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Marzo - La Piazza

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Cinema<br />

37<br />

MILLION DOLLAR BABY<br />

di Gualtiero Todini<br />

<strong>La</strong> trama non è originale; la suggerisce a<br />

Eastwood un racconto dello scrittore F. X. Toole;<br />

ma il film che ne nasce è davvero bello, talmente<br />

bello da essere premiato con l’Oscar alla regìa e<br />

alla migliore pellicola statunitense. Un film duro,<br />

amaro, scarno, che affibbia ripetuti colpi bassi<br />

all’osannato “Sogno Americano”. Sì, ho detto<br />

“colpi bassi”, perché è un film sul mondo della<br />

boxe, che si svolge in una sordida palestra, priva<br />

di luce naturale, gestita da un vecchio allenatore,<br />

Frankie-Eastwood, aiutato da un fedele amico di<br />

giovanili scorribande, il bravo attore di colore<br />

Morgan Freeman (anche a lui l’Oscar 2005, come<br />

migliore attore maschile non-protagonista), che ha<br />

sempre una buona parola per tutti, anche per il più<br />

incapace degli aspiranti boxeurs.<br />

I frequentatori della palestra sono personaggi<br />

mediocri in cerca di un’affermazione, che risulta<br />

quasi sempre chimerica: siamo ben lontani dai<br />

fasti dell’uomo americano “che si fa da sé”. Oltre<br />

a Freeman, guadagna l’Oscar anche Hilary<br />

Swamp, quale migliore attrice protagonista, nella<br />

parte di Maggie, una ragazza povera ma ostinata,<br />

che si presenta al burbero Frankie, per essere allenata<br />

a vincere. Sorretta da Morgan (il nome nel<br />

film non lo ricordo), Maggie a poco a poco entra<br />

nel cuore di Frankie, al quale si lega anche come<br />

ad un padre-vicario, avendo perso il suo, di cui<br />

conserva un ammirato ricordo. Frankie gradualmente<br />

cede all’ostinazione della ragazza: anche<br />

lui trova in Maggie una figlia-vicaria, dal momento<br />

che da anni scrive lettere ad una figlia “offesa”<br />

(nel film non si dice come e perché), puntualmente<br />

respinte al mittente.<br />

Nasce, nello sviluppo degli eventi una famiglia<br />

atipica, in cui l’affetto, scarno e poco loquace,<br />

ma sincero, lega i personaggi sempre più profondamente.<br />

Affetto vero, anzi amore, ma non nel<br />

senso volgare che immagina la madre di Maggie.<br />

A proposito della madre, quando Maggie, avendo<br />

fatto un po’ di soldi, le regala una casa spaziosa<br />

che la faccia uscire dal tugurio in cui vive con il<br />

resto della famiglia (una sorella con figlio, un fratello<br />

inetto e “coatto”), costei la rimbrotta perché<br />

la proprietà di una casa la priverà del sussidio<br />

governativo.<br />

Maggie impara presto a boxare con intelligenza<br />

e a menare colpi micidiali; tanto che in un<br />

anno e mezzo arriva a combattere per il titolo<br />

Clint Eastwood e Hilary Swamp in una scena del film<br />

mondiale (in palio un milione di dollari). Gli<br />

spettatori sono certi che vincerebbe il titolo, se la<br />

rivale non le sferrasse un illecito “colpo basso”,<br />

che le fracassa la schiena e il collo. Qui si spezza<br />

il sogno di Maggie (riscattarsi dalla miseria di<br />

un destino crudele verso i poveri) e si spezza la<br />

sua vita. <strong>La</strong> “dolce morte” implorata e ottenuta<br />

da Frankie, suo nuovo padre, è la logica conclusione<br />

del film. Frankie, che si è accollato il destino<br />

di questa nuova figlia fatta a pezzi davanti a<br />

lui impotente, dopo averle procurato la morte<br />

vera, sparisce non sappiamo dove. Un film<br />

amaro, lo ribadisco, perché è un film in cui il tentativo<br />

di sfuggire alla solitudine si frantuma, cozzando<br />

contro la durezza del destino.<br />

Naturalmente l’assegnazione dell’Oscar alla<br />

migliore regìa è assolutamente meritata: l’autore<br />

riesce a trattenere la tentazione di occupare troppo<br />

il campo. <strong>La</strong> sua recitazione è, perciò, misurata e<br />

scarna; poche le parole e solo quelle strettamente<br />

necessarie; per il resto soltanto gesti e sguardi; ma<br />

anche questi essenziali, rapidi. Dunque, un bel<br />

film; senza dubbio da vedere.

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