarpi in point of<br />

style. Only now are the issues debated between the two beginning to recede from the forefront of theological<br />

controversy» (J. Carter-P.H. Muir, Printing and the Mind of Man, London, 1967, nr. 118).<br />

Paolo Sarpi, originario di Venezia, entrò nell’ordine dei Serviti nel 1565, studiandovi teologia e filosofia.<br />

Nel 1572 fu chiamato a Mantova da Guglielmo Gonzaga a tenere pubbliche letture di teologia. Nel 1575 si<br />

trasferì a Milano, dove conobbe Carlo Borromeo. Nel 1579 conseguì la laurea in teologia a Padova. Negli<br />

anni seguenti ricevette vari importanti incarichi da parte del suo ordine e mantenne rapporti d’amicizia<br />

con alcuni ragguardevoli scienziati del tempo, tra cui G.B. della Porta e G. Galilei.<br />

Sarpi svolse un ruolo di grande rilevanza nel conflitto che coinvolse la Repubblica di Venezia e papa Paolo<br />

V. Dopo l’interdetto scagliato dalla Santa Sede contro Venezia, fu incaricato dal Senato veneto di occuparsi<br />

della difesa degli interessi lagunari. Egli andò così approfondendo lo studio della storia dei rapporti fra<br />

stato e chiesa ed elaborò le tesi che sul piano giurisdizionale portarono alla vittoria di Venezia. Il sostegno<br />

dell’indipendenza e dei diritti dello stato di fronte all’ingerenza della chiesa gli costarono tuttavia la<br />

scomunica e la condanna al rogo dei suoi scritti. Nel 1607 alcuni sicari cercarono persino di assassinarlo.<br />

Negli ultimi anni di vita Sarpi continuò a pubblicare opere polemiche, ma decise di allontanarsi dalla vita<br />

politica e di rimanere in disparte. Morì a Venezia nel 1623.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0E\010290. Gamba, nr. 2080.<br />

(si offrono insieme:)<br />

SARPI, Paolo. Historia del Concilio Tridentino… Seconda editione, riveduta e corretta dall’Autore.<br />

Genève, Pierre Aubert, 1629. In 4to; bazzana coeva con titolo al dorso su tassello (molto<br />

sciupata); titolo, 3 bianche, 842 [i.e. 844], (12). Leggeri aloni marginali, lieve brunitura uniforme.<br />

(inoltre:)<br />

Sacrosanti Concilii Tridentini CANONES, ET DECRETA… [segue:] INDEX LIBRORUM<br />

PROHIBITORUM. Bassano, Giovanni Antonio Remondini, 1727. In 8vo; pergamena coeva;<br />

pp. (8), 308, (44), 72.<br />

€ 2.900,00<br />

- 128 -


SCONOSCIUTA VERSIONE ITALIANA<br />

DELLA CELEBRE SATYRE MENIPPEE DE LA VERTU DU CATHOLICON<br />

179) SATIRA MENIPPEA DELLA VERTU DEL CATTOLICON DI SPAGNA E DELLA<br />

TENUTA DELLI STATI DI PARIGGI 1593.<br />

Manoscritto cartaceo in folio (mm 270x210) databile alla metà dell’ultimo decennio del XVI secolo (ca.<br />

1594-1595).<br />

Consistenza: 1 foglio di guardia libero, cc. 95 [recte 105] numerate dall’amanuenese, cc. 2 bianche, una<br />

delle quali funge da risguardo libero, facenti parte dell’ultimo fascicolo. Complessivamente cc. 105, 2<br />

bianche.<br />

Fascicolazione: 1 carta di guardia; I: carte 1+24 (la carta recante il titolo è singola); II: carte 30; III: carte 32;<br />

IV: carte 20 (le ultime 2 bianche).<br />

Filigrana: il manoscritto reca tre filigrane diverse, tutte italiane e tutte cinquecentesche: due di esse sono<br />

estremamente simili a Briquet 1131 e 12238.<br />

Legatura: pergamena flessibile originale con capitelli passanti e legacci (perduti); titolo manoscritto lungo<br />

il dorso.<br />

Conservazione: intonso con barbe, virtualmente perfetto.<br />

Il presente manoscritto è la traduzione italiana, strettamente coeva (come coeva ne è la stesura in elegante<br />

calligrafia), del più celebre tra i libelli francesi di carattere politico-religioso della fine del XVI secolo: la<br />

Satyre Menippee de la Vertu du Catholicon d’Espagne et de la tenue des Estats de Paris.<br />

Il titolo è quello dell’edizione del 1595 adottata dallo studioso francese Martial Martin come edizione di<br />

riferimento per la sua edizione critica dell’opera (Satire Menippee, Édition critique de Martial Martin, Paris,<br />

2007), fra le numerose varianti delle circa venti stampe apparse fra il 1594 e il 1595.<br />

La storia di questo testo, che raccoglie i contributi di vari autori, è incredibilmente complessa, come lo è la<br />

bibliografia delle tantissime edizioni che si sono susseguite dal 1594 fino alla fine del Cinquecento e<br />

ancora nei secoli seguenti.<br />

L’opera, come di diceva, fu scritta a più mani da<br />

un gruppo di intellettuali francesi che, all’epoca<br />

delle guerre di religione, militavano tra le fila del<br />

partito dei Politiques: canonici, preti, scrittori e<br />

poeti, essi erano attenti osservatori di quel che<br />

stava accadendo durante lo svolgimento degli<br />

Stati Generali voluti dalla Ligue nel 1593 per eleggere<br />

un re cattolico, fedele a Roma e alla Spagna.<br />

La Satyre fu concepita da Pierre Le Roy (canonico<br />

di Rouen e cappellano del Cardinale di Borbone)<br />

durante le conversazioni che si tenevano fra amici<br />

(francesi in politica e gallicani in religione) presso<br />

la casa di Jacques Gilot (cappellano della<br />

Sainte-Chapelle). Scritto da Nicolas Rapin, Jean<br />

Passerat e Florent Chrestien, il testo fu poi rivisto<br />

e corretto da Pierre Pithou.<br />

Per meglio collocare nel suo contesto questo celebre<br />

pamphlet in prosa e in versi, è necessario tracciare<br />

a questo punto un breve quadro storico del<br />

turbolento periodo delle guerre di religione in<br />

Francia.<br />

Negli ultimi anni del suo regno, Enrico III aveva<br />

fatto sopprimere i fratelli di Guisa, capi della Ligue<br />

o Sainte Union (1588), per cadere egli stesso vittima<br />

di un monaco fantico l’anno seguente (1 agosto<br />

1589). La coppia reale non aveva procreato e il trono sarebbe quindi dovuto passare al duca d’Anjou,<br />

fratello del re, la cui morte prematura, tuttavia, aveva automaticamente assegnato la corona a Enrico di<br />

Navarra, eretico protestante.<br />

Questi fatti scatenarono nuovamente le ostilità, che si protrassero fino alla vittoria cruciale di Ivry (1590) da<br />

parte di Enrico di Navarra a danno della Ligue. I Guisa, fortemente sostenuti da Filippo II di Spagna e dal<br />

papa, continuarono tuttavia la lotta sia armata che politica, fino ad arrivare, nel gennaio del 1593, alla<br />

inusitata convocazione degli Stati Generali con lo scopo di far eleggere un re di fede cattolica.<br />

Il terzo partito presente sulla scena in quegli anni era quello, già menzionato, dei Politiques, come venivano<br />

- 129 -


con sprezzo chiamati dai Ligueurs: cattolici moderati, fautori di una riconciliazione e sostenitori della<br />

separazione fra stato e chiesa, molto lontani dalle posizioni fanatiche della Lega.<br />

Furono dunque alcuni di questi Politiques, un gruppo di amici che, come si diceva, si incontrava presso la<br />

casa di Jacques Gilot, a far uscire i testi, dapprima diffusi clandestinamente in forma manoscritta, che<br />

andarono poi a formare la versione più o meno definitiva della Satyre Menippee.<br />

In effetti sia nella tradizione manoscritta che nelle prime impressioni a stampa apparse negli anni 1594-<br />

1595, si riscontrano numerose varianti sia nel titolo dell’opera, che nei suoi contenuti: molte di esse<br />

contegono infatti solo alcuni testi in prosa dell’opera e una minima parte dei componimenti in versi.<br />

Da un confronto fra il presente manoscritto e l’edizione del 1595 scelta da Martin per la sua edizione critica<br />

(Op. cit., nr. 16 del Répertoire stilato dallo stesso M.M., corrispondente a Bibliotèque Nationale, Lb 35.452),<br />

che pur combaciano quasi integralmente sia nei contenuti che nella loro disposizione, emergono alcune<br />

differenze. Dopo le Harangues (Orazioni), vi sono nell’edizione a stampa quarantadue pièces en vers di<br />

lunghezze variabili, contro le trentasette riportate dal presente manoscritto. Inoltre nella stampa del 1595<br />

sono aggiunti in fine tre testi non presenti nel manoscritto: À Mademoiselle ma commère sur le trepas de son asne<br />

(in versi); Discours de l’imprimeur sur l’explication du mot de Higuiero d’Infierno; Le Testament de l’Union (in<br />

versi).<br />

Ora, essendo il manoscritto assolutamento completo (lo testimoniano la parola “Fine” elegantemente vergata<br />

in calce all’ultima pagina, nonché le condizioni di evidente verginità dell’oggetto libro), si può ipotizzare<br />

che esso costituisca la traduzione di una delle edizioni precedenti della Satyre, di una di quelle, cioè,<br />

che, apparse nel 1594, non avevano ancora accorpato i tre ultimi testi sopra elencati. Il compito di individuare<br />

questa edizione non è certo impossibile, ma risulta sicuramente lungo e gravoso, richiedendo un<br />

confronto con quei pochi esemplari superstiti conservati nelle biblioteche di Francia e di altri paesi.<br />

Le bella traduzione è certo opera di un letterato italiano, profondo conoscitore della lingua francese e ben<br />

addentro nella storia recente della Francia. La pulizia e la regolarità della calligrafia, insieme all’assenza<br />

di cancellature e ripensamenti e alla sensazione di un lavoro compiutamente realizzato, fanno pensare che<br />

si tratti di una bella copia preparata per la pubblicazione a stampa.<br />

Rimangono aperti gli interrogativi sul chi, sul perché e sul dove sia stata realizzata la traduzione di questo<br />

testo, di grande rilevanza in Francia, ma di interesse marginale per l’Italia.<br />

Descrizione più dettagliata su richiesta. € 6.500,00<br />

180) SAVARESI (Savarésy), Antonio Mario Timoleone (fl. fine XVIII-inizio XIX secolo).<br />

Memorie ed opuscoli fisici e medici sull’Egitto, del Dottor A.M.T. Savaresi... Traduzione dal Francese<br />

riveduta, corretta, ed accresciuta dall’Autore. Napoli, Presso Domenico Sangiacomo, 1808.<br />

In 4to (cm 26); brossura originale; occhietto stampato su cartoncino entro bordura ornamentale raffigurante<br />

un tempio egizio, pp. (10), 3-150, (4, di cui l’ultima bianca) con 3 figure in rame nel testo (una quasi a<br />

piena pagina). Monogramma dell’editore al titolo. A parte un piccola lacerazione alle pp. 39/40 dovuta<br />

alla qualità della carta che comporta un’insignificante perdita di testo, ottima copia intonsa con barbe.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE IN ITALIANO della raccolta di memorie ed opuscoli scientifici del medico<br />

napoletano Antonio Savaresi, che fu in Egitto al seguito dell’Armata napoleonica. Apparsi singolarmente,<br />

in francese ed in italiano, sulla rivista Décade Egyptienne, pubblicata al Cairo durante l’occupazione francese<br />

(cfr. J.M. Quérard, France littéraire, Paris, 1964, VIII, p. 490), e poi raccolti in una prima edizione francese<br />

(Mémoires et opuscules…, Paris, Didot, 1802), questi scritti sull’Egitto nel periodo della campagna napoleonica<br />

sono di indiscutibile interesse storico-scientifico.<br />

La raccolta comprende quattro Opuscoli (1. Saggio sulla Topografia fisica, e medica di Damiata; 2. Notizia sulla<br />

Topografia fisica, e medica di Ssalhhyéh; 3. Osservazioni sopra le malattie che àn regnato a Damiata nel primo<br />

semestre dell’anno VII; 4. Storia medica della costituzione epidemica che à regnato nel Cairo alla fine dell’anno VIII,<br />

ed al principio dell’anno IX), un’Appendice e tre Memorie (1. Dell’oftalmia di Egitto; 2. Note sul fisico, e sul morale<br />

degli Egiziani moderni, e su differenti punti della storia naturale d’Egitto con diversi capitoli riguardanti la vita<br />

sociale e i costumi degli Egiziani moderni, gli alberi, le piante e gli animali dell’Egitto, l’alimentazione e<br />

l’edilizia, il Nilo, i viaggiatori che furono in Egitto, la città di Alessandria, ecc.; 3. Memoria sulla peste in<br />

generale e su quella particolare che colpì l’esercito francese in Oriente). Le tavole raffigurano monumenti<br />

ed antichità egizie.<br />

L’autore, figura poco conosciuta, fu medico dell’Armata francese nel Regno di Napoli, dell’Armata d’Italia<br />

e dell’Armata d’Oriente, quindi ufficiale di sanità alle Antille.<br />

ICCU, IT\ICCU\LIAE\005357. Hirsch, V, p. 189. Rlg’s Eureka, record ID: MAHGBCC36588-B (Harvard<br />

University Library). CLIO, VI, p. 4179. € 450,00<br />

- 130 -


181) SCHMIDT, Nikolaus (fl. metà del XVI secolo). Von den zehen Teuffeln oder Lastern,<br />

Damit die bösen unartigen Weiber besessen sind, Auch von zehen Tugenden, damit die frommen<br />

und vernünfftigen Weiber gezieret und begabet sind, in Reimweisegestellt… Wittenberg, n.p., 1568.<br />

In 8vo (cm 14); pelle moderna; cc. (38). Leggere bruniture e fioriture, ma ottima copia.<br />

RARA SECONDA EDIZIONE (la prima apparve a Leipzig nel 1557). All’interno della vasta produzione<br />

di Teufelbücher apparsi in Germania nel Cinquecento, Schmidt pone l’accento soprattutto sui vizi delle<br />

donne sposate e, benché sostenga di non avere sentimenti misogini, i suoi versi sono pieni di disprezzo nei<br />

confronti del gentilsesso (cfr. K.L. Roos, The Devil in 16 th Century German Literature: The Teufelsbücher, Bern-<br />

Frankfurt a.M., 1972, pp. 56 e 119, nr. 6b).<br />

VD16, S-3140. M.Osborn, Die Teufelliteratur des XVI. Jahrhunderts, Berlin, 1893, pp. 118-120. € 1.200,00<br />

182) SCRIPTORES REI RUSTICAE. Opera Agricolationum: Columella: Varronis: Catonisque:<br />

necnon Palladii: cum excriptionibus et commentariis. D. Philippi Beroaldi. In fine: Reggio Emilia,<br />

Francesco Mazzali, 20 novembre 1499.<br />

In folio (cm 29,3); legatura inglese del XVIII secolo in piena<br />

pelle picchiettata, piatti con doppio filetto in oro, dorso a<br />

cinque nervi con fregi, tassello rosso e titolo in oro, tagli picchiettati<br />

(dorso rifatto posteriormente); cc. (244). La carta (10)<br />

è bianca. Alla carta (11) titolo e grande iniziale in inchiostro<br />

rosso. Marca tipografica al recto dell’ultima carta. Ottima<br />

copia fresca e marginosa.<br />

QUINTA EDIZIONE della raccolta di testi degli scrittori<br />

romani di agricoltura, conosciuti come Scriptores rei rusticae.<br />

Si tratta di una ristampa dell’edizione apparsa a Reggio<br />

Emilia nel 1496 dai torchi di Dionisio Bertocchi.<br />

La prima edizione di questi testi era stata pubblicata a Venezia<br />

da Nicolas Jenson nel 1472, seguita da un’edizione<br />

reggiana di Bartolomeo Bruschi del 1482 e da una bolognese<br />

del 1494 di Benedetto Faelli.<br />

La raccolta, così codificata, divenne l’opera di riferimento in<br />

campo agricolo fino alla fine del Cinquecento. In essa si trovano<br />

trattati tutti gli aspetti necessari alla conduzione di<br />

una fattoria: piante, animali, vino, mostrada, formaggi, olive,<br />

frutta, ecc.<br />

N. Harris, Brevi annali di stampa per Reggio nel ‘400, in: “I libri<br />

di «Orlando Innamorato»”, Modena, 1987, p. 46. BMC, VII,<br />

p. 1089. Hain-Copinger, 14570. F.L.A. Schweiger,<br />

Bibliographisches Lexicon der Römer, Amsterdam, 1962, II, p.<br />

1305. € 6.500,00<br />

IL GULLIVER ITALIANO<br />

183) [SERIMAN, Zaccaria (1708-1784)]. Viaggi di Enrico Wanton alle terre incognite australi,<br />

ed ai regni delle scimie, e de’ cinocefali nuovamente tradotti da un manoscritto inglese. Berna (ma<br />

Villa di Melma), 1764.<br />

Quattro volumi in 8vo (cm 15,7); legatura coeva in piena pergamena rigida, dorso con duplice tassello<br />

recante titolo e luogo e data di stampa, tagli marmorizzati (insignificante mancanza al piatto anteriore del<br />

quarto volume, per il resto come nuova); pp XXI, (1 bianca), 472, (2 bianche) + pp. 619, (1 bianca) + pp. 648<br />

+ pp. 646, (2 bianche). Con antiporta calcografica al primo volume contenente il ritratto di Enrico Wanton,<br />

32 tavole a piena pagina incise in rame fuori testo e 1 carta topografica più volte ripiegata raffigurante la<br />

Provincia de’ Filosofi. Piccoli segni di tarlo nel margine inferiore di una cinquantina di carte del primo<br />

volume, che solo marginalmente toccano la parte incisa di due tavole, lievi tracce di sporco nel margine<br />

inferiore di una carta nel terzo volume, per il resto bellissima copia di grande freschezza.<br />

PRIMA EDIZIONE, pubblicata in una stamperia privata a Villa di Melma presso Treviso, della redazione<br />

definitiva di questo romanzo utopico-filosofico composto sul modello dei Viaggi di Gulliver di Jonathan<br />

Swift, la cui prima parte (in due volumi) era apparsa per la prima volta a Venezia presso Giovanni Tagier<br />

nel 1749 (cfr. C. Pagetti, La fortuna di Swift in Italia, Bari, 1971, p. 89-92).<br />

