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Giornata <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o su Consumi e Teoria Sociale<br />

Venerdì 25 novembre 2011<br />

Facoltà <strong>di</strong> Scienze Politiche<br />

<strong>Università</strong> de<strong>gli</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Milano<br />

Via Conservatorio, 7<br />

Sala Lauree<br />

Abstracts<br />

TAVOLA ROTONDA<br />

Ripensare il nesso fra produzione e consumo<br />

10.30-11.45 Primo Panel<br />

Pubblici produttivi: per una teoria <strong>del</strong>la produzione sociale<br />

Adam Arvidsson<br />

<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Milano<br />

adam.arvidsson@unimi.it<br />

Nell’ economia <strong>del</strong>l’informazione la produzione <strong>di</strong> valore si sposta sempre <strong>di</strong> più verso processi collaborativi<br />

ed altamente socializzati, che si svolgono al <strong>di</strong> fuori <strong>del</strong> <strong>di</strong>retto controllo manageriale. Tali forme <strong>di</strong><br />

‘produzione sociale’ (Benkler, 2006), come le comunità <strong>di</strong> marca, le iniziative d’innovazione aperta, le<br />

forme collaborative <strong>di</strong> lavoro immateriale, le scene <strong>di</strong> creatività urbana, le reti d’impresa sociale, il software<br />

peer-to-peer, e le culture partecipative online sono <strong>di</strong>ventati centrali alla creazione <strong>del</strong> valore nell’economia<br />

<strong>del</strong>l’informazione. Nella teoria sociale contemporanea si sono stabilizzati due approcci teorici a questo<br />

fenomeno: l’approccio post-Marxista che vede questi la produzione sociale come manifestazione <strong>di</strong> una<br />

nuova forma <strong>di</strong> lavoro ‘libero’, e, dal altro lato, il ‘consenso utopico’ che vede questo fenomeno sociale<br />

come una manifestazione ‘high tech’ <strong>del</strong>le economie <strong>del</strong> dono <strong>di</strong> origine maussiana. In questo paper vorrei<br />

sostenere la tesi che queste due prospettive sono inadeguate per comprendere Il fenomeno <strong>del</strong>la produzione<br />

sociale. Invece vorrei suggerire che un mo<strong>del</strong>lo più adeguato potrebbe essere organizzato intorno al concetto<br />

<strong>di</strong> ‘pubblici produttivi’. Sosterrò che partire dal concetto <strong>di</strong> ‘pubbici’ offre quattro vantaggi <strong>di</strong>stinti. Primo,<br />

questo approccio ci aiuta a capire me<strong>gli</strong>o la logica <strong>del</strong> valore reputazionale (che non è un economia <strong>del</strong> dono<br />

!) che prevale in processi <strong>di</strong> produzione sociale. Secondo, un approccio che parte dal concetto <strong>di</strong> ‘pubblici’<br />

riesce a chiarire il legame importante fra valore reputazionale e accumulazione finanziaria che si sta<br />

<strong>del</strong>ineando come un asse sempre più centrale nel economia <strong>del</strong>l’informazione. Terzo, questo approccio rende<br />

possibile legare la comprensione teorica <strong>del</strong>la produzione sociale, a un pensiero sociologico tra<strong>di</strong>zionale,<br />

evitando in questo modo un approccio che tende ad esagerare la novità e la portata ‘utopistica’ <strong>di</strong> questi<br />

fenomeni (a la Benkler). Quarto, il concetto <strong>di</strong> pubblico ci offre un nuovo modo <strong>di</strong> concepire la possibile<br />

<strong>di</strong>namica politica che potrebbe emergere dall’ affermarsi <strong>di</strong> nuove forme <strong>di</strong> produzione sociale.<br />

Big Data, la creazione collettiva <strong>di</strong> valore<br />

Piergiorgio De<strong>gli</strong> Esposti<br />

Dipartimento <strong>di</strong> Sociologia “A. Ar<strong>di</strong>gò” <strong>Università</strong> <strong>di</strong> Bologna<br />

piergiorgio.de<strong>gli</strong>esposti@unibo.it


Il termine Big Data in<strong>di</strong>ca enormi database che si alimentano in continuazione e vengono raccolti sotto una<br />

pluralità <strong>di</strong> forme e rappresentano oggi uno dei maggiori giacimenti <strong>di</strong> valore <strong>del</strong>l’economia globale. Dalla<br />

fabbrica, al centro commerciale fino ad arrivare al network, <strong>di</strong>fferenti forme <strong>di</strong> sfruttamento sono state messe<br />

in atto per legittimare l’estrazione <strong>di</strong> maggiori profitti dalle azioni <strong>di</strong> produzione e consumo. Parlare <strong>di</strong><br />

