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Documentazione - I@PhT

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STAGE DI FISICA - 14-19 Marzo 2011<br />

TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA”<br />

Roberta Balestrino (1) , Giorgetta Comino (2) , Gianna Rovero (3) , Caterina Torazza (2)<br />

(1) Liceo Scientifico Amaldi di Orbassano; (2) Liceo Scientifico Monti di Chieri;<br />

(3) AIF, Sezione di Settimo Torinese<br />

1. Luce, colore, energia: che cosa, perché e come<br />

2. Il colore: come separare i colori della luce con un prisma<br />

3. Luce e colore: le onde luminose<br />

• Diffrazione della luce da un ostacolo o da una fenditura<br />

• Reticolo di diffrazione e laser<br />

• Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione<br />

4. Luce ed energia: lo spettro luminoso<br />

• Lo spettro della luce emessa da una lampadina con filamento a incandescenza<br />

• La temperatura del filamento e la legge di Wien<br />

• Osservazione di spettri con uno spettrofotometro<br />

Richiami e approfondimenti<br />

A1. Le onde e le caratteristiche dei fenomeni ondulatori<br />

- Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio<br />

a) Onde piane e onde circolari<br />

b) La diffrazione da un ostacolo o da una fenditura<br />

c) L’interferenza<br />

d) Interferenza da più fenditure e da reticolo<br />

- Il “principio di Huygens”<br />

- L’interferenza e il principio di sovrapposizione<br />

- La diffrazione da parte di una fenditura sottile<br />

- La diffrazione da reticolo<br />

A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck<br />

A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle<br />

1


1. Luce, colore ed energia: che cosa, perché e come<br />

Che cos’è la luce La luce nella nostra esistenza ha un ruolo fondamentale: noi vediamo e<br />

soprattutto viviamo grazie ad essa; può essere descritta per mezzo di grandezze misurabili, oppure<br />

considerando gli aspetti estetici o ancora dal punto di vista fisiologico.<br />

Nei primi studi sulla luce non si era in grado di distinguere tra luce e visione, i Pitagorici ad<br />

esempio pensavano che la luce non potesse esistere indipendentemente dal soggetto che vede grazie<br />

a un “fuoco” presente in esso, il quale, uscendo dall’occhio, cade sugli oggetti rendendoli visibili.<br />

Questa confusione la ritroviamo nei bambini: quando giocano a “nascondino” a volte si<br />

“nascondono” coprendosi gli occhi con le mani, pensando di non essere visti se essi stessi non<br />

vedono. Nel corso dei secoli successivi vennero formulate diverse ipotesi sulla natura della luce:<br />

- intorno al 1500 Leonardo, osservando analogie tra fenomeni ondulatori e fenomeni<br />

luminosi, formulò per primo l’ipotesi che la luce avesse aspetti ondulatori;<br />

- nel 1600 Keplero pose fine alla “confusione“ tra luce e visione riuscendo a comprendere<br />

che le immagini si formano all’interno dell’occhio;<br />

- si giunge quindi a Newton e Huygens, contemporanei fra loro, che avevano posizioni<br />

opposte sulla natura della luce. Come emerge dai dialoghi tra Newton e Huygens, il primo<br />

pensava alla luce in termini di “particelle”, il secondo in termini di “onde”.<br />

Particella e onda sono due grandi concetti della fisica classica nel senso che possiamo associare<br />

quasi ogni branca della fisica con una o con l’altra. I due concetti sono diversi, soprattutto per quel<br />

che riguarda il trasporto di energia: la parola particella sottintende una piccolissima concentrazione<br />

di materia che trasporta energia, la parola onda sottintende una grande distribuzione di energia che<br />

riempie lo spazio in cui l’onda si muove.<br />

Oggi sappiamo che la luce è allo stesso tempo “particella” e “onda”: la chiave per arrivare a<br />

capire questo comportamento duale sta nell’associazione fra il “colore” della luce e “l’energia”<br />

trasportata dalla luce. Newton fu il primo a indicare il modo per separare la luce bianca nei suoi<br />

colori, ma bisogna ricorrere al modello ondulatorio di Huygens per avere il modo di associare al<br />

colore una grandezza fisica, la “lunghezza d’onda”, e infine occorre arrivare a Herschel, all’inizio<br />

dell’Ottocento, per capire, attraverso la scoperta della “radiazione invisibile infrarossa”, come<br />

associare colore ed energia. Ripercorriamo in tre tappe questo cammino affascinante che ci porterà<br />

a rispondere alla nostra domanda iniziale su che cos’è la luce:<br />

- ripercorriamo con Newton il percorso per separare la luce nei suoi colori,<br />

- impariamo a riconoscere e misurare il “colore” estendendo alla luce i metodi di indagine e i<br />

modelli utilizzati per caratterizzare le onde meccaniche,<br />

- misuriamo infine lo “spettro” della luce per indagare il legame fra energia e colore.<br />

2


2. Separare i “colori” con il prisma<br />

Un prisma trasparente, messo sul cammino di un fascio di luce, lo fa deviare dalla direzione iniziale<br />

a causa dell’interazione fra la luce e il materiale trasparente di cui è formato il prisma. L’angolo di<br />

deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente dipende da un numero caratteristico del<br />

materiale detto indice di rifrazione n. A sua volta n dipende dal “colore”, con variazioni che sono<br />

piccolissime: ad esempio, fra il verde-giallo e il rosso scuro n diminuisce di circa lo 0,3%.<br />

Poiché l’angolo di deviazione cresce al crescere di n, il violetto è più deviato del blu, e questo è<br />

deviato più del verde, ecc., per cui i diversi colori si separano.<br />

c<br />

y<br />

angolo di deviazione<br />

infrarosso<br />

direzione del<br />

raggio incidente<br />

prisma<br />

rosso<br />

violetto<br />

ultravioletto<br />

Esistono dei “colori”, che il prisma è in grado di separare, che non sono visibili per il nostro occhio,<br />

ma sono rivelabili da strumenti opportuni, come vedremo più avanti: l’infrarosso, che è meno<br />

deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di sotto del rosso (di qui il suo nome “infrarosso”)<br />

e l’ultravioletto, che è più deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di là del<br />

violetto (di qui il suo nome “ultra-violetto”).<br />

L’importanza del fenomeno della dispersione, già noto ai tempi di Newton come ricordato<br />

nell’introduzione, è che dimostra che il colore è una proprietà della luce e non della materia, come<br />

l’esperienza quotidiana tenderebbe a suggerire: il prisma infatti è del tutto incolore, mentre il fascio<br />

di luce, all’uscita dal prisma, mostra di possedere tutta una successione di colori che prima non<br />

apparivano e che non possono essere stati aggiunti dal prisma.<br />

La dispersione da prisma, tuttavia, non fornisce la misura diretta di una grandezza fisica da<br />

associare a un determinato colore, che, come vedremo, è la “lunghezza d’onda” λ caratteristica di<br />

quel colore, perché l’angolo di deviazione di un certo colore dipende dall’indice di rifrazione n del<br />

tipo di vetro di cui è fatto il prisma e occorre risalire a λ attraverso la dipendenza da λ dell’indice di<br />

