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"Le caverne dei diamanti" di Emilio Salgari - Altervista

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EMILIO SALGARILE CAVERNE DEI DIAMANTI3


macchine a funzionare, la nave subì una tale scossa, da farmicadere innanzi.Sarei senza dubbio caduto nella stanza delle caldaie, se unbraccio vigoroso non mi avesse prontamente trattenuto.Mi volsi e vi<strong>di</strong> il tenente <strong>di</strong> marina dal monocolo.– Grazie signore – <strong>di</strong>ssi.– Badate a non perdere l'equilibrio – mi rispose egli,sorridendo. – Si capisce che voi non siete amico del rollìo dellenavi.– Non sono un uomo <strong>di</strong> mare – <strong>di</strong>ssi. – Non vengo al capoche assai <strong>di</strong> rado.– Andate a Durban?– Sì, signore.– Conoscerete bene la colonia <strong>di</strong> Natal?– L'ho percorsa tutta quanta e per venti anni.– Ah! – esclamò il signor Good, guardandomi conparticolare attenzione.In quel momento la campana <strong>di</strong> bordo che ci chiamava acolazione, ruppe la nostra conversazione.A tavola il tenente s'era collocato <strong>di</strong> fronte a me, mentre ilsuo amico genovese s'era posto accanto al capitano del Dunkeld.Terminato il pasto, la conversazione si aggirò intorno allegran<strong>di</strong> cacce. Si parlava <strong>di</strong> elefanti, <strong>di</strong> leoni, <strong>di</strong> antilopi e <strong>di</strong>ippopotami, animali che in quell'epoca erano ancora assainumerosi nell'Africa meri<strong>di</strong>onale.Il capitano del Dunkeld, che doveva essere un appassionatocacciatore, ci aveva fatto capire che appena giunto a Durban sisarebbe preso un congedo d'alcuni giorni, per recarsi a cacciare igrossi animali nell'interno della colonia <strong>di</strong> Natal.Uno <strong>dei</strong> miei vicini <strong>di</strong> tavola, un olandese che miconosceva benissimo, <strong>di</strong>sse ad un tratto:– Capitano, se volete fare delle buone cacce, prendete con7


voi il signor Allan Quatremain. È uno <strong>dei</strong> più famosi cacciatoridella colonia.Ciò <strong>di</strong>cendo in<strong>di</strong>cava me.– Sarei ben felice se mi potesse accompagnare – <strong>di</strong>sse ilcapitano. – Il nome <strong>di</strong> Quatremain è conosciuto anche al capo.Verrete con me, signore?– È probabile, capitano – risposi. – Quando si tratta <strong>di</strong>uccidere <strong>dei</strong> leoni e degli elefanti non mi rifiuto mai.In quell'istante il signor Falcone, che da qualche po' miosservava con un certo stupore, mi chiese a bruciapelo:– Voi siete il signor Quatremain?– Sì signore – risposi.– Di Durban?– Precisamente.Il genovese non aggiunse altro, ma lo vi<strong>di</strong> accarezzarsi piùvolte la barba folta e scambiare degli sguar<strong>di</strong> col suo compagno,il tenente Good.Quando il pasto fu terminato, il genovese mi si avvicinò,invitandomi a fumare la pipa nella sua cabina assieme a Good.Lo seguii volentieri e dopo d'avermi offerto dell'eccellentetabacco e un bicchiere <strong>di</strong> whisky, mi <strong>di</strong>sse:– Signor Allan, vorrei chiedervi una cosa.– Parlate, signore – risposi.– Non vi trovavate due anni or sono a Bamamgoato, alnord del Transvaal?– Sissignore – risposi, stupito da quella domanda.– Voi trafficavate allora fra la costa e l'interno.– Precisamente signore; io avevo condotto un carico <strong>di</strong>mercanzia affidatami da un olandese e mi ero fermato aBamamgoato dove rimasi finché tutto fu venduto.Il signor Falcone alzò su <strong>di</strong> me due occhi neri pieni d'unaansietà viva e strana.8


– Ditemi, signor Quatremain – mi chiese, dopo alcuniistanti <strong>di</strong> silenzio. – Non avete incontrato, per caso, un uomo chesi faceva chiamare Neville.– Ma... scusate! Io ho conosciuto quell'uomo. Egli erarimasto accampato presso <strong>di</strong> me una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> giorni, iltempo necessario per far riposare i suoi buoi.– Dove andava?– Aveva manifestato l'intenzione <strong>di</strong> emigrare nell'interno.– Voi avete ricevuto una lettera, spe<strong>di</strong>tavi da un negozianteinglese del capo, è vero?– Sì – risposi io. – In quella lettera mi si domandava se iosapevo cos'era avvenuto <strong>di</strong> quell'uomo che si chiamava Neville,e mi era affrettato a rispondere.– Io ho la vostra risposta in mia mano.Io guardai il genovese colla più viva sorpresa.– Siete stato voi a farmi scrivere dal negoziante inglese?– Sono stato io. Voi adunque avete saputo che Nevilleaveva lasciato Bamamgoato per recarsi nel paese <strong>dei</strong> matabeles,in compagnia <strong>di</strong> un cacciatore cafro chiamato Jim e <strong>di</strong> unvoorlooper. 1– Ciò è rigorosamente esatto.– Avete potuto sapere più nulla poi?– Sì – risposi. – Da un mercante portoghese seppi cheNeville aveva venduto i suoi carri, e che aveva proseguita la suamarcia a pie<strong>di</strong>, dopo essersi fermato qualche tempo a Inyati.– Non potreste <strong>di</strong>rmi per quale motivo aveva intrapresoquel lungo viaggio? – mi chiese il tenente <strong>di</strong> marina.– Lo ignoro, nulla avendomi detto in proposito il signorNeville. Era un uomo poco comunicativo, che sfuggiva lacompagnia.Il signor Falcone ed il suo amico si guardarono alcuni1 Conduttore <strong>di</strong> buoi.9


istanti senza parlare, poi il primo riprese:– Signor Quatremain, io so che voi siete un uomo sicuro,onesto, <strong>di</strong>screto, posso quin<strong>di</strong> confidarmi completamente convoi.I complimenti fanno sempre piacere, pure rimasi tantoimbarazzato, che dovetti bere un sorso <strong>di</strong> whisky per nasconderequel turbamento.– A nessuno l'avrei forse confidato, ma a voi <strong>di</strong>rò chi è quelNeville.– Io forse lo indovino, – risposi, – poiché più vi guardo piùtrovo delle rassomiglianze fra voi e quel Neville.– È possibile che troviate sul mio volto delle somiglianzecon quell'uomo, perché egli è mio fratello.– Ah! – gridai. – L'avevo sospettato! Vorrei però sapereperché si faceva chiamare Neville invece <strong>di</strong> Falcone, e sispacciava per inglese anziché per italiano.– Cosa volete? Era uno spirito bizzarro – <strong>di</strong>sse il genovese,con un sospiro. – Ci eravamo assai amati o meglio io lo avevaimmensamente amato, tollerando il suo carattere piuttostoeccentrico. Cinque anni or sono ebbimo fra noi una questioned'interesse ed egli, che era eccessivamente fiero ed impetuoso, sia<strong>di</strong>rò talmente da abbandonare la vecchia casa paterna per nonfarvi più ritorno. Solo qualche anno fa seppi, da un capitano mioamico che veniva da Durban, che mio fratello si trovava nellacolonia <strong>di</strong> Natal, in con<strong>di</strong>zioni tutt'altro che floride, ed io quisono venuto per ritrovarlo e ricondurlo in patria, dove possiedeancora qualche terra.– Ma, – chiesi io, – era forse partito senza mezzi <strong>di</strong>fortuna?– No, anzi con molti, ma deve averli consumati in viaggi ein cattive speculazioni.– Infatti quando io lo trovai non possedeva che due carri e10


do<strong>di</strong>ci paia <strong>di</strong> buoi e credo che tutta la sua ricchezza consistessein ciò.– Credete, signor Quatremain, che non si possaassolutamente sapere dove sia andato a finire il fratello del mioamico? – mi chiese Good.Io invece <strong>di</strong> rispondere guardai il genovese e con un certoimbarazzo che non gli sfuggì.– Signor Quatremain, – mi <strong>di</strong>sse bruscamente, – voi avetequalche cosa da <strong>di</strong>rmi.– È vero – risposi, dopo una breve esitazione. – Io so dov'èandato vostro fratello, ma posso io rivelare il segreto?– Pensate che io sono venuto in Africa per cercarlo.– Ebbene, vi <strong>di</strong>rò allora che egli è partito pel paese <strong>dei</strong>koukouana, onde cercare le famose <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti delportoghese Sylvestra. Sedete ed ascoltatemi.11


LA LEGGENDA DELLE CAVERNE DEI DIAMANTIDopo d'aver riaccesa la mia pipa e <strong>di</strong> essermi bagnatal'ugola con un bicchiere <strong>di</strong> whisky, ripresi la parola.– Trent'anni or sono, un cacciatore chiamato Èvans, ches'interessava appassionatamente delle tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> questi paesi,mi aveva raccontato che cacciando sulle terre <strong>dei</strong> matabeles,aveva u<strong>di</strong>to da alcuni in<strong>di</strong>geni a vantare le ricchezze favoloseche da secoli si trovavano raccolte in certe <strong>caverne</strong>, situate allefalde <strong>di</strong> quelle montagne, che oggi vengono chiamate <strong>di</strong>Suliman.«Uno stregone del paese <strong>dei</strong> manicos, gli aveva inoltrenarrato che attorno a quelle montagne viveva un popolonumeroso e guerresco conosciuto col nome <strong>di</strong> koukouana e chegodeva d'una civiltà relativamente assai avanzata, insegnataglida alcuni bianchi che in tempi molto lontani avevanosoggiornato in quel territorio.«Allora non si erano ancora scoperte le favolose minieredel Transvaal, sicché io aveva prestato ben poca fede allaleggenda raccontatami dal mio amico; ma vent'anni più tar<strong>di</strong> ioaveva u<strong>di</strong>to ancora a parlare delle ricchezze delle montagne <strong>di</strong>Suliman.«In quell'epoca mi ero avventurato al <strong>di</strong> là del paese <strong>dei</strong>manicos, ed essendo stato colpito dalle febbri, mi eroforzatamente fermato in un miserabile villaggio chiamato ilkraal <strong>di</strong> Sitanda.«Mi trovavo colà da alcune settimane, quando un giornovi<strong>di</strong> giungere un portoghese accompagnato da un servo sanguemisto, ossia da un mulatto.12


«Io, a <strong>di</strong>rvi il vero, non ho mai amato i portoghesi perchésono la piaga <strong>di</strong> questi paesi, essendo quasi tutti, dal più almeno, trafficanti <strong>di</strong> carne umana, ossia <strong>di</strong> schiavi.«Quel portoghese però sembrava un uomo <strong>di</strong>fferente daisuoi compatrioti ed aveva la fisonomia d'un uomo onesto ed imo<strong>di</strong> d'una persona molto educata e molto istruita. Avendolo iointerrogato, seppi che si chiamava José da Sylvestra e che avevauna fattoria sulle rive della baia <strong>di</strong> Delagoa.«Avendo stretto con lui amicizia, alcuni giorni dopo vennea salutarmi, <strong>di</strong>cendomi:«"Ad<strong>di</strong>o, senor. Se io tornerò, sarò l'uomo più ricco delmondo e mi ricorderò della vostra amicizia e della vostraospitalità".«Poi si allontanò <strong>di</strong>rigendosi verso l'ovest, assieme al suoservo. Io non avevo fatto gran caso alle sue parole, anzi l'avevaritenuto per un pazzo o per un visionario.«Una settimana più tar<strong>di</strong>, mentre stava rosicchiando lacarcassa d'un pollo, abbassando gli sguar<strong>di</strong> verso le sabbie deldeserto che un sole implacabile rendeva fiammeggianti, scorsi acirca trecento passi da me, sulla cima d'una collinetta, una formaumana. Si arrampicava faticosamente, cadeva e si rialzava,facendo sforzi <strong>di</strong>sperati per avanzare. Guardandolo attentamentevi<strong>di</strong> che era realmente un uomo, anzi un europeo, dalle vesti cheindossava.«Quando giunse a pochi passi da me, riconobbi in lui ilportoghese, che era partito promettendomi <strong>di</strong> ritornare l'uomopiù ricco della terra.«Quel povero <strong>di</strong>avolo non era più che l'ombra <strong>di</strong> se stesso.Era pallido, <strong>di</strong>sfatto, sparuto, quasi irriconoscibile.«Appena mi scorse, mi <strong>di</strong>sse con voce rotta:«"Dell'acqua!... Per l'amor <strong>di</strong> Dio!... Datemi dell'acqua".«Mi ero alzato per corrergli incontro onde aiutarlo. Udendo13


quelle parole andai a prendere una fiasca d'acqua e gliela porsi,raccomandandogli però <strong>di</strong> berla a poco a poco, ma invece lavuotò senza staccarla dalle labbra tanta era la sete che avevasofferto nel deserto.«Fu una imprudenza senza dubbio, poiché cadde comecolpito da sincope. Chiamai i miei uomini, lo feci trasportarenella mia tenda e gli pro<strong>di</strong>gai le cure più affettuose, finchérinvenne.«Il suo stato però era tale, da <strong>di</strong>sperare della sua salvezza.«Fu preso da una febbre violentissima e da accessi <strong>di</strong>delirio, durante i quali mi parlava <strong>di</strong> montagne, <strong>di</strong> deserti, <strong>di</strong>tribù <strong>di</strong> negri, <strong>di</strong> <strong>caverne</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti e d'un documentomisterioso che possedeva.«Quando lo vi<strong>di</strong> più calmo ed assopito, mi addormentaianch'io, non essendo ancora completamente guarito.«L'indomani vi<strong>di</strong> il mio portoghese seduto sulla pelle chegli serviva da letto, colle braccia tese verso il grande deserto epiù <strong>di</strong>sfatto che mai.«Vedendomi mi sorrise tristamente, poi ad<strong>di</strong>tandomi lesabbie ardenti, mi <strong>di</strong>sse:«"Sono laggiù, ma nessuna persona andrà forse araccogliere quei tesori".«Poi facendo cenno <strong>di</strong> avvicinarmi a lui, riprese:«"Io sto per morire, amico".«"Non lo pensate" <strong>di</strong>ss'io. "Io vi curerò e vedrete che frapoco riprenderete le vostre forze."«"No, non guarirò più; ho troppo sofferto nel deserto esento che mi rimane ben poco da vivere."«Non risposi poiché ero certo anch'io che quel <strong>di</strong>sgraziatonon avrebbe veduto il sole a tramontare.«Il portoghese stette alcuni minuti in silenzio, continuandoa guardare il deserto, poi mi chiese:14