- 131 -


Il protagonosta Enrico Wanton (dietro cui si cela l’autore), insieme<br />

all’amico Roberto, in seguito ad un naufragio si ritrova in<br />

terre sconosciute, in un regno in decadenza popolato da scimmie.<br />

Il mondo di quest’ultime riflette più o meno velatamente la<br />

società veneziana del tempo, che viene in questo modo ferocemente<br />

satireggiata. Wanton, ossia Seriman, espone poi la propria<br />

visione filosofica della cultura e della sua funzione sociale,<br />

mutuata in parte da Maupertius, secondo la quale la letteratura<br />

deve far leva sui sentimenti e persino sui vizi degli uomini per<br />

poter istruire e riformare efficacemente.<br />

Nella seconda parte, composta dopo il 1758, i due viaggiatori si<br />

ritrovano invece nel mondo dei Cinocefali, un regno ideale (da<br />

alcuni identificato con l’Inghilterra) abitato per lo più da filosofi<br />

saggi e isolati (cfr. S. Kieremann, The Exotic and the Normative in<br />

Viaggi di Enrico Wanton alle Terre Australi Incognite by Zaccaria<br />

Seriman, in: “Eighteenth-Century Life”, 26, 3, 2002, pp. 58-77).<br />

Scrittore e traduttore veneziano di nobile famiglia di origine<br />

armena, Zaccaria Seriman si occupò per gran parte della sua vita<br />

di giornali ed editoria. Nel 1752, grazie all’ingente patrimonio di<br />

famiglia, rilevò la stamperia di Pietro Valvasense ed aprì una<br />

libreria nella celebre zona delle Mercerie, dove si concentrava<br />

tutto il commercio librario veneziano del tempo. L’anno seguente<br />

diede vita, insieme a G. Zanetti, A. Calogera e G. Gozzi, alla<br />

rivista di recensioni letterarie “Memorie per servire all’istoria<br />

letteraria”, in cui cercò di delineare una sorta di biblioteca ideale<br />

per la riforma della società. Come editore, la sua pubblicazione più importante fu la Storia generale dei<br />

viaggi, traduzione della celebre Histoire générale des voyages di A.F. Prévost, intrapresa a partire del 1754.<br />

Seriman cercò senza successo di dar vita ad un’iniziativa culturale di grande respiro, secondo<br />

un’impostazione da moderna casa editrice. Volendo collocarsi a metà strada fra letteratura di puro<br />

intrattenimento e alta tradizione accademica, con l’aiuto del giornale, della tipografia e del negozio egli<br />

tentò di promuovere, all’interno di un circuito autonomo e indipendente, un tipo di testi che fossero allo<br />

stesso tempo istruttivi e divertenti, da diffondere al maggior numero possibile di persone. Il progetto svanì<br />

e, insieme ad esso, anche il denaro di famiglia, perché i tempi non erano maturi. Dopo il 1762 Venezia vide<br />

la partenza di Goldoni e Baretti e Gozzi decise di chiudere il suo ultimo giornale, decretando la fine del<br />

giornalismo autogestito (cfr. G. Pizzamiglio, Zaccaria Seriman nella cultura veneziana del Settecento, in: “Gli<br />

Armeni a Venezia. Dagli Sceriman a Mechitar: il momento culminante di una consuetudine millenaria”, a<br />

cura di B. Levon Zekiyan e A. Ferrari, Venezia, 2004, pp. 125-139).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\TO0E\006168. E.A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia, 1847, nr.<br />

2014. M. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, Firenze, 1951, p. 37. G. Melzi,<br />

Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano, 1859, III, p. 216. € 1.600,00<br />

184) [SERMARTELLI, Michelangelo editor (fl. 2 a metà del XVI secolo)]. Alcune composizioni<br />

di diversi autori in lode del ritratto della Sabina. Scolpito in marmo dall’eccellentissimo M. Giovanni<br />

Bologna, posto nella piazza del serenissimo Gran Duca di Toscana. Firenze, Bartolomeo Sermartelli,<br />

1583.<br />

In 4to (cm 22,3); legatura della fine del XIX secolo in mezza pelle rossa con punte, dorso con titolo in oro e<br />

le inziali M.A.D.; pp. (12), 50, 2 bianche. Con tre xilografie a piena pagina, che raffigurano Piazza della<br />

Signoria con tutte le sue statue, disposte davanti a Palazzo Vecchio e sotto la Loggia dei Lanzi, e il gruppo<br />

statuario del Ratto della Sabina visto da due punti di vista differenti. Stemma mediceo sul titolo e numerosi<br />

capilettera istoriati. Alcune carte lievemente fiorite, per il resto ottima copia fresca e marginosa.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE. Nella dedica al senatore fiorentino Bernardo Vecchietti, Michelangelo<br />

Sermartelli ricorda che, all’indomani dello scoprimento della Sabina, l’ammirazione per il capolavoro del<br />

Giambologna era stata tanta, che subito si era assistito ad una vasta produzione di componimenti<br />

encomiastici, che egli aveva deciso subito di pubblicare insieme alle figure della statua stessa. L’editore<br />

celebra poi il Vecchietti come mecenate, in quanto fu lui a prendersi cura e ad educare il Giambologna,<br />

quando questi giunse giovinetto a Firenze; senza di lui capolavori come il Sansone del Giardino di San<br />

Marco o i quattro Colossi della fontana dei Pitti non sarebbero mai esistiti (cfr. M. Bury, Bernardo Vecchietti,<br />

- 132 -


Patron of Giambologna, in: “I Tatti Studies”, 1, 1989, pp. 27- 30 e 43-46).<br />

Tra gli autori dei numerosi componimenti, che per la maggior parte sono in italiano, anche se ne figurano<br />

alcuni in latino, vi sono Vincenzo Alamanni, Bernardo Davanzati, Lorenzo Franceschi, Cosimo Gaci<br />

(autore fra l’altro di una lunga Egloga), Piero di Gherardo Capponi, Benardino de Nerli, Francesco Martelli,<br />

Ottavio Rinuccini, Guglielmo Martelli, Baccio Cecchi, Francesco Marchi, Pierfrancesco Cambi, Lorenzo<br />

Giacomini Tebalducci, Sebastiano Sanleolini e lo stesso dedicatario dell’opera, Bernardo Vecchietti (cfr. D.<br />

Heikamp, A rare booklet of poems on Giambologna’s ‘Rape of a Sabine Woman’, in: “Paragone”, 40, n. s. 18 (477),<br />

1989, pp. 53-70).<br />

Precedente di un anno il libro di Francesco Bocchi sul San Giorgio di Donatello, questa raccolta rappresenta<br />

una delle primissime monografie dedicate ad una singola opera d’arte. Il Ratto della Sabina del<br />

Giambologna, che fu posizionata sotto la Loggia dei Lanzi nel 1583, fu una delle statue più celebri del suo<br />

tempo.<br />

Bernardo Vecchietti, dilettante ed amatore d’arte, è il proprietario della villa, dove si finge avvengano i<br />

colloqui descritti nel Riposo di Raffaello Borghini (1584).<br />

Michelangelo Sermartelli dal 1591 al 1600 diresse la tipografia che il padre Bartolomeo Sermartelli il<br />

Vecchio, figlio a sua volta di Michelangelo de’ Libri, aveva fondato nel 1533 (cfr. F. Ascarelli-M. Menato, La<br />

tipografia del ‘500 in Italia, Firenze, 1989, pp. 283-284).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\CNCE\000861. Mortimer, nr. 478. Cicognara, 1016. Schlosser-Magnino, p. 361.<br />

Venduto<br />

MAREE E CORRENTI OCEANICHE<br />

185) SFONDRATI, Pandolfo (fl. 2 a metà del XVI secolo). Causa aestus maris Pandulpho<br />

Sfondrato authore. Ad Beatissimum Gregorium XIIII. Pont. Max. Ferrara, Benedetto Mammarello,<br />

1590.<br />

In 4to (cm 19,5); pergamena rigida recente; cc. (2), 44. Armi<br />

papali al titolo. Ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE di questo trattato sulle cause<br />

delle maree e delle correnti marine. L’autore affronta il<br />

problema sia nel Mediterraneo, in particolare nel Mar Adriatico<br />

e nel mare di Corsica e Sardegna fino alle stretto di<br />

Gibilterra, sia nell’oceano. Diversi capitoli sono infatti dedicati<br />

all’Oceano Pacifico e soprattutto all’Oceano Atlantico,<br />

in cui le maree sono spiegate in base ad un fenomeno per cui<br />

lo stretto di Magellano causerebbe un ostruzione al costante<br />

flusso oceanico orientato da est ad ovest. Questo fenomeno,<br />

secondo lo Sfondrati, spiegherebbe anche la presenza di<br />

maree sulle coste del Brasile e la loro assenza nel Golfo del<br />

Messico a partire dallo stretto di Panama.<br />

Lo Sfondrati, scienziato e scrittore cremonese, fu attivo a<br />

Ferrara nella seconda metà Cinquecento. Pubblicò anche un<br />

trattato In febrim (Torino, 1576) (cfr. F. Arisi, Cremona literata,<br />

Parma, 1702-1741, II, p. 418).<br />

Riccardi, I, 2 a parte, col. 453 1 . Adams, S-1038. BMSTCItalian,<br />

p. 624. Edit16, CNCE35896. J. Alden-D.C. Landis, European<br />

Americana 1493-1750, New York, nr. 590/59. G. Libri,<br />

Catalogue, London, 1861, nr. 4666. Honeyman Collection, nr.<br />

2840. € 1.800,00<br />

POESIA EROTICO-GOLIARDICA<br />

186) SIBUTUS, Georg (ca. 1480-1530). Georgius Sibutus Daripinus Poeta et Orator Imperatorijs<br />

manibus laureat[us] astipulatur puelle que hesterna luce summam felicitatem in matrimonio dixit:<br />

gaudium vero in Studentibus. In fine: Leipzig, Martin Landsberg, 1507.<br />

In 4to (cm 17,5); cartonato recente; cc. (6, di cui l’ultima bianca). Marca tipografica al verso del penultimo<br />

foglio. Forti aloni sulle prime ed ultime carte.<br />

RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE di questo componimento erotico-goliardico in esametri, in cui<br />

l’autore confronta la futilità delle scienze con il piacere carnale di una donna.<br />

- 133 -


Si tratta con ogni probabilità del primo esempio di poesia<br />

erotica nata in seno al circolo umanistico di<br />

Wittenberg, di cui Sibutus e Richardus Sbrulius (letterato<br />

friulano incoronato “poeta laureatus” dall’imperatore<br />

Massimilano) erano i massimi rappresentanti.<br />

Georg Sibutus nacque a Tannroda (in Turingia) e iniziò<br />

gli studi a Lipsia. Nel 1497 apparve a Lubecca la<br />

sua prima opera, l’Ars memorativa. A Vienna ebbe come<br />

maestro Konrad Celtis. Successivamente a Norimberga<br />

conobbe Willibald Pirckheimer, il giurista Gabriel<br />

Paumgartner e Albrecht Dürer. Intorno al 1502 si trasferì<br />

a Colonia, dove gli fu affidata la cattedra di retorica<br />

che era stata di Hermann van dem Busche. Nel 1506<br />

Sibutus celebrò con un Panegyricus l’arrivo a Colonia<br />

dell’imperatroe e fu incoronato ‘poeta laureatus’. Nel<br />

1505 fu chiamato dall’elettore Federico il Saggio ad insegnare<br />

nella neofondata Università di Wittenberg, dove<br />

debbe come colleghi Andreas Bodenstein, Nikolaus<br />

Amsdorf e Martin Lutero. A Wittenberg egli tenne lezioni<br />

sui classici e anche su un componimento di sua<br />

mano in lode della città (Silvula in Albiorim illustratam,<br />

1505). Nel 1511 pubblicò una delle sue opere maggiori,<br />

Torniamenta, un lungo poema che descrive un torneo<br />

tenutosi nel 1508. L’amico Lucas Cranach, cui Sibutus<br />

faceva da consulente in materia mitologica, lo corredò<br />

di varie figure in legno.<br />

Dipinto in modo ostile nelle Epistolae obscurorum virorum (1514), dopo il 1519 egli si schierò contro Lutero<br />

e decise di trasferirsi a Rostock per studiare medicina. Nel 1526 divenne medico a Brünn. Nel 1528 a<br />

Vienna, dove nel frattempo abitava ed insegnava, Sibutus pubblicò un lungo poema elogiativo su Ferdinando<br />

d’Austria insieme ad altre opere (cfr. F. Machilek, Georgius Sibutus Daripinus und seine Bedeutung für den<br />

Humanismus in Böhmen, in: “Studien zum Humanismus in den böhmischen Ländern”, a cura di H.B.<br />

Harder e H. Rothe, Köln-Wien, 1988, pp. 207-239).<br />

VD16, ZV20389. OCLC, 247340980. E. Böcking, a cura di, Ulrichs von Hutten Schriften, suppl. II, Leipzig,<br />

1870, pp. 471, 735. M. Grossmann, Humanism in Wittenberg, 1485-1517, Nieuwkoop, 1975, p. 138. M.<br />

Machilek, op. cit., p. 228. G. Ellinger, Die neulateinische Lyrik Deutschlands in der ersten Hälfte des sechszehnten<br />

Jahrhunderts, Berlin-Leipzig, 1929, pp. 63-64. € 2.200,00<br />

187) SIMONE (FIDATI) DA CASCIA Beato (Cascia, 1290 ca.-Firenze, 2 febbraio 1348).<br />

L’ordine della vita cristiana. Manoscritto cartaceo (mm 173x120) della fine del XV secolo o<br />

dell’inizio del XVI, composto da carte 75 [recte 76, essendo ripetuto il numero 45] e rilegato<br />

in epoca recente in pergamena antica.<br />

Scrittura piuttosto modesta di scriba non professionale. Linee 23-24 per pagina. Titoli dei capitoli e loro<br />

iniziali in rosso magenta. La carta reca due filigrane (tre monti e testa di bue), entrambe molto comuni.<br />

Carta 1 recto, Incipit: «Qui comincia il libro della vita cristiana. Al nome di dio qui comincia lordine della<br />

vita cristiana… chompilato dal venerabile frate simone da chascia dellordine de frati di santo agostino<br />

neglanni del nostro signiore 1333 quando in questo tempo predicho in firenze».<br />

Carta 75 [recte 76] verso, Explicit: «… e perciò che quando quelli peccharanno inchontanente nella pena<br />

trapassarono e sono e staranno sempre. Amen».<br />

La presente opera, la più popolare tra quelle scritte da Simone da Cascia e la più importante dopo il De<br />

gestis Domini Salvatoris, è citata quale testo di lingua dalla Crusca. Composta intorno al 1333 e trasmessa da<br />

una cinquantina di codici (cfr. A. Zumkeller, Manuscripte von Werken der Autoren des Augustiner-Eremitenordens<br />

in mitteleuropäischen Bibliotheken, Würzburg, 1966, pp. 358-366), fu data alle stampe per la prima volta a<br />

Milano nel 1521 e poi più volte ristampata.<br />

In essa l’autore spiega alle anime semplici la vera osservanza delle virtù cristiane. Diviso in due parti e<br />

complessivi ventidue capitoli, l’Ordine si segnala per la sua chiarezza e concisione. Notevoli sono in<br />

particolare i capitoli dedicati all’esercizio delle virtù interiori e teologali (fede, speranza e carità), mentre i<br />

consigli riguardanti la preghiera, la carità, l’umiltà e la povertà e quelli offerti sulle pratiche ascetiche<br />

- 134 -


iflettono pienamente l’austerità morale del Fidati.<br />

Di nobile famiglia, Simone Fidati si dedicò in giovane età alle scienze naturali. Poi, su consiglio di una<br />

persona saggia (con ogni probabilità Angelo Clareno), si volse alla scienza della «grazia». Nel 1310 entrò<br />

nell’Ordine degli eremitani di Sant’Agostino, quasi certamente nel convento della sua città natale. Fu uno<br />

scrittore prolifico (sia in latino che in volgare) e un valente predicatore, attivo soprattutto a Firenze, dove<br />

fondò due conventi femminili, e a Roma. Anticipatore, secondo alcuni, di certe dottrine luterane e figura di<br />

primissimo piano nell’ambito della spiritualità trecentesca, Simone da Cascia fu beatificato nel 1833 sotto<br />

Gregorio XVI.<br />

Le principali notizie biografiche riguardanti il Fidati si ricavano, oltre che dalla sua opera, dalla breve Vita<br />

compilata dal suo discepolo, l’agostiniano Giovanni di Salerno (1317-1388) (cfr. D.B.I., XLVII, pp. 406-410).<br />

Per un’edizione moderna della presente opera vedi S. Fidati, L’ordine della vita cristiana; Tractatus de vita<br />

christiana; Epistulae; Laude; Opuscula Simonis Fidati de Cassia Oesa; Tractatus de vita et moribus fratris Simonis de<br />

Cassia Johannis de Salerno Oesa, a cura di Willigis Eckermann O.S.A, Roma, 2006.<br />

Venduto<br />

PROBABILMENTE LA PRIMA OPERA SUL PICENO<br />

188) SPAGNOLI, Giovanni Battista (1448-1516) - CURTI, Lancino (1462-1512). Tolentinum<br />

F. Baptistae Mant. In fine: (Milano), Leonardo Vegio per Alessandro Minuziano, 8 dicembre<br />

1509.<br />

In 4to (cm 18); bella pergamena recente con tassello e titolo in oro al dorso; cc. (53), (1 bianca). Piccolo<br />

restauro al margine inferiore bianco di alcune carte, piccoli timbri di biblioteca su alcune pagine, per il resto<br />

ottima copia marginosa.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE ben completa dell’ultima<br />

carta, spesso mancante, che contiene l’errata ed una lettera<br />

del Minuziano indirizzata al dedicatario dell’opera, Giovanni<br />

da Tolentino, riguardante la correttezza dell’edizione stampata<br />

da suo genero L. Vegio.<br />

Nella dedica dello Spagnoli a Giovanni da Tolentino l’autore<br />

narra brevemente le vicende della stesura dell’opera. Il<br />

Tolentinum è un poemetto in versi ambientato nelle Marche,<br />

che contiene la descrizione di diverse località (Ancona,<br />

Recanati, Pesaro, Fermo, Macerata, Tolentino), racconta le<br />

origine mitologiche del Piceno e accenna più volte ad eventi<br />

della storia contemporanea.<br />

Alla fine del volume vi è un componimento di cira nove pagine<br />

di Lancino Curti, sempre indirizzato a Giovanni da<br />

Tolentino, in cui si tessono le lodi dello Spagnoli e delle sue<br />

opere e si espongono con tono accorato eventi recenti della<br />

storia italiana.<br />

G.B. Spagnoli, poeta carmelitano nato a Mantova da padre<br />

spagnolo, studiò grammatica sotto G. Tifernate e filosofia a<br />

Pavia sotto P. Bagelardi. Dopo alcuni anni di cattive<br />

frequentazioni e accuse di usura e calunnia entrò nell’ordine<br />

dei Carmelitani, biasimando nel De vita beata, la sua prima<br />

pubblicazione, i suoi precedenti errori di gioventù. Entrato<br />

nelle grazie del duca di Mantova, fu incaricato dell’educazione<br />

dei giovani rampolli di casa Gonzaga. Nel 1513 fu nominato<br />

generale dell’ordine. Considerato dai suoi contemporanei come un novello Virgilio, nel 1885 fu<br />

beatificato (cfr. W. Zabughin, Un beato poeta, Roma, 1918, passim).<br />

L. Curti, milanese, si formò nelle lettere classiche sotto Giorgio Merula. Legato al cenacolo umanistico sorto<br />

alla corte di Lodovico il Moro, dove fu anche Leonardo, strinse amicizia con poeti neolatini e storici come<br />

