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MINISTERO PER I BENI<br />
E LE ATTIVITA’ CULTURALI<br />
Bollettino di arCHeologia on line<br />
direZione generale Per le antiCHita’ ii, 2011/2-3<br />
adriana moroni*, FiliPPo aBati**, angela BaldanZa**, maUro Coltorti***,<br />
maria Cristina de angelis****, sara manCini*, BeatriCe moroni**,<br />
PierlUigi PierUCCini***<br />
l’ alto e medio BaCino del tevere dUrante il PaleolitiCo<br />
medio. iPotesi sUl PoPolamento e la moBilitÀ dei grUPPi di<br />
CaCCiatori - raCCoglitori neandertHaliani<br />
in this paper the whole middle Palaeolithic evidence from the upper and middle tiber basin area is concerned. mP<br />
sites from this region can be divided into three different geographic groups: the tuscan Upper tiber valley sites,<br />
the gubbio Basin sites and the other sites from the Umbria territory. the paper involves topics like raw material<br />
procurement, lithic artefact technology and typology, site geographic distribution, geo-morphologic and microstratigraphic<br />
investigations. a model for the neanderthal population dispersal in Central italy during mis 5 and<br />
early mis 4 is proposed.<br />
l’interesse degli studiosi di Preistoria per il Paleolitico inferiore – medio dell’italia centrale<br />
ha subìto, salvo alcune eccezioni, 1 una battuta d’arresto della durata di diversi anni 2 a causa,<br />
con ogni probabilità, della mancanza di ricerche importanti coronate da scoperte significative. 3<br />
rispetto alla visione tradizionale, tuttavia, il quadro crono-culturale relativo alla transizione<br />
Paleolitico inferiore - Paleolitico medio è, in ambito nazionale e internazionale, sensibilmente<br />
cambiato, sia per l’emergere di ulteriori dati e nuove teorie sull’iter evolutivo dell’Uomo<br />
di neanderthal, sia per l’instaurarsi di un approccio metodologico maggiormente articolato e<br />
integrato nel campo degli studi sulle industrie litiche. infatti, se da un lato gli antropologi sembrano<br />
concordi nel riconoscere all’origine del tipo umano protagonista del Paleolitico medio<br />
una graduale evoluzione, «an accretion phenomenon», 4 da Homo heidelbergensis, fino al raggiungimento<br />
della forma classica intorno a 130.000 anni fa; dall’altro lo sviluppo delle indagini<br />
tecnologiche e tecno-funzionali ha permesso di identificare, quale pietra miliare di cambiamenti<br />
culturalmente significativi, la comparsa di sistemi di produzione basati su concetti di predeterminazione<br />
dialettici – come ad esempio i metodi Levallois e discoide – piuttosto che il definitivo<br />
abbandono di “fossili guida” di tradizione più antica, nella fattispecie le amigdale.<br />
1) Cfr. ad esempio la revisione abbastanza recente dei complessi del territorio marchigiano (Broglio et al. 2005).<br />
2) l’ ultimo lavoro di sintesi sull’argomento risale al 2001 (Palma di Cesnola 2001).<br />
3) Una delle scoperte più recenti, il sito di Boccabianca, è stata pubblicata all’inizio del 2000 (silvestrini et al. 2000-2001).<br />
4) HUBlin 2002.<br />
www.archeologia.beniculturali.it<br />
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n.30 ISSN 2039 - 0076<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
Ciò premesso, il presente lavoro si propone, come scopo principale, di raccogliere e riorganizzare<br />
i dati attualmente disponibili relativi al Paleolitico medio dell’alto e medio bacino del<br />
tevere - molti dei quali risultano tuttora inediti - tenendo conto di questa nuova cornice cronologico<br />
– culturale. 5<br />
la regione oggetto di studio, che si presenta sostanzialmente unitaria dal punto di vista<br />
geografico, ha restituito, a partire dalla porzione toscana dell’alta valtiberina, testimonianze<br />
consistenti e numerose sul popolamento del territorio durante il periodo trattato.<br />
Per quel che riguarda la storia delle ricerche e/o il grado di affidabilità dei dati raccolti,<br />
si distinguono sostanzialmente tre diverse aree: l’alta valtiberina toscana, il Bacino di gubbio<br />
e il resto del territorio Umbro.<br />
nell’alta valtiberina toscana le indagini sono state condotte dall’Università di siena. il<br />
loro inizio risale al 1975, quando il prof. Paolo gambassini venne contattato da appassionati locali<br />
a seguito della scoperta di alcuni giacimenti di superficie (Castel di sorci, Casa nuova e<br />
tamburo) situati nel comune di anghiari (su antichi terrazzi del tevere e di un suo affluente, la<br />
sovara) riferibili, secondo i criteri di quegli anni, al Paleolitico inferiore finale e inseribili, cronologicamente,<br />
nel penultimo glaciale (riss o, in linea con la moderna terminologia, stadio isotopico<br />
6). tale attribuzione, effettuata su basi tipologiche, era sostenuta soprattutto dalla presenza<br />
nelle industrie di rari strumenti bifacciali (amigdale) che secondo la tradizionale scansione culturale<br />
del Paleolitico inferiore - medio italiano non potevano essere stati prodotti dai neanderthaliani<br />
e difficilmente potevano risalire ad epoca posteriore allo stadio isotopico 6. 6<br />
vista l'importanza dei ritrovamenti venne deciso, lo stesso anno, di verificare la presenza di deposito<br />
archeologico ancora in posto, scegliendo il giacimento di Castel di sorci per il test (fig.<br />
1): «nell’area più elevata della terrazza è stato fatto un piccolo sondaggio con lo scopo di raccogliere<br />
dati e campioni per la stratigrafia. tale saggio […] si sperava portasse al ritrovamento<br />
1. alta valtiBerina tosCana. vedUta del sito di Castel di sorCi (a destra della strada)<br />
5) Parte di questo lavoro è stato svolto nel corso della tesi di laurea triennale di uno degli autori, la dott. sara mancini (manCini<br />
2009-2010).<br />
6) Borgia - moroni lanFredini 2001; Borgia - moroni lanFredini 2004; Borgia-siCa 2002; CoCCHi et al. 1978; CoCCHi -<br />
gamBassini 1982; gras 1992.<br />
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Bollettino di arCHeologia on line ii, 2011/2-3<br />
di manufatti in posto per individuare l’orizzonte di insediamento. Purtroppo questo obbiettivo<br />
è stato raggiunto solo in parte, perché sono stati rinvenuti soltanto tre manufatti non ritoccati». 7<br />
negli anni successivi, grazie ad una serie di ricognizioni sistematiche effettuate di concerto<br />
con la soprintendenza per i Beni archeologici della toscana e in collaborazione con il<br />
gruppo ricerche archeologiche di sansepolcro (gras), 8 vennero localizzati altri giacimenti<br />
dello stesso tipo situati principalmente sempre nell’area di anghiari.<br />
di recente, terminate le ricognizioni e la raccolta dei materiali, è stato ripreso, ad opera<br />
dell'attuale Unità di ricerca di ecologia Preistorica dell’Università di siena, lo studio tecnologico,<br />
tipologico e funzionale di questi complessi.<br />
allo scopo di meglio precisare la cronologia delle industrie in esame e gli aspetti paleoambientali<br />
ad esse correlabili si è ritenuto opportuno affrontare il problema anche dal punto di<br />
vista geomorfologico coinvolgendo nell’indagine il dipartimento di scienze della terra della<br />
stessa Università di siena, nelle persone dei prof. mauro Coltorti e Pierluigi Pieruccini. 9 nel<br />
contempo è stato effettuato a Castel di sorci, in una trincea scavata nella stessa area del sondaggio<br />
esplorativo del 1975, un campionamento finalizzato allo studio pedologico micromorfologico<br />
dei suoli, studio peraltro ancora in corso. l’indagine archeometrica relativa alla individuazione<br />
dei litotipi e delle fonti di approvvigionamento della materia prima è stata invece affidata al dipartimento<br />
di scienze della terra dell’Università di Perugia ed è coordinata dalla prof. angela<br />
Baldanza. 10<br />
nel caso dell'Umbria la maggioranza dei dati utilizzabili deriva da collezioni conservate<br />
al museo archeologico nazionale di Perugia, che sono frutto dell'attività di ricognizione svolta<br />
sul territorio tra la fine dell' '800 e la prima metà del '900 da due famosi studiosi: giuseppe Bellucci<br />
11 e Umberto Calzoni. 12 le collezioni Bellucci e Calzoni sono state oggetto di revisione<br />
dettagliata negli anni '90 nell'ambito di un progetto di risistemazione del museo archeologico<br />
nazionale di Perugia e dei relativi magazzini, promosso, coordinato e finanziato dalla soprintendenza<br />
per i Beni archeologici dell'Umbria. il progetto si proponeva, tra l'altro, come scopo,<br />
la ricostituzione, a fini espositivi e di studio, di tutti i complessi litici provenienti dalla collezione<br />
Bellucci attraverso il riscontro inventariale effettuato sull'archivio tenuto dal Bellucci stesso.<br />
nel caso del presente lavoro è parso necessario effettuare un ulteriore controllo dei materiali<br />
onde verificarne la provenienza e l’attribuzione crono-culturale alla luce delle ultime teorie relative<br />
ai limiti cronologici e all’inquadramento del Paleolitico medio.<br />
