Intervento di Alfredo Carlo Moro - Azione Cattolica Italiana
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RICORDO DI VITTORIO BACHELET<br />
A VENTICINQUE ANNI DALLA SUA MORTE<br />
1. La pubblicazione – venticinque anni dopo la sua morte – degli scritti religiosi e<br />
<strong>di</strong> quelli civili <strong>di</strong> Vittorio Bachelet è certamente una utile occasione per fermarsi un<br />
momento a riflettere sul suo insegnamento, ancora straor<strong>di</strong>nariamente attuale. Mi<br />
sembra che le <strong>di</strong>fficoltà della nostra vita sociale <strong>di</strong> oggi, e dello stesso popolo <strong>di</strong> Dio<br />
in cammino in Italia, rendano particolarmente vive ed essenziali le riflessioni che tanti<br />
anni fa Vittorio, anche se in un contesto notevolmente <strong>di</strong>verso, sentì il bisogno <strong>di</strong><br />
sviluppare: esse ci possono aiutare a comprendere meglio problemi <strong>di</strong> sempre, a<br />
riprendere un cammino in parte interrotto, a risuscitare responsabilità a cui in qualche<br />
modo sì è ab<strong>di</strong>cato, a ritrovare un nuovo senso e una nuova efficacia al nostro<br />
impegno nella Storia.<br />
Cercherò <strong>di</strong> far parlare Lui attraverso le citazioni che ho scelto: certo la selezione<br />
effettuata, tra un'imponente mole <strong>di</strong> documenti, è molto soggettiva e <strong>di</strong> ciò mi scuso;<br />
ma ho cercato principalmente risposte a miei problemi che penso siano anche i<br />
problemi <strong>di</strong> tutti voi in un momento <strong>di</strong>fficile come quello attuale in cui siamo chiamati<br />
a vivere.<br />
2. Vorrei innanzi tutto partire da alcune importanti sottolineature <strong>di</strong> Vittorio sul<br />
modo con cui l’uomo, più che il cristiano, deve porsi <strong>di</strong> fronte alla vita.<br />
a) Ci ha innanzi tutto insegnato Vittorio ad amare la vita e ad avere fiducia nella vita.<br />
Nel 1947 scriveva: «In tutti i tempi la vita vale la pena <strong>di</strong> essere vissuta: anche in<br />
questo nostro tempo faticoso che sembra troppo pieno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà per essere lieto e<br />
troppo poco grande per essere eroico... Io credo che se da una posizione negativa si<br />
vuol passare ad una posizione positiva, costruttiva cioè e concludente, è necessario<br />
superare questa forma <strong>di</strong> insofferenza che ha aspetti notevoli <strong>di</strong> pessimismo e <strong>di</strong><br />
scetticismo per trovare intorno a noi i valori positivi, i vecchi che non abbiamo<br />
perduto e i nuovi che siamo andati acquistando quasi a nostra insaputa». E nel 1968,<br />
in una relazione ai presidenti <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong> ACI, ricordava l'ottimismo <strong>di</strong> Papa<br />
Giovanni XXIII «che non è incosciente bonomia <strong>di</strong> chi non sa valutare le <strong>di</strong>fficoltà e í<br />
rischi ma fede umile nel Signore e docile risposta alla sua chiamata»; un ottimismo<br />
con cui guardare non solo alla Chiesa ma anche al mondo perché «ve<strong>di</strong>amo nel<br />
mondo accanto a rischi e oppressioni e violenze e ingiustizie rinascere sempre<br />
contra spem la forza della libertà, della giustizia, della pace, della solidarietà».<br />
A questo impegno Vittorio è rimasto sempre straor<strong>di</strong>nariamente fedele: cercando <strong>di</strong><br />
guardare alla realtà in cui si vive con realismo, senza lasciarsi travolgere da una<br />
preconcetta ostilità verso il proprio tempo e un miope rimpianto per un mitico passato<br />
(con ironia ricordava che una tavoletta assira del 2800 a C. prevedeva l'imminente<br />
fine del mondo perché la corruzione e l’insubor<strong>di</strong>nazione sono <strong>di</strong>ventate cose comuni<br />
e i figli non obbe<strong>di</strong>vano più ai genitori); cercando <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare e valorizzare le<br />
positività che sempre la vita propone; rifiutandosi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scettare sulle nequizie dei<br />
tempi per impegnarsi a costruire nel piccolo le cose gran<strong>di</strong> (<strong>di</strong>ceva, con la consueta<br />
