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Atti della Presentazione - Fondazione Edison

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Umberto QuadrinoBuongiorno a tutti.Grazie di essere intervenuti cosìnumerosi alla presentazione delvolume di Marco Fortis “La crisimondiale e l’Italia” che raccoglieuna serie di articoli di analisi <strong>della</strong> crisi economicain atto, comparsi recentemente su “Il Messaggero”e altre testate. Come Presidente <strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong><strong>Edison</strong> sono onorato di avere insieme a meil ministro Tremonti, l’onorevole Letta, il ProfessorQuadrio Curzio e l’autore del libro, per discuteredi questi temi.La <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong> ha da sempre prestatogrande attenzione ai temi del modello di sviluppoitaliano incentrato sull’economia reale, sui distretti.Ed è stata una voce solitaria negli ultimi anni,quando si parlava di declino del modello di sviluppoitaliano basato appunto sui distretti e sullepiccole e medie imprese. E’ stata una voce che siè levata per sostenere ancora la vitalità e l’importanzadel nostro sistema economico e contrastarele affermazioni di coloro che consideravano ormaiin declino il modello del nostro sviluppo,comparandolo a quello di altri Paesi che invece,basandosi sullo sviluppo dell’immobiliare e di unacerta finanza creativa, avevano tassi di svilupposuperiori ai nostri. La storia, al contrario, ci diceche il nostro modello non è affatto morto, ma èancora vivo e vitale nonostante la presente crisieconomica, e che quei paesi che avevano fattotroppo affidamento su ricette di sviluppo“drogato” oggi si trovano in difficoltà più grandi<strong>della</strong> nostra. Quando è scoppiata la crisi, la <strong>Fondazione</strong>ha cercato di capirne le motivazioni, dianalizzarne le conseguenze, e di vedere qualipotevano essere le ripercussioni sul nostro sistemaeconomico, analizzando ancora i punti diforza e di debolezza dell’Italia. Speriamo oggi diottenere attraverso questo dibattito delle informazioniutili sul punto in cui siamo: c’è un generaledesiderio di interpretare i primi sintomi di ripresacome quelli definitivi, anche se il direttore generaledel Fondo Monetario Internazionale Strauss-Kahn ci ammonisce che senza una pulizia neibilanci delle banche non ci sarà una ripresa duratura.La Quaresima è quindi ancora lunga, comeha detto recentemente il professor Tremonti inuna riunione ufficiale del Fondo Monetario.Ma veniamo agli invitati, che non hanno certobisogno <strong>della</strong> mia presentazione.Giulio Tremonti è ministro dell’economia; la suapresenza è importante non solo per il posto cheoccupa nel governo italiano, per il ruolo che giocain molte istituzioni internazionali, dal G8 alFondo Monetario, ma perché è stato forse l’unicoal mondo dei grandi protagonisti dell’economiamondiale a prevedere quello che sarebbe accaduto.Voglio citare due passaggi di previsioni diGiulio Tremonti in periodi non “sospetti”: 1) Corriere<strong>della</strong> Sera del 12 novembre 2006, “Oggi lacrisi immobiliare Usa è molto forte. Le ipotesi sonodue. La prima: il passaggio dal boom allo sboomnon ha causato il collasso perché il sistema finanziarioè bene equilibrato, ha assorbito la crisi epuò ripartire. La seconda è quella di una crisistrutturale tipo 1929. Io spero nella prima ipotesi,ma temo la seconda”. L’11 agosto 2007 sempresul Corriere <strong>della</strong> Sera scriveva Giulio Tremonti “inAmerica si trovano il principio e la fine di una crisipotenzialmente globale. La crisi dell’economiafinanziaria diventa sempre crisi dell’economiareale. La crisi dell’America diventa sempre crisi delmondo. La cosa positiva è che Governi e Autoritàmonetarie, se lo capiscono e lo vogliono, possonoancora intervenire”. Mi sembra che o nonl’hanno capito o non hanno voluto capirlo, perchéè passato un anno e poi è scoppiata la crisi.Quindi, dopo la paura attendiamo da Giulio Tremonti,spero, qualche parola di speranza.Enrico Letta ha sempre seguito con grande attenzionel’economia reale del nostro Paese. E’ statoministro dell’Industria e con Pierluigi Bersani hascritto nel 2004 “Viaggio nell’economia italiana”sui distretti e le piccole e medie imprese, riprendendotemi che ci sono molto cari come <strong>Fondazione</strong><strong>Edison</strong>, e ci ha fatto anche l’onore di unasua prefazione pubblicata nel libro “Industria eDistretti” a cura di Fortis e Quadrio Curzio. Nelcorso di questa crisi è più volte intervenuto, sottolineandol’importanza di mantenere intatta lamacchina produttiva del nostro Paese.Alberto Quadrio Curzio è Presidente del ComitatoScientifico <strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong>. Con Fortis inquesti anni ha analizzato molto approfonditamenteil modello del made in Italy, e nel corso diquesta crisi ha insistito sul progetto di emissionedi titoli del debito europeo per promuovere unimportante progetto di sviluppo di opere infrastrutturaliin Europa, progetto che in sede internazionaleTremonti aveva prospettato già rifacendosia Jacques Delors.Alberto Quadrio Curzio modererà il dibattito.Cedo, pertanto, a lui la parola.3<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Enrico LettaGrazie alla <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong>, graziealla casa editrice “Il Mulino” cheda sempre cura i libri <strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong><strong>Edison</strong>, grazie a Marco Fortisper le ricerche e i dati che ci propone.E grazie per questa occasionedi confronto in un momento come quello attualein cui tutti siamo desiderosi di comprenderequanto è accaduto negli ultimi mesi e di capirecome il nostro Paese possa uscire più forte, o almenoevitare di uscire più debole, da questa crisidi cui l’Italia non ha nessuna colpa, come giustamentediceva prima Alberto Quadrio Curzio. Sitratta infatti, come bene argomenta anche MarcoFortis nel suo volume “La crisi mondiale e l’Italia”,di una crisi originata dall’economia americanache per anni è stata “drogata” con un aumentoesponenziale dell’indebitamento privato, vale adire del debito di famiglie, imprese, banche.Su come l’Italia potrà uscire più forte da questacrisi concentrerò il mio intervento.Quello che in queste ore sta accadendo nel mercatoautomobilistico da molti è portato comeesempio – e anch’io lo faccio in partenza – delleoccasioni che l’attuale situazione può offrirci lequali, se colte con intelligenza e con tempismo,possono non soltanto risolverci dei problemi, mafarci fare dei passi in avanti rispetto ai nostri dati dipartenza.Per motivi del tutto casuali mi trovo oggi a prenderparte a questo dibattito subito prima dell’incontroche oggi pomeriggio avrò con il ConsiglioDirettivo del Distretto <strong>della</strong> ceramica di Sassuolo –come periodicamente faccio da diversi anni – percercare di capire la vicenda di una azienda inparticolare, la Iris Ceramica di cui parla ancheMarco Fortis alle pagine 143-144 del suo libro,che come noto ha deciso di aprire la proceduradi messa in liquidazione. Con questa sua decisionetale azienda, che rappresenta uno dei maggiorigruppi nazionali nel settore delle piastrelle, èdiventata un po’ il simbolo di un possibile rischiodi cui voglio parlare: il rischio di deindustrializzazionedel nostro Paese.La <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong> ci ricorda costantemente lacaratteristica tutta italiana data dall’elevato numerodi imprenditori che costituiscono il nostro sistemaproduttivo, e che fanno del nostro Paese ununicum; sono, infatti, circa 4 milioni gli imprenditoriche lavorano sul territorio, molti dei quali sonoex dipendenti; quest’ultimo lo ritengo un a-spetto da sottolineare perché il fatto che granparte degli imprenditori italiani abbiano vissutol’esperienza lavorativa da ex dipendenti rende iltessuto imprenditoriale italiano totalmente diversorispetto agli altri.Porto il paragone <strong>della</strong> Francia che, diversamenteda noi, ha alcune decine di grandi imprese globali,diciamo 50; il governo francese può intervenire,e sicuramente interverrà se necessario, a sostegnodi ciascuna di esse in questo momento dicrisi; quando la crisi terminerà i 50 “campioni”francesi ci saranno ancora tutti, o se non sarannotutti 50, saranno 48, ma la Francia potrà ripartireda lì. Noi, invece, non abbiamo un elevato numerodi grandi imprese. Ma abbiamo 4 milioni diimprenditori che giorno dopo giorno affrontanola difficile situazione di crisi in cui si sono venuti