«"Cosa avete pensato <strong>di</strong> me, quando io vi <strong>di</strong>ssi che sareiritornato l'uomo più ricco del mondo?"«"Che andaste a raccogliere qualche colossale ere<strong>di</strong>tà"risposi. "Ma lasciate là i tesori e pensate a riposare."«"Oh! Avrò tutta l'eternità per riposare" mi <strong>di</strong>sse, con unamaro sorriso. "Ascoltatemi, amico: voi siete state sempre cosìbuono con me e mi avete ospitato per due volte sotto la vostratenda; io voglio ora confidarvi un segreto che un giornopotrebbe farvi immensamente ricco."«"Vi ascolto."«"Avete u<strong>di</strong>to a parlare delle <strong>caverne</strong> delle montagne <strong>di</strong>Suliman?"«"Sì" risposi, guardando vivamente il moribondo. "Hou<strong>di</strong>to a raccontare una strana leggenda."«"Non è una leggenda, è verità. Quelle <strong>caverne</strong> esistono econtengono <strong>dei</strong> tesori favolosi, colà rinchiusi da tempiimmemorabili."«Si aprì la camicia e trasse un pezzo <strong>di</strong> stoffa che sembravaa prima vista una foglia <strong>di</strong> tabacco tanto era oscura e su cui siscorgevano delle parole e <strong>dei</strong> segni scritti con un certoinchiostro color rosso mattone.«"Cos'è questo?" chiesi, stupito.«"Un documento prezioso. Potete leggere ciò che vi èscritto?"«"No, sono parole indecifrabili."«"Sono portoghesi."«"Non conosco quella lingua."«"Non importa; vi farete tradurre ciò che vi è scritto suquesto documento. Uno <strong>dei</strong> miei antenati che portava il mionome, José da Sylvestra, nobile portoghese, per ragioni politicheera stato costretto ad emigrare al capo <strong>di</strong> Buona Speranza. Ciòaccadeva, notatelo bene, trecent'anni or sono. Non so in quale15


modo, egli era venuto in possesso d'un papiro antichissimo edera riuscito a decifrarlo dopo lunghi anni <strong>di</strong> pazienti stu<strong>di</strong>. Quelpapiro concerneva i tesori racchiusi nelle <strong>caverne</strong> che si trovanosui fianchi delle montagne <strong>di</strong> Suliman, sulle montagne che voivedete laggiù, all'estremità del deserto, proprio <strong>di</strong> fronte allavostra tenda. Il mio antenato, certo <strong>di</strong> poter giungere alla meta e<strong>di</strong> raccogliere quelle ricchezze, partì a quella voltaaccompagnato da alcuni schiavi, ma la morte lo colse quandogià aveva scoperte le <strong>caverne</strong> e non tornarono che alcuni servi aiquali aveva confidato il documento onde lo rimettessero alla suafamiglia. Quella preziosa carta fu da me rinvenuta dopo tantianni e decisi <strong>di</strong> partire per la conquista <strong>di</strong> quei tesori; però, comevedete, non sono stato più fortunato del mio antenato. Tenetequesto documento e servitevene. Io non potrò farne più alcunuso, poiché la morte si avvicina a gran<strong>di</strong> passi."«Ciò detto ricadde sul suo giaciglio, presso da accessi <strong>di</strong>delirio. Il suo stato peggiorò rapidamente e due ore dopo il<strong>di</strong>sgraziato cessava <strong>di</strong> vivere.«Feci seppellire il suo cadavere, facendolo interrareprofondamente e coprire <strong>di</strong> grossi sassi per impe<strong>di</strong>re aglisciacalli ed alle jene <strong>di</strong> <strong>di</strong>vorarlo e pochi giorni più tar<strong>di</strong>lasciavo il kraal <strong>di</strong> Sitanda, portando con me il preziosodocumento.»– Lo avete ancora? – mi chiese il signor Falcone, che avevaascoltato attentamente quella strana istoria.– Sì – risposi.– L'avete qui? – mi chiese il tenente con vivacità.– Aspettate un momento – <strong>di</strong>ssi. – Di ritorno a Durban lofeci tradurre da un vecchio portoghese che stava per imbarcarsiper l'Europa non volendo che la notizia si <strong>di</strong>vulgasse nel paese eche altri approfittasse per carpirmi i tesori accumulati nelle<strong>caverne</strong> delle montagne <strong>di</strong> Suliman. L'originale del documento è16


a casa mia, rinchiuso in una cassetta, però ho con me una copia.– Avreste <strong>di</strong>fficoltà a mostrarcela? – mi chiese il genovese.– Nessuna, signore. Eccola!...Trassi dal mio portafoglio la copia del documentolasciatomi dal povero portoghese e lo mostrai ai due amici,facendo notare loro quanto vi era scritto sotto.– <strong>Le</strong>ggete – mi <strong>di</strong>sse il signor Falcone.– Ecco quanto è scritto:«Io, José da Sylvestra, che sto per morire <strong>di</strong> fame nellapiccola caverna ove non vi è che della neve, al nord della vettasituata fra le due gran<strong>di</strong> montagne chiamate <strong>di</strong> Sheba, scrivoquesto documento nell'anno 1590, col mezzo d'un ossoappuntito, adoperando un pezzo della mia veste non possedendoalcun brano <strong>di</strong> cartapecora e servendomi del mio sangue perinchiostro.«Se i miei schiavi troveranno questo scritto lo portino almio amico... (qui il nome era illeggibile).«Che il mio amico faccia conoscere al re questodocumento, onde possa mandare <strong>dei</strong> soldati a conquistare le<strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> tesori. Se la spe<strong>di</strong>zione potrà attraversare il deserto evincere le tribù valorose <strong>dei</strong> koukouana e le loro arti <strong>di</strong>aboliche,il re <strong>di</strong>verrà il più ricco <strong>di</strong> tutti i monarchi dell'Europa.«Affermo <strong>di</strong> aver veduto coi miei propri occhi i <strong>di</strong>amantiammonticchiati nella caverna situata <strong>di</strong>etro a quella chiamatadella Morte bianca e da me in<strong>di</strong>cata sul <strong>di</strong>segno.«Senza il tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> una strega chiamata Gagoul che miaveva seguìto, io sarei <strong>di</strong>ventato immensamente ricco, mentre fugran ventura se potei uscire ancora vivo dalla caverna <strong>dei</strong> tesori.«Coloro che vorranno venire qui, seguano la via tracciatasu questo documento, attraversino le nevi della montagna che sierge a sinistra, finché troveranno una grande via aperta fra levallate e che sembra opera <strong>di</strong> romani o <strong>di</strong> egizi; giunti sul17


capezzolo della costa settentrionale, troveranno le <strong>caverne</strong>.«La residenza reale <strong>dei</strong> koukouana si trova a tre giornate <strong>di</strong>marcia dalle montagne.«Che il re mi ven<strong>di</strong>chi dal tra<strong>di</strong>mento della Gagoul.«Pregate per la mia anima!... Ad<strong>di</strong>o!...»Allorquando ebbi terminata la lettura del documento, unprofondo silenzio regnò nella cabina. Il genovese ed il tenenteGood parevano entrambi immersi in profon<strong>di</strong> pensieri o che miascoltassero ancora.Finalmente il tenente <strong>di</strong> marina ruppe quel silenzio.– Io ho viaggiato assai il mondo, – <strong>di</strong>sse, – ho u<strong>di</strong>te tanteleggende e tante istorie, ma mai una così incre<strong>di</strong>bile.– L'istoria <strong>di</strong> quel portoghese morto trecent'anni or sono, èinfatti assai strana – aggiunse il genovese. – Io spero, signorAllan, che voi non ci racconterete delle frottole. Vi sono <strong>dei</strong>viaggiatori che si <strong>di</strong>vertono a spacciarle grosse.– Signore – risposi io un po' risentito e riprendendo il miodocumento. – Io non sono abituato a raccontare delle cose nonveritiere; d'altronde io non v'obbligo a credere a quanto aveteu<strong>di</strong>to e veduto.Così <strong>di</strong>cendo mi alzai per andarmene, ma il genovese mitrattenne, mettendomi famigliarmente una mano su una spalla.– Via, signor Quatremain – mi <strong>di</strong>sse, sorridendo. – Io vidomando perdono se sono stato un po' troppo franco; peròammetterete che simile istoria sembra incre<strong>di</strong>bile. Se io l'avessiraccontata a voi, mi avreste senz'altro creduto? Io lo dubito.– Forse avete ragione – risposi io, rabbonito da quellafranchezza. – Se avete però dubbi sull'autenticità <strong>di</strong> questa carta,appena giunti a Durban vi farò vedere l'originale lasciatomi dalportoghese. Quanto v'ho narrato, ve lo giuro, è scrupolosamenteesatto. D'altronde vi è un altro che ha saputo qualche cosa <strong>di</strong>questa istoria e che è già partito per cercare <strong>di</strong> scoprire le famose18


<strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> tesori.– E chi?...– Vostro fratello.– Mio fratello?... Siete certo <strong>di</strong> questo?– Ascoltatemi: come vi <strong>di</strong>ssi, il signor Neville aveva con séun cafro meticcio chiamato Jim, un garzone assai intelligente emolto bravo.«Il giorno stesso in cui vostro fratello si preparava a partire,il cafro mi venne a salutare, <strong>di</strong>cendomi:«"Prima che intrapren<strong>di</strong>amo il grande viaggio, vorrestedarmi un po' <strong>di</strong> tabacco baas? (padrone)".«"Dove andate adunque?" gli chiesi. "Forse a cacciare glielefanti?"«"No, baas, noi an<strong>di</strong>amo a cercare qualche cosa <strong>di</strong>meglio."«"Andate a scoprire qualche miniera d'oro?"«"Oh! Qualche cosa <strong>di</strong> più prezioso ancora" mi rispose.«Io ero curioso <strong>di</strong> sapere cosa sarebbe andato a cercare ilsignor Neville, ma la mia <strong>di</strong>gnità non mi permetteva <strong>di</strong>mostrarmi eccessivamente seccante e rimasi silenzioso.«"baas" riprese il meticcio, dopo qualche esitazione.«Io finsi <strong>di</strong> non u<strong>di</strong>rlo e <strong>di</strong> essere assorto a contemplare imiei buoi.«"baas" ripeté il meticcio.«"Ebbene, cosa vuoi ancora?" gli chiesi.«"baas, noi an<strong>di</strong>amo a cercare <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti."«"Dei <strong>di</strong>amanti!" esclamai. "Ma mio ragazzo voi andate inun luogo ove non ne troverete. I campi <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti, i <strong>di</strong>gging sitrovano dalla parte opposta alla via che state per prendere."«"Noi non an<strong>di</strong>amo ai campi, baas. Non avete mai u<strong>di</strong>to aparlare delle montagne <strong>di</strong> Suliman?"«"Certo" risposi.19


«"Avete mai u<strong>di</strong>to a raccontare <strong>di</strong> certe <strong>caverne</strong> che sitrovano lassù?"«"Sì, ho u<strong>di</strong>to quella leggenda."«"Non è una leggenda, padrone. Io ho conosciuto unadonna venuta da quei paesi assieme ad un fanciullo ed ella mi haraccontato che su quelle montagne vi sono delle <strong>caverne</strong> ripiene<strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti."«Io avevo compreso perfino troppo quale era lo scopo delloro viaggio e siccome temevo che mi derubassero <strong>dei</strong> tesori cheun giorno o l'altro volevo scoprire io, tentai <strong>di</strong> spaventarlo<strong>di</strong>cendogli che avrebbero lasciata la vita nel deserto e senzatrovare un solo <strong>di</strong>amante.«"Può darsi che noi non ritorniamo più mai," mi rispose,"ma il mio padrone è convinto dell'esistenza <strong>di</strong> quei tesori e nonin<strong>di</strong>etreggerà <strong>di</strong>nanzi a qualsiasi pericolo; d'altronde si è tuttidestinati a morire e ciò avvenga prima o dopo, è tutt'uno.Andremo adunque a vedere se si potrà raccogliere qualche cosain quei paesi."«"Saranno gli avvoltoi che raccoglieranno le vostrecarcasse per spolparle" gli <strong>di</strong>ssi.«"Voi potrete avere ragione, però noi partiremoegualmente."«Un'ora più tar<strong>di</strong> il signor Neville si metteva in viaggio,dopo d'aver venduto i suoi buoi ed i suoi carriaggi ad unolandese. Prima che si inoltrasse nel deserto, vi<strong>di</strong> Jim ritornareverso <strong>di</strong> me.«"Ad<strong>di</strong>o, baas" mi <strong>di</strong>sse. "Io non potevo andarmene senzasalutarvi un'ultima volta, essendovi molte probabilità che iolasci le ossa nel deserto."«"Ma mi hai raccontato la verità, Jim?" gli chiesi.«"Sì, noi an<strong>di</strong>amo verso le montagne <strong>di</strong> Suliman. Il miopadrone vuol cercare fortuna ed andremo ad esplorare quei paesi20


per scoprire i <strong>di</strong>amanti."«"Ebbene," <strong>di</strong>ss'io, "atten<strong>di</strong>mi un istante. Giacché sietedecisi a recarvi nel paese <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti, io ti darò un biglietto chevi potrà essere molto utile, ma non lo consegnerai al tuo padronese non quando sarete giunti a Inyati, ossia a centocinquantachilometri da qui."«Rientrai nella mia tenda e su <strong>di</strong> un pezzo <strong>di</strong> carta scrissi leseguenti parole che ancora ricordo perfettamente:«"Se voi vi avventurerete fra le nevi del Suliman,ricordatevi <strong>di</strong> salire sempre a destra della montagna Sheba e <strong>di</strong>procedere finché troverete una grande via. Sarà questa che vicondurrà nel paese <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti".«"Pren<strong>di</strong>" <strong>di</strong>ssi al meticcio, porgendogli il biglietto. "Turaccomanderai al tuo padrone <strong>di</strong> seguire esattamente le mieistruzioni, però ricordati <strong>di</strong> non informarlo se non quando saretegiunti a Inyati. Se tu lo facessi prima egli ritornerebbe perinterrogarmi ed io non voglio spiegarmi <strong>di</strong> più. Il segreto è mioe lo serberò."«Ecco, signor Falcone, quanto io so <strong>di</strong> vostro fratello –conclusi, guardando il genovese. – Come vedete anche il signorNeville aveva u<strong>di</strong>to a parlare delle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.»– Credete che sia morto? – mi chiese egli.– Io non lo so, signore. Potrebbe essere morto <strong>di</strong> sete e <strong>di</strong>stenti nel deserto e potrebbe anche essere vivo ed essersiarrestato nei paesi <strong>dei</strong> koukouana.– Io sono venuto in Africa a cercarlo e non tornerò inEuropa se non l'avrò prima trovato, o non avrò avuto le provedella sua morte.– Ciò vi riguarda, signore – risposi. – Farete quello checrederete più opportuno.– Signor Quatremain, siete pratico <strong>di</strong> quei luoghi? – michiese Good.21


