06.06.2014 Views

Trama e saggio porcaro 6 - Radio Rai

Trama e saggio porcaro 6 - Radio Rai

Trama e saggio porcaro 6 - Radio Rai

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

IL PRINCIPE PORCARO<br />

ARGOMENTO<br />

Atto I<br />

Una Principessa bella e capricciosa, figlia di un potente Imperatore, riceve in dono da<br />

un Principe bello, giovane e ricco una rosa ed un usignolo. La Principessa distrugge<br />

la rosa profumata e fa volare via dalla sua gabbietta l’usignolo canterino. Poi, manda<br />

a dire al Principe che lei, in fondo, doni non ne ha avuti e lo saluta tanto.<br />

Atto II<br />

Il Principe, offeso per la sgarberia della Principessa, si presenta al Palazzo Imperiale<br />

sotto mentite spoglie e si fa assumere come guardiano dei porci. La Principessa,<br />

attratta dalle note di un organetto suonato dal nuovo Porcaro, manda le sue damigelle<br />

a chiedere cosa voglia egli in cambio dello strumento. Dieci baci della<br />

Principessa è la risposta. Dopo qualche esitazione la Principessa, pur di avere quell’organetto,<br />

si decide a baciare il (Principe) Porcaro. Scoperta dall’Imperatore, viene<br />

cacciata e bandita dal regno insieme a lui.<br />

Atto III<br />

La Principessa è disperata, ma insiste per avere l’organetto. Il Principe acconsente,<br />

purché ella le dia il decimo e ultimo bacio. Ottenuto il misero organetto, la<br />

Principessa viene abbandonata al suo destino dal Principe che si toglie il travestimento<br />

da Porcaro e torna dai suoi sudditi.<br />

27


Nino Rota ringrazia il pubblico al termine dell’esecuzione<br />

de L’infanzia di San Giovanni Battista aTourcöing nel 1923.<br />

28


Francesco Lombardi<br />

VIAGGIO AL TERMINE<br />

DI UNA INFANZIA PRODIGIOSA:<br />

NINO ROTA E IL PRINCIPE PORCARO<br />

A 8 anni, Nino, improvvisava al piano e armonizzava naturalmente quasi i tasti si presentassero<br />

sotto le sue dita tutti intonati e giusti.<br />

Ernesta Rota Rinaldi, una valente pianista sacrificata alla famiglia, madre di Nino e<br />

figlia del compositore e pianista Giovanni Rinaldi, cercò di fissare in questa Storia di<br />

Nino 1 i contorni del precocissimo esordio compositivo del figlio.<br />

Giorno per giorno da questa applicazione è venuto fuori il Mago doppio a quattro<br />

mani. (…) Noi tutti da bambini, abbiamo improvvisato al piano trovando con facilità<br />

motivi ed armonie piacevoli all’orecchio. (…) Perciò non è lo spirito della cosa che<br />

ci sorprende, ma la lettura, il fatto intrinseco che una mente di 9 anni avesse potuto<br />

e saputo scrivere, fissare e tradurre sulla carta ritmi e note nella forma precisa cercata,<br />

provata e direi, elaborata suonando.<br />

L’ereditarietà genetica di innate predisposizioni alla musica, risulta evidente già<br />

ad un superficiale sguardo all’albero genealogico di grandi nomi della storia musicale.<br />

Basta una rapida occhiata alla sequenza della dinastia Bach per constatarlo.<br />

Altrettanto chiaro è che le musica richieda, come condizione necessaria anche se non<br />

sufficiente, queste predisposizioni. La capacità di fissare mentalmente l’esatta altezza<br />

dei suoni, un buon coordinamento fra i due emisferi cerebrali che consenta di maneggiare<br />

facilmente un sistema astratto come la notazione musicale e di acquisire le abilità<br />

manuali necessarie a suonare con perizia, fanno parte del bagaglio indispensabile<br />

di ogni musicista. Non esiste ancora, però, una spiegazione scientifica di come, a<br />

volte, tutte queste doti si concentrino in sovrabbondanza su un solo individuo, manifestandosi<br />

per di più con precocità impressionante. Una precocità tale da consentire<br />

a un fanciullo di potersi esprimere compiutamente con la musica ad un’età nella<br />

quale, di solito, si comincia a padroneggiare la propria lingua e a iniziare – almeno a<br />

quei tempi che vedevano l’esordio ginnasiale intorno ai 10-11 anni – gli studi classici.<br />