ironia, che fu una grande forza per Vittorio, che quando improvvisamente si<br />
spengono le luci è più utile chi accende un cerino che chi <strong>di</strong>sserta sulle responsabilità<br />
dell'Azienda elettrica); accogliendo con pazienza ed umana fortezza tutte le <strong>di</strong>fficoltà
che la vita inevitabilmente impone senza autocommiserazioni, senza cercare<br />
improbabili scorciatoie, senza ab<strong>di</strong>cazioni. In un momento storico in cui l'ottimismo<br />
beota si coniuga spesso con un catastrofismo <strong>di</strong> maniera; in cui sembra che tutto si<br />
possa ottenere con estrema facilità ed in tempi brevi; in cui la paziente attesa della<br />
maturazione e della gradualità della crescita sembra solo fuga da una vita ai cui ritmi<br />
frenetici bisogna adeguarsi; in cui l'impegno nelle piccole cose è travolto dalla<br />
tendenza a costruire solo utopici e rutilanti progetti, le riflessioni <strong>di</strong> Vittorio, e tutta la<br />
sua vita improntata a quelle convinzioni, dovrebbero costituire un punto <strong>di</strong> forte<br />
riferimento.<br />
b) Ci ha insegnato Vittorio a rispettare i valori umani e ad aver fiducia e rispetto<br />
nell’uomo, in ogni uomo. Nel 1966, nella relazione al convegno nazionale dei<br />
presidenti <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong> ACI, dopo aver rilevato che la Chiesa del Concilio aveva colto,<br />
nella vita degli uomini d’oggi, valori positivi e gran<strong>di</strong>, attese nascoste, possibilità <strong>di</strong><br />
ripresa, errori che possono essere sanati e che ha impegnato tutti i suoi figli a<br />
operare per la salvezza, l'or<strong>di</strong>ne e la santificazione <strong>di</strong> questa realtà ricordava che<br />
tutto ciò «richiede a ciascuno <strong>di</strong> noi la capacità <strong>di</strong> avere attenzione alla realtà<br />
dell’uomo <strong>di</strong> oggi,<br />
senza chiuderci nell’alterigia del fariseo e sapendo invece farci tutto a tutti... Non<br />
contrapponendosi... non (<strong>di</strong>venendo) fazione tra fazioni, non organizzazione <strong>di</strong><br />
potere ma sale e luce del mondo». E nella relazione del 1970 all'Assemblea<br />
nazionale dell’ACI ricordava che «per costruire la comunità non basta gridare ciò che<br />
si ritiene buono ma occorre anche apprendere la virtù dell’incontro e questo richiede<br />
fatica e amor <strong>di</strong> Dio». E citava Bonhoeffer «Dio non vuole che io modelli il prossimo<br />
secondo l'immagine che pare buona a me, cioè secondo la mia propria immagine;<br />
ma nella sua libertà <strong>di</strong> fronte a me ha fatto il mio prossimo a sua immagine. Non<br />
posso mai sapere in precedenza quale debba essere l’immagine <strong>di</strong> Dio nel prossimo;<br />
sempre <strong>di</strong> nuovo questa assumerà una forma <strong>di</strong>versa e nuova che <strong>di</strong>pende dalla<br />
libera creazione <strong>di</strong> Dio: a me può anche sembrare strana, indegna <strong>di</strong> Dio. Ma Dio<br />
crea l'altro a immagine e somiglianza del suo figliolo, del Crocifisso: anche questa<br />
immagine a me era pur parsa strana, indegna <strong>di</strong> Dio prima che l'avessi compresa». E<br />
in un articolo scritto nella giovinezza per Ricerca (agosto 1947) e significativamente<br />
intitolato “Amico <strong>di</strong> tutti” affermava «I cattolici combattono, devono combattere il male<br />
che è l'unica cosa che possono non amare; ma non possono combattere, essere<br />
nemici, degli uomini, anche quando questi sono a servizio del male, anche quando<br />
combattono la verità, la giustizia, la carità, la Chiesa. È certamente questa una delle<br />
leggi più singolari e <strong>di</strong>fficili del cattolicesimo: <strong>di</strong>fendere le proprie idee e i propri <strong>di</strong>ritti<br />
ma <strong>di</strong>fenderli amando coloro che combattono per ideali opposti... E amare vuol <strong>di</strong>re<br />
essere in ansia per la loro vita, avere a cuore il loro buon nome, sapere pregare per<br />
loro, essere capaci <strong>di</strong> offrire in ogni momento un sorriso <strong>di</strong> pace... E tutto questo non<br />
vuol <strong>di</strong>re essere fiacco».<br />
