Lo scandalo della contenzione - Per gli altri
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<strong>Lo</strong> <strong>scandalo</strong> <strong>della</strong> <strong>contenzione</strong><br />
di ROCCO CANOSA, presidente nazionale di Psichiatria Democratica<br />
direttore DSM di Matera<br />
Se la distruzione del manicomio ha restituito i diritti a<strong>gli</strong> internati, le situazioni di nuova manicomialità<br />
tendono oggi ad espropriare i pazienti de<strong>gli</strong> stessi diritti.<br />
E’ il caso di molti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, spesso con le porte chiuse, dove facilmente<br />
il malato corre il rischio di essere legato. Stesse situazioni si verificano in reparti di geriatria, di<br />
medicina, nelle case per anziani, in molte Residenze Sanitarie pubbliche e private, ne<strong>gli</strong> Ospedali<br />
Psichiatrici Giudiziari.<br />
Mi<strong>gli</strong>aia di persone sono private, ogni giorno, in questi luoghi di sofferenza, <strong>della</strong> propria libertà, <strong>della</strong><br />
propria dignità, di quei valori per cui molti di noi si sono battuti e continuano a farlo, perché credono<br />
che fino a quando una persona che soffre sarà umiliata a causa <strong>della</strong> sua sofferenza, saremo ancora<br />
nella barbarie.<br />
Pochi si scandalizzano, pochissimi denunciano: deprivare <strong>della</strong> libertà una persona sembra del tutto<br />
normale, quando si tratti di matti o di vecchi, poveri matti e poveri vecchi. Come se fosse<br />
assolutamente opzionale attenersi all’art. 32 <strong>della</strong> Costituzione Italiana, il quale, al comma 2, così<br />
recita: “I trattamenti sanitari prestati in via coercitiva non devono violare i limiti imposti dal rispetto<br />
<strong>della</strong> persona umana e dei suoi diritti fondamentali”.<br />
Il concetto di coercizione nel trattamento psichiatrico<br />
La liceità dei mezzi di <strong>contenzione</strong> non va discussa in termini moralistici o liquidandola con il<br />
concetto abusato di stato di necessità.<br />
E’ necessario preliminarmente capire se usare i mezzi coercitivi su un malato di mente rientri nei<br />
trattamenti sanitari.<br />
L’importanza <strong>della</strong> definizione del trattamento medico-chirurgico non è meramente descrittiva, ma ha<br />
delle notevoli implicazioni specialmente in ordine al problema <strong>della</strong> responsabilità professionale.<br />
Varie definizioni hanno sempre più allargato lo spazio di que<strong>gli</strong> atti medici che rientrano nella<br />
definizione stessa di trattamento medico-chirurgico.<br />
La meno lata, e anche più antica definizione sembra essere quella del Grispigni che è del 1914: “una<br />
modificazione dell’organismo altrui compiuta secondo le norme <strong>della</strong> scienza, per mi<strong>gli</strong>orare la salute<br />
fisica e psichica delle persone”. Da questa definizione, però, rimanevano fuori alcune attività<br />
mediche effettuate non sull’uomo ma indirizzate lo stesso alla tutela <strong>della</strong> salute <strong>della</strong> persona: le<br />
attività diagnostiche. <strong>Per</strong> il Cattaneo “Vanno compresi nel generico concetto di trattamento medicochirurgico<br />
tanto le operazioni chirurgiche, quanto i rimedi di medicina interna ed anche le cure<br />
psichiche. Vi rientrano anche <strong>gli</strong> interventi diagnostici, quelli diretti cioè ad accertare quale sia la<br />
malattia di cui soffre il paziente... Si può dire poi che il fine di giovare alla salute è presente anche<br />
nell’azione del medico diretta a diminuire la sofferenza fisica, nonché in quella diretta a rinforzare<br />
l’organismo. Restano invece al di fuori di questo concetto altre attività, non per questo<br />
necessariamente illecite, per le quali occorre fare un discorso a parte Inoltre restano fuori tutte le<br />