Bisogna poi considerare anche l’influenza dell’ambiente, soprattutto in ambito<br />

familiare. Infatti, una sorella della madre, Margherita Rinaldi anch’essa musicista<br />

sposò pure un Rota. Si venne così a creare un doppia coppia – due fratelli sposaro-<br />

29


FRANCESCO LOMBARDI<br />

no due sorelle – portando in dote oltre alla zia due cugine, doppie cugine, l’una cantante:<br />

Maria, e l’altra costumista, scenografa e pittrice: Titina. Il tutto, almeno inizialmente,<br />

concentrato in una grande casa a Milano, conosciuta nell’ambiente artistico<br />

e musicale come La Roteria, dove ogni musicista che si trovasse a passare in<br />

città non mancava di fare almeno una breve visita.<br />

La precoce attitudine di Nino ebbe quindi una ribalta disponibile ed attenta,<br />

anche se non succube, di fronte ai suoi primi passi c’era sempre un qualche componente<br />

della famiglia pronto a rilevarne difetti limiti e discendenze con rimbrotti come:<br />

«ma questo sembra un esercizio di Czerny, quest’altro è una cantilena noiosa e questo<br />

c’entra come i cavoli a merenda».<br />

Nel 1922 l’amico di famiglia Silvio Pagani regalò a Nino un libretto che aveva<br />

espressamente creato per lui. Si trattava di un oratorio intitolato L’infanzia di S.<br />

Giovanni Battista. Lo stesso anno il padre di Rota, Ercole, morì improvvisamente, e in<br />

quella triste estate il compositore, non ancora undicenne, musicò per intero l’oratorio<br />

che, grazie all’interessamento di amici e familiari, trovò pubblica esecuzione a Milano<br />

pochi mesi dopo. Il successo fu tale che L’infanzia di S. Giovanni Battista fu riproposta<br />

nell’autunno del ’23 in Francia, a Tourcöing nel nord del paese. Era nato, come titolò<br />

il New York Times, Il Mozart del ventesimo secolo. La stampa internazionale si era<br />

gettata sul caso del fanciullo prodigio, ingigantendone le gesta e cercando improponibili<br />

confronti con il passato, i fotografi lo seguivano dappertutto terrorizzandolo coi<br />

lampi al magnesio usati a quel tempo. Il soggiorno parigino successivo all’esecuzione di<br />

Tourcöing contribuì alla ulteriore pubblicizzazione del fenomeno.<br />

Al ritorno dalla spedizione francese, di fronte alle decine di richieste per esibizioni<br />

in tutto il mondo, anche la madre si rese conto che la faccenda aveva assunto<br />

proporzioni pericolose. Furono così declinati sistematicamente tutti gli inviti, per<br />

quanto lusinghieri e prestigiosi potessero apparire. L’ammissione, l’anno successivo,<br />

alle severe lezioni di Pizzetti, unite alla regolare frequenza del ginnasio, sembrarono<br />

l’antidoto ideale per lasciare alle spalle una stagione che era bene non si protraesse<br />

oltre. Pizzetti proibì ogni forma di esibizione pubblica. Inoltre pose il veto, come<br />

aveva fatto invano anche Giacomo Orefice, il suo primo insegnante di composizione,<br />

all’attività creativa libera, nel tentativo di restituire una gradualità alla formazione<br />

del fanciullo. In una intervista rilasciata nel 1971 a Leonardo Pinzauti, Rota, omettendo<br />

tutti gli aspetti mondani della vicenda fin qui narrata, cercò di dare conto di<br />

questi suoi precocissimi inizi: 2<br />

Non si meravigli ma se lei mi parla di artigianato non so proprio rispondere; il problema<br />

dell’artigianato – non so nemmeno se debbo dirlo o no – non l’ho mai avuto,<br />

nemmeno da ragazzo. (…)<br />

Io imparai tutto quel che mi serviva ad una scuola di solfeggio che frequentai quando<br />

avevo sette anni. Era una scuola straordinaria, bellissima, che non ho più ritrovato:<br />

la teneva a Milano il maestro Alessandro Perlasca, che aveva inventato una specie<br />

di meccàno musicale, (…) io dopo un anno di lezioni sapevo scrivere tutto quello che<br />

volevo, pur essendo uno scolaro tutt’altro che esemplare, anzi pessimo... Scrissi allora<br />

sinfonie, oratori, riempii quintali di carta da musica, perché il mio divertimento era<br />

quello di far musica... Anzi, cominciai a giocare come tutti gli altri ragazzi soltanto<br />

quando avevo quindici anni (…) Mio fratello [era più giovane di me] mi diceva quan-<br />