rifrazione n del tipo di vetro.<br />

Nella misura che segue ci limiteremo perciò ad associare qualitativamente il colore all’angolo di<br />

deviazione, o meglio alla posizione y del colore sullo schermo.<br />

3


Materiale<br />

- lampada per proiezioni<br />

- prisma su piattaforma girevole<br />

- schermo con righello<br />

Misure<br />

Posizionare il prisma sulla piattaforma girevole e aggiustare l’orientazione fino a quando si osserva<br />

chiaramente sullo schermo lo spettro dei colori.<br />

Il righello predisposto sullo schermo, che parte dal viola e va verso il rosso (asse y), serve per<br />

valutare la separazione e aiutare l’identificazione del colore, ma la posizione y di un certo colore<br />

non è legata in modo semplice alla lunghezza d’onda, come spiegato sopra.<br />

Misurare la posizione y corrispondente a un certo colore, registrare in particolare la posizione di<br />

colori ben identificati, come l’inizio della banda del colore blu, del verde, del rosso e<br />

dell’infrarosso.<br />

4


3. Luce e colore: le onde luminose<br />

Eseguiamo alcune esperienze per convincerci che la luce presenta comportamenti ondulatori del<br />

tutto simili a quelli delle onde meccaniche e che c’è una relazione precisa fra la lunghezza d’onda e<br />

il colore della luce: questa relazione ci permetterà di associare al colore un numero preciso, non<br />

dipendente dalla percezione visiva soggettiva.<br />

La diffrazione della luce<br />

Come noto per le onde meccaniche, la diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni<br />

ondulatori che si manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di<br />

onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente. Il fenomeno diventa<br />

cospicuo e dà effetti osservabili se le dimensioni dell’ostacolo sono confrontabili con la lunghezza<br />

d’onda: di qui nasce la difficoltà di osservare il fenomeno per le onde luminose che hanno<br />

lunghezze d’onda inferiori al micrometro. Per la luce gli effetti diffrattivi si manifestano, ad<br />

esempio, quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro oppure una<br />

o più fenditure micrometriche, illumina un piccolo oggetto come un capello….: l’immagine<br />

luminosa generata dall’ostacolo (oppure l’ombra se si tratta di un oggetto opaco) non è più quella<br />

“geometrica”, che ci si aspetta se il fascio si propagasse rettilineamente, ma è una figura<br />

caratteristica la cui larghezza angolare θ è descritta nell’approfondimento.<br />

Utilizzeremo come “ostacolo” un capello, perché le tipiche dimensioni di un capello sono<br />

confrontabili con quelle della lunghezza d’onda della luce visibile e quindi il fenomeno della<br />

diffrazione è facilmente osservabile.<br />

Materiale<br />

- LASER rosso e LASER verde<br />

- finestra di uscita mobile<br />

- schermo<br />

Misure<br />

Utilizzare prima il LASER rosso (λ=630 nm).<br />

- Fissare un capello trasversalmente alla finestra di uscita e spostare lentamente l’allineamento fra<br />

la finestra e la direzione del fascio fino a quando sullo schermo compare la figura di diffrazione;<br />

- misurare l’angolo θ a cui compare il minimo della figura di diffrazione;<br />

- determinare il diametro del capello utilizzando la relazione (A1) derivata negli approfondimenti<br />

fra la larghezza del cono di diffrazione e la larghezza della fenditura,<br />

a senθ = λ<br />

(A1)<br />

dove λ è la lunghezza d’onda, a rappresenta il diametro del capello e θ l’angolo a cui si osserva il<br />

minimo di intensità luminosa.<br />

Noto il valore di a, ripetere la misura con il LASER verde e determinare la lunghezza d’onda della<br />

luce verde. Ripetere entrambe le misure con un capello diverso: il diametro dipende dal colore del<br />

capello Attenzione a chi si tinge…<br />

La misura della lunghezza d’onda con il reticolo di diffrazione<br />

Un “reticolo di diffrazione” è una lastrina di vetro o di altro materiale trasparente sulla cui<br />

superficie sono state incise delle fenditure a una distanza regolare d molto piccola, confrontabile<br />

con la lunghezza d’onda λ della luce che si vuole studiare. Come spiegato nell’approfondimento, se<br />

si fa incidere un fascio di luce monocromatica, caratterizzata quindi da una lunghezza d’onda λ ben<br />

definita, dal reticolo escono, oltre al fascio trasmesso, come avviene per qualunque lastrina a facce<br />

5


piane, anche più fasci diffratti ad angoli θ legati alla lunghezza d’onda dalla relazione di Bragg<br />

(equazione A2 dell’approfondimento):<br />

sin θ = n λ / d (A2)<br />

dove n è un numero intero. Per n=1 si ha il “primo ordine diffrattivo”, che è normalmente quello<br />

che si studia, essendo il più intenso.<br />

fascio diffratto<br />

fascio incidente<br />

d<br />

θ<br />

θ<br />

θ<br />

θ<br />

fascio trasmesso in avanti<br />

Materiale<br />

- LASER rosso e LASER verde<br />

- finestra di uscita<br />

- reticolo da 600 linee al mm<br />

- schermo<br />

Misure<br />

Utilizzare prima il LASER rosso<br />

- Fissare il reticolo alla finestra di uscita;<br />

- osservare la figura di diffrazione che si forma sullo schermo;<br />

- individuare i due primi massimi di diffrazione e controllare che siano disposti simmetricamente<br />

rispetto allo spot di luce centrale;<br />

- se non lo sono, ottimizzare la simmetria aggiustando l’ortogonalità fra la direzione del fascio e lo<br />

schermo;<br />

- misurare le distanze dei primi massimi dallo spot luminoso centrale, calcolare gli angoli θ e la<br />

loro media;<br />

- determinare la lunghezza d’onda della luce LASER dalla relazione (A2) e confrontarla con il<br />

valore nominale (632 nm)<br />

Ripetere la misura con il LASER verde<br />

Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione<br />

Se il fascio non è monocromatico, come avviene nella luce bianca emessa da una lampada a<br />

incandescenza, il reticolo permette di separare i vari colori presenti nella luce bianca perché li<br />

diffrange ad angoli diversi, crescenti con il valore della lunghezza d’onda, come atteso in base alla<br />

relazione (A2): il rosso è quindi più deviato del blu, contrariamente a quanto avviene nella<br />

dispersione da prisma.<br />

Un’altra grossa differenza fra dispersione da prisma e quella da reticolo è che il reticolo disperde<br />

solo una piccola frazione della luce incidente perché la maggior parte dell’intensità luminosa<br />

rimane comunque nello spot luminoso centrale che non subisce deviazioni rispetto alla direzione<br />

incidente.<br />

Il reticolo ha invece un grosso vantaggio al prisma, perché con il reticolo l’angolo di deviazione è<br />

legato direttamente alla lunghezza d’onda attraverso la relazione (A2), che è universale dato che<br />