le ricerche dei due studiosi perugini hanno avuto il merito di condurre alla scoperta di<br />
numerosi siti paleolitici e di produrre, in seguito alle raccolte di superficie, una notevole mole<br />
di materiali; purtroppo manca, per queste segnalazioni, una documentazione adeguata sia nei<br />
confronti dell'esatta ubicazione degli insiemi litici, sia rispetto ai criteri con cui sono state effettuate<br />
le raccolte. inoltre, per quel che concerne la collezione Bellucci, si è avuto l’impressione,<br />
durante lo studio, che siano stati raggruppati sotto un medesimo toponimo materiali provenienti<br />
anche da aree piuttosto vaste e che gli oggetti recuperati siano spesso frutto di selezione intenzionale.<br />
tali considerazioni, che fanno emergere la minore affidabilità dei dati umbri rispetto a<br />
quelli provenienti dalla valtiberina toscana, non sono applicabili al Bacino di gubbio, zona<br />
nella quale sono state svolte ricerche ben più recenti effettuate con metodologie moderne e corredate<br />
da un’approfondita indagine geomorfologica. 13 Quest’area è stata infatti materia per uno<br />
studio multidisciplinare nell’ambito di un progetto, “The Gubbio Project”, portato avanti dall’Università<br />
di Cambridge tra il 1983 e il 1987, 14 durante il quale, oltre ad alcuni scavi stratigrafici,<br />
sono state effettuate ricognizioni di superficie nell’intera valle.<br />
m.C.d.a. a.m.<br />
7) CoCCHi et al. 1978, p. 284.<br />
8) a questo proposito si ringraziano per l’appoggio e la collaborazione la soprintendenza per i Beni archeologici della toscana,<br />
il gras e il Centro studi sul Quaternario di sansepolcro.<br />
9) Coltorti et al. 2006; giUsti 2000-2001.<br />
10) aBati et al. 2007.<br />
11) BellUCCi 1884; BellUCCi 1912; BellUCCi 1914.<br />
12) CalZoni 1922; CalZoni 1928; CalZoni 1929.<br />
13) Coltorti 1994, Coltorti infra.<br />
14) malone - stoddart 1994.<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
il Contesto stratigraFiCo<br />
il bacino del tevere rappresenta ed ha rappresentato anche nel Pleistocene medio e superiore<br />
una delle principali vie di comunicazione tra il versante tirrenico e le pianure interne<br />
dell’italia centrale e settentrionale. il medio corso si sviluppa ad est della dorsale narnese-amerina<br />
in quello che è noto come Bacino tiberino, costituito da due principali depressioni tettoniche<br />
orientate circa nno-sse. Queste depressioni, connesse nella parte settentrionale, sono separate<br />
a sud dalla dorsale dei monti martani. si sono originate a partire dal Pliocene inferiore-medio. 15<br />
il bacino occidentale, o ovest-tiberino, percorso dal tevere, si sviluppa tra Perugia a n<br />
e san gemini a s. il settore orientale, o est-tiberino, si sviluppa tra Foligno a n e spoleto a s<br />
ed è percorso da corsi d’acqua regimati tra i quali il Fiume teverone. a nord di Perugia l’alto<br />
corso del tevere si allunga in direzione no-se sino alla depressione di Umbertide-Città di Castello-sansepolcro-anghiari<br />
che costituisce il bacino tettonico più prossimo alla sorgente. Questa<br />
depressione è bordata da una faglia sul lato orientale mentre in quello occidentale i depositi recenti<br />
impediscono di stabilire con certezza le relazioni tra depositi plio-pleistocenici ed il substrato.<br />
a Perugia si realizza inoltre la confluenza del tevere con il Fiume Chiascio, uno dei<br />
principali affluenti, il cui bacino drena la parte occidentale dell’appennino Umbro-marchigiano<br />
ed in particolare, dopo un percorso decisamente tortuoso, le depressioni tettoniche di gubbio 16<br />
e gualdo tadino. 17 i sedimenti più antichi di questi bacini sono di età Pliocene inferiore-medio, 18<br />
ad eccezione di quelli di gualdo tadino di età Pleistocene medio-superiore. sono costituiti da<br />
alternanze di sedimenti ghiaioso-sabbiosi e argillosi prevalentemente continentali deposti in pianure<br />
alluvionali con paludi e stagni e bordate da conoidi alluvionali. si tratta di sedimenti la cui<br />
resistenza ai processi erosivi è decisamente inferiore a quella dei terreni che costituiscono le<br />
dorsali, modellate su rocce calcaree e arenacee litificate. nel passato questi bacini erano interpretati<br />
come fosse tettoniche sviluppatesi a partire dal miocene superiore 19 mentre più recentemente<br />
sono stati interpretati come bacini sinformi, 20 cioè legati alla formazione di ampie pieghe<br />
sinclinali ed anticlinali con attività sinsedimentaria eventualmente associata all’attività di faglie<br />
estensionali a basso angolo più profonde. 21 Faglie estensionali ad alto angolo delimitano il fianco<br />
orientale di quasi tutti i bacini citati e la loro attività è databile alla fine del Pleistocene inferiore<br />
ed è dunque successiva alla genesi della parte più antica del riempimento. 22 i processi erosivi<br />
areali e lineari pleistocenici, favoriti dal generale sollevamento tettonico della catena appenninica<br />
e dalle variazioni climatiche quaternarie, si sono dunque concentrati nei bacini dove affiorano<br />
rocce mioceniche e plioceniche pelitiche facilmente erodibili, modellando un paesaggio collinare<br />
con versanti ondulati poco acclivi ed ampi fondi vallivi. il paesaggio delle dorsali è invece più<br />
aspro, con valli profonde e versanti acclivi, in genere dominato da processi di incisione valliva.<br />
durante le fasi fredde glaciali del Pleistocene medio e superiore, i versanti montani sono<br />
stati interessati da intensi processi nivali e sui rilievi più elevati persino glaciali 23 che hanno indotto<br />
una rapida aggradazione dei corsi d’acqua dominati da tracciati fluviali a canali intrecciati<br />
con alto carico solido ghiaioso. allo sbocco delle valli montane nei bacini si sono così originate<br />
estese conoidi alluvionali la cui messa in posto termina con l’inizio del miglioramento climatico<br />
interglaciale. la rapida ricolonizzazione dei versanti da parte della vegetazione durante gli interglaciali<br />
ha infatti favorito la formazione di suoli spessi e profondamente alterati su versanti<br />
stabili e indotto una progressiva incisione delle valli operata da parte di corsi a meandri, tracciati<br />
in grado di operare anche una intensa erosione laterale. Questa incisione generalizzata ha indotto<br />
il terrazzamento dei depositi alluvionali più antichi, incluse le estese conoidi alluvionali. i processi<br />
di incisione e di erosione dei terrazzi alluvionali hanno così condizionato il potenziale di<br />
preservazione dei depositi contenenti materiali del Paleolitico inferiore e medio. la conserva-<br />
15) amBrosetti et al. 1978; amBrosetti et al. 1987; amBrosetti et al. 1995; BasiliCi 1997; Bonini 1998; Coltorti - PierUCCini<br />
1997a; Coltorti - PierUCCini 1997b.<br />
16) Coltorti 1994.<br />
17) Bosi et al. 1980.<br />
18) Coltorti - PierUCCini 1997a; Calamita et al. 1999.<br />
19) amBrosetti et al. 1978; amBrosetti et al. 1987; martini - sagri 1993.<br />
20) Coltorti - PierUCCini 1997a; Coltorti - PierUCCini 1997b; Bonini 1998.<br />
21) Calamita et al. 1999.<br />
22) Coltorti - PierUCCini 1997b; Calamita et al. 1999.<br />
23) Coltorti - dramis 1988; Coltorti - dramis 1995.<br />
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Bollettino di arCHeologia on line ii, 2011/2-3<br />
zione di reperti abbandonati dai nostri antenati è favorita infatti su superfici stabili e poco o non<br />
interessate successivamente da dinamiche erosive quali la sommità dei terrazzi alluvionali. i<br />
processi di denudamento dei versanti connessi con il ruscellamento tipici delle fasi fredde rendono<br />
invece estremamente difficile la conservazione di resti paleolitici nelle parti medie ed alte<br />
dei versanti. ai piedi dei versanti l’accumulo colluviale e detritico può comunque localmente<br />
aver seppellito e conservato tracce di frequentazione paleolitica come registrato nelle marche a<br />
Ponte di Crispiero. 24<br />
allo stato attuale, nell’area in esame non sono note industrie contenute all’interno di sedimenti<br />
alluvionali del Pleistocene medio-superiore e dunque coeve alla sedimentazione. le industrie<br />
paleolitiche provengono nella grande maggioranza da raccolte di superficie e dunque<br />
sono state verosimilmente abbandonate quando la superficie deposizionale si era stabilizzata e<br />
il reticolo idrografico approfondito. nel caso del Castello di sorci alcune schegge sono state<br />
rinvenute all’interno del paleosuolo relitto durante un saggio esplorativo. 25 alla fine della sedimentazione<br />
fluviale e all’inizio dell’interglaciale, condizioni di clima caldo e umido hanno favorito<br />
la crescita di una fitta vegetazione forestale e i depositi fluviali e detritici deposti durante<br />
la fase glaciale sono stati interessati da processi pedogenetici o di formazione del suolo. in particolare<br />
durante l’ultimo interglaciale (mis 5e) si è sviluppato un profondo suolo a profilo aBC,<br />