capitalismo nell’era <strong>del</strong> prosumer è <strong>di</strong>fferente rispetto a farlo analizzando i sistemi capitalistici centrati sulla<br />

produzione o sul consumo. Nel panorama sociale contemporaneo assistiamo a quelle che possono essere<br />

definite come “Fabbriche <strong>di</strong> Relazioni”, ovvero strutture che mettendo a <strong>di</strong>sposizione de<strong>gli</strong> utenti piattaforme<br />

volte a facilitare le loro interazioni, rendendo sempre meno percettibile la <strong>di</strong>stinzione produzione - consumo,<br />

espropriando tempo e conoscenza ai così detti prosumer <strong>di</strong>gitali a fini commerciali. La portata globale e la<br />

pervasività all’interno <strong>di</strong> svariati contesti <strong>del</strong> vivere le rende strutture impossibili da ignorare, con un<br />

immenso potenziale attrattivo, che mutuando un concetto <strong>di</strong> Ritzer possiamo definirle come “Digital<br />

Weinees”. Lo spostamento <strong>del</strong>la centralità da processi efficienti a processi efficaci ed il sempre crescente<br />

tempo impiegato in attività <strong>di</strong> prosumerismo (da alcuni anche considerato lavoro gratuito) rappresentano i<br />

due aspetti reggono processo <strong>di</strong> creazione <strong>del</strong> valore contemporaneo, sia on line che off line, proponendo<br />

nuove e <strong>di</strong>fferenti opportunità <strong>di</strong> sfruttamento e <strong>di</strong> empowerment per il prosumer, il produttore ed il mondo<br />

<strong>del</strong> marketing.<br />

L’irriducibile scarto tra produzione e consumo: i me<strong>di</strong>a sociali come nuova frontiera <strong>del</strong>le tattiche dei<br />

consumatori<br />

Roberta Bartoletti<br />

<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Urbino Carlo Bo<br />

roberta.bartoletti@gmail.com<br />

Nell’ambito <strong>del</strong> <strong>di</strong>battito sui mutati rapporti tra produzione e consumo, un aspetto che cre<strong>di</strong>amo sia <strong>di</strong><br />

cruciale importanza per la teoria sociale riguarda lo statuto attuale <strong>del</strong>le pratiche <strong>di</strong> consumo come pratiche<br />

culturali, ossia capaci <strong>di</strong> dare forma e or<strong>di</strong>ne all’esperienza umana a partire dalle istanze <strong>di</strong> senso dei soggetti<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente definiti come consumatori (Douglas) e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> “aiutare a vivere” (de Certeau). La<br />

crescente confusione <strong>del</strong> confine tra produzione e consumo - conseguente sia al crescente impegno <strong>del</strong><br />

consumatore nelle <strong>di</strong>verse fasi <strong>del</strong>la filiera <strong>del</strong>la produzione (dalla ideazione alla comunicazione e<br />

promozione dei prodotti e <strong>del</strong>le marche) sia al mutato sguardo <strong>del</strong>la stessa produzione, che vede nel consumo<br />

non più una pratica privata ma una fonte <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong> valore pertinente per l’impresa – rischia <strong>di</strong> sviare<br />

l’attenzione da quello che cre<strong>di</strong>amo sia un punto centrale: l’irriducibile scarto tra produzione e consumo,<br />

che è esso stesso fondamento <strong>del</strong> senso <strong>del</strong>la pratica <strong>di</strong> consumo, scarto che si gioca sulla capacità e abilità<br />

da parte <strong>del</strong> consumatore <strong>di</strong> marcare una <strong>di</strong>fferenza dalla produzione, dai suoi interessi e dai suoi scopi. Per<br />

questi motivi cre<strong>di</strong>amo sia ancora <strong>di</strong> estrema efficacia la categoria <strong>di</strong> “tattica” <strong>di</strong> Michel de Certeau, che<br />

fonda la sua identità proprio sulla capacità <strong>di</strong> marcare continuamente questo scarto dalla produzione. Oggi la<br />

figura <strong>del</strong> consumatore viene progressivamente soppiantata da quella <strong>del</strong> prosumer, che in un’accezione<br />

ampia è colui che partecipa alla produzione <strong>di</strong> ciò che consuma (Toffler, Ritzer); al binomio<br />

produzione/consumo si sostituiscono neologismi come prosumption (Ritzer e Jurgenson), e un campo<br />

privilegiato <strong>di</strong> questa nuova forma <strong>di</strong> creazione <strong>del</strong> valore è riscontrabile nei social me<strong>di</strong>a. In<strong>di</strong>viduiamo<br />

proprio nei me<strong>di</strong>a sociali, nuova frontiera avanzata <strong>del</strong>le pratiche <strong>di</strong> prosumption, un campo privilegiato per<br />

l’osservazione <strong>del</strong>la deriva <strong>del</strong>le tattiche dei consumatori, che seppur non siano più silenziose e invisibili,<br />

tutt’altro e soprattutto grazie ai me<strong>di</strong>a sociali, possono essere considerate come una forma contemporanea <strong>di</strong><br />

