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Fabio Aru

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foto FEDERICO DE LUCA<br />

31<br />

forse in un campionato del mondo<br />

di calcio o, in misura ancora maggiore,<br />

nelle olimpiadi, ma è anche<br />

vero che uno dei pochi stati dove<br />

c’è una legge penale sul doping è<br />

l’Italia. Inoltre il fatto che il doping<br />

sia reato permette ai PM e ai NAS<br />

d’intervenire direttamente senza<br />

doversi preoccupare o aspettare<br />

una qualsiasi attività della giustizia<br />

sportiva; e poi, il lavoro di prevenzione<br />

in uno sport itinerante come il<br />

ciclismo fa più rumore.»<br />

Stato, e quindi si rischia la galera, devo dire che questo sport ha<br />

fatto passi da gigante.»<br />

In che senso<br />

«Nel senso che dai vertici del ciclismo mondiale alle corsette amatoriali<br />

della domenica è ben chiaro a tutti qual è il rischio di chi assume<br />

o tenta di assumere sostanze dopanti. C’è stata quindi una<br />

presa di coscienza enorme rispetto al problema, cosa che invece<br />

non è in altre discipline, anche più ‘blasonate’. Oggi la percezione<br />

è solo negativa, ma per un atleta che rischia e viene beccato, quasi<br />

sempre, ce ne sono una miriade che oggi hanno una mentalità<br />

assolutamente pulita. Io il problema l’ho visto e lo vedo da dentro<br />

e posso garantire che c’è maggiore consapevolezza e il futuro<br />

sarà migliore. Questo sport dovrebbe essere preso ad esempio<br />

per quello che ha fatto negli ultimi 10, 15 anni.»<br />

Cosa c’è di diverso rispetto ad altri sport<br />

«Di diverso, in senso positivo, questa consapevolezza della lotta<br />

al doping dai vertici fino alla base. In altri sport quest’attenzione<br />

c’è solo all’apice. In senso negativo, invece, la capacità di ottenere<br />

introiti sganciati dalle sponsorizzazioni, che la crisi ha contratto sensibilmente<br />

in tutto il pianeta, purtroppo. Il Calcio ad esempio, così<br />

come il rugby, ha capito già a metà degli anni ’90 che i soldi, quelli<br />

veri, sarebbero arrivati sempre più dagli introiti televisivi e avrebbero<br />

dovuto essere distribuiti a tutti i livelli in misura proporzionale.»<br />

Ma mi scusi perché, se il Ciclismo ha fatto enormi progressi<br />

nella lotta al doping,<br />

è sempre sotto la<br />

lente d’ingrandimento<br />

in senso negativo<br />

«A mio avviso, oltre<br />

a patire comunque<br />

l’onda lunga di una<br />

gestione che per<br />

anni è stata ‘leggera’,<br />

è forse una delle<br />

poche discipline che<br />

permette di trovare<br />

almeno 200 atleti tutti<br />

insieme in un posto,<br />

quindi è chiaro che<br />

chi fa i controlli sa che<br />

tra cento o duecento<br />

atleti magari uno furbo<br />

lo trova. La stessa<br />

cosa può accadere<br />

Qual è un altro aspetto tipico del<br />

ciclismo<br />

«Be’, direi l’aspetto fiscale. Essendo<br />

un’attività ‘worldwide’ incrocia<br />

aspetti fiscali differenti. Per certi<br />

versi, è come il motociclismo, se<br />

dovessi fare un paragone. I ciclisti sono di nazionalità diverse e<br />

corrono per Team di altrettanti paesi e quindi, sottoposti a regimi<br />

fiscali differenti, ed è chiaro che qualcuno che prova a fare il<br />

furbo infilandosi nelle pieghe dei vari regolamenti lo si trova sempre.<br />

Ma le cose non possono durare. Serve una linea unica, magari<br />

come nel calcio con il fair-play finanziario. Certo una simile<br />

regolamentazione non può venire imposta solo dall’UCI, perché<br />

non avrebbe sufficiente autorità in tal senso. Deve essere forse<br />

un’autoregolamentazione, che metta in maniera oggettiva sullo<br />

stesso piano i vari team accasati in diversi paesi del mondo.<br />

Potrebbe venire dagli stessi ciclisti. Forse all’inizio potrebbero<br />

obiettare perché potrebbe essere controproducente per qualcuno<br />

di loro, ma col passare del tempo verrebbero fuori gli aspetti<br />

positivi e un futuro più stabile, per tutto il movimento.»<br />

Se dovesse dare un consiglio a questo sport<br />

«Direi di lavorare molto sull’aspetto comunicativo, sia per quanto<br />

attiene il livello top, sia per quanto attiene alla promozione<br />

tra i giovani. Oggi la gente comune pensa che fare ciclismo sia<br />

fondamentalmente pericoloso e che sia uno sport individuale.<br />

Mentre, per usare ancora due esempi scontati, fare calcio o<br />

rugby viene percepito come uno sport in cui non si è in pericolo<br />

e si impara a far gruppo o spogliatoio, come si dice in gergo.<br />

Luoghi comuni sbagliati dal mio punto di vista. Oggi andare<br />

in bici non è molto più pericoloso di 20 anni fa e rimane una<br />

scuola di vita incredibile. La bici insegna a lottare, a fare sacrifici<br />

per cercare una vittoria che rimane molto difficile da raggiungere.<br />

Vince uno<br />

su 200 partenti e non<br />

la squadra, ma nessuno<br />

vince senza una<br />

squadra con spirito<br />

di gruppo. Potremmo<br />

definirlo uno sport<br />

individuale dove la<br />

squadra è fondamentale.<br />

Se vogliamo una<br />

disciplina atipica che<br />

ha moltissimi similitudini<br />

con la vita di tutti<br />

i giorni. Ecco io se<br />

dovessi dare un consiglio<br />

direi di lavorare<br />

sulla comunicazione<br />

per fare emergere tutti<br />

gli aspetti positivi di<br />

questa disciplina.»

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