– Un po' sì; non conosco però le montagne <strong>di</strong> Suliman. <strong>Le</strong>ho vedute da lontano, profilarsi ad <strong>di</strong> là del deserto, durante ilmio soggiorno al kraal <strong>di</strong> Sitanda.– Sono molto lontane?– Almeno duecento chilometri dal kraal.– Non è molta cosa – <strong>di</strong>sse il genovese.– Eh! Ma mio caro signore, sono duecento chilometri <strong>di</strong>deserto, duecento chilometri <strong>di</strong> sabbie ardenti prive dellaminima goccia d'acqua. Che io sappia, dopo il portogheseSylvestra, nessun uomo è riuscito ad attraversarli, almeno locredo.– Lo tenteremo noi, signor Allan – mi <strong>di</strong>sse il signorFalcone con tono risoluto.– Voi!... – esclamai, stupito.– Vi <strong>di</strong>ssi che io sono deciso a raggiungere mio fratello.Signor Quatremain, vi spaventerebbe questo viaggio, se io vifacessi la proposta <strong>di</strong> unirvi a noi?Io non risposi e mi limitai a guardare l'italiano ed il tenente<strong>di</strong> marina. Io sono sempre stato prudente e non avevo alcunaintenzione, almeno in quel momento, d'impegnarmi in unasimile spe<strong>di</strong>zione, in fondo alla quale si poteva incontrare lamorte.Quando è la morte che viene a cercarci, ci si rassegna, nullapotendo fare per evitarla; ma andarle incontro a sangue freddo,senza utilità personale io l'avrei creduta una pazzia bella ebuona.– Orsù, signor Quatremain – mi <strong>di</strong>sse il signor Falcone. –Cosa avete da rispondermi?– Che io vi ringrazio, signore, e che la vostra confidenza inme mi onora, ma che io sono ormai troppo vecchio perintraprendere una spe<strong>di</strong>zione così azzardata. E poi io ho unfiglio e se io morissi nessuno forse più penserebbe a lui e22


sarebbe costretto ad interrompere i suoi stu<strong>di</strong> favoriti, nonavendo io potuto raccogliere nessuna fortuna da lasciargli inere<strong>di</strong>tà.I due amici si scambiarono uno sguardo <strong>di</strong> delusione.– Signor Allan – mi <strong>di</strong>sse ad un tratto il genovese. – Iosono ricchissimo e sono <strong>di</strong>sposto a spendere qualsiasi sommapur <strong>di</strong> ritrovare mio fratello.«In questo viaggio, i vostri servigi mi sarebbero preziosi;fissate un prezzo, nel limite del ragionevole ed io ve lo verseròsenz'altro, anzi farò <strong>di</strong> più; io m'incaricherò dell'avvenire <strong>di</strong>vostro figlio, nel caso che voi doveste soccombere durante ilviaggio.«Pensate che noi andremo su quelle montagne dove sitrovano le famose <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti. Col documento chepossedete, voi potreste scoprirle e <strong>di</strong>ventare l'uomo più ricco delmondo.«Io nulla voglio <strong>di</strong> quelle ricchezze; se avremo la fortuna <strong>di</strong>trovarle, le <strong>di</strong>viderete fra voi ed il mio amico Good.«Decidetevi, signore: fate le vostre con<strong>di</strong>zioni e guidateciattraverso il grande deserto.»– La vostra è una proposta vantaggiosa, – risposi, – però lìper lì io non posso decidermi. Lasciatemi riflettere e quando noisbarcheremo a Durban vi <strong>di</strong>rò se avrò accettato o no.– Io spero che la vostra risposta sarà favorevole – mirispose il genovese.– Forse – <strong>di</strong>ssi.Vuotai un ultimo bicchiere <strong>di</strong> whisky e mi ritirai. Quellanotte io sognai deserti, animali feroci, <strong>caverne</strong> spaventose,<strong>di</strong>amanti a palate ed il povero Sylvestra morto <strong>di</strong> fame suifianchi nevosi del Suliman.23


LA DECISIONEDal capo <strong>di</strong> Buona Speranza a Durban s'impieganoor<strong>di</strong>nariamente da quattro a cinque giorni, se il tempo simantiene tranquillo, se la nave non è una pessima camminatricee se non si fa uno scalo troppo lungo a East London, località ovesempre ci si ferma per caricare delle partite <strong>di</strong> merci chevengono spe<strong>di</strong>te dall'interno.Essendosi il mare mantenuto calmo, noi non ci fermammoin quella piccola città che poche ore, avendo potuto irimorchiatori condurre facilmente fino alla nostra nave le chiattecariche <strong>di</strong> merci, sicché riprendemmo subito il nostro viaggiolungo le coste della Cafreria, navigando verso Durban.L'offerta fattami dal signor Falcone, non mi era uscita dallatesta, anzi avevo continuato a pensarci sopra, però né io né i dueamici ne avevamo più riparlato.Passavamo tuttavia quasi tutto il giorno in compagnia e ioraccontavo loro le <strong>di</strong>verse avventure <strong>di</strong> caccia toccatemi in tantianni passati negl'immensi territori dell'Africa del Sud.Finalmente una bella sera <strong>di</strong> gennaio, il mese più caldo inquelle parti del continente africano, noi giungevamo sulle coste<strong>di</strong> Natal.Colà le spiagge sono molto più pittoresche <strong>di</strong> quelle dellaCafreria. Parallelamente al mare corrono delle collinette formate<strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> sabbia rossa, ma nelle loro vallette si scorgono<strong>dei</strong> bellissimi boschetti, sotto la cui ombra s'annidano numerosikraal cafri.Avvicinandosi poi a Durban, lo spettacolo è più variato.Molti fiumi precipitano in mare scrosciando e rimbalzando sulle24


occe che scendono a picco, essendo tutta quella costa assaielevata; più innanzi la natura selvaggia sparisce per dar luogo adelle vaste piantagioni <strong>di</strong> canne da zucchero, a giar<strong>di</strong>niaccuratamente coltivati e a delle casette bianche.Il sole stava per tramontare fra un mare <strong>di</strong> luce porporina,quando u<strong>di</strong>mmo il nostromo <strong>di</strong> bordo annunciarci all'orizzonteDurban.Allorquando, dopo terminato il pasto della sera, salimmosul ponte, la luna rischiarava il mare facendo impalli<strong>di</strong>re i fuochi<strong>dei</strong> fari. Il vento che soffiava dalla costa ci portava i profumi <strong>dei</strong>giar<strong>di</strong>ni e le case spiccavano sulla spiaggia, tutte costellate <strong>di</strong>lumi.Era una bella notte come non se ne vedono che nell'Africadel Sud e che invitava alla pace dell'anima.Noi, appoggiati al bordo, contemplavamo in silenzio quellabella scena, quasi con raccoglimento. Ad un tratto il signorFalcone volgendosi verso <strong>di</strong> me, mi chiese a bruciapelo:– Avete voi pensato alle mie proposte, signor Quatremain?– Io spero che voi avrete deciso <strong>di</strong> tenerci compagnia, –soggiunse Good, – e ciò, malgrado tutti i pericoli che può offrirela nostra spe<strong>di</strong>zione.Mi levai <strong>di</strong> bocca la pipa, vuotai la cenere in mare, poidopo un momento <strong>di</strong> riflessione, risposi:– Sì, miei signori, ormai ho preso la mia decisione.– Verrete dunque con noi? – mi chiese il genovese, conansietà.– Verrò con voi.– A quali con<strong>di</strong>zioni?– Eccole: 1° Che i profitti della spe<strong>di</strong>zione, dato il caso chenoi riusciamo a scoprire le <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti, vadano <strong>di</strong>visiin parti eguali, fra me e il signor Good.«2° Io m'impegnerò <strong>di</strong> seguirvi fedelmente durante tutta la25


spe<strong>di</strong>zione, salvo che un accidente non mi arresti, verso uncompenso <strong>di</strong> do<strong>di</strong>cimila lire da versarsi prima della partenza.«3° Che voi v'impegnate, con atto notarile, <strong>di</strong> versareannualmente e per la durata <strong>di</strong> cinque anni, a mio figlio Harry, lasomma <strong>di</strong> cinquemila lire, nel caso che io dovessi perder la vitadurante la spe<strong>di</strong>zione, o rimanere così gravemente ferito <strong>di</strong> nonesser più capace <strong>di</strong> poter guadagnare da vivere.«Queste sono le mie con<strong>di</strong>zioni; se voi le trovare esagerate,<strong>di</strong>temelo francamente; ma io credo che non le troverete tali,considerati i pericoli che dovrò affrontare per una causa nonmia.»– No, signor Quatremain, io le trovo giustissime e se miaveste domandato anche <strong>di</strong> più non avrei mercanteggiato – <strong>di</strong>sseil genovese. – Io desidero talmente aver voi per guida, che visarei stato egualmente obbligato anche se avessi dovutosobbarcarmi ad un sacrificio molto maggiore.– Io sono contento che voi non abbiate trovato soverchie lemie domande; mi preme però giustificare quelle che ho fattoriguardo a mio figlio. Il viaggio che noi stiamo per intraprendereè tutt'altro che facile, anzi vi premetto fin d'ora che noi dovremoaffrontare <strong>dei</strong> gran<strong>di</strong> pericoli e sopportare forse delle gran<strong>di</strong>privazioni. Voi sapete quale fu la triste sorte toccata alportoghese che trecent'anni or sono si avventurò fra le sabbie deldeserto, come voi non ignorate la miseranda fine del suo<strong>di</strong>scendente. Credete voi che noi saremo più fortunati <strong>di</strong>costoro? Io ho i miei dubbi, quin<strong>di</strong> è mio dovere pensareall'avvenire <strong>di</strong> mio figlio che rimarrà forse solo sulla terra.M'arrestai per vedere quale effetto producevano le mieparole sui due amici, ma mi accorsi che entrambi le avevanoascoltate senza batter ciglio.– Credete ora che abbia avuto torto a dettare quellecon<strong>di</strong>zioni?26


– No, signor Quatremain; voi avete avuto perfettamenteragione – mi rispose il genovese. – Noi vedremo più tar<strong>di</strong> se ivostri timori si avvereranno. D'altronde se noi dovremo lasciarela nostra vita nel deserto, avremo fatta qualche buona partita <strong>di</strong>caccia in vostra compagnia.– E ciò sarà stato un bel vantaggio – aggiunse Good. –Siamo uomini amanti delle avventure ed affronteremoserenamente i pericoli senza andare in<strong>di</strong>etro.– Una domanda ancora, signor Quatremain – <strong>di</strong>sse il signorFalcone.– Sono ai vostri or<strong>di</strong>ni, signore.– Credete che noi riusciremo a trovare mio fratello.– Lo spero, se non sarà morto. Comprenderete bene che ilviaggio che ha intrapreso non era esente da pericoli.– Voi avete la certezza che si sia <strong>di</strong>retto verso le montagne<strong>di</strong> Suliman, è vero?– Sì, signore.– Allora noi andremo a cercarlo colà, innanzi tutto. Quandopartiremo?– Appena avremo acquistati i carri e trovati <strong>dei</strong> servi.– Siamo d'accordo – concluse il genovese.L'indomani noi sbarcavamo a Durban ed invitavo il signorFalcone ed il tenente Good ad alloggiare in casa mia.Il mio dominio si componeva <strong>di</strong> una graziosa cassettacircondata da una veranda riparata da stuoie variopinte e d'ungiar<strong>di</strong>no ombreggiato da alcune felci arborescenti e da cinque osei colossali niawna.Essendo stato incaricato <strong>dei</strong> preparativi del viaggio, mimisi alacremente all'opera, tanto più che il signor Falcone,fedele alla promessa fatta, mi aveva già versate le do<strong>di</strong>cimilalire ed assicurata con atto notarile la pensione <strong>di</strong> mio figlio.Acquistai innanzi a tutto uno <strong>di</strong> quei gran<strong>di</strong> carriaggi usati27


dai böers del capo <strong>di</strong> Buona Speranza, carri veramentemonumentali, riparati nella parte posteriore d'una grande tenda,e che offrono molte como<strong>di</strong>tà; quin<strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> buoi zulùsales, i più piccoli della specie, ma anche i migliori ed i piùrobusti.Questi buoi non vanno soggetti alle molteplici malattie checolpiscono i loro congeneri delle regioni africane, avendo primasubìto una specie <strong>di</strong> innesto che li rende invulnerabili allepneumoniti ed allo scolo rosso.Per fare questo innesto si prende un po' <strong>di</strong> polmone d'unanimale morto <strong>di</strong> pneumonite, e il siero che ne cola lo si inoculanella coda del bue che si vuole rendere immune dalle suddettemalattie.L'animale perde la coda, rimane ammalato, ma poi riprendela sua vitalità e non corre più il pericolo <strong>di</strong> subire altri malanni.La questione delle provviste era pure <strong>di</strong> una importanzacapitale, non potendo noi caricarci <strong>di</strong> cose inutili o che i gran<strong>di</strong>calori del deserto potessero guastare; ma fu da me, con un po' <strong>di</strong>pazienza, risolta.Alle provviste aggiungemmo una piccola farmacia daviaggio, provveduta da Good il quale s'intendeva un po' <strong>di</strong>me<strong>di</strong>cina.Rimanevano due cose ancora da ultimare. La scelta dellearmi e <strong>dei</strong> servi.<strong>Le</strong> prime mi furono procurate dal signor Falcone, econsistevano in tre eccellenti fucili a retrocarica, <strong>di</strong> forte calibroe tutti eguali, precauzione utile onde poter adoperare lemedesime cartucce, ed in tre pistole.Un po' <strong>di</strong>fficile fu la scelta <strong>dei</strong> servi non potendosi fidaresempre degl'in<strong>di</strong>geni; ma finalmente riuscii a trovare unottentotto chiamato Venvogel, che mi aveva già accompagnatoaltre volte nelle mie cacce ed un giovane zulù che si chiamava28


Khiva.Erano entrambi onesti, infaticabili e robusti; devo però<strong>di</strong>rvi che l'ottentotto aveva una passione spiccata pei liquori eche quando aveva bevuto un po' troppo, non conosceva più néamici, né padroni.Avremmo avuto bisogno d'un terzo servo, ma non ci fupossibile trovarne un altro che fosse deciso ad intraprendere uncosì lungo e pericoloso viaggio, quin<strong>di</strong> risolvemmo <strong>di</strong> partireegualmente.Però la mattina scelta per la nostra partenza, mentrestavamo facendo colazione, il zulù venne a <strong>di</strong>rci che un giovanenegro desiderava parlarci.– Fatelo entrare – <strong>di</strong>ss'io.Un uomo <strong>di</strong> alta statura, dell'età <strong>di</strong> ventidue o venticinqueanni, dalla pelle assai più chiara degli zulù, con due occhi assaiintelligenti e coi lineamenti molto regolari per essere unin<strong>di</strong>geno, entrò salutandoci molto cortesemente.M'accorsi subito che quel negro doveva occupare presso isuoi compatrioti un posto elevato, poiché portava attorno al capoun <strong>di</strong>adema <strong>di</strong> penne <strong>di</strong> avvoltoio, <strong>di</strong>stintivo delle persone <strong>di</strong>alto rango presso gli zulù, e che aveva i capelli intrecciati, altrosegno <strong>di</strong> alta <strong>di</strong>stinzione.Guardandolo attentamente, mi parve <strong>di</strong> averlo già altrevolte veduto.– Come ti chiami – gli chiesi.– Umbopa – rispose l'africano, con voce robusta.– Se non m'inganno, io ti ho veduto ancora.– Il capo bianco ha veduto il mio volto alla Petite-Main,alla vigilia della battaglia.Io mi ricordai <strong>di</strong> avere effettivamente veduto quel negrodurante la guerra intrapresa dagli inglesi contro gli zulù,allorquando io servivo <strong>di</strong> guida a lord Chelmsford.29


Mentre io ero occupato a ricondurre <strong>dei</strong> carri carichi <strong>di</strong>provviste destinate al corpo operante contro il re Cettivajo, quelnegro mi aveva allora espresso i suoi dubbi sulle precauzioniprese dagli inglesi ed i fatti gli avevano dato pienamenteragione.– Sì, – gli risposi, – ora mi ricordo <strong>di</strong> te. Ma perché seivenuto qui?– Mi hanno detto che tu stai per partire assieme a <strong>dei</strong> capibianchi che sono venuti da paesi assai lontani.– È vero.– Mi hanno pure detto che tu devi condurli nel paese <strong>dei</strong>manicos.– Chi ti ha raccontato tutto questo? – chiesi io,bruscamente.La cosa mi sembrava un po' strana, perché noi nonavevamo parlato con chicchessia dell'itinerario del nostroviaggio.– Che gli uomini bianchi non si offendano – mi <strong>di</strong>sse ilnegro con una <strong>di</strong>gnità tale che mi colpì profondamente. – Io soche vanno lontano ed io mi offro <strong>di</strong> accompagnarli.– A noi non importa molto sapere chi te lo ha detto, maprima <strong>di</strong> prenderti ai nostri servizi vogliamo sapere <strong>di</strong> qualepaese sei ed a quale tribù appartieni.– Io mi chiamo Umbopa, già te lo <strong>di</strong>ssi.«La mia tribù abita molto al nord <strong>di</strong> questi paesi, però sonostato molto tempo presso gli zulù i quali anzi mi hanno adottato.«Ho servito il re Cettivajo come soldato durante la guerracontro gl'inglesi, poi sono venuto qui.«Apprendendo che voi state per recarvi verso ilsettentrione, sono venuto ad offrirvi i miei servigi, desiderandoardentemente <strong>di</strong> tornarmene in patria. Io non vi domanderò néregali né danaro; mi basterà d'essere nutrito e vi assicuro che voi30