In un momento storico in cui vengono sempre più alimentate <strong>di</strong>visioni manichee del<br />
mondo; in cui lo sfruttamento dell'altro in funzione dei propri interessi sembra lo<br />
strumento privilegiato per realizzare se stesso; in cui si vanno creando tanti nemici<br />
anche per costruirsi o rafforzarsi nella propria incerta identità; in cui si ritiene che la<br />
verità possa essere testimoniata e proclamata solo agitando la clava; in cui ritorna la<br />
tentazione delle crociate come strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa delle proprie verità; in cui è più<br />
importante raggiungere comunque un risultato anche a costo <strong>di</strong> profonde lacerazioni<br />
piuttosto che cercare <strong>di</strong> portare avanti le proprie idee mantenendo buoni rapporti <strong>di</strong>
convivenza, la me<strong>di</strong>tazione <strong>di</strong> Vittorio può particolarmente e proficuamente illuminare<br />
la nostra coscienza.<br />
c) Ci ha insegnato ancora Vittorio che la vita non va solo amata ma va anche<br />
continuamente sviluppata in sé e negli altri. Costruirsi in pienezza <strong>di</strong> umanità è<br />
con<strong>di</strong>zione per essere più compiutamente se stessi e per rispondere così in modo<br />
più adeguato al dono della vita che il Signore ci ha dato.<br />
Una costruzione lenta, graduale ma continua; una costruzione ra<strong>di</strong>cata su una<br />
conoscenza <strong>di</strong> sé e cioè delle proprie positività ma anche delle inevitabili negatività<br />
esistenti e delle realtà in cui si è chiamati a vivere e a crescere e che con<strong>di</strong>zionano<br />
positivamente o negativamente l’esistenza. Nella relazione ad un Convegno dei<br />
presidenti <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong> ACI del 1969 ha detto «non c’è opera umana che non nasca<br />
dalla fatica <strong>di</strong> una crescita che trasforma e arricchisce: perché ogni cosa viva è<br />
sempre se stessa e ogni giorno nuova. Di qui un impegno più grande che non si<br />
esaurisce nella chiamata <strong>di</strong> un momento o nel grido scan<strong>di</strong>to <strong>di</strong> uno slogan ma che<br />
sa che ogni giorno si deve costruire la giustizia... sa che ogni giorno si deve costruire<br />
la libertà nella verità e nell'amore».<br />
Una crescita che si realizza principalmente iniziando dal basso ed impegnandosi<br />
nelle piccole cose per cambiare le gran<strong>di</strong>. In un articolo del 1947 apparso su Ricerca<br />
e significativamente intitolato “la fatica <strong>di</strong> tirare la carretta” aveva scritto «Non<br />
sappiamo più fare le piccole cose, il lavoro seccante quoti<strong>di</strong>ano, nascosto, così poco<br />
eroico, così monotono anche. E così succede che facciamo, ogni tanto, quando<br />
un’idea ci entusiasma, quando un programma ci si rivela in tutta la sua attuale<br />
bellezza, dei gran<strong>di</strong>osi propositi <strong>di</strong> generosità, <strong>di</strong> fedeltà, <strong>di</strong> attività ma subito poi ci<br />
ammosciamo appena ci accorgiamo che è necessaria una azione lunga, paziente, <strong>di</strong><br />
cui forse noi non vedremo i risultati».<br />
Ed è assai significativo che Vittorio ha ripetutamente richiamato la fondamentalità<br />
della formazione: una formazione non solo cristiana ma anche umana, ancorata sulla<br />
crescita in sè delle virtù non solo teologali ma anche car<strong>di</strong>nali e sull'esercizio «delle<br />
virtù anche umane <strong>di</strong> lealtà, <strong>di</strong> coraggio per il pieno sviluppo <strong>di</strong> tutti i talenti» (Relaz.<br />
al convegno dei presidenti <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong> A.C del marzo 1966); una formazione<br />
ra<strong>di</strong>cata, come ha detto nella stessa occasione, su una educazione continua «non<br />
solo alla responsabilità ma anche all'esercizio virile della libertà e quin<strong>di</strong> alla capacità<br />
<strong>di</strong> sapere in ogni occasione vedere, giu<strong>di</strong>care e agire alla luce della fede»; una<br />
costruzione che deve essere costantemente perseguita anche se comporta fatica (e<br />
