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Le biografie d'impresa nel Veneto - Centro Studi Ettore Luccini

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<strong>Le</strong> <strong>biografie</strong> d’impresa <strong>nel</strong> <strong>Veneto</strong> 13<br />

cemente ai tempi rapidi tipici delle decisioni economiche: tanto che, piuttosto<br />

di affrontarlo, gli imprenditori preferivano conservare la natura di ditta<br />

individuale alla loro impresa, rinunciando perciò ai propri progetti espansivi,<br />

oppure scegliere la via della formazione di una società di persone, che<br />

tuttavia era inidonea a raccogliere i flussi di risparmio privato che la forma<br />

azionaria avrebbe consentito.<br />

La battaglia di Alessandro Rossi per la liberalizzazione delle società anonime<br />

portò alla fine – in sede di revisione del Codice di Commercio, varato<br />

<strong>nel</strong> 1882 e noto come Codice Mancini dal nome del ministro proponente –<br />

alla tipizzazione delle norme obbligatorie da inserire negli statuti societari, e<br />

quindi ad una drastica velocizzazione <strong>nel</strong>la costituzione delle società azionarie.<br />

Esse non furono più soggette alla autorizzazione governativa, ma solo<br />

alla omologa dei Tribunali di Commercio, chiamati a verificare la rispondenza<br />

degli statuti alle prescrizioni del Codice.<br />

Questa battaglia si accompagnò a quella per tariffe “protezionistiche”, poi<br />

conseguite <strong>nel</strong> 1887, intese a difendere le gracili industrie italiane dalla concorrenza<br />

dei prodotti stranieri, più economici e qualitativamente migliori<br />

delle produzioni nostrane.<br />

Non è un caso che entrambi questi provvedimenti abbiano in buona parte<br />

coinciso con il decollo della nostra industria.<br />

Per ultimo, merita di essere menzionata l’azione di Rossi, in parte riuscita,<br />

volta a creare nuovi e più stretti legami tra la finanza veneta, all’epoca<br />

sostanzialmente immobilista basata com’era sulla rendita dei grandi proprietari<br />

fondiari, e quella dell’area lombarda, ben più dinamica. Essa trovò<br />

modo di esprimersi non solo attraverso la costituzione di imprese societarie<br />

minori con capitalisti extraveneti, ma soprattutto con la scelta strategica di<br />

trasformare (1873) la sua ditta individuale <strong>nel</strong>la più grande (almeno fino a<br />

metà degli anni Ottanta) anonima industriale del paese, coinvolgendovi<br />

investitori e capitalisti lombardi, romani, piemontesi e perfino stranieri,<br />

svizzeri ed austriaci in particolare, ma anche mediante lo svecchiamento<br />

dell’apparato finanziario veneto perseguito con una accorta rete relazionale<br />

con i grandi proprietari fondiari ed i mercanti-banchieri veneti. Una opzione<br />

che presto si rivelò come una vera e propria tecnica di apertura e di integrazione<br />

del <strong>Veneto</strong> <strong>nel</strong>la finanza del giovane regno italiano.<br />

Un altro imprenditore d’eccezione fu Vincenzo Stefano Breda, che <strong>nel</strong> 1872<br />

diede vita in Padova ad una impresa, la “Società Veneta per Imprese e<br />

Costruzioni Pubbliche”, che fu una delle primissime aziende italiane a dedicarsi<br />

ai grandi lavori di costruzione di <strong>nel</strong>le aree urbane: ponti, strade,<br />

fognature, acquedotti, reti ferroviarie minori, grandi immobili, cimiteri

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