lisciviato, argillificato e spesso di colorazione rossa (5 Yr delle Carte munsel), a causa dell’abbondante<br />
presenza di idrossidi di Fe. 26 Questi suoli sono completamente decarbonatati caratterizzati<br />
da un elevato arricchimento in silice e/o quarzo, quest’ultimo dove il substrato è costituito<br />
prevalentemente da rocce terrigene. il processo di lisciviazione dei carbonati ha inoltre condotto<br />
ad una riduzione notevole del volume originario. Questi paleosuoli sono stati successivamente<br />
interessati da processi erosivi che ne hanno asportato elevati spessori, spesso preservandone<br />
solo gli orizzonti profondi.<br />
nel caso in cui processi sedimentari successivi seppelliscano il suolo si parla di paleosuoli<br />
sepolti mentre se il suolo resta sulla superficie si parla di paleosuoli relitti o poligenici.<br />
l’alterazione profonda e le successive lavorazioni agricole impediscono comunque di stabilire<br />
se i manufatti paleolitici fossero stati conservati all’interno dei sedimenti nella parte sommitale<br />
dei terrazzi o fossero stati abbandonati successivamente in superficie. Con la fine dell’interglaciale<br />
e l’inizio dell’Ultima glaciazione il suolo viene degradato ed eroso. durante i brevi periodi<br />
meno freddi o interstadiali (mis 5c, 5a ed inizi 4) si registrano ulteriori fasi di formazione di<br />
suoli che in alcune località dell’italia centro settentrionale 27 seppelliscono il suolo interglaciale.<br />
Questi paleosuoli si sviluppano spesso su sedimenti provenienti dall’erosione del suolo interglaciale<br />
e presentano evidenze di progressivo arricchimento di carbonati (pseudo miceli, noduli,<br />
croste) a testimoniare un ambiente ancora relativamente stabile e vegetato ma con condizioni<br />
via via più aride. le frequenti stone lines che marcano le fasi erosive tra un paleosuolo ed il<br />
successivo indicano invece processi di denudamento e dunque condizioni di elevata aridità ed<br />
assenza o scarsità di vegetazione tipica dei periodi freddi o stadiali.<br />
le indagini geomorfologiche svolte nel bacino del tevere, effettuate in stretta collaborazione<br />
con ricerche archeologiche, hanno riguardato settori limitati del territorio. i settori meglio<br />
studiati sono il bacino di gubbio e quello di anghiari 28 sebbene ricerche geomorfologiche di<br />
dettaglio siano state effettuate anche nei bacini di norcia, Cascia, 29 gualdo tadino 30 e spoleto. 31<br />
all’interno di questi bacini i depositi del Pleistocene medio sono stati fortemente erosi, profondamente<br />
dissecati e conservati solo in tratti limitati. a gubbio 32 i depositi del Pleistocene medio,<br />
alla sommità dei quali sono state rinvenute le industrie litiche del Paleolitico medio, giacciono<br />
in discordanza sui sedimenti pliocenici. si tratta di sedimenti di pianura alluvionale sabbiosi e<br />
siltosi e solo subordinatamente ghiaiosi. l’estesa conoide che doveva essere generata dai depositi<br />
24) Coltorti et al. 1980; Broglio et al. 2005.<br />
25) CoCCHi et al. 1978.<br />
26) Coltorti - PierUCCini 2007b.<br />
27) Coltorti - PierUCCini 2007a.<br />
28) Coltorti et al. 2006.<br />
29) Calamita et al. 1982.<br />
30) Bosi et al. 1987; BlUmetti et al. 1994.<br />
31) Coltorti - PierUCCini 1997a.<br />
32) Coltorti 1994.<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
del Chiascio nella depressione di gubbio è stata quasi completamente erosa e solo limitati lembi<br />
sono conservati sul bordo meridionale della pianura. alla sommità del terrazzo costituito da<br />
questi sedimenti non è mai stato osservato un paleosuolo correlabile con quello dell’Ultimo interglaciale<br />
ma paleosuoli scarsamente lisciviati attribuibili agli interstadiali dell’inizio dell’Ultima<br />
glaciazione. le superfici tuttavia sono sottoposte ad arature profonde e non è dunque<br />
possibile escludere che alcuni manufatti provengano dai sedimenti sottostanti.<br />
la situazione di anghiari è più peculiare. in quest’area, nel settore nord occidentale della<br />
depressione di sansepolcro, è presente un ampio terrazzo alluvionale che costituisce la testimonianza<br />
di una estesa conoide alluvionale formatasi durante la glaciazione del mis 6 allo sbocco<br />
del tevere e dei suoi affluenti all’interno del bacino. la conoide presenta una discreta acclività<br />
nel settore prossimale dove è costituita da ghiaie grossolane e blocchi subarrotondati che testimoniano<br />
l’importanza dei processi di massa (colate di detriti) durante la deposizione. spostandosi<br />
verso sud si osservano superfici poste a quote leggermente diverse, separate da scarpate<br />
anche discretamente acclivi e una brusca diminuzione della pendenza della superficie sommitale.<br />
si tratta dei resti di conoidi terrazzate, possibilmente anche telescopiche, deposte durante<br />
le fasi finali della glaciazione. nella parte apicale non sono stati rinvenuti resti del Paleolitico<br />
medio che sono invece abbondanti nella parte mediana<br />
e distale, anch’essa in parte conservata, e dove si osserva<br />
la transizione tra i sedimenti di conoide e quelli<br />
di pianura alluvionale. in questo settore è stato osservato<br />
un paleosuolo relitto (fig. 2) con un profilo di alterazione<br />
profondo fino a 3 metri, sviluppatosi su<br />
sedimenti prevalentemente siltoso-argillosi che poggiano<br />
su sedimenti ghiaiosi anch’essi profondamente<br />
alterati. il paleosuolo è decarbonatato e argillificato,<br />
presenta una colorazione giallastra e abbondanti figure<br />
tipiche di condizioni di difficile drenaggio interno. lateralmente<br />
in superficie si osserva anche un paleosuolo<br />
decarbonatato, argillificato ma di colorazione rossastra<br />
con spessore molto ridotto e sviluppato su sedimenti<br />
ghiaiosi. Questi paleosuoli relitti indicano condizioni di<br />
pedogenesi di lunga durata, condizioni climatiche calde<br />
e umide e con vegetazione forestale attribuibili all’Ultimo<br />
interglaciale.<br />
la loro successiva erosione varia da luogo a luogo<br />
ed è associata a fenomeni di dilavamento in condizioni<br />
di clima più freddo e arido (Ultima glaciazione). È difficile<br />
stabilire se la differente distribuzione dei reperti<br />
corrisponda a situazioni ecologiche cioè aree di intercanale<br />
o semplicemente a condizioni locali più favorevoli<br />
alla conservazione dei depositi e paleosuoli<br />
contenenti i reperti. in questo settore infatti il suolo<br />
dell’Ultimo interglaciale sebbene troncato, è conservato<br />
su superfici estese seppure anche in questo caso interessato<br />
da lavorazioni agricole. Più a valle, a sud di sansepolcro,<br />
alcuni manufatti provengono dai terrazzi<br />
alluvionali del tevere che purtroppo non sono stati fatti<br />
oggetto di studi sistematici. È dunque difficile stabilire<br />
se si tratti di terrazzi attribuibili alla fine del mis 6 o a<br />
2. alta valtiBerina tosCana. Pro-<br />
Filo del PaleosUolo relitto del<br />
sito di Castel di sorCi<br />
33) silvestrini et al. 2001.<br />
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quelli modellati durante l’incisione valliva nel mis 5e<br />
che nella vicina regione marchigiana hanno restituito<br />
un’industria acheuleana finale non Levallois. 33<br />
m.C. P.P.<br />
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materie Prime e ProvenienZe<br />
34) aBati 2006.<br />
35) aBati et al. 2007.<br />
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le indagini finora effettuate, in collaborazione con il dipartimento di scienze ambientali<br />
“g. sarfatti” dell’Università di siena, hanno avuto lo scopo di caratterizzare, sulla base delle<br />
conoscenze geologico-stratigrafiche, i litotipi utilizzati nei complessi del Paleolitico medio<br />
dell’alta valtiberina toscana al fine di indagare le provenienze delle materie prime tramite un<br />
approccio di tipo archeometrico.<br />
la sinergia fra approccio geologico-stratigrafico, micropaleontologico e geochimico ha<br />
permesso, anche se in fase preliminare, di ottenere risultati interessanti. su una porzione rappresentativa<br />
di manufatti (551 pezzi), appartenenti a diverse categorie tecnotipologiche, è stata<br />
eseguita un’analisi non distruttiva, operata direttamente sui reperti con l’ausilio di uno stereomicroscopio<br />
a fibre ottiche, attraverso la quale è stato possibile discriminare le caratteristiche<br />
delle microfacies delle “selci”, o per meglio dire del “materiale silicizzato”. lo studio effettuato<br />
ha permesso di classificare un elevato numero di manufatti e di riunire in 5 gruppi i principali<br />
litotipi impiegati come materia prima.<br />
l’analisi al microscopio (mediamente a 30X) ha consentito di identificare la componente<br />
bioclastica, originariamente costituita da macro e microforaminiferi a guscio calcitico, alghe<br />
calcaree, briozoi, gusci di bivalvi, spicole di spugne e radiolari, ancora perfettamente conservati<br />