Vittorio ammoniva a non <strong>di</strong>menticare mai la preghiera <strong>di</strong> Leonardo: «Tu o Dio tutti i<br />
beni li ven<strong>di</strong> a prezzo <strong>di</strong> fatica»: Rel. al Convegno nazionale dei Presidenti <strong>di</strong>ocesani<br />
dei giugno 1965).<br />
Non mi sembra che nel mondo <strong>di</strong> oggi si accetti la fatica del tento costruire perché si<br />
ignora il passato e si è insensibili al futuro, contando solo il presente; non mi sembra<br />
che il richiamo al ra<strong>di</strong>camento in sé delle virtù anche umane faccia parte del bagaglio<br />
dell'uomo moderno troppo sicuro <strong>di</strong> se, troppo proiettato verso un successo da<br />
ghermire ad ogni costo, più preoccupato <strong>di</strong> apparire che <strong>di</strong> essere.<br />
3. Rilevanti e assai attuali sono anche le riflessioni <strong>di</strong> Vittorio sulla politica: una<br />
politica intesa in senso molto alto come lo strumento privilegiato per assicurare la<br />
buona vita umana <strong>di</strong> tutti, per sviluppare la solidarietà tra i consociati, per ampliare i
<strong>di</strong>ritti fondamentali della persona ma anche per saperli coniugare con i corrispettivi<br />
doveri inderogabili <strong>di</strong> solidarietà politica, economica e sociale.<br />
Un insegnamento particolarmente significativo, questo, in una stagione politica in cui<br />
la politica con la “P”, maiuscola è stata sostituita da una politica che cede alla<br />
tentazione <strong>di</strong> risolversi in mero spettacolo teso a catturare consenso più che a<br />
risolvere problemi; da una politica ridotta a pubblicità e per lo più a una pubblicità<br />
ingannevole in cui il carisma della immagine è a tutto scapito del carisma delle idee;<br />
da una politica che tende a sviluppare perennemente lo scontro cercando una<br />
propria identificazione più nell'essere contro qualcuno che nel proporre programmi<br />
propri; da una politica che tutela prevalentemente interessi <strong>di</strong> un gruppo<br />
contrabbandandoli come interessi <strong>di</strong> tutti e si ra<strong>di</strong>ca sullo scambio tra consenso e<br />
privilegi; da una politica incurante <strong>di</strong> realizzare, attraverso la legalità, l'effettiva<br />
eguaglianza <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni.<br />
Sin da giovane – in un contesto in cui si enfatizzava la politica dei partiti e il momento<br />
parlamentare come unico strumento <strong>di</strong> sviluppo della comunità – Vittorio ci<br />
ammoniva: “<strong>di</strong> politica possono darsi due accezioni fondamentali: la politica come<br />
attività o vita propria della polis cioè come collaborazione attiva, dei singoli o delle<br />
organizzazioni, alla vita sociale e la politica come meccanismo <strong>di</strong> funzionamento<br />
degli organi e degli uomini che <strong>di</strong>ventano summa rerum in un certo or<strong>di</strong>namento<br />
statale... Questo secondo tipo <strong>di</strong> politica è compreso nel primo come la specie nel<br />
genere ma non si può con quello confondere senza cadere in una concezione cara a<br />
tutte le <strong>di</strong>ttature perché totalitaria nel senso deteriore” (Ricerca, 1949 “Università e<br />
politica”). E sottolineava nel 1976 (Coscienza, Ritrovare una profonda ispirazione)<br />
che «non c’è democrazia, non c’è vitalità politica se le forse politiche non sanno farsi<br />
interpreti delle attese, delle speranze e delle angosce dei citta<strong>di</strong>ni, se non sanno<br />
proporre linee capaci non <strong>di</strong> subire ma <strong>di</strong> guidare lo sviluppo del paese e le<br />
trasformazioni necessarie per rendere l’or<strong>di</strong>namento della società adeguato ai<br />
mutamenti che hanno profondamente mo<strong>di</strong>ficato la sua composizione, la sua cultura,<br />
il suo assetto territoriale e sociale, la sua mentalità, il suo costume» aggiungendo,<br />
sempre nello stesso articolo, «si tratta <strong>di</strong> sapere se nella intricata e mutevole vicenda<br />
della nostra Storia, vi è un ideale <strong>di</strong> uomo e società capace d’incidere in questa storia<br />