attività non obiettivamente dirette ad un mi<strong>gli</strong>oramento <strong>della</strong> salute, oppure eseguite in modo<br />
contrario ai dati <strong>della</strong> scienza, oppure non consentite dal paziente né giustificate dall’urgenza e dallo
stato d’incoscienza di quest’ultimo.”<br />
Come si vede la definizione è piuttosto lata. Tuttavia, per quanto ampia, tale definizione e per quanto<br />
sembra contemplare azioni preliminari rispetto al trattamento sanitario vero e proprio, non sembra<br />
autorizzare il ricorso ad atti coercitivi. Si tratta di stabilire se il trattamento sanitario psichiatrico abbia<br />
una sua particolarità per cui <strong>gli</strong> atti di coercizione ed in particolare la <strong>contenzione</strong> a letto possano<br />
giustificarsi, rientrando all’interno del trattamento sanitario vero e proprio.<br />
<strong>Per</strong>ciò si pone adesso il problema di qualificare se <strong>gli</strong> atti coercitivi siano atti medici in senso<br />
generale ( cioè compiuti da medico all’interno di una relazione medico-paziente) e quindi privi di una<br />
finalità medica in senso stretto, o configurino un trattamento sanitario come fin qui definito.<br />
Un caso giudiziario può esserci utile per il problema <strong>della</strong> definizione del trattamento sanitario. Si<br />
tratta, infatti, come appena detto, di stabilire cos’è trattamento sanitario e cosa invece non lo è. Nella<br />
sentenza appena citata si era, fra l’altro e in via incidentale, posto il problema di ripartire le<br />
competenze fra vigili urbani ed altre forze dell’ordine pubblico e operatori sanitari in merito alla<br />
esecuzione dei trattamenti sanitari obbligatori di cui alla L. 833 del 23/12/ 1978 art. 34 e 35.<br />
Brevemente i fatti:<br />
in esecuzione di un ordinanza, emessa dal sindaco competente, con la quale era stato disposto t.s.o.<br />
a carico di una donna malata di mente, vi era stata strenua resistenza da parte <strong>della</strong> stessa all’atto di<br />
salire sull’ambulanza per essere trasportata nel reparto del SPDC (dove subire il trattamento). Il<br />
vigile urbano presente all’operazione (sarà poi rinviato a giudizio per il reato di cui all’art. 328 del<br />
c.p.) a fronte del rifiuto dell’infermiere (anch’e<strong>gli</strong> presente) a collaborare non portava a termine<br />
l’ordinanza medesima.<br />
Il pretore argomenta l’assoluzione dell’imputato (il vigile urbano) ritenendo che:<br />
“la particolarità del paziente ammalato di mente impone speciali provvedimenti “interventi, mezzi e<br />
terapie particolari, di natura sanitaria, e non, ma in vero altrettanto necessari, di carattere<br />
propedeutico e complementare alle cure più propriamente riabilitative” e poi ancora “E’ infatti intuitivo<br />
che anche l’atto materiale <strong>della</strong> “cattura” dell’alienato, trattandosi appunto di un malato particolare,<br />
richiede particolare accortezza e particolari cognizioni tecnico-scientifiche, tal che esso può essere<br />
compiuto nella maniera più idonea soltanto dal personale sanitario” Quindi un concetto di trattamento<br />
piuttosto dilatato che comprende anche” mezzi non sanitari” “di carattere propedeutico e<br />
complementare”; sembra davvero poterci stare di tutto.<br />
Il Giudice nell’assolvere il vigile urbano ha ritenuto che “la cattura” materiale <strong>della</strong> paziente<br />
recalcitrante al t.s.o. non è “atto d’ufficio” del vigile urbano e fonda tale opinione, fra l’altro, su di un<br />
parere dell’Avvocatura dello Stato. In tale parere si legge che “il prelievo ed il trasporto del malato di<br />
mente è da intendersi ormai una mera operazione sanitaria rivolta alla tutela <strong>della</strong> salute e<br />
dell’incolumità dell’alienato”. Ritiene, ancora il Pretore, che tutta l’operazione dell’attuazione del t.s.o.<br />
richiede competenze diversificate tali che comunque la “direzione” dell’intera operazione spetti a<strong>gli</strong><br />
