STRUTTURE MORFOPROSODICHE DEL LATINO ... - Unitus DSpace
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pus poetico vergiliano: aera, in ‘tollunt se celeres liquidumque per aera lapsae’ (Eneide<br />
6, 202), aethera, in ‘classe ueo mecum, fama super aethera notus’ (Eneide 1,<br />
379), Cissea, in ‘quo licuit paruo? Nec longe Cissea durum’ (Eneide 10, 317), Simoentis,<br />
in ‘alma Venus Phrygii genuit Simoentis ad undam?’ (Eneide 1, 618), Thermodontis,<br />
in ‘quales Threiciae cum flumina Thermodontis’ (Eneide 11, 659), tyrannus<br />
in ‘te propter Libycae gentes Nomadumque tyranni’ (Eneide 4, 320, cfr. anche 4,<br />
448; 7, 266 e Georgiche 4, 492).<br />
Il frammento AP 3 Barwick si situa perfettamente nell’alveo di questa tradizione<br />
grammaticale di attento esame della pronunzia dei grecismi, la maggior parte<br />
dei quali tratti dal corpus vergiliano.<br />
Nella prima parte del frammento, quella che concerne le voci con accento sulla<br />
penultima, viene raccomandata la pronunzia grecizzante nel caso di sostantivi scarsamente<br />
integrati sul piano morfologico (Pasipháe, Phlegéthon, Anthéa). In tutti gli<br />
altri casi è raccomandata una pronunzia conforme alle leggi del trisillabismo latino.<br />
Lo stesso si verifica per i grecismi contenuti nella seconda parte in cui sono<br />
prescritte le pronunzie proparossitone. Voci documentate con scarsa integrazione nelle<br />
classi flessionali schiettamente latine sono indicate con un accento grecizzante che<br />
non rispetta la legge del trisillabismo: Laodámia, pálanges, garámantas. Altrove è<br />
raccomandata la normale prosodia schiettamente latina.<br />
La scarsa attenzione per la pronunzia schiettamente greca non pare da attribuirsi<br />
a un cosciente discrimine morfologico; si giustifica piuttosto in un’epoca - il V<br />
secolo d.C. - in cui il bilinguismo greco-latino costituiva ormai una rarità presso<br />
l’aristocrazia romana. 36 Pronunzie grecizzanti non erano più a portata di mano.<br />
Le prescrizioni dell’ignoto compilatore, dunque, rispecchiano e, spesso, riprendono<br />
esplicitamente l’opinio communis dei grammatici. Piuttosto colpisce, di<br />
converso, che molte delle forme impicitamente stigmatizzate possedessero un accento<br />
grecizzante o ‘ipergrecizzante’. Evidentemente siamo in una fase nella quale il latino<br />
‘basso’ tendeva ormai a riprodurre la collocazione dell’accento greco piuttosto<br />
che adeguarlo alla prosodia latina: lo dimostra il brano sopra riportato dello Pseudo-<br />
Sergio in cui sono stigmatizzate accentazioni come Cássandra (oltre che Síbylla, perfettamente<br />
accettabile in greco).<br />
Le indagini di André confermano che questa fase dove «seul l’accent comptait»<br />
37 si colloca approssimativamente tra il III e il IV secolo d.C. E’ l’epoca in cui<br />
si diffondono nei poeti cristiani prosodie del tipo di allophŭlos < gr. ἀλλόφῡλος<br />
(Prudenzio), emblĕma < gr. ἔμβλημα (Fortunato), erĕmos < gr. ἔρημος (Prudenzio,<br />
Avito), papŭrus < πάπῡρος (Sereno Sammnico), senăpis < σίνᾱπυ (Prudenzio) etc.<br />
Alcuni degli usi stigmatizzati nei lemmi greci di AP 3 Barwick, si è detto, sono<br />
‘ipergrecizzanti’, ovvero con proparossitonia ingiustificata se si muove dal modello<br />
36 Cfr. Riché 1962:42-43; i documenti epigrafici che attestano la conoscenza del greco a Roma sono esaminati da Adams<br />
2003.<br />
37 Cfr. André 1958:151, Bernardi Perini 1986:101-102, cfr. anche Battisti 1949:95, Bourciez 1967:39, Väänänen<br />
1974:86-87. Sull’eliminazione del vincolo sintagmatico nella collocazione dell’accento tonico presso il latino ‘substandard’<br />
cfr. Giannini-Marotta 1989:269-270; conseguenza di questa ristrutturazione del sistema prosodico fu, come osserva<br />
Pulgram 1975:263, la fonemicizzazione dell’accento, divenuto impredicibile e assegnato sulla sola base delle<br />
informazioni lessicali, ivi compresa la pressione intraparadigmatica documentata nei numerali per le decine nel latino<br />
parlato: *tréj~*trédece > *tréjenta (a fronte del classico /tri:ginta/), cfr. Mancini 2002.<br />
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