e <strong>di</strong> orientarla a servizio dell'uomo, capace <strong>di</strong> costituire un punto <strong>di</strong> riferimento e una<br />
forza traente al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> vittorie e sconfitte, <strong>di</strong> successi e soluzioni subite; capace <strong>di</strong><br />
confrontarsi su altre proposte e altri valori senza intolleranze ma senza lasciarsi<br />
intimi<strong>di</strong>re; capace <strong>di</strong> affrontare non con operazioni <strong>di</strong> piccolo cabotaggio ma con<br />
animo grande i temi essenziali della vita dell’uomo, della <strong>di</strong>fesa della sua <strong>di</strong>gnità,<br />
della sua famiglia, del suo lavoro, della sua cultura, della sua responsabilità, della<br />
sua libertà nella giustizia e nella pace».<br />
E nel 1954 su Civitas (Uomini e masse) – dopo aver riaffermato la funzione dei partiti<br />
«per contribuire a fare delle “masse” un popolo cioè una comunità non più soggetta e<br />
spesso miserevole ma <strong>di</strong>venuta responsabile e attiva nella conquista del proprio<br />
avvenire» – riaffermava che «la vita sociale e politica richiede... – più che mai<br />
l'articolarsi <strong>di</strong> quei “corpi interme<strong>di</strong>” che, se sono necessari per ogni or<strong>di</strong>nata<br />
convivenza, lo sono in modo evidente in una società così vasta e così potente da<br />
minacciare ad<strong>di</strong>rittura la personalità stessa dell'in<strong>di</strong>viduo ove questo non si renda<br />
conto della necessità <strong>di</strong> riunire sforzi comuni, idee comuni, iniziative comuni in<br />
organizzazioni sociali che rafforzino e garantiscano la sua possibilità <strong>di</strong> esistenza e <strong>di</strong><br />
azione». Avvertiva lucidamente anche il pericolo che le organizzazioni interme<strong>di</strong>e<br />
«<strong>di</strong>vengano talmente serrate e forti da costituire piuttosto una minaccia che un
efficace strumento della convivenza civile. Nella società <strong>di</strong> vaste <strong>di</strong>mensioni il<br />
feudalesimo – nelle forme più <strong>di</strong>verse e impensate – è sempre un pericolo reale».<br />
E, in una intervista al Mattino nella sua qualità <strong>di</strong> vicepresidente del CSM ( 30 luglio<br />
1979) riba<strong>di</strong>va che «a <strong>di</strong>fesa della libertà <strong>di</strong> tutti e soprattutto dei più deboli non potrà<br />
non esserci un comune impegno <strong>di</strong> tutte le forze sociali e politiche non per sra<strong>di</strong>care<br />
– come taluni vorrebbero – il <strong>di</strong>ritto e la funzione del giu<strong>di</strong>ce ma piuttosto per avere<br />
leggi sempre più giuste e magistrati che per umanità, rigore morale, capacità<br />
professionale, imparzialità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio sappiano essere corretti interpreti <strong>di</strong> quelle leggi<br />
nella concreta realtà sociale. Magistrati <strong>di</strong> questo tipo ne ho conosciuti molti in questi<br />
anni <strong>di</strong> esperienza».<br />
Non sono drammaticamente attuali queste riflessioni?<br />
4. Era convinto Vittorio che per realizzare una migliore casa comune non<br />
bastasse la politica ma che fosse fondamentale anche lavorare profondamente<br />
nel sociale. Del resto fu questa una scelta che Vittorio fece negli anni della<br />
giovinezza, quando la FUCI del suo tempo non solo volle riaffermare la propria<br />
autonomia assoluta da ogni organizzazione politica, per preservare il suo specifico<br />
ruolo nella vita della società, ma volle che i suoi giovani si preparassero più alla vita<br />
sociale che a quella politica, convinta che la vita comunitaria non si esaurisce nel<br />
momento politico ed in una sorta <strong>di</strong> omnicomprensività della politica. Non era una<br />
preconcetta sfiducia nello strumento politico, non era il desiderio <strong>di</strong> non sporcarsi le<br />
mani: era invece la consapevolezza che la crescita della comunità andava promossa<br />
attraverso una azione nelle Università, nelle professioni, nel tessuto variegato delle<br />
molteplici relazioni sociali, nei corpi interme<strong>di</strong> che costruiscono la società. Ricordava<br />