operatori sanitari che devono fornire precise direttive alle forze dell’ordine pubblico eventualmente<br />
intervenuti. L’intervento delle forze dell’ordine pubblico, sempre a parere dell’Avvocatura dello Stato,<br />
ha carattere residuale ed eccezionale ; solo quando si è in presenza difatti che possono esitare ad<br />
integrare reati. La motivazione <strong>della</strong> sentenza conclude con un riferimento all’infermiere rimasto<br />
inerte per il quale “per le note ragioni di difficoltà d’interpretazioni <strong>della</strong> normativa, ritiene il Giudicante<br />
di non procedere attualmente ad alcuna incriminazione…”<br />
Com’è abbastanza chiaro, il giudice attribuisce compiti di coazione al personale sanitario<br />
qualificando come sanitari <strong>gli</strong> atti medesimi.<br />
Numerose e qualificate, nonché immediate, furono le reazioni a tale interpretazione.<br />
Già nello stesso anno <strong>della</strong> pronuncia <strong>della</strong> sentenza sulla prestigiosa “Rivista Italiana di Medicina<br />
Legale” venivano pubblicati appassionati articoli soprattutto ad opera di psichiatri. Il ruolo di sanitario<br />
che cura attraverso la coazione era respinto con forza, oltre che sul piano deontologico, soprattutto<br />
su quello scientifico. In particolare si rifiuta l’idea che atti di coercizione ( o anche non coercitivi)<br />
siano preliminari o complementari al trattamento vero e proprio solo perché rivolti ad un malato<br />
mentale....si argomenta, per absurdum, che,così ragionando, anche riporre il pigiama in valigia al<br />
paziente è atto medico. Ovviamente si sottolinea il pericoloso allargamento <strong>della</strong> sfera di<br />
responsabilità dell’operatore sanitario.<br />
Più di recente si registrano interventi da parte di organi dello Stato consultati dalle varie U.S.L. e dai
vari Comuni chiamati ad applicare le norme relative al t.s.o. A seguito di varie sollecitazioni, il<br />
Ministero <strong>della</strong> Sanità, con circolare 213066 del 21-9-92 risponde a<strong>gli</strong> assessorati alla sanità delle<br />
Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano: dopo aver fatto chiaro riferimento al parere<br />
dell’Avvocatura dello Stato in precedenza citato, e ad un precedente parere dello stesso Ministero<br />
<strong>della</strong> sanità, con (‘attuale parere il medesimo Ministero dimostra di volersene discostare. Si può dire<br />
che il seguente passaggio chiarisce me<strong>gli</strong>o di qualsiasi argomentazione il parere del Ministero: “un<br />
provvedimento di t. s. o., una volta emesso, impone a dei sanitari di intervenire professionalmente,<br />
con <strong>gli</strong> atti tecnici ritenuti più opportuni. Poiché tali atti devono essere eseguiti a prescindere dal<br />
consenso dell’interessato, è necessario attivare ogni forma di persuasione, facendo leva sul proprio<br />
baga<strong>gli</strong>o professionale. Qualora persista una situazione di rifiuto e di opposizione (o ancor più<br />
specifici rischi di pericolosità), <strong>gli</strong> operatori sanitari hanno l’obbligo di segnalare l’impossibilità di<br />
eseguire il provvedimento all’autorità che lo ha emanato (il Sindaco) non competendo ad essi<br />
l’adozione di mezzi coercitivi. In tal caso l’esecuzione del provvedimento può essere effettuata solo<br />
attraverso l’intervento <strong>della</strong> forza pubblica.... “Tale orientamento viene successivamente fatto proprio<br />
dal Ministero de<strong>gli</strong> Interni ( Prefettura di Modena 31-8-93 prot. 2147/12b-1): sulla stessa lunghezza<br />
d’onda, anche se con provvedimenti precedenti a quelli dei Ministeri, la Regione Emilia Romagna<br />
con direttiva del 11-4-89 n 1457.<br />
Dal combinato disposto dei pareri dei Ministeri e <strong>della</strong> Regione appare abbastanza evidente la scelta<br />