anche dopo aver subito il processo di silicizzazione. l’originario litotipo carbonatico, ad eccezione<br />
delle radiolariti costituite in origine da fango siliceo, è stato oggetto di un lento processo<br />
di sostituzione della calcite con il biossido di silicio; il fenomeno di sostituzione permette, grazie<br />
alla deposizione di un gel di silice microcristallina (conosciuta come opale), la preservazione<br />
delle più fini strutture biogeniche come ad esempio i gusci dei microforaminiferi, le cui dimensioni<br />
massime si aggirano intorno ai 250 microns.<br />
l’efficacia di questo metodo, solo raramente distruttivo, è stata testata in uno studio effettuato,<br />
34 in collaborazione con la soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria, su oltre<br />
300 manufatti del museo archeologico nazionale di Perugia appartenenti alla Collezione Bellucci.<br />
il procedimento messo in atto prevede diverse fasi:<br />
1) analisi geolitologica dei manufatti in selce con metodi non distruttivi;<br />
2) riconoscimento dei litotipi di provenienza tramite analisi del contenuto micropaleonto<br />
logico effettuata direttamente sul reperto;<br />
3) confronto con i campioni di selce prelevati in affioramento;<br />
4) individuazione dei possibili areali di provenienza.<br />
il medesimo approccio, associato ai dati delle analisi geochimiche, è stato utilizzato per<br />
i giacimenti del Paleolitico medio dell’alta valtiberina toscana. 35<br />
su un totale di 551 pezzi analizzati, provenienti da complessi diversi, 480 sono stati<br />
identificati mentre, per 71 di essi, non è stato possibile riconoscere il litotipo originario a causa<br />
di una ricristallizzazione con silice macrocristallina che ha completamente distrutto il contenuto<br />
bioclastico (tab. a).<br />
Biocalcare- C. Posido-<br />
Unità Litostratigrafiche/ Radiolariti/C nitinia Scaglia Corniola/<br />
Formazioni<br />
SITI<br />
. Diasprigni (Olig./Mioc.) (filaments) Rossa Maiolica Non id.<br />
Casa Monti 28 102 137 29 76 60<br />
Poggio Turicchi 5 10 18 29 7 3<br />
Godiolina 0 1 0 3 0 0<br />
Isabella 1 0 0 5 1 1<br />
Rio Secco 2 0 2 4 1 2<br />
San Cassiano 0 12 1 3 3 5<br />
Tabella A. manUFatti analiZZati e attriBUZione all’ UnitÀ litostratigraFiCa di aPPartenenZa<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
i litotipi identificati sono: le radiolariti (diaspri rossi), l’Unità litostratigrafica dei Calcari<br />
diasprigni, l’Unità litostratigrafica della scaglia rossa (di età Cretacica e terziaria), l’Unità<br />
litostratigrafica dei Calcari a Posidonia, le Formazioni della maiolica, della Corniola e delle<br />
calcareniti bioclastiche a grana media e grossolana di età oligo-miocenica appartenenti alla<br />
Unità litostratigrafica della scaglia toscana ed alla Formazione del macigno (membro di molin<br />
novo). i suddetti litotipi sono stati poi organizzati in 5 gruppi:<br />
1 – grUPPo radiolariti/CalCari diasPrigni (fig. 3): in questo gruppo sono stati inseriti sia i<br />
manufatti in selce rossa, riconducibili alle radiolariti rosse (diaspri-dsd) che le selci di colore<br />
verde caratteristiche dell’Unità litostratigrafica dei Calcari diasprigni appartenenti alla successione<br />
stratigrafica Umbro-marchigiana. la microfacies in entrambi i casi è caratterizzata da<br />
abbondanti radiolari (nassellaria e spumellaria) e spicole di spugne.<br />
3. alta valtiBerina tosCana. ConFronto Fra miCroFaCies da litotiPi di aFFioramento e miCro-<br />
FaCies del manUFatto litiCo (riQUadro a sin. litotiPo diasPro/radiolarite)<br />
2 – grUPPo delle BioCalCareniti (fig.4): in questo gruppo sono stati inclusi i manufatti di<br />
vario colore (nocciola, marrone scuro, giallo ocra, verde sfumato grigio) in cui sono visibili abbondanti<br />
bioclasti di taglia arenitica da media a grossolana. il contenuto in macroforaminiferi<br />
ed altri bioclasti di invertebrati ha permesso di identificare le microfacies biocalcarenitiche presenti<br />
sia all’interno della Formazione del macigno - maC1 e maC2 - (membri di Poggio Belvedere<br />
e di lippiano - oligocene superiore/miocene) che nella più antica Unità litostratigrafica<br />
della scaglia toscana (membro di dudda: Litofacies di montanare-sto 4a e Litofacies di Poggioni-sto<br />
4b). sono state incluse in questo gruppo anche alcune selci di colore grigio scuro,<br />
prive di resti fossili ed omogenee, la cui provenienza potrebbe essere dai livelli calcareo-marnosi<br />
ricchi di silice della Formazione della montagnaccia (ren).<br />
4. alta valtiBerina tosCana. ConFronto Fra miCroFaCies dei litotiPi BioCalCareniti in aFFioramento<br />
e miCroFaCies di Un manUFatto Proveniente da san Cassiano<br />
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3 – CalCari a Posidonia (FiLAmenTs)(fig. 5): questo gruppo contiene le selci di colore variabile<br />
dal verde al rosso, al grigio al marrone chiaro, dove è possibile osservare un accumulo di gusci<br />
di bivalvi lunghi e sottili, fortemente impacchettati, riferibili alla famiglia dei Posidonidae, vissuti<br />
durante il giurassico medio (aaleniano). Questa U.l. appartenente alla successione stratigrafica<br />
Umbro-marchigiana affiora nella valle del Bosso, in valdorbia ed in altri areali,<br />
sovrapposta alla U.l. del rosso ammonitico Umbro-marchigiano.<br />
5. alta valtiBerina tosCana. ConFronto Fra miCroFaCies da litotiPi di aFFioramento e miCro-<br />
FaCies di manUFatti da Casa monti attriBUiti a CalCari a Posidonia siliCiZZati. in alto: litotiPo<br />
CalCari a Posidonia (Filaments), immagini delle miCroFaCies<br />
4 – sCaglia rossa (fig. 6): in questo gruppo sono state inserite le selci di colore rosso (chiaro<br />
e scuro), rosa e bianco-rosato che contengono abbondanti micro- foraminiferi planctonici; in<br />
molte selci è stato possibile, grazie al buono stato di conservazione dei fossili, discriminare l’appartenenza<br />
stratigrafica al Cretacico (dal santoniano al maastrichtiano) o al terziario (dal Paleocene<br />
all’eocene medio).<br />
5 – Corniola/maioliCa: qui sono state incluse tutte le selci di colore nocciola e grigio chiaro<br />
con abbondanti radiolari e spicole di spugna. Purtroppo il contenuto in microfossili non è stato<br />
esauriente per separare le due litologie. il colore delle selci in affioramento delle due unità litostratigrafiche,<br />
nocciola per la Corniola e grigio chiaro/scuro per la maiolica può essere un carattere<br />
di distinzione, ma in ogni caso rimangono incertezze.<br />
lo step successivo è stato la raccolta di campioni rappresentativi da affioramenti, sia in<br />
areali limitrofi all’area dei siti preistorici (greti del fiume sovara, Ponte alla Piera, località Casa<br />
monti) che in areali distanti appartenenti al settore Umbro-marchigiano (gola del Bosso, fiume<br />
Candigliano, Cava di s. anna al Furlo, norcia e massicci Perugini). il confronto fra le microfacies<br />
ed i dati dell’analisi geochimica (caratterizzazione geochimica tramite iCP-ms- inductively<br />
coupled plasma mass spectrometry) hanno permesso di avanzare ipotesi sulle possibili<br />
provenienze della selce impiegata nella fabbricazione delle industrie.<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
6. alta valtiBerina tosCana. ConFronto Fra miCroFaCies di sCaglia rossa e Un manUFatto<br />
Proveniente da Casa monti. in alto litotiPi della sCaglia rossa gola del FUrlo e massiCCi<br />
PerUgini): miCroFaCies da CamPione totalmente siliCiZZato (a sin.) e miCroFaCies CostitUite<br />
da waCkestone a ForaminiFeri<br />
nel grafico in basso (fig.7) vengono riportati i dati del confronto fra manufatti di Casa<br />
monti e di san Cassiano e campioni di affioramento di Calcari diasprigni e Calcari a Posidonia<br />
(Filaments) provenienti dalla gola del Bosso. i reperti di Casa monti e san Cassiano hanno evidenziato<br />
analogie composizionali con i campioni in oggetto; mostrano tuttavia delle anomalie<br />
(Cesio e eutropio) dovute ad una componente di origine silicoclastica non rinvenuta nei campioni<br />
di affioramento. gli stessi reperti mostrano inoltre bassi valori di Cobalto (componente<br />
metallica) rispetto ai campioni di affioramento. Questo fatto potrebbe essere imputato alla lunga<br />
permanenza dei manufatti all’interno del suolo che li avrebbe impoveriti delle componenti metalliche<br />
tramite fenomeni di dilavamento.<br />
7. alta valtiBerina tosCana: ConFronto Fra manUFatti di Casa monti e san Cassiano e Cam-<br />
Pioni di aFFioramento di CalCari diasPrigni e CalCari a Filaments Provenienti dalla gola<br />
del Bosso<br />
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i grafici qui di seguito (fig.8) pongono a confronto i campioni di affioramento della U.l.<br />
della scaglia rossa (Cretacea e terziaria) dell’areale di norcia (alta valnerina), dell’areale di<br />
Perugia (massicci Perugini) e della gola del Furlo (fiume Candigliano) con i manufatti altotiberini.<br />
