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MU6 n.16

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EVENTIRe_Place1IL BUIO È SINGOLARE, LE LUCI (ANCHE) PLURALI‘Buio’ è singolare. È un nome che non ammette il plurale, è un’unica entità che inghiotte tutto,che assimila tutto a sé. ‘Luce’, invece, ammette sia il singolare che il plurale: una emissione difotoni proveniente da un’unica fonte, o una entità trascendentale, a-corporea; ma anche unamoltitudine di sorgenti, fisiche o metafisiche, che agiscono sinergicamente. Le sottigliezzedella lingua sembrano dunque quasi volerci suggerire che il buio è accentratore e autoritario,mentre la luce, almeno in via di principio, è democratica.Può sembrare strano prendere le mosse da considerazioni di questo tenore per presentare unprogetto per L’Aquila, per la città distrutta dal terremoto. Per una città colpita da calamitàdrammatiche, attraversata da sofferenze enormi le cui tracce sono ancora così visibili nelcorpo fisico degli edifici così come nella psiche delle persone. Per una città che negli ultimimesi si è dovuta confrontare quotidianamente con gli imperativi della ricostruzione, con lanecessità di organizzare una sopravvivenza che col tempo potesse tornare a diventare vita,affrontando il freddo e l’angoscia, la privazione dei comfort più elementari e il senso di abbandonoe di solitudine, le urgenze del corpo e quelle dell’anima. Ma il punto è che, in questomomento, c’è bisogno di non ascoltare soltanto le ragioni dell’emergenza ma anche quelle diuna comunità che ha di fronte il difficile problema di ricostruire il senso del suo esistere, il suoprogetto di futuro.Il futuro di una comunità dipende in primo luogo dalla sua identità, da un insieme di significatinei quali ci si riconosce, ai quali si affida, almeno in parte, la rappresentazione di sé. E asua volta l’identità dipende dalla capacità di narrazione. È il flusso narrativo che costituisce lavera freccia del tempo che scandisce la vita – la cronaca, la storia – di una comunità. La narrazionedell’Aquila e del suo territorio, in questo momento, sembra affidata ad altri, non a chi,in primo luogo e in prima persona, ha vissuto la tragedia e l’ha vista irrompere nella propriavita, portando via affetti, luoghi familiari e amati, e qualche volta anche speranze. La narrazionedel post-terremoto si è trasformata in una sorta di epopea della ricostruzione, a suavolta infangata da una cronaca recente fatta di scandali, di sospetti di corruzione, di cinismoirresponsabile.Anche prima dell’affiorare degli ultimi, strazianti fatti di cronaca, che aggiungono dolore adolore, che alimentano la rabbia e la frustrazione, era apparso chiaro come, al di là di qualunqueviolazione della legge e dell’etica, le responsabilità della ricostruzione fossero state affidatein gran parte a forze e competenze esterne al territorio. Un territorio che presenta unodei tassi di scolarizzazione più alti d’Italia e una qualità sociale notevole e soltanto parzialmentecompromessa dalla distruzione sismica. Un territorio che ha le forze e le competenzeper assumersi in prima persona la responsabilità della ricostruzione, non soltanto fisica, maanche e soprattutto sociale e civile di una città antica e meravigliosa, che viveva soprattutto disapere e di cultura e che su queste basi può e deve tornare a ricostruire L’Aquila di domani.Il compito è enorme, e spaventoso nella complessità delle sue implicazioni, nel livello diresponsabilità che richiede. Non è un compito che può esaurirsi in qualche gesto esemplare,ma richiede una precisa strategia, una lucida analisi dei fatti, dei problemi, del sistemadelle interdipendenze che collega la vita sociale a quella economica e culturale, i microambientisociali delle comunità di vicinato lacerate dalla logistica emergenziale della ricostruzionee i macro-temi della preservazione e della trasformazione strutturale del tessutosocio-economico.I gesti esemplari, dunque, non bastano, e non sostituiscono la necessità di una strategia lucida,efficace, condivisa e fatta propria dalla comunità locale. Ma allo stesso tempo i gesti esemplaripossono servire, e molto, a ricostituire il filo della narrazione collettiva, a far ripartire lacapacità di immaginazione del futuro, a dare nuova forza al processo di identificazione e riconoscimentodi sé stessi, e di sé stessi all’interno della proprio comunità. E’ per questa ragioneche, in questo momento, a quasi un anno dalla notte del sisma, è giusto e importante pensaread un progetto culturale che marchi questa ricorrenza e diventi un rito di passaggio attraversoil quale ricominciare a tessere la propria identità, provare a far rinascere la città.Il buio e la luce, dunque. Il buio è, in primo luogo e inevitabilmente, quello della notte del 6aprile in cui tutto è