di campo de<strong>gli</strong> organi pubblici che così hanno ribaltato il precedente parere dell’Avvocatura dello<br />
Stato più volte citato. Anche se il parere in questione disciplina il riparto delle competenze fra forze<br />
dell’ordine e sanitari, implicitamente finisce per negare la medicalità de<strong>gli</strong> atti di coercizione che<br />
esplicitamente ritiene non di competenza dei sanitari.<br />
Contenzione e stato di necessità<br />
L’Art. 54 Codice Penale recita:<br />
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od<br />
<strong>altri</strong> dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato,<br />
né <strong>altri</strong>menti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo “<br />
Naturalmente il ricorso allo stato di necessità richiede l’esistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge:<br />
• l’attualità del pericolo e assenza di contributi nella causazione del pericolo;<br />
• l’<strong>altri</strong>menti evitabilità del pericolo;<br />
• equivalenza(o prevalenza) del bene salvato rispetto a quello sacrificato.<br />
a) Attualità del pericolo e assenza di contributi nella causazione dell’evento di pericolo.<br />
Quello dell’attualità del pericolo è invero il problema centrale nell’applicazione dello stato di necessità<br />
in medicina.<br />
Deve trattarsi <strong>della</strong> rilevante possibilità del verificarsi dell’evento. Nello stesso senso la Corte di<br />
Firenze nella famosa sentenza Ingiulla in maniera articolata distingue fra interventi urgenti nel senso<br />
<strong>della</strong> assoluta improrogabilità pena il rischio per la vita; necessari prorogabili solo per pochissimo<br />
tempo...ma la omissione comporta pericoli per la vita, di elezione non necessari né urgenti ma solo<br />
mi<strong>gli</strong>orativi delle condizioni di salute del paziente. Solo per <strong>gli</strong> interventi urgenti e necessari la<br />
Corte, con giurisprudenza sostanzialmente mantenuta attualmente, ritiene applicabile la scriminante<br />
dello stato di necessità.<br />
E’ noto come per l’applicazione dello stato di necessità si richieda che il pericolo non deve essere<br />
stato volontariamente causato dallo stesso agente. Tale atteggiamento <strong>della</strong> giurisprudenza si può<br />
spiegare anche con il timore che <strong>altri</strong>menti sarebbe lasciata la possibilità al sanitario di determinare<br />
da se stesso le situazioni di pericolo per intervenire senza il consenso del paziente.<br />
Va sottolineato che non di rado le situazioni che in psichiatria assurgono ad urgenza hanno chiari<br />
segni prodromici che se valutati per tempo possono portare a prevenire la situazione di urgenza.<br />
<strong>Per</strong>ciò, se colposamente ignorati, escludono la sussistenza dello stato di necessità successivamente<br />
venutosi a determinare.
) L’<strong>altri</strong>menti evitabilità del pericolo e l’equivalenza(o prevalenza) del bene salvato rispetto<br />
a quello sacrificato.<br />
La soluzione che viene posta in essere (e che così sacrifica il bene protetto dalla norma) deve<br />
essere l’unica e proprio quella in grado di fronteggiare il pericolo.<br />
Con questa regola si vuole restringere ulteriormente il campo di operatività <strong>della</strong> norma che non<br />
dimentichiamolo può sacrificare beni di pari o inferiore valore rispetto a quelli salvati.<br />
A ben vedere lo stato di necessità tende ad escludere pericolosi spazi di libertà in capo all’agente<br />
contro le condizioni di inferiorità da parte di chi subisce il sacrificio.<br />
Come per altre scriminanti, anche per quella sullo stato di necessità occorre fare un bilanciamento<br />
de<strong>gli</strong> interessi in gioco. L’interesse sacrificato deve essere pari o inferiore a quello salvato.<br />
Nei trattamenti sanitari sembra essere in gioco il bene vita rispetto al bene libertà che sarebbe<br />