P. Piatti, A. Fregoso, P. Sassi e B. Corio. Poeta lui stesso, la sua produzione fu raccolta e data alle stampe<br />

postuma dal nipote G. della Chiesa nel 1521 (cfr. F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, Milano,<br />

1913-’23, IV, pp. 154-157).<br />

Su Giovanni da Tolentino (m. 1525), frate agostiniano, vedi D.A. Perini, Bibliographia augustiniana cum notis<br />

biographicis. Scriptores Itali, Firenze, 1929-’37, IV, 13.<br />

Edit16, CNCE 41119. BMSTCItalian, p. 635. Index Aureliensis, 112.478. Biblioteca Nazionale Braidense, Le<br />

- 135 -


edizioni del XVI secolo, II-Edizioni milanesi, Milano, 1984, p. 136, nr. 1392. G. Bologna a cura di, Le Cinquecentine<br />

della Biblioteca Trivulziana, I Le edizioni milanesi, Milano, 1965, p. 161, nr. 444. E. Sandal, Editori e tipografi a<br />

Milano nel Cinquecento, Baden-Baden, 1979, II, p. 35, nr. 195. € 1.500,00<br />

189) SPALLANZANI, Lazzaro (1729-1799) e altri autori. Memorie sopra i muli di varii autori.<br />

In fine: Modena, Giovanni Montanari, 1768.<br />

In 8vo (cm 19,5); cartoncino recente (materiale antico); pp. (8), LXIII, (1). A parte una lievissima brunitura<br />

uniforme, ottima copia a pieni margini.<br />

«The Memorie sopra i muli was a collection of communications about hybridis by Bonnet and various<br />

authors, edited by Spallanzani, who urged that experiments on insect hybridization were a possible means<br />

of disentangling the problem of generation. He did not pursue this particular path but later attempted to<br />

cross batrachian species and even such diverse animals as cats and dogs» (D.S.B., XII, pp. 555-556).<br />

L’opera contiene scritti di Spallanzani, Charles Bonnet (1720-1793), Johan Ernst Hebenstreit (1703-1757) e<br />

Jacob Theodor Klein (1685-1759).<br />

Lazzaro Spallanzani, originario di Scandiano (RE), si formò presso il seminario dei Gesuiti di Reggio<br />

Emilia, quindi nel 1749 si trasferì a Bologna per studiare giurisprudenza.<br />

Presso l’Università di Bologna, sotto l’influenza di Laura Bassi Veratti, sua cugina da parte paterna, che vi<br />

insegnava fisica e matematica, cominciò tuttavia ad interessarsi alle scienze naturali. Nel 1754 divenne<br />

dottore in filosofia e prese gli ordini minori. Dopo i primi anni di insegnamento al Collegio di Reggio<br />

Emilia, dal 1763 al 1765 fu docente di filosofia a Modena.<br />

In quel periodo ebbe modo di conoscere l’opera di Buffon e dello scienziato inglese J.T. Needham e strinse<br />

amicizia con il ginevrino Charles Bonnet. Nel 1769 fu nominato professore di storia naturale presso l’Università<br />

di Pavia. Nel 1776 pubblicò gli importanti Opuscoli di fisica animale e vegetabile.<br />

Egli mantenne la cattedra pavese fino alla morte, compiendo saltuariamente lunghi viaggi alla ricerca di<br />

nuovi reperti per il museo di Pavia e di materiale per le sue ricerche.<br />

Spallanzani fu uno dei più grandi sperimentatori del suo tempo. Si occupò prevalentemente di biologia e<br />

di indagini microscopiche sul mondo animale e vegetale, ma dimostrò grandi capacità anche in altri<br />

campi, quali la chimica, la fisica, la meteorologia, la mineralogia e la vulcanologia, come dimostrano i sei<br />

volumi di Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino (Pavia, 1792-’97). Le sue opere esercitarono<br />

una profonda influenza e furono tradotte in tutte le principali lingue europee.<br />

D. Prandi, Bibliografia di Lazzaro Spallanzani, Firenze, 1952, pp. 31-32. Gamba, 2450. € 600,00<br />

190) SPERANDIO DIACONI, Pellegrino (fl. 2a metà del XVIII secolo). Mare grande poema<br />

eroicomico o sia Vita di Pellegrino Sperandio nato in Roma, e di Tiburtina cittadinanza... Prima vita<br />

quale sia stata da un autore da se medesimo in versi esposta. Con i Commenti, e Prefazione del<br />

medesimo Autore... Roma, Paolo Giunchi, 1780.<br />

In 4to piccolo (cm 19); mezza pelle primi Ottocento con punte, dorso con fregi e titolo in oro; pp. XXXII, 124<br />

con ritratto dell’autore inciso in rame in antiporta e numerosi fregi, testate e finalini in legno. Aloni di<br />

umidità in alcune carte, arrossatura diffusa, tre margini bianchi rinforzati anticamente, ma buona copia<br />

genuina.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. Estremamente ironico e canzonatorio sin dal lunghissimo titolo, questo divertente<br />

poemetto, preceduto e seguito da sonetti ed epigrammi, nonché da finti giudizi critici di supposti<br />

«sceltissimi Poeti di Roma, e Italiani...» (p. XXVI), sviluppa in agili sestine di ottonari gli eventi fondamentali<br />

e non della vita dell’autore, il quale accompagna la narrazione con divertenti note di commento, a volte<br />

semplicemente esplicative, a volte autoironiche e sarcastiche. In sostanza lo Sperandio funge contemporaneamente<br />

da poeta e da critico di se stesso con esiti a tratti decisamente comici (cfr. P.P. Rinaldi, Il piccolo<br />

libro del Nonsense, Raccolta antologica, Milano, 1997, pp. 123-126).<br />

P. Sperandio fu poeta arcade con il nome di Cleoronte Dyrrachiano.<br />

ICCU, IT\ICCU\TO0E\006385. € 230,00<br />

191) SPERONI, Sperone (1500-1588). Tragedia di M. Sperone Speroni. Se nel fine di questa<br />

sana, intiera, et corretta si guardera, si trovera annotato quanto lacera, tronca, et corrotta sia quella,<br />

che da altri, che da noi, et contra il voler dell’Auttore, et senza licenza veruna, occultamente è stata<br />

stampata, et intitolata Canace. Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1546.<br />

- 136 -


In 8vo (cm 15,5); pergamena semirigida posteriore con passanti e<br />

titolo manoscritto al dorso; cc. 39, (1). Marca tipografica sul titolo<br />

ed in fine. Bel carattere corsivo. Firme di appartenenza di Alessandro<br />

Volpi (fl. XIX secolo). Piccolo restauro sul margine esterno delle<br />

prime tre carte senza danno al testo, piccolo segno di tarlo sull’ultima<br />

carta che mangia alcune lettere, per il resto bella copia genuina.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE autorizzata dall’autore. Come ricorda<br />

A.G. Clario nella dedica a B. Martirano, segretario di Carlo V, la<br />

Canace era uscita nel 1546, all’insaputa dell’autore, in un’edizione<br />

pirata e molto scorretta, stampata a Firenze da Anton Francesco<br />

Doni. Lo Speroni, attraverso Paolo Crivello, se ne lagnò con il Doni,<br />

il quale, in una lettera del 23 settembre 1546 (apparsa nel secondo<br />

libro delle Lettere del 1547), si giustificò negando la paternità dell’edizione<br />

e sostenendo che fosse stata stampata a Venezia (cfr. C.<br />

Ricottini Marsili-Libelli, Anton Francesco Doni scrittore e stampatore,<br />

Firenze, 1960, p. 348, nr. XI). Pare infatti che l’editore truffaldino sia<br />

da identificare in Curzio Traiano Navò.<br />

Il Clario decise di porre rimedio alla situazione, assumendosi l’incarico<br />

di pubblicare il testo della tragedia sulla base di un manoscritto<br />

autografo in suo possesso (Cod. Vat. Lat. 4820). Egli si rivolse<br />

per la stampa al Valgrisi e decise di elencare nelle ultime due<br />

carte del volume gli «errori gravi» commessi «nella stampa occultamente<br />

fatta» (cfr. S. Speroni, Canace e scritti in sua difesa, a cura di<br />

C. Roaf, Bologna, 1982, pp. LXXI-LXXIV).<br />

Allo Speroni e alla critica moderna sono sfuggite altre due edizioni<br />

“pirata” apparse nello stesso anno 1546 (una stampata da Agostino Bindoni, l’altra priva di dati tipografici),<br />

che solo di recente sono state rinvenute e repertoriate (cfr. Edit16, CNCE34011 e CNCE47858).<br />

La Canace, composta nel 1542 e letta dall’autore presso l’Accademia degl’Infiammati, doveva essere rappresentata<br />

in quello stesso anno presso la casa di Giovanni Cornaro, ma alla fine la messa in scena saltò<br />

per la morte improvvisa del celebre attore Ruzzante, che ne era uno dei protagonisti. La tragedia fu una<br />

delle più fortunate ed influenti del Cinquecento, come testimoniano fra l’altro le sue innumerevoli ristampe.<br />

Sia la trama fosca ed incestuosa tratta da Ovidio sia l’utilizzo del settenario ne fecero un modello per il<br />

futuro teatro tragico (cfr. M.T. Herrick, Italian Tragedy in the Renaissance, Urbana, 1965, pp. 118-133).<br />

Numerose polemiche sorsero a partire dalla sua diffusione manoscritta. B. Cavalcanti (o forse G.B. Giraldi)<br />

compose nel 1543 un Giuditio sopra la tragedia di Canace et Macareo (stampato nel 1550 a Lucca dal Busdraghi),<br />

cui successivamente lo Speroni replicò con una Apologia e con alcune Lettioni, che tuttavia furono pubblicate<br />

solamente postume nel 1597 insieme ad una versione rivista della Canace (cfr. S. Speroni, op. cit., pp.<br />

XIII-XXXIII).<br />

Sperone Speroni, originario di Padova, studiò filosofia nella sua città natale, acquisendo la cattedra di<br />

Logica presso lo Studio padovano. Si trasferì in seguito a Bologna per seguire le lezioni di Pietro Pomponazzi.<br />

Alla morte di quest’ultimo lo Speroni fece ritorno a Padova, dove per tre anni tenne la cattedra straordinaria<br />

di filosofia. Nel 1542, a Venezia, pubblicò i Dialoghi, tra cui figurano i celebri Dialogo delle lingue e<br />

Dialogo della retorica, nei quali lo scrittore riprende e sviluppa le dottrine del Bembo, esercitando grande<br />

influenza anche in Francia, in particolare sulla Défense et illustration de la langue française (1549) di J. Du<br />

Bellay. Nel 1560 si trasferì a Roma, dove rimase fino al 1564 e dove strinse un forte legame d’amicizia con<br />

Annibal Caro. Qui partecipò attivamente alle riunioni dell’Accademia delle Notti Vaticane. Rientrato<br />

definitivamente a Padova, vi morì nel 1588. Le sue Orazioni apparvero postume aVenezia nel 1596.<br />

M. Magliani, Bibliografia delle opere a stampa di Sperone Speroni, in: “Sperone Speroni”, Filologia Veneta, nr.<br />

2, Padova, 1989, p. 310, nr. 2. Edit16, CNCE36110. Gamba, 1653. Clubb, 799. BMSTCItalian, p. 636. Bregoli<br />

Russo, 571. € 1.500,00<br />

192) SPONTONI, Ciro (ca. 1552-1610). La metoposcopia overo commensuratione delle linee<br />

della fronte trattato del signor cavaliere Ciro Spontoni. Venezia, eredi di Ghirardo Imberti, 1642.<br />

In 8vo (cm 14,5); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso; pp. 104, (8, di cui le ultime<br />

2 bianche). Marca tipografica sul titolo e numerose illustrazioni in legno nel testo. Ex-libris manoscritto sul<br />

risguardo libero anteriore. Ottima copia genuina, solo a tratti leggermente arrossata.<br />

QUARTA EDIZIONE del tutto identica a quella dell’Imberti del 1637, che apparve dopo la prima edizione<br />

- 137 -


veneziana di E. Deuchino del 1626 (riedita nel 1629), pubblicata dal figlio dell’autore, Giovanni Battista<br />

Spontoni. L’opera fu poi più volte ristampata fino alla fine del secolo (cfr. C. Spontone, La metoposcopia,<br />

ovvero commensurazione delle linee della fronte, Napoli, 2003, p. IX).<br />

Sulla base della tradizione manoscritta, studi recenti hanno dimostrato con un certa sicurezza che la<br />

presente opera, che G.B. Spontoni dice di aver «cavata dal cenere di oblivione», attribuendola al padre Ciro,<br />

sia in realtà ascrivibile al matematico, astronomo e geografo padovano Giovanni Antonio Magini (1555-<br />

1617) (cfr. G. Aquilecchia, La sconosciuta “Metoposcopia” di G. B. Della Porta, di una differenziata del Cardano e<br />

di quella del Magini attribuita allo Spontoni, in: “Filologia e Critica”, X, 1985, pp. 307-324).<br />

Storico e poeta bolognese, C. Spontone visse quasi sempre a corte in qualità di segretario. Fu al servizio di<br />

C. Boncompagni, governatore d’Ancona e arcivescovo di Ravenna, di L. Bentivoglio, vescovo di Policastro<br />

e Città di Castello, del duca di Nemours a Torino, del marchese Marco Pio di Sassuolo e di Rodolfo<br />

Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere. Al seguito del duca di Mantova prese parte alla guerra<br />

d’Ungheria. Successivamente per un certo periodo fu governatore di Rovigo. Dal 1600 al 1610 fu segretario<br />

del Senato di Bologna. Scrisse Dodici libri del governo di Stato (Verona, 1599), La corona del principe (Verona,<br />

1590), i dialoghi Il Bottrigaro (Verona, 1589) e Hercole difensore di Homero (Verona, 1595), un saggio sulla<br />

poetica del Tasso (Verona, 1587), le Attioni de’ re dell’Ungheria (Bologna, 1602), un’Historia della Transilvania<br />

(Venezia, 1638) ed questa celebre Metoposcopia (cfr. T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma,<br />

1949, p. 75).<br />

ICCU, IT\ICCU\BVEE\032726. <strong>Libreria</strong> Vinciana, 2263. S.P. Michel, Répertoire des ouvrages imprimés en<br />

langue italienne au XVII e siècle conservés dans les bibliothèques de France, Paris, 1980, VII, p. 148. Bibliotheca<br />

magica: dalle opere a stampa della Biblioteca Casanatense di Roma (secc. XV-XVIII), Firenze, 1985, nr. 1135.<br />

€ 780,00<br />

L’ACCIAIO NEL SETTECENTO<br />

193) TAMAGNA, Giuseppe (1747-1798). Dissertazioni. Roma, Gioacchino Puccinelli, 1790.<br />

In 8vo (cm 18,5); cartone coevo con titolo manoscritto al dorso (piatto superiore lievemente sciupato); pp. XI,<br />

(1), 356. Leggero alone d’acqua nel margine inferiore del volume, ma ottima copia.<br />

EDIZIONE ORIGINALE. Le Dissertazioni sono scritturali, storico-profane, storico-ecclesiastiche, geografiche<br />

(con la descrizione della fiera di Acapulco in Messico), mediche (una riguarda lo svezzamento dei<br />

neonati), botaniche ed infine chimiche. In quest’ultima sezione l’autore tratta dell’acciaio e delle sue fabbriche<br />

più rinomate. L’acciaio di maggior qualità è quello inglese, seguito da quello francese. L’Italia, pur<br />

disponendo dell’acciaio di Riva, è costretta ad importarne, soprattutto per la costruzione di strumenti di<br />

precisione.<br />

Tutti gli articoli delle diverse dissertazioni cominciano con la lettera A (salvo uno), perché erano pensati<br />

per la stesura di un Dizionario Enciclopedico, che il Tamagna non portò mai a termine e che nelle intenzioni<br />

dell’autore avrebbe dovuto confutare in molte parti l’Encyclopédie francese.<br />

Su Tamagna, teologo e filosofo minore conventuale, vedi D. Sparacio, Frammenti bio-bibliografici di scrittori<br />

ed autori minori Conventuali, Assisi, 1931, p. 186.<br />

ICCU, IT020289. € 180,00<br />

194) TASSO, Torquato (1544-1595). O Godfredo ou Hierusalem Libertada, Poema Heroyco...<br />

Traduzido na Lingua Portugueza e offerecido ao Serenissimo Senhor Cosmo III Gran Duque da<br />

Toscana por Andre Rodriquez de Mattos… Lisbon, Miguel Deslandes, 1682.<br />

In 4to (cm 20,5); legatura coeva in piena pelle, dorso a tre nervi con fregi e titolo in oro, taglio colorato<br />

(mancanze al dorso e spellature); titolo inciso, pp. (32), 659, (1 bianca) ed 1 tavola dedicatoria in rame a<br />

piena pagina. Le due tavole sono entrambe firmate da Clemens Billingue. Insignificante forellino nel margine<br />

inferiore delle ultime carte che lede leggermente la tavola incisa, minimi aloni marginali alle ultime<br />

carte, ma ottima copia di tutta freschezza.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE IN PORTOGHESE della Gerusalemme Liberata nella traduzione di André<br />

Rodriguez de Mattos (1638-1698), che è di per se stessa un significativo contributo alla letteratura portoghese<br />

e che fu più volte ristampata fino alla metà del XIX secolo. Il volume si apre con numerosi componimenti<br />

latini e portoghesi in lode del traduttore.<br />

Sulla fortuna del Tasso in Spagna e Portogallo cfr. A. Tortoreto, Il Tasso in Ispagna ed in Portogallo, in: “Studi<br />

Tassiani “, I, 1951, pp. 67-75.<br />

P. Serassi, La vita di Torquato Tasso, Roma, 1785, p. 568 («Versione assai bella e fedele, e scritta…, serbando<br />

quasi le stesse rime per la molta somiglianza, che hanno le desinenze della nostra lingua con quelle della<br />

- 138 -


Portoghese»). L. Chiodi, a cura di, La raccolta tassiana della Biblioteca civica “Angelo Mai” di Bergamo, Ivi, 1960,<br />

p. 192, nr. 939. V.F. Goldsmith, A short title catalogue of Spanish and Portuguese books 1601-1700 in the British<br />

