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Trama e saggio porcaro 6 - Radio Rai

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FRANCESCO LOMBARDI<br />

gli anni ci hanno però restituito una partiturina da studio del poema sinfonico che<br />

Stravinskij trasse dall’opera medesima. Inoltre la somma degli indizi è tale che ci sembra<br />

doveroso accreditare questa ipotesi. Stravinskij definisce racconto lirico Le rossignol,<br />

Rota in un suo manoscritto propone Il principe <strong>porcaro</strong> come commedia musicale.<br />

Il soggetto favolistico è tratto dal medesimo autore, Andersen, che non godeva<br />

a quel tempo di particolare fortuna come fonte per libretti d’opera. Entrambi i soggetti<br />

prevedono musica in scena con usignoli veri e finti organetti, e via cantando. E,<br />

soprattutto, troviamo una struttura, un montaggio, dannatamente simili. Entrambe<br />

le partiture si reggono su variazioni ritmiche continue, con il serrato alternarsi di soli,<br />

coro e interludi strumentali a concatenare un flusso continuo di parole e musica. Una<br />

struttura quindi che nega i canoni tradizionali dell’opera (i numeri chiusi, l’aria, il<br />

concertato) e, allo stesso tempo, cerca nella stringatezza dell’azione scenica il giusto<br />

passo per rendere drammaturgicamente credibile il testo. Come ultima traccia vorrei<br />

aggiungere che, secondo Silvino Mezza, uno dei recensori de Il principe <strong>porcaro</strong> ante<br />

litteram, 7 l’orchestrazione definitiva dell’opera prevedeva l’uso di due arpe, esattamente<br />

come nella partitura di Stravinskij. Naturalmente la scrittura e lo schema<br />

rotiano risultano notevolmente semplificati rispetto al modello di Stravinskij, anche<br />

se lo spirito e direi quasi la lettera di questa concezione strutturale presenta somiglianze<br />

impressionanti. Per quanto riguarda, invece, il materiale musicale utilizzato<br />

da Rota nel disegnare le melodie e il tessuto connettivo dell’opera, è possibile scorgere<br />

con una certa chiarezza frammenti di studi ed esercizi di tecnica pianistica come<br />

arpeggi, scale, il moto contrario. Figurazioni sonore, se non vogliamo dar loro patente<br />

di veri e propri brani musicali risuonanti con frequenza a casa Rota durante le<br />

lezioni private impartite dalla madre a giovinetti più o meno renitenti, costretti a faticare<br />

là dove il nostro si era sempre destreggiato con la naturalezza e la facilità di chi,<br />

insieme al camminare e al parlare, aveva aggiunto il suonare. Fedele D’Amico una<br />

volta disse di lui «… suonava il pianoforte come altri mangiano…».<br />

Questo aspetto del comporre di Rota rimarrà come un marchio distintivo di<br />

tutta la sua produzione. Con diversi gradi di sofisticazione, mascheramento e dissimulazione,<br />

possiamo trovare tracce di esercizi di tecnica pianistica e strumentale fin<br />

nelle sue ultime opere, così come di schegge melodiche provenienti dalle fonti più disparate.<br />

In questo senso l’avvento della radio tenuta costantemente accesa durante le<br />

sessioni di lavoro notturne, il copioso inquinamento musicale del Conservatorio di<br />

Bari dove ha vissuto per molti anni e le infinite sedute al pianoforte insieme a registi<br />

cinematografici cantanti e/o fischiettanti vanno a costituire l’indispensabile corollario<br />

ambientale di una produzione copiosa e perfino orgogliosa di interferenze, quasi<br />

plagi e reiterati autoplagi. Nello sviluppo drammaturgico dello spartito, Il principe<br />

<strong>porcaro</strong> è sorretto sostanzialmente da tre elementi: i cori, brevissimi interludi strumentali<br />

di venti, trenta battute al massimo e una sorta di declamato che sta fra il recitativo<br />

e la narrazione. I cori sono certamente l’aspetto più compiutamente riuscito e<br />

felice dell’opera. Il piccolo Nino si era potuto fare una buona esperienza sul campo<br />

con le due esecuzioni de L’infanzia di S. Giovanni Battista. A Milano e a Tourcöing<br />

aveva avuto la possibilità di ascoltare e riascoltare, in diversi momenti e con organici<br />

sempre più imponenti, questo suo lavoro, dove l’elemento corale era decisamente<br />

preponderante e che aveva potuto rivedere e rifinire prima dell’esecuzione francese.<br />

Così non sorprende più di tanto che ne Il principe <strong>porcaro</strong>, il coro dei domestici per<br />

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