Notizie 20 - Centro missionario diocesano Belluno-Feltre - Diocesi
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«Sì!» – Salgo.<br />
Trovo da sedermi sopra un paio<br />
di sacchi subito dietro l’autista. Il<br />
mezzo è quasi pieno e tutti i passeggeri<br />
sono, con certezza, di razza<br />
indio: piccoli di statura e piuttosto<br />
traccagnotti.<br />
Gli uomini sono coperti dal caratteristico<br />
poncho e portano in testa<br />
un cappellino, dietro il quale spunta<br />
l’immancabile coda formata dai<br />
capelli accuratamente intrecciati.<br />
Le donne, con ampie gonne dai<br />
colori vivi e camicette finemente<br />
ricamate con motivi<br />
floreali, portano<br />
anch’esse il cappello.<br />
Il ragazzo, che mi ha<br />
fatto salire, sta facendo<br />
il giro della gente<br />
per raccogliere il<br />
denaro. Nella mano<br />
sinistra, tra le dita, tiene le banconote<br />
divise per taglia, mentre, dalla<br />
tasca destra dei pantaloni, preleva,<br />
man mano che servono, le monetine<br />
per dare il resto. Lo osservo<br />
mentre fa il suo lavoro: è anche lui<br />
piccolo e bruno, con un ciuffo di<br />
capelli neri che gli cade sulla fronte,<br />
sotto il quale brillano due occhi<br />
furbi. Termina il suo giro e mi siede<br />
accanto.<br />
Mi deve aver preso per nordamericano<br />
perché mi rivolge la parola<br />
chiamandomi “gringo”; lo informo<br />
che sono italiano. Il suo interesse<br />
nei miei confronti cresce e diventa<br />
ciarliero. Vorrebbe sapere tutto<br />
di me e mi tempesta di domande:<br />
che mestiere faccio, perché sono<br />
Piccoli missionari<br />
“<br />
La mia vita è tutta<br />
su questo Bus.<br />
“<br />
34<br />
in Ecuador, cosa vado a fare a Tulcan.<br />
A quest’ultima domanda dà<br />
maliziosamente anche la risposta:<br />
«per la droga, immagino!». Gli rispondo<br />
assumendo un’aria risentita:<br />
- «sono <strong>missionario</strong>!».<br />
Poi comincio anch’io a fargli<br />
qualche domanda. Scopro così che<br />
si chiama Manuel, che ha solo 14<br />
anni ed è il secondo di sei fratelli<br />
e sorelle. «Ho frequentato per<br />
qualche anno la scuola poi ho dovuto<br />
lasciare e trovarmi un lavoro.<br />
A casa non c’è da mangiare per<br />
tutti. Mio padre lavora<br />
saltuariamente ed il<br />
più delle volte per pochissimi<br />
soldi e la mia<br />
mamma è spesso ammalata.<br />
Non abbiamo<br />
“la plata” per comprare<br />
“el remedio”. Fortunatamente<br />
abbiamo trovato un<br />
<strong>missionario</strong> italiano che ci dà delle<br />
medicine oltre ad un po’ d’indumenti<br />
per vestire i miei fratellini».<br />
Sospende il suo racconto per<br />
aprire la portiera e si sporge pericolosamente<br />
gridando: Ibarra!<br />
Ibarra!… Tulcan! Tulcan! Fa salire<br />
ancora alcune persone che si sistemano<br />
alla meglio, poi si risiede<br />
accanto a me e riprende a parlarmi:<br />
«Mi piacerebbe venire in Italia!<br />
Chissà se un giorno potrò farlo?».<br />
Lo interrompo per istradarlo verso<br />
un argomento che mi garba di più.<br />
«Come vivi ora?». La risposta non<br />
tarda a venire: «La mia vita è tutta<br />
su questo Bus. Avanti indietro da<br />
Quito a Tulcan e viceversa, a ciclo