Museum, London, 1974, p. 189. Palau, 328203. X. da Cunha, Impressões Deslandesianas, Lisboa, 1894, I, pp.<br />

199-205. R. Pinto de Mattos, Manual Bibliographico Portuguez de livros raros, classicos e curiosos, Porto, 1878, p.<br />

547 («estimada e rare»). € 1.200,00<br />

IL MAGGIOR POEMA EROICOMICO DELLA LETTERATURA ITALIANA<br />

195) [TASSONI, Alessandro (1565-1635)]. La Secchia poema eroicomico d’Androvinci Melisone.<br />

Parigi, Toussaint Dubray, 1622.<br />

In 12mo (cm 13); legatura francese coeva in marocchino bordeaux con eleganti decorazioni sui piatti e sul<br />

dorso, tagli dorati (molto ben conservata); cc. (4), 166, (1), 1 bianca. Mancano dall’origine le 6 carte preliminari<br />

contenenti la dedica a Madame de Bonnoeil. Tre sono le tirature identificate di questa prima edizione:<br />

la prima reca dieci carte preliminari, la seconda sei (in quanto la dedica viene ridotta da sei a due carte), la<br />

terza si distingue dalla seconda perché nell’avviso ai lettori rivela il vero nome dell’autore nascosto sotto<br />

lo pseudonimo d’Androvinci Melisone. Trattandosi di un esemplare rilegato in una preziosa legatura<br />

coeva e perfettemente conservato, l’assenza della dedica, non riscontrata nelle altre copie censite, potrebbe<br />

far pensare o ad una primissima tiratura o ad un esemplare di dono, nel quale volutamente è stato omesso<br />

l’omaggio alla Bonnoeil. Ottima copia lievemente fiorita.<br />

RARA PRIMA TIRATURA DELLA PRIMA EDIZIONE della prima<br />

redazione della Secchia rapita, il maggior poema eroicomico italiano.<br />

Composta fra 1614 e il 1618, l’opera cominciò ad avere dapprima una<br />

circolazione manoscritta, attirando su di sé le attenzioni dell’Inquisizione.<br />

Dopo alcuni tentativi, anche clandestini, di farla stampare a<br />

Modena e a Padova, Tassoni fu costretto dalla censura ecclesiastica ad<br />

optare per la Francia. Fu così grazie all’interessamento di Jean<br />

Chapelain, amico e collaboratore del Marino, che il poema tassoniano<br />

vide la luce a Parigi negli ultimi mesi del 1621. Contemporaneamente<br />

all’edizione parigina, apparve sul mercato una contraffazione veneziana<br />

del tutto identica.<br />

Al momento di approntare la seconda edizione, che uscì a Roma con<br />

falso luogo Ronciglione nel 1624, Tassoni dovette comunque correggere<br />

il testo, venedo incontro alle richieste di Urbano VIII, che dopo la<br />

revisione ammise di non disdegnarla. Il testo corretto e il titolo mutato<br />

in La secchia rapita divennero quelli definitivi, riproposti nelle decine di<br />

edizioni che si diedero del poema, dentro e fuori dall’Italia, dopo la<br />

morte del poeta.<br />

Vasto poema in dodici canti in ottave, La secchia rapita narra la guerra<br />

scoppiata tra Bologna e Modena in seguito al furto da parte dei Modenesi,<br />

chiamati Gemignani dal nome del loro santo protettore, di un<br />

secchio tarlato che appartiene ai Petroniani, ossia ai Bolognesi.<br />

L’Olimpo di Omero prende parte alla guerra, schierandosi chi con una<br />

parte, chi con l’altra. Ridicoli personaggi come lo spaccone Conte di<br />

Culagna e il vanaglorioso dongiovanni Cavalier Titta completano il<br />

quadro satirico del poema, che dileggia le secolari e spesso futili rivalità storiche delle città italiane.<br />

Alessandro Tassoni nacque a Modena il 28 settembre 1565. Di nobile famiglia, ma rimasto orfano in<br />

giovane età, compì gli studi a Bologna, Ferrara e Pisa. Entrato al servizio del cardinale Ascanio Colonna nel<br />

1599, Tassoni lo seguì in Spagna dal 1600 al 1603. Rientrato in Italia, abitò per lo più a Roma in qualità di<br />

ambasciatore di Carlo Emanuele I di Savoia, che lo scrittore reputava il più grande regnante italiano. Nel<br />

1618 fu chiamato a Torino a svolgere le mansioni di segretario. Nel 1621 si ritirò dall’incarico di corte. Nel<br />

1626 entrò al servizio del cardinale Ludovisi. Dal 1632 alla morte visse presso la corte modenese di Francesco<br />

I. Morì a Modena il 25 aprile del 1635.<br />

Temperamento violento e litigioso, Tassoni esordì con una raccolta di meditazioni critiche contro l’autorità<br />

di Aristotele e contro i suoi seguaci a favore dei moderni, intitolata Parte de quisiti (1608): dalla ristampa del<br />

1612 l’opera prese il nome di Varietà di pensieri divisa in nove parti, cui fu aggiunta una decima parte sugli<br />

ingegni antichi e moderni a partire dall’edizione del 1620 intitolata Pensieri diversi. Nelle Considerazioni sopra<br />

le rime del Petrarca (1609) egli si oppose invece alla poesia d’imitazione in nome della novità e della creatività<br />

(cfr. P. Puliatti, Bibliografia di Alessandro Tassoni, Firenze, 1959, pp. 162-191.<br />

- 139 -


Puliatti, op. cit., nr. 97. Gamba, nr. 297. M. Parenti, Prime edizioni italiane, Milano, 1948, p. 483. S.P. Michel,<br />

Répertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au XVII e siècle conservés dans les bibliothèques de France,<br />

Paris, 1984, VIII, p. 30. € 8.500,00<br />

196) TASSONI, Alessandro (1565-1635). La secchia rapita poema eroicomico di Alessandro<br />

Tassoni patrizio modenese, colle dichiarazioni di Gaspare Salviani romano, s’aggiungono la prefazione,<br />

e le annotazioni di Giannandrea Barotti ferrarese; le varie lezioni de’ testi a penna, e di molte edizioni; e<br />

la vita del poeta composta da Lodovico Antonio Muratori… Modena, Bartolomeo Soliani, 1744.<br />

Un volume in 4to grande (cm 26); pelle marmorizzata coeva, dorso a cinque nervi e sei comparti, uno con<br />

tassello in marocchino rosso recante il titolo, gli altri profusamente decorati con motivi floreali in oro,<br />

sguardie in carta marmorizzata, tagli rossi (cuffia superiore con minime mancanze, alcuni trascurabili<br />

restauri ai piatti); pp. LX, 92, 489, (3) con antiporta, ritratto dell’autore, 12 tavole poste all’inizio di ogni<br />

canto, 1 tavola ripiegata con il Carroccio, 2 carte geografiche ripiegate, 1 tabella genealogica ripiegata ed un<br />

facsimile di scrittura. Le tavole sono incise in rame da F. Zucchi, A. Bolzoni, G. Cantarelli, G. Benedetti, B.<br />

Bonvicini ed A. Zuliani su disegni e invenzioni di D.M. Fratta, F. Villani ed altri. Frontespizio stampato in<br />

rosso e nero. Ottima copia.<br />

CELEBRE EDIZIONE FIGURATA del poema tassoniano, corredata da splendide figure in rame e dagli<br />

apparati critici di Gaspare Salviani e Giovanni Andrea Barotti.<br />

La prima edizione della Secchia stampata a Modena fu quella data da Antonio Capponi nel 1700. Data la<br />

sua scorrettezza, negli ambienti culturali cittadini, dominati dalla figura di L.A. Muratori e dal suo gusto<br />

celebrativo per le memeorie patrie, si sentì l’esigenza di colmare questa mancanza, pubblicando un’edizione<br />

che fosse al contempo filologicamente corretta ed tipograficamente illustrata per rendere omaggio alla<br />

memoria del Tassoni. «In questa situazione le tre stampe di Bartolomeo Soliani, [quella in 24mo del 1743 e<br />

quelle in 4to ed in 8vo del 1744], costituirono un avvenimento editoriale di grande rilievo. Precedute da un<br />

lungo lavoro di preparazione, esse, infatti, colmarono una pressoché secolare lacuna e, rispondendo ad<br />

un’esigenza culturale, assolsero al duplice impegnativo compito di proporre un testo filogicamente curato<br />

– quello voluto da Urbano VIII – e di offire, almeno due di esse, un’illustrazione di prim’ordine» (P. Puliatti,<br />

Bibliografia di Alessandro Tassoni, Firenze, 1969, p. 184).<br />

Il testo fu curato dal Barotti (1701-1772), il quale utilizzò il testo riveduto della seconda edizione di<br />

Ronciglione del 1624, conforme ai dettami di Urbano VIII, confrontandolo con i manoscritti e le altre<br />

edizioni. Nella prefazione egli traccia una storia della composizione della Secchia, per primo indicando il<br />

1614 come data postquem dell’inizio della composizione. Nelle note infine egli mette in evidenza allusioni<br />

a fatti e personaggi del tempo del poeta e introduce dotte osservazioni linguistiche, richiamandosi alle fonti<br />

del poema. Il testo da lui approntato fu utilizzato per tutte e tre le edizioni Soliani (cfr. D.B.I., VI, p. 486-487).<br />

Puliatti, Op. cit., nn. 128. Gamba, nn. 2097. € 3.200,00<br />

197) TASSONI, Alessandro (1565-1635). La secchia rapita, poema eroicomico di Alessandro<br />

Tassoni, colle dichiarazioni di Gaspare Salviani romano, e le annotazioni del dottor Pellegrino Rossi<br />

modenese, rivedute, e ampliate. Venezia, Giuseppe Bettinelli, 1747.<br />

In 8vo (cm 16,7); legatura coeva in piena pergamena rigida, dorso con tassello e titolo in oro, tagli<br />

marmorizzati; pp. (16), LVI, 495, (1 bianca) con antiporta, ritratto del Tassoni e 12 tavole a piena pagina<br />

incise in rame da G. Filosi. Titolo stampato in rosso e nero. Qualche lieve alone, minime fioriture marginali,<br />

ma ottima copia genuina.<br />

TERZA EDIZIONE del Bettinelli, che ripete il testo e il paratesto di quella del 1739 e l’apparato iconografico<br />

della riemissione del 1742.<br />

Alla fine degli anni Trenta del Settecento, avendo saputo dell’intenzione del tipografo modenese Soliani di<br />

dare alle stampe un’edizione commentata ed illustrata della Secchia rapita, affidandone le cure editoriali al<br />

letterato ferrarese G.A. Barotti, Pellegrino Rossi (m. 1776) si fece avanti per ottenere il lavoro e decise di<br />

pubblicare in tutta fretta, com’egli stesso ammise, delle Annotazioni all’opera per dimostare la propria<br />

competenza in materia, derivante, a suo avviso, anche dal fatto di essere modenese e quindi di conoscere<br />

meglio di altri i luoghi in cui il poema tassiano è ambientato. Le Annotazioni apparvero a Piacenza nel 1738<br />

e furono seguite a breve distanza di tempo da un breve scritto, apparso anonimo, intitolato Errata-corrige per<br />

le Annotazioni del dottore Pellegrino Rossi. Questo testo, che contiene varie correzioni alle Annotazioni, è di<br />

controversa paternità. Attribuito da alcuni a Domenico Vandelli (1691-1754), da altri al canonico Luccarelli,<br />

pare ormai sicuro che fu scritto da Giovanni Andrea Barotti.<br />

Le Annotazioni del Rossi, scartate dal Soliani, furono utilizzate da Giuseppe Bettinelli per la sua edizione<br />

- 140 -


veneziana della Secchia, uscita nel 1739 e poi ristampata nel 1747 e nel 1763.<br />

L’edizione Bettinelli suscitò molte polemiche, nel corso delle quali furono messi nuovamente in luce gli<br />

errori e le manchevolezze del commento del Rossi. Nell’ambito di questa polemica Barotti pubblicò la<br />

Querela, in cui il Rossi è duramente attaccato e il Bettinelli è accusato di aver rubato al Soliani l’idea<br />

dell’edizione annotata. L’edizione critica Soliani della Secchia, curata dal Barotti, apparve solo nel 1743-<br />

1744 (cfr. D.B.I., VI, p. 486).<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\PUVE\007736. A. Scannapieco, Per un catalogo dei libri di Giuseppe Bettinelli, in:<br />

“Problemi di critica goldoniana”, Ravenna, 1994, p. 122. € 950,00<br />

198) TASSONI, Alessandro (1565-1635). La secchia rapita, poema eroicomico di Alessandro<br />

Tassoni, colle dichiarazioni di Gaspare Salviani romano, e le annotazioni del dottor Pellegrino Rossi<br />

modenese. Venezia, Giuseppe Bettinelli, 1789.<br />

In 8vo (cm 16,5); mezza pelle coeva con punte, dorso con fregi, tassello e titolo in oro, piatti in carta<br />

marmorizzata; pp. (16, compresi l’antiporta e il ritratto dell’autore), XLVIII, 450 con 12 tavole fuori testo a<br />

piena pagina incise in rame da G. Filosi. Fioriture mariginali dovute alla qualità della carta, ma nel complesso<br />

ottima copia.<br />

RARISSIMA EDIZIONE, ristampa delle precedenti edizioni del Bettinelli (1739, 1742, 1747, 1763), di cui<br />

riporta lo stesso apparato iconografico ormai logoro e lo stesso apparato di annotazioni.<br />

Giuseppe Bettinelli fu attivo dal 1731 al 1786. Dopo la sua morte l’attività passò ai figli Francesco e<br />

Giambattista, che tuttavia non seppero continuare con l’abilità del padre (cfr. A. Scannapieco, Giuseppe<br />

Bettinelli editore di Goldoni, in: “Problemi di critica goldoniana”, Ravenna, 1994, p. 83).<br />

Manca a ICCU, Puliatti e A. Scannapieco, Per un catalogo dei libri di Giuseppe Bettinelli, in: “Op. cit.”, pp. 108-149.<br />

€ 450,00<br />

199) THESORO POLITICO cioè Relationi, Instruttioni, Trattati, Discorsi varii d’Amb[asciato]ri.<br />

Pertinenti alla cognitione, et intelligenza delli stati, interessi, et dipendenze de più gran Principi del<br />

Mondo. Nuovamente impresso a benefficio di chi si diletta intendere, et pertinentemente discorrere li<br />

negotij di stato. Nell’Academia Italiana di Colonia, l’Anno 1593 (in fine: Stampati in Colonia<br />

per <strong>Alberto</strong> Coloresco stampatore dell’Academia, l’anno 1593, il mese de Settembre).<br />

In 4to (cm 23,5); pergamena floscia coeva (un po’ iscurita e con piccole mancanze); cc. (354, di cui 3<br />

bianche). Manca la carta bianca G 4 . Trattandosi di relazioni, discorsi e trattati indipendenti l’uno dall’altro,<br />

l’opera è rilegata in modo disordinato e la fascicolazione<br />

non segue un ordine coerente. Una mano coeva ha provveduto<br />

a numerare le pagine (omettendone due per errore) ed<br />

ha integrato l’indice con i riferimenti ai numeri di pagina da<br />

lei stessa inseriti. Ottima copia di grande genuinità, solo a<br />

tratti un po’ brunita.<br />

RARA TERZA EDIZIONE. La prima edizione era apparsa<br />

con le stesse indicazioni tipografiche nel 1589. Una seconda<br />

edizione in 8vo uscì a Tournon nel 1592. Dopo una terza<br />

impressione di Colonia del 1598, la raccolta fu stampata a<br />

Milano nel 1600-01 con l’aggiunta di una seconda parte.<br />

I dati tipografici delle tre edizioni dell’Accademia Italiana<br />

di Colonia sono certamente falsi. Esse furono infatti impresse<br />

in Francia, forse a Parigi (cfr. J. Balsamo, Les origines<br />

parisiennes du ‘Thesoro politico’ (1589), in: “Bibliothèque<br />

d’Humanisme et Renaissance”, 57, 1995, pp. 7-23). La marca<br />

tipografica sul titolo tuttavia è molto simile a quella usata<br />

dallo stampatore ugonotto de La Rochelle, Jérôme Haultin.<br />

La raccolta è anonima. L’attribuzione dell’intero volume al<br />

forlivese Giovanni Maria Manelli pare poco probabile, mentre<br />

sembra più verosimile che egli abbia redatto solamente la<br />

Relatione delle divisioni di Francia (cfr. S. Testa, Did Giovanni<br />

Maria Manelli pubblish the ‘Thesoro politico’ (1589)?, in:<br />

“Renaissance Studies”, vol. 19, 3, giugno 2005, p. 380). Solo<br />

di alcuni testi è possibile identificare l’autore: la Relatione di<br />

- 141 -


Napoli è di Giovan Battista Leoni, segretario di Alvise Landi, mentre la Relatione dell’eccellentissimo Don<br />

Filippo Pernistein imperiale ambasciatore della Maiestà Cesarea al Gran Principe di Moscovia, l’anno 1579 è stata<br />

scritta da Johann Cobenzl, inviato presso lo zar nel 1576.<br />

Il materiale contenuto nel Thesoro Politico si può dividere in tre sezioni. La prima comprende l’unico saggio<br />

teorico della raccolta, Delli fondamenti dello stato e istrumenti del regnare, che è una trattato sull’ottimo principe.<br />

La seconda sezione contiene relazioni d’ambasciatori, per lo più veneziani, da quasi tutti gli stati europei.<br />

L’attendibilità storica e l’affidabilità politica degli ambasciatori veneziani era allora universalmente riconosciuta<br />

e si spiega con la grande tradizione diplomatico-commerciale della Serenissima e con la sua<br />

libertà politica e religiosa che non condizionava i giudizi dei suoi rappresentanti. La terza sezione è una<br />

collezione di discorsi sulle questioni politiche più scottanti del periodo, come l’elezione del re di Polonia,<br />

la lega anti-turca, l’autorità e l’affidabilità politica del papa, ecc.<br />

I testi contenuti nella raccolta furono comunque in varia misura manipolati rispetto alle versioni originali:<br />

in parte abbreviati, in parte riassunti, a volte aggiornati. Il loro scopo pratico traspare anche dalla grande<br />

mole di interessantissime informazioni utili che forniscono: descrizioni geografiche, notizie sui costumi e<br />

sui popoli, notizie di carattere economico e militare. Tutte le relazioni hanno inoltre come scopo principale<br />

quello di indicare le tendenze di ciascuno stato in politica internazionale, nell’ambito di un contesto<br />

teorico in cui sembra dominare incontrastato il concetto di ragion di stato, che proprio in quegl’anni trovava<br />

una sua formulazione nei testi di G. Botero (cfr. S. Testa, Alcune riflessioni sul ‘Thesoro Politico’ (1589), in:<br />

“Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, 64, 2002, pp. 679-687).<br />

Edit16, CNCE34496. Adams, T-421. T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma, 1949, pp. 68-<br />