“cultura popolare”, capace <strong>di</strong> marcare continuamente una <strong>di</strong>fferenza dalla produzione, dai sistemi dominanti,<br />

capace <strong>di</strong> prendersi gioco <strong>del</strong> potere (che nel campo <strong>del</strong>la cultura è un potere <strong>di</strong> classificazione) e <strong>di</strong><br />

sopravvivere proprio grazie a questo scarto continuamente conquistato. Possiamo considerarle come pratiche<br />

<strong>di</strong> consumo etico nella misura in cui riescono ad affermare un’autonomia <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong> consumo come<br />

pratica quoti<strong>di</strong>ana che “aiuta a vivere”. A partire da queste premesse, come contributo alla tavola rotonda si<br />

possono presentare esempi <strong>di</strong> pratiche <strong>di</strong> consumo nei me<strong>di</strong>a sociali che consentono <strong>di</strong> rintracciare queste<br />

forme <strong>di</strong> eticità, sulla scia <strong>del</strong>la lezione <strong>di</strong> de Certeau, riflettendo sulle nuove sfide con cui i consumatori si<br />

devono confrontare.


Leggere l’identità giovanile attraverso i consumi<br />

Geral<strong>di</strong>na Roberti<br />

<strong>Università</strong> <strong>del</strong>l’Aquila<br />

geral<strong>di</strong>na.roberti@univaq.it<br />

Il passaggio dalla modernità – con la sua attenzione assoluta per il mondo <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>la razionalità<br />

economica – alla postmodernità – che mette invece al centro <strong>del</strong>la riflessione l’universo <strong>del</strong> consumo e i suoi<br />

significati simbolici – rappresenta uno de<strong>gli</strong> sno<strong>di</strong> fondamentali in grado <strong>di</strong> spiegare <strong>gli</strong> attuali meccanismi <strong>di</strong><br />

costruzione identitaria, che vedono l’appartenenza professionale e <strong>di</strong> classe cedere progressivamente il passo<br />

a nuove forme <strong>di</strong> identificazione scelte autonomamente dal soggetto. In questa prospettiva, il consumo si<br />

qualifica come una complessa pratica fruitiva – che si sostanzia, quin<strong>di</strong>, in un atto <strong>di</strong> acquisto e/o <strong>di</strong> utilizzo<br />

– ed espressiva/produttiva – in grado perciò <strong>di</strong> creare e comunicare a<strong>gli</strong> altri informazioni sul soggetto e<br />

sulla sua identità (Bauman, 2007). I consumi, inoltre, soprattutto nell’ambito <strong>del</strong>le culture giovanili, creano<br />

legami sociali (Cova, 1997), determinano appartenenze e fondano comunità (per quanto temporanee).<br />

L’insieme <strong>di</strong> questi elementi sembra integrarsi perfettamente con le caratteristiche dei social network, che –<br />

per definizione – prevedono un utilizzatore giovane, che costruisce consapevolmente il proprio profilo<br />

identitario (utilizzando anche le suggestioni fornite da marche e prodotti) e si posiziona al centro <strong>di</strong> una fitta<br />

rete <strong>di</strong> relazioni (Ellison, Steinfield, Lampe, 2007). Per stu<strong>di</strong>are le <strong>di</strong>mensioni principali <strong>del</strong> rapporto fra<br />

giovani, consumi e costruzione <strong>del</strong> sé, perciò, abbiamo realizzato una ricerca <strong>di</strong> impianto qualitativo su un<br />

campione <strong>di</strong> utenti <strong>di</strong> Facebook – il social network più <strong>di</strong>ffuso nel nostro paese – compresi nelle coorti dei<br />

18-34enni; il nostro obiettivo era quello <strong>di</strong> analizzare il significato attribuito da<strong>gli</strong> attori sociali alle pratiche<br />

identitarie ed espressive gestite attraverso la Rete, mettendo in evidenza il ruolo giocato da prodotti e brand<br />

specifici all’interno <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>namiche. Le risorse simboliche offerte dai consumi sembrano infatti contribuire<br />

alla definizione <strong>del</strong> percorso identitario <strong>del</strong>le nuove generazioni, anche in virtù <strong>del</strong>la capacità <strong>del</strong>le merci <strong>di</strong><br />

costruire universi valoriali e <strong>di</strong> senso chiaramente connotati che i soggetti possono utilizzare nel racconto <strong>di</strong><br />

