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Musica

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Dall’arcaico a Bach,<br />

tra pensiero ed emozione<br />

Piervito Malusà ha intervistato per “<strong>Musica</strong> insieme” il noto musicista feltrino<br />

D. Da un paio di decenni a questa parte va di<br />

moda riproporre l’ovvietà che la musica debba<br />

‘emozionare’ chi l’ascolta, quasi a rimuovere<br />

da essa il ‘pensare’ che l’ha prodotta: anche per<br />

comporre (=costruire) una canzone di successo<br />

serve pensare, salvo poi negare scaramanticamente<br />

o nascondere di averlo fatto… D’altro canto può<br />

esistere, in particolare nella nostra arte, emozione<br />

senza pensiero?<br />

È sempre un piacere parlare con te delle tue<br />

musiche, oltre – ben inteso – che ascoltarle,<br />

ragionare sui materiali di costruzione che impieghi<br />

e sulle procedure attraverso le quali essi prendono<br />

forma. Il foglio bianco non è mai per te pretesto per<br />

un (finto) nuovo inizio, ma sedimento di esperienze<br />

linguistiche remote e recenti dalle quali prendere<br />

le mosse…<br />

R. La tua domanda, caro Piervito, anticipa in<br />

parte la mia risposta. E’ vero che la musica deve<br />

suscitare emozione, ed è anche vero che ad<br />

ispirare il compositore c’è sempre un’emozione,<br />

ma se non ci fosse il pensiero a guidare la ricerca<br />

espressiva quell’emozione non approderebbe a<br />

nulla. Il pensiero è fatto di filosofia, di matematica,<br />

di enigmi da formulare e di enigmi da sciogliere,<br />

in definitiva di razionalità. Ma pensiamo a Bach: la<br />

sua Arte della Fuga è ispirata dall’astratto sistema<br />

di numeri pitagorici, e a quel sistema ho dovuto<br />

uniformarmi anch’io per completare l’ultima<br />

fuga lasciata incompiuta dal grande Maestro;<br />

eppure l’emozione che quell’opera metafisica<br />

suscita nell’ascoltatore è immensa, al limite della<br />

sindrome di Stendhal.<br />

A colloquio con<br />

Paolo Bon<br />

Intervista a Paolo Bon<br />

D. Il 18 maggio scorso al teatro de la Sena di Feltre sono state presentate in prima esecuzione quattro tue<br />

composizioni per pianoforte solo: <strong>Musica</strong> ficta, Une sarabande pour Satan, Suite canonica e L’ultima fuga. La<br />

tua ormai pluridecennale attività compositiva è stata fino ad ora quasi esclusivamente dedicata alla voce. Che<br />

cosa ti ha portato oggi ad accostarti ad una macchina sonora apparentemente così lontana dalla voce umana<br />

come il pianoforte?<br />

R. Il pianoforte, in realtà, è più vicino alla voce umana di quanto si possa pensare. Non parlo ovviamente<br />

del metallo, del timbro, ma delle potenzialità espressive: al pari della voce umana può essere aggressivo e<br />

perfino brutale, essendo uno strumento a percussione, e come la voce può essere dolce, lirico, suadente o<br />

elegiaco, può commuovere in profondità. Non avverto dunque discontinuità nel passare dall’uno all’altro<br />

strumento.<br />

D. Non è possibile in questo spazio addentrarci nella descrizione di ogni singolo componimento – una scheda<br />

sarà riportata nel programma di sala del concerto. Un filo rosso però li percorre tutti, anche se con intenzioni<br />

e funzionalità differenti: la condotta compositiva canonica, che attraversa più di un millennio di musica<br />

nel nostro occidente e non solo, dagli Scholia Enchiriadis del IX secolo ai Kontrapunkte di Stockhausen ed<br />

oltre, ma che, a fasi alterne viene anche rigettata perché ritenuta ostacolo all’espressività. Oggi infatti gode<br />

di scarsa fortuna…<br />

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