71, nr. 35. € 1.200,00<br />

TIZIANO VECELLIO<br />

200) TICOZZI, Stefano (1762-1836). Vite dei pittori Vecellj di Cadore libri quattro. Milano,<br />

Presso Antonio Fortunato Stella (co’ tipi di Gio. Pirotta), 1817.<br />

In 8vo (cm 21,5); legatura coeva in mezza pergamena con punte, dorso con fregi, tassello e titolo in oro<br />

(minime mancanze ai piatti); pp. (8), 336 e una tabella fuori testo più volte ripiegata contenente la Tavola<br />

genealogica degli otto pittori Vecellj. A tratti lievemente fiorito, ma ottima copia.<br />

EDIZIONE ORIGINALE, dedicata a Francesco Reina, della prima importante monografia sul grande<br />

pittore Tiziano Vecellio (1488-1576), cui sono dedicati i primi tre libri (249 pagine), e sugli altri sette membri<br />

della famiglia dei Vecellio che si occuparono di pittura, ossia il fratello Francesco (1475-1560), il figlio<br />

Orazio (1515-1576), Fabrizio (m. 1560), Cesare (m. 1600), Marco (1545-1611), Tiziano detto Tizianello (m.<br />

1650) e Tommaso (m. 1629).<br />

Nella sua vita il Ticozzi «salì ad altissima fama di dottissimo ed intelligentissimo conoscitore del bello<br />

artistico. Le Vite dei pittori Vecellj fu la prima opera d’importanza che su questa materia scrivesse. Vissuto<br />

lungamente nella patria di Tiziano ebbe campo di vedere molte opere di questo sommo e degli altri Vecelli,<br />

che prima di lui non erano state da alcuno rammemorate, onde poté darcene un compitissimo catalogo. Le<br />

notizie sulla conservazione o dispersione di queste opere e sulle stampe che ne furono fatte, i documenti<br />

inediti, lo stile elegante, la fina critica rendono interessante la lettura di questo libro» (E. De Tipaldo,<br />

Biografia degli Italiani illustri, Venezia, 1868, vol. IV, pp. 494-500).<br />

Chiudono il volume sei appendici che contengono lettere, documenti e tavole cronologiche.<br />

Il Ticozzi, originario di Pasturo in Valsassina, fu scolaro del Parini a Milano. Nel 1782, preso l’abito<br />

ecclesiastico, si laureò in teologia a Pavia, dove divenne il pupillo di Gregorio Fontana. In seguito al ritorno<br />

all’ordine dopo l’ondata napoleonica, che lo vide in prima fila, fu costretto a riparare a Parigi, dove strinse<br />

amicizia con V. Monti, L. Mascheroni ed altri esuli italiani. Nel 1806 passo in qualità di vice-prefetto dal<br />

dipartimento del Crostolo a quello del Piave. Durante questo soggiorno pubblicò l’importante Storia dei<br />

letterati e degli artisti del dipartimento della Piave. Tomo I (Belluno, 1813) e cominciò le ricerche per la stesura<br />

della presente opera. Trasferitosi in seguito a Milano, trascorse il resto della vita in grande povertà, pubblicando<br />

numerosi ed importanti testi, tra cui ricordiamo il Dizionario degli architetti, scultori, pittori, intagliatori<br />

in rame ed in pietra, coniatori di medaglie, musaicisti, niellatori, intarsiatori d’ogni età e d’ogni nazione (Milano,<br />

1830-33), il Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800 (Milano, 1818) e la Storia generale<br />

delle belle arti attinenti al disegno (Milano, 1829).<br />

J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica, Firenze, 1967, p. 561. CLIO, VI, p. 4556 (FI98). Cicognara, 2381.<br />

€ 450,00<br />

- 142 -


NEUROLOGIA<br />

201) TISSOT, Samuel Auguste André David (1728-1797). Traité des nerfs et de leurs maladies.<br />

Paris-Lausanne, Chez P.F. Didot le jeune, 1778-1780.<br />

Quattro volumi in 12mo (cm 16,5); bella legatura della metà del XIX secolo in mezza pelle, dorsi con<br />

decorazioni e titoli in oro, piatti in carta operata; pp. LVII, (3), 416, (8) + pp. 346, (2) + pp. (4), 444 + pp. (2),<br />

464. Bellissima copia.<br />

PRIMA EDIZIONE. «Tissot collected materials for many years for his important treatise on nervous diseases.<br />

His work is especially important because of his numerous condensations of previous literature and his<br />

precise references to many writers otherwise forgotten or overlooked. One of the most significant portions<br />

of this work is his monograph on epilepsy which had appeared separately several years earlier. Over all,<br />

Tissot’s importance is due to his clear differentiation between diseases of the nervous system and the<br />

pathology of the other body systems, which laid the foundation of modern neurology» (Heirs of Hippocrates,<br />

Iowa, 1980, p. 270, nr. 618).<br />

Rlg’s Eureka, record id: DCLC85665296-B. € 900,00<br />

202) TOTTI, Ranieri (fl. 2 a<br />

metà del XVI secolo). Gli amanti furiosi, favola boschereccia… Venezia,<br />

Giovachino Brugnolo, 1597.<br />

In 8vo (cm 14); legatura del Settecento in pergamena rigida, dorso<br />

con tassello e titolo in oro, tagli rossi; cc. (4), 74. Armi di Enea<br />

Piccolomini al titolo e due xilografie nel testo. Lievi fioriture, ma<br />

ottima copia.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE di questo dramma pastorale dedicato<br />

dal nipote dell’autore, Nicolao Totti, al poeta e drammaturgo Enea<br />

Piccolomini, che aveva scritto una pastorale sullo stesso tema l’anno<br />

precedente. Gli amanti furiosi fu messo in scena a Pisa per quattro<br />

volte da alcuni giovani impegnati in opere caritatevoli verso i malati<br />

di Santa Maria Nuova.<br />

«Pour ne donner qu’un seul exemple de pastorale qui refoule les<br />

satyres dans les intermèdes, Gli amanti furiosi de Ranieri Totti, pièce<br />

qui privilégie par ailleurs une veine féerique et monstrueuse, les<br />

danses des satyres semblent conjuguer la bizzarie des monsters<br />

renaissants (les femmes des satyres restent en effet une curiosité) et<br />

le grotesque mytologique. Le premier intermède fait ainsi intervernir<br />

un choeur de satyres qui chante une hymne à Vénus et à Bacchus, le<br />

seconde et le troisième des satyres et des satyresses et des Bacchantes,<br />

et le quatrième les memes, avec Silène sur son âne» (F. Lavocat, La<br />

syrinx au bûcher. Pan et les satyres à la Renaissane et à l’âge baroque,<br />

Genève, 2005, p. 392)<br />

Poco si sa della vita del Totti. Egli fu membro dell’Accademia degli<br />

Svegliati di Pisa, fondata nel 1588 dai professori e dagli studenti<br />

della locale università (cfr. A. Salvini, Pisa nei suoi poeti e nelle sue<br />

accademie, Pisa, 1965, p. 182).<br />

Gli amanti furiosi, la sua unica opera, maturò probabilmente in quell’ambiente, nel quale Pietro Lupi aveva<br />

pubblicato alcuni anni prima I sospetti, favola boschereccia (1589) e Francesco de’ Vieri aveva tenuto un<br />

discorso sulla bellezza (Firenze, 1588).<br />

Edit16, CNCE23278. Clubb, nr. 843. D. Ciampoli, Nuovi studi letterari e bibliografici…, Rocca San Casciano,<br />

1900, p. 310, nr. 4. D. Boillet-A. Pontremoli, Il mito d’Arcadia, pastori e amore nelle arti del Rinascimento,<br />

Firenze, 2007, p. 249, nr. 119. € 1.800,00<br />

L’ENTRATA DI ENRICO III AD ORLÉANS<br />

203) LES TRIUMPHES ET MAGNIFICENCES FAICTES a l’entree du Roy et de la Royne en la<br />

ville d’Orleans le quinziesme iour de Novembre, 1576. Ensemble les Harengues faictes à leurs Majesté.<br />

Paris, Jean de Lastre, [1576].<br />

In 8vo (cm 14); cartoncino recente; pp. (32). Con un fregio tipografico sul titolo. Lieve arrossatura uniforme,<br />

piccolo alone nell’angolo superiore esterno dell’ultima carta.<br />

RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE del resoconto dell’entrata di Enrico III nella città di Orléans il<br />

- 143 -


giorno 15 novembre 1576. Diretto a Blois per l’apertura degli Stati<br />

Generali, il re organizzò personalmente il suo ingresso trionfale nella<br />

città francese, seguendo i consueti canoni cerimoniali ed artistici<br />

che aveva potuto vedere durante il suo passaggio in Italia.<br />

In questo modo egli voleva rintuzzare il prestigio del fratello Francesco<br />

d’Angiò, resosi protagonista in quei mesi di varie celebrazioni<br />

personali. Nel 1576 si era infatti posto fine alla quinta guerra civile<br />

e era stata avviata la creazione della Lega Cattolica.<br />

Dopo questo episodio, Enrico III rinunciò alla poltica delle entrate<br />

trionafali (soprattutto a causa di una disastrosa condizione finanziaria<br />

delle casse reali) e per oltre dodici anni non volle più organizzare<br />

eventi di questo tipo. Dopo quella di Orléans, l’ultima sua entrata<br />

ufficiale fu infatti quella da lui fatta a Rouen nel giugno del<br />

1588.<br />

Profondamente immerso nella cultura festivaliera del Rinascimento,<br />

Enrico III portò con sé in Francia il retaggio dei dieci intensi mesi<br />

di immersione nelle feste organizzate per lui nelle città del Nord<br />

Italia, che aveva visitato nel suo viaggio di ritorno dalla Polonia.<br />

Impossibilitato ad attraversare la Germania protestante, essendo<br />

stato per anni il comandante in capo dell’esercito del re di Francia<br />

ed avendo fama di essere stato uno degli istigatori del massacro<br />

della notte di San Bartolomeo (1572), egli passò per Vienna, Venezia,<br />

Ferrara, Mantova e Torino, prima di giungere a Lione il 6 settembre<br />

del 1574. Celebrato come principale antagonista degli Asburgo,<br />

il suo viaggio e le sue entrate trionfali generarono in Italia una fioritura<br />

di scritti e pubblicazioni senza precedenti. Nel 1576 Blaise de Vignère stampò in Francia il resoconto<br />

dell’ingresso di Enrico III in Mantova, aumentando l’eco delle sue gesta in patria.<br />

Oltre alla descrizione delle cerimonie e degli addobbi, il presente resoconto contiene i discorsi tenuti per<br />

l’occasione dal rettore della locale università, dal presidente del tribunale, dall’échevin e dal vescovo (cfr.<br />

Knechr, R.J., a cura di, The Festivals for Herni III in Cracow, Venice, Orléans and Rouen, in: “Europa triumphans:<br />

Court and Civic Festivals in Early Modern Europe”, a curi di, J.R. Mulryne, H. Watanabe-O’Kelly e M.<br />

Shewring, London, 2004, p. 103 e sgg.).<br />

Enrico III di Valois (1551-1589), quarto figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici, duca d’Angoulême e duca<br />

d’Orléans dal 1560, fu per molti anni comandante in capo dell’esercito del re. Divenne re di Francia alla<br />

morte del fratello Carlo IX nel 1574. Fu l’ultimo sovrano della dinastia Valois. Prima di salire al trono di<br />

Francia, grazie all’abilità diplomatica del vescovo di Valence, Jean de Montluc, che era stato inviato da<br />

Caterina de’ Medici come ambasciatore straordinario per sostenere davanti alla Dieta la candidatura del<br />

figlio, l’11 maggio 1573 Enrico fu eletto re di Polonia con il nome di Henryk Walezy. Conservò il titolo fino<br />

al 18 giugno dell’anno seguente. Il 30 maggio del 1574, appresa la notizia della morte del fratello Carlo IX,<br />

lasciò di nascosto la Polonia per far ritorno in Francia, passando per l’Austria e il Nord Italia. Il 6 settembre<br />

dello stesso anno giunse a Lione, dove l’attendeva la madre Caterina. La cerimonia d’incoronazione ebbe<br />

luogo il 13 febbraio del 1575 e fu seguita dalla celebrazione del matrimonio con Luisa di Lorena. Resosi<br />

assai impopolare durante il suo regno, visto ormai come un tiranno, fu assassinato da un frate domenicano<br />

nel 1589 (cfr. P. Champion, Henri III, roi de Pologne, Paris, 1943-1951, passim).<br />

Bibliothèque Nationale de France, notice n° FRBNF36285172. € 2.400,00<br />

204) TROVEON, Jean (fl. 1 a<br />

metà del XVI secolo). Patrons de divers manieres inventez<br />

tressubtilement duysans a Brodeurs et Lingieres et a ceulx lequelsz vrayment veullent par bon<br />

entendement user Dantique et Roboesque frize et moderne propement en comprenant aussi Moresque.<br />

A tous masons, menuisiers, et verriers feront profit ces pourtaictz largement aux orpheuvres et<br />

gentilz tapissiers, A ieunes gens aussi aussi semblablement, Oublier point ne vault aucunement<br />

Contrepointiers et les tailleurs dymages et tissotiers lequelz pareillement par ces patrons acqueront<br />

heritage. Le sire Jehan Troveon dict de bourgongne a este inventeur de ces prensent patrons.<br />

Pareillement sont adioustez plusieurs beaulx ouvraiges par messire Antoine Belyn de Sainct Marcial<br />

de Lyon.<br />

(segue:) BELIN, Antoine-MAYOL, Jean (fl. 1 a<br />

metà del XVI secolo). Sensuyuent les patrons de<br />

- 144 -


messire Antoine Belyn recluz de sainct Marcial de Lyon. Item plusieurs autres beaulx patrons<br />

nouveaulx qui ont este inventez par frere Jehan Mayol carme de Lyon. Lyon, Claude Nourry, [ca.<br />

1532-’33].<br />

Tre parti in un volume in 4to oblungo (cm 18,5x13,5) di complessive<br />

cc. (38). La prima parte (Troveon), segnata A(A)-DD 4 , si<br />

apre con un bel frontespizio posto entro una bordura floreale in<br />

legno. I dati tipografici (On les vend a Lyon en la maison de Claude<br />

nourry dict Le prince: pres notre dame de Confort) sono in calce, al<br />

di fuori della cornice. Il verso del titolo contiene il primo modello<br />

di merletto della serie. La seconda parte (Belin-Mayol), segnata<br />

EE-(FF)-GG 4 , presenta sempre un frontespizio posto entro<br />

bordura, questa volta architettonica, con al centro la marca<br />

tipografica del Nourry (un leone rugggente sovrastato da uno<br />

scudo su cui sono effigiati una corona e un cuore, con il motto<br />

“cor contritum et humiliatum Deus non despicies”). A questo<br />

punto nel nostro esemplare vi sono altre 10 carte non numerate,<br />

segnate B-F 2 , che non sono menzionate da A. Lotz (Bibliographie<br />

der Modelbücher, Stuttgart-London, 1963), il quale, nella scheda<br />

nr. 77a, descrive quello che sembra essere l’unico altro esemplare<br />

conosciuto di questa edizione conservato presso la<br />

Bibliothèque Mazarine di Parigi. Il volume contiene quindi in<br />

totale 36 campioni di ricamo incisi in legno a tutta pagina. I due<br />

titoli sono in lettera bastarda.<br />

Legatura coeva in piena pergamena molle con nervi passanti;<br />

piatti entro filettatura a secco e con al centro, sempre a secco, un<br />

fregio ornamentale (mancano i legacci). Lievi arrossature, minime<br />

fioriture, ma nel complesso ottima copia estremamente genuina<br />

e nella sua prima legatura. La carta è a tratti un po’ stanca,<br />

soprattutto nei margini, ma questo non deve stupire, considerato l’utilizzo pratico che si faceva di<br />

questi libri. Di grande rilevanza il fatto che sia in legatura strettamente coeva. L’esemplare reca inoltre un<br />

disegno dell’epoca posto sul margine inferiore di una carta, che indica probabilmente i punti del ricamo, e<br />

vari numeri manoscritti nell’angolo esterno, che non indicano la numerazione del volume, ma fanno forse<br />

riferimento ai campioni.<br />

PRIMA EDIZIONE, di straordinaria rarità, del libro di ricami di Jean Troveon, Antoine Belin e Jean Mayol,<br />

che fu più volte ristampato dal successore di Nourry, Pierre de<br />

Sainct-Lucie. Questa è anche l’unica edizione in cui il nome di<br />

Troveon compare nel titolo, le successive ristampe essendo tutte<br />

anonime. La sezione di Belin-Mayol fu ristampata anche da sola<br />

ed ebbe una diffusione autonoma.<br />

Per quanto riguarda la datazione, l’edizione può essere collocata<br />

fra il 1532, anno in cui apparve il Convivio delle belle donne di<br />

Zoppino, da cui è tratto uno dei campioni, e il 1533, anno della<br />

morte di Claude Nourry. La sua tipografia fu in seguito presa in<br />

mano dalla vedova, Clauda Carcan, la quale dopo aver dato alle<br />

stampe alcune edizioni a suo nome, sposò il direttore dell’atelier,<br />

Pierre de Saint Lucie. Questi prese in mano l’impresa nel 1534,<br />

riutilizzando gran parte del materiale del vecchio proprietario,<br />

ma firmò sempre a proprio nome le sue stampe e si scelse una<br />

nuova marca tipografica.<br />

Il primo libro di ricami per il mercato francese fu quello stampato<br />

a Colonia nel 1527 da Peter Quentel con il titolo Livre nouveau et<br />

subtil touchant l’art et science tant de brovderie, fronssure, tapisserie<br />

comme aultres mestiers quon fait alcsquille, versione francese di Ein<br />

neues kunstliches boich. Nel 1530 (Paris, Jacques Nyvert) apparve il<br />

primo libro del genere stampato in Francia, ossia La Fleur de la<br />

Science de Pourtraicture et Patrons de Broderie del pittore fiorentino<br />

Francesco Pellegrino. Ad esso fecero seguito Ce livre est plaisante<br />

et utile, A gens qui besognent de leguille di Dominique de Celle, il<br />

- 145 -


primo ad essere stampato a Lione (1531), e la serie di opere<br />

pubblicate da Claude Nourry tra il 1532 e il 1533: La fleur des<br />

patrons de lingerie (contenente 11 campioni), le Livre nouveau dict<br />

patrons de lingerie (23 campioni) ed infine la presente opera (26<br />

campioni), l’unica in cui figurano i nomi degli autori.<br />

Il primo esempio assoluto di libro di ricami lo diede tuttavia nel<br />

1523 Johann Schönsperger ad Augusta (Furm oder modelbüchlein).<br />

Ad esso attinse Antonio Tagliente (Essempio di recammi, Venezia,<br />

1527), il quale vi aggiunse nuovi motivi orientaleggianti, che<br />

furono a loro volta copiati dallo stesso Schönsperger nei suoi<br />

libri successivi e da Peter Quentel (cfr. M. Abegg, Apropos Patterns<br />

for Embroidery, Lace and Wowen Textiles, Bern, 1978, pp. 15-45).<br />

Questo scambio internazionale di campioni si riflette anche<br />

nell’opera di Nourry, che, come dimostrato da Lotz, ha<br />

ampiamente attinto da Schönspeger, Quentel e Zoppino.<br />

Claude Nourry (ca. 1470-1533), detto Le Prince (titolo di cui volle<br />

onorarsi anche il suo successore) fu attivo come tipografo a Lione<br />

dal 1493 circa. Tra il 1526 e il 1531 fu associato al genero, Pierre<br />

de Vingle, prima che questi abbracciasse il protestantesimo e si<br />

trasferisse a Ginevra e Neuchâtel. Editore popolare in lettera<br />

bastarda, egli pubblicò prevalentemente romanzi e testi<br />

devozionali, cavallereschi e araldici, tra cui spiccano la celebre<br />

Celestina e soprattutto il Pantagruel di Rabelais. Tutte le sue<br />

edizioni sono di straordinaria rarità (cfr. J. Baudrier, Bibliographie<br />

Lyonnaise, Lyon-Paris, 1921, XII, pp. 85 e sgg.).<br />

«Nourry semble s’être aussi ‘specialisé’ dans l’edition des patrons le lingerie et broderie, qui ont souvent<br />

pour auteurs des Lyonnais, tel Frère Jean Mayol, Carme de Lyon. Aucun exemplaire de ces productions ne<br />

semble être conservé en France actuellement; mais les réproductions qui en sont données dans divers<br />

bibliographies permettent de les considérer comme des ouvrages fort soignées. Les pages de titre les destinent<br />

les ouvrages non seulement aux spécialistes du vêtement, mais aussi à tous ceux qui peuvent utiliser des<br />

motifs ornementaux, menuisiers et architetcs compris» (C. Lauvergnat-Gagnière, Claude Nourry, imprimeur<br />

populaire?, in: “Persée. Bulletin de l’Association d’étude sur l’humanisme, la réforme et la renaissance”,<br />