30


VIAGGIO AL TERMINE DI UNA INFANZIA PRODIGIOSA: NINO ROTA E IL PRINCIPE PORCARO<br />

do eravamo ragazzi: – La tua passione per la musica non è neanche una passione... è<br />

un vizio!<br />

In questo racconto, c’è una singolare inversione temporale e sequenziale che<br />

rimarrà caratteristica peculiare di tutta la sua esistenza. È una sorta di doppio passo,<br />

asincronico e alla rovescia, grazie al quale l’avanzare nell’età e negli studi regolari,<br />

corrispose al rafforzarsi di una natura spontanea, candida e fanciullesca. Il «vizio»<br />

della musica gli aveva impedito di giocare al tempo giusto con i suoi coetanei, ma gli<br />

consentirà, dopo, di continuare a giocare con la musica – nel senso etimologicamente<br />

più ampio del termine – per tutta la vita. Fu Alberto Savinio, tirando in ballo - questa<br />

volta a proposito e con le dovute cautele – Mozart, ad evidenziare questa condizione<br />

reiterata a dispetto del tempo e della storia.<br />

Guardando Nino Rota al piano, ho capito come doveva essere Mozart al clavicembalo.<br />

Nel che non faccio comparazione di qualità sì solo «d’immagini soltanto» e di<br />

«fisiologia». Entrambi partecipano di quel «fanciullismo» di cui tanto si parlò a proposito<br />

di Mozart (…)<br />

Ma il «fanciullismo» dei musici molto musicali è un nostro errore di visione, un<br />

nostro errore di comprensione. Non sono fanciulli i musici, sì a noi sembrano tali:<br />

sono musici, sono creature musicali estranee al nostro mondo. E la musica, loro<br />

madre e natura impedisce ai musici di crescere, e di svilupparsi «come uomini». 3<br />

Nel 1925, con Il principe <strong>porcaro</strong>, Rota sceglie autonomamente ed in perfetta<br />

solitudine di comporre un’opera. Fino a quel momento i titoli del catalogo rotiano<br />

sono quasi esclusivamente legati a inputs familiari: il libretto regalato da un amico di<br />

casa, le liriche per canto e pianoforte dedicate alla cugina. Inoltre egli è cosciente<br />

della scarsa considerazione dei Suoi per quel mondo: «… a quattordici anni scrissi<br />

un’opera, ma in casa mia di Verdi e di Puccini non si parlava nemmeno... Mia cugina<br />

cantava Schumann, e anche le musiche di Pizzetti o di Ravel, fresche di stampa,<br />

ma mai una romanza d’opera...». 4<br />

Il principe <strong>porcaro</strong> è quindi una sua esclusiva urgenza creativa. È finita una stagione,<br />

il fanciullo prodigio è ormai un ragazzino che con quell’epoca ha, forse inconsciamente,<br />

deciso di fare i conti. È giunta l’ora di mettere il naso fuori dal nido e provare<br />

a dare un contorno, a proiettare un’ombra, con quel fiume di note che gli gira<br />

nella testa. I bambini per poter crescere, prodigi o meno che siano, hanno bisogno<br />

d’amore, di conferme, anche Rota cerca queste conferme e comincia a farlo fuori<br />

dagli affetti familiari.<br />

31


FRANCESCO LOMBARDI<br />

Il libretto<br />

Nino Rota trasse il libretto dalla fiaba Il guardiano dei porci 5 di Hans Christian<br />

Andersen. L’unico indizio che abbiamo a proposito del suo modo di procedere ci è<br />

offerto dalla madre nella sua Storia di Nino:<br />

«Si raccontava da sé la favola del Principe <strong>porcaro</strong> di Andersen e faceva insieme<br />

alle parole la musica …».<br />

Purtroppo non abbiamo altre fonti, né sono arrivati a noi i testi sui quali il compositore<br />

potesse avere eventualmente letto la fiaba. Così, non sappiamo neanche se si trattasse<br />

di una versione integrale o di uno di quegli adattamenti in uso nelle antologie di racconti<br />

per l’infanzia, piuttosto che di una versione orale tramandata in ambito familiare.<br />

Questo a dire che tagli e adattamenti rispetto al testo originale, sono da considerare<br />

come elaborazione del compositore, ma non necessariamente come tagli o<br />

manomissioni di un testo preesistente. Per quanto riguarda poi il processo di scrittura<br />

dell’opera, è abbastanza difficile credere che sia frutto unicamente di questa composizione<br />