sacrificato nel caso di intervento senza il consenso dell’avente diritto. E’ necessario che non vi sia<br />
sproporzione di mezzi impiegati rispetto al pericolo attuale da scongiurare; si risponde <strong>altri</strong>menti<br />
(art.55 c.p.) dell’eccesso colposo nella commissione del fatto scriminante. Sembra quasi una<br />
questione più etica che giuridica stabilire se è prevalente il bene salute (o vita) rispetto al bene<br />
libertà; tuttavia la giurisprudenza più recente sembra timidamente orientarsi per la prevalenza del<br />
bene libertà.<br />
Il problema sembra allora essere quello di capire fin dove può estendersi il diritto di rifiutare le cure e<br />
di vedere fin dove si può estendere il diritto-dovere di intervento del medico.<br />
<strong>Per</strong> il dovere d’intervento generalmente si ritiene valida l’operatività dell’articolo 593 o 328 del c.p.<br />
(ove v’è un dovere d’ufficio). <strong>Per</strong> ciò che riguarda l’art. 593 c.p., chiunque “trovi” una persona ferita o<br />
in pericolo ha l’obbligo di prestare l’assistenza necessaria ( consideriamo che si tratti di un operatore<br />
sanitario) e per l’art. 328 c.p. l’obbligo di mettere in atto il proprio dovere d’ufficio di prestare le cure<br />
a<strong>gli</strong> ammalati scatta in presenza di un rapporto, di lavoro o di altro genere, con la P.A.<br />
In situazioni del genere, essendo il medico tenuto ad intervenire per dovere, d’ufficio o generico, ben<br />
potrebbe, si ritiene, e<strong>gli</strong> vincere la resistenza del paziente dissenziente almeno fintantoché non ha<br />
smesso di prestare le prime necessarie cure. Unico limite all’operatività ditale combinazione di norme<br />
è il fatto che il paziente deve trovarsi in vero pericolo di vita.<br />
Riguardo allo stato di necessità, si può dire che esso risulta in ambito psichiatrico (almeno per ciò<br />
che attiene alle forme terapeutiche coercitive) di ancor più difficile applicazione. Teniamo conto che<br />
qui il fatto da scriminare è solitamente quello relativo alla privazione <strong>della</strong> libertà nelle forme <strong>della</strong><br />
violenza privata (art. 610 c.p.), del sequestro di persona (art. 605 c.p.) del reato di maltrattamenti (di<br />
più rara applicazione) nonché del reato di cui all’art. 613 del c.p.<br />
Tornando allo stato di necessità se guardiamo al requisito dell’attualità del pericolo vediamo che<br />
esso non ricorre quasi mai e ciò perché raramente esistono pericoli per la vita rispetto ad una<br />
malattia mentale che evolve negativamente, tale che senza un tempestivo intervento si pregiudica<br />
negativamente la salute.<br />
Gli episodi più facilmente verificabili, e che sono a monte di decisioni di tipo coercitivo (<strong>contenzione</strong> a<br />
letto) possono riguardare pazienti confusi con gravi disturbi del comportamento o pazienti in preda a<br />
crisi allucinatorie che rifiutano ogni contatto con <strong>gli</strong> operatori o solo deliranti che lucidamente si<br />
oppongono ad ogni relazione terapeutica ( perché ritengono, per esempio, <strong>gli</strong> operatori sanitari siano<br />
loro persecutori).<br />
In casi del genere non può dirsi che esista un pericolo attuale per la persona del paziente; perché al<br />
più capiterà di delirare con maggiore intensità o di arricchire il quadro allucinatorio. E non risulta che<br />
mai nessuno sia morto di allucinazioni o di delirio. Se poi un fenomeno allucinatorio possa essere<br />
messo in relazione causale con episodi autolesionistici o suicidari è cosa oltre che difficile da<br />
dimostrarsi (ex ante) soprattutto futura. E ciò anche se <strong>gli</strong> elementi valutativi esistono già al momento<br />
<strong>della</strong> decisione coercitiva; perché non è facile prevedere eventi futuri che debbono tener conto di<br />
comportamenti umani futuri per il verificarsi dell’evento medesimo. Insomma, fra la previsione