si evidenzia una provenienza da un bacino pelagico caratterizzato da significativi apporti<br />
terrigeni (cfr. pattern ree- rare earth elements) e di natura mafica refrattaria (cfr. dati Co e v);<br />
questi caratteri denotano maggiori analogie con i materiali di affioramento perugini piuttosto<br />
che con i materiali di affioramento nursini. il campione di affioramento di scaglia rossa (terziaria)<br />
proveniente dalla gola del Furlo mostra significative analogie con i reperti di anghiari<br />
attribuiti (tramite analisi microscopica) alla scaglia rossa di età terziaria.<br />
8. alta valtiBerina tosCana. a) dati analitiCi della U.l. della sCaglia rossa (CretaCea e ter-<br />
Ziaria) dell’areale di norCia (alta valnerina), dell’areale di PerUgia (massiCCi PerUgini) e<br />
della gola del FUrlo; B) ConFronti Con manUFatti dell’areale di angHiari<br />
in basso (fig.9) vengono confrontati i dati ricavati dell’analisi delle selci di Casa monti<br />
e san Cassiano attribuite al gruppo delle Biocalcareniti, che risultano molto simili fra loro; i<br />
9. alta valtiBerina tosCana. ConFronto tra aFFioramenti e rePerti di Casa monti e s.Cassiano<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
manufatti di Casa monti si distinguono per la presenza significativa di una componente silicoclastica<br />
refrattaria (cfr. anomalie di eutropio). la derivazione è da sedimenti carbonatici arricchiti<br />
da una componente terrigena (cfr. anomalie di Cesio) di natura in parte metallifera (cfr.<br />
valori di Cobalto e nichel).<br />
il campione di affioramento prelevato nell’alveo del torrente sovara mostra significative<br />
analogie nei confronti dei reperti di san Cassiano, sebbene i più alti tenori di stronzio (sr) ne<br />
evidenzino il minore grado di silicizzazione. Un campione di affioramento prelevato nei dintorni<br />
di Casa monti mostra sostanziali affinità geochimiche nei confronti dei reperti di questo sito,<br />
sebbene anche in questo caso il campione riveli un minor grado di silicizzazione.<br />
valori elevati di sr potrebbero anche suggerire una possibile provenienza dei materiali<br />
dai livelli basali, a maggiore componente biocalcarenitica, della marnoso arenacea Umbra<br />
(membro di Casa spertaglia) poco silicizzati.<br />
anche se i dati sono da considerare ancora insufficienti per delineare un panorama completo<br />
sulle fonti di approvvigionamento di materie prime litiche utilizzate dai gruppi che frequentarono<br />
l’alta valtiberina toscana nel corso del Paleolitico medio, i risultati finora ottenuti<br />
hanno consentito comunque di identificare litotipi raccolti nelle aree limitrofe ai siti, come ad<br />
esempio le Biocalcareniti (provenienti dal macigno e dalla scaglia toscana) e le radiolariti affioranti<br />
lungo il sovara (Ponte alla Piera, ar), e selci prelevate in aree lontane svariate decine<br />
di chilometri (fig. 16). Per queste ultime la raccolta riguarda sia la selce della scaglia rossa diffusa<br />
lungo il greto del Candigliano (gola del Furlo), sia le selci provenienti dal litotipo Calcari<br />
a Posidonia, caratterizzate da un’abbondante componente di gusci di bivalvi, reperibili nell’areale<br />
della gola del Bosso (PU), dove questo particolare litotipo affiora al di sotto dei Calcari diasprigni.<br />
36<br />
le selci provenienti dalla scaglia rossa potevano anche essere raccolte lungo il greto<br />
dei principali corsi d'acqua che drenavano la dorsale dei massicci Perugini. in particolare è possibile<br />
che l'areale di monte acuto (Umbertide) rappresentasse una fonte di selci della scaglia<br />
rossa ed al contempo un occasionale sito di raccolta delle biocalcareniti della marnoso arenacea<br />
Umbra (membro di Casa spertaglia).<br />
a.B. F.a. B.m.<br />
i ComPlessi litiCi:<br />
CaratteristiCHe, inQUadramento e distriBUZione geograFiCa<br />
le industrie litiche dell’alta valtiberina toscana presentano tra loro caratteri sostanzialmente<br />
omogenei (figg.10-11). i supporti di partenza sono ciottoli e blocchi con tracce di rotola-<br />
10. alta valtiBerina tosCana. indUstria litiCa<br />
36) la vicinanza con questa unità ricca di livelli silicei (radiolaritici) ha probabilmente favorito, in fase diagenetica, la silicizzazione<br />
dei livelli a filaments.<br />
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11. alta valtiBerina tosCana. indUstria litiCa<br />
37) CremasCHi - Peretto 1977; CremasCHi - Peretto 1988.<br />
38) CremasCHi - CristoPHer 1984.<br />
39) Bisi et al. 1980.<br />
40) BoCCHini - Coltorti 1980.<br />
41) Coltorti et al. 1980.<br />
42) Bartolomei et al. 1966; Broglio et al. 2005.<br />
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mento la cui origine è da ricercare, come si è visto, sia localmente che nell'ambito delle formazioni<br />
umbro – marchigiane. lo stato fisico è fresco e la patina, che interessa la maggior parte<br />
dei manufatti, è generalmente leggera. dal punto di vista tecnologico emerge la frequenza di<br />
elementi (nuclei e supporti) che denunciano l'impiego del metodo Levallois affiancato da quello<br />
discoide (meno diffuso); numerosi sono infatti gli esemplari piatti con distacchi dorsali organizzati,<br />
tallone faccettato e bulbo prominente che attestano l'applicazione del concetto di predeterminazione<br />
Levallois (nelle modalità sia ricorrente che lineale). le dimensioni dei pezzi sono<br />
prevalentemente grandi anche se non mancano elementi di taglia ridotta. la lavorazione dei manufatti<br />
avveniva, almeno parzialmente, in loco come dimostrato dal rinvenimento dei prodotti<br />
del débitage relativi alle diverse fasi della catena operativa.<br />
nella tipologia si osserva una netta prevalenza di raschiatoi tra i quali figurano anche<br />
strumenti a ritocco scalariforme di tipo Quina (nettamente minoritari) e a ritocco piatto, seguiti<br />
da punte e denticolati. Costante, ma percentualmente non significativa, è la presenza di bifacciali<br />
amigdaloidi (fig. 12) di fattura generalmente scadente e spesso di piccole dimensioni. i complessi<br />
altotiberini mostrano vistose analogie con quelli rinvenuti sul versante adriatico della pianura<br />
padana. in particolare il sito di ghiardo è caratterizzato da un’industria di tecnica Levallois con<br />
alcuni sporadici bifacciali 37 attribuita all’inizio del mis 4. 38<br />
le industrie di erbarella, 39 Colonia montani 40 e Ponte di Crispiero, 41 quest’ultima rinvenuta<br />
sulla superficie di troncatura del suolo interglaciale alla base di una spessa sequenza eolica<br />
e detritica, sono attribuite anch’esse agli interstadiali dell’inizio dell’Ultima glaciazione.<br />
Caratteristiche analoghe presentano inoltre le industrie di tecnica Levallois senza bifacciali dello<br />
strato g di monte Conero. 42<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
12. alta valtiBerina tosCana. indUstria litiCa<br />
nel corso del “Gubbio Project” sono stati identificati oltre 30 siti del Paleolitico medio<br />
che hanno restituito quantitativi di materiale assai variabili che vanno da un massimo di 134<br />
pezzi (sito 301) a poche unità. la scarsa entità numerica della maggioranza dei complessi rinvenuti<br />
ha dato corpo all’ipotesi che la frequentazione della valle da parte dell’Uomo sia stata<br />
piuttosto sporadica e legata a visite stagionali effettuate da piccoli gruppi di cacciatori. in seguito<br />
ad una serie di osservazioni basate sullo stato fisico delle industrie, sulle fonti di approvvigionamento<br />
della materia prima e sulle relazioni tra depositi alluvionali terrazzati e paleosuoli relitti<br />
gli autori ritengono che il popolamento del territorio eugubino nel corso del Paleolitico medio<br />
sia anch’esso da collocare principalmente nell'arco di tempo compreso tra 120.000 e 70.000<br />
anni BP. lo studio delle industrie (fig. 13) ha evidenziato una produzione dei manufatti in situ attestata<br />
dalla presenza delle diverse fasi di riduzione del nucleo, così come un utilizzo di materia<br />
prima quasi esclusivamente locale prelevata nelle ghiaie dei corsi d’acqua e la cui origine è stata<br />
individuata in un’unità (r4) della scaglia rossa che si trova sulle colline circostanti. al contrario<br />
sembra non vi sia alcuna prova di una manifattura sul posto dei bifacciali, il che condurrebbe<br />
ad ipotizzare che questi strumenti facessero parte del kit da viaggio in dotazione ai cacciatori.<br />
in tale contesto merita sottolineare il fatto che a gubbio, analogamente a quanto avviene<br />
nell’alta valtiberina, sono documentate anche materie prime non locali sebbene rappresentate<br />
da pochi elementi. il metodo Levallois appare largamente applicato nelle modalità sia ricorrente<br />
che lineale e risulta caratterizzato da un notevole sfruttamento dei nuclei, ricavati anche da<br />
schegge, come attestato dalle loro piccole dimensioni se paragonate a quelle dei relativi prodotti.<br />