Vittorio (Relazione al Convegno nazionale ACI del 1966) che «L’or<strong>di</strong>ne temporale<br />
non riguarda solo la più appariscente facciata della politica ma anche la realtà<br />
complessa e mutevole che costituisce il retroterra del tessuto sociale».<br />
a) Per operare proficuamente nel sociale è, per Vittorio, innanzi tutto necessario<br />
essere rispettosi delle leggi e valori che sono propri delle realtà terrene e riconoscere<br />
che tale autonomia è conforme al volere del Creatore, come affermava un<br />
documento conciliare, perché è proprio dalla loro stessa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> creature che<br />
le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi e il loro<br />
or<strong>di</strong>ne. Già dopo il 18 aprile 1948 – e quin<strong>di</strong> molto prima del Concilio – su Ricerca<br />
(del maggio) scriveva «vi è il pericolo che per qualcuno o per molti questo reciproco<br />
collegamento (tra cattolico e citta<strong>di</strong>no) naturale e necessario <strong>di</strong>venga in questa<br />
ancora eccitata atmosfera post elettorale una <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata confusione <strong>di</strong> fini e <strong>di</strong><br />
mezzi. ... Non è improbabile che singoli uomini e singole organizzazioni cattoliche –<br />
<strong>di</strong>mentiche che se la separazione dello spirituale dal temporale è un assurdo la<br />
<strong>di</strong>stinzione tra i due campi è basata invece sulla natura umana e come tale non solo<br />
accettata ma <strong>di</strong>fesa e propugnata dalla Chiesa – ritengano, per santo zelo, doveroso<br />
dopo la potente affermazione dei cattolici italiani, intervenire <strong>di</strong>rettamente in campi e<br />
materie che una elementare prudenza riserva alle organizzazioni politiche». E nel<br />
1966 come Presidente dell'ACI affermava decisamente «Una presenza <strong>di</strong>retta,<br />
tuttavia in questi campi non rientra nel nostro compito or<strong>di</strong>nario essendo nostro<br />
dovere mantenere il rispetto delle competenze <strong>di</strong> quanti operano nelle strutture<br />
temporali secondo le regole ad esse proprie e con specifica e principale<br />
responsabilità in scelte che sono spesso complesse e talora drammatiche. Nostro
intento è <strong>di</strong> avere sempre nei confronti <strong>di</strong> tali istituzioni un atteggiamento rispettoso<br />
così della loro competenza come dei loro valori propri».<br />
Se sono da rispettare i valori propri delle realtà terrene deve essere rispettata anche<br />
la alterità della proposta religiosa che non può essere né declassata a ideologia né<br />
tanto meno ridotta a struttura <strong>di</strong> sostegno <strong>di</strong> una determinata società: <strong>di</strong>ceva Vittorio<br />
(Relazione al Convegno dei Presidenti ACI del maggio 1972) «La Chiesa è impastata<br />
nella storia ma deve <strong>di</strong>fendersi a ogni stagione dalla tentazione <strong>di</strong> confondersi con la<br />
società civile. Pur essendo ra<strong>di</strong>cata nel cuore <strong>di</strong> ogni generazione la Chiesa tanto più<br />
contribuisce alla trasformazione dell'umanità quanto maggiore sarà l’autenticità del<br />
suo annuncio evangelico. Esperta in umanità essa può avere una funzione profetica<br />
in or<strong>di</strong>ne a momenti o valori essenziali della vita dell’umanità: ma il suo compito<br />
essenziale rimane quello <strong>di</strong> rispondere al bisogno che c’è nel cuore <strong>di</strong> ogni uomo <strong>di</strong><br />
incontrarsi con il Dio che salva».<br />
Non è questo un avvertimento estremamente attuale in un momento in cui, da parte<br />
<strong>di</strong> molti, si tende a ridurre la proposta evangelica ad una ideologia religiosa che<br />
dovrebbe assicurare identità a specifiche società che oltre tutto <strong>di</strong> cristiano hanno<br />
molto poco?<br />
b) operare nel sociale significa porsi al servizio dell’uomo. Ed ha sempre riaffermato,<br />
Vittorio, che non si costruisce in sé la pienezza umana se ci si <strong>di</strong>sinteressa dello<br />
sviluppo umano degli altri fratelli, se non si pone se stessi al servizio degli altri,<br />
specie se feriti sulle strade della vita. Ricordava che «idea suprema presente nel<br />