‘in presa diretta’: parole e musica passo passo, come descritto dalla madre.<br />

I tre atti sono equilibrati e ben caratterizzati, se pure con un finale precipitoso come<br />

d’altronde è nella la fiaba. Possiamo supporre che il testo giunto fino a noi sia il risultato<br />

di un lavoro più complesso e meditato, frutto di revisioni successive che purtroppo<br />

non sono presenti nelle carte dell’archivio.<br />

I caratteri dell’opera sono i medesimi della fiaba, con una sostanziale variante per la<br />

figura del Principe, descritto da Andersen come un «Principe povero che possedeva un<br />

regno piccolissimo», mentre nell’opera viene reiteratamente presentato dai suoi ambasciatori<br />

e sudditi come «potente, ricco, giovane, bello». Non si tratta di una differenza da poco<br />

perché elimina l’ostacolo pregresso allo svolgersi di una relazione fra la Principessa – figlia<br />

di un Imperatore – e un Principe troppo poco importante per aspirare alla sua mano.<br />

D’altro canto, in questo assetto, uno dei motivi forti della fiaba e cioè l’incapacità della<br />

Principessa di vedere ed apprezzare il vero – il vero amore, la vera bellezza, la vera arte –<br />

viene esaltato e direi espresso in termini poeticamente più efficaci. Infatti, il Principe rotiano<br />

chiede di essere amato avendone tutti i titoli. Potente, ricco, giovane e bello ha inviato<br />

doni alla Principessa per poterla conoscere. Ma la Principessa, fors’anche vittima dei capricci<br />

indotti dalla sua condizione e dal suo ambiente, non coglie il valore puro e spirituale dei<br />

regali, rifutandosi – dopo averli distrutti – di ammettere persino di averli ricevuti. Così il<br />

Principe, per avvicinare la sua amata ed esserne riamato, si traveste mutando la sua condizione<br />

in umile <strong>porcaro</strong> e, per attirare l’attenzione della capricciosa Principessa, suona un<br />

organetto. Ed è qui che si presenta la seconda vistosa discrepanza con il testo originale. Nella<br />

fiaba, infatti, entra in gioco la magia. Il Porcaro di Andersen possiede una pentola magica<br />

con poteri divinatori ed una raganella – anch’essa magica – in grado di suonare tutte le melodie<br />

del mondo. Mostrando questi oggetti straordinari attira a sé la Principessa. Niente<br />

magie, invece, per il Principe rotiano, ma solo abilità artistiche: il travestimento, la simulazione,<br />

suonare uno strumento musicale. La Principessa che anche in questo caso non ha riconosciuto<br />

il vero – quello non è un Porcaro è un Principe, oltre tutto innamorato – pur di soddisfare<br />

i suoi capricci immediati si perde definitivamente. Verrà infatti cacciata dal Padre che<br />

l’ha scoperta mentre bacia il Principe Porcaro per avere in cambio il suo misero organetto.<br />

Al Principe non rimane così che di tornare dai suoi amati sudditi, abbandonando la<br />

Principessa al suo destino, ha ottenuto i suoi baci ma non il suo cuore e così la ripudia.<br />

32


VIAGGIO AL TERMINE DI UNA INFANZIA PRODIGIOSA: NINO ROTA E IL PRINCIPE PORCARO<br />

L’opera<br />

La doverosa premessa è che, nonostante si tratti di un opera mai eseguita fino ad<br />

oggi, Il principe <strong>porcaro</strong> ricevette al tempo della sua creazione attenzioni e recensioni<br />

quasi pari a quelle di un titolo rappresentato almeno una volta. Anzi fu proprio a<br />

causa di queste attenzioni e della conseguente scoperta dell’inarrestabile produzione<br />

creativa del nostro, che Pizzetti decise di interrompere il suo impegno didattico con<br />

Rota. Una rottura anche questa significativa del punto di svolta rappresentato da<br />

questo titolo nell’ancora acerbo catalogo rotiano. L’allestimento della prima esecuzione<br />

è stato possibile grazie alla presenza di una copia autografa (una bella copia,<br />

rilegata e rifinita in ogni sua parte) della riduzione per canto e pianoforte. L’Archivio<br />