atrovare; e che ogni giorno si pongono la domandase sia conveniente tenere duro in questa fasedi difficoltà o se invece non sia più ragionevoleseguire l’esempio dell’azienda del distretto <strong>della</strong>ceramica cui accennavo prima, e decidere quindidi cessare la propria attività. Questi 4 milioni diimprenditori sono infatti persone che hanno lavoratoper anni, riuscendo a costruirsi una ricchezza,grande o piccola che sia, e che oggi vedonola lista degli ordinativi per i successivi 6-9 mesisostanzialmente in bianco. Ciascuno di essi, legittimamente,può domandarsi se adesso, che è rimastoancora del “fieno in cascina”, non sia megliofermarsi, mettendo in sicurezza se stessi, lapropria famiglia e i propri dipendenti – facendolonel modo meno traumatico possibile – piuttostoche andare avanti, correndo il rischio di buttarevia il ”fieno” che è rimasto, nel tentativo di resisterein una condizione di incertezza: questi imprenditori,che magari hanno alle spalle 20 o 30 annidi attività lavorativa, ogni mattina alzano una saracinesca,reale o virtuale, senza sapere quale saràl’esito del proprio lavoro alla fine <strong>della</strong> giornata.Pertanto, la questione principale che dobbiamoaffrontare è la seguente: dobbiamo far di tuttoperché alla fine <strong>della</strong> crisi questi 4 milioni di imprenditorici siano ancora tutti e non diventino lametà di quelli che sono oggi, e che rimanganotali non trasformando la loro attività in attività direndita; anzi, il nostro obiettivo deve essere quellodi far sì che, dopo le intemperie <strong>della</strong> crisi, gli imprenditoriitaliani abbiano la scorza ancora piùdura. Perché la Francia, che qui porto come e-sempio, le sue 50 imprese a scala mondiale lemanterrà tali e lo farà, se necessario, attraversoazioni anche pubbliche.Credo, quindi, che il rischio di deindustrializzazio-5<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Enrico Lettane del Paese sia il tema per eccellenza, e credoanche che rispecchi una parte delle riflessioni dellibro di Fortis e <strong>della</strong> prefazione che Quadrio Curzioscrive al libro. Noi siamo di fronte a un doverecollettivo del sistema Paese, un dovere delle istituzionitutte, delle istituzioni nazionali e delle forzepolitiche, perché qui si gioca il futuro del l’Italia,un Paese che può uscire dalla crisi ancora comegrande potenza industriale, potenza manifatturiera,potenza esportatrice.E’ inutile che io ripeta cose che nel libro sonoampiamente argomentate sulle quali sono totalmented'accordo, come sul fatto che la forza delnostro Paese nasca dal saper tenere insieme tantimodelli produttivi che alla fine sono riconducibilia una grande, buona capacità di produrre, quindidi esportare.Io credo che il punto chiave sia, una volta acquisitala consapevolezza di questo grande ruolo delnostro sistema produttivo, come riuscire a debellareil rischio <strong>della</strong> stretta del credito e a risolverela problematica del ritardo nei pagamenti da parte<strong>della</strong> pubblica amministrazione. E’ infatti di fondamentaleimportanza per la sopravvivenza dellenostre imprese scongiurare il rischio di razionamentodel credito da parte del sistema bancario,così come lo abbiamo sperimentato e vissutonegli ultimi mesi, e in questo credo ci sia un problemadi voci e di stimoli che arrivano dalle istituzionipubbliche. Ma nello stesso tempo occorretrovare una soluzione alla questione molto delicata,molto difficile, del ritardo nel pagamento deicrediti vantati dalle imprese nei confronti <strong>della</strong>pubblica amministrazione; penso in particolare alruolo <strong>della</strong> Cassa Depositi e Prestiti, al ruolo <strong>della</strong>SACE e all’opportunità, per esempio, di introdurreuna distinzione tra i crediti vantati dalle impresenei confronti <strong>della</strong> pubblica amministrazione, a-vendo alcuni di essi indubbiamente minor pesorispetto ad altri.Ma a mio avviso, un altro grande tema è quellorelativo al nostro sistema di welfare, vale a dire alnostro sistema di ammortizzatori sociali. Sono tracoloro che ritengono che, in questa crisi, sianoemersi tutti i limiti del nostro Welfare, un Welfareche è costruito attorno alla centralità <strong>della</strong> figuradel “maschio adulto” e non attorno alla centralità<strong>della</strong> “persona”. Ci sono intere categorie del nostroPaese, intere classi generazionali, diciamo lametà del Paese che è quella rappresentata dalledonne, che hanno trovato nel nostro Welfareun'assenza di risposte piuttosto che una completezzadi risposte. Abbiamo un sistema di Welfareche, detto in sintesi e per cifre, dedica l’87% dellesue risorse a pensioni e sanità, e solo il 13% allevoci attive, che invece negli altri Paesi normalmentesono destinatarie <strong>della</strong> metà delle risorse<strong>della</strong> spesa sociale. E la spesa sociale italiana nelsuo insieme, come è a tutti noto, è in linea conl'Unione europea.Ritengo, quindi, che sia giunto il momento di realizzarein quel campo alcune importanti e delicateriforme che riallochino le risorse. Ed è questo ilmomento giusto per farlo, data l’esistenza delconsenso per qualunque riforma che possa esserechiaramente spiegata; difficilmente, credo, lostesso consenso si potrà trovare nel momento incui sarà venuto meno il senso dell’urgenza cheinvece avvertiamo in questa fase di crisi.E qui il tema degli ammortizzatori sociali riguardaanche il sistema delle imprese, perché gli imprenditorihanno meno strumenti da mettere in camporispetto a un ventaglio di opzioni che credoinvece debbano essere a loro disposizione. Suquesto punto è in atto una polemica, io ne hoampiamente discusso varie volte con il ministroSacconi e con il ministro Brunetta. Credo che cisia qualcosa che non va se il nostro Paese affrontacon la parola “deroga” la più grande crisi finanziariaed economica che abbiamo mai vissuto; lanostra struttura di ammortizzatori sociali è infattisostanzialmente basata sullo strumento <strong>della</strong>“cassa in deroga”, strumento che, sia chiaro, nonintendo mettere in discussione, ma il fatto che lostrumento principe del nostro sistema di ammortizzatorisociali si chiami “cassa in deroga” la dicelunga, secondo me, su molti dei nostri problemi.In questa mia considerazione non vi è, ovviamente,alcun riferimento all'ultimo anno di governo, oagli ultimi anni, trattandosi di una situazione chesi trascina da decenni.Ritengo, quindi, che sia necessario un interventoche estenda il livello delle protezioni e ne modifichile modalità di erogazione. Oggi il sistema diammortizzatori sociali è infatti erogato attraversocontrattazioni, attraverso trattative, attraverso lescelte <strong>della</strong> politica e del sindacato, e conseguentementele imprese che sono fuori dai binari <strong>della</strong>politica e del sindacato, di norma, non ottengonoun euro dal sistema degli ammortizzatori sociali.Vi è, dunque, la necessità di far evolvere tale sistemaverso una logica più moderna; e questo lodico con grande chiarezza, al di fuori da qualunqueconsiderazione di lucro politico immediato,perché ritengo che ciò farebbe bene a tutti, alcentrodestra come al centrosinistra, ma farebbe6<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Enrico Lettabene anche al sindacato e sicuramente farebbemolto bene al sistema Paese.Marco Fortis, in uno degli articoli finali e quindipiù recenti <strong>della</strong> sua raccolta, affronta un altrogrande tema che negli ultimi tempi è un po’scomparso, quello del Sud del Paese. Oggi, infatti,nel nostro Paese il Sud non viene più consideratoun problema, nel senso che viene sostanzialmentemesso da parte. E questo è un problema culturaleancor prima che di scelte concrete, però iocredo che sia un tema che riguardi un po' tutte leculture politiche del nostro Paese, che tendono apensare che meno se ne parla meglio è, fruttoanche di quello che è successo in questi anni. Miveniva da riflettere sul fatto - e lo faccio volentieriqui a Milano, e non a Napoli o a Catania, per direquanto il problema io lo consideri nazionale - cheormai, tranne forse una o due eccezioni, non c'èuno strumento di comunicazione classico, che siaun quotidiano, un settimanale o una televisioneche venga realizzato fisicamente nel Sud del nostroPaese, diciamo sotto Roma.La sostanza è che la riflessione sul Mezzogiorno ècompletamente scomparsa. Penso che questo siaun grande problema perché come argomentaperfettamente Marco Fortis a pagina 167, il divariotra il Nord-Centro e il Sud dell’Italia ha raggiuntodimensioni che