nostro mondo è la convinzione <strong>di</strong> questo necessario servizio alla vita dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />
non però dell’in<strong>di</strong>viduo importante, del superuomo ma dell'in<strong>di</strong>viduo comune: servizio<br />
alla vita elementare dell'uomo elementare... E questo non solo o non tanto perché<br />
l'uomo comune cerchi il benessere ma perché vuole che si allarghi al massimo<br />
possibile la sfera degli in<strong>di</strong>vidui che non sono oppressi o mortificati dalla insicurezza,<br />
dalla <strong>di</strong>soccupazione, dalla mancanza del senso della propria partecipazione... Vuole<br />
che la società sia fondata sulla volontà degli in<strong>di</strong>vidui comuni e non ostacolata, per lo<br />
sviluppo della propria vita, da con<strong>di</strong>zioni negative; e che ci sia pareggio per tutti tra<br />
como<strong>di</strong> e incomo<strong>di</strong>, fra sacrifici e vantaggi» ( La pianificazione e i <strong>di</strong>ritti della<br />
persona... in Riv Trim. <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto pubblico, 1954). E nel saluto conclusivo<br />
all'Assemblea dell'ACI del 1973 affermava che tutti con Tagore «dovremmo <strong>di</strong>re alla<br />
fine della nostra esistenza “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi<br />
svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il<br />
servizio era gioia. E ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto<br />
che il servizio era gioia”. Che tutti sappiamo davvero scoprire che il servizio è la<br />
gioia. Questo è l'augurio del vostro servitore, il campanaro della Domus Paci».<br />
Un insegnamento, questo, profondamente antitetico alla realtà <strong>di</strong>, oggi: in cui il<br />
piacere è più rilevante che la gioia; in cui predomina l'idea che l'uomo senza ideali e<br />
senza valori può vivere meglio la sua vita; in cui si è convinti che la vita deve essere<br />
depredata più che servita, che solo i <strong>di</strong>ritti – o meglio le esigenze più banali –<br />
contano e i doveri relazionali costituiscono un inceppo e non un accrescimento<br />
dell'io, che ogni limite posto alla mia onnipotenza sia <strong>di</strong> per ciò solo castrante. E<br />
sembra che le virtù umane non abbiano più senso in una società che riduce la<br />
giustizia a mero <strong>di</strong>ritto, la fortezza ad aggressività, la prudenza a opportunismo, la<br />
temperanza a <strong>di</strong>ete alimentari per rendere più bello il corpo, la tolleranza a<br />
compromesso o in<strong>di</strong>fferenza.
c) Guardando al mondo a cui apparteneva Vittorio rilevò la particolare funzione delle<br />
professioni nella costruzione della casa comune. In un intervento a un Congresso dei<br />
Laureati ( in “Le professioni e il Movimento Laureati”, 1959) rilevò che «nell'esercizio<br />
della professione il professionista collabora con il suo servizio al progresso e al<br />
benessere della società (insegnando, costruendo, curando ecc.) ma soprattutto,<br />
come portatore <strong>di</strong> valori spirituali che si trasformano in opere, è forse l'operatore che<br />
più efficacemente influisce sul costume della collettività e può in<strong>di</strong>rizzarlo nell'uno o<br />
nell’altro senso... Tutto ciò non è azione specificatamente sociale o politica: è azione<br />
al servizio dell'uomo, impostata in modo da educarlo ai valori essenziali della sua<br />
<strong>di</strong>gnità. Ma adesso <strong>di</strong>viene azione essenziale per la costruzione della società e<br />
particolarmente <strong>di</strong> quella società libera in cui gli uomini sono abituati ad essere<br />
consapevoli della loro <strong>di</strong>gnità e a esercitare gli essenziali <strong>di</strong>ritti. La prima e più<br />
pericolosa, “trahison des clercs” non è stata tanto quella <strong>di</strong> aver rifiutato, all'ultimo<br />
momento, un pur doveroso impegno politico per salvare la società dalla minaccia<br />
totalitaria e da regimi negatori dei valori dell’uomo: è stata quella <strong>di</strong> avere rinunciato a<br />
insegnare ogni giorno attraverso la propria azione professionale al cliente, allo<br />
