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STRUTTURE MORFOPROSODICHE DEL LATINO ... - Unitus DSpace

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Questo passo di Servio (che potrebbe dubitativamente costituire un terminus<br />

ad quem dell’incipiente eterosillabismo di ‘muta cum liquida’ nel latino tardo) è valorizzato<br />

in maniera corretta dal Loporcaro 72<br />

che lo associa al brano di Isidoro - fino<br />

ad oggi ignorato dagli esegeti - circa l’accentazione di lat. tenebrae. Isidoro annotava:<br />

«barbarismum est uerbum corrupta littera uel sono enuntiatum [...]; sono, si pro<br />

media syllaba, prima producatur, ut ‘latebrae’, ‘tenebrae’» (Orig. 1, 32, 1).<br />

Se Servio, forse, reagiva a pronunzie parossitone che dovevano iniziare a serpeggiare<br />

nel parlato tanto da raccomandare l’accento sulla terz’ultima in péragro<br />

malgrado la collocazione metrica obbligasse a leggere perágro, Isidoro oramai ritiene<br />

‘devianti’ le sole pronunzie proparossitone del tipo ténebrae e, per il primo nella storia<br />

del latino tardo, assegna un punteggio positivo alla forma parossitona tenébrae.<br />

Isidoro non si limita a trattare dell’accento ma - circostanza sinora sfuggita –<br />

sembrerebbe parlare anche di concomitante allungamento della sillaba («producatur»).<br />

Dunque Isidoro costituirebbe un sicuro terminus ante quem: alla sua epoca (a<br />

cavallo fra il VI e il VII secolo d.C.) la penultima sillaba era non solo accentata ma<br />

anche aperta. E d’altro canto, vista la collocazione dell’accento al momento in cui<br />

scriveva Isidoro, doveva essersi già verificato lo spostamento dell’accento causato<br />

dalla nuova struttura della penultima sillaba (fase A2). In conclusione Isidoro, sempre<br />

nei termini della scansione diacronica proposta da Timpanaro, sembra collocarsi nella<br />

fase B2.<br />

La testimonianza di AP 3 Barwick consente inequivocabilmente di retrodatare<br />

rispetto a Isidoro la fase dell’eterosillabismo e del conseguente spostamento accentuale<br />

dalla terz’ultima alla penultima sillaba (tipo A2 nella ricostruzione di Timpanaro:<br />

intégrum). In ciò d’accordo con la congettura avanzata dal Loporcaro in merito<br />

all’accentazione parossitono di alcune forme in AP 5 Barwick.<br />

La raccomandazione esplicita dell’accentazione báratrum (e quindi la stigmatizzazione<br />

implicita di un *barátrum) implica che attorno alla metà del V secolo d.C -<br />

data di presumibile compilazione del materiale in AP - nel latino parlato stesse già<br />

circolando un allotropo parossitono barátrum. La parossitonia in questa forma, al pari<br />

di quella propria di tanti trisillabi latini volgari (tenébrae, colúbra, intégrum), era motivata<br />

dallo spostamento del confine sillabico: bá$ra$trum > ba$rát$rum. Il rapporto<br />

tra báratrum, raccomandato da AP 3 Barwick, e barátrum, oggetto di implicita stigmatizzazione<br />

da parte dell’ignoto compilatore del frammento, ricorda pour cause<br />

l’«eccesso di reazione» di Servio che, ancora in pieno IV secolo d.C., incoraggiava la<br />

proparossitonìa in peragro a fronte della parossitonia richiesta dalla coincidenza tra<br />

ictus metrico e accento lessicale in sede di clausola esametrica. I due brani si confermano<br />

reciprocamente.<br />

All’epoca di AP 3 Barwick, tuttavia, il mutamento non si era ancora esteso a<br />

tutti i registri del parlato: non mancavano ipercorrettismi da parte di chi, pur non riuscendo<br />

a collocare correttamente l’accento, aveva la percezione di una maggiore correttezza<br />

della collocazione dell’accento sulla terz’ultima. Di qui forme ipercorrette,<br />

72 Cfr. Loporcaro 2005:425.<br />

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