6


dipende solo dal passo, mentre con il prisma la relazione è indiretta, dato che passa attraverso la<br />

dipendenza da λ dell’indice di rifrazione che è legata al tipo di vetro.<br />

rosso<br />

blu<br />

blu<br />

rosso<br />

primo ordine<br />

diffrattivo<br />

primo ordine<br />

diffrattivo<br />

θ<br />

θ<br />

reticolo<br />

fenditura<br />

lente<br />

lampada<br />

Materiale<br />

- lampada per proiezioni<br />

- fenditura<br />

- lente convergente di distanza focale 15 (o 7,5) cm<br />

- reticolo da 600 linee al mm<br />

- schermo<br />

Misure<br />

Nell’apparato mostrato nella figura la fenditura e la lente convergente sono necessarie per collimare<br />

il fascio e definire con precisione la direzione del fascio che incide sul reticolo; si formano due<br />

figure di diffrazione, una a destra e l’altra a sinistra della direzione del fascio incidente.<br />

Dopo aver ottimizzato la simmetria fra le due figure come fatto per la misura precedente con il<br />

LASER, misurare l’angolo θ a cui si forma un determinato colore, e calcolare la lunghezza d’onda<br />

corrispondente attraverso la relazione di Bragg (A2), λ = d sin θ.<br />

Eseguire la misura per almeno quattro colori ben identificabili dello spettro, in particolare per blu,<br />

verde, giallo e rosso, cercando di identificare il centro della banda corrispondente.<br />

Riportare in una tabella i valori della lunghezza d’onda ottenuti accanto al “colore” relativo.<br />

La luce visibile ha lunghezze d’onda che vanno da circa 380 nm (1 nm=10 -9 m) per il violetto a circa<br />

780 nm per il rosso scuro; il verde che sfuma verso il giallo (è il colore al quale si ha il massimo<br />

dell’intensità della radiazione solare) ha lunghezza d’onda di circa 550 nm:<br />

violetto blu verde giallo arancio rosso<br />

↓ ↓ ↓<br />

λ (nm) → 380 550 780<br />

7


4. Luce ed energia: lo spettro luminoso<br />

Lo spettro della luce emessa da una lampadina<br />

Materiale a disposizione:<br />

2 alimentatori<br />

4 tester<br />

1 lampada (tensione massima 13V)<br />

Cavi elettrici<br />

1 prisma<br />

1 schermo graduato con fotodiodo (*)<br />

Che cosa fare<br />

• Con il prisma disposto davanti alla lampadina nella stessa posizione dell’esperimento<br />

precedente, osservare lo spettro e formulare delle congetture sull’intensità dei vari colori.<br />

• Organizzare un esperimento che consenta di verificare la validità delle proprie congetture<br />

facendo scorrere il fotodiodo lungo la scala graduata. Il gruppo di lavoro si organizzi,<br />

discuta le modalità di esecuzione dell’esperimento valutando accuratamente le possibili<br />

cause di errore e dividendosi i compiti.<br />

• Misurare anche il “fondo”, cioè il segnale dovuto alla radiazione presente nella stanza che<br />

arriva sullo schermo in assenza della radiazione della lampada dispersa dal prisma (lo si<br />

ottiene mascherando la faccia del prisma da cui escono i raggi dispersi); è importante<br />

conoscere il “fondo”, perché, quando si accende la lampada, questa energia va a sommarsi a<br />

quella della radiazione che giunge dalla lampada alterando la misura, dato che le due<br />

radiazioni non hanno la stessa distribuzione in funzione della posizione sullo schermo;<br />

• Registrare il valore dell’intensità relativa della radiazione luminosa (monocromatica) in<br />

funzione della sua posizione “y” sulla scala graduata, e alla lunghezza d’onda in base alla<br />

corrispondenza tra posizione sullo schermo e lunghezza d’onda fatta in precedenza, anche<br />

aiutandosi con la tabella seguente;<br />

violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso<br />

↓ ↓ ↓<br />

380 550 780 → λ (nm)<br />

• Riportare i dati su un grafico; discutere i risultati ottenuti confrontandoli con le proprie<br />

congetture e commentandoli con l’insegnante<br />

(*) Il fotodiodo è un dispositivo che, colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una<br />

differenza di potenziale proporzionale alla radiazione incidente. Poiché la differenza di potenziale è<br />

molto piccola, il fotodiodo è accoppiato a un amplificatore che ne amplifica linearmente il segnale<br />

che viene letto mediante un multimetro. Il fotodiodo è montato su di uno schermo graduato sul<br />

quale può scorrere mediante la rotazione di una manovella.<br />

.<br />

8


Temperatura del filamento della lampadina e legge di wien<br />

Partendo dallo spettro ottenuto nell’esperimento precedente e utilizzando la correlazione qualitativa<br />

fra colore, posizione “y” sullo schermo e lunghezza d’onda, aiutandosi con lo schema che segue,<br />

individuare la lunghezza d’onda λ max a cui si verifica il massimo dell’intensità della radiazione<br />

violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso<br />

↓ ↓ ↓<br />

380 550 780 → λ (nm)<br />

Calcolare il valore approssimato della temperatura del filamento della lampadina secondo la legge<br />

di Wien (vedi gli “approfondimenti”).<br />

λ T = max<br />

A (A ≈ 0,003 m⋅K)<br />

Osservazioni con lo spettrofotometro<br />

Lo spettrofotometro è uno strumento che viene usato per numerosissime applicazioni industriali,<br />

commerciali o di ricerca fondamentale, come, ad esempio, la misura degli spettri delle stelle o la<br />

composizione in colore di una vernice o l’assorbimento dei diversi colori da parte di un vetro<br />

colorato, cioè in tutte quelle misure in cui è necessario conoscere l’intensità della radiazione in<br />

funzione della lunghezza d’onda.<br />

Lo spettrofotometro che abbiamo a disposizione è un “AvaSpec-2048 Fiber Optic Spectrometer”.<br />

Consiste in una sonda che raccoglie la luce proveniente dalla sorgente, la focalizza e la convoglia in<br />

una fibra ottica che la trasporta fino a una “scatola” sigillata in cui lo spettro viene esaminato.<br />

cavo contenente<br />

la fibra ottica<br />

apertura<br />

di ingresso<br />

sonda<br />

ingresso<br />

fibra ottica<br />

Nella “scatola” il fascio viene prima disperso con un reticolo di diffrazione, simile a quello che è<br />

stato usato per misurare la lunghezza d’onda; i diversi “colori” che escono ai diversi angoli vanno a<br />

colpire una “fotocamera a CCD” con 2048 “pixels”. Ogni pixel funziona come il fotodiodo usato<br />

nell’esperimento precedente, cioè produce un segnale in tensione elettrica che è circa proporzionale<br />

all’intensità della luce incidente.<br />

Poiché ogni pixel è posizionato per raccogliere una ben determinata lunghezza d’onda, si può così<br />

ottenere, in principio, l’intensità luminosa in corrispondenza di 2048 valori di lunghezza d’onda (in<br />

realtà i valori utili che si ottengono sono circa 1300).<br />

9


I valori delle lunghezze d’onda e delle relative intensità luminose sono poi immagazzinati in una<br />

memoria interna che è leggibile da un personal computer collegabile attraverso una “porta USB”. I<br />