Rota custodisce inoltre alcune pagine sparse di abbozzi orchestrali e la traduzione ritmica<br />

completa del libretto in tedesco. Sicuramente esisteva una orchestrazione completa<br />

e definitiva, almeno del primo atto, ma purtroppo è andata perduta. È stato perciò<br />

deciso di commissionare una nuova orchestrazione a Nicola Scardicchio, autorevole<br />

membro del Comitato Scientifico dell’Archivio medesimo, nonché allievo e collaboratore<br />

fedele di Rota durante gli ultimi anni della sua vita. Si è poi considerato<br />

opportuno scegliere un organico cameristico per due motivi:<br />

– restituire al meglio un procedimento compositivo che, alla arcata breve dell’invenzione<br />

musicale tipica dell’età verdissima dell’autore, sopperisce con un montaggio<br />

serratissimo di differenti episodi musicali;<br />

– consentire un più facile allestimento, considerando che si tratta di uno spettacolo<br />

principalmente rivolto ad un pubblico infantile.<br />

Detto questo, il primo aspetto che salta all’occhio leggendo lo spartito de Il principe<br />

<strong>porcaro</strong> è proprio quello del montaggio. Non vi sono infatti veri e propri numeri<br />

chiusi bensì una serie di episodi che si concatenano uno coll’altro a reggere lo sviluppo<br />

dell’azione teatrale. Non è facile cercare di ricostruire i modelli a cui Rota si<br />

sia ispirato, perché se è vero che il teatro d’opera non era incluso nelle esecuzioni<br />

casalinghe e la radio doveva ancora venire, risulta che, prima dei tredici anni, qualche<br />

visita alla Scala l’avesse compiuta. Il debutto avvenne con un Falstaff che lo lasciò<br />

piuttosto freddo mentre il Parsifal rimase impresso nel suo ricordo come la prima<br />

grande emozione teatrale: «(…) i miei non mi ci volevano portare, poi riuscii a convincerli;<br />

e dall'emozione stetti in piedi per tutto il primo atto; ma il terzo atto non me<br />

lo fecero vedere, e mi portarono a casa». 6 A onore del vero, bisogna dire che una<br />

qualche influenza di questi due titoli sulla composizione di Rota non sembra esserci,<br />

pur trattandosi di opere nella cui struttura sono utilizzate tecniche di montaggio, non<br />

hanno niente a che fare con quel procedere a scatti, quasi per vignette, fotogrammi<br />

che è il passo caratteristico del lavoro di Rota. C’è però un’ipotesi suggestiva a proposito<br />

del modello assunto dal giovanissimo compositore. Nell’autunno del ’23,<br />

come sappiamo, soggiornò a Parigi dopo l’esecuzione de L’infanzia di S. Giovanni<br />

Battista. Proprio di quell’anno, è la pubblicazione del racconto lirico in tre atti Le<br />

rossignol di Igor Stravinskij, tratto – guarda un po’ il caso – da una fiaba di<br />

Andersen. Ora, è possibile che Rota, la cui ammirazione per Stravinskij fu sempre<br />

grandissima, avesse visto la partitura o la riduzione per canto e pianoforte di quest’opera<br />

proprio a Parigi, dove frequentò diversi salotti musicali. Non abbiamo nessuna<br />

certezza a questo proposito, i pochi frammenti della biblioteca rotiana di que-<br />

33


FRANCESCO LOMBARDI<br />

gli anni ci hanno però restituito una partiturina da studio del poema sinfonico che<br />

Stravinskij trasse dall’opera medesima. Inoltre la somma degli indizi è tale che ci sembra<br />

doveroso accreditare questa ipotesi. Stravinskij definisce racconto lirico Le rossignol,<br />

Rota in un suo manoscritto propone Il principe <strong>porcaro</strong> come commedia musicale.<br />

Il soggetto favolistico è tratto dal medesimo autore, Andersen, che non godeva<br />

a quel tempo di particolare fortuna come fonte per libretti d’opera. Entrambi i soggetti<br />

prevedono musica in scena con usignoli veri e finti organetti, e via cantando. E,<br />

soprattutto, troviamo una struttura, un montaggio, dannatamente simili. Entrambe<br />

le partiture si reggono su variazioni ritmiche continue, con il serrato alternarsi di soli,<br />

coro e interludi strumentali a concatenare un flusso continuo di parole e musica. Una<br />

struttura quindi che nega i canoni tradizionali dell’opera (i numeri chiusi, l’aria, il<br />

concertato) e, allo stesso tempo, cerca nella stringatezza dell’azione scenica il giusto<br />

passo per rendere drammaturgicamente credibile il testo. Come ultima traccia vorrei<br />

aggiungere che, secondo Silvino Mezza, uno dei recensori de Il principe <strong>porcaro</strong> ante<br />