11/1, 1980, pp. 84-91, cit. pp. 86-87).<br />

Dal confronto tra il presente esemplare e quello descritto da Lotz, che come si diceva è apparentemente<br />

l’unica altra copia sopravvissuta di questa edizione, emergono due differenze eclatanti. In primo luogo<br />

l’esemplare della Bibliothèque Nationale non contiene le note tipografiche del Nourry in calce al primo<br />

titolo. In secondo luogo non presenta le dieci tavole aggiuntive legate alla fine del nostro volume.<br />

Ora un raffronto con le altre due opere di ricami stampate da Nourry testimonia che alcuni campioni erano<br />

già stati da lui utilizzati in precedenza, anche se la segnatura b-f 2 non trova riscontro nelle altre sue<br />

edizioni, ma non contribuisce a fare chiarezza, perché neppure le 26 tavole originali del Patrons e del suo<br />

seguito coincidono perfettamente con quelle contenute nell’esemplare della Bibliothèque Nationale (cfr.<br />

Patterns Embroidery: Early 16th Century by Claude Nourry and Pierre de Saincte Lucie, Berkeley, 1999; Bibliothèque<br />

Nationale, Modèles de Broderie. Livre de dentelles XVI siècle, fotocopie).<br />

A. Lotz, Bibliographie der Modelbücher, (Stuttgart & London, 1963, p. 142, 77a. J.J. Marquet de Vasselot-R.-A.<br />

Weigert, Bibliographie de la tapisserie des tapis et de la broderie en France, Paris, 1935, pp. 271-272. F. Courboin,<br />

Histoire illustrée de la gravure en France, Paris, 1922, I, p. 71 e tav. I, nn. 144-147. € 25.000,00<br />

205) UGONI da Brescia (fl. XVI secolo). Ragionamento del Magnifico Signore Ugoni Gentilhuomo<br />

Bresciano, nel quale si ragiona di tutti gli stati dell’humana vita. Venezia, Pietro da Fine, 1562.<br />

Pp. (8), 116, (4). Marca tipografica al titolo. Le pagine 9/10 sono in facsimile su carta antica.<br />

(legato con:)<br />

IDEM. Dialogo della vigilia, et del sonno… Venezia, Pietro da Fine, 1562. Pp. (10), 80, (4).<br />

Manca la bianca finale. Marca tipografica al titolo. (legato con:)<br />

IDEM. Trattato..., della impositione de’ nomi. Venezia, Pietro da Fine, 1562. Pp. (6), 22, (4, di<br />

cui le ultime tre bianche). Marca tipografica al titolo. (legato con:)<br />

IDEM. Discorso..., della dignità et eccellenza della gran città di Venetia. Con una bellissima<br />

essortazione del medesimo autore, all’honorato consiglio della città sua di Brescia. Venezia, Pietro<br />

- 146 -


da Fine, 1562. Pp. (6), 24, (2 bianche). Marca tipografica al titolo.<br />

Quattro opere in un volume in 8vo (cm 14,5); pergamena semirigida coeva (un po’ sporca, mancano i<br />

risguardi liberi). Mancanza all’angolo inferiore esterno della prima opera senza perdita di testo, lievi<br />

bruniture e macchioline sparse, per il resto ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE degli scritti di questo umanista poco noto, probabilmente da identificare<br />

con Flavio Alessio Ugoni, autore di un Dialogus de solitudine (1545), o, più verosimilmente, con Girolamo<br />

Ugoni, legato agli ambienti riformati bresciani e amico di Francesco Spinola, curatore della presente raccolta.<br />

Quest’ultimo, che nelle dediche delle diverse opere non menziona mai il nome di battesimo dell’Ugoni,<br />

nel 1561 si trasferì a Venezia in qualità di istitutore presso la famiglia Mocenigo e nel 1567 fu condannato<br />

all’annegamento come eretico relapso (cfr. P. Paschini, Un umanista disgraziato del Cinquecento: Publio Francesco<br />

Spinola, in: “Nuovo Archivio Veneto”, 1919, 37, pp. 65-186).<br />

L’Essortazione al consiglio della città di Brescia, con cui si conclude il Discorso della dignità di Venezia, è<br />

l’unico testo datato della raccolta («da Venezia, 20 Giugno 1558»).<br />

Questa piccola serie di edizioni fu stampata dal tipografo Francesco de’ Franceschi da Siena per conto del<br />

libraio ed editore Pietro da Fino, anch’egli variamente partecipe al rinnovamento religioso veneziano (cfr.<br />

D.E. Rhodes, Silent Printers, London, 1995, U2).<br />

BMSTC, p. 703. Edit16, CNCE 25284; CNCE 25279; CNCE 25285; CNCE 25281. E.A. Cicogna, Saggio di<br />

bibliografia veneziana, Venezia, 1847, nr. 1757. € 900,00<br />

206) UGO DA SIENA (Ugo Benzi, 1376-1439). Expositio Hugonis Senensis super libros Tegni<br />

Galeni. In fine: Venezia, eredi di Ottaviano Scoto, 19 gennaio 1518.<br />

In folio (cm 31,5); pergamena antica semiflessibile rimontata, sguardie rinnovate in carta antica; cc. 93 di<br />

94, mancando l’ultima bianca. Bella edizione stampata su due colonne ed ornata di molti capilettera e della<br />

marca dello Scoto in fine. Piccola mancanza all’angolo inferiore esterno del titolo, lievissimi aloni sul<br />

margine bianco delle ultime carte, sottile segno di tarlo, abilmente restaurato, nel margine inferiore bianco<br />

di circa 20 carte con danno di qualche singola o mezza lettera, per il resto ottima copia probabilmente a<br />

pieni margini.<br />

TERZA EDIZIONE. L’Expositio fu stampata a Pavia nel 1496 e poi nuovamnete da Scoto nel 1498. La<br />

presente è una fedele ristampa dell’edizione del 1498.<br />

“Tegni” è una deformazione medievale della parola greca “techne” e specificamente di Techne iatriké<br />

equivalente al latino Ars medica. Essa è detta anche “Microtegni” per distinguerla dalla “Megatechne”<br />

(grande arte), come era chiamato il Metodo della Medicina dello stesso Galeno. L’Ars medica (Tegni) è un<br />

riassunto del sistema che il grande medico elaborò ed espose in numerosi libri.<br />

Molti medici “magistri” medievali elaborarono le loro dottrine commentando l’Arte Medica, ma fra questi<br />

il senese Ugo Benzi fu certo uno dei più autorevoli, essendo un profondo conoscitore di Aristotele e della<br />

filosofia araba. Chiamato all’università di Bologna (probabilmente nell’anno accademico 1402-1403), vi<br />

riorganizzò l’insegnamento della filosofia e promosse lo studio delle opere di Averroè e di <strong>Alberto</strong> Magno<br />

con tale successo, da essere chiamato non solo “ philosophus” ma “philosophorum princeps”.<br />

Il Benzi, pur muovendosi inevitabilmente nell’ambito della Scolastica, fu medico pratico e lasciò due opere<br />

particolarmente importanti: i Consilia saluberrima ad omnes aegritudines, che è una lunga serie di casi clinici,<br />

e il Trattato utilissimo circa la conservazione della sanità, che fu una delle primissime opere di igiene ad essere<br />

stampata in italiano, ottenendo numerose ristampe.<br />

BMSTCItalian, p. 286. Edit16, CNCE5373. € 1.350,00<br />

207) VALAGUSSA, Giorgio (1428-1464). Flosculi epistolarum Ciceronis a Georgio Valagusa<br />

lingua vernacula expositi. Venezia, Comin da Trino, 1549.<br />

In 8vo (cm 15,8); legatura recente in mezza pergamena con angoli; cc. 36. Sfera armillare sul titolo. Lievissimo<br />

alone all’angolo superiore esterno di due terzi del volume, per il resto ottima copia genuina.<br />

PRIMA EDIZIONE CINQUECENTESCA, seconda tiratura (la prima reca la data 1548), di questa operetta<br />

composta da una lunga serie di esempi, con traduzione volgare accanto, tratti dalle epistole di Cicerone.<br />

L’intenzione dell’autore, precettore di Galeazzo Sforza, era quella di fornire ai giovani studenti e agli<br />

addetti della Cancelleria sforzesca un repertorio di frasi che, pur essendo di nobile discendenza latina,<br />

risultassero utili nella pratica quotidiana. Infatti la traduzione semplifica la ricca frase ciceroniana<br />

rendondola in un italiano agile e pronto, vero specchio della miglior lingua parlata del XV secolo (cfr. G.<br />

Resta, Giorgio Valagussa umanista del Quattrocento, Padova, 1964, pp. 39-42).<br />

L’opera ebbe grande successo ed una vasta diffusione sia manoscritta che a stampa, come attestano le sei<br />

- 147 -


edizione incunabole uscite a partire dalla princeps milanese del 1478. La presente edizione fu riproposta<br />

nel 1550 dagli editori Bindoni e Pasini.<br />

Giorgio Valagussa, originario forse di Brescia, città presso la quale compì i primi studi, si recò a Ferrara alla<br />

scuola di Guarino Veronese, da cui apprese anche il greco. Dopo aver svolto l’attività di precettore nel<br />

capoluogo del ducato estense seguendo i dettami pedagogici del proprio maestro, nel 1455 si trasferì a<br />

Milano, dove fu nominato lettore pubblico e successivamente precettore dei figli di Francesco Sforza.<br />

Edit16, CNCE24680. € 650,00<br />

DIALETTO NAPOLETANO<br />

208) VALENTINO, Biagio (1688-1750 ca.). La fuorfece o vero l’uomo pratteco co li diece quatre<br />

de la Gallaria d’Apollo... addedecata a... D. Giuseppe Maria de Lecce Patrizio de la Cetà de Lucera.<br />

Napoli, Nella Stamperia di F.C. Mosca, 1748.<br />

In 12mo (cm 14,5); pergamena coeva con tassello e titolo in oro al dorso, taglio marmorizzato (piccola<br />

mancanza al bordo inferiore del piatto anteriore); pp. (24), 480. Alcuni fascicoli un po’ bruniti, aloni nella<br />

prima e ultima parte del volume, ma nel complesso ottima copia.<br />

RARA EDIZIONE ORIGINALE. L’opera è composta di due tagli (con ovvia allusione alla forbice), divisi<br />

a loro volta in canti, in versi sdruccioli per il primo taglio, in ottava rima per il secondo. Seguono un’aggiunta<br />

in versi sdruccioli detta Lo Pierno de la Fuorfece ed infine la vita dell’autore (Nasceta, vita e desgrazie, de<br />

Biaso Valentino).<br />

Il libro ebbe per revisore Giacomo Martorelli, il quale riferisce: «L’Autore di queste lepidissime Poesie... si<br />

né versi sciolti, come ligati, ha dato non piccol saggio delle grazie della Patria lingua comunale, e sotto<br />

simboli di tagli, e forbice, vuol correggere ed emendare il vigoroso secolo, ed insinuare con maniere tutte<br />

popolari l’onestà del costume, e si è studiato confarcinare ed unire istoriette antiche e nuove, e favolette<br />

graziose per rendere le sue fatiche più amene».<br />

P. Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Napoli, 1874, pp. 405-<br />

407. ICCU, IT\ICCU\SBLE\019884. € 230,00<br />

209) VALLISNIERI, Antonio (1661-1730). Considerazioni, ed esperienze intorno al creduto cervello<br />

di bue impietrito, vivente ancora l’animale... (legato con:) Considerazioni, ed esperienze intorno<br />

alla generazione de’ vermi ordinarj del corpo umano... Padova, Nella Stamperia del Seminario,<br />

Appresso Giovanni Manfrè, 1710.<br />

Due opere in un volume in 4to (cm 22,5); pergamena rigida coeva con titolo manoscritto al dorso, taglio<br />

azzurro; pp. (16), 51, (1 bianca) con 10 tavole ripiegate fuori testo + pp. (12), 160 con 4 tavole ripiegate fuori<br />

testo. Freschissima copia marginosa.<br />

PRIMA EDIZIONE di queste due opere, che apparvero insieme sin dall’origine, dedicate rispettivamente<br />

ai Riformatori dello Studio di Padova, M. Ferigo, G. Venier e M. Zorzi, ed allo stesso M. Ferigo, procuratore<br />

di S. Marco.<br />

La prima «dimostra che il cervello di bue, creduto impietrito, non era altro che un osteoma, cioè una rara<br />

neoplasia (tumore), costituita essenzialmente da tessuto osseo» (M. Sabia, Le opere di Antonio Vallisnieri,<br />

Rimini, 1996, pp. 54-56). Fu invece soprattutto grazie al secondo trattato che l’autore «portò contributi<br />

fondamentali nel campo dell’elmintologia e dell’entomologia, dimostrò definitivamente l’inconsistenza<br />

delle teorie sulla generazione spontanea, e contribuì all’affermarsi delle idee sull’etiologia microbica delle<br />

malattie infettive. Molte ricerche egli compì sui vermi piatti: descrisse con cura la tenia del cane... e compì<br />

osservazioni valide, anche se non sempre esatte, sulle tenie dell’uomo» (G. Penso, La conquista del mondo<br />

invisibile, Milano, 1973, p. 194).<br />

A. Vallisnieri, allievo a Bologna del grande M. Malpighi e continuatore dell’opera di F. Redi, fu professore<br />

di medicina teorica nello studio di Padova.<br />

Sabia, op. cit., nn. 77-78. <strong>Libreria</strong> Vinciana, 1769. € 850,00<br />

210) VANNEO, Stefano (ca. 1493-1540). Recanetum de musica aurea a magistro Stephano<br />

Vanneo Recinensi eremita augustiano in Asculana Ecclesia chori moderatore nuper aeditum, et solerti<br />

studio enucleatum, Vincentio Rosseto veronensi interprete. Roma, Valerio Dorico, (15 marzo) 1533.<br />

In folio (cm 27,5); bella legatura in marocchino rosso, triplice filettatura dorata ai piatti, dorso a cinque<br />

nervetti con titolo e fregi in oro, dentelle interna dorata, risguardi marmorizzati, tagli dorati (Ateliers<br />

Laurenchet); cc. (4), 93, 1 bianca. Marca tipografica sul frontespizio, grande legno a tutta pagina raffiguran-<br />

- 148 -


te Vanneo circondato dai suoi allievi, da Apollo e dalle Muse nell’atto di suonare vari strumenti, inoltre 15<br />

xilografie nel testo, di cui 6 a piena pagina, e numerosi diagrammi musicali stampati da blocchi incisi dallo<br />

stesso Dorico (cosa insolita per questo editore musicale). Abilissimi restauri nei margini interno, inferiore<br />

ed esterno del titolo senza danno al testo, altri restauri sul margine dei primi due fogli e sull’ultima carta<br />

bianca sempre senza mancanze, per il resto ottima copia.<br />

RARA PRIMA ED UNICA EDIZIONE curata da Vincenzo Rossetti, che tradusse in latino e compendiò in<br />

forma di trattato il manoscritto originale dell’opera.<br />

Si tratta dell’unico testo pervenutoci del Vanneo, da lui portato a termine nell’agosto del 1531 . Esso è<br />

diviso in tre parti, riguardanti rispettivamente la musica plana, la musica figurata e il contrappunto, e fu<br />

scritto con ogni probabilità per i propri allievi con scopo eminentemente pratico. Il Recanetum è infatti anche<br />

e soprattutto un trattato di musica pratica.<br />

Tra gli aspetti più innoviativi promossi dal Vanneo vi sono l’estensione di un’ottava della scala in entrambe<br />

le direzioni, la sua preferenza per il La bemolle rispetto al Sol diesis come quinta nota cromatica dell’ottava<br />

ed una tavola di accordi, simile a quella di Aaron, adatta per il contrappunto.<br />

Egli propone poi idee nuove anche nel campo del tactus o misura, ossia nell’impostazione del “battere” e<br />

del “levare” della mano nei movimenti della battuta, dove si pronuncia contro la battuta rumorosa che il<br />

chori moderator aveva l’abitudine di eseguire con una verga sul leggio e con il piede sul pavimento. In questo<br />

invito a non interferire con le percussioni, sembra già adombrarsi il gesto silenzioso del moderno direttore<br />

d’orchestra.<br />

Per la sua capacità di fissare con chiarezza i fondamenti dell’arte del comporre e del canto, il Recanetum<br />

ebbe una grande influenza fino alla fine del Seicento. Ad esso espressamente si richiamano Pier Luigi da<br />

Palestrina, Agostino Pisa e ancora Giovanni Marina Bononcini nel 1673 (cfr. G. Luppino, Il Recanetum de<br />

musica aurea di Stefano Vanni, OSA, in: "Analecta Augustiniana", 49, 1986, pp. 67-87).<br />