dati possono anche essere copiati su un foglio EXCEL per ulteriori analisi.<br />

calibrazione con dati lampada a 220 V<br />

Rispetto al semplice fotodiodo utilizzato nell’esperimento<br />

2<br />

precedente, il rivelatore ha lo svantaggio di non avere una<br />

1,8<br />

risposta uniforme in funzione della lunghezza d’onda: è quindi<br />

1,6<br />

necessario correggere i dati con una “curva di calibrazione” per<br />

1,4<br />

1,2<br />

avere la risposta corretta.<br />

1<br />

La curva di calibrazione, determinata con una lampada a<br />

0,8<br />

incandescenza, è riportata in figura. La costante di calibrazione<br />

0,6<br />

è stata posta arbitrariamente uguale a 1 a 700 nm. Come si<br />

0,4<br />

0,2<br />

vede, la CCD ha un’efficienza di rivelazione maggiore di uno<br />

0<br />

fra 450 nm e 700 nm, mentre è meno efficiente alle lunghezze<br />

300 400 500 600 700 800 900 1000 1100<br />

lunghezza d'onda (nm)<br />

d’onda inferiori (blu e violetto) e superiori (infrarosso).<br />

Materiali<br />

Spettrofotometro: sonda, cavo con fibra ottica, “scatola” di analisi dello spettro<br />

Personal computer e cavo con connettore USB per collegamento allo spettrofotometro<br />

Reticolo di diffrazione e prisma per disperdere lo spettro<br />

LED di diverso colore, lampada a incandescenza, luce solare<br />

Che cosa fare<br />

Con lo spettrofotometro collegato al PC, puntare la sonda a diverse sorgenti; osservare e<br />

interpretare lo spettro. Osservazioni suggerite:<br />

- spettro di un LED: osservare la lunghezza d’onda a cui si verifica il picco e la sua larghezza;<br />

- spettro della lampada a incandescenza disperso con il reticolo di diffrazione: posizionare la sonda<br />

in corrispondenza di diversi colori e verificare la corrispondenza fra il valore della lunghezza<br />

d’onda registrato dalla sonda e quello calcolato in base alle misure dirette e alla legge del reticolo;<br />

- spettro della lampada a incandescenza senza dispersione: confrontare lo spettro ottenuto con lo<br />

spettrofotometro con quello misurato nell’esperimento precedente;<br />

- spettro della luce solare possibilmente in diverse ore della giornata e/o diverse condizioni di<br />

copertura del cielo, per stimare la temperatura della superficie del Sole e valutare l’effetto<br />

dell’assorbimento nell’aria (vedi scheda di approfondimento sullo spettro solare).<br />

costante di calibrazione<br />

10


Richiami e approfondimenti<br />

A1. Le onde<br />

“Accade sovente che l’onda si allontani dal suo punto di creazione, mentre l’acqua non si<br />

muove, come le onde create dal vento in un campo di grano, dove vediamo le onde correre<br />

attraverso il campo mentre il grano rimane al suo posto”<br />

Leonardo da Vinci<br />

Come si rileva dalla frase di Leonardo, nella nostra vita ci sono onde di ogni tipo: onde nell’acqua,<br />

“onde “ nel campo di grano (facendo attenzione però che questo tipo di perturbazione non è uguale<br />

a quello delle onde nell’acqua: non nasce da una sorgente, la perturbazione cessa quando il vento<br />

cessa), onde sismiche che si propagano nella terra…..<br />

La maggior parte delle onde possono essere descritte studiando sia il comportamento delle singole<br />

particelle sia la loro propagazione nel mezzo; facendo un’analogia potremmo dire che vogliamo<br />

studiare sia la foresta sia gli alberi che la costituiscono.<br />

Onde in due dimensioni: esperienze con un ondoscopio<br />

Le onde in due dimensioni sono le più facili da indagare perché sono direttamente visualizzabili<br />

essendo tipicamente onde superficiali. Per indagarne il comportamento si può utilizzare una vasca<br />

ad onde con sistema stroboscopio. Descriviamo alcuni esperimenti e i loro risultati.<br />

Strumentazione<br />

Vasca ad onde con sistema stroboscopio (ondoscopio, vedi fig. A1 )<br />

Le onde vengono generate trasmettendo sulla superficie dell’acqua le variazioni di pressione<br />

dell’aria ottenute tramite le vibrazioni di una membrana eccitata da un’apposita unità di<br />

alimentazione: si ottengono onde trasversali sulla superficie dell’acqua. La frequenza delle onde di<br />

pressione è compresa tra 10 Hz e 80 Hz. Ampiezza e frequenza delle oscillazioni possono essere<br />

regolate a piacere.<br />

Per ottenere un’immagine stazionaria delle onde si utilizza una lampada stroboscopica sincronizzata<br />

con la frequenza del generatore che eccita la membrana. La vasca viene collocata sotto un proiettore<br />

in modo da visualizzare le onde con un formato maggiore: in tal modo le creste delle onde si<br />

comportano come lenti convergenti in grado di creare delle linee luminose che si possono osservare<br />

sullo schermo, mentre i ventri si comportano come lenti divergenti dando luogo alla formazione di<br />

linee più scure. Dove non c’è oscillazione si ha una luminosità intermedia.<br />

Le pareti della vasca sono inclinate per eliminare l’interferenza con le onde riflesse. Per ridurre le<br />

riflessioni di disturbo viene aggiunta una goccia di sapone liquido all’acqua.<br />

Il livello dell’acqua nella vasca deve essere di circa 5 mm.<br />

fig. A1<br />

11


Gli esperimenti<br />

a. Onde piane e onde circolari<br />

Per studiare un’onda è utile osservare il moto delle sue creste, la distanza fra le quali ci dà la<br />

lunghezza d’onda. Nel caso di un’onda bidimensionale la cresta sarà una linea, tale linea costituisce<br />

il “fronte d’onda”.<br />

‣ Onde circolari e piane:<br />

- generare onde circolari e piane con una sorgente puntiforme e con una sorgente di forma<br />

piana,<br />

- osservare e definire il fronte d’onda e la direzione di propagazione (sempre perpendicolare<br />

al fronte d’onda),<br />

‣ Misure: misurare la lunghezza d’onda λ, il periodo T; calcolare la frequenza f e la velocità di<br />

propagazione ( v=λ / T). Per la misura della lunghezza d’onda λ bisogna tener conto del<br />

fattore d’amplificazione β=1,65 (dato dal costruttore) fra l’onda sull’acqua e l’immagine<br />

dell’onda sullo schermo. Si contano n lunghezze d’onda sullo schermo (nλ’) ricavando quindi<br />

la lunghezza d’onda reale dividendo per il fattore di ingrandimento (λ = λ’ / β).<br />

b. Diffrazione<br />

La diffrazione è il fenomeno per cui un’onda riesce ad<br />

“aggirare” un ostacolo.<br />

‣ Propagazione delle onde piane dietro un ostacolo<br />

Generare un fronte d’onda piano che va a urtare un<br />

ostacolo:<br />

- osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro<br />

l’ostacolo;<br />

fig. A2<br />

- variare le dimensione dell’ostacolo e la lunghezza d’onda<br />

e prendere nota di cosa succede.<br />

‣ Propagazione delle onde dietro una fenditura<br />

Generare un fronte d’onda piano che si propaga verso una fenditura la cui larghezza “d” può<br />

essere variata con continuità:<br />

- osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro la fenditura nei diversi casi;<br />