potremmo definire eccezionali.Infatti, se non consideriamo le quattro regioniitaliane più povere (Puglia, Calabria, Sicilia e Campania),il nostro Paese ha delle performance dicrescita che sono ampiamente migliori <strong>della</strong> mediadell’euro area, mentre il Pil pro-capite dellequattro regioni più povere è assai inferiore a quellodel Portogallo.Un altro messaggio che ci viene dalla crisi riguarda,pertanto, l’importanza di riuscire a intaccareparte di quel disavanzo strutturale che le regionipiù povere del nostro Paese hanno nei confrontidei loro competitori europei, perché è lì che c’èuno spazio per noi di recupero; non è infatti semplicechiedere alla Lombardia o al Veneto, chegià hanno una forza economica e imprenditorialeai massimi livelli in Europa, di correre a unavelocità maggiore rispetto alla Baviera o all’Ile deFrance. Vi è quindi un tema molto profondo cheriguarda scelte concrete, che implica la necessitàdi mettere in campo piani di sviluppo per quelleregioni che siano utili a tutto il Paese, e non soltantoincentivi per andare a fare in quelle regionile stesse cose che si fanno nel resto d'Italia, concosti inferiori. Probabilmente tutto ciò richiede uncambio di filosofia, che sicuramente è molto difficile,molto complicato da mettere in pratica, maho l’impressione che esorcizzare il problema anzichétentare, sia pure con fatica, di affrontarlo siala soluzione peggiore.Voglio ora affrontare un altro tema ampiamentetrattato nel libro di Fortis, vale a dire quello dellosviluppo delle infrastrutture a livello nazionale e alivello europeo. La settimana scorsa Alberto QuadrioCurzio ha scritto sul Corriere <strong>della</strong> Sera uneditoriale, come sempre molto efficace, sul temadelle infrastrutture. Lo voglio riprendere perchéritengo che il rilancio infrastrutturale sia un puntochiave, un punto essenziale per uscire dalla crisi,grazie alla creazione di posti di lavoro e alla possibilitàdi far girare risorse che esso comporta. Credo,però, che vi sia un problema di scelta delleinfrastrutture da realizzare, scelta che andrebbefatta sulla base di priorità legate alla tempistica direalizzazione. In altri termini, la precedenza andrebbedata alle opere cantierabili, i cui lavoripossono partire immediatamente, generandosubito posti di lavoro e facendo circolare denaro.Di queste realizzazioni infrastrutturali pronte perpartire ce ne sono tante in Italia, e la Lombardia èil cuore di queste, grazie a scelte fatte negli ultimianni; penso alla Pedemontana Lombarda, che trale opere infrastrutturali è sicuramente la più importantema anche la più complessa, alla TangenzialeEsterna Milanese, alla BreBeMi. Ma un po'tutto il Nord del nostro Paese ha opere cantierabilii cui lavori potrebbero cominciare da subito;ed è soprattutto in merito a questo aspetto <strong>della</strong>immediata realizzazione delle opere che risiedonoi miei dubbi circa il Ponte sullo Stretto, ancoraoggi inserito tra le opere infrastrutturali prioritarie,perché credo che difficilmente questo potrà generareda subito ricchezza e posti di lavoro.Vorrei ora affrontare come ultimo argomento lagrande questione europea.Se è vero, come Fortis argomenta, che noi abbiamotante carte da giocarci in questa crisi, dallaquale potremo uscirne ancora forti a patto discongiurare quel rischio di deindustrializzazionedi cui parlavo prima, la questione europea rimanecomunque per noi fondamentale, decisiva, cosìcome si evince dalla prefazione di Quadrio Curzio,nella quale vengono riportati numerosi passaggidi Carlo Azeglio Ciampi, che sottolineanoanche questo aspetto.La questione fondamentale, a mio avviso, è chel’Europa rappresenta la prima vittima <strong>della</strong> crisieconomico-finanziaria in corso, ma non l’Europatout court, bensì l’Europa comunitaria. L’Europa èsempre cresciuta, è sempre andata avanti attra-7<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Enrico Lettaverso una dialettica virtuosa tra il livello intergovernativoe il livello comunitario – impersonificatoe rappresentato dalla Commissione europea e dalParlamento europeo – che ha visto le grandi realizzazioniche oggi ci fanno forti; penso a tutto illavoro del decennio Delors che ha portato al“mercato delle quattro libertà” e poi al processo dicostruzione dell’Unione Europea culminato con ilTrattato di Maastricht. E’ stato tutto un camminoguidato dalla Commissione europea, in cui i governinazionali seguivano e ovviamente aggiustavanoil percorso, cercando di trovare le formemigliori per portare il consenso attorno alla costruzionedell’Unione europea sancita dal Trattato.Bene, questa dialettica virtuosa tra livello intergovernativoe livello comunitario è saltata completamentenegli ultimi mesi; la Commissione europeaè tornata al ruolo che aveva negli anni ‘60 e ’70,cioè organo esecutivo delle decisioni dei governinazionali. E questo, secondo me, è bene dirlo congrande franchezza, senza coprirlo in modo ipocrita.Io lo ritengo, però, un gravissimo errore diprospettiva, anzitutto perché i governi non sonopiù 6 come erano negli anni ’60, ma sono 27, e iltasso di egoismo nazionale dei singoli governirimane elevatissimo.In questo ragionamento si inserisce la grave responsabilità,a parer mio, che la cancelliera tedescasi è assunta nel bloccare un piano straordinariodi intervento per il sostegno delle economiedell'Europa centro orientale, creando un dannoper tutta l’Europa, e in particolar modo per noiitaliani che siamo sempre il primo o il secondopaese investitore in quelle economie. Quell'intervento,che è stato poi facilmente interpretato comelegato alle imminenti elezioni nazionali nelpaese <strong>della</strong> Merkel, dettato quindi dall’egoismonazionale, ha messo in luce una questione cheritengo cruciale, vale a dire il grave rischio di un’-Europa in cui la parte comunitaria è completamentesottomessa alla parte intergovernativa. E’quindi di fondamentale importanza ristabilire ungiusto e corretto equilibrio tra i due livelli, perchéè soltanto attraverso uno spirito unitario che l'Europapuò riuscire a raggiungere i suoi grandiobiettivi, vale a dire l'obiettivo degli euro-bonds,l’obiettivo dei global legal standard, l’obiettivo diun endorcement delle regole e l’obiettivo fondamentale<strong>della</strong> costruzione di una nuova architetturafinanziaria.Fortis nel suo volume cita il caso dei mutui subprime,ossia dei mutui concessi a persone che palesementenon erano poi in grado di restituirneinteressi e capitale. Oggi, col senno di poi, tuttidicono che era ovvio che una tale pratica ci a-vrebbe portato, prima o poi, alla situazione in cuioggi ci troviamo, perché veniva svolta un'attivitàche non solo era fuori dalle regole del buon senso,ma anche <strong>della</strong> normale correttezza. La stessacosa con l'effetto di leva estremizzato.Bene, per far fronte a tutto questo c’è bisognonon soltanto di regole – quelle, in fondo, c’eranoanche prima <strong>della</strong> crisi – quanto piuttosto di unenforsement delle regole stesse, c’è bisogno <strong>della</strong>forza politica, <strong>della</strong> forza di authorithy che sianomesse in condizione di poter applicare questeregole. E credo che anche a livello europeo ci siabisogno di questo ragionamento.Un governo forte europeo esce dalla crisi come“la grande esigenza”; ma il rischio maggiore, secondome, è che l’Europa esca dalla crisi condelle istituzioni più deboli rispetto a quando c’eraentrata.Per concludere, il rischio di deindustrializzazionedell’Italia e il rischio <strong>della</strong> perdita dell'unitarietàistituzionale dell'Europa con la rivincita dell'Europaintergovernativa, rappresentano a mio avvisole due questioni chiave. Intendiamoci, il ruolodegli Stati e dei governi è e rimane fondamentale;il problema vero è essere in grado di trovare un'istanzacomune che riesca a guidare questi processi.Ma il percorso verso l’uscita dalla crisi devepassare attraverso questi due binari, un binariotutto italiano che assicuri il futuro imprenditorialedel nostro Paese mediante risposte adeguate daparte del sistema, da parte degli operatori, daparte delle istituzioni, trovando insieme le giusterealizzazioni; un binario europeo che punti alripristino di una dimensione comunitaria, forte edefficace, senza la quale difficilmente potremo usciredalla crisi.Oggi i problemi incombono in modo talmentepalese su chi li deve risolvere che chiedere alleopinioni pubbliche di assumersi responsabilitàassieme alle classi dirigenti è oggi molto più fattibilerispetto a prima. L’importante è voler faretutto ciò