successo. Il buio è anche quello della sofferenza dei giorni che sono seguiti,e che continua ancora oggi. Il buio è il doversi confrontare con l’abisso morale di chi consideraquesta tragedia un’opportunità di arricchimento personale. Il buio, come abbiamodetto, è unico, indeclinabile, è un mostro che assorbe tutto, che tutto fa scomparire nelle proprieviscere, sottraendolo alla vista e alla memoria. Le luci sono, in primo luogo, le millevolontà di resistere, di opporsi al buio. Sono le voci di una comunità che non vuole lasciarsiinghiottire, che vuole difendere i luoghi che ama dallo spopolamento, dal decadimento socialee civile, dalla perdita della speranza. La ricostruzione del filo della narrazione dell’Aquila adun anno della notte del terremoto non può che partire da qui, dal confronto tra il buio e la luce.Non può che partire dall’associazionismo culturale cittadino, da cui proviene l’idea, l’impulsoprogettuale, e la responsabilità tecnico-organizzativa dell’iniziativa.Nelle sue linee essenziali, il progetto è molto semplice: Mario Airò, uno dei migliori artistiitaliani delle ultime generazioni, lavorando con gli studenti dell’Accademia delle Belle Artidell’Aquila, produrrà un’opera basata sulla luce, che verrà accesa nella notte del 6 aprile2010, alle 3.32, l’ora della scossa principale. Sarà un gesto privo di retorica, senza discorsiufficiali, senza passerella delle autorità locali o nazionali. Sarà un gesto condiviso con lacomunità, rivolto alla comunità. Mario Airò lavorerà con i ragazzi dell’accademia cittadina,cioè con le forze del territorio a cui sarà affidata in futuro la sua narrazione, la sua rinascitacreativa. Sarà un momento di confronto che mostra come sia possibile pensare la ricostruzionedella città attraverso la collaborazione intensa e sostanziale tra forze e talenti esterni elocali. Sarà il primo passo di un percorso destinato a ripetersi nel tempo in forme semprenuove, scandendo i cicli annuali di ricostruzione della città, e accumulando un patrimonio dicompetenze e di esperienze che potrà liberare la sua energia giorno dopo giorno, contribuendostabilmente alla rinascita. La collaborazione con i ragazzi dell’Accademia non saràcioè episodica e limitata a questo primo evento, ma rappresenterà l’atto costitutivo di un piccolocapitale di talenti e di esperienze destinato a crescere nel tempo e a fiorire sul territorio,attraverso il confronto e il lavoro comune con gli artisti che si succederanno nel tempo, passandosiil testimone negli anni.Questa prima tappa del progetto è una sfida quasi impossibile, lanciata a pochi mesi dall’anniversariodel terremoto. Mario Airò merita una riconoscenza profonda per aver accettato concoraggio di partecipare malgrado la ristrettezza dei tempi e le mille difficoltà di ogni genereassociate ad un progetto logisticamente difficile e deontologicamente delicatissimo. Ma è particolarmentebello e importante che un progetto come questo parta con un atto di generosità,quella generosità che da sempre è uno dei tratti più riconoscibili ed emozionanti della grandearte. Siamo sicuri che sarà un momento bellissimo, e importante. Sarà l’inizio di una nuovanarrazione. Saranno mille piccole luci plurali che per un momento allontanano il buio. E chepotranno forse in futuro diventare sempre di più, e allontanare il buio sempre più a lungo.Mario Airò è artista. Nato a Pavia, vive e lavora a Genova. Ha esposto alla Biennale di Venezia,alla Biennale di Mosca, alla Biennale di Gwangju, alla Biennale di Valencia, alla Quadriennaledi Roma, al Castello di Rivoli, al Museo d’Arte Contemporanea di Tokio, allo SMAK di Gent, alCarrè d’Art di Nimes, al Museion di Bolzano, a Palazzo Reale a Milano.Pier Luigi Sacco è professore ordinario di economia della cultura all’Università IUAV diVenezia. Nato a Pescara, vive a Padova. È presidente del comitato scientifico del FestivalInternazionale d’Arte Contemporanea di Faenza. Scrive per Flash Art, Exibart.onpaper e IlSole24Ore.Re_Place 1 - Il buio è singolare, le luci (anche) plurali, L’Aquila 6 aprile - 6 maggio 2010Mario Airò e i giovani dell’Accademia delle Belle Arti dell’Aquila, a cura di Pier Luigi Sacco.Un progetto dell’Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo amicideimuseidabruzzo@gmail.comin collaborazione con Collettivo99.Con il patrocino del Comune de L’Aquila.Si ringrazia FederCulture per la collaborazione.Poste Italiane ha emesso l’annullo filatelico “La città si illumina di nuovo” dedicato a Re_Place1.Con il contributo della Regione Abruzzo Assessorato Politiche Giovanili.L I B R E R I A P I C K W I C K ( G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - B O L O G N A ) / C H I E T I : L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 - C H I E T I )MU21

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