sé.<br />

I paradossi <strong>del</strong> consumer empowerment<br />

Ariela Mortara<br />

IULM<br />

Ariela.Mortara@iulm.it<br />

11.45-13.00 Secondo Panel<br />

Il concetto <strong>di</strong> consumer empowerment è stato affrontato ne<strong>gli</strong> ultimi anni da più <strong>di</strong>scipline: sociologia,<br />

psicologia, economia e marketing si sono confrontate con l’idea che il consumatore contemporaneo si sia<br />

definitivamente liberato dalle costrizioni imposte dal mercato e, in particolare, dalle logiche <strong>del</strong>la<br />

produzione. Da qualsiasi parte lo si stu<strong>di</strong>, però, il consumatore empowered si confronta con situazioni che<br />

limitano il suo conquistato potere: si pensi all’informazione. Se è vero, infatti, che grazie al web si è<br />

finalmente risolta l’asimmetria informativa tra produttore e consumatore che rendeva <strong>di</strong>fficile, se non<br />

impossibile, una scelta effettivamente consapevole, il rovescio <strong>del</strong>la meda<strong>gli</strong>a è costituito dall’overflow<br />

informativo con cui adesso l’in<strong>di</strong>viduo si scontra e che erode quella risorsa che è per definizione scarsa, il<br />

tempo. Si pensi al ruolo <strong>del</strong> prosumer: se finalmente il consumatore può avere un prodotto su misura (perché<br />

in parte ha contribuito a crearlo), che <strong>di</strong>re <strong>del</strong> fatto che nel fare questo ha investito risorse proprie<br />

sottraendole ad altre attività che magari sarebbero state più red<strong>di</strong>tizie? O ancora, se è vero che, grazie alla<br />

acquisita consapevolezza <strong>del</strong> proprio potere, il consumatore può decidere se premiare o boicottare le imprese<br />

che non si comportano in maniera responsabile, non è forse questo, anche e forse soprattutto, un segnale<br />

<strong>del</strong>l’impotenza <strong>del</strong>le istituzioni che dovrebbe avere il compito <strong>di</strong> supervisionare ed eventualmente<br />

sanzionare, il sistema impren<strong>di</strong>toriale? E questa consapevolezza non può che avere <strong>del</strong>le ripercussioni<br />

negative sulla coscienza civica <strong>del</strong> consumatore.Il presente contributo si propone <strong>di</strong> affrontare questi ed altro<br />

paradossi connaturati al concetto <strong>di</strong> consumer empowerment.


Consumo e cultura ipermoderna<br />

Vanni Co<strong>del</strong>uppi<br />

<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Modena e Reggio<br />

vanni.co<strong>del</strong>uppi@unimore.it<br />

La cultura ha profondamente mo<strong>di</strong>ficato ne<strong>gli</strong> ultimi anni la sua natura e i suoi meccanismi <strong>di</strong><br />

funzionamento. Non può più essere considerata un semplice insieme organizzato <strong>di</strong> forme espressive, norme<br />

e valori, perché, a seguito <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> intenso sviluppo, è <strong>di</strong>ventata un vero e proprio mondo. Il mondo<br />

concreto e fisicamente sperimentabile <strong>del</strong> capitalismo, <strong>del</strong> consumo, <strong>del</strong>la moda, dei me<strong>di</strong>a e <strong>del</strong>l’industria<br />

culturale. Un mondo sempre più globale e dominato dal capitale <strong>del</strong>le multinazionali, ma anche in grado <strong>di</strong><br />

funzionare secondo la logica <strong>del</strong>la Rete e <strong>del</strong>lo spettacolo me<strong>di</strong>atico. Un mondo comunque che non è più<br />

secondario e periferico, ma è riuscito a conquistare una posizione centrale nell’immaginario collettivo e<br />

in<strong>di</strong>viduale. Un mondo pertanto che è in grado <strong>di</strong> trasformare ra<strong>di</strong>calmente la vita quoti<strong>di</strong>ana <strong>del</strong>le persone e<br />

ambiti primari <strong>del</strong>la società come la politica e il commercio. Questo nuovo ruolo giocato dalla cultura porta a<br />

dover ripensare i concetti con i quali è stato tra<strong>di</strong>zionalmente interpretato il consumo. Perché nell’attuale<br />

“capitalismo culturale” sono le marche a produrre valore, così come nel capitalismo industriale a svolgere lo<br />

stesso compito era la fabbrica. Se quest’ultima aveva la necessità <strong>di</strong> controllare i processi <strong>di</strong> produzione<br />

interni ad essa e perciò la sua forza lavoro, le marche svolgono la stessa funzione sull’intera cultura <strong>del</strong>la<br />

società, che <strong>di</strong>venta così una specie <strong>di</strong> “fabbrica sociale”. È dunque al loro esterno che esse possono<br />

accumulare valore sfruttando il lavoro quoti<strong>di</strong>anamente svolto dai consumatori e dalla società in generale. Ed<br />