perché, come dicevo in precedenza, sec’è un momento in cui è possibile farlo forse èproprio questo: nel Paese infatti esiste, da unaparte, una stabilità politica come forse mai abbiamoavuto, con la presenza di un esecutivo forte;dall’altra, una capacità di dialogo tra le parti politicheche non si è mai vista nella storia recente delnostro Paese. Io credo, quindi, che sarebbe ungrosso errore non cogliere le possibilità che si8<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Enrico Lettapresentano in questo particolare momento, rinviandoal futuro la realizzazione di tutte quelleriforme, anche faticose, che potrebbero realmenteconsentire al nostro Paese di uscire più fortedalla crisi.Grazie.9<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio TremontiNomina Sunt ConsequentiaRerum (I nomi sono corrispondentialle cose n.d.r.): Marco Fortis.Non è frequente che idee forti,come quelle contenute nel librodi Fortis, siano rappresentate in Italia; si può essered’accordo o in disaccordo con quanto esprimel’autore, ma oggettivamente è un libro che marcae cifra con molta forza una linea di pensiero. Ed èquesta la ragione del particolare apprezzamentoche ho per Marco, per i suoi scritti, per la sua attività.In questo intervento dividerò le mie considerazioniin base al titolo del suo libro “La crisi mondialee l’Italia”; parlerò quindi di “mondo” e di “Italia”,sotto il comune denominatore <strong>della</strong> crisi.In merito alla crisi mondiale, inizierò parlandovidelle riunioni che ho avuto negli ultimi giorni aWashington, dove ho incontrato il signor“Capitalismo”, il signor “Mercato finanziario” e isignori “Governi”, verificando i rispettivi stati disalute e le rispettive visioni del mondo. Userò,quindi, tre parole chiave: crisi, governi, regole; neparlerò molto brevemente perché vorrei soffermarmisoprattutto sull’Italia.Crisi. La parola crisi deriva dal greco krisis, che asua volta deriva da crino, che vuol dire“divisione” (e non per caso noi usiamo la parolacrinale); krisis, quindi, come marcatura di discontinuità,come forza nel marcare il passaggio dauna fase all’altra. E certamente noi ci troviamo inuna fase di crisi, la cui intensità, anche storica, èforse troppo presto per definirla. Credo, infatti,che una valutazione seria in ordine a quello che èsuccesso in questi anni debba e possa essere fattasolo con un certo distacco storico.La mia opinione, non recente, è che l’origine diquesta crisi stia non tanto in alcuni epifenomeni,ossia in alcuni fatti che poi hanno determinatoun’accelerazione dei processi, ma sia ben piùprofonda e più radicale.Cercherò di dare una lettura “marxista” dei fondamentalidi questa crisi, così come ho sempre cercatodi fare: l’origine <strong>della</strong> crisi non si trova neisubprime; i subprime sono l’epifenomeno rispettoal fenomeno sottostante. Io credo che l’origine<strong>della</strong> crisi stia nella globalizzazione per come èstata fatta, per i tempi con cui è stata realizzata eper le leve utilizzate per compierla. E’ un ordine dipensiero che ho cercato di esporre già nel 1995in un libro intitolato “Il fantasma <strong>della</strong> povertà”,poi ancora nel 2005 con il volume “Rischi fatali”, einfine nel 2007 con “La paura e la speranza”.E, finalmente, nell’assemblea del Fondo monetariointernazionale tanti rappresentanti e tanti Paesihanno cominciato a discutere <strong>della</strong> crisi comeoriginata dalla globalizzazione. Dico finalmenteperché non credo che il problema <strong>della</strong> crisi vadavisto in un’ottica di quantità o di tempistica, quantopiuttosto in un’ottica di cause e di origini, equesto sta venendo fuori con grande intensità.La mia idea è che la globalizzazione sia stata laconseguenza naturale di un fatto politico. L’originedei fatti risale a vent’anni fa con la caduta delMuro di Berlino avvenuta nel 1989; oggi, a vent’-anni di distanza da quell’evento storico-politico,viviamo una fase <strong>della</strong> crisi. Ma venti anni, in sensostorico, sono un tempo minimo, sono un tempobreve. La storia <strong>della</strong> lunga durata, di solito,occupa decenni e decenni e l’avvicendarsi di unagenerazione con l’altra; mai nella storia dell’umanitàfatti così intensi si sono verificati in un tempocosì breve tanto da poter essere iscritti nella vita diun uomo. Certo, la storia dell’umanità ha vissutofenomeni di grande e intenso cambiamento e,quindi, denominabili come crisi in senso alto, mamai si sono esplicati in tempi così brevi.La scoperta geografica dell’America, ad esempio,ha rotto il vecchio ordine chiuso del Continente,attivando delle meccaniche che si sono poi sviluppatein tutti i domini, da quello religioso, aquello politico, agli assetti culturali e mentali delvecchio Continente, aprendo poi verso la granderivoluzione. Ma si è trattato di un processo che harichiesto tempi lunghi.La scoperta, non geografica ma economica, dell’-Asia ha accelerato i tempi in un modo impressionante:nel 1989 cade il Muro di Berlino, nel 1994con gli “Accordi di Marrakech” viene istituita laWorld Trade Organization e con essa viene definitauna nuova geografia politica; il mondo vieneunificato in un’unica ideologia mercantile e, positivamente,pacifica. L’11 dicembre 2001 vienefirmato l’Accordo di ingresso dell’Asia nella WorldTrade Organization. Il tutto è avvenuto pertantoin tempi rapidissimi.Nel 1995, ne “Il fantasma <strong>della</strong> povertà” ho tentatodi identificare quelli che potevano essere anchei lati oscuri del processo di globalizzazioneche stava per essere forzato con una deterministicaa mio parere, non troppo illuminata, frutto discelte politiche che hanno compresso ed esplosoun processo che invece richiedeva tempi molto10<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio Tremontipiù lunghi. Ed ora paghiamo i conti di quelle scelte.Con ciò non voglio dire che la globalizzazionedoveva essere fermata, dico solo che è stata spintain modo troppo frenetico e che il miracolo i-stantaneo <strong>della</strong> globalizzazione è stato finanziatocon un eccesso di ricorso alla finanza. E adesso,anche nelle sedi internazionali più accreditate sicomincia ad attribuire agli squilibri globali la cascatadei fenomeni ora in atto, che è un modoun po’ culto per dire quello che io ho cercato didire in modo più semplice nel mio libro, parlandodegli squilibri causati dalla globalizzazione. Che, insé, è un processo totalmente positivo, mentrenon completamente positiva è la scelta di tempisticae di tecnica con cui è stato portato avanti.Per essere chiari, fino a qualche anno fa nel nostrovecchio ordine continentale erano in vigoremeccanismi di quote e di dazi imposti dall’Europaverso l’Asia, che gradualmente e con intelligenzasono stati eliminati; non sono stati cancellati dicolpo, in base a una logica illuminata secondo laquale la nuova religione terrestre del mercatismoavrebbe dovuto portare l’umanità, per vie economichee non per vie politiche nazionali classiche,alla felicità. Voglio usare un’immagine: con laglobalizzazione si è aperto un oceano e 6 miliardidi persone avrebbero dovuto attraversarlo a nuotosenza la “nave” degli Stati, cioè senza la politica.E’ questa l’ideologia che ha dominato gli ultimianni, e certamente l’ultimo decennio; una ideologiache negava la Politica, negava gli Stati e affidavatutto al Mercato, dischiudendo questo oceanodi felicità progressiva e di benessere all’eserciziodi nuoto individuale per 6 miliardi e oltre dipersone.Governi. Oggi stiamo assistendo al ritorno deiGoverni, al ritorno <strong>della</strong> mano pubblica. E’ damolto tempo che io sostengo che è impossibilepensare o ragionare solo in termini di mercato. Eadesso, finalmente, i Governi tornano ad assumereil ruolo che a loro compete. Riprendendo l’immaginedell’oceano, i Governi sono come naviche aiutano le persone ad attraversare una distesad’acqua che altrimenti da sole non riuscirebberoa percorrere.Per tanti anni sono stato accusato di essere antimercatista– l’insulto più grave per chi oggi sioccupa di economia – o di essere colbertista,aggettivo che fino a qualche tempo fa era consideratoalmeno in Italia con un’accezione negativa.A me risulta, tuttavia, che la politica che staportando avanti la Francia, e di cui parlava mipare con apprezzamento anche Enrico Letta aproposito dei 50 campioni, sia quantomeno lievementecolbertista. Noi, invece, abbiamo distruttoparte del nostro sistema produttivo affidandolo almercato. Pertanto un’altra questione che dovràessere posta è la seguente: siamo sicuri che leprivatizzazioni che