CACCIA ALLE ZEBREDue giorni dopo, ultimati i nostri preparativi, lasciavamoDurban seguendo la riva sinistra del Mhomaas, fiume che nasceverso le frontiere del Quathlamba, nel paese <strong>dei</strong> basuto e chescaricasi, dopo un corso non molto lungo, presso Porto Natale.Sarebbe fasti<strong>di</strong>oso narrarvi tutte le avventure del nostroviaggio attraverso la colonia <strong>di</strong> Natal, tanto più che nulla c'eraancora accaduto d'interessante e <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario. Noi dovevamopercorrere più <strong>di</strong> trecento leghe prima <strong>di</strong> giungere alle montagne<strong>di</strong> Suliman e buona parte dovevamo farla <strong>di</strong> certo a pie<strong>di</strong> incausa delle mosche tsè-tsè, insetti che colle loro puntureuccidono i buoi e che nell'interno del Natal sono numerosissimi;si può anzi <strong>di</strong>re che in certi luoghi non si può tenere nemmenoun bue, poiché presto o tar<strong>di</strong> finirebbe <strong>di</strong> soccombere in causaappunto <strong>di</strong> quelle pericolose mosche.La traversata della colonia <strong>di</strong> Natal la conseguimmo senzaincidenti degni <strong>di</strong> nota e così rapidamente, che due mesi doponoi ci trovavamo a Inyati la stazione più avanzata del paese <strong>dei</strong>matabeles. Fu colà che dovemmo rinunciare definitivamente aservirci del nostro carro, perché <strong>di</strong> venti buoi che possedevamoalla partenza, non ce n'erano rimasti che do<strong>di</strong>ci ed anche questitutti in cattivo stato. Quattro erano morti <strong>di</strong> sete, altri tre in causadelle punture delle tsè-tsè ed uno era stato morso da un serpentevelenosissimo chiamato ferro <strong>di</strong> lancia.Lasciammo in dono ai nostri conduttori ed a Khiva il carroe gli animali, e ci avventurammo coraggiosamente nelGriqualand per avvicinarci al deserto. La regione cheattraversammo era splen<strong>di</strong><strong>di</strong>ssima. Qua e là s'alzavano delle32


superbe montagne coperte d'una vegetazione lussureggiante;altrove, <strong>di</strong>nanzi ai nostri occhi, si <strong>di</strong>stendevano immense pianureseminate <strong>di</strong> ubertose piantagioni, oppure coperte da boschi <strong>di</strong>mimose, <strong>di</strong> felci arborescenti e <strong>di</strong> banani sotto i quali sicamminava a stento in causa delle ra<strong>di</strong>ci e delle piante parassiteche corrono da un tronco all'altro, formando delle vere retiintricatissime.La selvaggina abbondava, specialmente là dove non siscorgevano attruppamenti <strong>di</strong> capanne. Di tratto in tratto inmezzo ai cespugli vedevamo apparire improvvisamentenumerose antilopi dal mantello bruno oscuro, chiamatecomunemente caamas, bestie che sembrano fatte tutte a triangolied angoli; oppure vicino ai boschetti, ma ad una rispettabile<strong>di</strong>stanza, noi vedevamo <strong>di</strong>segnarsi il lungo collo <strong>di</strong> qualchegiraffa, guar<strong>di</strong>ana forse <strong>di</strong> qualche mandria <strong>di</strong> cento o duecentozebre, vivendo questi animali, quantunque così <strong>di</strong>versi l'unodall'altro, in una grande intimità.Marciavamo da due giorni attraverso quella regione che<strong>di</strong>ventava sempre più deserta, quando la mattina del terzo, nelmomento in cui riprendevamo le mosse, vi<strong>di</strong> accostarmisiUmbopa con una certa aria misteriosa.– Cosa vuoi? – gli chiesi.– Padrone, vi è una eccellente colazione da guadagnare –mi rispose.– Hai veduto delle antilopi?– No, padrone, ho scoperto un branco <strong>di</strong> zebre.– Dove si trova?– Sta pascolando in quel bosco che ve<strong>di</strong> estendersi laggiù.– Non c'è alcuna giraffa che la guar<strong>di</strong>?– Nessuna, ed è appunto per questo che sono venuto adavvertirti: se tu vieni, noi sorprenderemo quegli animali e neuccideremo più <strong>di</strong> qualcuno.33


Avvertii i miei amici delle probabilità che si offrivano <strong>di</strong>guadagnare una squisita colazione e ci mettemmo tosto inmarcia seguìti da Venvogel e preceduti da Umbopa.Lasciato a sinistra un corso d'acqua, ci <strong>di</strong>rigemmo verso ilboschetto in<strong>di</strong>cato dal negro, ma giunti colà ci accorgemmo chein quel frattempo le zebre s'erano allontanate, <strong>di</strong>rigendosi versoalcune colline selvose che si elevavano a mezzo miglio <strong>di</strong><strong>di</strong>stanza.– Inseguiamole – <strong>di</strong>sse risolutamente il signor Falcone.– Sì, – risposi io, – poiché oltre le zebre mi pare <strong>di</strong> scorgerelassù anche altri animali.– Benissimo! – esclamò Good. – Faremo una splen<strong>di</strong>dacaccia.– Vi avverto però <strong>di</strong> essere prudenti e <strong>di</strong> tenervi sempresottovento, altrimenti la selvaggina fuggirà e resterete a boccaasciutta.Avanzandoci con precauzione e tenendoci soprattuttonascosti <strong>di</strong>etro i folti cespugli, dopo una mezz'ora riuscimmo atoccare la cima <strong>di</strong> una <strong>di</strong> quelle colline.Nulla potrebbe riprodurre l'imponente spettacolo <strong>di</strong>quell'Eden selvaggio. In mezzo ai ver<strong>di</strong> tappeti <strong>di</strong> erbafoltissima che si stendevano da lungi a pieghe vellutate, dove siagitavano zebre, giraffe e bufali, <strong>dei</strong> ruscelletti serpeggiavanoattraverso quelle alte erbe, conservandone la frescura e lafertilità; poi, come decorazione, succedevano boschi foltissimi,dove nessun bianco era fino allora <strong>di</strong> certo penetrato. <strong>Le</strong> antilopici guardavano per un istante con curiosità e sparivano sulle loroagili gambe; e <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là, un grosso serpente nero si rizzavanel mezzo del sentiero con grande terrore <strong>dei</strong> nostri negri, checamminavano a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>.Ma la selvaggina africana si spaventa tosto; è <strong>di</strong>fficilissimol'avvicinarla, e chi credesse <strong>di</strong> poter fare senza gran<strong>di</strong> fatiche34


delle belle cacce in quelle regioni, non tarderebbe ad esserecrudelmente <strong>di</strong>singannato. È quasi strisciando che si è costrettiad avanzarsi, e l'animale si tiene sempre ad una <strong>di</strong>stanza cosìrispettabile che bisogna avere un eccellente fucile ed esseredotato d'un colpo d'occhio sicuro per poter arrestarlo con unapalla.Onde aumentare le probabilità, ci <strong>di</strong>videmmo: il genovese eGood appoggiarono sulla destra ed io seguii press'a poco la lineanella quale erano impegnati, avendo stabilito <strong>di</strong> trovarci a pie<strong>di</strong>del monte Pagari.– Non vi scostate troppo – <strong>di</strong>sse Umbopa, che era rimastopresso <strong>di</strong> me. – Questo paese è pericoloso, infestato da briganti eda predoni, che sono il terrore <strong>dei</strong> villaggi vicini.Ma io non pensavo né ai malfattori, né ai selvaggi, né allostesso negro; mi sembrava <strong>di</strong> essere ad una caccia reale, inqualche parco incantato, tanto era ricco, bello, brillante quelpanorama. Percorsi tutti i boschi vicini e ad ogni piega <strong>di</strong>terreno, vedevo muoversi, fra le ondulazioni <strong>di</strong> velluto verde,delle truppe <strong>di</strong> animali che fuggivano; mi avanzavo senzarumore, spesso strisciando per lunghi tratti, onde poteraccostarmi ad una <strong>di</strong> quelle grosse bestie che formavano il miodesiderio.Quale paesaggio stupendo! Non un villaggio, non un essereumano, nessun rumore, nessun vestigio <strong>di</strong> sentiero; eral'incognito immenso, come un angolo del para<strong>di</strong>so terrestre.Essendosi fatto u<strong>di</strong>re sulla mia destra il segnale delgenovese e <strong>di</strong> Good mi vi recai; sull'orlo del bosco trovai gliamici.– Bisognerà che i due nostri uomini girino quella grossatruppa <strong>di</strong> zebre – mi <strong>di</strong>sse il genovese. – Intanto rechiamocilaggiù.Attorno ad un laghetto quasi asciutto che egli in<strong>di</strong>cava,35


numerose tracce fresche provavano che la selvaggina faceva <strong>di</strong>quel luogo il suo soggiorno favorito.Girando la foresta, Umbopa si appressava verso l'estremitàdella pianura, sulla quale spiccavano <strong>dei</strong> punti neri, formati datruppe d'animali che vi stavano scherzando; io, il genovese eGood ci rimboscammo, col fucile pronto; senza pronunciareparola, e quasi per un'ora aspettammo l'effetto che l'avvicinarsi<strong>dei</strong> nostri negri doveva produrre sugli animali.<strong>Le</strong> nostre previsioni furono esatte. Una giraffa, guar<strong>di</strong>ana<strong>di</strong> una splen<strong>di</strong>da truppa <strong>di</strong> zebre, fiutò per la prima il pericoloche minacciava le compagne, e scorgendo i nostri negri sull'orlodella foresta se ne venne a piccolo trotto verso l'estremitàorientale, dove noi ci trovavamo.Io ero già troppo pratico delle cacce d'Africa per lasciarmisorprendere dall'illusione <strong>di</strong> ottica; e malgrado la tentazione chemi faceva battere il cuore, non tirai subito.E ben fu; giacché la selvaggina rimase molto fuori <strong>di</strong>portata, sebbene ci fosse sembrata tanto vicina.Credendo scomparso ogni pericolo, la truppa caracollòallegramente attorno al laghetto. L'effetto era magnifico; simili acorsieri selvaggi, colla criniera al vento, colle narici sbuffanti,quelle belle zebre facevano ondeggiare la loro groppa graziosa,e colle sottili zampe balzavano fra le erbe scherzando fra lorocome scolari in ricreazione; più lungi la giraffa sembravainquieta e, ferma vicina ad un albero, masticava delle foglie.Con un ginocchio a terra, col fucile puntato, trattenendo ilrespiro, prendemmo la mira, poi rimbombarono tre detonazioni.Spaventata, la banda guadagnò il largo, salutata da altri trecolpi; vedemmo allora una delle zebre arrestarsi, appoggiarsicontro un albero del boschetto vicino, poscia precipitare alsuolo.Accorremmo subito, temendo che si risollevasse e36


iprendesse la corsa; una palla le aveva attraversato il fianco, manon era bastata ad atterrarla; ciò erasi ottenuto con uno <strong>dei</strong> nostrisecon<strong>di</strong> colpi.Era <strong>di</strong> una grossezza pari a quella d'un mulo: il mantelloera bianco, attraversato sulla schiena, sulla groppa e sulle gambeda righe nere parallele: e questi due colori spiccavanonettamente l'uno dall'altro senza alcuna gradazione interme<strong>di</strong>a.Quando i nostri negri ci ebbero raggiunti, Umbopa ci feceosservare che avevamo avuto torto <strong>di</strong> uscire dal nascon<strong>di</strong>glio.– Se non vi foste mostrati, – egli ci <strong>di</strong>sse, – la mandrasarebbe certamente tornata verso il moribondo, l'avrebbecircondato e cercato <strong>di</strong> capire perché restava in<strong>di</strong>etro, e grazie aquesto andare e venire avreste potuto uccidere parecchie zebre;la sola giraffa però non sarebbe riapparsa.Alcune ore dopo, un bel pezzo <strong>di</strong> zebra arrostiva su un granfuoco, sotto la nostra personale sorveglianza: dopo <strong>di</strong> checominciò il pasto che fu <strong>dei</strong> più allegri; aggiungo che eraeccellente, anche non tenendo calcolo della fame che ognigiorno ci pre<strong>di</strong>sponeva all'indulgenza, e l'arrosto fu tutto<strong>di</strong>vorato ed innaffiato con vino <strong>di</strong> palma. Questo banchettorimase scolpito nei nostri ricor<strong>di</strong> come uno <strong>dei</strong> migliori cheabbiamo fatto durante il nostro viaggio periglioso.Good soprattutto era entusiasmato <strong>di</strong> quella prima partita <strong>di</strong>caccia così ben riuscita, e non cessava <strong>di</strong> tempestarmi <strong>di</strong>domande sul modo migliore d'avvicinarsi agli animali, e suglistratagemmi in uso per riuscire più facilmente ad abbatterli.– Spero però, – mi chiese ad un tratto, – che voi ci fareteuccidere anche qualche elefante. Si <strong>di</strong>ce che la caccia <strong>di</strong> queicolossi sia assai emozionante.– Non solo emozionante, ma anche pericolosissima –risposi io. – Non si affrontano quei giganti senza provare unvero senso <strong>di</strong> paura.37


– Ho u<strong>di</strong>to a raccontare che or<strong>di</strong>nariamente quei colossifuggono <strong>di</strong>nanzi all'uomo.– Ciò è vero, se però li ferite allora <strong>di</strong>menticano ogniprudenza ed assalgono il cacciatore con rabbia estrema, senzabadare ai colpi <strong>di</strong> fucile. Io ho veduto una volta un mio amico,un vero cacciatore, bravo, ar<strong>di</strong>to, dal colpo infallibile, perderemiseramente la vita, stritolato dalla proboscide d'un animale cheaveva solamente ferito.– Raccontate, Allan! <strong>Le</strong> avventure <strong>di</strong> caccia m'interessanoal sommo grado.– Sì, narrate – aggiunse il signor Falcone. – Intanto ilcalore scemerà un po'. Sono appena le un<strong>di</strong>ci e prima dellequattro pomeri<strong>di</strong>ane noi non ci rimetteremo in marcia, nonvolendo espormi al pericolo <strong>di</strong> prendermi un colpo <strong>di</strong> sole.– Non vi annoierete? – chiesi io.– Oh! Voi sapete che noi ascoltiamo sempre volentieri levostre avventure <strong>di</strong> caccia.– Allora u<strong>di</strong>temi.Accesi la mia pipa, mi accomodai meglio che potei ondeessere riparato completamente dall'ombra d'una immensa acaciae presi la parola, mentre Umbopa e Venvogel vegliavano sullasicurezza comune.– Sono trascorsi circa sette anni, – <strong>di</strong>ss'io, – ma mi ricordocome se quella triste partita <strong>di</strong> caccia fosse avvenuta ieri.«Mi trovavo in quell'epoca presso le frontiere del territoriod'Orange e precisamente nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Dorp, avendo dovutoguidare colà alcuni negozianti portoghesi che intendevanoannodare relazioni commerciali coi busato e coi böers <strong>di</strong>Bloemfontein.«Un mattino venne a trovarmi uno <strong>di</strong> quei portoghesi, miocaro amico, certo Robledo, per propormi <strong>di</strong> cacciare gli elefanti.La sera innanzi alcuni negri avevano veduta una banda <strong>di</strong> quei38


colossi <strong>di</strong>rigersi verso il fiume Caledon ed avevano avvertito gliuomini bianchi, colla speranza che ne uccidessero qualcuno eregalassero a loro quella enorme montagna <strong>di</strong> carne.«Accettai <strong>di</strong> buon grado la proposta, essendo sempre statoun cacciatore assai appassionato anch'io e partimmo incompagnia <strong>di</strong> altri due portoghesi e <strong>di</strong> tre negri, ai quali eranostati affidati otto cani robusti ed addestrati alla caccia <strong>di</strong> grossianimali.«Giunti al principio della foresta, ci mettemmo carponi e<strong>di</strong>n così faticosa posizione facemmo più <strong>di</strong> cento passi; ben prestoperò cominciarono le <strong>di</strong>fficoltà, essendo succeduti ai grossialberi <strong>dei</strong> fitti cespugli assai bassi.«Fummo costretti a metterci col ventre a terra e adavanzarci, strisciando come i serpenti, gli uni <strong>di</strong>etro gli altri pernon smarrirci.«Tratto tratto ci fermavamo per riprendere lena e persbarazzare le nostre mani dalle spine. Dopo mezz'ora <strong>di</strong> cosìpenoso esercizio, scoprimmo una truppa <strong>di</strong> elefanti. Eracomposta d'un vecchio maschio e <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> femmine,tutti <strong>di</strong> statura gigantesca.«Ci eravamo arrestati: il sudore colava dalle nostre frontied il cuore ci batteva con violenza.«"Adagio e non abbiate fretta a sparare," <strong>di</strong>ss'io aiportoghesi, "specialmente voi, Robledo, non lasciatevitrasportare troppo dall'ardore della caccia o vi lascerete la vita."«"Non temete" mi rispose.«Gli elefanti sembravano tranquilli; solamente il vecchiomaschio aveva alzata due o tre volte la proboscide, dandoqualche segno d'inquietu<strong>di</strong>ne. A poco a poco però parve che lesue <strong>di</strong>ffidenze si <strong>di</strong>leguassero e riprese la sua occupazione, laquale consisteva nel rovesciare un grosso albero per mangiarnepoi le foglie, essendo quel vegetale troppo alto.39