Un iper sfruttamento della materia prima sarebbe comprovato inoltre, secondo gli autori,<br />
dall'elevata percentuale di raschiatoi bilaterali nei confronti degli unilaterali. anche nell’eugubino,<br />
come nel resto del territorio umbro, si registra la presenza di una componente di tipo Quina<br />
più o meno importante a seconda dei siti, ferma restando una considerazione prudente rispetto<br />
all’omogeneità dei complessi rinvenuti.<br />
Passando al resto dell’Umbria (fig. 14), ossia alle industrie facenti parte delle suddette<br />
collezioni, si osserva che le loro caratteristiche ricalcano puntualmente quelle descritte per il<br />
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13. territorio eUgUBino. indUstria litiCa<br />
14. areale di PerUgia. indUstria litiCa<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
territorio di gubbio. 43 la materia prima utilizzata è costituita in netta prevalenza da ciottoli e<br />
piccoli blocchi di selce con tracce di rotolamento raccolti nel letto dei corsi d'acqua; il formato<br />
spesso ridotto dei supporti di partenza si riflette nelle piccole dimensioni dei prodotti della scheggiatura<br />
e la tendenza al risparmio di materia prima è confermata anche dall'elevata presenza di<br />
strumenti a ritocco scalariforme, i cui margini sembrano essere stati più volte ravvivati. Come<br />
nella valtiberina toscana e a gubbio le amigdale sono di norma presenti con percentuali mediamente<br />
molto basse (fig.15).<br />
i caratteri comuni alle industrie dell’alto e medio bacino del tevere sono riassumibili<br />
nei seguenti punti:<br />
- attuazione dell’intera catena operativa per la fabbricazione degli strumenti in loco, ma affiancata<br />
dalla presenza di alcuni elementi per i quali la manifattura in loco non è provata;<br />
- sviluppo del metodo Levallois sia ricorrente che lineale; presenza costante anche se meno frequente<br />
del metodo discoide e uso sporadico del metodo Levallois da punte;<br />
- presenza di esemplari di tipo Quina; 44<br />
- condivisione, fra i ritoccati, di una serie di tipi morfologicamente standardizzati;<br />
- bassissima incidenza di bifacciali in genere poco rifiniti e di bassa qualità tecnica, tra cui<br />
alcuni di piccole dimensioni; questi strumenti spesso non figurano nei complessi poco numerosi,<br />
mentre sono di regola presenti almeno con un esemplare in quegli insiemi che superano il centinaio<br />
di pezzi.<br />
differenze sono invece ravvisabili, oltre che nella maggiore (Umbria) o minore (valtiberina<br />
toscana) incidenza di manufatti Quina, nel fattore dimensionale (le industrie alto tiberine<br />
sono in media più grandi) e nel grado di sfruttamento dei nuclei e di trasformazione dei supporti<br />
(maggiore nel territorio umbro, specialmente nel perugino).<br />
il ricorrere un po’ in tutti i complessi umbri delle due componenti, Levallois e Quina,<br />
talora in percentuali pressoché paritetiche, pone il problema del significato da attribuire a questa<br />
compresenza: siamo di fronte a gruppi differenti, eventualmente anche in senso cronologico,<br />
che hanno frequentato puntualmente gli stessi siti lasciando ciascuno sul terreno la testimonianza<br />
tangibile della propria specifica identità; oppure il dato archeologico rispecchia la presenza di<br />
un unico ampio e diversificato patrimonio tecnologico dal quale si attingeva a seconda delle esigenze,<br />
della funzione e, perché no, delle capacità individuali?<br />
15. areale di PerUgia. indUstria litiCa<br />
43) moroni lanFredini 1995-96; moroni lanFredini 1999; moroni lanFredini 2009.<br />
44) non è ancora chiaro se alla presenza di queste tipologie corrisponda effettivamente l’uso di sistemi tecnici Quina; si tratta<br />
di uno degli aspetti che andranno chiariti con il prosieguo dello studio delle industrie, ad oggi ancora in fase molto preliminare.<br />
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nelle pubblicazioni relative al Paleolitico inferiore-medio 45 dell’italia centrale viene privilegiata<br />
in genere la prima ipotesi e si tende ad identificare, nel predominio/presenza esclusiva<br />
dell’una o dell’altra componente, facies differenti dell’acheuleano finale più o meno coeve: la<br />
zona padano-alto adriatica (all’interno della quale vengono inserite anche le industrie altotiberine)<br />
avrebbe ospitato un aspetto caratterizzato dallo sviluppo di un’abbondante industria su<br />
scheggia di tecnica Levallois, mentre l’area tirrenica si sarebbe distinta per uno strumentario di<br />
tipo tayacoide o pre-laquinoide.<br />
in mancanza, a tutt’oggi, di dati crono-stratigrafici di riferimento, la questione è destinata<br />
a rimanere ancora irrisolta. Ci preme, tuttavia, sottolineare alcune “coincidenze” tecnologiche<br />
che affiorano dalla comparazione dei complessi esaminati: al maggiore sviluppo degli elementi<br />
Quina si associa, infatti, di regola, un materiale di dimensioni all’origine più piccole - con relativi<br />
prodotti di formato mediamente inferiore - e uno sfruttamento talora esasperato di nuclei<br />
e strumenti anche nel campo della produzione Levallois, pur sempre presente; sulla scorta di<br />
queste osservazioni non si può escludere – con stretto riferimento al periodo e all’area geografica<br />
di cui ci stiamo occupando – che l’adozione di un sistema operativo piuttosto che di un altro<br />
possa essere stata almeno in parte quantitativamente influenzata da fattori contingenti, fra i quali<br />
l’abbondanza e/o le dimensioni e/o la qualità della materia prima di volta in volta reperibile sul<br />
posto. 46 Che il problema materia prima non sia l’unico agente in gioco è comunque dimostrato<br />
dai risultati emersi dallo studio sulla provenienza della selce altotiberina - in contesti dunque a<br />
bassa incidenza Quina - che ha messo in luce un elevato utilizzo di materiali raccolti lontano<br />
dai siti. se confermata, 47 la notevole percentuale di risorse litiche alloctone, classificabili ancora<br />
come circumlocali 48 (fig.16) ma le cui fonti si situano a distanze ben superiori ai 20 km in linea<br />
16. alta valtiBerina tosCana. areale di aPProvvigionamento delle materie Prime litiCHe Con<br />
l’indiCaZione delle PrinCiPali direttriCi di ProvenienZa delle selCi alloCtone (in rosso: sCaglia<br />
rossa ; in verde: CalCari a Posidonia)<br />
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Bollettino di arCHeologia on line ii, 2011/2-3<br />
45) Palma di Cesnola 1984; Palma di Cesnola 1996; Palma di Cesnola 2001; Broglio 1998; galiBerti 1980-81; 1982;<br />
martini - volante 1995.<br />
46) a questo proposito si può citare l’industria litica del Paleolitico medio di abeto di norcia che non è stata conteggiata nel<br />
presente studio perché si trova al di fuori dell’area geografica considerata. Qui l’ampia disponibilità di materia prima di buona<br />
qualità dovuta alla presenza di noduli di selce affioranti avrebbe creato le condizioni per una complessiva minor attenzione nei<br />
confronti del risparmio di materiale, producendo un’industria con pezzi meno trasformati ed esemplari Quina assai rari.<br />
47) Per il momento è stato esaminato in modo esaustivo solo il giacimento di Casa monti.<br />
48) vengono considerate locali le materie prime provenienti da fonti situate entro un raggio di 5 km, circumlocali quelle comprese<br />
entro un raggio di 50 km ed esotiche quelle reperibili a distanze maggiori di 50 km (Bietti 2005).<br />
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d’aria, 49 collocherebbe l’alta valle del tevere in una posizione anomala rispetto non solo ai restanti<br />
complessi umbri, ma anche a quella che, sulla base degli studi archeometrici, sembra<br />
essere stata la tendenza generale dei gruppi umani per l’intero arco del Paleolitico medio in area<br />
non solo peninsulare. 50<br />
il fenomeno risulta, tuttavia, più comprensibile qualora lo si diluisca in un contesto cronologico<br />
di lunga durata e ammettendo che il prelievo di materiale poteva avvenire di volta in<br />
volta nel luogo di approvvigionamento più vicino alla destinazione finale durante regolari spostamenti<br />
nell’ambito di un territorio di caccia e di raccolta la cui estensione doveva includere<br />
almeno parte dell’attuale areale umbro-marchigiano. 51 tale problematica potrà essere meglio<br />
chiarita quando, oltre ad approfondire le indagini sull’origine e l’effettiva disponibilità delle<br />
materie prime locali, verrà condotto a termine lo studio integrale dei complessi e i dati tecnologici<br />
potranno essere confrontati in modo puntuale con quelli archeometrici.<br />
venendo alla distribuzione geografica (figg. 17-23), sembra opportuno precisare innanzitutto<br />
che i siti presi in esame hanno restituito raccolte assai diversificate dal punto di vista numerico;<br />
si passa infatti da industrie abbondanti formate da centinaia di pezzi a piccoli insiemi<br />