- prendere nota e proporre un’interpretazione.<br />

λ<br />

θ<br />

fig. A3 fig. A4 fig. A5<br />

Conclusioni:<br />

- dato che il fronte è piano, ci attenderemmo che dietro l’ostacolo/fenditura ci fosse una zona<br />

“d’ombra” netta, si osserva invece la presenza di onde anche nelle zone d’ombra: il fronte<br />

d’onda piano, passando attraverso la fenditura, si incurva ai bordi;<br />

- si ha perciò un cambiamento della direzione di propagazione con un effetto tanto più evidente<br />

quanto più sono piccole le dimensioni della fenditura;<br />

- per una fenditura, come quella di figura A5, che ha una larghezza dell’ordine della lunghezza<br />

d’onda λ, si vede chiaramente che l’onda si propaga in direzioni che formano un angolo θ<br />

12


diverso da zero con la direzione in avanti fino ad avere un “minimo” di diffrazione a un<br />

angolo tale che senθ ≈ λ/d (come viene derivato per la luce nell’approfondimento 2).<br />

Si può quindi concludere che il fenomeno della diffrazione diventa cospicuo quando le dimensioni<br />

della fenditura sono confrontabili con quelle della lunghezza d’onda. La figura di diffrazione può<br />

essere spiegata con il principio di Huygens, illustrato negli approfondimenti.<br />

c. Interferenza<br />

L’interferenza è il fenomeno per il quale due o più onde che si vengono a trovare nella stessa<br />

regione di spazio si sommano secondo il principio di sovrapposizione: in ogni punto ed in ogni<br />

istante gli spostamenti delle onde che si incontrano si sommano “algebricamente” formando<br />

un’onda risultante (vedasi più avanti per approfondimenti).<br />

Per studiare il fenomeno con l’ondoscopio (fig. A6) si<br />

utilizzano due sorgenti puntiformi, S’ e S”, fra di loro<br />

coerenti (stesso periodo e differenza di fase costante nel<br />

tempo). che generano due treni d’onde circolari;<br />

propagandosi, le due onde si sovrappongono dando origine<br />

a una configurazione simile a quella della fig. A7.<br />

Osservando l’immagine con angolazione quasi parallela al fig. A6<br />

piano dello schermo si possono vedere delle strisce intense<br />

chiare o scure dove le onde si rinforzano (linee antinodali)<br />

ed altre grigie dove le onde si annullano (linee nodali).<br />

Nelle linee antinodali le due perturbazioni si rinforzano<br />

(interferenza costruttiva) perché in ogni loro punto<br />

arrivano assieme due creste, poi due ventri, poi ancora<br />

S’ S”<br />

due creste e così via; nelle strisce nodali le due<br />

perturbazioni si annullano (interferenza distruttiva ) e in<br />

particolare vi arrivano assieme una cresta e un ventre. Per<br />

osservarle bene basta far muovere l’immagine.<br />

Dall’immagine sullo schermo dell’ondoscopio si può<br />

P<br />

ricavare la condizione affinché in un punto P ci sia<br />

interferenza costruttiva o distruttiva:<br />

- si considerino le distanze di P dalle due sorgenti (PS’ e<br />

PS”) e si calcolino le differenze dei cammini (PS’-<br />

PS”);<br />

- se l’interferenza è costruttiva, si osserva che tale<br />

differenza è sempre pari a un multiplo intero della<br />

lunghezza d’onda misurata,<br />

PS’ - PS” = n λ;<br />

- è pari invece a un multiplo dispari di mezze lunghezza<br />

d’onda se l’interferenza è distruttiva,<br />

fig. A7<br />

PS’ - PS” = (n + 1/2) λ.<br />

d. Interferenza da più fenditure<br />

Per studiare questo fenomeno si immerga nella vasca<br />

l’eccitatore di onde piane le quali vanno ad urtare<br />

l’ostacolo con 4 fenditure: la figura che si osserva al di là<br />

fig. A8<br />

delle fenditure è simile a quelle ottenute nell’esperimento<br />

precedente.<br />

Regolare la frequenza (circa 25 Hz) e ampiezza in modo da ottenere un’immagine chiara dei fronti<br />

d’onda; utilizzare un foglio di carta trasparente per riportare la posizione delle fenditure, dei<br />

massimi e la distanza dei massimi dalla fenditura.<br />

13


Il principio di Huygens<br />

Secondo Huygens, tutti i punti che stanno su un fronte d’onda<br />

fungono da sorgenti puntiformi di un’onda circolare, avente la<br />

stessa lunghezza d’onda dell’onda incidente, che si propaga in<br />

tutto lo spazio; il fronte d’onda agli istanti successivi è dato<br />

dall’inviluppo delle onde.<br />

Esaminiamo ad esempio l’immagine della figura a fianco<br />

ottenuta con l’ondoscopio inviando un’onda piana contro una<br />

fenditura: lontano dai bordi, si ricostruisce il fronte d’onda piano<br />

che c’era prima dell’ostacolo, vicino ai bordi, l’onda è invece<br />

molto deformata e la propagazione è piuttosto simile a quella di<br />

un’onda circolare. Nella figura abbiamo preso, per semplicità,<br />

solo 4 punti sul fronte d’onda che, a un certo istante, ha<br />

l’ampiezza massima in corrispondenza dell’attraversamento<br />

della fenditura (pallini blu della figura in alto; per una<br />

simulazione più realistica avremmo dovuto prenderne molti di<br />

più). Secondo Huygens ognuno di essi diventa sorgente di<br />

un’onda circolare: nella seconda figura partendo dall’alto sono<br />

mostrate le 4 onde dopo un periodo e si vede chiaramente che il<br />

loro “inviluppo” è nuovamente un’onda piana nella parte<br />

centrale in avanti, dove tutte le onde arrivano con l’ampiezza<br />

massima allo stesso istante; vicino ai bordi, invece, in<br />

quell’istante i massimi stanno su un fronte d’onda circolare, a<br />

cui contribuiscono solo i punti molto vicini ai bordi. La stessa<br />

cosa avviene dopo due periodi (terza figura dall’alto) e dopo tre<br />

periodi (figura in basso): in avanti, l’inviluppo su un fronte<br />

d’onda piano si verifica solo nella zona centrale, mentre ai bordi<br />

si propagano onde circolari.<br />

Interferenza e principio di sovrapposizione<br />

Come ricordato sopra, l’interferenza è un fenomeno tipicamente ondulatorio, che era adeguatamente<br />

conosciuto già nel 1600-‘700 per quanto riguarda le onde meccaniche (sonore in particolare).<br />

Consideriamo due sorgenti S 1 ed S 2 di onde sferiche sinusoidali, che imprimono al mezzo una<br />

perturbazione periodica di periodo T 1 e T 2 rispettivamente. Diremo che S 1 e S 2 sono coerenti se<br />

