Gobba a ponente, luna crescente, gobba a levante ... - Liceo Foscarini
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Marta Zanucco<br />
ZOE<br />
1° premio<br />
Concorso letterario Alice Chimirri<br />
A.S. 2007/08<br />
1
<strong>Gobba</strong> a <strong>ponente</strong>, <strong>luna</strong> <strong>crescente</strong>, <strong>gobba</strong> a <strong>levante</strong>, <strong>luna</strong> calante.<br />
Zoe<br />
Zoe si sedette sul pavimento della sua nuova stanza, di fronte allo specchio a muro, incrociando<br />
con un movimento fluido le gambe esili. Fissò a lungo lo sguardo nel riflesso dei suoi occhi scuri,<br />
simili a germogli sbocciati sul viso diafano. Erano occhi grandi e profondi come pozzi dei quali<br />
non si vede il fondo, per quanto ci si sporga oltre il bordo.<br />
L’uomo chiuse gli occhi. Li riaprì. Alzò le mani dalla tastiera del portatile per incrociarle sulla nuca<br />
e allungarsi all’indietro, protendendosi oltre lo schienale della sedia; la sua bocca si piegò in un<br />
sorriso vago che sfumò rapidamente in uno sbadiglio. Si alzò e tornò nello studio pochi minuti<br />
dopo, con una tazzina di caffé in mano e uno sguardo altero negli occhi grigi. Rilesse rapidamente<br />
le righe che aveva appena scritto: sarebbe iniziata così la sua storia, il suo libro per ragazzini che<br />
sostengono di capire ogni cosa, e sarebbe stato un successo. L’uomo, che aveva fatto dello scrivere<br />
la sua vita e della sua vita una menzogna, sapeva di essere uno scrittore apprezzato ora che regalava<br />
utopie ai sognatori, dorate illusioni agli illusi, amori dolci e fasulli ai sentimentali e bugie a coloro<br />
che desideravano ardentemente soddisfare la propria ansia di verità. Tutti loro non facevano che<br />
ripetergli che era un grande scrittore ed egli si era, non troppo lentamente, persuaso che fosse la<br />
verità, senza rendersi conto di aver creato un riflesso di sé profondamente diverso da ciò che era<br />
veramente. Aveva costruito la solida fortezza della fiducia in se stesso con mattoni di fumo. Bevve<br />
un sorso di caffé amaro e si passò la lingua sulle labbra, lentamente, socchiudendo gli occhi. Poi<br />
riprese a tamburellare sui tasti del computer.<br />
Abbassò lo sguardo sulla bocca, che era incrinata da una smorfia di amarezza, e si morse le labbra<br />
con foga. Voleva tornare nella sua città, già odiava la nuova casa in cui era stata costretta a<br />
trasferirsi, così vuota, bianca e avvelenata dall’odore penetrante di vernice. Vuota, vuota come lo<br />
sguardo di un uomo che ha perso ogni cosa, vuota come il silenzio che accoglie rispettoso il<br />
dolore; c’era solo qualche mobile della sua vecchia casa abbandonato sul pavimento polveroso e,<br />
appoggiato a una parete di quella che sarebbe stata la sua nuova stanza, c’era lo specchio a muro<br />
che fino a una settimana prima si trovava nella camera in cui era cresciuta. All’inizio ne era stata<br />
felice. Le era sembrato che quello specchio fosse il tramite indistruttibile tra il suo passato e la sua<br />
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nuova vita. Lo specchio continuava a riflettere la sua immagine, dandole la certezza che tutto<br />
poteva cambiare, ma lei sarebbe rimasta sempre la stessa, dovunque e in qualunque momento.<br />
Sorpresa e affascinata da quell’idea, davanti allo specchio non aveva paura. Anche se ora dietro al<br />
suo riflesso c’erano gelide e anonime pareti, Zoe esisteva; tutto il resto non aveva importanza.<br />
L’uomo si fermò per un attimo. Stava scrivendo di getto.<br />
Ma la sicurezza, la fiducia, la voglia di guardarsi allo specchio e parlare di tutto ciò che la faceva<br />
stare male, ebbero vita breve. D’un tratto, perdendosi nello sguardo supplichevole, turbato,<br />
inquieto, che i suoi stessi occhi le rivolgevano da dietro il vetro, la ragazza si rese conto di quanto<br />
poco valesse la compagnia di se stessa. Era come trovarsi di fronte a un’estranea, un’estranea che<br />
non solo non era in grado di amare, ma con la quale non riusciva nemmeno a parlare. Chiuse gli<br />
occhi e si sfregò le mani sulle tempie, gemendo. Cos’era Zoe in fondo? Cos’era ora, in un ambiente<br />
del tutto estraneo? Tornò a pensare che tutto ciò che le era rimasto della sua vecchia vita era se<br />
stessa e questa volta si sentì sola, terribilmente sola, nel comprendere a fondo l’enormità di quel<br />