sono state compiute in Italiasiano state fatte tutte bene ed abbiano avuto solorisvolti positivi, e non abbiano invece marcatoalcuni elementi di riduzione dell’efficienza industrialedel nostro Paese? Io non sono contro leprivatizzazioni, ma ritengo necessario un atteggiamentocritico nel valutare i processi di privatizzazioneche sono stati portati avanti nel nostro Paese,in termini di quantità, di tempi e di modi. E lamia sommessa valutazione è che non tutte leprivatizzazioni siano state realizzate nel modogiusto, andando a indebolire piuttosto che a rafforzareil sistema produttivo industriale italiano,per lo meno in alcuni settoriMa ritorniamo ai Governi.Nel suo intervento, Enrico Letta ha fatto riferimentoal fatto che in questa crisi “ha perso l’Europacomunitaria e quindi, forse, perderà l’Europa”. Iocorreggo in parte questo tipo di valutazioni, perchénon credo sia colpa dei governi se si è registratoun relativo declino <strong>della</strong> capacità di valutazione<strong>della</strong> realtà e di intervento <strong>della</strong> Commissione.Nel giugno del 2008, in occasione di un incontrodell’Eurogruppo in cui era stata posta laquestione relativa alla Northern Rock, la Commissioneeuropea aveva ribadito la regola del divietodegli Aiuti di Stato dimostrando, a mio avviso, diessere fuori dal senso del tempo di una crisi chegià aveva iniziato a manifestarsi; vietare l’interventodel governo su Northern Rock era quantomenoun pochino fuori dalla logica comune. Perfortuna l’intervento su Northern Rock in seguito ciè stato, e vi sono stati poi tutti i successivi, e questograzie all’intervento dei governi che sono scesiin campo con il Vertice di Parigi che, abrogandola regola del divieto degli Aiuti di Stato nelsettore bancario, ha consentito di ridurre una crisiche diversamente sarebbe stata drammatica. Lebanche, infatti, dato il loro ruolo sistemico nondevono e non si possono lasciar fallire. E se non cifosse stato il Vertice di Parigi, organizzato su iniziativadi alcuni Paesi europei, questo probabilmentesarebbe successo, con tutte le conseguenze nefasteche ne sarebbero derivate.Il Governo italiano aveva anche proposto di costituireun Fondo europeo di salvataggio, ma purtroppotale proposta non è stata accettata damolti Stati che hanno preferito “fare per conto11<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio Tremontiproprio”. Probabilmente oggi i governi di questiPaesi si sono pentiti di non aver accettato l’ipotesipiù europea del Fondo comune di salvataggioavanzata dal Governo italiano: il valore di quelmessaggio sarebbe stato molto più forte dei capitalimessi in campo, e i governi nazionali avrebberopotuto, forse, mettere a disposizione unaquantità minore di capitali a sostegno delle proprieeconomie in difficoltà. In altre parole, con“meno” si sarebbe ottenuto di “più”, e in quel“meno” vi era naturalmente lo sforzo comune ditutti i Governi. Sono prevalse invece le scelte nazionali,ma nell’insieme il Vertice di Parigi, con ledecisioni che in esso sono state prese, è statofortemente positivo.Al Vertice di Parigi è poi seguito il G20 di Washington,con il quale è apparsa una formula politicadi gestione <strong>della</strong> crisi mondiale assolutamentestraordinaria: i governi conservano la loro sovranitàma concordano tutti insieme una politica disostegno alle economie; quindi ciascuno per contoproprio, ma tutti insieme in base a un indirizzopolitico comune. Nel recepire tale formula politicaè stata esemplare l’Europa che di ritorno dal G20ha elaborato il “Recovery Plan Europeo”, il qualedopo poche ore è stato declinato da tutti i governieuropei, ciascuno secondo il proprio contesto.Il G20 marca quindi una novità straordinaria intermini di struttura e di azione politica, introducendoun principio di governance mondiale, inbase al quale ciascun Governo agisce autonomamente,ma in sintonia con gli altri Paesi del mondo.Infine l’ultimo G20 di Londra ha segnato un ulterioresviluppo dell’azione politica, segnatamentenon azioni coordinate dei singoli Governi, mauna azione collettiva dei Governi tutti insieme. Ela sostanziale trasformazione del Fondo monetariointernazionale in una Banca centrale globalesta proprio in questa logica. I finanziamenti concessidal Fondo monetario sono stati decisivi, poichéhanno evitato che le criticità dei singoli Paesilungo la fascia di crisi che va dal Baltico al Mediterraneoavessero pericolosi effetti a cascata. Latrasformazione del Fondo monetario internazionalein una Banca centrale globale renderà tuttavianecessarie alcune considerazioni in terminipolitici: anzitutto, cosa comporta in termini di “Notaxation without representation” questo trasferimentodelle scelte ai livelli superiori e non parlamentari;ma anche che cosa vuol dire democraziain un contesto con queste caratteristiche.Tornando all’Europa, ha ragione Enrico Lettaquando dice che nell’attuale fase storica stiamoassistendo ad un declino relativo <strong>della</strong> Commissionee a un rafforzamento del ruolo dei governi,che quindi il pendolo <strong>della</strong> storia è di nuovo passatodal livello comunitario al livello governativo.Io penso però che la questione principale sia lapresenza dell’Europa nel mondo: il mondo si staorganizzando in strutture, come il G20, che hannomolti elementi positivi – più positivi che negativi– ma quale posizione ricopre l’Europa in organismidi quel tipo? Non credo che sia interessedell’Europa entrare in strutture che hanno l’architetturadel Commonwealth, magari più Commonche Wealth. Strutture di quel tipo, generalizzate eestese in quei termini, ridurrebbero drammaticamenteil ruolo dell’Europa se l’Europa continuassea presentarsi in quelle sedi separata e isolata,con ciascuno Stato portatore dei suoi particolariinteressi e non portatore di una visione comunedell’Europa, come invece dovrebbe essere coerentecol fatto che potenzialmente siamo l’areaculturalmente, economicamente e politicamentepiù forte del mondo.Infine le Regole. Non si può immaginare che leregole siano un optional. Le regole, trasmettendofiducia, sono essenziali per uscire dalla crisi e perevitare che la fine di questa crisi sia solo la preparazionedi una crisi futura. E quando parlo di regolenon mi riferisco solo alle regole del mercatofinanziario introdotte dagli operatori per organizzarsisecondo criteri comuni, ma mi riferisco alleregole politiche, alle regole giuridiche, nel sensoalto e nobile del termine.L’11 maggio, come Enrico Letta ben sa facendoanche lui parte <strong>della</strong> Commissione che prepara laConferenza, si incontreranno a Roma i maggiorigiuristi del mondo per una discussione in meritoalla definizione del Global legal standard. Si trattadi un tentativo molto utopistico, se volete; mameglio pensare in termini di utopia che non illudersiche la prassi sia sufficiente, preparando cosìla prossima crisi. Mettere intorno a un tavolo culturepolitiche e giuridiche diverse di certo non èsemplice: vi saranno evoluzioni, sviluppi, freni,accelerazioni. E’ il primo tentativo dopo tanti anni,ma la nostra speranza è di riuscire a definire, almenoin termini generali, una tavola comune.Dopo aver parlato di Mondo, ora mi soffermeròsull’Italia.Attribuendo grande importanza ai numeri, mipermetto di sottolineare come, nel presente, inumeri dell’Italia non siano così negativi come,invece, sono stati presentati in tutti questi anni da12<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio Tremontiuna certa affittiva rappresentazione del nostroPaese. Il nostro Paese ha 60 milioni di abitanti eun Pil di tutto rispetto, che è pari alla somma didue grandi player di cui si dice essere il futuro delmondo. E’ un Pil fatto di produzioni più tradizionali– di abbigliamento, di calzature, di mobilio,di piastrelle ceramiche e via dicendo – ma è benlontano dall‘essere il Pil più piccolo del mondo,nonostante non possa fare affidamento, ad esempio,sul petrolio.E’ poi naturale perdere delle quote sulle percentualidel commercio mondiale dato l’ingresso dinuovi competitor sul mercato mondiale: volendofare un esempio figurato, se la torta si allarga perl’entrata di nuovi competitor, o meglio, se la distanzada percorrere si allunga passando da 100a 400 metri di percorso è irragionevole pensaredi poter percorrere tutti i 400 metri alla stessa velocitàcon la quale prima si percorrevano i 100metri. Questo per dire che non credo sia intelligenteindividuare nella contrazione delle quote dicommercio mondiale dell’Italia il declino del nostroPaese: la distanza aumenta, la torta diventapiù