T 1 =T 2 e la differenza di fase è costante nel tempo, dove la fase φ è un angolo proporzionale alla<br />

frazione di periodo che intercorre tra il massimo dell’ampiezza dell’onda emessa da S 1 e il massimo<br />

dell’ampiezza dell’onda emessa da S 2 . Il caso più semplice di sorgenti coerenti è rappresentato da<br />

due sorgenti che oscillano in fase => φ = 0, oppure in opposizione di fase => φ=π.<br />

Caso delle sorgenti in fase<br />

P<br />

S 2 S 1<br />

14


In un dato istante si sovrappongono in un certo punto P i due impulsi provenienti da S 1 ed S 2 :<br />

l’impulso risultante è la somma “algebrica” delle due oscillazioni.<br />

S 1 S 2<br />

P<br />

Esistono diverse possibilità, le estreme sono:<br />

• interferenza costruttiva (2 creste si incontrano); gli impulsi arrivano con lo stesso<br />

segno per cui si ha un massimo dell’oscillazione.<br />

PS<br />

2<br />

− PS1<br />

= nλ<br />

• interferenza distruttiva; gli impulsi hanno segno opposto:<br />

PS<br />

2<br />

− PS1<br />

= (2n<br />

+ 1) λ / 2<br />

Se S 1 e S 2 sono coerenti ma non in fase, il fenomeno si presenta lo stesso, ma la posizione dei<br />

massimi e dei minimi sarà spostata (ad es. se sono in opposizione di fase, massimi e minimi saranno<br />

scambiati).<br />

Se S 1 e S 2 non sono coerenti il fenomeno si verifica ma la posizione dei massimi e dei minimi<br />

cambia nel tempo e sarà difficile da osservare.<br />

Conclusioni:<br />

Il fenomeno dell’interferenza si verifica se le sorgenti che emettono il segnale sono<br />

coerenti (le sorgenti luminose naturali non sono mai coerenti).<br />

In un punto P si verifica l’interferenza costruttiva se la differenza di cammino ottico è un<br />

multiplo intero della lunghezza d’onda, si verifica interferenza distruttiva se la differenza<br />

di cammino è un multiplo dispari di mezza lunghezza d’onda.<br />

La diffrazione da parte di una fenditura o di un ostacolo sottile<br />

La diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta che<br />

una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un<br />

ostacolo, sia “opaco” che “trasparente” (come ad esempio nella figura A2 per un’onda di superficie<br />

oppure quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro, una o più<br />

fenditure praticate su uno schermo, illumina un piccolo oggetto come un capello…). Il fronte<br />

d’onda viene alterato (in fase o in ampiezza) e la propagazione non è più rettilinea. Al di là<br />

dell’ostacolo i fronti d’onda interferiscono; si produce una distribuzione non uniforme di intensità<br />

(diffrazione).<br />

Non c’è nessuna distinzione fisica fra diffrazione e interferenza: l’interferenza è la sovrapposizione<br />

di poche onde, la diffrazione è la sovrapposizione di molte onde.<br />

Si può pensare la fenditura come formata da un grande numero di punti ciascuno sorgente di onde<br />

secondarie (principio di Huygens). Dividiamo la fenditura in due e consideriamo tutte le coppie di<br />

punti che distano fra di loro mezza fenditura a/2, come nella figura. Per ogni coppia di onde<br />

secondarie provenienti da punti della fenditura separati da una stessa distanza, pari ad a/2, si<br />

verificano le condizioni che esamineremo:<br />

15


• se la differenza di cammino è pari mezza lunghezza d’onda o a suoi multipli dispari le onde<br />

interferiscono distruttivamente: (a/2) senθ = (2m+1) (λ/2), con m intero, da cui: a senθ =<br />

(2m+1) λ con m intero;<br />

• si può ripetere il ragionamento dividendo ancora in due ogni mezza fenditura e quindi con<br />

coppie di punti distanti a/4 e si ottiene interferenza distruttiva se (a/4) senθ = (2m+1)(λ/2)<br />

con m intero; da cui, moltiplicando per 4: a senθ =2(2 m +1)λ con m intero;<br />

• dunque la condizione di interferenza distruttiva (minimi di intensità) è<br />

a senθ = m λ con m intero (A1)<br />

• in corrispondenza all’asse della fenditura le onde emesse dalle sorgenti secondarie della<br />

fenditura per il principio di Huygens arrivano con lo stesso cammino a due a due e quindi in<br />

fase e si ha interferenza costruttiva e quindi un massimo centrale;<br />

• esistono poi massimi secondari ad altre angolazioni, fra i minimi precedentemente calcolati,<br />

ed hanno un’ampiezza rapidamente decrescente (il calcolo relativo alla loro posizione risulta<br />

pesante e lo omettiamo, ma possiamo osservarli sperimentalmente).<br />

Il risultato teorico è riportato nel seguente grafico dell’intensità in funzione della posizione (in<br />

ascissa è riportato a sinθ / λ):<br />

16


La diffrazione da un reticolo<br />

Per spiegare la figura di diffrazione da parte di un<br />

“reticolo” formato da n fenditure poste a distanza d una<br />

dall’altra utilizzeremo un modello ondulatorio basato sul<br />

principio di Huygens. Come sopra ricordato, secondo<br />

S 2<br />

Huygens, se su una fenditura si fa incidere un’onda piana,<br />

S 1<br />

il reticolo si comporta come un insieme di sorgenti<br />

S<br />

puntiformi coerenti, una per ogni fenditura. Esaminiamo,<br />

ad esempio, il caso di un’onda che incide in direzione<br />

T<br />

perpendicolare a un reticolo che ha un “passo” d (figura a<br />

1 T 2<br />

T<br />

fianco). I massimi delle onde che escono da tre fenditure<br />

vicine, come S T e U della figura, dopo 1 periodo saranno<br />

giunti in S 1 , T 1 , U 1 , dopo 2 periodi in S 2 , T 2 , U 2 , e così via.<br />

U<br />

Muovendoci quindi nella direzione in avanti, i massimi si<br />

d U <br />

ripresenteranno sempre, dopo un periodo, alla stessa<br />

U 2<br />

distanza dal piano delle fenditure e quindi l’onda si<br />

propagherà in avanti nella stessa direzione del fascio<br />

incidente.<br />

Tuttavia c’è un’altra direzione θ lungo la quale le onde che escono dalle diverse fenditure non<br />

percorrono la stessa distanza, però le distanze percorse differiscono di un numero intero di<br />

lunghezze d’onda, come si vede dalle figure seguenti.<br />

θ<br />

S<br />

S 1<br />

S 2<br />

θ<br />

T<br />

T 1<br />

U<br />

T 2<br />

d<br />

U 1<br />

U 2<br />

Ad esempio, quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S 1 ha già percorso<br />

una lunghezza d’onda, mentre quello della fenditura T è appena arrivato e alla fenditura U deve<br />

ancora arrivare. Così pure quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S 2 ha<br />

già percorso 2 lunghezze d’onda, quello che esce dalla fenditura T è giunto in T 1 e ha già percorso 1<br />

lunghezza d’onda mentre quello della fenditura U è appena arrivato.<br />

L’angolo θ a cui ciò succede è tale che<br />

d sen θ = λ<br />

(A2)<br />

17


Potete vederlo, ad esempio, esaminando il triangolo rettangolo TUT 1 , dove l’ipotenusa TU è il<br />

passo d del reticolo e l’angolo al vertice U è appunto θ . In corrispondenza di questa direzione tutte<br />

le fenditure interferiscono costruttivamente e si ha perciò un massimo di intensità. Se invece la<br />

prima fenditura non interferisce costruttivamente con la seconda, poiché le fenditure sono molto<br />

numerose, esisterà certamente una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Sia ad<br />

es. la 50° fenditura. Allora la 2° fenditura interferirà distruttivamente con la 51° e così via.<br />