è qui che possiamo <strong>di</strong>re si svolgano i principali processi produttivi o<strong>di</strong>erni.<br />

Trickle up, Trickle down: Un approccio sinergico<br />

Nino Salamone<br />

università <strong>di</strong> Milano Bicocca<br />

nino.salamone@unimib.it<br />

Schematicamente, la teoria dei consumi si snoda lungo due <strong>di</strong>rettrici che entrano assai raramente il sinergia.<br />

Da un lato abbiamo l’approccio Trickle down (tipo ideale: Francoforte; contributo recente: Barber),centrato<br />

sulla sovranità <strong>del</strong>l’impresa capitalistica e sulle sua capacità <strong>di</strong> manipolazione; dall’altro l’approccio trickle<br />

up (tipo ideale: Von Mises e, in Italia, Fabris) dove sovrano è il consumatore. Il realtà una storia anche<br />

sommaria dei consumi, in particolare a partire dalla nascita <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo T (1907), <strong>di</strong>mostra che la <strong>di</strong>stinzione<br />

ha senz’altro valore a livello analitico – entrambi <strong>gli</strong> approcci, guardando il mondo dei consumi da una<br />

specifica angolazione, offrono importanti contributi alla soluzione <strong>del</strong> problema <strong>del</strong> feticsmo <strong>del</strong>le merci –<br />

ma al livello <strong>del</strong>l’esperienza il quadro appare più complesso, e la <strong>di</strong>stinzione fra Trickle up e Trickle down<br />

spesso arbitraria. In particolare quando il consumo <strong>di</strong> massa, lasciatosi alle spalle la so<strong>gli</strong>a <strong>del</strong>la<br />

sod<strong>di</strong>sfazione dei bisogni elementari (<strong>di</strong>fficile definirli al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> uno specifico contesto), configura un<br />

sistema dove produzione (comunque configurata) e desiderio <strong>di</strong> consumo (comunque suscitato) si alimentano<br />

reciprocamente, almeno coeteris paribus. In effetti – come già aveva precocemente messo in luce Marx –<br />

non solo produzione e consumo fanno parte <strong>di</strong> un anello inscin<strong>di</strong>bile, ma l’una è imme<strong>di</strong>atamente l’altro, e<br />

l’altro è imme<strong>di</strong>atamente l’una. Altro punto da mettere in rilievo – e qui l’approccio marxiano <strong>di</strong>viene<br />

scarsamente utile – è che nel mondo dei consumi <strong>di</strong> massa la libertà (aristotelicamente intesa come “libertà<br />

<strong>di</strong> fare ciò che vuole”) non sono contrapposti come nel teleologico approccio materialistico-<strong>di</strong>alettico , ma<br />

nella tarda modernità convivono l’uno accanto all’altro. Una contrad<strong>di</strong>zione logica, o se vo<strong>gli</strong>amo filosofica,<br />

si <strong>di</strong>mostra <strong>del</strong> tutto conciliabile nel momento in cui il regno <strong>del</strong>la necessità, identificabile nel mondo <strong>del</strong>la<br />

produzione (Accornero) allude <strong>di</strong>rettamente alla possibile e reale libertà nel mondo dei consumi, dove<br />

esistono proposte e non <strong>di</strong>rettive o or<strong>di</strong>ni, possibilità <strong>di</strong> scelta e non vincoli (l’unico vincolo è la weberiana<br />

capacità <strong>di</strong> mercato), espressività e non routines. Da questo punto <strong>di</strong> vista, una teoria dei consumi può<br />

vantaggiosamente entrare a far parte <strong>di</strong> una più generale teoria <strong>del</strong>l’integrazione e <strong>del</strong> consenso in un<br />

contesto post-moderno.


TAVOLA ROTONDA<br />

Pratiche <strong>di</strong> consumo, appartenenza e citta<strong>di</strong>nanza<br />

14.00-15.15 Terzo Panel<br />

La responsabilità pubblica <strong>del</strong> consumatore, al<strong>di</strong>là <strong>di</strong> consumi critici e produzioni identitarie<br />