litteram, 7 l’orchestrazione definitiva dell’opera prevedeva l’uso di due arpe, esattamente<br />

come nella partitura di Stravinskij. Naturalmente la scrittura e lo schema<br />

rotiano risultano notevolmente semplificati rispetto al modello di Stravinskij, anche<br />

se lo spirito e direi quasi la lettera di questa concezione strutturale presenta somiglianze<br />

impressionanti. Per quanto riguarda, invece, il materiale musicale utilizzato<br />

da Rota nel disegnare le melodie e il tessuto connettivo dell’opera, è possibile scorgere<br />

con una certa chiarezza frammenti di studi ed esercizi di tecnica pianistica come<br />

arpeggi, scale, il moto contrario. Figurazioni sonore, se non vogliamo dar loro patente<br />

di veri e propri brani musicali risuonanti con frequenza a casa Rota durante le<br />

lezioni private impartite dalla madre a giovinetti più o meno renitenti, costretti a faticare<br />

là dove il nostro si era sempre destreggiato con la naturalezza e la facilità di chi,<br />

insieme al camminare e al parlare, aveva aggiunto il suonare. Fedele D’Amico una<br />

volta disse di lui «… suonava il pianoforte come altri mangiano…».<br />

Questo aspetto del comporre di Rota rimarrà come un marchio distintivo di<br />

tutta la sua produzione. Con diversi gradi di sofisticazione, mascheramento e dissimulazione,<br />

possiamo trovare tracce di esercizi di tecnica pianistica e strumentale fin<br />

nelle sue ultime opere, così come di schegge melodiche provenienti dalle fonti più disparate.<br />

In questo senso l’avvento della radio tenuta costantemente accesa durante le<br />

sessioni di lavoro notturne, il copioso inquinamento musicale del Conservatorio di<br />

Bari dove ha vissuto per molti anni e le infinite sedute al pianoforte insieme a registi<br />

cinematografici cantanti e/o fischiettanti vanno a costituire l’indispensabile corollario<br />

ambientale di una produzione copiosa e perfino orgogliosa di interferenze, quasi<br />

plagi e reiterati autoplagi. Nello sviluppo drammaturgico dello spartito, Il principe<br />

<strong>porcaro</strong> è sorretto sostanzialmente da tre elementi: i cori, brevissimi interludi strumentali<br />

di venti, trenta battute al massimo e una sorta di declamato che sta fra il recitativo<br />

e la narrazione. I cori sono certamente l’aspetto più compiutamente riuscito e<br />

felice dell’opera. Il piccolo Nino si era potuto fare una buona esperienza sul campo<br />

con le due esecuzioni de L’infanzia di S. Giovanni Battista. A Milano e a Tourcöing<br />

aveva avuto la possibilità di ascoltare e riascoltare, in diversi momenti e con organici<br />

sempre più imponenti, questo suo lavoro, dove l’elemento corale era decisamente<br />

preponderante e che aveva potuto rivedere e rifinire prima dell’esecuzione francese.<br />

Così non sorprende più di tanto che ne Il principe <strong>porcaro</strong>, il coro dei domestici per<br />

34


VIAGGIO AL TERMINE DI UNA INFANZIA PRODIGIOSA: NINO ROTA E IL PRINCIPE PORCARO<br />

i salamini alla cacciatora del secondo atto, e quello dei sudditi festeggianti il ritorno<br />

del loro amato Principe nel terzo, siano i due episodi musicali più riusciti, nei quali<br />

si trova l’incanto di una felice invenzione musicale concepita da un ragazzino per dei<br />

coetanei o quasi. Ma un po’ tutta l’opera è permeata di questa felicità e freschezza<br />

d’invenzione, grazie alla quale la tragica vicenda della Principessa capricciosa, viene<br />

dipanata con allegro disincanto ed un’ironia salace. Il lamento dei porci abbandonati<br />

dal vecchio <strong>porcaro</strong> imperiale o il duetto d’amore tra il cerimoniere e la nutrice,<br />

sono – non solo esilaranti – ma contengono già il segno della mano felice di un compositore<br />

che scriverà – vent’anni dopo – la Farsa Musicale Il cappello di paglia di<br />

Firenze. Nel precipitoso finale del Porcaro, 25 battute per un minuto circa di durata,<br />