Particolarità del reticolo, infatti, è che, discostandosi anche di poco dai valori di θ sopra menzionati,<br />

a causa dell’elevato numero di fenditure, si avrà subito interferenza distruttiva (buio).<br />

Se, ad esempio, la differenza di cammino ottico tra due fenditure contigue è dsinθ =(k+0,005)λ c'è<br />

una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Volendo calcolarla, la differenza di<br />

cammino ottico tra la prima e l’ennesima fenditura sarà<br />

n d sinθ = (nk+0,005n) λ.<br />

Per n=100 si avrà n d sinθ = (nk+0,5n) λ =(2nk+1)λ/2. Quindi la prima fenditura interferirà<br />

distruttivamente con la 100°, la 2° con la 101° e così via, originando una frangia scura.<br />

Se la luce incidente è monocromatica, raccogliendo su uno schermo la luce uscente dal reticolo si<br />

otterranno frange chiare e scure, in corrispondenza ai vari valori di θ. Misurando θ è possibile<br />

risalire al valore della lunghezza d’onda.<br />

Inviando luce non monocromatica, invece, essa viene scomposta nella sue componenti<br />

monocromatiche, in quanto il valore di θ corrispondente alle frange chiare è una funzione della<br />

lunghezza d'onda.<br />

18


A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck<br />

Che la radiazione luminosa trasporti energia è esperienza quotidiana: basta mettersi al sole anche in<br />

una giornata invernale per sentire il tepore associato alla radiazione solare. Che però l’energia<br />

portata dalla radiazione sia diversa alle diverse lunghezze d’onda fu una grossa scoperta, opera di<br />

un celebre astronomo, Herschel, che all’inizio dell’Ottocento indagava sullo spettro solare.<br />

Herschel cercava di<br />

controllare, usando<br />

termometri con il bulbo<br />

annerito, se i diversi colori<br />

“scaldassero” tutti nello<br />

stesso modo e si accorse,<br />

ponendo un prisma sul<br />

cammino di un pennello di<br />

raggi solari per farli<br />

deviare, che giunge della<br />

radiazione che porta<br />

energia anche al di là del<br />

rosso, scoprendo così<br />

l’infra-rosso.<br />

raggi<br />

l<br />

direzione del<br />

raggio incidente<br />

prisma<br />

angolo di deviazione<br />

I raggi infrarossi sono anzi “più caldi” degli altri, cioè fanno salire più rapidamente la temperatura<br />

del termometro, perché vengono assorbiti con maggiore efficienza dalla materia solida o liquida.<br />

Durante tutta la prima metà dell’Ottocento gli “spettroscopisti” lavorarono a classificare e<br />

riconoscere tutti gli “spettri” di colore emessi e assorbiti dalle diverse sostanze, chiarendo così il<br />

ruolo che hanno i diversi modi di interazione fra la radiazione e la materia nel determinare il colore<br />

della luce. Le leggi principali sono:<br />

- un corpo può emettere radiazione (diventare cioè una sorgente di radiazione) trasformando in<br />

energia radiante altre forme di energia (ad es. in una lampadina accesa si trasforma energia<br />

elettrica in energia radiante, attraverso diverse trasformazioni intermedie), oppure può assorbire<br />

in tutto o in parte la radiazione; se l’assorbimento è parziale, la radiazione non assorbita può<br />

essere trasmessa (corpi trasparenti) oppure diffusa, eventualmente in modo speculare (riflessione<br />

speculare);<br />

- l’intensità della radiazione emessa o assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai<br />

diversi colori) dipende principalmente dalla temperatura: aumentando la temperatura aumenta<br />

l’emissione alle piccole lunghezze d’onda (lo spettro si sposta verso il violetto);<br />

- per una buona emissione nel visibile occorrono temperature di migliaia di gradi (la temperatura<br />

della superficie del Sole è stimata essere intorno a 6500 K); a temperature inferiori, l’emissione<br />

nel visibile non è apprezzabile, mentre rimane importante quella nell’IR;<br />

- a parità di temperatura, l’intensità della radiazione emessa, assorbita o diffusa alle diverse<br />

lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende dal corpo: ad esempio un oggetto “rosso”<br />

diffonde prevalentemente le lunghezze d’onda del rosso e assorbe gli altri colori, un oggetto<br />

“bianco” diffonde in modo circa uguale tutti i colori, un oggetto “nero” li assorbe tutti;<br />

- si ha uno “spettro di corpo nero” quando la radiazione non esce dal corpo, ma rimane al suo<br />

interno, come appunto avviene in un oggetto nero ideale; un corpo nero si ottiene idealmente con<br />

una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, all’interno della quale la radiazione<br />

viene emessa e assorbita dalle pareti in condizioni di equilibrio;<br />

- è possibile calcolare teoricamente lo spettro di copro nero partendo da principi primi statistici,<br />

cioè dall’ipotesi che la radiazione scambi casualmente energia con la materia con cui è in contato<br />

mantenendo un “equilibrio termico”. La prima formula per la distribuzione dell’intensità della<br />

infrarosso<br />

rosso<br />

violetto<br />

19


adiazione in funzione della lunghezza d’onda fu derivata da Wien alla fine dell’Ottocento e<br />

condusse alla legge nota come “legge di Wien”, che lega la temperatura assoluta T alla<br />

lunghezza d’onda λ max alla quale si verifica il massimo dell’intensità luminosa:<br />

λ T = max<br />

A<br />

dove la costante A vale circa 0,003 m⋅K. Pur non essendo rigorosamente corretta, la legge di<br />

Wien rendeva conto delle osservazioni sperimentali che indicano un legame fra la temperatura<br />

della sorgente e l’energia dell’onda elettromagnetica alle diverse lunghezze d’onda, a differenza<br />

di quanto valeva nella legge derivata precedentemente sulla base delle sole equazioni di<br />