Emanuela Mora<br />

<strong>Università</strong> <strong>Cattolica</strong> <strong>di</strong>MIlano<br />

emanuela-mora@unicatt.it<br />

Con questo intervento vorrei contribuire a stimolare il <strong>di</strong>battito richiamando l'attenzione su tre aspetti che mi<br />

sembrano cruciali per intendere lo spazio che il consumo occupa oggi e il ruolo che svolge e potrebbe<br />

svolgere nella vita pubblica <strong>del</strong>le nostre città. 1. Le pratiche <strong>di</strong> consumo hanno un valore politico<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dalle intenzioni, dalle motivazioni e persino dalla consapevolezza che <strong>gli</strong> attori ne hanno<br />

nel metterle in atto. I comportamenti <strong>di</strong> consumo non possono venire adeguatamente interpretati in una<br />

prospettiva singolare e in<strong>di</strong>vidualistica, poiché i soggetti che contribuiscono a definire i confini <strong>di</strong> ogni<br />

potenziale situazione <strong>di</strong> consumo sono molteplici, portatori <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi interessi e coinvolti in molteplici e<br />

incrociate forme <strong>di</strong> interazione <strong>gli</strong> uni con <strong>gli</strong> altri (imprese produttrici, me<strong>di</strong>a, agenzie <strong>di</strong> interme<strong>di</strong>azione e<br />

pubblicità, commercianti, singoli consumatori, associazioni formali e informali <strong>di</strong> consumatori, gruppi teorici<br />

<strong>di</strong> riferimento dei <strong>di</strong>versi gruppi <strong>di</strong> consumatori, istituzioni <strong>di</strong> governo ai <strong>di</strong>versi livelli territoriali ecc.).<br />

Ritengo che lavorare sulle conseguenze sociali <strong>del</strong>le <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> agire <strong>di</strong> consumo (sostenibile e no) ci<br />

aiuterebbe a capire come quest'ultimo si inserisce sempre dentro catene <strong>di</strong> interazioni e <strong>di</strong> decisioni che<br />

hanno effetti strutturanti per le collettività e che dunque ci sono responsabilità in ogni forma <strong>di</strong> consumo le<br />

quali hanno un valore sistemico più che in<strong>di</strong>viduale. 2. La responsabilità <strong>del</strong> consumatore non si esprime<br />

solo né principalmente nelle pratiche <strong>di</strong> consumo critico, che sono solo un caso molto specifico <strong>del</strong>le<br />

pratiche <strong>di</strong> consumo. Il consumatore, infatti, è portatore <strong>di</strong> responsabilità effettive, poiché con il suo agire<br />

contribuisce a dare forma e struttura al sistema sociale <strong>del</strong> quale è parte. Il consumo critico è una <strong>del</strong>le forme<br />

culturalmente qualificate che il consumo può acquisire in seguito a una assunzione <strong>di</strong> consapevolezza<br />

in<strong>di</strong>viduale e/o collettiva <strong>del</strong>la propria identità <strong>di</strong> attore politico da parte <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no consumatore. 3. Solo<br />

parzialmente il consumo svolge una funzione <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> identità sociale. Questo accade solo nella<br />

misura in cui le pratiche <strong>di</strong> consumo trasformano l'habitus dato per scontato dal soggetto e sono uno<br />

strumento <strong>di</strong> socializzazione e con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> spazi, tempi, attività con gruppi <strong>di</strong> persone. In breve, in<br />

quanto la pratica <strong>di</strong> consumo svolge un ruolo <strong>di</strong> facilitazione e interme<strong>di</strong>azione <strong>del</strong>le interazioni e <strong>del</strong>le<br />

comunicazioni. Più correttamente si potrebbe invece <strong>di</strong>re che le pratiche <strong>di</strong> consumo sono uno strumento <strong>di</strong><br />

visibilizzazione <strong>di</strong> alcuni tratti identitari e <strong>di</strong> negoziazione <strong>di</strong> alcuni aspetti <strong>del</strong>le identità giu<strong>di</strong>cati<br />

problematici dall'attore in rapporto a qualche altro soggetto.<br />

Merci miste. L’intreccio relazionale <strong>del</strong> dono e <strong>del</strong>la merce nella società dei consumi<br />

Francesca Setiffi<br />

<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Padova<br />

francesca.setiffi@unipd.it<br />

Il saggio analizza la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> un particolare set <strong>di</strong> beni, le merci miste, che si caratterizza per essere parte<br />

sia <strong>del</strong> circuito relazionale <strong>del</strong> dono, sia <strong>di</strong> quello <strong>del</strong>la merce. Questa duplice appartenenza permette <strong>di</strong><br />

considerare le merci miste, in una prospettiva <strong>di</strong> cultura materiale, la parte visibile sia <strong>di</strong> una relazione<br />

comunitaria sia <strong>di</strong> una relazione <strong>di</strong> mercato. Il mercato <strong>del</strong>la beneficienza, lo scambio <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> seconda<br />

mano e il commercio equo e solidale sono una traccia <strong>del</strong>la contaminazione tra dono e mercato. Le<br />

motivazioni altruistiche o comunitarie sono una parte dei fattori che stimolano l’agire <strong>di</strong> consumo e si<br />

affiancano a spinte che potremmo invece considerare <strong>di</strong> stampo edonistico. Dopo aver analizzato le<br />

motivazioni che portano al consumo <strong>di</strong> merci miste, lo scopo <strong>del</strong> paper sarà <strong>di</strong> evidenziare l’utilità sociale<br />

che richiede e legittima la loro presenza nel mercato. Le merci miste conservano il carattere <strong>di</strong> feticcio ma si<br />