Rota spalanca davanti a sé e agli ascoltatori quell’abisso di solitudine e incertezza che<br />

la vita, prima o dopo, pone a tutti e che a lui, con la precocissima scomparsa del<br />

padre, doveva essere già noto. La Principessa, ormai sola e abbandonata, cerca consolazione<br />

nell’umile organetto, per ottenere il quale si era perduta. Ma lo strumento<br />

non può che rispecchiare il mesto animo di chi lo suona e, anche, la sua imperizia.<br />

Marcia a scatti e dopo pochi istanti tace, si ferma. Come un giocattolo rotto.<br />

NOTE<br />

1<br />

Ernesta Rota Rinaldi, Mio padre e Storia di Nino a cura di F. Lombardi (Reggiolo 1999).<br />

2<br />

Leonardo Pinzauti, MUSICISTI D’OGGI - Venti colloqui (1978 Torino) e succ. in Fra cinema e musica<br />

del novecento: Il caso Nino Rota (Firenze, 2000).<br />

3<br />

Alberto Savinio, Scatola Sonora VOCI n.14 del 28/10/1944 e succ. in Fra cinema … (Firenze, 2000).<br />

4<br />

Leonardo Pinzauti op. cit. (1978 Torino) e succ. in Fra cinema e… (Firenze, 2000).<br />

5<br />

Tit. or. Svinedrengen pubblicata per la prima volta in Danimarca nel 1849.<br />

6<br />

Leonardo Pinzauti op. cit. (1978 Torino) e succ. in Fra cinema e… (Firenze, 2000).<br />

7<br />

S.M. Un compositore quattordicenne: Nino Rota Rinaldi in CRONACHE MUSICALI N. 6 Anno II<br />

13/2/1926.<br />

35


Francesco Lombardi<br />

INTERMEZZO: LA SCUOLA DI GUIDA<br />

Idillio musicale di Mario Soldati e Nino Rota<br />

Prima esecuzione:<br />

Spoleto, Festival dei due mondi, Teatro Caio Melisso 12 giugno 1959 all’interno<br />

dello spettacolo Fogli d’album per la regia di Franco Zeffirelli.<br />

Nino Rota compose, tra il 1945 e il ’60, le colonne sonore per nove pellicole e due<br />

inchieste televisive di Mario Soldati. La loro fu una collaborazione nata da un antico<br />

e saldo rapporto di amicizia. Questo rapporto era alimentato da frequentazioni<br />

estranee al mondo del cinema, come il cenacolo del Premio letterario Bagutta e<br />

sempre stimolato dall’onnivora curiosità culturale di Soldati, che trovava in Rota<br />

il tramite ideale per esplorare il mondo della musica. La serena incoscienza con la<br />

quale i due affrontarono l’estemporanea e vaga commissione di Giancarlo Menotti<br />

– antico e coetaneo rivale del Rota, nell’arena dei fanciulli prodigio di Milano e<br />

dintorni – non sarebbe altrimenti spiegabile. Infatti Menotti chiese, all’ultimo<br />

istante e nell’accavallarsi degli impegni di entrambi, una cosa qualunque, purché<br />

breve. Detto e fatto! Due soli personaggi, unità di tempo e di luogo e poco più di<br />

dieci minuti per lo svolgimento. Su quell’automobile Soldati fa incontrare due perdenti,<br />

un lui e una lei, che hanno ottime ragioni per trasformare il naufragio della<br />

lezione di guida e di conserva della loro esistenza, in un porto sicuro degli affetti.<br />

Ne escono due caratteri tipici della poetica del regista cinematografico, da Le miserie<br />

del signor Travet in avanti, dove una rassegnata e discreta autoironia di stampo<br />

sabaudo, stempera le amarezze della vita. Tutto questo declinato in una cornice<br />

di decoro borghese e/o piccolo borghese, che rende accettabili e – perché no –<br />

credibili, anche passioni fuori tempo massimo, come quella sbocciata fra i due protagonisti.<br />

La partitura musicale, scoppiettante e spudorata nel sottolineare le vicende<br />

dei due, provocò l’entusiasmo di un incontentabile melomane quale Alberto<br />

Arbasino: «(…) questa musica di una volgarità e di una facilità oltraggiose (e stupende)<br />

(…) oltre ad avere un carattere ben preciso e ambizioni deliberatamente circoscritte,<br />

riporta con una puntualità pungente a un tempo che è patetico rivalutare:<br />

i primi anni della guerra, la moda del ’40 (…)» preso l’abbrivio, sull’onda dell’entusiasmo,<br />