dell’evento (solo possibile) ed il verificarsi dello stesso ci sono troppi passaggi per poterlo collegare<br />
eziologicamente all’omissione dello psichiatra.<br />
E ciò perché a ben vedere l’opposta soluzione del legare a letto, o comunque di limitare in altro<br />
modo la libertà, per il nobile scopo di impedire un possibile suicidio può apparire eccessiva, ma<br />
soprattutto indeterminata per la forma e per la durata.<br />
Da ultimo la questione del mezzo adeguato sembra chiaramente deporre per far apparire eccessivo<br />
legare a letto un malato per costringerlo a curarsi e non fare così stranezze.<br />
Pur rilevando la necessità di un intervento, rispetto alla persona malata di mente disturbante e<br />
potenzialmente auto-eteroaggressiva, non pare, il ricorso allo stato di necessità, di aiuto a scriminare<br />
i fatti tipici potenzialmente riportabili sotto il dominio dei reati contro la libertà morale <strong>della</strong> persona.<br />
Si è ripetutamente detto che il legislatore costituzionale ha inteso impostare i trattamenti sanitari di<br />
norma come volontari salvo l’eccezione dei trattamenti sanitari obbligatori. <strong>Per</strong> definizione la norma<br />
costituzionale di riferimento per ciò che riguarda i trattamenti sanitari è l’art. 32 Cost. che così recita:<br />
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse <strong>della</strong> collettività, e<br />
garantisce cure gratuite a<strong>gli</strong> indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento<br />
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal<br />
rispetto <strong>della</strong> persona umana.”<br />
I principi contenuti nella norma appena riportata sono stati sostanzialmente, e doverosamente,<br />
confermati dall’art.33 <strong>della</strong> L. 833/78<br />
“Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge<br />
e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato, possono essere disposti dall’autorità<br />
accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l‘art.32 <strong>della</strong> Costituzione, nel rispetto <strong>della</strong><br />
dignità <strong>della</strong> persona e di diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta<br />
del medico e del luogo di cura” Emerge dal dettato costituzionale e dall’art. 33( o 1 <strong>della</strong> L. 180 nella<br />
sostanza trasfuso nell’art.33) L.833 che nei casi previsti dalla legge possono essere disposti obblighi<br />
a subire trattamenti e accertamenti. Sembrerebbe potersi interpretare il combinato disposto<br />
normativa appena riportato nel senso di un obbligo di subire un determinato trattamento e non un<br />
obbligo di fare; così per escludere, con <strong>altri</strong>, un presunto dovere di curarsi desumibile dall’art. 32<br />
Cost. Inoltre si desume che l’obbligo riguarda appunto un trattamento (e/o accertamento) e non un<br />
obbligo di cura.<br />
Ed è infatti vero che il legislatore, quando ha previsto trattamenti obbligatori, lo ha fatto determinando<br />
un certo trattamento che i portatori potenziali (è il caso delle vaccinazioni) o attuali (per la malattia<br />
mentale o infettiva) di certe patologie sono chiamati, eventualmente, a subire nell’interesse <strong>della</strong><br />
propria salute e di quella <strong>della</strong> collettività. L’interesse alle cure deve sussistere per entrambi i<br />
soggetti <strong>della</strong> diade, singolo e collettività, e non è consentita la disgiuntiva. A molti autori è<br />
ulteriormente parso che il riferimento al rispetto <strong>della</strong> dignità <strong>della</strong> persona umana consenta la<br />
prevalenza dell’interesse del singolo a fronte di trattamenti non rispettosi del principio in parola. E<br />
anche l’eventuale coercività del trattamento medesimo urterebbe contro la dignità <strong>della</strong> persona<br />
umana, quest’ultima intesa in senso soggettivo e non già oggettivo (cioè non persona astratta come<br />