<strong>di</strong>stinguono dalle merci pure per la ricerca <strong>di</strong> una relazione comunitaria, talvolta immaginata, da parte <strong>del</strong><br />

consumatore. In questa sovrapposizione emerge uno spazio relazionale fondato sia sull’alienazione, sia sulla<br />

gratuità, che fa emergere una cultura <strong>del</strong> consumo altamente eterogenea.


Consumi, Narrazioni e Identità<br />

Stefano Gnasso<br />

<strong>Università</strong> <strong>Cattolica</strong> <strong>del</strong> Sacro Cuore - Milano<br />

Stefano.Gnasso@me<strong>di</strong>aset.it<br />

Si è detto più volte (Bauman 2001; Gnasso – Parenti 2004) che il consumo ha una valenza identitaria, ma<br />

oggi non è neanche più il consumo <strong>di</strong> un bene a dare un apporto alla nostra identità, <strong>di</strong> per se debolissima: lo<br />

scarto centrale sta nella capacità <strong>di</strong> reggere il ritmo <strong>del</strong> consumo. Questa si esplica soprattutto<br />

in<strong>di</strong>vidualmente, proponendosi come “via appagante” <strong>di</strong> quella che soprattutto è una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

solitu<strong>di</strong>ne. La necessità <strong>di</strong> consumo, <strong>di</strong> conseguenza, può essere alla base <strong>di</strong> problemi politici e <strong>di</strong><br />

governabilità <strong>del</strong>la pace sociale. Inoltre, cosa più sorprendente e, a mio avviso, più interessante per capire<br />

l'attuale <strong>di</strong>namica socio-economica, può essere un problema per il sistema <strong>di</strong> mercato (Ilar<strong>di</strong> 2004). Si può<br />

obiettare che lo stato <strong>di</strong> necessità legato al consumo possa essere reversibile. Obiezione corretta ma<br />

necessitante <strong>del</strong> fatto che si cambino i nostri sogni, ovvero che si vadano a mo<strong>di</strong>ficare alcuni tratti costitutivi<br />

<strong>del</strong>la nostra recente identità sociale. In tal senso è possibile allora mettere a fuoco un livello analitico<br />

ulteriore. Muovendosi su un piano estetico, infatti, <strong>di</strong>viene possibile inserirsi strategicamente (De Certeau<br />

trad. 2001) in quella <strong>di</strong>namica oggi più <strong>di</strong>rettamente coinvolta nei comportamenti in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> consumo.<br />

Lavorando su un'estetica <strong>di</strong> durata e non sull'attuale estetica <strong>del</strong>l'effimero (Giaccar<strong>di</strong> 2004, Gnasso-Parenti<br />

2004), si può iniziare a spostare l'in<strong>di</strong>vidualismo dominante verso una <strong>di</strong>mensione personalistica, foriera <strong>di</strong><br />

una maggiore apertura sociale e <strong>di</strong> un maggior senso <strong>di</strong> inclusione. Si può così cominciare a dare risposte<br />

anche su un piano esistenziale, affrontando il problema <strong>del</strong>la crescente mancanza <strong>di</strong> orientamento, ed<br />

offrendo una cornice <strong>di</strong> senso al malessere interiore e allo smarrimento sociale.<br />

15.15-16.30 Quarto Panel<br />

Obsolescenza e felicità, due categorie per l’analisi critica <strong>del</strong> consumo<br />

Roberta Sassatelli<br />

<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Milano<br />

roberta.sassatelli@unimi.it<br />

Che i consumi abbiano valenza potestativa e politica è dato assodato; come, con quali limiti, e con quali esiti<br />

ciò avvenga è invece oggetto <strong>di</strong> continue riflessioni che necessariamente si appoggiano alla ricerca empirica<br />

e, nel complesso, sottolineano la frammentazione e la varietà dei fenomeni <strong>di</strong> consumo. Tuttavia, al <strong>di</strong> là<br />