grande e c’è quindi più spazio per tutti. E’quindi naturale che le nostre quote di commerciomondiale si riducano.Sul piano <strong>della</strong> crescita, negli ultimi anni alcuniPaesi ci avevano superato, ma ora è evidente checi avevano superato in retromarcia, come beneha messo in evidenza il libro di Marco Fortis.Il libro di Fortis, partendo dall’estate del 2008 earrivando grosso modo fino ad oggi, prende l’arcodi vita del Governo, che è inferiore all’anno. Io,oggettivamente, non credo che le cose fatte dalGoverno in questo arco temporale siano tuttenegative; e il dialogo con l’opposizione è sicuramenteauspicabile se la discussione è paritetica –come lo è con Enrico Letta – ma è difficile ragionarecon chi, ancor prima di iniziare la discussione,chiede di firmare un capitolato di resa politicae ideologica incondizionata. Se ci fosse un atteggiamentomeno negativo, se la discussione fossemeno drammatica, più laica, più pacata, sarebbedi gran lunga positivo per tutti.Faccio alcuni esempi.L’opposizione non può chiedere la restituzionedel fiscal drag quando, per la prima volta nellastoria recente di questo Paese, il saggio di inflazioneprogrammata è superiore al saggio di inflazionereale.E ancora non può chiedere di cancellare la RobinHood Tax con la motivazione che i prezzi dei prodottipetroliferi sono scesi. Quando la tassa erastata introdotta si negava l’esistenza <strong>della</strong> speculazionenell’andamento dei prezzi, sostenendo cheil rialzo era dovuto a un problema di fondamentali.Ma ora, dopo che le quotazioni del petroliosono passate da 80 a 140 dollari al barile, confuture a 200 dollari, e sono poi ridiscese a circa 50dollari al barile, si può ancora sostenere che all’originedel rialzo dei prezzi vi fosse un problema difondamentali, e non vi fosse invece dell’altro?C’era chi sosteneva che a causare l’aumento deiprezzi fosse stata la tassa sui petrolieri; ma adessoche i prezzi sono scesi, che ruolo si ritiene abbiagiocato la Robin Hood Tax? Ha contribuito alrialzo dei prezzi? Ha contribuito alla loro riduzione?O è indipendente da tutto ciò?Nel nostro programma elettorale si parlava inoltrechiaramente di “una crisi che arriva e che si aggrava”,e anche nel DPEF vi era la previsione diuna crisi imminente. Ma l’opposizione sostieneche se davvero avessimo previsto l’arrivo <strong>della</strong>crisi non avremmo ridotto l’Ici. A parte il fatto chela riduzione dell’Ici era un impegno elettorale – equindi in quanto tale andava mantenuto, ancheperché nella stabilità politica vi è un fattore economico,e la stabilità politica implica realizzare ciòche è stato promesso – io l’Ici l’avrei ridotta inogni caso. Dovendo infatti abbassare l’imposizionefiscale, credo sia giusto partire da una tassacome questa, anche se l’opposizione la ritieneuna tassa sulle case dei ricchi. Ma se così fosse,non capisco perché i nostri predecessori nel disegnarela curva delle imposte avevano previsto ladetrazione per l’Ici su tutte le prime case.Ma questi sono tutti dettagli. In vista <strong>della</strong> crisi, noiabbiamo cercato di fare le cose che ci sembravanogiuste, mettendo in sicurezza i conti pubblicicon una Legge Finanziaria triennale. Se non cifosse stato questo meccanismo, l’esplosione <strong>della</strong>crisi ci avrebbe messo in grosse difficoltà.E anche grazie a questo intervento ora dall’esterovalutano i conti pubblici italiani in maniera sicuramentepiù positiva rispetto a qualche tempo fa.Indubbiamente c’è un deterioramento dei rapporti(debito/Pil, deficit/Pil), ma ciò in dipendenza<strong>della</strong> mancata crescita, e quindi dei mancati gettiti,e non in conseguenza di politiche sbagliate.Da più parti ci chiedono di fare più deficit, ma ionon credo che ciò sia consentito al nostro Paese,e non credo neppure che la cura di una malattiacausata da un eccesso di debito consista nel fareancora più debito. Ci chiedevano inoltre di detassarele tredicesime, ma a me non sembrava la13<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio Tremontiscelta giusta perché il problema non era sostenerei consumi, ma in generale aiutare chi ne avevabisogno. E adesso mi sembra che ci sia un certoconsenso in merito al fatto che quella di detassarele tredicesime era una scelta sbagliata.Io sono stato demonizzato per l’introduzione <strong>della</strong>Carta Acquisti, perché si diceva essere uno strumentoper marcare la povertà (ma allora noncapisco perché la Family Card introdotta dal Comunedi Bologna, che è sostanzialmente la stessacosa, sia stata accolta favorevolmente dalle stessepersone che invece criticano la Carta Acquistiintrodotta dal Governo). In realtà noi abbiamosemplicemente riprodotto un modello straniero diCarte di credito per il cibo, meccanismo che adessoè purtroppo diffusissimo in America.Sempre relativamente alla Carta Acquisti, ci hannoaccusato di aver sbagliato perché l’abbiamoprevista per 1.300.000 soggetti, quando invecel’hanno richiesta solo poco più di mezzo milionedi persone. Ma il problema è che in Italia nonesiste una “banca dati <strong>della</strong> povertà” e i meccanismiintelligenti costruiti negli anni ’90 per identificarela povertà – noti come ISEE – sono di unaenorme complicazione. Bisognerà, quindi, procedereanzitutto con la creazione di una “bancadati <strong>della</strong> povertà”, partendo da un collegamentotra le banche dati fiscali e le banche dati dell’Inps,che ad oggi non esiste. Basti pensare a comespesso i decessi non vengano comunicati contempestività all’Inps, al contrario di quanto avvienecon il fisco, con la conseguenza che non c’èmai una corrispondenza tra i numeri di decessiche risultano all’Inps e il numero di decessi cherisultano al fisco.In ogni caso, le risorse stanziate per la Carta Acquistisulla base <strong>della</strong> stima di 1.300.000 soggettiin stato di necessità sono ancora disponibili e sarannoutilizzate in tale comparto, consapevoli chel’impatto <strong>della</strong> crisi è stato molto forte, soprattuttoverso il basso. Tale strumento potrà essere miglioratocon la discussione di tutti, con i Comuni, conil mondo del non-profit e del volontariato, tenendosempre presente l’importanza di sostenere iconsumi, ma non come valore assoluto.A mio avviso, infatti, uno degli aspetti positivi diquesta crisi è proprio la scomparsa <strong>della</strong> figurapolitica del Consumatore, quale portatore di valorisuperiori e sintesi globale del nuovo e modernopensiero positivo e, conseguentemente, il riemergere<strong>della</strong> figura del Cittadino. Io conosco l’uomoe i valori spirituali; non riconosco invece il Consumatorecome entità superiore a cui prestare ossequiopolitico e democratico.Per concludere, noi abbiamo cercato di metterein campo politiche adeguate a superare la crisiche fossero compatibili con la nostra struttura diconti pubblici, e credo che i risultati raggiunti sianopositivi. In caso contrario avremmo avuto tuttii giornali tapezzati di giudizi negativi sulla nostrapolitica, e le misure da noi adottate non sarebberostate relegate alle brevi di cronaca.Detto questo, il nostro è un Paese con importantielementi di forza che stanno venendo fuori propriocon la crisi, non in assoluto, ma in rapportoagli altri Paesi:1) l’Italia è un Paese che non ha grandi metropolicircondate da enormi e destabilizzanti anelli diperiferia, ma ha oltre 8.000 Comuni e numerosepiccole e medie città, ossia strutture sociali moltopiù forti e più capaci di assorbire l’impatto <strong>della</strong>crisi che non le banlieu o gli anelli di devastantiperiferie;2) l’Italia è un Paese che ha ancora la famigliacome struttura sociale portante, diversamente daaltri Paesi in cui il ruolo sociale <strong>della</strong> famiglia èmolto minore essendo più forte il ruolo socialedello Stato.Per molto tempo i Paesi nordici, con le loro strutturesociali fortemente incentrate sul ruolo delloStato, sono stati portati ad esempio di modellisociali evoluti; ad oggi, però, sono quasi tutti mezzifalliti. Io tra il ruolo sociale dello Stato e il ruolosociale <strong>della</strong> famiglia preferisco quest’ultimo, anchese questo non significa che debba fare tuttola famiglia. E, infatti, a supporto <strong>della</strong> famiglia noiabbiamo l’Inps, con il sistema dei prepensionamentiche funzionano da ammortizzatorisociali, e le pensioni di invalidità che purtropponegli ultimi anni sono cresciute anche in dipendenzadi una applicazione asimmetrica del federalismofiscale. Io non credo, quindi, che il modellosociale italiano sia così negativo come ce