«Noi ne approfittammo per guadagnare ancora unaquin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> passi.«Alcuni elefanti, udendo forse a muoversi le fronde, sierano voltati dalla nostra parte, agitando le loro probosci<strong>di</strong>.«"Ci siamo," <strong>di</strong>ss'io a bassa voce, volgendomi verso iportoghesi, "riprendete lena e non tirate che ad un mio segno."«Senza questa precauzione, la stanchezza del nostro corpoe il tremito delle nostre braccia e delle mani avrebbe nociuto allaprecisione del nostro tiro.«Un minuto dopo, che dovette sembrar lungo quanto unsecolo ai miei compagni, balzai in pie<strong>di</strong>, gridando:«"Fuoco!"«In un baleno tutti i portoghesi si rizzarono, salutando glielefanti con una scarica generale.«Io avevo mirato il vecchio maschio e lo aveva colpito inmezzo alla fronte. Il colosso parve dapprima molto sorpreso daquell'inaspettato saluto, poi scosse le sue larghe orecchie e<strong>di</strong>menando la sua grossa testa mandò fuori un suono che parevaquello d'una grossa canna d'organo, quin<strong>di</strong> si precipitòall'impazzata verso <strong>di</strong> noi, seguìto da tutta la banda.«Quando l'elefante è in moto, aizzato dalla collera o daqualche ferita, corre assai velocemente, rovesciando tutto ciòche gli si para <strong>di</strong>nanzi.«Trovandomi io, più degli altri, in una posizione moltoarrischiata, mi affrettai a rifugiarmi nel bosco. Un altrocacciatore colpì in quel momento il colosso con una nuova palla,arrestandolo per qualche istante. Io ne approfittai per ricaricarel'arma, ma non cessai dal fuggire, descrivendo delle curve perinceppare la marcia del pachiderma.«Mentre ciò succedeva, gli altri cacciatori, dopo <strong>di</strong> avertentato, ma invano, <strong>di</strong> abbattere una femmina gigantesca, sierano <strong>di</strong>spersi pel bosco, sicché io ormai non poteva contare che40


sulla mia audacia e sulle mie gambe.«L'inferocito elefante avendomi scorto non si stancava <strong>di</strong>perseguitarmi, fortunatamente io conservavo il mio sanguefreddo ed anche la mira giusta. Già tre altre volte aveva colpitol'indemoniato animale, quando nell'approntare – semprecorrendo – la quinta carica, inciampai nella ra<strong>di</strong>ce d'un alberosporgente dal terreno e stramazzai al suolo con violenza.L'elefante, che <strong>di</strong>stava da me soli <strong>di</strong>eci passi, non poté trattenerela sua corsa, e mi sorpassò, però ben presto lo vi<strong>di</strong> tornare verso<strong>di</strong> me colla proboscide rialzata, pronta ad uccidermi.«Già mi credevo irremissibilmente perduto, quando da unamacchia vicina vi<strong>di</strong> uscire il portoghese Robledo seguìto daparecchi cani.«"Prendete Allan" mi gridò, porgendomi un'altra carabina.«"Grazie" risposi, afferrandola. "Ed ora fuggite, perchéquesto elefante ha il <strong>di</strong>avolo indosso."«Non aveva ancora finito <strong>di</strong> parlare che i cani sislanciarono addosso all'enorme animale, il quale per il momentoconcentrò tutta la sua attenzione sui nuovi avversari.«"In nome del cielo, Robledo, fuggite!" gridai. "Se io noncolpisco giusto esso ci piomberà addosso."«"Ebbene, noi sosterremo l'assalto" mi <strong>di</strong>sse quel valoroso.«L'elefante, furioso per non poter liberarsi dai cani, pensò<strong>di</strong> rivolgersi contro <strong>di</strong> noi.«Io lo attendevo con sufficiente calma e solo aspettavo chemi si presentasse in posizione favorevole per colpirlo. Quandolo vi<strong>di</strong> a solo trenta passi, io e Robledo facemmocontemporaneamente fuoco, ma contrariamente alle nostresperanze il colosso, quantunque nuovamente ferito, rimase inpie<strong>di</strong>. Sebbene inondato <strong>di</strong> sangue, ci si avventò contro collaproboscide rialzata, mandando un barrito strepitoso.«"Fuggite" gridai a Robledo.41


«Avendo veduto presso <strong>di</strong> me un grossissimo baobab, miaffrettai a rifugiarmi <strong>di</strong>etro il tronco. Al povero portogheseinvece mancò il tempo e tutto d'un tratto lo vi<strong>di</strong> <strong>di</strong>menarsi<strong>di</strong>speratamente a venti pie<strong>di</strong> dal suolo. L'elefante lo avevaafferrato colla proboscide e lo scuoteva come fosse unasemplice piuma, frantumandogli contemporaneamente le costolecon una stretta irresistibile.«"Aiuto!" ebbe appena il tempo <strong>di</strong> gridare il misero.«Io, <strong>di</strong>sperato, spaventato, avevo abbandonato il miorifugio, correndo addosso al pachidermo. Puntai il fucile e glieloscaricai contro quasi a bruciapelo, colpendolo in prossimitàdell'occhio destro.«Il colosso, colpito questa volta a morte, barcollò da destraa sinistra, poi vomitò un torrente d'acqua sanguigna. La suaultima ora era scoccata, pure voleva morire con <strong>di</strong>gnità. Senzaabbandonare il povero portoghese già ridotto ad un ammasso <strong>di</strong>carne sanguinolenta, s'appoggiò ad un grosso albero e per unmomento sembrò che non respirasse più. Finalmente si inchinòsul davanti e mentre delle grosse lagrime gli cadevano sullapelle rugosa, mandò un ultimo grido che parve un violentosospiro, quin<strong>di</strong> stramazzò al suolo rovesciando nella cadutal'albero a cui si era appoggiato.«Mi affrettai ad accorrere in aiuto del portoghese, ma,come potete immaginarvi, il <strong>di</strong>sgraziato era già morto.»– Così terribili sono adunque gli elefanti? – mi chieseGood, che aveva ascoltato con viva attenzione la mia istoria.– Vi auguro <strong>di</strong> non trovarvi <strong>di</strong>nanzi a quelle bestie quandosono inferocite – risposi.– Una palla sola non basta quin<strong>di</strong> ad ucciderli? – mi chieseil genovese.– Sì, ma ci vorrebbe una palla esplodente.– E una delle nostre non basterebbe?42


– Colpendo l'elefante alla giuntura delle spalle si potrebbeferirlo gravemente e causargli, dopo qualche tempo, la morte.– Cosa ne <strong>di</strong>te amico Good, voi che siete venuto in Africacoll'intenzione <strong>di</strong> fare un massacro <strong>di</strong> elefanti? – chiese il signorFalcone, sorridendo.– Penso che con noi abbiamo un famoso cacciatore, e ches'incaricherà lui <strong>di</strong> farci assaggiare un pezzo <strong>di</strong> proboscide o <strong>di</strong>zampa.– Se si presenta l'occasione non mancherò <strong>di</strong> accontentarvi,signor Good – risposi.– Spero che ne troveremo <strong>di</strong> quei colossi.– Oh! Certo!– Allora conto sulla vostra promessa.43


UN MASSACRO MOSTRUOSODopo aver riposato l'intera giornata – riposo benguadagnato d'altronde, dopo tanti giorni <strong>di</strong> marcia quasicontinua – l'indomani riprendemmo le mosse per attraversare ilpaese <strong>dei</strong> bechuana, il quale si estende dalle rive del Limpopo,un grosso affluente dell'Orange, al principio del deserto. Perquin<strong>di</strong>ci giorni noi marciammo non senza una certa apprensione,allontanandoci sempre più dai paesi civili, attraversando <strong>di</strong>frequente delle grosse borgate <strong>di</strong> negri, poi ci ritrovammoancora in paese selvaggio e ricco <strong>di</strong> selvaggina.Umbopa ci aveva sempre guidati: quel negro conosceva leregioni che noi attraversavamo e non s'ingannava mai sullabuona <strong>di</strong>rezione, senza aver bisogno <strong>di</strong> bussola.Era davvero un prezioso compagno infaticabile, sempre <strong>di</strong>buon umore e soprattutto d'un talento e d'una bravurasorprendente. Si riconosceva sempre più in lui l'uomo <strong>di</strong> razzasuperiore, non un negro comune.Ormai noi eravamo convinti che egli nel suo paese natìoavesse avuta una posizione elevatissima, ma mai aveva voluto<strong>di</strong>rci qualche cosa in proposito. Solamente una volta si eralasciato sfuggire una confessione e cioè che suo padre era statoun gran capo d'una nazione potente e numerosa.Il se<strong>di</strong>cesimo giorno, stanchi, affamati, arrostiti da quelsole implacabile, ci eravamo accampati presso le rive d'un corsod'acqua onde riposarci ventiquattro ore <strong>di</strong> fila, quando in mezzoad un bosco che si estendeva sulla nostra destra, inoltrandosi inmezzo ad una serie <strong>di</strong> colline, u<strong>di</strong>mmo echeggiareimprovvisamente delle urle acute, accompagnate da certi colpi44


sor<strong>di</strong>, che parevano prodotti da uno <strong>di</strong> quegli enormi tamburi <strong>di</strong>legno, coperti <strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> cuagga, usati dai cafri e dai bechuana.Non sapendo <strong>di</strong> che cosa si trattasse e trovandoci noi inpaese selvaggio, abitato da tribù <strong>di</strong> negri bellicosi, ciaffrettammo a balzare in pie<strong>di</strong> ed a preparare le armi.– Vi è <strong>di</strong> certo qualche villaggio in mezzo a quella foresta –<strong>di</strong>sse il signor Falcone.– Lo credo anch'io – risposi.– Che gli abitanti festeggino qualche lieto avvenimento?– No – <strong>di</strong>sse in quell'istante Umbopa, dopo d'aver ascoltatocon grande attenzione le urla che echeggiavano sotto il bosco. –Quei negri sono in caccia.Good si mise a ridere fragorosamente, udendo quellarisposta.– Se quei negri urlano in questo modo, faranno fuggire laselvaggina, invece <strong>di</strong> attrarla sotto il tiro delle frecce e dellezagaglie.– Fanno la grande battuta dell'hopo – ripose il negro. –Umbopa ha veduto e preso parte alla grande caccia nel paesedegli zulù.– Io credo che tu abbia ragione – <strong>di</strong>ss'io.Poi mi volsi verso Good ed il genovese, aggiungendo:– Signori miei, se lo desiderate, vi farò assistere ad unacaccia che terminerà in un massacro spaventevole <strong>di</strong> struzzi, <strong>di</strong>antilopi, <strong>di</strong> gnù, <strong>di</strong> zebre, <strong>di</strong> giraffe, <strong>di</strong> cuagga, <strong>di</strong> bufali e <strong>di</strong>jene. Volete vedere la grande battuta <strong>dei</strong> negri?– Non chie<strong>di</strong>amo che <strong>di</strong> essere condotti sul luogo – mirispose il genovese. – Noi siamo venuti in Africa non solo percercare mio fratello, ma per prendere anche parte alle gran<strong>di</strong>cacce.– Allora an<strong>di</strong>amo a trovare quei negri.– Adagio, signor Quatremain. Con quali uomini avremo da45


fare? Non vi sono qui tribù ostili agli uomini bianchi?– Tutti i negri <strong>di</strong> queste regioni temono gli europei e nonosano offenderli, né assillarli, quin<strong>di</strong> credo che nulla avremo datemere. Tenete non<strong>di</strong>meno le armi pronte e seguitemi.Preceduti dai nostri negri, incaricati <strong>di</strong> aprirci il passo, cicacciammo risolutamente nella foresta, avanzando però congran<strong>di</strong> fatiche e stenti in causa dell'enorme numero <strong>di</strong> pianteagglomerate, strette le une alle altre e cinte e ricinte da vere reti<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci mostruose, uscenti dal suolo da ogni parte, e da certespecie <strong>di</strong> liane così tenaci, da resistere alle scuri <strong>dei</strong> nostriuomini.Vi erano macchioni <strong>di</strong> bambù <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni gigantescheche sorgevano in mazzi stretti alla base e che verso la cima siallargavano in pennacchi elegantemente ripiegati; gruppi <strong>di</strong> felciarborescenti che intrecciavano le loro foglie con quelle lunghe edentellate <strong>dei</strong> datteri selvatici; macchioni <strong>di</strong> fichi sicomori dallefoglie biancastre nella parte inferiore e seminate al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong>macchiette brune, <strong>di</strong> acacie giraffe, <strong>di</strong> acacie dentines dai ramiirti <strong>di</strong> spine pericolose, <strong>di</strong> sensitive giganti che racchiudevanolestamente le loro foglie al minimo contatto dell'ala d'un insetto;poi ammassi <strong>di</strong> bacchinie dai fusti bizzarramente alternati a zigzage <strong>di</strong> banani mostruosi, questi giganti delle foreste africane,che per massa <strong>di</strong> verzura contendono il primato ai colossalibaobab.Passando <strong>di</strong> macchione in macchione avevamo percorsocirca mezzo miglio, guidati sempre da quelle grida che nonerano cessate un solo momento, quando in una piccola raduracircolare ci trovammo improvvisamente <strong>di</strong>nanzi ad una piccolabanda <strong>di</strong> negri armati <strong>di</strong> lunghe zagaglie e <strong>di</strong> asce da guerra, eche pareva si tenesse colà in agguato.Vedendoci comparire balzarono tutti in pie<strong>di</strong> e uno <strong>di</strong> loroci mosse incontro, facendoci un gesto amichevole, come per46


assicurarci che nulla avevamo da temere. Quel negro, dallevesti che indossava, doveva essere il capo della tribù.Come tutti i piccoli monarchi dell'Africa del Sud, chehanno la smania <strong>di</strong> scimmiottare gli uomini bianchi,quell'importante personaggio portava sul capo un vecchiocappello d'ufficiale <strong>di</strong> marina, coi galloni d'oro sbrindellati esormontato da un enorme mazzo <strong>di</strong> piume <strong>di</strong> struzzo, il corpo loaveva imprigionato in una lunga giacca con alamari rossi,qualche vecchia livrea <strong>di</strong> cocchiere andata a finire in quellontano angolo dell'Africa chissà per quali singolari edavventurose circostanze; e le gambe le aveva infilate in un paio<strong>di</strong> calzoni da marinaio, ridotti però in uno stato così deplorevole,da non poter più <strong>di</strong>stinguere il loro colore, tanto erano coperti <strong>di</strong>grasso, <strong>di</strong> sangue e <strong>di</strong> zacchere <strong>di</strong> fango.Non era nemmeno privo <strong>di</strong> stivali; però Sua Maestà negra,invece <strong>di</strong> calzarli, li teneva appesi alla cintura. Io andai incontroa quell'uomo che si pavoneggiava nel suo vestito e lo salutai,levandomi il cappello.Egli mi restituì il saluto facendo volteggiare in aria unagrossa canna da tamburo maggiore col pomo <strong>di</strong> metalloargentato, poi mi <strong>di</strong>sse in lingua cafra, lingua che conoscevaassai bene.– Gli uomini bianchi siano i benvenuti: Katiko è felice <strong>di</strong>vederli e <strong>di</strong> ospitarli nel suo villaggio.– Grazie, capo – risposi io, frenando a grande stento le risa,tanto mi sembrava comico quel negro. – Noi accettiamovolentieri l'ospitalità che tu ci offri, tanto più che siamo assaistanchi ed anche affamati.– Se lo desiderate vi farò condurre tosto al mio villaggio,ma sarei <strong>di</strong>spiacente che gli uomini bianchi non prendesseroparte alla grande battuta.– Sono in caccia i tuoi uomini?47