cambiamento. Non aveva mai percepito la sua esistenza come qualcosa di indipendente da tutto ciò<br />
che le stava intorno: il suo ambiente e le persone che la circondavano erano parti integranti della<br />
sua vita, che ora era stata sradicata da ogni punto di riferimento, da tutti quegli ancoraggi che<br />
l’avevano sempre fatta sentire al sicuro. Sgranò gli occhi e si sentì svuotata e vulnerabile. Non<br />
riusciva a staccare lo sguardo dallo specchio, dalla prova della sua esistenza e della sua<br />
solitudine. Era sola e da sola non era nulla, la sua vita non era nulla! Non aveva senso,<br />
considerata come un’entità a se stante. Zoe non si era mai realmente conosciuta e ora aveva una<br />
grande, immensa, paura di farlo perché si era appena resa conto di quanto fosse fragile la sua<br />
mente e quanto sarebbe stato facile impazzire. Non aveva mai creduto di essere debole, ma ora<br />
sapeva di essere sempre stata superficiale, vuota, morta. Iniziò a piangere furiosamente, senza<br />
controllarsi, singhiozzando come una bambina. Ma non era forse ancora una bambina? Aveva<br />
sedici anni, e non aveva mai vissuto: solo ora si rendeva conto di essere viva, piena di una forza<br />
scalpitante, sentiva la sua anima palpitare rivendicando la propria individualità. Ma il mondo era<br />
sconfinato e la sua vita non era che una delle infinite vite che solcano la Terra: improvvisamente<br />
Zoe si rese conto di quanto fosse piccola e inutile di fronte all’immensità dell’universo. Si sentì<br />
frustrata come non lo era mai stata e per la prima volta percepì il suo corpo come la prigione di se<br />
sessa, una prigione che la costringeva in uno spazio infinitesimale. Sentiva violentemente il<br />
bisogno di vivere e altrettanto violentemente percepiva la propria inutilità e la propria fragilità.<br />
Gettò le mani sullo specchio e toccò il riflesso del suo viso bagnato e le parve di toccare il muro<br />
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invalicabile dei propri limiti, mentre il ritmo del suo respiro accelerava. Il trucco scuro le colava<br />
lungo le guance e Zoe si sentì come se le avessero appena strappato una maschera, la maschera<br />
dietro alla quale si era nascosta per tutto quel tempo, la maschera dietro alla quale stava la sua<br />
vera vita, la sua vera anima. Piangeva forte, tanto la casa era vuota e nessuno poteva sentirla, ma<br />
non capiva nemmeno perché stesse piangendo! Non capiva più nulla, non capiva chi fosse<br />
veramente, non capiva di cosa avesse bisogno per smettere di singhiozzare, vedeva soltanto il suo<br />
riflesso in lacrime, sullo specchio, e sapeva di desiderare che la sua vita avesse un significato, una<br />
direzione in cui procedere, uno scopo.<br />
Incrociò le braccia sul petto, come per abbracciarsi da sola: sentiva le costole sotto le dita e<br />
stringendosi più forte arrivò a toccare le scapole sporgenti. Era così fragile. Sciogliendosi dal suo<br />
stesso abbraccio, si disprezzò.<br />
L’uomo, lo scrittore, si bloccò di colpo. Le sue dita, sulla tastiera, stavano tremando. Rilesse il<br />
brano che aveva scritto percuotendo i tasti con veemenza, con un ardore che provava ben di rado<br />
quando scriveva. Si passò le mani tra i capelli striati d’argento, per non vederle tremare. Stava<br />
sbagliando tutto, non era quella la piega che la storia avrebbe dovuto prendere. Si stava veramente<br />
emozionando? Per quel racconto su una ragazzina depressa? Si odiò e rilesse con un sussulto<br />
l’ultima frase che aveva scritto. “Sciogliendosi dal suo stesso abbraccio, si disprezzò.” Non si era<br />
anche lui appena sciolto dal suo stesso abbraccio? Non aveva appena distrutto quella pacata<br />
sicurezza da cui aveva sempre tratto conforto? E non si stava disprezzando ora, esattamente come<br />
Zoe? La sua mente si intorpidì. L’uomo si riscosse dopo qualche istante e salvò velocemente il<br />
lavoro, evitando accuratamente di leggere anche una sola delle parole che aveva scritto. Non<br />
riusciva a credere di averle scritte davvero, addirittura con passione. “Vai a letto – pensò – è tardi,<br />
sei stanco”. E obbedì al suo stesso consiglio. Ma non riusciva ad addormentarsi, forse per effetto del<br />
caffé, forse per colpa della vaga inquietudine che strideva dietro i suoi occhi. Sentiva di provare un<br />