lorappresentano. E credo che la riforma delle pensionicui si è giunti attraverso le ultime legislaturesia una buona riforma, che ha funzionato e stafunzionando. Riguardo agli armonizzatori socialisi possono introdurre delle varianti. Nell’emergenzaabbiamo aggiunto al meccanismo esistentequante più risorse potevamo, e credo che l’aggiuntadi 9 miliardi in 6 mesi non sia esattamenteun intervento marginale.C’è chi sostiene che la crisi sia il momento miglioreper fare le riforme. A costoro io rispondo riprendendole parole del Fondo Monetario Inter-14<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Giulio Tremontinazionale: “le crisi non sono il momento per farele riforme perché causano incertezza e paura inun momento in cui invece è fondamentale il fattore<strong>della</strong> certezza, il fattore <strong>della</strong> fiducia”. A menoche non siano assolutamente rinviabili per ladrammaticità <strong>della</strong> situazione, come nel caso delsistema bancario in cui si è dovuto intervenirecon radicalità.3) L’altro punto di forza del nostro Paese è la suastruttura produttiva. Da noi la grande industria hauna dimensione particolare, che è quella dei distretti;i distretti, in altre parole, sono una forma diespressione <strong>della</strong> grande industria italiana. Complessivamentesono un centinaio, ed io, onestamente,non so se farei cambio con i 50 campioninazionali francesi. L’ideale sarebbe forse avere unpo’ degli uni e un po’ degli altri. Detto ciò, suidistretti occorre però lavorare molto, per rafforzarnela specificità, ferme le individualità che li animano.Nel nostro Paese vi è una quantità enorme disoggetti che lavorano nell’economia privata. InItalia le Partite Iva attive nel settore dell’industriasono 8.800.000, che è un numero straordinario.Naturalmente, in questo numero sono compreseanche Partite Iva “fittizie” aperte per poter trovarelavoro, e che quindi in quanto tali non sottintendonouna autonomia nell’impresa. Ma in ognicaso esse sono un dato indicativo <strong>della</strong> forza e<strong>della</strong> vitalità del nostro Paese, senza con ciò negarei molti problemi che lo affliggono. In particolare,da gennaio a fine aprile il saldo tra aperture echiusure delle Partite Iva è stato pari a +177.000.E’ un dato positivo o negativo? Sicuramente è undato di vitalità. E nella vitalità ci sono fattori di crisi,fattori di espansione, fattori di riduzione.Per concludere, io credo che sia stata sbagliata lascelta politica dell’opposizione di puntare sullacrisi di sistema; non mi riferisco a Enrico Letta, maa una grande parte dell’area politica avversa allanostra che per molto tempo ha puntato alla rotturadi sistema, alla drammatizzazione; che haguardato alla crisi come fattore catartico, ipotizzandoche la crisi potesse prendere una intensitàcosì forte da far cadere il Governo; commettendo,a mio avviso, un errore tecnico di valutazione e dianalisi, trascurando i punti di forza del nostro Paesesopra menzionati.L’Italia è dunque un Paese che ha delle chancesper uscire dalla crisi. La retorica recita che se nonsi fanno le riforme si esce dalla crisi peggio deglialtri; sempre in modo retorico, fino a poco tempofa si è sostenuto che i Paesi che crescevano di piùnel panorama internazionale erano quelli cheavevano introdotto importanti riforme. Oggi invecesi è visto che i Paesi che crescevano maggiormentein termini di Pil erano quelli che facevanopiù debito, debito privato e non pubblico. Anchel’Italia è cresciuta molto negli anni di esplosionedel suo debito pubblico, ma quando nel 1992-93ha iniziato la sua politica di contenimento deldebito hanno iniziato a crescere gli altri Paesi,grazie all’incremento del debito privato.L’Italia, a differenza degli Stati Uniti e degli altriprincipali Paesi europei, negli ultimi anni non habasato la sua felicità sulle carte di credito, bensìsul risparmio e su tante altre cose, gestendo l’onereenorme di un debito pubblico pregresso di cuitutti abbiamo la responsabilità collettiva.Anche per questo io non credo che, una voltasuperata la crisi, l’Italia si troverà così spiazzatacome ci hanno raccontato in tutti questi anni.Mettiamola così: essendosi dimostrate sbagliatetutte le previsioni passate, probabilmente sonosbagliate anche le analisi e le previsioni future.Quindi io proporrei all’opposizione di chiuderequesta partita abbandonando la visione catastroficache contraddistingue parte di essa, accogliendola disponibilità a una discussione pacata comeè venuta da Enrico Letta.Grazie.15<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Alberto Quadrio CurzioRingrazio molto Enrico Letta per le sue lucidevalutazioni sulla situazione italiana passata e prospetticae il ministro Tremonti per questa sua riflessionecosì completa e articolata.Gli interessanti contenuti degli interventi mi inducono,prima di passare la parola all’autore delvolume, a una ipotesi, a una proposta che faccioal Dottor Quadrino: sarebbe molto interessanteriportare in un saggio le relazioni, le riflessioniodierne che credo sarebbero molto utilmenteveicolate alla pubblica opinione più ampia delnostro Paese. Vedremo se i due relatori consentirannoad accettare tali ipotesi.La parola spetta ora a Marco Fortis, autore delvolume.Marco FortisGrazie Alberto.Io sono veramente grato ai dueospiti, Enrico Letta e Giulio Tremonti,per aver onorato la presentazionedi questo mio volume con la loro presenzae con le loro analisi. Il mio intervento saràbreve. Perché il libro nel quale ho approfondito iltema <strong>della</strong> crisi economica e in cui troverete analisie statistiche più dettagliate vi è stato distribuitoall’ingresso, ma soprattutto perché questa giornataè stata organizzata principalmente per ascoltareil punto di vista dei due autorevoli ospiti. Milimiterò, dato che sono già stati ampiamente toccatida entrambi molti dei temi affrontati nel volume,ad evidenziare in estrema sintesi quelle chesono le mie convinzioni circa le capacità di resistenzadel sistema socio-economico italiano inquesta crisi, che già cominciano a manifestarsi daalcuni indicatori che, sia pure in forma embrionale,stanno mostrando qualche segnale di ripresa.A febbraio, per esempio, gli indici degli ordinatividell’industria manifatturiera dell’Eurostat mostranorispetto a gennaio un rimbalzo significativo indue soli Paesi europei, l’Italia e la Francia. Gli indicatorianticipatori dell’OCSE a gennaio e febbraiosegnalano un inizio di ripresa per l’Italia. Questamattina anche gli indicatori dell’ISAE sulla fiduciadei consumatori in aprile mostrano un rimbalzo.Questo non significa che l’Italia sia già avviata aduscire dalla crisi, così come del resto gli altri Paesieuropei, Francia e Germania in testa, che megliodi noi stanno mostrando i primi segnali di ripresadi fiducia degli operatori, perché la crisi sarà sicuramentemolto lunga da superare. Probabilmenteabbiamo toccato il fondo <strong>della</strong> riduzione dellescorte dei magazzini che ha così pesantementeinfluito sul ciclo <strong>della</strong> produzione industriale e delcommercio mondiale; però la convalescenza dopoquesta crisi così grave sarà certamente lunga.L’Italia però affronta questa sfida con una serie dielementi di forza, che in parte sono già stati ricordati:tra questi, soprattutto, una grande capacitàdi risparmio ma anche un basso indebitamentodelle famiglie, e una scarsa esposizione del nostrosistema bancario ai punti di maggiore tensione<strong>della</strong> crisi finanziaria internazionale; abbiamo vistoper esempio che, secondo i dati <strong>della</strong> Banca deiRegolamenti Internazionali, i crediti complessivivantati dal sistema bancario italiano sugli StatiUniti e sull’Inghilterra rappresentano a stento il 3-4% del nostro Prodotto interno lordo, mentre inaltri Paesi si arriva a cifre introno al 40, 50 e addirittura60%. E poi le nostre banche, lo ricordo,hanno certamente una vocazione retail, una vocazionealle attività tradizionali a supporto di famigliee imprese molto maggiore rispetto alle banchedegli altri Paesi avanzati. E questo ha contribuitoa tenerle in qualche modo lontane dallenuove frontiere dell’innovazione finanziaria chesono state, in gran parte, strumentali alla proliferazionedei cosiddetti “collaterali” legati ai mutui perl’acquisto <strong>della</strong> casa in America e in altri Paesi, eche poi sono stati un elemento scatenante <strong>della</strong>crisi.Ma tra i punti di forza dell’Italia vorrei ricordare ilsistema degli ammortizzatori sociali; le imprese,infatti, che in questo momento stanno soffrendoper