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Stasera mi sono seduto accanto a una donna intenta a<br />

sorseggiare il suo ennesimo assenzio. Mi è parso di riconoscerla,<br />

è stata disegnatrice per riviste illustrate e poi a poco a poco<br />

si è lasciata andare, forse perché sapeva di essere tisica e di non<br />

avere molto da vivere; ora si offre di far ritratti ai clienti in<br />

cambio di un bicchiere, ma ormai la mano le trema. Se sarà<br />

fortunata la tisi non l’avrà, finirà prima cadendo di notte nella<br />

Bièvre.<br />

Ho scambiato con lei qualche parola (da dieci giorni vivo<br />

così rintanato che ho potuto trovar sollievo persino nella<br />

conversazione con una donna) e per ogni bicchierino d’assenzio<br />

che le offrivo non potevo evitare di prenderne uno per me.<br />

Ed ecco che ora scrivo con la vista, e la testa, offuscati:<br />

condizioni ideali per ricordare poco e male.<br />

So solo che al mio arrivo a Parigi ero preoccupato, naturalmente<br />

(in fin dei conti andavo in esilio), ma la città mi ha conquistato<br />

e ho deciso che qui avrei vissuto il resto della mia vita.<br />

Non sapevo quanto a lungo avrei dovuto far durare il denaro<br />

che avevo, e avevo preso in affitto una camera in un hotel<br />

nella zona della Bièvre. Fortuna che avevo potuto permettermene<br />

una per me solo, perché in quei rifugi spesso una sola<br />

stanza ospita quindici pagliericci, e talora non ha finestre. Il<br />

mobilio era fatto di avanzi di qualche trasloco, le lenzuola<br />

erano verminose, una vaschetta di zinco serviva per le abluzioni,<br />

un secchiello per le urine, non vi era neppure una sedia e<br />

non parliamo di sapone o asciugamani. Sul muro un cartello<br />

intimava di lasciare la chiave nella toppa dall’esterno, evidentemente<br />

per non far perdere tempo ai poliziotti quando,<br />

frequentemente, facevano un’irruzione prendendo per i capelli<br />

i dormienti, guardandoli bene alla luce di una lanterna,<br />

ributtando giù quelli che non riconoscevano e tirando giù

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