figura paradigmatica ma persona soggetto vero e vivente).<br />
Appare chiaro che da tutta l’impostazione <strong>della</strong> materia dei trattamenti sanitari psichiatrici non<br />
sembrano potersi trarre argomenti a favore <strong>della</strong> legittimità dell’uso di strumenti di <strong>contenzione</strong> come<br />
invece era previsto nel regolamento <strong>della</strong> previgente legislazione ove era dato leggere: “Nei<br />
manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione<br />
de<strong>gli</strong> in fermi e non possono essere utilizzati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un<br />
medico dell’istituto. “. E’ noto il fatto che la presunta eccezionalità dichiarata nella norma era nel<br />
corso de<strong>gli</strong> anni divenuta regola e i buoni propositi, almeno di riduzione dei mezzi di coercizione,<br />
sono rimasti tali. E’ sintomatica il fatto che nell’art. 77 (d.p.r. 431 del.29/04/76) del regolamento<br />
esecutivo <strong>della</strong> cosiddetta legge penitenziaria (354/75) è dato leggere ancora oggi “Mezzi di<br />
coercizione fisica - La coercizione fisica, consentita per le finalità indicate nel terzo comma dell’art.<br />
41 <strong>della</strong> legge (354/75) e sotto il controllo sanitario ivi previsto, si effettua con l’uso di fasce di<br />
<strong>contenzione</strong> ai polsi e alle cavi<strong>gli</strong>e. La foggia e le modalità di impiego delle fasce devono essere
conformi a quelle in uso per le medesime finalità, presso le istituzioni ospedaliere psichiatriche<br />
pubbliche”. Sembra chiaro, pur se incidentalmente e a titolo esemplificativo, che il legislatore si sia<br />
voluto riferire a<strong>gli</strong> ospedali per disciplinare una materia che nei presupposti ha a che fare con<br />
l’ambiente carcerario facendo una, forse involontaria, assimilazione. Ancora oggi è possibile leggere<br />
in trattati di psichiatria ( o di geriatria) propositi di riduzione del ricorso a mezzi di coercizione<br />
confondendo una discutibile opportunità con la liceità de<strong>gli</strong> atti stessi. Il troppo spesso richiamato<br />
stato di necessità, come abbiamo visto, non aiuta a risolvere il problema <strong>della</strong> liceità <strong>della</strong><br />
<strong>contenzione</strong>. Si è visto come non è stato possibile rinvenire altrove la ricercata liceità.<br />
Con l’ordinanza di t.s.o. del sindaco, debitamente convalidata, il medico chiamato ad attuare il<br />
trattamento non acquista poteri coercitivi; semmai maggiori e più cogenti responsabilità. E a ben<br />
vedere il rapporto coercitivo interno al problema dell’esecuzione del t.s.o. (artt. 34,35 L. 833/78) non<br />
si stabilisce fra medico e paziente ma fra paziente e Stato (in senso lato).<br />
La diretta coercizione non è fra le prestazioni professionalmente richiedibili allo psichiatra: né si può<br />
dire al personale infermieristico che al pari di quello medico è personale sanitario. E visto che<br />
l’organigramma del nuovo assetto <strong>della</strong> psichiatria non prevede figure di personale di custodia non<br />
rimane che concludere che, essendo venuta meno tale esigenza che caratterizzava la vecchia<br />
normativa manicomiale (che invece, coerentemente, prevedeva personale specifico di custodia), il<br />
ricorso all’uso <strong>della</strong> forza fisica è esterno al rapporto terapeutico.<br />
Se anche il paziente si trova a dover subire un t.s.o., come si è più volte affermato, la situazione non<br />
cambia.<br />
In sintesi<br />
a) legare a letto una persona non è un atto medico;<br />
b) <strong>gli</strong> interventi urgenti e necessari sono giustificabili in presenza di pericolo attuale di vita<br />
c) non sono giustificabili interventi coercitivi in via “preventiva”.<br />
“E, vi prego, in questo mondo disumanato, non esitate a scandalizzarvi…” (Bertoldt Brecht)<br />