L’autore, originario di Recanati, da cui il nome dell’opera (che tuttavia può essere interpretato anche come<br />

participio sostantivato del verbo latino recanere, ricantare), entrò nell’Ordine agostiniano presso il monastero<br />

di Ascoli e dal 1523 circa fu organista e rector cantus della locale cattedrale. Molto diffuse e suonate in<br />

tutte le chiese italiane furono per lungo tempo le sue composizioni, nessuna delle quale ci è oggi pervenuta.<br />

Il Recanetum «is certainly a most valuable work. Clearly expressed, and free from much of what I may call<br />

the Boethian pedantry of the epoch, it explains the principles and practice of plain-song, solmization,<br />

mensurable music and notation, and counterpoint. But what seems to me the most important point, it gives<br />

rules for the sharpening of the leading note, especially in what we should now call the minor mode – a<br />

practice traditionally observed by all the best Italian choirs, and notably in that of the Sistine Chapel, but<br />

denounced by many purists as a modern corruption. That it is no modern corruption is amply proved by<br />

this rare and amply valuable treatise, for in his forty-sixth and thirty-seventh chapters Vanneus gives rules<br />

- 149 -


and examples for this very practice, “for the benefit of youths and beginners”, by the use of the sharp -<br />

plainly implying that this sharp was generally omitted in writing, but supplied by tradition, and only<br />

written down when required for the instruction of beginners» (F. A. Gore Ouseley, On the Early Italian and<br />

Spanish Treatises on Counterpoint and Harmony, in: “Journal of the Royal Musical Association”, vol. 5, nr. 1,<br />

novembre 1878, p. 84).<br />

Edit16, CNCE45725. Adams, V-241. Sander, 7484. Eitner, X, 34. Fétis, VIII, 307. S.G. Cusick, Valerio Dorico.<br />

Music printer in sixteenth-century Rome, Ann Arbor, 1891, nr. 14. € 8.500,00<br />

211) VENTURI, Giovanni Battista (1746-1822). Storia di Scandiano. Modena, Geminiano<br />

Vincenzi e C., 1822.<br />

In folio (cm 29,2); cartoncino colorato originale con etichetta al dorso; pp. 252, (2) con 17 tavole in rame fuori<br />

testo ed una grande carta geografica più volte ripiegata. Sul risguardo fisso anteriore vi è un’etichetta<br />

dell’editore con i prezzi del volume, della carta geografica e della legatura, nonché degli esemplari in carta<br />

real soprafina. Bellissima copia intonsa.<br />

PRIMA EDIZIONE, apparsa postuma quattro mesi dopo la<br />

morte dell’autore, di questa fondamentale storia di Scandiano<br />

e dei suoi conti, che si sofferma soprattutto sui personaggi<br />

più illustri, letterati e scienziati, nati nella cittadina, con particolare<br />

rilievo dato alle biografie di Matteo Maria Boiardo,<br />

Lazzaro Spallanzani e Bonaventura Corti. L’autore prende<br />

inoltre in esame la geologia e la mineralogia del territorio,<br />

nonché la sua produzione agricola.<br />

Venturi, che aveva collaborato alla Corografia di Lodovico<br />

Ricci e alle Memorie storiche modenesi di Girolamo Tiraboschi,<br />

aveva avuto modo negli anni di raccogliere un vasto corpus<br />

documentario, fatto soprattutto di fonti dirette legate alla tradizione<br />

locale, scritta ed orale.<br />

Le tavole rappresentano le armi dei feudatari di Scandino,<br />

gli alberi genealogici dei Fogliani e dei Boiardi, i ritratti di<br />

Matteo Maria Boiardo, dei tre figli del conte Giovanni<br />

Boiardo, della famiglia Boiardo, di Taddeo Manfredi,<br />

Sebastiano Pighini, Cesare Magati, Domenico Toschi, Antonio<br />

Vallisnieri, Giuseppe Garofoli, Laura Bassi, Lazzaro<br />

Spallanzani, Bonaventura Corti, inoltre un quadro del<br />

Correggio e le Onici margacee dentriche dello Scandianese (in<br />

seppia).<br />

Venturi fu un raffinato bibliofilo, dotato di grande gusto e<br />

sensibilità per il libro e l’incisione. Non a caso, «la Storia di<br />

Scandiano per la qualità della carta, i caratteri tipografici, i<br />

fregi, i finalini e le numerose tavole incise che la corredano è ritenuta una delle più belle e lussuose opere a<br />

stampa reggiane del secolo XIX» (R. Gandini, «Storia di Scandiano» di Venturi, in: “Giambattista Venturi:<br />

scienziato, ingegnere, intellettuale fra Età dei lumi e Classicismo”, a cura di W. Bernardi, P. Manzini e R.<br />

Marcuccio, Firenze, 2005, p. 273).<br />

La grande carta geografica del territorio di Scandiano e dei paesi adiacenti fu eseguita da Celeste Mirandoli.<br />

«La collaborazione fra Venturi uomo di scienza e ingegnere e l’équipe di topografi militari comandati da<br />

Giuseppe Carandini si sviluppò a tutto campo, andando oltre i limiti della missione principale dell’Ufficio<br />

Topografico, per dar corpo ad una sorta di fervore cartografico che contraddistinse l’attività degli organi<br />

tecnico-militari e di alcune istituzioni e personaggi dell’ambiente scientifico modenese nei primi tre decenni<br />

dell’Ottocento… La collaborazione fra Venturi e gli uomini del servizio cartografico militare austroestense<br />

divenne più stretta quando si trattò di realizzare le mappe della Terra di Scandiano e del Territorio di<br />

Scandiano e paesi adiacenti, sussidi cartografici accorpati nello stesso foglio e uniti alla Storia di Scandiano per<br />

mostrare al lettore la posizione geografica, l’idrografia, l’orografia, le strade principali e secondarie, i<br />

confini territoriali ed amministrativi della maggior parte dei centri citati (cfr. A. Lodovisi, L’opera cartografica<br />

di Venturi, in: “Op. cit.”, pp. 148-150).<br />

Giovanni Battista Venturi, originario di Bibbiano, vicino Scandiano, fu discepolo di Lazzaro Spallanzani<br />

e Bonaventura Corti. Nel 1769 fu ordinato sacerdote e fu chiamato ad insegnare grammatica e geometria<br />

nel seminario di Reggio Emilia. Fra il 1774 e il 1796 insegnò filosofia, matematica e fisica presso l’Univer-<br />

- 150 -


sità di Modena. Nel 1797 a Parigi diede alle stampe la sua opera più importante, le Recherches experimentales<br />

sur le principe de la communication laterale du mouvement dans les fluides, appliqué à l’explication des différens<br />

phénomènes hydrauliques. Sempre a Parigi, nello stesso anno, Venturi ebbe modo di studiare i codici di<br />

Leonardo da Vinci, pubblicandone alcuni estratti nel saggio Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de<br />

Léonard de Vinci (Paris, 1797), dove per primo mise in evidenza la componente scientifica e tecnologica<br />

dell’opera leonardesca. Rientrato in Italia insegnò fisica presso l’Università di Pavia. Dal 1801 al 1813 fu<br />

mandato a Berna in qualità di ambasciatore della Repubblica Cisalpina. Storico della scienza e bibliofilocollezionista,<br />

matematico e fisico sperimenatale, economista e cartografo ducale, politico di idee moderate<br />

e spirito mondano, Venturi fu veramente un personaggio versatile e poliedrico.<br />

<strong>Catalogo</strong> unico, IT\ICCU\MODE\022031. OCLC, 12910382. € 2.250,00<br />

212) VEREPAEUS, Simon (Vereept Simon, ca. 1522-1598). Institutionvm scholasticarvm libri<br />

tres. Omnibus litterarum et christianæ pietatis studiosis utilitatis non parum allaturi… Antwerp,<br />

Gerard Smits per Jean Bellère, 1573.<br />

In 8vo (cm 17); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso (mancano i legacci); pp. (24),<br />

349, (3, di cui l’ultima bianca). Piccolo foro da bruciatura alle pp. 163/164 che comporta una minima<br />

perdita di testo. Esemplare a tratti uniformemente brunito ed alonato in modo lieve, ma genuino e marginoso.<br />

RARA PRIMA EDIZIONE. Dopo la dedica a Massimiliano<br />

Morillonio, arcidiacono e vicario generale dell’arcivescovo della<br />

città di Mecheln, l’autore, in un interessante avviso al lettore, racconta<br />

del lungo travaglio dell’opera, cominciata a Colonia e poi<br />

lentamente portata a termine e rielaborata, anche a causa dei disordini<br />

che in quegl’anni devastavano il Belgio e i Paesi Bassi; ricorda<br />

inoltre l’aiuto avuto dagli amici e dai colleghi nella correzione del<br />

testo e la loro sollecitazione a farlo stampare; infine esprime il proprio<br />

debito nei confronti degli insegnanti della Compagnia di Gesù,<br />

così attivi in quel periodo ad aprire nuove scuole e a prendersi cura<br />

dell’educazione dei giovani. Verepaeus nel 1573 si trovava a<br />

Mecheln in un luogo sicuro da lui simbolicamente definito<br />

«calamitosum Monasterium [o Gynaeceum] Thaborinum». Era<br />

ancora fresco infatti il ricordo del saccheggio compiuto l’anno precedente<br />

dall’esercito spagnolo guidato da Fernando Álvarez de<br />

Toledo, duca di Alba, il quale aveva messo a ferro e fuoco la città,<br />

compiendo una carneficina.<br />

L’opera è divisa in tre parti. La prima parte tratta del ruolo dell’insegnante<br />

e dei doveri degli studenti (la disciplina, il gioco, il metodo<br />

di studio, ecc.). La seconda contiene il programma di studi «in<br />

humanioribus litteris», distribuito in sette classi (dal terzo anno<br />

era previsto l’insegnamento del teatro e la messa in scena di piccoli<br />

spettacoli: De actione comica e De actione tragica). La terza e ultima<br />

parte riguarda l’insegnamento religioso ripartito sempre in sette<br />

anni. A p. 283 comincia la sezione intitolata Diversarum scholarum<br />

leges ac instituta, dedicata dall’autore ai colleghi docenti, riguardante gli ordinamenti scolastici in Italia,<br />

Germania, Belgio ed Olanda.<br />

M.A. Nauwelaerts, Bijdrage tot de bibliographie van Simon Verepaeus, in: “De Gulden Passer”, 25 (1947), pp.<br />

52-90. ICCU, IT\ICCU\BVEE\008579. Adams, V-404. € 1.200,00<br />

213) VICENTE FERRER, Santo (1350-1419) - ANTIST, Vicente Justiniano editor (1544-<br />

1599). …Opuscula, à frate Vincentio Iustiniano Antistio…, collecta, et scholiis explicata. Valencia,<br />

Pedro Patricio Mey, 1591. Pp. (32), 144. Con lo stemma dei Domenicani sul titolo, un elaborato<br />

anagramma di Gesù alla pagina (14) e vari capilettera e finalini ornati.<br />

(legato con:)<br />

ANTIST, Vicente Justiniano (1543-1599). La vida de Sant Pedro Gonçalez Telmo, abogado de<br />

los navegantes… Valencia, vedova di Pedro de Huete, 1587. Pp. 163 [recte 164], (12). Con un<br />

ritratto in legno di San Domenico (firmato S.D.) e lo stesso anagramma di Cristo dell’opera<br />

precedente, posti rispettivamente al recto e al verso del frontespizio.<br />

- 151 -


(legato con:)<br />

ANTIST, Vicente Justiniano (1543-1599). De inventione Sacri Corporis Divae Anglinae martyris.<br />

Simplex, veraque narratio… Valencia, Pedro Patricio Mey, 1588. Pp. (8).<br />

Tre opere in un volume in 8vo (cm 15) ben legato in pergamena rigida antica con titolo manoscritto al dorso.<br />

Alone chiaro nella parte superiore della pagina per circa metà volume, più intenso nelle carte iniziali, che<br />

va via via attenduandosi, per il resto buona copia genuina in legatura antica.<br />

I) PRIMA EDIZIONE, curata e commentata dall’agiografo V.J.<br />

Antist, degli scritti di Vincenzo Ferrer. Nella dedica ai consoli di<br />

Valenza, l’Antist ringrazia per la decisione del senato cittadino<br />

di farsi carico delle spese di stampa e ricorda i fatti salienti della<br />

vita del Santo e la sua straordinaria abilità di predicatore. Alla<br />

dedica segue un indice, in cui il curatore elenca i diciassette scritti<br />

del Ferrer da lui raccolti e specifica, in modo (per i tempi)<br />

sorprendentemente scrupoloso a livello filologico, quali opere<br />

fossero già apparse a stampa e quali invece erano state da lui (o<br />

da discepoli del Santo) rinvenute in copie manoscritte (a volte<br />

autografe), inoltre anche i luoghi dove erano state rinvenute. Discute<br />

infine della validità delle edizioni delle opere del Ferrer già<br />

pubblicate e della paternità di alcuni scritti a lui attribuiti.<br />

Il volume comprende i seguenti testi (in parte in prima edizione):<br />

Tractatus de vita spirituali, Tractatus consolatorius in fidei<br />

tentationibus, Epistola ad Benedictum Papam, aut (si mavis) Antipapam,<br />

Epistola ad Ioannem de Podio Nucis, ordinis Praedicatorum Generalem,<br />

Fragmentum Epistolae ad Bonifacium Carthusianorum generalem,<br />

Fragmentum Epistolae ad Gersonem, Epistolae duae ad infantem<br />

Martinum, Petri quarti Aragonum Regis filium, Epistola ad<br />

Ferdinandum primum Aragoniae regem, Sufragium in electione Regis<br />

Aragonum, Sententia, quam novem viri pro Infante Ferdinando tulere,<br />

Oratio contra epidimiam, Oratio ad foelicem obitum impetrandum,<br />

Oratio ad aegros sanandos, Oratio ad puerum, Oratio pro mulieribus,<br />

Oratio ad Angelum custodem, Liturgiae, aut missae.<br />

San V. Ferrer entrò nell’ordine dei Domenicani nel 1374. Studiò presso la scuola dell’ordine a Valenza e dal<br />

1380 nelle Università di Barcellona e Lerida. Nel 1384 divenne docente di teologia presso la Cattedrale di<br />

Valenza e a partire dal 1391 entrò a servizio del re in qualità di consigliere. Tra il 1399 e il 1419, anno della<br />

morte, egli fu tra i più importanti predicatori attivi in Spagna, Norditalia e Francia. Attraverso le sue<br />

prediche e le sue profezie egli esercitò un’enorme influenza su una grande massa di persone e riuscì a<br />

convertire migliaia di ebrei, musulmani, valdesi e catari. Calisto III lo canonizzò nel 1455 (cfr. A. Esponera<br />

Cerdán, a cura di, San Vicente Ferrer: vida y escritos, Madrid, Edibesa, 2005, passim).<br />

II) RARA EDIZIONE ORIGINALE della prima biografia di San Pedro González de San Telmo (1196-<br />

1251), canonico e decano della Cattedrale di Valenza, grande predicatore domenicano e protettore dei<br />

naviganti (cfr. Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, 2002, XX, col. 647, voce a cura di E. Sauser).<br />

III) RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE di questa breve relazione del rinvenimento del corpo di una<br />

santa martire avvenuto nel cenobio dei Predicatori a Valenza nell’anno 1588.<br />

V.J. Antist, di nobile famiglia valenzana, entrò nell’ordine dei Predicatori nel 1559. Dopo gli studi compiuti<br />

a Salamanca, divenne maestro in teologia e priore del convento del suo ordine a Valenza. Grande erudito,<br />

fu una figura molto influente nell’ambito della sua città natale e un instancabile autore di opere filosoficoteologiche<br />

e storiche (cfr. C. Fuentes, Escritores dominicos del reino de Valencia, Valencia, 1930, pp. 28-36). Tra<br />

i suoi scritti spicca soprattutto la biografia di San Vincenzo Ferrer (Valencia, 1575), che fu tradotta in<br />

italiano nel 1600 e che è ancora oggi consultata dagli storici per la sua grande attendibilità storica (cfr. L.<br />

Robles, Vicente J. Antist, O.P., y su opùsculo “De viris illustribus”, in: “Revista Española de Teologìa”, Madrid,<br />

voll .39-45, nn. 154-161 (1979-80), pp. 199-242; inoltre A. Esponera Cerdán, El Valenciano V.J. Antist o.p. y su<br />

inedita Historia de la Santa Inquisición, in: “Vivir en la Iglesia. Homenaje al Prof. Juan Aguellas”, Valencia,<br />

1999, pp. 493-519).<br />

I opera: J. Simón Díaz, Dominicos de los siglos XVI y XVII: escritos localizados, Salamanca, 1977, 103. ICCU,<br />

IT\ICCU\RMLE\012194. Palau, 13090. II opera: ICCU, IT\ICCU\RMLE\021566. III opera: Palau, 13089.<br />

€ 900,00<br />

- 152 -


COLLÈGE DE BOURGOGNE<br />

214) VISORIUS, Joannes (Jean Le Voyer, fl. 1 a metà del XVI secolo). Ingeniosa, nec minus<br />

elegans ad dialectices candidatos methodus. Paris, Simon de Colines, 1534.<br />

In 8vo (cm 16); pergamena rigida posteriore; cc. 31, (1). Marca tipografica al titolo. Minimi aloni e bruniture<br />

marginali, ma ottima copia.<br />

RARISSIMA EDIZIONE ORIGINALE di questo vero e proprio manuale scolastico di dialettica, diviso in<br />

quarantadue capitoli. Come ricordato nella dedica, Le Voyer fu docente al Collège de Bourgogne, insieme<br />

al poeta Claude Roillet (m. 1576), originario di Beaune, che vi insegnava letteratura.<br />

L’autore, nativo di Le Mans, è conosciuto per un importante commento al Ad C. Trebatium Topica di Cicerone<br />

(Paris, 1538).<br />

P. Renouard, Bibliographie des éditions de Simon de Colines, 1520-1546, Paris, 1894, pp. 237-238 (manca alla<br />

BNF). BMSTCFrench, p. 445. € 650,00<br />

«ZABARELLLA’S FIRST WORK SEEMS TO HAVE COME LIKE A SPRING THUNDER-GUST<br />

IN THE ARID DESERT OF SCHOLASTIC LOGIC» (W.F. EDWARDS)<br />

215) ZABARELLA, Jacopo (1533-1589). Opera logica. Ad serenissimum Stephanum Poloniae<br />

regem; Cum duplici indice, altero ipsorum operum, altero vero, et eo quidem locupletissimo, rerum<br />

omnium notatu dignarum, quae in toto volumine continentur. Venezia, Paolo Meietti, 1578.<br />

(legato con:)<br />

EIUSDEM. Tabulae logicae. In quibus summa cum facilitate ac brevitate ea omnia explicantur,<br />

quae ab alijs prolixè declarari solent. Nunc primum ab Antonino Compagna Siculo in lucem editae.<br />

