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<strong>La</strong> <strong>Bella</strong> <strong>Estate</strong><br />
FIORI DI CARTA<br />
fiori<br />
di carta<br />
L'UOMO CHE AMAVA LE DONNE •<br />
VERO COME LA FINZIONE •<br />
CAVE OF FORGOTTEN DREAMS •<br />
TIDELAND•<br />
POETRY •<br />
TWIXT •<br />
FATA MORGANA<br />
Che fine hanno fatto i libri? Forse sono bruciati tutti nel rogo di Fahrenheit 451. Quei<br />
pochi che sono scampati al disastro, sono i residui di una civ<strong>il</strong>tà scomparsa. Per <strong>il</strong><br />
resto, le biblioteche sono state sostituite da raccolte virtuali, da (you)tubes che testimoniano<br />
nuove ere dell’immaginario. E i libri superstiti sono le mappe precarie di un<br />
tesoro sepolto, antico, tracce di una storia infinita, e proprio per questo imperfetta,<br />
mai conclusa... E, allora, cosa ne è della scrittura, al cinema, per <strong>il</strong> cinema?<br />
Se è vero, come insegna Terry G<strong>il</strong>liam, che sono le storie a costituire la struttura del<br />
mondo, che non vi è null’altro oltre quell’infinita proliferazione del racconto che segue<br />
i vissuti, i desideri, le paure di noi personaggi, che mondo è quello che ne viene fuori?<br />
Una prigione dove ognuno è bloccato nelle maglie stringenti del proprio fato o un imprevedib<strong>il</strong>e<br />
gioco combinatorio affidato all’aperto caos delle casualità? È un far west<br />
sconfinato e pericoloso? O quella magica stanza in fondo, in cui rifugiarsi dalle infinite<br />
crisi della realtà? Ma raccontarsi storie, ripeterle alla perfezione, è una fatica che conduce<br />
alla follia, come rivela Truffaut. Vuol dire entrare in universo da incubo, in cui la<br />
finzione si è impossessata della realtà o, peggio, la realtà non ha più alcuna via di<br />
fuga nella finzione (Coppola). Non che i confini siano sempre perfettamente tracciab<strong>il</strong>i<br />
(vero Werner?). Ma occorre, in ogni caso, impedire la chiusura ermetica del meccanismo,<br />
rinviare <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> punto d’arrivo, quella parola fine troppo sim<strong>il</strong>e alla<br />
morte, come sa bene l’Harold Crick/W<strong>il</strong>l Ferrell di Stranger than Fiction.<br />
Serge Daney; “... l’autore era sempre in un rapporto dialettico con tutto. Con la committenza,<br />
con la sceneggiatura, con <strong>il</strong> pubblico, con la propria opera: tutte cose da<br />
girare e ag-girare (raggirare, rigirare)”. <strong>La</strong> scrittura, al cinema, per <strong>il</strong> cinema, è un pretesto.<br />
E allora, si può scegliere di rispettarlo ossequiosamente, di servire le esigenze<br />
narrative e mettersi al passo di quella sceneggiatura che detta i tempi e i ritmi, traccia<br />
le linee dell’azione, secondo le regole prestab<strong>il</strong>ite dell’esperienza e delle scuole. Oppure<br />
si può accettare la sfida dell’invenzione, per trovare quell’angolo buio, quel buco nero<br />
del sistema, che schiude la strada alla dimensione non scritta e non scrivib<strong>il</strong>e del<br />
mondo. Fino alla ribellione aperta, che manda gambe all’aria qualsiasi consequenzialità,<br />
pur di inseguire la necessità, la verità (o l’<strong>il</strong>lusione) di un’immagine. Fata Morgana.<br />
Il rischio è di smarrire la strada. Ma se in quest’assurdo walkabout, all’inizio o alla<br />
fine del cammino, dovessimo riscoprire che la parola fatta segno è stata innanzitutto<br />
un’immagine, una pittura rupestre, un geroglifico? Se, persa ogni memoria delle parole<br />
o delle cose (come la protagonista di Poetry), provassimo a conoscere nuovamente <strong>il</strong><br />
mondo? Fino a rifondarlo su basi diverse, a ipotizzare, oltre l’aristocrazia della scrittura,<br />
la terrib<strong>il</strong>e e meravigliosa anarchia del cinema.<br />
Aldo Spiniello<br />
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