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mentale, prot. N. 2147/12B-1;<br />
• Nuovo codice di deontologia medica 1998;<br />
• Piano obiettivo per la salute mentale 1998-2000, in Il sole 24 ore Sanità del 9-15/3/99.<br />
Trattamenti sanitari e cause di liceità<br />
• F. Antolisei: Manuale di Diritto Pena/e, parte generale, GIUFFRÈ, Milano, 1975, 246-<br />
251;<br />
• M. Barni e A. Santosuosso: Medicina e Diritto, prospettive e responsabilità <strong>della</strong><br />
professione medica oggi, GIUFFRE, Milano, 1996;<br />
• N. Costa e A. Luzzago: L’ambiguità del “consenso” in psichiatria, in Quad. Psich. Forense<br />
— VOL — i — 1992 — 320-330;<br />
• G. Fiandaca e E. Musco: Diritto pena/e, parte generale, terza edizione, 1995,<br />
ZANICHELLI, Bologna, 523-570;;<br />
• P. Girolami: Alcune considerazioni in tema di consenso al trattamento sanitario con<br />
particolare riguardo all’ambito psichiatrico, Riv. It. Med. Leg.,<br />
1997, 19, 287-311;<br />
• G. ladecola: Potestà di curare e consenso del paziente, CEDAM, Padova, 1998;<br />
• F. Mantovani: Diritto Penale, CEDAM, Padova, 1992;<br />
• G.U. Nannini: Il consenso al trattamento medico, GIUFFRÈ, Milano, cap. VIII e IX;<br />
• D. Pulita n è: Coazione a fin di bene e cause di giustificazione, Il Foro Italiano, 1985,<br />
438-446. (Cosiddetto caso Muccio(i);<br />
• R. Ramacci, R. Riz e M. Barni: Libertà individuale e tutela <strong>della</strong> salute, Riv. It. Med. Leg.,<br />
1983, 5, 848-872;<br />
• S. Ramajoli: Intervento chirurgico con esito infausto senza che sussistano lo stato di<br />
necessità e il “consenso informato” del paziente: conseguenze penlai a carico<br />
dell’operatore, La giustizia penale, 1996, 124-128;<br />
• A. Santosuosso: Il consenso informato, tra giustificazione per il medico e diritto del<br />
paziente, Raffaello Cortina Editore, 1996;<br />
• G. Vassalli: Alcune considerazioni sul consenso del paziente e lo stato di necessità nel<br />
trattamento medico-chirurgico, Arch. Pen., 1973, 81-90.<br />
Responsabilità professionale del medico e dello psichiatra<br />
• F. Bricola: La responsabilità penale dell’operatore di salute mentale: profili penalistici<br />
generali, Atti pubblicati da Centro studi Giuridici e Politici <strong>della</strong> Regione Umbria, 1989;<br />
(Conv. <strong>Per</strong>ugia 18/19-3-1988);<br />
• G. Canepa: Note introduttive allo studio <strong>della</strong> responsabilità professionale dello psichiatra<br />
in ambito ospedaliero, Riv. IT. Med. Leg., 1983, 5, 19-28;<br />
• G. Fiandaca: Problemi e limiti <strong>della</strong> responsabilità professionale dello psichiatra, Il Foro<br />
It., 1988, 107-118;<br />
• G. Fiandaca: Responsabilità penale dell’operatore di salute mentale: i reati omissivi, Atti<br />
pubblicati da Centro studi Giuridici e Politici <strong>della</strong> Regione Umbria, 1989; (convegno di.
<strong>Per</strong>ugia 18/19-3-1988);<br />
• A. Manacorda: Responsabilità dello psichiatra per fatto commesso da infermo di mente.<br />
Prime riflessioni, Il Foro It., 1988, 118-127;<br />
• A. Manacorda: Lineamenti per una riflessione sulla responsabilità penale dell’operatore<br />
di salute mentale, Atti pubblicati da Centro studi Giuridici e Politici <strong>della</strong> Regione Umbria,<br />
1989; (convegno di <strong>Per</strong>ugia 18/19-3-1988);<br />
• G. B. Traverso: La nozione di pericolosità collegata al disturbo psichico: profili<br />
psichiatrico-forensi, Atti pubblicati da Centro studi Giuridici e Politici <strong>della</strong> Regione<br />
Umbria, 1989; (convegno di <strong>Per</strong>ugia, 18/19-3-1988).<br />
Nota:<br />
Nell’elaborazione del presente lavoro è stato fatto ampio riferimento all’articolo “Liceità <strong>della</strong><br />
<strong>contenzione</strong> a letto dei malati psichiatrici”, pubblicato sul sito web www.studiocelentano.it<br />
E-mail: r.canosa@tin.it<br />
Matera, novembre 2004