siti con num. di pezzi compreso fra 0 e 10 siti con num. di pezzi compreso fra 10 e 100 siti con num. di pezzi superiore a 100<br />
17. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo medio dell'alta valtiBerina tosCana:<br />
1. san Cassiano; 2. Casa monti; 3. Poggio tUriCCHi; 4. godiolina; 5. Colle; 6. ColFiorito; 7. CHiaraBelle; 8.<br />
Castel di sorCi; 9. san lorenZo; 10. rio seCCo; 11. isaBella; 12. ronCione; 13. Casa nUova - tamBUro; 14. Ca-<br />
PannaCCe; 15. Poggio rosso; 16. PUiCCHi; 17. riolo di monterCHi; 18. sigliano; 19. sant’antimo; 20. san leo<br />
CamPosanto; 21. tiZZano; 22. tiZZano il riolo; 23. ColleveCCHio; 24. i ConCHi; 25. ZanCHi; 26. Passerina; 27.<br />
Pianoli Pistrino; 28. BasiliCa<br />
49) si andrebbe da un minimo di 28-30 km per il bacino del Candigliano a un massimo di 40 per quello del Bosso.<br />
50) Bietti 2005; BosCato et al. 2010; ronCHitelli et al. 2010. al contrario non sembrerebbe del tutto insolita la presenza, in<br />
giacimenti del Paleolitico medio italiano – ma anche francese (slimak 2008) – di basse percentuali di litotipi esotici (Cfr. negrino<br />
- starnini 2005).<br />
51) affrontare in questa sede questioni complesse di portata socio-economica quali la possibile esistenza di sistemi di scambio<br />
fra i gruppi neandertaliani, argomento peraltro oggetto di dibattito tra gli studiosi (Bietti 2006; slimak 2008), sembra prematuro<br />
dato il carattere preliminare dello studio.<br />
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18. alta valtiBerina tosCana. distriBUZione ed estensione dei PrinCiPali giaCimenti del PaleolitiCo<br />
medio (le Zone in grigio meno intenso indiCano le aree Con minor ConCentraZione di<br />
rePerti) (sCala 1: 5.000)<br />
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19. territorio UmBro 1. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo medio:<br />
1. Badiali; 2.Citta’ di Castello; 3. val di morra; 4. montone; 5. Cortona; 6. lisCiano niCCone; 7. tUoro sUl<br />
trasimeno; 8. ParlesCa<br />
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20. territorio UmBro 2. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo medio. i siti senZa<br />
nUmero sono QUelli identiFiCati nel Corso del “gUBBio ProjeCt”:<br />
9. PietralUnga; 10. gUBBio; 11. sigillo; 12. Castiglione aldoBrando; 13. serra BrUnamonti; 14. san Pellegrino;<br />
15. CarBonesCa; 16. gUaldo tadino; 17. CaPrara; 18. Casa Castalda; 19. Caresto<br />
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21. territorio UmBro 3. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo medio:<br />
20. BorgHetto; 21. Castiglion del lago; 22. PaniCarola; 23. magione; 24. Fratte; 25. PerUgia; 26. Castel del<br />
Piano; 27. Pila; 28. il Pino; 29. san martino in Colle; 30. san niCColo’ di Celle; 31. s. enea; 32. Badiola; 33. san<br />
Biagio della valle; 34. villa FiBBino; 35. monte vergnano; 36. PaPiano; 37. CollePePe Casalina; 38. marsCiano;<br />
39. Citta’ della Pieve; 40. Fratta<br />
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22. territorio UmBro 4. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo medio:<br />
41. FrattiCCiola selvatiCa; 42. CoCCorano; 43. PiloniCo Paterno; 44. valFaBBriCa; 45. noCera UmBra; 46.<br />
BosCo; 47. Civitella d’arno; 48. riPa; 49. lidarno; 50. sant’egidio; 51. Petrignano; 52. loCalita’ Fra sant’egidio<br />
e Collestrada; 53. Collestrada; 54. BrUFa; 55. Bastia; 56. santa maria degli angeli; 57. armenZano; 58. CollePino;<br />
59. Bettona; 60. Costano; 61. Cannara; 62. CollemanCio; 63. CanaliCCHio; 64. gaglietole; 65. Ponte di<br />
Ferro; 66. Bevagna; 67. Foligno; 68. BelFiore; 69. sant’eraClio; 70. monteFalCo; 71. madonna della stella;<br />
72. sellano; 73. giano dell’UmBria<br />
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23. alta valtiBerina tosCana e territorio UmBro. distriBUZione geograFiCa dei siti del PaleolitiCo<br />
medio dell’alto e medio BaCino del tevere<br />
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costituiti anche da poche unità, a rinvenimenti di singoli manufatti. nella grafica 52 i siti sono<br />
stati, pertanto, ripartiti su basi empiriche in tre categorie secondo il numero di reperti rinvenuti.<br />
lo scopo è quello di distinguere tra i luoghi dove la frequentazione umana fu sicuramente<br />
più intensa e/o ripetuta, ossia i luoghi che nel tempo si sono probabilmente conservati favorevoli<br />
dal punto di vista ambientale e delle risorse disponibili 53 (3° gruppo con numero di manufatti<br />
>100), 54 e i territori invece che, pur venendo percorsi (per battute di caccia o per semplici spostamenti),<br />
non presentavano verosimilmente le caratteristiche ideali per stanziamenti prolungati<br />
(1° gruppo con numero di manufatti compreso tra 1 e 10). tra questi due estremi abbiamo posto<br />
un terzo insieme (numero di manufatti >10 ≤ 100), una sorta di raggruppamento “cuscinetto”,<br />
un residuo insolubile che si presenta con caratteri misti comprendendo sia siti funzionalmente<br />
assimilabili al 1° gruppo, sia siti che possono avere restituito quantitativi di manufatti non elevati<br />
per motivi legati a carenze nelle ricerche, alla durata delle stesse o più semplicemente a problemi<br />
tafonomici. dal punto di vista socio territoriale il 3° e il 1° gruppo potrebbero rispecchiare entità<br />
che nel linguaggio antropologico rientrano rispettivamente nelle nozioni di gruppo Culturale<br />
regionale o gruppo Culturale locale e di gruppo Culturale di lavoro. 55<br />
Per quel che concerne la scelte topografiche si osserva che in tutta l'area, toscana compresa,<br />
la presenza umana è documentata di preferenza lungo i corsi d'acqua che fanno parte dell'attuale<br />
bacino tiberino, molto più raramente lungo il corso stesso del tevere.<br />
dall’analisi della distribuzione si evidenzia in primo luogo una differenza tra le aree indagate<br />
di recente, con ricognizioni effettuate secondo preordinati schemi organici cui si sono affiancate<br />
raccolte sistematiche concernenti tutte le categorie di manufatti (alta valtiberina toscana e Bacino<br />
di gubbio), e quelle zone nelle quali la maggior parte dei giacimenti è stata segnalata a seguito<br />
di rinvenimenti avvenuti tra la fine dell’ ‘800 e la prima metà del ‘900, ancor oggi<br />
rappresentati da raccolte selezionate (il resto del territorio umbro).<br />
nel primo caso si osserva una disposizione caratterizzata da aree nucleari, con forte concentrazione<br />
di siti, 56 alternate a zone in cui i rinvenimenti risultano rari e per lo più assai poco<br />
rappresentativi. nel secondo caso invece la distribuzione si presenta in ordine sparso senza che<br />
emergano addensamenti particolari, nonostante il numero cospicuo di segnalazioni. Quest’assetto<br />
è, a nostro avviso, dovuto da un lato alla mancata pianificazione delle indagini più volte sottolineata,<br />
dall’altro al motivo che i materiali sono stati raggruppati per vaste aree (provenienza<br />
molto generica) comprendenti in realtà più siti limitrofi; tuttavia, il fatto che le località ad elevato<br />
numero di manufatti si concentrino tutte nel territorio perugino potrebbe adombrare la presenza<br />
di un’area ad alta densità anche in questa zona.<br />
m.C.d.a. s.m. a.m.<br />
ConsideraZioni ConClUsive<br />
il lavoro svolto, oltre a tracciare per la prima volta una mappa di distribuzione dei siti<br />
del Paleolitico medio localizzati nell’alto e medio bacino del fiume tevere, getta i presupposti<br />
per formulare delle ipotesi su un possibile modello di organizzazione del territorio da parte dei<br />
gruppi umani che popolarono questa regione e le zone limitrofe nel corso dello stadio isotopico<br />
5 e agli inizi del 4. Con ciò non intendiamo proporre un’equivalenza tra l’area considerata e il<br />
“territorio” paleolitico in quanto espressione geografica; sarebbe, infatti, arbitrario non solo stabilire<br />
un nesso tra l’omogeneità geografico-ambientale del bacino fluviale e lo spazio identificativo<br />
del concetto di territorio nel mondo paleolitico, ma anche fissare dei confini, per quanto<br />
elastici, che rendano conto della gestione di questo territorio e degli spostamenti umani nell’am-<br />
52) l’elaborazione informatica delle carte di distribuzione è opera di sara mancini e Francesco tanganelli.<br />
53) Cfr. CoCCHi - gamBassini 1982 p. 495.<br />
54) Potenzialmente assimilabili a campi base?<br />
55) grimaldi 2005; Helm 1968.<br />
56) Una concentrazione di siti con industrie ad assetto tecno - tipologico affine ai complessi altotiberini si trova anche nei<br />
pressi di arezzo nel comune di Capolona, ad una distanza in linea d’aria dall’anghiarese di circa 20 km (starnaZZi 1989a;<br />
starnaZZi 1989b; starnaZZi 1990).<br />
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bito di un quadro cronologico così ampio.<br />
l’analisi dei reperti e del loro contesto stratigrafico permette di stabilire:<br />