<strong>del</strong>la varia fenomenologia dei consumi nelle società contemporanee, rimane fondamentale pensare alle<br />

modalità organizzative e alle valenze simboliche <strong>del</strong>la sfera <strong>di</strong> consumo come ambito <strong>di</strong> azione sociale<br />

relativamente separato e specificatamente in<strong>di</strong>viduato. Questo paper vuole stimolare la <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> due<br />

categorie fondamentali per la definizione <strong>del</strong>la politica dei consumi, quelle <strong>di</strong> obsolescenza e <strong>di</strong> felicità. Un<br />

breve esame analitico <strong>del</strong>le due categorie in relazione alla loro trattazione nella letteratura e nel <strong>di</strong>scorso<br />

pubblico sul consumo consente <strong>di</strong> puntualizzare alcune domande chiave sulla <strong>di</strong>mensione potestativa dei<br />

consumi, offrendo alcuni iniziali spunti per la messa a punto <strong>di</strong> uno schema analitico per la<br />

problematizzazione critica <strong>di</strong> una miriade <strong>di</strong> iniziative e fenomeni empirici.<br />

Consumatori e citta<strong>di</strong>ni: <strong>di</strong>visi nella lotta<br />

Simone Tosi<br />

Dip. <strong>di</strong> Sociologia e <strong>Ricerca</strong> Sociale – <strong>Università</strong> <strong>di</strong> Milano-Bicocca<br />

simone.tosi@unimib.it<br />

Il ruolo che il consumo può avere nei processi <strong>di</strong> identificazione e <strong>di</strong> appartenenza sociale costituisce un<br />

tema complesso e sfaccettato. Tra le molte questioni che esso solleva è centrale quella <strong>del</strong>la relazione tra<br />

processi <strong>di</strong> consumo e <strong>di</strong>mensione politica. Il mercato e le merci definiscono infatti uno spazio entro cui si<br />

articolano contenuti collettivi e politici. Ma la relazione tra consumi e politica è tutt’altro che scontata. Essa


costringe a ri-articolare in modo problematico e complesso le relazioni tra vecchi e nuovi attori politici e fa<br />

emergere problemi <strong>di</strong> rappresentanza politica e <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza che <strong>gli</strong> stati moderni parevano avere risolto.<br />

Anche alla luce <strong>di</strong> alcune manifestazioni collettive, come le sommosse nelle banlieue francesi e i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni<br />

<strong>del</strong>l’ultima estate nelle città inglesi, il paper proverà ad evidenziare le potenzialità e i rischi insiti nello<br />

scivolamento concettuale e pratico da una politica fondata sui citta<strong>di</strong>ni a una fondata sui consumatori.<br />

Globale e locale nel consumo <strong>di</strong> moda. Problematizzare il consumo etico e l’artigianalità<br />

Simona Segre Reinach<br />

Iulm, Milano e Iuav, Venezia<br />

simona.segre@gmail.com<br />

Nell’ultimo decennio la produzione globalizzata <strong>di</strong> abbi<strong>gli</strong>amento è stata tanto inevitabile quanto<br />

problematica. La pressione verso il basso dei prezzi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta ha contribuito a <strong>del</strong>ocalizzare la produzione e<br />

oggi l’abbi<strong>gli</strong>amento per il mondo occidentale è in larga misura prodotto nel cosiddetto terzo mondo. Al<br />

tempo stesso la <strong>di</strong>ffusione <strong>del</strong> retail multinazionale ha globalizzato le scelte a <strong>di</strong>sposizione per i<br />

consumatori. I costi umani e ambientali <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> massa globalizzata hanno provocato l’emergere<br />

<strong>di</strong> una tendenza <strong>di</strong> moda definita ‘etica’ che tende a valorizzare la produzione artigianale e il design locale.<br />

La focalizzazione sul locale e sull’artigianalità è <strong>di</strong>venuta un aspetto significativo <strong>del</strong>l’attenzione<br />

all’ambiente e <strong>del</strong>l’ etica nella progettazione, sia da parte <strong>del</strong>la produzione che <strong>del</strong> consumo. La relazione tra<br />

il globale e il locale è dunque uno de<strong>gli</strong> aspetti centrali per comprendere l’evoluzione dei consumi <strong>di</strong> moda,<br />

ma ciò che richiede <strong>di</strong> essere analizzato più estesamente è la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse interpretazioni/significati<br />

<strong>del</strong> consumo etico nell’abbi<strong>gli</strong>amento. Prendendo le mosse da una ricerca da me condotta entro un progetto<br />

internazionale <strong>di</strong> antropologia culturale (2002-2010) sulle collaborazioni <strong>di</strong> lavoro tra italiani e cinesi nel<br />

settore <strong>del</strong> tessile e <strong>del</strong>la moda, il paper intende analizzare la relazione tra la moda ‘maimstream’ e la moda<br />

‘locale’, riproblematizzando l’equazione tra consumo etico e artigianalità all’interno <strong>del</strong> processo <strong>di</strong><br />

globalizzazione dei mercati.

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