– Da ieri sera hanno costruito l'hopo ed ora stannospingendo la selvaggina verso l'abisso.– Noi non perderemo questo spettacolo – <strong>di</strong>ssi. – 1 mieiamici non hanno mai veduto cacciare coll'hopo.– Gli uomini bianchi mi seguano ed i loro fucili ci aiutinoad abbattere la selvaggina. Questa sera avremo carne inabbondanza.Ad un suo cenno ci fece portare una zucca ripiena <strong>di</strong> ottimabirra <strong>di</strong> sorgo fermentato, poi ci mettemmo tutti in marcia,mentre la foresta echeggiava <strong>di</strong> grida acutissime, che siavvicinavano rapidamente.La grande battuta era incominciata e l'intera tribù,scaglionata parte nella foresta e parte nella pianura erbosa che siestendeva al <strong>di</strong> là delle colline, si avanzava stringendo il cerchio,onde costringere la selvaggina a cacciarsi nell'hopo.Mentre le urla crescevano d'intensità, il capo e la sua scortaci condussero attraverso un sentiero e ben presto, ai miei dueamici stupiti, mostrarono le prime palizzate della gigantescatrappola. Vi <strong>di</strong>rò ora in che cosa consiste l'hopo così tanto usatodai cafri e dai bechuana dell'Africa meri<strong>di</strong>onale, per provvedersiampiamente <strong>di</strong> selvaggina, e senza esporsi a gravi pericoli.Figuratevi due palizzate formate da pertiche alte due metri,solidamente infisse nel suolo e legate fra loro con liane.Queste palizzate, ciascuna delle quali è lunga tre o quattrochilometri, si stendono senza la minima breccia attraverso lapianura, formando un V colossale, la cui apertura è eguale allalunghezza <strong>di</strong> uno <strong>dei</strong> lati.Queste due linee oblique, invece <strong>di</strong> riunirsi completamente,nel momento <strong>di</strong> raggiungere la estremità dell'angolo, siprolungano parallelemente, in modo da formare una strada benincassata, <strong>di</strong> sessanta ai settanta metri <strong>di</strong> lunghezza su venticirca <strong>di</strong> larghezza. Esse mettono capo finalmente ad una fossa48


che può misurare venti metri quadrati su quattro <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà.Dei tronchi d'alberi sono posti in traverso, sugli orli <strong>di</strong> questafossa dalla parte per la quale gli animali devono cercare <strong>di</strong>fuggire. Questi alberi formano al <strong>di</strong> sopra delle pareti un rialzoavanzato, la cui <strong>di</strong>sposizione rende quasi impossibile ognitentativo <strong>di</strong> evasione. Infine, uno strato <strong>di</strong> canne coperte <strong>di</strong> erbee <strong>di</strong> foglie nasconde l'apertura entro la quale precipiterannoin<strong>di</strong>stintamente gli animali che si saranno pazzamente cacciatifra le due siepi.I battitori, che si riuniscono nel maggior numero possibile,si recano cinque o sei chilometri lontano dalle estremità delledue palizzate, formano un immenso semicerchio, poi siavanzano lentamente, gettando grida furiose, verso la baseaperta del V. La selvaggina, spaventata da queste urla e dai colpirimbombanti battuti col mezzo delle zagaglie sugli scu<strong>di</strong> <strong>di</strong>cuojo, non cerca punto <strong>di</strong> rompere la loro linea. Fuggeingenuamente verso l'hopo, penetra fra le due palizzate oblique,e talvolta tenta <strong>di</strong> voltare le spalle, quando s'accorge cheimprovvisamente si restringono. Ma è troppo tar<strong>di</strong>. Deicacciatori nascosti in quel luogo, si levano ad un tratto comeun'orda <strong>di</strong> demoni, bran<strong>di</strong>scono le picche, colpiscono a casoquella massa d'animali, i quali spaventati, non trovando più cheun'apertura, si precipitano nello stretto viale che conduce allafossa.<strong>Le</strong> povere bestie vi si precipitano irresistibilmente, ecadono l'una sull'altra, fino a che la trappola sia piena <strong>di</strong> unamassa palpitante, sulla quale passano gli ultimi superstiti.Fu in quest'ultimo posto che noi fummo collocati, sicchénoi potevamo seguire tutti gl'incidenti <strong>di</strong> quella caccia eprendere parte attiva alla lotta senza esporci ad alcun pericolo.Essendo l'hopo stato costruito parte nella pianura e partenella foresta, noi potemmo ripararci comodamente all'ombra <strong>dei</strong>49


gran<strong>di</strong> alberi.Dopo due ore <strong>di</strong> paziente aspettativa, vedemmo alzarsi <strong>dei</strong>turbini <strong>di</strong> polvere, prodotti dalla corsa della selvaggina sorpresanei suoi nascon<strong>di</strong>gli, poi vedemmo un gran numero <strong>di</strong> punti neriattraversare la pianura e cacciarsi nella foresta. La battuta eracominciata su tutta la linea.Già l'avanguar<strong>di</strong>a graziosa <strong>dei</strong> bluebocks arriva conun'impareggiabile leggerezza. Ecco i nakong dalle corna ricurve,dal pelo azzurrastro; poi alcuni struzzi si avanzano stupidamenteed incrociano una truppa <strong>di</strong> giraffe che s'inoltra al piccolo trottocome una pattuglia <strong>di</strong> esploratori <strong>di</strong> un corpo <strong>di</strong> cavallerialeggera. Presto però colpite da un terrore improvviso, scuotonole piccole teste, torcono le code a cavaturaccioli e si gettano atutto galoppo nel mezzo <strong>di</strong> uno squadrone <strong>di</strong> zebre e <strong>di</strong> cuagga.I cudu, le linci, le tseccè giungono esse pure precedendo latruppa feroce <strong>dei</strong> bufali dalle corna minacciose e dagli occhiiniettati <strong>di</strong> sangue.<strong>Le</strong> antilopi sono molto più numerose. <strong>Le</strong> specie piùsvariate dalle forme più inattese appariscono ai nostri occhi, e leguar<strong>di</strong>amo colla più viva curiosità, <strong>di</strong>menticandoci <strong>di</strong> essere tuttiappassionati cacciatori.La sfilata per momento non ha nulla <strong>di</strong> tumultuoso. Glianimali manifestano soltanto qualche inquietu<strong>di</strong>ne nel vedersiriuniti e confusi in modo tanto insolito. In questo frattempo, ilsemicerchio formato dai battitori si stringe lentamente, ma conprecisione implacabile. <strong>Le</strong> grida si vanno facendo sempre più<strong>di</strong>stinte, e l'inquietu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quegli animali inoffensivi, adeccezione <strong>dei</strong> bufali, si muta in angoscia.I primi scorgono le siepi e si ripiegano su loro stessi,attraversando colla velocità <strong>di</strong> meteore il terreno compreso fra ledue palizzate; si urtano l'un contro l'altro spinti dal flutto <strong>di</strong>quegli che sopraggiungono. Cadono, si rialzano, poi riprendono50


la corsa, più spaventati che mai.Ma i bufali, le zebre, ed i cuagga, <strong>di</strong> temperamento menotranquillo, pretendono <strong>di</strong> non seguire quella truppa impazzita erifiutano d'impegnarsi fra quelle palizzate che si restringonoparallelamente.Essi operano un brusco movimento <strong>di</strong> conversione evogliono risalire verso i battitori.Il gruppo <strong>dei</strong> cacciatori, nascosti <strong>di</strong>etro i cespugliappositamente innalzati, balza fuori tumultuosamente. I negribran<strong>di</strong>scono le loro picche e presentano improvvisamente aifuggiaschi i loro lunghi scu<strong>di</strong> bizzarramente <strong>di</strong>pinti, mentre noici affrettiamo ad impugnare i fucili.L'apparizione dell'uomo porta al colmo lo spavento e lacollera <strong>di</strong> quegli animali. I bufali sbuffano e si scagliano contro inegri, che evitano i colpi con una agilità degna <strong>dei</strong> torerosspagnoli.<strong>Le</strong> zagaglie volano in aria e vanno a piantarsi nei fianchidegli animali; i cuagga e le zebre tentano <strong>di</strong> spezzare coi dentil'asta <strong>di</strong> quelle lance, le cui punte lacerano le loro carni.Noi scarichiamo le nostre armi: un bufalo e due zebrecadono mortalmente feriti.I battitori arrivano a tutta corsa. I clamori ferociraddoppiano e gli animali, in preda ad un panico spaventevole,si scagliano finalmente verso la fossa.Giraffe, bufali, struzzi, antilopi, si urtano e si schiacciano.È una foresta <strong>di</strong> corna <strong>di</strong>ritte, a punta, massicce, sottili,larghe, ricurve, od a spirale che si agitano, si cozzano,s'intrecciano. Poi echeggia un immenso urlo <strong>di</strong> dolore.Il leggero strato che copre la fossa si rompe e l'escavazionesi riempie in un batter d'occhio. Non è più che una confusione <strong>di</strong>membra fracassate, <strong>di</strong> teste spaccate, <strong>di</strong> fianchi sventrati.Quelle bestie che non vengono uccise <strong>di</strong> colpo, si <strong>di</strong>battono51


in fondo all'abisso e sollevano, nell'ultimo spasimo dell'agonia,quella massa <strong>di</strong> cadaveri, sotto la quale soffocano.I negri, animati dalla lunga corsa, ebbri <strong>di</strong> sangue,colpiscono i fuggitivi che evadono passando sui corpi checolmano la fossa. È una gioia, una follia, un delirio. Noi stessinon risparmiavamo i nostri colpi, mantenendo un fuococontinuo.Il bottino era enorme. Quando i negri, dopo fuggiti gliultimi superstiti, sbarazzarono l'enorme fossa, contarono oltresessanta capi <strong>di</strong> selvaggina fra bufali, zebre, cuagga, struzzi, grù,e <strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong> antilopi.Ci vollero quattrocento uomini per trasportarequell'ammasso <strong>di</strong> carne al villaggio.Noi, cortesemente invitati dal capo, avevamo accettatal'offerta <strong>di</strong> fermarci almeno ventiquattro ore nel villaggio, ondeprendere parte al banchetto mostruoso che contavano <strong>di</strong>prepararsi quei negri.Quella borgata era assai popolosa, contando oltre tremilaabitanti, ed assai pittoresca, avendo un gran numero <strong>di</strong> spaziosecapanne cinte da giar<strong>di</strong>ni accuratamente coltivati ed ombreggiatida splen<strong>di</strong>de mimose e da giganteschi fichi sicomori.Appena il sole fu tramontato, <strong>dei</strong> fuochi enormi furonoaccesi nelle vie del villaggio e degli animali interi furono messiad arrostire, da un reggimento <strong>di</strong> cuochi improvvisati.Lascio immaginare a voi come i denti <strong>di</strong> tutti quei negri simisero al lavoro, non appena quegli arrosti furono pronti. Credo,che dopo l'australiano, non esista un popolo più insaziabile delnegro. Quando nuota nell'abbondanza, <strong>di</strong>vora con un'ingor<strong>di</strong>giaincre<strong>di</strong>bile, e non smette finché gl'intestini non minacciano <strong>di</strong>scoppiare.A quei giganteschi arrosti, molto deliziosi del resto,seguirono <strong>dei</strong> veri torrenti <strong>di</strong> birra <strong>di</strong> sorgo, i quali finirono <strong>di</strong>52


mettere al colmo l'allegria <strong>di</strong> quel clan <strong>di</strong> negri.Il capo, volendo festeggiare la nostra presenza, volleimprovvisare una festa notturna in nostro onore con assaltid'armi, corse, lotte, tiri, pantomine, ed altri esercizi nei quali inegri si <strong>di</strong>stinguono.La serie fu terminata da una strana danza eseguita dallostesso capo. I suoi uomini portarono una zucca enorme <strong>di</strong>pinta<strong>di</strong> bianco e sulla cui roton<strong>di</strong>tà, degli artisti primitivi avevano,bene o male, raffigurato in nero degli occhi, un naso, una boccae degli orecchi. Il capo v'introdusse la testa, passò il busto in unaspecie <strong>di</strong> botte formata da rami flessibili ed intrecciati, in modoche si videro apparire solamente le gambe e le braccia. Quellabotte egualmente <strong>di</strong>pinta in bianco ed in nero adorna con code <strong>di</strong>bue e piume <strong>di</strong> struzzo, era inoltre tagliata <strong>di</strong>agonalmente da unlargo nastro <strong>di</strong> sargia rossa.Così acconciato, il capo raggiungeva il colmo delgrottesco.I suoi uomini si <strong>di</strong>sposero su una fila e cominciarono a<strong>di</strong>ntonare un canto monotono, accompagnato dal battere <strong>di</strong> mani.Il capo prese posto a venticinque o trenta passi dalla linea ecominciò una scena straor<strong>di</strong>naria nella quale rappresentava laparte <strong>di</strong> bestia feroce in furia.Saltava, gesticolava, sgambettava fra gli applausientusiastici che aumentavano la sua mania coreografica. Ciòdurò mezz'ora, poi, stanco, sfinito, gettò all'aria la zucca e labotte e venne a sedersi presso <strong>di</strong> noi, vuotando <strong>di</strong> un sol fiatouna fiasca piena <strong>di</strong> birra.La festa notturna si protrasse fino alla mezzanotte, poi,tutti, essendo stanchissimi, si ritirarono nelle loro capanne. A noine venne offerta una assai comoda, situata accanto a quella delcapo e dove potemmo riposare tranquillamente fino all'alba.Alle otto del mattino, dopo un'abbondante colazione, noi53


lasciavamo quel villaggio ospitale, riprendendo la nostra marciaverso il kraal <strong>di</strong> Sitanda.54