1) una cronologia di tutti gli insiemi descritti posteriore al mis 6;<br />
2) la “sincronicità” dei gruppi umani che hanno prodotto le industrie considerate; dove con questo<br />
termine non si intende una contemporaneità reale, bensì uno spazio cronologico nel quale<br />
perdurano tradizioni tecnologiche, caratteristiche dello strumentario e abitudini territoriali;<br />
3) l’esistenza di “rapporti consistenti” fra la zona altotiberina e l’ambiente umbro-marchigiano<br />
indiziati, oltre che da spiccate affinità tecnotipologiche, dai risultati dello studio sulla provenienza<br />
delle materie prime.<br />
i lavori che si propongono di ricostruire, secondo un autentico approccio territoriale, il<br />
comportamento e l’organizzazione in uno spazio geografico dei gruppi umani ad economia predatoria<br />
hanno storia piuttosto recente e si basano soprattutto sui dati relativi alla circolazione<br />
delle materie prime litiche. 57 in questo campo sono, però, ancora pochi gli studi che affrontano<br />
il problema su vasta scala affiancando agli aspetti legati all’approvvigionamento modelli di distribuzione<br />
geografica intersite; tali indagini, inoltre, riguardano, almeno per quel che concerne<br />
l’europa occidentale, soprattutto il Paleolitico superiore e il mesolitico, periodi nei quali i dati<br />
su cui fare affidamento sono in media più consistenti e di natura meno fragile.<br />
Un esempio in questa direzione è costituito dal lavoro di j.g. rozoy, 58 relativa alla diffusione<br />
demografica durante il maddaleniano superiore europeo; in quest’ambito vengono individuate<br />
sedici diverse concentrazioni di siti cui si alternano vaste zone dove compaiono solo<br />
rari siti isolati; il modello sembra ripetersi, almeno per quel che riguarda il territorio francese,<br />
nella microscala regionale: all’interno delle macro aree vengono distinti, infatti, diversi gruppi<br />
di siti separati da distanze di 45-50 km che coprono zone quasi disabitate: “the geographical<br />
structure of each group reproduces that of the whole: there are agglomerations of sites, a few<br />
km (and sometimes less) apart, and between them there are bare areas which are not always due<br />
to material obstacles. the magdalenians would occupy some areas and would raid the others<br />
only briefly and rarely”. 59 sebbene non si possa fare a meno di notare che lo schema ricostruito<br />
per il maddaleniano presenta analogie con l’attuale distribuzione dei giacimenti altotiberini della<br />
toscana (ivi compresa l’area tra Capolona e arezzo) e del Bacino di gubbio, 60 dobbiamo prendere<br />
atto del fatto che modelli di questo tipo sono di difficile applicazione al Paleolitico medio<br />
di larga parte del territorio italiano principalmente per la mancanza di depositi con cronologia<br />
certa e per gli intensi fenomeni erosivi a cui gli stessi sono stati sottoposti nello specifico il<br />
record di cui disponiamo si colloca in un arco cronologico assai ampio: più di 50.000 anni separano,<br />
infatti, l’inizio dell’Ultimo interglaciale (ca. 130 ka) dagli interstadiali dell’inizio dell’Ultima<br />
glaciazione (ca. 70 ka).<br />
Per quel che concerne i periodi più antichi ed in particolare il Paleolitico medio è possibile<br />
fare riferimento a un volume edito da n. j. Conard e a. delagnes 61 che raccoglie una serie<br />
di contributi dal taglio multidisciplinare relativi a ricerche sull’uso del territorio e sulle strategie<br />
di sussistenza. 62 anche qui i lavori che si avventurano in analisi di tipo territoriale intersite si<br />
avvalgono dei risultati di progetti basati essenzialmente su ricognizioni di superficie di vaste<br />
aree che hanno consentito la localizzazione topografica di un gran numero di siti e la loro visione<br />
d’insieme. nella fattispecie le indagini condotte dal deutsches archäologisches institut nella<br />
regione del khanasiri (giordania settentrionale) 63 hanno portato alla scoperta di poco meno di<br />
100 siti con industrie di tipo Levallois databili tra 130.000 e 71.000 BP, il cui modello di distri-<br />
57) Cfr. ad esempio BenvenUti - FenU 2008; BraCCo 1995; 1996; demars 2005; djindjian et al. 2009; grimaldi 2005; kUHn<br />
1995; negrino - starnini 2005; Peretto - toZZi 2005; roZoY 1992.<br />
58) roZoY 1992.<br />
59) roZoY 1992, p. 70.<br />
60) Un altro lavoro di sintesi che tenta un’interpretazione territoriale su scala regionale con risvolti anche di carattere demografico<br />
è quello di stefano grimaldi (grimaldi 2005) sul sauveterriano dell’italia nord-orientale; in questo caso si discutono su basi<br />
sostanzialmente etnografiche i dati archeologici noti, ben più circostanziati dei nostri, e le implicazioni legate ai diversi modelli<br />
di nomadismo stagionale.<br />
61) Conard - delagnes 2010.<br />
62) sui diversi punti di vista e lo stato delle conoscenze relativamente all’occupazione umana durante l’ultimo interglaciale cfr.<br />
anche tUFFreaU - roeBroeks 2002.<br />
63) dietl 2010.<br />
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buzione è caratterizzato dalla presenza di alcune aree nucleari intervallate da zone a bassa densità.<br />
64<br />
tornando al bacino del tevere possiamo osservare, in via conclusiva, che:<br />
- nel caso della valtiberina toscana, dove le ricognizioni e le raccolte di superficie si sono prolungate<br />
per diversi anni, esistono le condizioni per ritenere che quanto da noi registrato (sia sotto<br />
il profilo della distribuzione e delle relative concentrazioni, sia per quanto riguarda le diverse<br />
proporzioni numeriche) rispecchi in linea di massima ciò che si è conservato dell’effettivo assetto<br />
del popolamento preistorico. sulla base di queste considerazioni e dei risultati delle analisi sull’approvvigionamento<br />
delle materie prime possiamo ipotizzare che gruppi neanderthaliani abbiano<br />
ripercorso più volte gli stessi itinerari stabilendo i loro accampamenti nelle medesime<br />
località, vuoi per la tipologia delle risorse disponibili che per le condizioni climatico - ambientali<br />
favorevoli.<br />
- nel caso del Bacino di gubbio, se non possono esservi dubbi sulle aggregazioni registrate, il<br />
tempo dedicato alle indagini (1983-1987) non pare sufficiente a garantire l’effettiva entità numerica<br />
delle industrie raccolte. Probabilmente, se le ricerche si fossero prolungate per un congruo<br />
numero di anni, potremmo pensare anche per il territorio eugubino ad un modello di popolamento<br />
del tutto analogo a quello dell’alta valtiberina.<br />
- Per quel che riguarda il resto del territorio umbro possiamo affermare, per i motivi già enunciati,<br />
che esso non soddisfa al momento alcuno dei requisiti necessari a formulare ipotesi attendibili<br />
per un modello di popolamento.<br />
Considerata la tipologia dei dati raccolti e più in generale le problematiche insite nelle<br />
ricerche di tipo territoriale, 65 sarebbe poco prudente spingerci ancora avanti nelle ipotesi in<br />
quanto, come si è visto, le variabili che possono aver giocato un ruolo determinante nel quadro<br />
attuale delle testimonianze sono comunque molte e non tutte identificabili e valutabili nella loro<br />
interezza. tuttavia, nonostante la presenza di questo potente “rumore di fondo”, sembra opportuno<br />
sottolineare che dal punto di vista puramente numerico i siti considerati costituiscono una<br />
documentazione consistente; l’aver creato, dunque, una mappa topografica di tutte le località<br />
note ed averla posta in relazione, quando possibile, con i dati geomorfologici, paleo ambientali<br />
e crono tipologici, contribuendo all’identificazione di quello che con laure dubreuil 66 potremmo<br />
definire un “territoire latent”, costituisce senz’altro un primo passo per muovere verso ulteriori<br />
e più approfondite ricerche.<br />
*dipartimento di scienze ambientali “g.sarfatti”<br />
Unità di ricerca di ecologia Preistorica – Università di siena<br />
moroni@unisi.it<br />
saramancia@hotmail.it<br />
** dipartimento di scienze della terra – Università di Perugia<br />
abaldanza@unipg.it<br />
*** dipartimento di scienze della terra – Università di siena<br />
coltorti@unisi.it<br />
pieruccini@unisi.it<br />
**** soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria<br />
mariacristina.deangelis@beniculturali.it<br />
64) si deve, però, precisare che in questo caso le distanze che separano le concentrazioni di siti non superano i 10 km.<br />
65) Per una disamina attenta e dettagliata dei problemi metodologici e delle carenze per così dire fisiologiche legate all’affidabilità<br />
della documentazione archeologica in questo campo delle ricerca cfr. BraCCo 2005.<br />
66) dUBreUil 1995; BraCCo 2005.<br />
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n.30 ISSN 2039 - 0076<br />
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adriana moroni et al., l’alto e medio bacino del tevere<br />
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