morboso, inconsueto affetto per la protagonista della sua storia, e non capiva perchè. Gli tornò in<br />
mente sua moglie. Non ci pensava mai, ma in quella notte d’estate, avvolto nel buio di velluto, dopo<br />
una giornata stancante, la sua mente era troppo debole per tenere sotto chiave certi pensieri. Sua<br />
moglie. Era bella, con i capelli scuri, luminosi e ordinati, con gli occhi sorridenti. L’uomo l’aveva<br />
amata, ma poi, per amore della carriera, l’aveva lasciata andare, senza rimorsi, accecato da quella<br />
nuova, splendente vita che l’aveva accolto all’inizio del suo successo. Egli stesso era stato sostituito<br />
da quella nuova immagine di sé, l’immagine di un uomo che aveva lasciato perdere ogni emozione<br />
fuorviante e si era dedicato al suo lavoro con metodo e precisione. Si rigirò sotto le coperte, con i<br />
pugni serrati. Si odiava, non poteva continuare a vivere così. Voleva indietro tutto ciò a cui aveva<br />
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inunciato, non voleva più essere ciò che era, voleva essere uno stupido sognatore felice, senza tutto<br />
quel denaro, senza quella casa bianca e immensa. Perché ora, solo ora si rendeva conto di aver<br />
smesso di vivere nel momento stesso in cui si era separato dal suo passato. Non era mai stato uno<br />
scrittore, era sempre stato un freddo commerciante, e ora voleva fuggire dalla gabbia di se stesso, la<br />
gabbia che si era costruito da solo, voleva togliersi quella maschera da intellettuale sorridente e<br />
scoprire chi fosse davvero. Come la ragazzina della sua storia. Seppe per certo che il sangue che<br />
pulsava nelle tempie e nei polsi sottili di Zoe e l’affanno nel suo respiro erano frutti delle sue<br />
emozioni, emozioni che lo turbavano a tal punto da non averle confessate nemmeno a se stesso:<br />
l’uomo indistruttibile, lo scrittore acclamato, non era che una ragazzina che ha paura del mondo e di<br />
sé. Zoe, che prima pensava di amarsi, ora si sedeva di fronte allo specchio e vedeva un’immagine<br />
che non riusciva ad accettare, perché soltanto rimanendo sola davanti al proprio riflesso aveva<br />
realizzato quanto poco valesse la sua esistenza e come non fosse mai riuscita a darle un significato.<br />
E adesso l’uomo, che era sempre stato così fiero di sé, che aveva sempre amato guardarsi allo<br />
specchio pensando a tutto ciò che aveva ottenuto, guardava la sua storia, ed era come uno specchio<br />
che rifletteva quella parte segreta del suo essere che non lasciava mai emergere. Aveva voglia di<br />
scrivere ora, una voglia folle: voleva dare sfogo a quella sua nuova ansia di vivere davvero, voleva<br />
confessare ed espiare ogni sua colpa e sapeva che l’unico mezzo per farlo era scrivere con ogni<br />
fibra della sua anima. Incatenarsi di fronte a quello specchio che Zoe gli offriva e percorrere ogni<br />
ruga sul suo volto, ogni scintilla nei suoi occhi, ogni smorfia delle sue labbra. Sentiva la pioggia<br />
frustare i vetri delle finestre e, cedendo al dormiveglia, pensò che il suono del temporale fosse<br />
quello dei tasti del suo computer, che battevano infinite parole, costruendo uno specchio dal quale<br />
non poteva sottrarsi. Oppure erano i pugni serrati ed esangui di Zoe che battevano su quello stesso<br />
specchio? Sentiva il ticchettio delle lancette dell’orologio che, lente e superbe, invecchiavano il<br />
mondo, mescolarsi al rumore della pioggia. E i suoi pensieri erano umidi, stavano perdendo i loro<br />
contorni e si stavano unendo al suono del tempo che passava, al suono della pioggia, al suono dei<br />
tasti, al suono dei colpi disperati della parte segreta di sé. E poi si addormentò.<br />
La mattina dell’indomani scrisse a penna su fogli di carta. Stava scrivendo selvaggiamente, stava<br />
facendo provare a Zoe tutto ciò che egli stesso provava, la stava facendo soffrire, la stava facendo<br />
urlare di fronte allo specchio, ed era come se lo stesse facendo lui, ora che si era reso conto di ciò<br />
che era diventato. Scrisse fino a sentirsi svuotato, poi uscì, lasciando i fogli sparsi sul tavolo della<br />
cucina. Il sole faceva luccicare le pozzanghere lungo la strada, in cui il cielo si specchiava superbo.<br />
L’uomo camminava costeggiando gli edifici alti e bianchi della sua città, senza una meta, senza un<br />