Padova, Paolo Meietti, 1580.<br />

Due opere in un volume in folio (cm 29,3); pergamena floscia coeva con titolo manoscritto lungo il dorso;<br />

pp. (32), 415, (1) + pp. (8), 98, (2) con diversi errori di numerazione. Marche tipografiche del Meietti sui titoli<br />

ed in fine. Numerosi schemi grafici nel testo della seconda opera. Segni di tarlo nel margine inferiore di una<br />

cinquantina di carte ben lontano dal testo, alcune pagine un po’ fiorite, ma nel complesso bella copia fresca<br />

e marginosa nella sua prima legatura.<br />

(I) RARA PRIMA EDIZIONE, dedicata al re di Polonia, Stefano<br />

Báthory, che aveva invitato l’autore a recarsi ad insegnare<br />

presso di lui, di uno dei maggiori trattati di logica di<br />

tutti i tempi.<br />

All’interno della grande scuola peripatetica padovana, che<br />

riuscì a fornire una nuova soluzione al problema del metodo<br />

nell’ambito dell’aristotelismo più ortodosso, Zabarella fu colui<br />

che portò a completa maturazione l’indagine metodologica,<br />

conducendo la logica e il metodo degli aristotelici sulla via<br />

della scienza moderna ed arrivando al risultato più avanzato<br />

che potesse giungere un aristotelico prima della rivoluzione<br />

scientifica.<br />

«The principal and most persuasive spokesman in the late<br />

sixteenth century for the theory of logic and method worked<br />

out by the Italian Aristotelians, and the channel through<br />

whom it passed to Northern Europe was Jacopo Zabarella,<br />

whose famous Opera logica – containing, among others,<br />

treatises, on the nature of logic, on method, and on the regress<br />

– first appeared in Venice 1578, and reappeared in Lyon in<br />

1587, in Basel in 1594, in Cologne in 1597, 1602 and 1603,<br />

and in Frankfurt in 1608 and 1623. There were four other<br />

Italian editions… In Germany, in the seventeenth century, its<br />

influence was immense, not only directly, but indirectly<br />

through the writings of numerous German logicians, such as<br />

Fortunatus Crell, Philipp Scherb (1555-1605), Christoph<br />

Scheibler (1589-1653), and many others. Its influence in France, where the topical and rhetorical logic of<br />

Ramus reigned supreme, was much less, but in England, again, it was considerable, especially through the<br />

Logicae Artis Compendium of Robert Sanderson (d. 1663), first published in Oxford in 1615, and said to be the<br />

logic text studied by – among others – Sir Isaac Newton. It is, of course, partly by historical accident that<br />

Zabarella became the chief spokesman in Northern Europe for the Italian logicians and methodologists…<br />

- 153 -


ut it is also partly because of the clarity and force with which he presented the body of their ideas that he<br />

became the principal Italian authority and source on logic and method for Northern European writers on<br />

those subjects in the seventeenth century» (W.F. Edwards, Paduan Aristotelism and the Origins of Modern<br />

Theories of Method, in “Aristotelismo Veneto e scienza moderna”, a cura di L. Olivieri, 1983, I, pp. 208-209).<br />

«Die folgenden Ausführungen knüpfen namentlich an Zabarella an, weil in seinem Werk das Resultat der<br />

Methodenüberlegung der Schule von Padua vorliegt. Zabarella erntete die reife Frucht einer langen Tradition.<br />

Ausserhalb Italiens galt er als der massgebende Repräsentant der Schule von Padua und als einer die<br />

bedeutendsten Logiker aller Zeiten. Er vereinigt in sich die Denkweisen einerseits der auf den Text des<br />

Aristoteles eingeschworenen klassischen Peripatetiker und andererseits der auf kritische Prüfung des<br />

Wissens ausgerichteten Averroisten» (W. Risse, Zabarellas Methodenlehre, in: “Aristotelismo Veneto e scienza<br />

moderna”, a cura di L. Olivieri, 1983, I, p. 156).<br />

«È in un’adeguata idea di metodo che per Zabarella si risolvono sia le sempre nuove istanze di una<br />

gnoseologia rivolta al progresso della scoperta scientifica, sia un approccio alla realtà che rispetti le categorie<br />

fondamentali della tradizione filosofica in quanto esprimenti la vera natura delle cose. Per poter<br />

costruire una metodologia scientifica duttile e rispondente alle nuove esigenze dell’invenzione e della<br />

scoperta, che con l’Umanesimo si erano fatte sempre più pressanti, era necessario che la stessa logica, cioè<br />

l’insieme dei procedimenti formali che accompagnano ogni dimostrazione, divenisse veramente uno strumento<br />

duttile per i più diversi scopi. Per tale motivo Zabarella nega alla logica il titolo di scienza autonoma<br />

proprio perché essa si deve occupare delle notiones secundae, che sono nomi imposti ai nomi delle cose per<br />

nostra utilità. Si tratta, in altre parole, di “concetti di concetti”, che esistono unicamente in quanto sono<br />

prodotti dalla mente umana. Le notiones secundae, naturalmente, vengono elaborate sulla base di un’indagine<br />

che riguarda le primae notiones stesse, cioè la reale struttura della realtà. Anche il logico, in altre parole,<br />

ha come oggetto le res omnes dell’universo fisico e le primae notiones, che sono ricavate direttamente dalla<br />

realtà. Egli però non utilizza tali entità e tali concetti direttamente, ma indirettamente, cioè facendo uso di<br />

queste notiones secundae, le quali, in quanto opera nostra, sono il risultato di un processo di schematizzazione<br />

della realtà per un fine operativo. In tal modo si ottengono due risultati fondamentali: (I) la logica mantiene<br />

un contatto con il reale… e (II) all’uomo di scienza, che intende sempre più operare sulla realtà, non solo<br />

contemplarla, è consentito fare uso degli schemi operativi e manipolatori che egli ritiene più opportuni in<br />

ogni momento» (F. Bottin, Giacomo Zabarella: la logica come metodologia scientifica, in: “La presenza<br />

dell’aristotelismo padovano nella filosofia della prima modernità”, Atti del Colloquio internazionale in<br />

memoria di Charles B. Schmitt, Padova, 4-6 settembre 2000, a cura di G. Piaia, Roma-Padova, 2002, p. 39).<br />

La logica di Zabarella ebbe diretta influenza su Galileo Galilei, che anche in fin di vita definì se stesso un<br />

peripatetico e ne applicò il metodo, interpretando il concetto di notiones secundae alla luce degli strumenti<br />

del calcolo matematico.<br />

Il trattato comprende: De natura logicae, De quarta figura<br />

syllogismorum, De methodis, De conversione demonstrationis in<br />

definitionem, De propositionibus necessariis, De speciebus<br />

demonstrationis, De regressu, De tribus praecognitis, De medio<br />

demonstrationis (cfr. W.F. Edwards, The Logic of Iacopo Zabarella<br />

(1533-1589), Ann Arbor, 1961, pp. 61-73).<br />

(II) RARA PRIMA EDIZIONE. Il curatore dell’edizione,<br />

Antonino Compagna, nella dedica al vescovo di Treviso, Francesco<br />

Cornelio, e Giason Denores, in una lettera agli studenti di<br />

filosofia, ricordano come, su pressante richiesta da parte degli<br />

studenti di logica, avessero chiesto a Zabarella, che poco tempo<br />

prima aveva dato alle stampe l’Opera logica (1578), di pubblicare<br />

anche quelle tavole logiche da lui composte ad uso ed utilità<br />

propria e dei suoi studenti. Dopo un iniziale diniego motivato<br />

dall’incompletezza e parzialità dell’opera, Zabarella aveva infine<br />

ceduto alle pressioni dei due amici, spinto soprattutto dal<br />

desiderio di giovare agli studiosi di filosofia. Quanto le Tabulae<br />

fossero effettivamente ricercate e studiate è testimoniato dalle<br />

tre riedizioni cui andarono incontro nel giro di un decennio<br />

(’83, ’86, ’89) (cfr. J. Zabarella, Tables de logique: sur l’Introduction<br />

de Porphyre, les Catégories, le De l’interprétation et les Premiers<br />

analytiques d’Aristote. Petite synopse introductive à la logique<br />

aristoteliciènne, Paris, 2003, a cura di M. Bastit, passim).<br />

J. Zabarella, di nobile famiglia padovana (ereditò dal padre il<br />

- 154 -


titolo di conte palatino), si formò presso l’università della sua città natale, dove ebbe come maestri Francesco<br />

Robortello e Bernardino Tomitano. Addottoratosi nel 1553, nel 1564 ottenne la cattedra di logica che era<br />

stata del Tomitano. Nel 1568 cominciò ad insegnare filosofia naturale, dapprima a fianco di Arcangelo<br />

Mercenario, quindi come titolare della cattedra principale. Tra il 1578 e il 1589 fu coinvolto in un’aspra<br />

disputa sulla logica con Bernardino Petrella e Francesco Piccolomini. Fu membro dell’Accademia degli<br />

Stabili. Morì a Padova nell’ottobre del 1589. L’anno seguente apparvero postumi i trenta libri dei De rebus<br />

naturalibus (cfr. Ch. Lohr, Latin Aristotle Commentaries. II Renaissance Authors, Firenze, 1988, pp. 497-498).<br />

Eccellente grecista, si dedicò in modo sistematico e apregiudiziale allo studio di Aristotele e dei suoi<br />

commentatori (Alessandro d’Afrodisia, Temistio, Olimpiodoro, ecc.). Votato all’empirismo, il suo pensiero<br />

logico influenzò notevolmente lo sviluppo galileiano del metodo scientifico (cfr. H. Randall, The School of<br />

Padua and the Emergence of Modern Science, Padova, 1961, pp. 15-68).<br />

Edit16, CNCE30709 e CNCE48581. € 8.500,00<br />

216) ZECCHI, Giovanni ed. (fl. 1 a metà del XIX secolo). Raccolta di N°. 100 Vedute principali<br />

dell’Italia pubblicate da Gio. Zecchi Calcografo, Litografo, e Neg. te di Stampe in Bologna, Via Porta<br />

Nuova da S. Martino N. 1811 (A. Ninni scrisse – Lit. a Zecchi 1836). Bologna, G. Zecchi, 1833.<br />

In 8vo oblungo (cm 16x2o); legatura coeva in mezza pelle con fregi e titolo in oro (mancano le copertine<br />

originali stampate); titolo, titolo inciso (G.F. Pizzoli inv. – Franceschini e Romagnoli inc.), 100 tavole numerate<br />

incise in rame (cm 10x14) e una carta d’indice. Nel volume si trova anche un foglio sciolto contenente<br />

un interessante avviso editoriale. Leggere fioriture sparse, ma nel complesso bella copia con impressione<br />

fresca delle tavole.<br />

PRIMA EDIZIONE. Il presente esemplare presenta il titolo della seconda edizione del ’36 (nella prima era<br />

stampato con qualche variante in copertina), mentre il titolo inciso, così come le tavole, sono quelle della<br />

prima edizione. Le tavole sono incise da F. Limeni, P. Romagnoli, G. Rosaspina, F. Franceschini e F. Zecchi<br />

su disegni di G.F. Pizzoli, L. Morghen e G. Magazzari.<br />

L’opera raccoglie graziose e vivace vedute di scorci urbani, monumenti, piazze, ponti, porti, chiese, palazzi,<br />

teatri, interni, ecc. delle seguenti città italiane: Bologna (la più rappresentata), Como, Venezia, Vicenza,<br />

Firenze, Verona, Padova, Terni, Parma, Milano, Cremona, Roma, Bassano, Pisa, Possagno, Mantova, Livorno,<br />

Ferrara, Genova, Arezzo, Siena, Prato, Pistoia, Urbino, Napoli, Ancona, Lugo, Pavia, Faenza, Forlì,<br />

Imola, Malta, Palermo e Rimini.<br />

La tavola 46 rappresenta la Venere de’ Medici in Firenze, la 57 il Monumento di Canova in Venezia, la 65 il<br />

Vesuvio, la 100 Sette torri famose d’Italia.<br />

- 155 -


D. Cremonini, L’Italia nelle vedute e carte geografiche dal 1493 al 1894, Modena, 1991, nr. 114 (1 a edizione) e nr.<br />

123 (2 a edizione). A. Brighetti, Bologna nelle sue stampe, Bologna, 1979, nr. 164 (2a edizione). C. Sinistri-C.<br />

Perini, Verona nelle antiche stampe, Verona, 1978, nn. 328-332. € 4.500,00<br />

217) ZUSTO, Giovanni (fl. 2 a metà del XVIII secolo). Descrizione istorica dell’estrazione della<br />

pubblica nave La Fenice dal canale Spignon, in cui giacque circa tre anni totalmente sommersa…<br />

[Venezia], eredi di Giovanni Antonio Pinelli, 1789.<br />

In 4to (cm 27,2); cartone recente ricoperto di bella carta colorata con etichetta e titolo manoscritto al dorso;<br />

pp. XXXII, 90, (2). Manca la prima carta bianca. Bella antiporta figurata e 7 spettacolari tavole (cm 51x 68)<br />

che mostrano la nave e le apparecchiature meccaniche per il suo recupero: il tutto inciso in rame da<br />

Giuseppe Daniotto. Titolo un po’ sporco, ma ottima copia marginosa.<br />

EDIZIONE ORIGINALE di quest’opera che descrive l’eccezionale impresa che riportò a galla la nave da<br />

guerra La Fenice, affondata improvvisamente nel Canale Spignon nell’aprile del 1783, dopo il caricamento<br />

dei settantaquattro cannoni destinati ad armarla. Un precedente tentativo di recupero, compiuto nello<br />

stesso anno, andò fallito. Essendo il canale di piccole dimensioni e poco profondo, la presenza di una nave<br />

sommersa poneva gravi problemi di navigabilità. Il recupero riuscito fu compiuto da Giovanni Giusto e<br />

dall’ingegnere Agostino Morellato.<br />

Tra le carte preliminari vi è anche un interessante glossario dei termini tecnici.<br />

Riccardi, I, 407 («opera interessantissima per gli studiosi della meccanica applicata alla nautica»). <strong>Catalogo</strong><br />

unico, IT\ICCU\RMSE\001685. Morazzoni, 263. Cicognara, 1485. € 2.800,00<br />

- 156 -


Bloch, nr. 24<br />

Doni, nr. 58 Faerno, nr. 65<br />

- 157 -


Rousselon, nr. 172<br />

Ferrario, nr. 69<br />

- 158 -<br />

l


IL PRINTING AND THE MIND OF MAN ITALIANO<br />

GOVI, Fabrizio, I classici che hanno fatto l’Italia. Per un nuovo canone bio-bibliografico degli<br />

autori italiani, Modena, Giorgio Regnani Editore, 2010.<br />

In 4to, copertina in tela rigida con sovraccoperta a colori, pp. XXXV, 415. Con inoltre 12 pagine di immagini a colori<br />

fuori testo e varie figure in b/n nel testo.<br />

Nato dal confronto con un celebre testo degli anni Sessanta,<br />

il Printing and the Mind of Man, in cui sono descritte più di<br />

quattrocento opere a stampa che hanno segnato la storia dell’uomo<br />

in tutti i principali campi del sapere, I classici che<br />

hanno fatto l’Italia si propone come una sorta di biblioteca<br />

ideale di soli autori italiani (per nascita o di adozione), ma<br />

nello stesso tempo ambisce ad illustrare la storia della nostra<br />

cultura, dal Duecento ad oggi, attraverso una selezione di opere<br />

e di edizioni.<br />

Le vicende editoriali di un testo (sia esso un capolavoro assoluto,<br />

un’opera pioneristica o il successo di un’epoca) hanno<br />

infatti una duplice valenza: da un lato informano sulla ricezione<br />

e sulla diffusione di una certa opera dopo la sua uscita<br />

(tirature, ristampe, contraffazioni, privilegi, accordi commerciali,<br />

ecc.); dall’altra aiutano a capire i mutui rapporti fra stampa<br />

e lettori, mettendo in evidenza come il libro stampato abbia<br />

influenzato la maniera stessa di scrivere e leggere degli uomini.<br />

Ogni opera si offre al lettore anche nella materialità del<br />

libro, sollecitandone contemporaneamente l’occhio e la mente<br />

attraverso precise strategie editoriali (formato, tipo di carattere,<br />

presenza o meno di illustrazioni, dediche, ecc.).<br />

I classici che hanno fatto l’Italia non è quindi un elenco<br />

generico dei principali testi della nostra storia, né tantomeno<br />

una storia del libro italiano da un punto tipografico, quanto piuttosto una rassegna cronologica di quei testi nelle<br />

edizioni a stampa che li hanno trasmessi e fatti conoscere. In quanto tale esso non si rivolge esclusivamente ad un<br />

pubblico di collezionisti, ma pensiamo possa attirare la curiosità anche di chi non abbia mai provato l’emozione di<br />

sfogliare un libro antico o di leggere un testo nella sua edizione originale.<br />

Vi si trovano descritte, in ordine cronologico, 400 opere di altrettanti autori italiani dal Quattrocento ai nostri giorni.<br />

Per ogni opera selezionata si fornisce un’edizione di riferimento (in genere, ma non sempre, la prima), di cui vengono<br />

spiegati i pregi e, laddove vi siano e si conoscano, gli eventuali retroscena. In alcuni casi si fa un breve accenno<br />

anche ad altre edizioni particolarmente significative. Ogni scheda descrive poi il significato storico-culturale dell’opera<br />

presa in esame e si conclude con la biografia sommaria dell’autore. In appendice vi è la descrizione fisica<br />

dell’edizione (formato, collazione, varianti o differenti tirature, ecc.).<br />

Il volume, che è corredato da un indice analitico e da una bibliografia selezionata, contiene anche un saggio del Prof.<br />

Giovanni Ragone (Dal canone al mainstream, la nostra memoria attraverso i libri, pp. XIII-XXXII), che prende<br />

in esame le trasformazioni del canone bibliografico in Italia dal Quattrocento ad oggi, ed una nota di Umberto<br />

Pregliasco, presidente dell’ALAI (Associazione Librai Antiquari d’Italia), sul ruolo del libraio e sul collezionismo<br />

librario.<br />

L’opera è disponibile presso la nostra libreria al prezzo di € 65,00 più spese di spedizione.


<strong>Libreria</strong> <strong>Alberto</strong> <strong>Govi</strong> di Fabrizio <strong>Govi</strong> Sas - C.P. Modena succ. 4 - Via Bononcini, 24 - 41100 Modena<br />

Tel. 059/375881 - Fax 059/3681271<br />

CN/MO1314/2008<br />

Tassoni (Secchia rapita, prima edizione), nr. 195 (grandezza naturale)<br />

In caso di mancato recapito, inviare al CPO di Modena per la restituzione al mittente<br />

previo pagamento resi.<br />

Tutti gli elementi costitutivi della compravendita (proposta, accettazione, prezzo ed<br />

invio del prodotto) si realizzano attraverso i servizi postali.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!