CACCIA AGLI ELEFANTIPer altri quattro giorni noi continuammo ad avanzarenell'immenso territorio <strong>dei</strong> bechuana, senza aver più incontratonon solo alcun villaggio, ma nemmeno un essere umano.Sitanda si può <strong>di</strong>re che si trova affatto isolata da qualsiasicentro abitato. Per uno spazio <strong>di</strong> duecento chilometri all'ingironon si trovano che pianure deserte, boschi immensi, sabbiearide, ma nemmeno una capanna.Avevamo già percorsa mezza <strong>di</strong>stanza, quando decidemmo<strong>di</strong> fare una sosta <strong>di</strong> ventiquattro ore per cercare <strong>di</strong> rifornirci <strong>di</strong>viveri, essendo stati consumati tutti quelli che avevamo portaticon noi.Eravamo giunti in mezzo ad una catena <strong>di</strong> collinettecoperte <strong>di</strong> ammassi <strong>di</strong> piante spinose chiamate wacht-een-becheossia aspetta un po', nome un po' singolare ma giustissimo,perché se un uomo penetra là in mezzo è costretto a fermarsi adogni passo se vuole sbarazzarsi <strong>di</strong> quelle spine che lotrattengono da ogni parte, essendo uncinate.In mezzo a quei cespugli vi erano però anche numerosepiante che portavano delle frutta giallastre, assai ricercate daglielefanti.– Signor Good – <strong>di</strong>ss'io, scorgendo quegli alberi. – Èprobabile che noi qui troviamo qualche pachiderma.– Avete scoperto le tracce <strong>di</strong> qualcuno <strong>di</strong> quei giganti? – michiese premurosamente.– No, – risposi, – ma dove sorgono quegli alberi se netrovano quasi sempre.– Speriamo adunque <strong>di</strong> poter finalmente assaggiare un55


piede d'elefante. Mi hanno detto che è un boccone eccellente.– Squisito, signor Good.– Si cucina allo spiedo?– No, al forno.– Ma dove troveremo un forno qui?– Lo faremo noi e senza troppa molta fatica.– Oh!... Vorrei vedervi all'opera.– Aspettate che l'elefante venga e vi mostrerò comegl'in<strong>di</strong>geni fabbricano i loro forni.– Quando ci metteremo in caccia?– Verso il tramonto. Ho veduto laggiù un corso d'acqua eandremo ad imboscarci presso le sue rive e se non verranno glielefanti, vi prometto per lo meno una giraffa od un'antilope.– Accettato – risposero Good ed il genovese.Attendemmo la sera, passando il nostro tempo a fumare eda chiacchierare, poi, dopo d'aver cambiate le cariche ai nostrifucili per essere più certi <strong>dei</strong> nostri colpi, lasciammo il campo,<strong>di</strong>rigendoci verso il fiumicello.I nostri due negri ci precedevano per aprirci il passoattraverso la foresta, tagliando a gran colpi le piante spinose chesi estendevano <strong>di</strong>nanzi a noi, sempre più fitte.Dopo una mezz'ora <strong>di</strong> marcia faticosissima, giungemmofinalmente al fiume.Era un piccolo corso d'acqua, dalle acque chiare, limpide efreschissime, che doveva attirare <strong>di</strong> certo tutti gli animali <strong>dei</strong><strong>di</strong>ntorni.Ci nascondemmo in mezzo a tre o quattro tronchi d'alberi icui rami si curvavano sul fiumicello, proiettando una fittaombra.Ci trovavamo colà da soli pochi minuti, quando i nostrinegri, che avevano attraversato il fiume per battere le macchie,alzarono una truppa <strong>di</strong> giraffe. Erano quin<strong>di</strong>ci o venti e fra le file56


si trovavano <strong>dei</strong> faoni, ossia <strong>dei</strong> giovani animali alti due metri edegli adulti che ne misuravano perfino quattro e mezzo. Questianimali sono ancora numerosi in Africa, specialmente nelleregioni meri<strong>di</strong>onali e non è raro il caso <strong>di</strong> trovare delle bande <strong>di</strong>cinquanta e perfino <strong>di</strong> cento giraffe.Esse passarono <strong>di</strong>nanzi a noi a corsa sfrenata, conquell'andatura bizzarra che le fa parere zoppicanti e con grandefracasso, alzando e piegando il collo con delle mossecomicissime.Erano <strong>di</strong> già quasi fuor <strong>di</strong> portata <strong>di</strong> fucile prima ancora cheavessimo potuto alzarci, ma Good fece egualmente fuoco e perun caso veramente straor<strong>di</strong>nario, colpì l'ultima al collo,ferendole la colonna vertebrale.Il povero animale s'arrestò <strong>di</strong> colpo, poi stramazzò al suoloagitando pazzamente le sue gambe smisurate.– Diavolo! – esclamò Good, trionfante. – L'ho fatta cadere.– Hou! Hou! Bougouen! – gridarono i due negri. – Hou!Hou!Essi l'avevano soprannominato Good Bougouen – occhio<strong>di</strong> vetro – in causa del suo monocolo. Da quel momento lareputazione del tenente fu stabilita pei miei due negri, mentreinvece egli non era che un meschinissimo cacciatore.Ci affrettammo ad attraversare il fiumicello e ad accorrerelà dove l'animale era caduto. Io mi ricorderò sempre dell'aspettocompassionevole <strong>di</strong> quella povera giraffa. Essa girava gli occhiverso <strong>di</strong> noi, due occhi dolci e che parevano pieni <strong>di</strong> rimprovero,bagnati da abbondanti lagrime.Quantunque gravemente ferita, faceva ancora sforzi<strong>di</strong>sperati per alzarsi, ma ben presto l'agonia la sorprese. <strong>Le</strong> suemembra furono scosse da un tremito convulso, la sua pelle sitese, il lungo collo si ripiegò e la testa finalmente ricadde alsuolo.57


– Povera bestia! – esclamò il genovese. – Avete notatol'espressione <strong>dei</strong> suoi occhi lagrimosi?– Sì, – <strong>di</strong>sse Good, – e per poco non mi pentivo <strong>di</strong> averlauccisa.– Consolatevi pensando che avete fatto un bel colpo –<strong>di</strong>ss'io. – Uccidere una giraffa è una cosa un po' <strong>di</strong>fficile, ancheper un cacciatore <strong>di</strong> professione.– A me invece sembra cosa facilissima, signor Allan.– Perché le giraffe vi sono passate <strong>di</strong>nanzi, ma se sapestecome sono <strong>di</strong>ffidenti! Sentono il cacciatore ad una grande<strong>di</strong>stanza e se non si possiede un buon cavallo non siraggiungono più. Anche Gordon Cumming, il famoso cacciatoreche pretende <strong>di</strong> aver ucciso tante giraffe da averne <strong>di</strong>menticato ilnumero, confessa <strong>di</strong> aver trovato sempre delle gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltàad avvicinarle.Mentre noi chiacchieravamo, i nostri due negri avevanodestramente scuoiata una parte della giraffa e avevano tagliatenumerose costolette, e spaccate alcune ossa per estrarne lamidolla onde cospargerle e renderle più eccellenti.Il fuoco fu presto acceso sulle rive del fiumicello, dopoperò d'aver tagliato per un certo tratto le piante spinose, ondenon provocare un incen<strong>di</strong>o, e mezz'ora dopo noi assaporavamoquella carne succolenta, facendone una vera scorpacciata.Quando la nostra fame fu calmata, accendemmo le nostrepipe e ci sdraiammo presso la riva, ammirando la luna che allorasi alzava, specchiandosi nelle limpide acque che scorrevano ainostri pie<strong>di</strong>, mentre i due negri preparavano <strong>dei</strong> giacigli <strong>di</strong>fresche erbe.Verso la mezzanotte noi ci coricammo, mentre Umbopamontava il primo quarto <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a, non essendo prudenteaddormentarci tutti.Avevo chiuso gli occhi forse da una mezz'ora, quando fui58


uscamente svegliato dal negro.– Padrone, – <strong>di</strong>ss'egli, scuotendomi, – qualche animale siavvicina.Balzai subito in pie<strong>di</strong>, col fucile in mano, chiedendo daqual parte venisse.– Ho u<strong>di</strong>to le piante a muoversi laggiù – mi risposeUmbopa, in<strong>di</strong>candomi la riva opposta del fiumicello.– Che sia qualche antilope?– Non credo.– Qualche leone?– Non ho u<strong>di</strong>to alcun ruggito.I nostri compagni, udendoci parlare, s'erano pure alzati,preparando le armi.– Ohe! Signor Quatremain, abbiamo delle altre giraffe? –mi chiese Good.– Credo che si tratti <strong>di</strong> qualche animale ben più pericoloso,signor mio – risposi. – Se si avvicina a noi, non deve essere néuna paurosa antilope, né una sospettosa giraffa.In quel momento in mezzo ai cespugli spinosi u<strong>di</strong>i comeuna specie <strong>di</strong> oufl oufl soffocato.– Cosa può nascondersi laggiù, – mormorai, – che vi siaqualche leone?Ci eravamo tutti alzati, colle <strong>di</strong>ta sui grilletti delle carabinee gli occhi in guar<strong>di</strong>a.Ad un tratto u<strong>di</strong>mmo echeggiare un barrito formidabile.– Icoubou! Icoubou! (l'elefante) – si misero a gridare inostri negri.Delle gran<strong>di</strong> ombre attraversavano in quel momento ilfiume, <strong>di</strong>rigendosi verso i fitti cespugli che coprivano il versanted'una collina.Good aveva puntato prontamente il suo fucile,immaginandosi <strong>di</strong> abbattere qualche elefante colla stessa facilità59


con cui aveva fatto cadere la giraffa. Io mi affrettai a trattenergliil braccio, <strong>di</strong>cendogli:– Non s'uccide uno <strong>di</strong> quei colossi come fosse un coniglio,camerata, e poi ormai sono lontani.– Inseguiamoli.– Con questa oscurità? Sarebbe una imprudenza.– Pure sarebbe spiacevole non approfittare dell'occasione –<strong>di</strong>sse il signor Falcone. – Sarei ben lieto <strong>di</strong> poter abbattere uno<strong>di</strong> quei colossi.– Non andranno molto lontani, signore – risposi. – Qui visono le piante che preferiscono e si fermeranno fra questecolline.– Possiamo allora trovarli domani?– O domani o posdomani noi li troveremo <strong>di</strong> certo.– Ci fermeremo qui alcuni giorni, signor Quatremain;giacché la selvaggina abbonda, ne approfitteremo.– E quando andremo a scovare quei giganti? – chieseGood, con impazienza.– Domani all'alba.– Ossia fra quattro ore.– Sì, se non vi rincrescerà.– Sarò pronto prima <strong>di</strong> tutti.– Intanto approfittiamo per dormire – conclusi.Io ed il genovese ci coricammo avvolgendoci nelle nostrecoperte, ma Good non ci imitò. Lo vi<strong>di</strong> per parecchi minuti amuoversi come se facesse <strong>dei</strong> preparativi, poi il sonno mi prese.Ahimè! Quel secondo sonno fu <strong>di</strong> breve durata, forse piùbreve ancora del primo. Un ruggito formidabile che rintronòsotto la foresta come un colpo <strong>di</strong> tuono, mi fece balzarenuovamente in pie<strong>di</strong>. Diavolo! Non eravamo già in una casa benchiusa per continuare il nostro sonno!... E poi, chi avrebbe osatostarsene tranquillo con un vicino così pericoloso?60


– Si vede? – chiesi ad Umbopa, che s'era spinto innanzi <strong>di</strong>alcuni passi.– Mi pare che sulla riva opposta succeda una lotta – mirispose il negro.– Che il leone sia alle prese con qualche altro animale? –mi chiese il signor Falcone.– Lo suppongo – risposi.– An<strong>di</strong>amo a cacciarlo – <strong>di</strong>sse Good.– Calmatevi, bollente camerata! – esclamai. – Volete<strong>di</strong>struggere tutti, voi? Badate che i leoni sono peggiori deglielefanti.– Siamo in tre ed armati <strong>di</strong> buoni fucili.– Ed il leone ha quattro zampe e venti artigli, senza contarei denti. Seguitemi, ma siate prudente e fate fuoco solamentequando io ne darò il comando.Al <strong>di</strong> là del fiumicello pareva che si fosse impegnata unalotta fra il re della foresta e qualche altro animale. U<strong>di</strong>vamosempre echeggiare i formidabili ruggiti e vedevamo i cespuglispinosi agitarsi burrascosamente e piegarsi fino a terra.Ad un tratto i ruggiti cessarono ed i cespugli non siagitarono più. U<strong>di</strong>mmo, dopo qualche minuto, una specie <strong>di</strong>gemito, poi ogni rumore si spense.– Cosa vuol <strong>di</strong>re ciò? – chiese Good. – Che il leone abbiaucciso il suo avversario?– Ma... – <strong>di</strong>ss'io, con imbarazzo. – Avrebbe fatto u<strong>di</strong>re unruggito potente, il ruggito della vittoria.– Vedete nulla? – mi chiese il genovese.– Assolutamente nulla – risposi.– Che il leone sia fuggito colla preda?– Lo avremmo veduto attraversare lo spazio scoperto.– An<strong>di</strong>amo a vedere – <strong>di</strong>sse Good.– An<strong>di</strong>amo, ma non abbandonate il grilletto <strong>dei</strong> fucili.61


Avevamo attraversato il fiume e ci eravamo arrestati sullariva opposta. Prima d'inoltrarmi tesi gli orecchi e con miasorpresa non u<strong>di</strong>i il più lieve rumore.– Ciò è strano – mormorai. – Che il leone, accortosi dellanostra presenza, si sia appiattato per piombarci addosso? Eh!Mio caro, sono troppo esperto per lasciarmi sorprendere comeun cacciatore novellino.Colla canna del fucile allontanai i rami e vi<strong>di</strong> fra i cespugliuna massa confusa ed immobile.– I due lottatori sono morti! – esclamai.In mezzo all'erba aveva veduto il leone, rovesciato su <strong>di</strong> unfianco e presso a lui una grande antilope nera la quale avevacacciato le sue lunghe ed acute corna nel petto del formidabileavversario.Evidentemente l'antilope si era accostata al fiume per bere;il leone che avevamo u<strong>di</strong>to a ruggire s'era gettatoimprovvisamente su <strong>di</strong> essa, sperando <strong>di</strong> avere una prontavittoria, ma aveva fatto i conti senza le corna della poverabestia.Una lotta <strong>di</strong>sperata doveva essersi impegnata ed entrambierano caduti uccisi.– Sembrerebbe impossibile che un'antilope potesseuccidere un animale così formidabile! – esclamò Good, stupito.– È stato un colpo maestro – <strong>di</strong>ss'io. – Guardate, signori: lecorna dell'antilope sono entrate tutte nel ventre del feroceanimale.– La vittoria però non le è stata <strong>di</strong> nessuno giovamento –osservò il genovese.Coll'aiuto <strong>dei</strong> nostri negri ci impadronimmo dell'antilope ela trascinammo all'accampamento, contando d'assaggiare le suecostolette a colazione.Certi ormai <strong>di</strong> non venire oltre <strong>di</strong>sturbati, ci ricoricammo e62


fummo così fortunati da dormire tranquilli fino allo spuntar delsole.Appena svegliati facemmo i nostri preparativi per andarealla caccia degli elefanti. Visitammo le nostre armi, cambiammole cariche, precauzione necessaria essendo le notti umide sotto leforeste, poi sorseggiammo alcune tazze <strong>di</strong> thè freddo, la bevandamigliore, a mio avviso, per calmare il caldo e rinvigorire ilcorpo e facemmo una leggera colazione con alcune bistecched'antilope, preparateci dai negri.– Partiamo – <strong>di</strong>ss'io. – Non bisogna lasciare tempo aglielefanti <strong>di</strong> allontanarsi troppo.Appena attraversato il fiume, scoprimmo subito le tracce<strong>dei</strong> pachidermi, profondamente segnate sul terreno umido delbosco. Venvogel, il nostro cafro, abilissimo cacciatore e bravosoprattutto nel seguire le orme della selvaggina, ci assicurò chela banda doveva comporsi <strong>di</strong> almeno trenta capi.Salendo la collina, scorgemmo in breve delle nuove traccelasciate da quei giganti. Vi erano parecchi alberi privi del lorofogliame e colla corteccia in parte strappata e numerosi cespuglicalpestati, massacrati da quelle enormi masse <strong>di</strong> carne.Erano quasi le nove, quando il nostro cafro ci avvertì chegli animali non dovevano essere lontani. Era già perfino troppotar<strong>di</strong> poiché a quell'ora il sole cominciava a <strong>di</strong>ventareinsopportabile, pure non ci arrestammo, tutt'altro. Eravamo tuttiansiosi <strong>di</strong> scoprire quei colossi e <strong>di</strong> fare una buona caccia.Ad un tratto il cafro, che ci precedeva <strong>di</strong> alcuni passi, lovedemmo arrestarsi, facendoci segno <strong>di</strong> non far rumore.– Ci sono? – gli chiesi, quando lo ebbi raggiunto.– Sono a breve <strong>di</strong>stanza – mi rispose. – Ho già u<strong>di</strong>to aschiantarsi un albero.– Che ci siano tutti?– <strong>Le</strong> tracce sono sempre numerose.63