Maxwell, in cui l’energia portata da un’onda elettromagnetica non dipendeva direttamente dalla<br />

temperatura della sorgente;<br />

- la formula teorica corretta fu derivata da<br />

Planck nel 1901, postulando l’esistenza di<br />

una nuova costante naturale, il quanto di<br />

azione h, e proprio da questa formula iniziò<br />

la lunga storia della meccanica quantistica.<br />

Alcuni esempi di spettri per diverse<br />

temperature sono mostrati nella figura: si<br />

vede chiaramente che, in accordo con la<br />

legge di Wien, la lunghezza d’onda a cui si<br />

verifica il massimo si sposta verso valori più<br />

bassi al crescere della temperatura. Lo spettro<br />

a 6000 K è abbastanza simile allo spettro<br />

della luce solare, il che indica che la<br />

temperatura alla superficie del Sole è circa<br />

6000 K.<br />

0<br />

0 400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000<br />

lunghezza d'onda (nm)<br />

Come Wien e la maggioranza dei suoi contemporanei, Planck riteneva che il processo di emissione<br />

della radiazione avvenisse ad opera di elettroni presenti all’interno del corpo che oscillavano con<br />

un’elevata frequenza. Egli si rese conto che, per spiegare i risultati sperimentali occorreva<br />

formulare alcune ipotesi che stabilivano un legame tra l’energia emessa da un singolo oscillatore e<br />

la frequenza f della radiazione, e precisamente che:<br />

• l’energia E della radiazione emessa da un singolo oscillatore è multiplo intero di una<br />

energia fondamentale E 0 (E=nE 0 );<br />

• l’energia E 0 è proporzionale alla frequenza E 0 =hf<br />

• dove h=6,626⋅10 -34 Js<br />

Queste tre ipotesi bastano per spiegare qualitativamente il significato della legge di Wien e il valore<br />

della costante A. Infatti si sa, dalla teoria cinetica dei gas, che la tipica energia di un “oscillatore”<br />

che si trova in un corpo alla temperatura assoluta T è dell’ordine di k B T, dove k B è la costante di<br />

Boltzmann, pari a circa 10 -23 J/K: nell’emissione della radiazione, anche l’energia E 0 del “quanto di<br />

radiazione”, dovrà essere dello stesso ordine di grandezza, quindi hf = hc/λ (c è la velocità della<br />

luce, pari a 3⋅10 8 m/s). Eguagliando le due energie si trova appunto che Tλ ≈hc/ k B , cioè è una<br />

costante il cui ordine di grandezza è quello della costante A della legge di Wien.<br />

L’intuizione di Planck fu poi approfondita nei lavori di Einstein sull’effetto fotoelettrico (1905) che<br />

contribuirono ad assegnare alla radiazione luminosa una natura “corpuscolare”, complementare a<br />

quella ondulatoria introducendo il concetto di “fotone” come “quanto di radiazione”: una radiazione<br />

monocromatica può anche essere vista come un flusso di fotoni, ognuno dei quali trasporta<br />

un’energia E=hf (e una quantità di moto p=E/c=hf/c, come verrà successivamente dimostrato da<br />

Compton).<br />

intensità (unità arbitrarie)<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

UV visibile<br />

infrarosso<br />

6000 K 3000 K<br />

1000 K<br />

20


A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle<br />

L’andamento generale dello spettro della luce di una stella, in particolare quello della luce solare, è<br />

simile allo spettro di un corpo nero alla temperatura corrispondente alla “superficie” della stella.<br />

Questo avviene non perché la superficie del Sole sia una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa<br />

temperatura, come descritto sopra, ma perché si è stabilita in superficie una temperatura di<br />

equilibrio fra i meccanismi interni al Sole di trasformazione dell’energia nucleare e di quella<br />

gravitazionale in energia radiante e l’emissione dell’energia radiante che viene irradiata dalla<br />

superficie del Sole verso lo spazio esterno.<br />

Nella figura è mostrato lo spettro solare misurato in una giornata invernale serena con lo<br />

spettrofotometro Avaspec, senza apportare alcuna correzione per la sensibilità del rivelatore alle<br />

diverse lunghezze d’onda.<br />

4000<br />

sole1-ore15<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

300 400 500 600 700 800 900 1000<br />

lunghezza d'onda (nm)<br />

Nella figura che segue è invece mostrato lo spettro corretto in base alla curva di calibrazione con<br />

sovrapposta la curva di corpo nero calcolata alla temperatura che meglio si adatta (circa 5600 K).<br />

4000<br />

3500<br />

Hβ Sole<br />

He4 Sole<br />

He3 Sole<br />

Hα Sole<br />

He2 Sole<br />

sole1-ore15<br />

3000<br />

Hγ Sole<br />

He1 Sole<br />

O atm<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

O, N atm<br />

0<br />

300 400 500 600 700 800 900 1000<br />

lunghezza d'onda (nm)<br />

21


Come si vede, l’andamento generale è descritto in modo ragionevole dalla curva di corpo nero,<br />

anche se la temperatura che meglio si adatta (5600 K circa) è notevolmente minore di quella stimata<br />

per la “superficie” del Sole (circa 6500 K). Ciò è dovuto all’assorbimento nell’atmosfera terrestre<br />

attraversata dai raggi, che ha uno spessore notevole in una giornata invernale, sia pure serena. Ciò<br />

appare evidente nella forte riga di assorbimento a 760 nm, dovuta all’ossigeno, e nella estesa banda<br />

di assorbimento sopra i 900 nm dovuta probabilmente sia all’ossigeno che all’azoto.<br />

Le deviazioni che si osservano alle piccole lunghezze d’onda, dove lo spettro misurato cade più<br />

rapidamente dello spettro teorico al diminuire di λ, sono invece dovute alla “diffusione Rayleigh”,<br />

secondo cui la luce viene diffusa dai gas dell’atmosfera in modo inversamente proporzionale a λ 4 :<br />

ad esempio, nel violetto-blu (λ≈ 400 nm) la luce è diffusa circa 6 volte di più che nel rosso (λ≈ 650<br />

nm). L’intensità, che manca alle piccole lunghezze d’onda nei raggi che giungono in direzione del<br />

Sole, si ritrova guardando nelle altre direzioni, ed è per questo motivo che il cielo ci appare blu,<br />

perché vediamo i raggi diffusi che sono arricchiti alle piccole lunghezze d’onda rispetto ai raggi<br />

diretti. L’effetto è tanto più forte quanto più spesso è lo strato di atmosfera terrestre attraversato,<br />

come avviene ad esempio al mattino o alla sera, oppure se lo strato di aria è ricco di vapore d’acqua:<br />

in queste condizioni sono diffuse anche lunghezze d’onda maggiori, fino all’arancio o al rosso, per<br />

cui il cielo si tinge di arancio vicino alla direzione da cui provengono i raggi solari.<br />

Nello spettro sono visibili anche le righe di assorbimento che la radiazione subisce da parte dei gas<br />

presenti nell’atmosfera solare; in particolare si possono distinguere<br />

- tre righe di assorbimento dell’idrogeno nel visibile (la così detta “serie di Balmer”), Hα a 656<br />

nm, Hβ a 487 nm e Hγ a 431 nm,<br />

- quattro righe di assorbimento dell’elio: l’elio deve il suo nome proprio al fatto che fu scoperto<br />

sul sole –helios è il nome del sole in greco– attraverso queste righe di assorbimento, che si<br />

vedevano nell’atmosfera solare mentre non erano mai state osservate in gas noti sulla Terra,<br />

perché l’elio, essendo molto leggero, sfugge dall’atmosfera terrestre.<br />

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