motivo. A ogni passo nuovi specchi gli si paravano davanti: le vetrine dei negozi, i finestrini delle<br />
auto, i grandi occhiali da sole dei ragazzi sorridenti. L’immagine di sé lo perseguitava, lo rincorreva<br />
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prendendosi gioco di lui, l’immagine di quell’uomo stanco e grigio, che non sapeva chi era e non<br />
sapeva vivere! Il mondo che lo circondava era improvvisamente diventato una stanza degli specchi,<br />
come quelle dei <strong>luna</strong> park dei vecchi film, ed egli era ingannato e inquietato dal proprio riflesso, dal<br />
quale non poteva più fuggire. Come la sua ragazzina impaurita, si sentiva fragile da morire di fronte<br />
alla prova schiacciante della propria umanità e devastato dall’idea di non essere nulla, per quanto<br />
fosse famoso e ricco, nulla, perché non aveva mai trovato la felicità che aveva sempre fatto cercare<br />
ai suoi personaggi! Personaggi che, proprio per quella loro perpetua ricerca di gioia, aveva sempre<br />
disprezzato. Non era niente di più di una ragazzina, quella ragazzina nata da lui, creatura della sua<br />
angoscia. L’inchiostro della sua storia era colato ben oltre le pagine del suo racconto, aveva<br />
inzuppato la sua mente, era nero e ora oscurava il suo sguardo. Ed egli sapeva, l’aveva sempre<br />
saputo, ma non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo, di non essere felice. Aveva pensato di<br />
essere indistruttibile e disprezzato Zoe, l’aveva disprezzata per la sua ansia di libertà, per la sua<br />
voglia di vivere; ora capiva che non faceva che disprezzare se stesso.<br />
Una ragazza con gli occhi scuri e la pelle bianca nonostante il sole estivo, avanzava pattinando tra<br />
gli specchi lungo la strada. D’un tratto si fermò per osservare a lungo la propria immagine sullo<br />
specchietto retrovisore di un’auto: un’espressione profondamente infelice le incrinava le<br />
sopracciglia sottili, mentre i suoi occhi si spostavano inquieti sul riflesso del proprio viso. L’uomo<br />
si fermò e rimase a fissarla: era Zoe, ne era sicuro. Assorbito in una dimensione quasi onirica,<br />
riconobbe in lei l’incarnazione del suo personaggio, l’incarnazione del suo dolore. La sofferenza<br />
dell’insoddisfazione di sé, della consapevolezza della propria futilità, di un fallimento, di un errore<br />
irreparabile. Poi, d’un tratto, con un sospiro seccato, la ragazza si allontanò dall’auto e scivolando<br />
cadde sul selciato fradicio. L’uomo provò per lei un sentimento malsano, a metà tra la pietà e il<br />
disgusto. Ma poi Zoe si rialzò, ridendo senza motivo e l’uomo rimase immobile, il petto trafitto da<br />
stiletti di cristallo, nel risvegliarsi dal suo sogno. Non aveva mai pensato che Zoe potesse rialzarsi,<br />
non aveva mai pensato che potesse ridere. E se Zoe era lui, era davvero possibile riparare tutto ciò<br />
che si era infranto in quegli anni? Non lo sapeva, ma, tornato a casa, scrisse le ultime righe della sua<br />
storia.<br />
Uscì di casa e scivolò sul marciapiede bagnato. Aveva piovuto a dirotto. Si gettò le mani sul viso e<br />
le premette forte sugli occhi. Non voleva guardare le pozze di pioggia che la circondavano, per<br />
paura di vedervi il proprio riflesso, voleva piangere ancora. Quando abbassò le mani dal viso per<br />
riaprire gli occhi gonfi e cangianti, vide un passante dallo sguardo gentile che, con una mano tesa<br />
verso di lei, la invitava ad alzarsi. Zoe lo guardò e fu colma di gratitudine. Prese la mano del<br />
signore e tornò in piedi, gli sorrise e l’uomo rispose al suo sorriso. Forse era possibile iniziare a<br />
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vivere. Zoe abbassò lo sguardo sui jeans bagnati e rise di se stessa, ma senza scherno, senza<br />
amarezza, solo con una gioia infantile. Rientrò in casa per cambiarsi.<br />
Per la prima volta l’uomo sentiva il bisogno di pensare che il mondo fosse un passante gentile. Che<br />
potesse aiutarlo. Poteva crederci? Poteva ancora togliersi gli abiti che aveva infangato? Sentì di<br />
essere uno scrittore vero, non per le parole che aveva scritto, ma per la passione di cui erano<br />
impregnate. Non avrebbe fatto leggere a nessuno quelle pagine, le avrebbe soltanto riposte in un<br />
cassetto. E poi si sarebbe seduto di fronte allo specchio e si sarebbe osservato a lungo.<br />
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