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Sull'edizione Zaccarello delle Rime del Burchiello ... - Claudio Giunta

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12 GIUNTA_<strong>Burchiello</strong> 451 15-11-2005 14:08 Pagina 468<br />

468 CLAUDIO GIUNTA<br />

antimedicea; così «san Gennaio» è sia una località appenninica<br />

sia il nome <strong>del</strong> santo patrono di Napoli, nome che a sua volta<br />

veicola un’allusione a questa città e alla falsità dei suoi abitanti,<br />

eternata nel Decameron; così il «vaio» è sì l’ornamento <strong>del</strong> Leone<br />

che campeggia sul gonfalone di San Giovanni, ma «si ricordi<br />

che i vai erano tradizionalmente i mantelli di dottori e filosofi, e<br />

che tale abito implicava sapienza». Con queste ipotesi, mi pare,<br />

il lessicografo prende la mano al commentatore portandolo fuori<br />

strada o su una strada infida, cioè dando luogo a congetture non<br />

verificabili circa i sensi riposti dei versi in questione oppure introducendo<br />

rilievi che, pur legittimi in linea di principio, non lo<br />

sono in linea di fatto, cioè non aiutano a chiarire il senso dei passi<br />

in discussione (e non il senso che, in astratto, i termini che si<br />

trovano in quei passi hanno avuto o avranno, talvolta, nel repertorio<br />

burlesco e nella lingua italiana tout court). Si considerino<br />

per esempio i casi seguenti:<br />

XII 1: «Le zanzare cantavan già il Tadeo». Commento: «Tadeo: il “Te<br />

Deum”; la perifrasi dovrebbe indicare la sera (ma esiste anche un traslato<br />

‘sempliciotto’: cfr. [Gian Luigi] Beccaria, [Sicuterat. Il latino di chi non lo<br />

sa, Milano, Garzanti], 1999, p. 47)». Ma cantare il Te Deum significa piuttosto<br />

‘gioire, intonare un canto di giubilo’ (cfr. lo stesso Beccaria, nell’indice<br />

terminologico <strong>del</strong> volume citato).<br />

XXII 15-17: «Ma quel colpo mortale / che diè con tanto sdegno Ercole a<br />

Cacco / mi fé fuggire un granchio fuor <strong>del</strong> sacco». Commento: «per afferrare<br />

il sale <strong>del</strong>l’espressione, occorre ricordare che ‘colpi mortali’ erano<br />

dette le principali e più sostanziose pietanze <strong>del</strong> pasto» (e <strong>Zaccarello</strong> rinvia<br />

al Piovano, XXXI 5 e CXI 68-69 e 98-99). Ma che qui valga l’allusione<br />

gastronomica è per lo meno dubbio; per ‘colpi mortali’ in senso sicuramente<br />

non metaforico cfr. la citata frottola Un pensier, [30]: «chi ssu chi<br />

ggiù dà, ma ’ colpi mortali son que’ da llato».<br />

LV 8: «tu ’l de’ saper, po’ che tu studi in leggi». Commento: «sotto la dimestichezza<br />

dei giuristi per simili problemi, si cela la frequente taccia di<br />

sodomia riservata ai pedanti». Ma si tratta invece di una formula ricorrente<br />

nei sonetti missivi come questo, in cui si sottopone al destinatario un<br />

quesito, serio o ridicolo – cfr. per esempio: «Chi ’l serve, dé saver di sua<br />

natura» (Guido Orlandi, Onde si move, 12); «Chi l’ha servito e serve, dir<br />

de lui / dovrebbe senza error la sua natura» (Beccari, Deh, dite ’l fonte,<br />

12-13); e anche la fiducia nella scienza di chi ‘studia legge’ sembra parodica,<br />

invocata com’è, quella scienza, per chiarire una questione di nessun<br />

conto: si confrontino per esempio questi versi di Alfonso X el Sabio in

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