Arbasino si infila nel ginepraio delle citazioni:<br />

36


INTERMEZZO: LA SCUOLA DI GUIDA<br />

«(…) oltre ad un po’ di Puccini e di operetta con Guido Riccioli e Nanda Primavera,<br />

mi piaceva sentirci dentro continuamente le canzonette della radio di quando facevo<br />

il ginnasio, La canzone del boscaiolo, Il maestro improvvisa, Pippo non lo sa…» 1<br />

E dove finisce Arbasino, potremo continuare noi, fino al completo stordimento,<br />

perché con Rota riesce più semplice dire ciò che manca di quello che, volta a volta,<br />

anche nel volgere di pochissime battute, sbuca fuori. Alla fine, però, succede che lo<br />

riconosci sempre, perché in questo gioco era così bravo che tutto quel materiale<br />

diventava semplicemente suo, privo di qualunque virgolettatura o atteggiamento<br />

citazionista, semplicemente funzionale allo scopo.<br />

NOTA<br />

1<br />

Alberto Arbasino, Un Festival in famiglia, SETTIMO GIORNO 25/6/1959.<br />

37


NOTE DI REGIA *<br />

Affrontando la messinscena dell’opera infantile di Nino Rota, si è pensato di ambientare la<br />

vicenda non in un generico ambiente favolistico/nordico, come pure il racconto di Andersen<br />

Il principe <strong>porcaro</strong> avrebbe potuto ragionevolmente suggerire, bensì nell’Italia monarchica<br />

del 1925, anno in cui l’opera fu scritta, libretto e musica, dal giovanissimo Nino.<br />

È probabile infatti che il ragazzo, nel suo immaginario tanto fantastico quanto<br />

saldamente ancorato alla realtà italiana degli anni ’25-’26, facesse riferimento più<br />

alle coreografie da operetta di Casa Savoia, così come si potevano vedere nelle parate<br />

ufficiali o sulle foto de L’Illustrazione Italiana, che non alle figure di genere dei libri<br />

di fiabe allora in circolazione.<br />

Si è pensato quindi di ‘caricare’ ulteriormente queste ‘coreografie reali’ (arrivando<br />

forse al limite dell’irriverenza), così da ridicolizzare, ammesso che ce ne fosse bisogno,<br />

i personaggi del nanetto-Re soldato, dell’ingessato-Principe malinconico, della<br />

ribelle-Principessa intellettualmente curiosa e appassionata di musica (musica evocata<br />

e prodotta da un semplice quanto stimolante organetto, preferito dalla fanciulla<br />

regale a meraviglie ‘naturali’ ben più sofisticate).<br />

A questi personaggi fanno corona servitori, ambasciatori, cappellani della Real<br />

Casa, dame travestite da crocerossine, ecc. ecc.<br />

Si è poi pensato (adottando un’usanza in voga nella migliore tradizione teatrale<br />

dei secoli scorsi) di dotare l’opera, fra un atto e l’altro, di un intermezzo.<br />

Si è tal fine realizzato un video della durata di 14 minuti, su testo di Soldati e<br />

musica dello stesso Rota (adulto, questa volta): La scuola di guida, composto nel ’59,<br />

pare in pochi minuti di giocosa improvvisazione. L’azione la si è immaginata negli<br />

studi dismessi e un po’ fatiscenti di un vecchio Teatro di Posa degli anni ’40. Di rigore,<br />

quindi, il bianco e nero.<br />

Un ingegnere, istruttore di guida, e una signorina desiderosa di imparare a guidare,<br />

entrambi un po’ attempati, e soprattutto intimiditi dalla vicinanza tentatrice in<br />

cui si vengono a trovare nell’abitacolo della Cabriolet che li ospita per la ‘lezione di<br />

guida’, finiscono con l’innamorarsi e con lo scambiarsi un lungo bacio, a coronamento<br />

dell’inutile seduta.<br />

I baci saranno anche il leit-motiv del Principe <strong>porcaro</strong>. «Che bello ballare a suon<br />

di musica» scrive il piccolo Rota prima che la Principessa «si sacrifichi» nel dare dieci<br />

baci al Principe in cambio dell’organetto tanto desiderato.<br />

Dove risulta chiarissimo che «ballare» sta per «baciare».<br />

Un piccolo lapsus che la dice lunga sullo spirito, la leggiadria creativa, l’ironia<br />

dello scanzonato, giovanissimo Rota.<br />

Venezia, 30 luglio 2003<br />

(La Fede delle Femmine)<br />

* In funzione scenica, a mo’ di ouverture, è stato introdotto l’episodio Le Roi dal Molière imaginaire<br />

composto da Nino Rota per Maurice Béjart.<br />

38

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!