studente, all'imputato ad essere uomini». Nell'attuale declino delle professioni, in cui<br />
I’aspetto meramente tecnico va <strong>di</strong> gran lunga sopravanzando l'aspetto sociale e <strong>di</strong><br />
servizio ed in cui l’asservimento al potente <strong>di</strong> turno ottunde libertà e responsabilità, le<br />
riflessioni riportate dovrebbero far tornare ad un soprassalto <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità per non<br />
legittimare un nuovo tra<strong>di</strong>mento dei clerici.<br />
d) Infine Vittorio ha voluto ripetutamente sottolineare come per essere<br />
compiutamente uomini e per poter costruire intorno a se una autentica comunità <strong>di</strong><br />
uomini liberi – capaci <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re in pie<strong>di</strong>, come Vittorio <strong>di</strong>sse in un in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong><br />
omaggio a Paolo VI – sia in<strong>di</strong>spensabile un supplemento <strong>di</strong> coscienza in<strong>di</strong>viduale.<br />
Tra le moltissime citazioni possibili mi limito a quella tratta dalla relazione ai convegni<br />
nazionali delle presidenze <strong>di</strong>ocesane del maggio 1971 in cui commentò che «la<br />
doverosa e benedetta liberazione dalle strettoie <strong>di</strong> certa casistica morale sia stata<br />
interpretata da alcuni come una sorta <strong>di</strong> “rompete le righe” in cui tutto è consentito,<br />
ognuno possa farsi del suo arbitrio regola alla propria coscienza. Mentre il richiamo<br />
alla coscienza che il cristianesimo ha sempre fatto, ma che il Concilio ha rinnovato,<br />
richiede – semmai – una più rigorosa ricerca <strong>di</strong> ciò che è doveroso secondo il piano<br />
<strong>di</strong> Dio piuttosto che secondo i propri momentanei umori, e quin<strong>di</strong> una più esigente<br />
formazione della coscienza cristiana sollecitata a nuove responsabilità. È questo un<br />
punto essenziale: la nuova legge cristiana dell’amore e della speranza è<br />
infinitamente libera e misericor<strong>di</strong>osa, ma proprio per questo più esigente. La<br />
rettitu<strong>di</strong>ne del cuore, la purezza dello Spirito e perciò del corpo, la carità verso i<br />
fratelli, la povertà, il <strong>di</strong>sinteresse, la generosità, la fame e sete <strong>di</strong> giustizia sono i frutti<br />
dello Spirito <strong>di</strong> Dio presente in noi, fragili vasi <strong>di</strong> creta. Ma neanche in noi il seme<br />
porterà frutto senza macerazione e morte. La legge cristiana dell'amore e della<br />
speranza passa inevitabilmente attraverso la Croce». Mi sembra importante<br />
sottolineare come quest'ultimo richiamo alla Croce sia stato costante nella vita <strong>di</strong><br />
Vittorio: da giovanissimo aveva scritto «Dal giorno in cui Cristo è morto in croce noi<br />
possiamo conquistare la nostra liberazione. Da quel giorno abbiamo appreso che la<br />
liberazione è nella Croce. Perché se la Resurrezione è la manifestazione della<br />
vittoria, la liberazione è l'effetto della Croce. Noi dobbiamo imparare che solo il<br />
sacrificio totale è quello che ci libera, solo l'obbe<strong>di</strong>enza totale, fino alla morte e alla<br />
morte <strong>di</strong> croce, è quella che ci dà la liberazione. la liberazione cioè definitiva» (<br />
Ricerca 1° aprile 1948).
Alla rigorosità della propria coscienza a servizio degli uomini e della comunità intera,<br />
alla consapevole riscoperta <strong>di</strong> una identità cristiana non sociologica ma ra<strong>di</strong>cata su<br />
una reale unione a Cristo, alla costante vigilanza interiore, alla accettazione della<br />
Croce per far crescere il seme, Vittorio ha improntato l'intera sua vita. Al <strong>di</strong> là delle<br />
illuminanti parole che in tanti anni ci ha donato è questo limpido esempio <strong>di</strong> vita che<br />
deve rischiarare la nostra esistenza e contribuire a far crescere in noi l'amore e la<br />
speranza, anche se il mondo <strong>di</strong> oggi sembra aver perso sia la capacità <strong>di</strong> amare che<br />
quella <strong>di</strong> sperare.<br />
<strong>Alfredo</strong> <strong>Carlo</strong> <strong>Moro</strong>