cali negli ordini del 30-40% rispetto all’annoprecedente (ma questo sta accadendo un po’ovunque; si pensi, ad esempio, che in Germania idati sugli ordinativi esteri dell’industria manifatturieradi febbraio indicano addirittura un calo del-42%) trovano negli ammortizzatori sociali una16<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Marco Fortisimportante forma di supporto. A differenza di altriPaesi che stanno eliminando forze di lavoro conuna velocità straordinaria – alcuni grandi gruppimondiali del sistema sia industriale che finanziario,come noto, hanno operato tagli occupazionali di10, 20, e anche 30mila posti di lavoro – nel nostroPaese questo non si è verificato: secondol’Istat nel periodo marzo-dicembre 2008 il numerodei disoccupati in Italia è aumentato come inIrlanda, Paese con solo 4 milioni di abitanti, cioèsono stati persi poco più di 75.000 posti di lavoro.Certo, il rischio è che adesso l’onda lunga <strong>della</strong>crisi possa premere sull’occupazione italiana, perògli ammortizzatori sociali stanno dando un grossocontributo in tal senso. E bisogna anche sottolinearecome fino ad ora non ne sia stato fatto unuso smodato. In particolare, le ultime statistichedell’Inps relative al periodo gennaio-marzo diquest’anno dimostrano che a fare uso <strong>della</strong> cassaintegrazione ordinaria sono soprattutto le provincedi grande impresa, ossia quelle più sottoposteallo stress <strong>della</strong> crisi, come le imprese metallurgichee le imprese dell’auto. La provincia di Torino,per esempio, ha avuto un numero di ore di cassaintegrazione autorizzate pari a quelle dell’interoNord-Est, pari quindi a quattro regioni. Ciò significache nelle regioni di piccola e media impresa, edove ci sono i distretti industriali, le imprese stannosforzandosi al massimo per continuare a lavoraree per non ricorrere a questi strumenti, almenofinché ciò sarà loro possibile.Credo, inoltre, che il sistema manifatturiero italianosia entrato in questa crisi in un momento diforza straordinaria. Prima che iniziasse la crisi, infatti,il nostro Paese era arrivato a toccare il suorecord storico quanto a surplus manifatturierocon l’estero, a dimostrazione quindi che non siamoentrati deboli nella crisi; al contrario, vi siamoentrati forse con la maggior forza che abbiamomai avuto nel secondo dopoguerra, pur scontandoil declino o per lo meno le difficoltà che hannoincontrato alcuni settori tradizionali come iltessile-abbigliamento e le calzature in seguitoall’avvento <strong>della</strong> concorrenza asiatica.E’ quindi molto importante, come sottolineatoanche dai nostri ospiti, che il nostro sistema produttivopossa rimanere intatto, utilizzando tutti glistrumenti possibili che anche il sistema di ammortizzatorimette a disposizione, e ciò anche in considerazionedel fatto che, pur essendo in regressogli ordinativi e le produzioni industriali, le nostrequote di mercato in alcuni casi stanno paradossalmenteaumentando, perché molti dei nostricompetitor stanno sperimentando crisi molto piùforti delle nostre.Dobbiamo quindi avere fiducia che, una voltasuperata, questa crisi potrà riproporre il modellodi sviluppo italiano come un modello vincente,dove siamo forti, lo ricordo, non solo nell’industriama anche nel turismo, che pure necessita di essereristrutturato per esprimere tutte le sue potenzialità.Il turismo è per noi una risorsa fondamentale. Ioricordo sempre che la provincia di Venezia dasola ha più pernottamenti di turisti stranieri dell’interaIrlanda, e che la provincia di Roma ne ha piùdi tutto il Belgio: abbiamo cioè delle grandi realtàdel turismo mondiale, così come le abbiamo nell’-agricoltura e nei prodotti tipici.Credo quindi che non sia soltanto un ottimismogenerico quello che ho cercato di descrivere edillustrare in questo mio volume, quanto piuttostouna fiducia nel nostro modello di sviluppo industrialeche io ho conosciuto non soltanto attraversole analisi e le statistiche, ma anche, in questianni, con il contatto diretto con molti di voi. Oggisono qui in sala i Presidenti e i Direttori di molteAssociazioni con cui abbiamo tanto lavorato inquesti anni con la <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong>. Vorrei ringraziareanche loro per il contributo di notizie,informazioni ed esperienze che mi hanno dato eche hanno consentito la pubblicazione di questolavoro.Vi ringrazio.17<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009


Alberto Quadrio CurzioChiudendo questa nostra mattinata così intensaed estremamente interessante non voglio certofare una sintesi. Vorrei usare il metodo tremontianocon la chiosa su alcuni termini e concetti.Innanzitutto credo che stamane sia di nuovo statoricordato soprattutto agli economisti, categoriaalla quale io appartengo, come nei grandi cambiamentinon conta tanto l’aritmetica o la matematica,ma conta la storia, e bisogna tenere presentiquelli che taluno denomina “megatrend”. Lamatematica e l’aritmetica contano nella microeconomia,ma nella macroeconomia conta molto dipiù la storia. Sotto questo profilo trovo molto interessantequanto ci ha detto stamane il ministro,tra cui anche la convocazione a Roma di unariunione dei grandi giuristi mondiali per dare corsoa una ipotesi sul global legal standard; che haavuto una Commissione Istruttoria Italiana <strong>della</strong>quale fa parte, e mi fa molto piacere avere sentitoadesso dal ministro, anche Enrico Letta. Lepersone intelligenti e competenti, quali sono inostri due relatori di stamane, non sono arroccatenella loro appartenenza partitica.Una seconda breve osservazione riguarda l’Europa:non trovo grandi differenze tra quello che hadetto Enrico Letta e quello che ha detto GiulioTremonti. Credo che tutto sommato il ritorno almetodo intergovernativo sia dovuto a tante contingenze,ma non credo che la colpa sia imputabileall’Italia che ha fatto ben due proposte perrafforzare il contesto comunitario. A mio avviso èmolto importante, tuttavia, riflettere a fondo sullecooperazioni rafforzate senza le quali ho l’impressioneche anche il metodo comunitario non potràfunzionare; così come ho l’impressione chevada ripresa la tematica del patto di stabilità, fortunatamenteflessibilizzato dopo un contenzioso nel2003, e che tuttavia io credo vada rivisto per scorporaredal lato spese del deficit quelle per investimentiinfrastrutturali. In ogni caso l’Europa rimaneper tutti noi una grande realtà e l’Italia è stato unPaese federatore che certamente continuerà asvolgere un ruolo importante, ammesso che l’Europastessa lo voglia.Sull’Italia credo che tutti quanti abbiamo apprezzatomolto quanto è stato detto. E noi, per riassumereun po’ quello che mi pare sia anche il sentimento<strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong> crediamo moltoa quella formula ideale, che io ho spesso indicato,del liberalismo sociale o liberalismo comunitario,in cui solidarietà, sussidiarietà e sviluppo si coniuganoin modo tale da valorizzare le peculiarità delnostro Paese tra cui una straordinaria capacità diinnovazione informale che le statistiche non rilevano.Ma per questa capacità innovativa, chenasce dal tessuto storico-comunitario dell’Italia,necessita per andare oltre di istituzioni migliori edi una formazione del capitale umano meno accidentale.Grazie ancora ai due relatori. Spero la mia ipotesi,che è proposta per il dottor Quadrino e ipotesiper i due relatori, di predisporre un saggio chedia conto <strong>della</strong> giornata odierna possa avere seguito.Grazie davvero.Umberto Quadrino a te la parola.Umberto QuadrinoGrazie Alberto.Nel salutare e ringraziare i relatori mi domando senella sala ci sia un po’ più di ottimismo rispetto aquando siete entrati. L’ottimismo forse non nasceda nessun fatto nuovo che è stato detto oggi,però ha una ragion d’essere perché la straordinariaanalisi, questo grande affresco che ha fattoGiulio Tremonti rileva uno sforzo per cercare dicapire qual è la realtà, cercare di interpretarla,non solo nel contingente, ma in una prospettivastorica. Insomma, avere una persona che ci governache ha questa passione e questa capacitàdi analisi mi rassicura e mi da un po’ di ottimismo.Così come ho colto come una nota di grandeottimismo la disponibilità di Enrico Letta a collaborarecon il Governo in un momento così difficile.Con questo ringrazio tutti e due i relatori e vi saluto,anche a nome <strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong>.18<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009

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