– Siate prudenti e non fate rumore – <strong>di</strong>ssi a Good ed alsignor Falcone. – Se si accorgono che noi siamo qui fuggirannoa tutte gambe, poiché non si rivoltano se non quando vengonoferiti.Continuammo ad avanzare con mille precauzioni,strisciando come serpenti fra le piante basse e tendendo gliorecchi. Avevamo così percorsi circa cinquanta passi, quando ilcafro ci <strong>di</strong>sse, con voce soffocata:– Eccoli!Venvogel non si era ingannato. Venti o venticinque elefanti,<strong>di</strong> taglia enorme, si trovavano radunati in una depressione delsuolo. Avevano appena finito <strong>di</strong> spogliare gli alberi egiuocavano fra <strong>di</strong> loro, scherzando colle formidabili trombe edagitando le loro gran<strong>di</strong>ssime orecchie.Trovandosi a circa cento metri da noi, salii un poggio <strong>di</strong>sabbia e <strong>di</strong> là vi<strong>di</strong> che se il vento non cambiava <strong>di</strong>rezione, noiavremmo potuto accostarci <strong>di</strong> più, senza tema <strong>di</strong> venire scopertio sentiti.Strisciando sotto i cespugli, in breve giungemmo a soliquaranta passi da tre elefanti i quali erano occupati a spogliareuna pianta <strong>di</strong> frutta selvatiche rassomiglianti a certe specie <strong>di</strong>zucche.Feci segno ai miei compagni <strong>di</strong> mirare, l'animale che sitrovava a miglior portata, poi gridai con voce tuonante:– Fuoco!...Tre spari rimbombarono simultaneamente. L'animalemirato dal signor Falcone cadde <strong>di</strong> colpo, essendo stato toccatoal cuore; il mio cadde sulle ginocchia e credetti che fosse pureper spirare, ma d'improvviso lo vi<strong>di</strong> alzarsi e precipitarsiaddosso a me.D'un solo balzo mi gettai verso una macchia <strong>di</strong> cespugli e<strong>di</strong> là gli sparai contro una seconda fucilata. La povera bestia64


questa volta stramazzò per sempre, mandando un barritolamentoso e vomitando dalla proboscide tutta l'acqua che avevain corpo.Introdotta prontamente una nuova cartuccia nel fucile,guardai che cosa aveva fatto Good.Il suo elefante, riconoscibile per le sue zanne formidabili,aveva ricevuto una palla <strong>di</strong> fucile, ma invece <strong>di</strong> slanciarsi controil cacciatore era fuggito e lo vi<strong>di</strong> correre in <strong>di</strong>rezione del nostroaccampamento.I compagni, spaventati da quella detonazione, avevano giàpreso rapidamente il largo, cacciandosi in mezzo alla foresta.– Quatremain! – mi gridò Good. – Il mio elefante fugge!– Lasciatelo correre – risposi. – Diamo addosso allatruppa!...La nostra buona fortuna ci aveva messi in gran vena e cislanciammo <strong>di</strong>etro alla banda, quantunque il sole fosse ormai<strong>di</strong>ventato intollerabile.Nella corsa furibonda i pachidermi fracassavano tutto sulloro passaggio, lasciando <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> loro un immenso solco facilea seguirsi.Per due ore continue noi corremmo sulle loro tracce, senzabadare al calore intenso che ci faceva sudare come zolfatare, poiriuscimmo a raggiungerli nuovamente.Si erano arrestati in una specie <strong>di</strong> spianata e si eranosdraiati per riposare, mentre un vecchio maschio si era posto insentinella per non farsi sorprendere.Dal modo con cui quelle povere bestie aspiravano l'aria perfiutare il nemico, ci accorgemmo che erano ancoraestremamente inquiete.– Facciamo fuoco sul maschio – <strong>di</strong>ss'io.Mirammo la <strong>di</strong>sgraziata sentinella. I tre sparirimbombarono formando quasi una sola detonazione e l'animale65


cadde <strong>di</strong> colpo, rompendosi una delle sue lunghe zanne.Al rimbombo <strong>di</strong> quegli spari la truppa fuggì <strong>di</strong> nuovo,precipitandosi in un torrente <strong>di</strong>sseccato, dalle rive assai elevate e<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile accesso.I poveri pachidermi si accavallavano in una confusioneindescrivibile cercando, ma invano, <strong>di</strong> rimontare l'opposta riva.Qualcuno riusciva ad inerpicarsi; poi capitombolavasconciamente nel torrente, cadendo addosso ai compagni.Per noi era un'occasione straor<strong>di</strong>naria; potevamo far fuocoa volontà senza più correre il menomo pericolo; ci mettemmo<strong>di</strong>etro la riva del torrente ed incominciammo a sparare in mezzoal gruppo.Altri cinque <strong>di</strong> quei colossi furono così abbattuti! Noiavremmo potuto ucciderli tutti se lo avessimo voluto, ma latema <strong>di</strong> consumare troppe munizioni ci trattenne e lasciammoche i superstiti si salvassero scendendo il letto del torrente.Veramente noi eravamo estremamente sfiniti dalla fatica edal caldo; d'altronde potevamo ben essere lieti dello splen<strong>di</strong>dosuccesso, poiché credo che a nessun cacciatore sia forse mairiuscito uccidere otto elefanti in una sola mattina.– Che giornata! – esclamò Good, con aria trionfante. – Unasimile caccia merita un viaggio <strong>di</strong> quaranta o cinquanta giorni!...Amico Quatremain, avete mantenuto pienamente la vostrapromessa.– Potete essere lieti e sod<strong>di</strong>sfatti <strong>di</strong> tale massacro – risposiio. – Nemmeno Cumming, il famoso cacciatore, ha mai potutouccidere più <strong>di</strong> due elefanti in un giorno.– E senza riportare alcuna ferita! – esclamò Good. – Ormainon temo più quei colossi!– Adagio, amico!... Se l'elefante che ho ucciso con unaseconda palla l'avessi mancato, non so se io sarei ancora qui atenervi compagnia. Vedete!... Gli elefanti sono talvolta assai66


izzarri. Certe volte invece <strong>di</strong> fuggire si scagliano con furoreestremo addosso ai cacciatori e non c'è alcun pericolo che lispaventi; altre invece, ma più <strong>di</strong> rado, si spaventano e fuggonocome un branco <strong>di</strong> antilopi.– Signor Quatremain, – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, – che cosafaremo noi <strong>di</strong> tutti questi animali?– Sceglieremo qualche pezzo migliore e lasceremo il restoalle jene ed agli sciacalli.– Un vero peccato perdere tanta carne!– E perdere anche le zanne!.. – aggiunsi io. – Lasceremoqui parecchie migliaia <strong>di</strong> lire, signori!– Sarebbe impossibile portarle con noi – <strong>di</strong>sse il genovese.– Mi rincresce per voi, Quatremain.– Bah! Ho dovuto perdere tante volte l'avorio acquistatocol pericolo della vita. Signori miei!... Pensiamo alla colazione.I nostri due servi avevano tagliato un pezzo <strong>di</strong> tromba eduna zampa d'elefante per farle arrostire, quin<strong>di</strong> ci mettemmo incammino per fare ritorno al nostro accampamento. Eravamo giàgiunti a mezza via, anzi sul luogo dove Good aveva feritol'elefante dalle gran<strong>di</strong> zanne, quando incontrammo una banda <strong>di</strong>gnù, bellissimi animali grossi quanto un giovane bue e col capoadorno <strong>di</strong> corna assai aguzze.Essendo noi provvisti <strong>di</strong> carne in abbondanza li lasciammoandare senza inquietarli, ma Good che non aveva mai vedutoquesti animali in libertà, volle avvicinarli per osservarli a suocomodo.Dato il suo fucile ad Umbopa per essere più leggero, simise a correre <strong>di</strong>etro a loro sperando <strong>di</strong> raggiungerli; io ed ilgenovese ci eravamo in quel frattempo fermati per riposare unpo'.Erano appena trascorsi cinque minuti quando u<strong>di</strong>mmoecheggiare un grido stridente.67


Nel medesimo istante, sul cielo rosseggiante, vedemmodelinearsi la figura massiccia <strong>di</strong> un enorme elefante, mentregiungevano ai nostri orecchi delle urla <strong>di</strong> terrore.– È l'elefante ferito da Good! – gridai, balzando in pie<strong>di</strong>.– E che perseguita i nostri compagni – aggiunse ilgenovese, impallidendo.Era vero: <strong>di</strong>nanzi all'elefante furioso correvano<strong>di</strong>speratamente Good, e Venvogel, l'uno era inerme e l'altroarmato solamente della sua lancia.Noi avevamo i fucili in mano, ma non osavamo far fuocoper tema d'uccidere i nostri compagni.Durante quella corsa <strong>di</strong>sperata Good, vittima del suoattaccamento alla civiltà, non poteva correre troppo in causa <strong>dei</strong>suoi calzoni che si attaccavano alle spine e <strong>dei</strong> suoi stivali chescivolavano sulle erbe secche. Era da temersi che da un istanteall'altro cadesse e che la tromba dell'elefante gli piombasseaddosso.Noi non respiravamo più, aspettavamo con angoscia che ilnostro <strong>di</strong>sgraziato compagno si gettasse fuori <strong>di</strong> linea per farefuoco.– Good! – gridai. – Gettatevi da un lato.Egli probabilmente non intese, anzi in quel momentosdrucciolò, cadendo a cinque passi dall'animale.Lo credevamo ormai perduto ed avevamo già alzati i fuciliquando il negro Venvogel, vedendo il povero tenente inpericolo, si volse verso l'elefante colla lancia alzata.Il pachiderma, furioso, si volse verso l'africano, ma questo,pronto come il lampo, gli squarciò il petto con un poderosocolpo della sua arma, facendo schizzare un torrente <strong>di</strong> sangue.L'animale, colpito a morte, cadde prima sulle ginocchia, poistramazzò al suolo rimanendo immobile.– Grazie, mio bravo cafro – <strong>di</strong>sse Good, balzando in pie<strong>di</strong>.68


– A te devo la vita.Umbopa si avvicinò a Venvogel e ponendogli una manosulla spalla, pronunciò queste strane parole:– Tu sei un valoroso: se un giorno dovessi <strong>di</strong>ventare re, tinominerei capo.69


LA TRAVERSATA DEL DESERTONove elefanti in una volta sola! Era davvero un colpostraor<strong>di</strong>nario.Dinanzi a tanta massa d'avorio, che rappresentava per uno<strong>di</strong> noi quasi una fortuna, decidemmo <strong>di</strong> non abbandonare quellezanne; immaginatevi che quelle del solo elefante ucciso dalbravo cafro pesavano nientemeno che quattrocento e ventichilogrammi.Capirete bene che sarebbe stata una pazzia abbandonaretutto quell'avorio al primo venuto.Impiegammo quasi due giorni a tagliare quegli enormidenti, poi nascondemmo quelle ricchezze sotto un monticello <strong>di</strong>sabbia, piantandovi sopra, come segnale, il tronco d'un giovanealbero, onde potere al nostro ritorno ritrovarle e raccoglierle.Il terzo giorno ci mettemmo in marcia, giungendo la seraistessa al kraal <strong>di</strong> Sitanda.Questa stazione è situata sulle rive <strong>di</strong> Lankanga; come<strong>di</strong>ssi, è un miserabile villaggio il quale non conta che pochecapanne in<strong>di</strong>gene, pochi gruppi d'alberi, e qualche campo malcoltivato, che <strong>di</strong>scende verso il fiume e serve all'alimentazione<strong>di</strong> quegli scarsi abitanti.Oltre Sitanda si estende l'arido deserto.Nel luogo scelto per accamparci, scorreva un piccoloruscello e, un po' più lontano, si alzava una piccola alturapietrosa alla cui base, venti anni prima, aveva raccolto il poveroSylvestra reduce dalla fatale spe<strong>di</strong>zione alle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong><strong>di</strong>amanti.Appena ultimato l'accampamento, io ed il signor Falcone70


salimmo su quella altura per osservare il deserto.Il sole, pari ad un globo <strong>di</strong> fuoco, scendeva versol'orizzonte, facendo sfolgorare le sabbie coi suoi raggifiammeggianti. L'aria purissima ci permetteva <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernere inlontananza, ma vagamente, come una linea azzurrastrasormontata da alcuni coni bianchi.– Ecco là i monti, sui cui fianchi si aprono le <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong>tesori – <strong>di</strong>ss'io. – Vi arriveremo noi?– Se mio fratello si è recato colà, noi faremo il possibile el'impossibile per ritrovarlo – mi rispose il signor Falcone, collasua calma abituale.– Avremo <strong>dei</strong> gran<strong>di</strong> pericoli da affrontare.– Li sfideremo tutti.– Avremo la sete da soffrire.– La soffriremo.– Il sole ci arrostirà vivi.– Non importa.– Poi forse avremo da lottare coi negri, coi koukouana.– Abbiamo le nostre armi e ci <strong>di</strong>fenderemo, signorQuatremain.– Siete proprio deciso.– Pronto a sfidare tutto.– Con uomini come voi si può allora andare molto lontano.Il genovese sorrise, senza rispondermi.Mi ero voltato per guardare in altra <strong>di</strong>rezione, quandoscorsi <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi Umbopa. Colle mani sulla fronte per ripararegli occhi dagli ardenti raggi del sole, egli scrutava attentamentel'orizzonte e soprattutto le lontane montagne che si <strong>di</strong>segnavanoverso i confini del deserto. Vedendoci, si volse verso ilgenovese, pel quale nutriva un affetto particolare e gli chiese:– E là, che tu vuoi <strong>di</strong>rigerti?Così <strong>di</strong>cendo in<strong>di</strong>cava con una mano le montagne.71


Io guardai il zulù colle ciglia aggrottate, offeso dalla libertàche si prendeva d'interrogare il suo padrone e gli espressiseveramente il mio pensiero. Con quale <strong>di</strong>ritto si permetteva <strong>di</strong>domandare dove voleva andare il genovese?– Tu non sei che un servo – gli <strong>di</strong>ssi. – Occupati quin<strong>di</strong>solo delle cose che ti riguardano.Umbopa mi guardò tranquillamente, poi mi rispose con unanobilità e con una <strong>di</strong>gnità che mi sorpresero:– Se io oggi sono servo degli uomini bianchi, un giornonon potrei più esserlo. Chi ti ha detto che io non possa occuparenel mio paese una posizione pari a quella che occupa il padronenel suo? Guarda: lui è grande e grande lo sono anch'io <strong>di</strong> statura;lui è forte e forte lo sono pure io. Ripeti a lui quanto io ti hodetto, Macoumazahne! – mi chiamava con tal nome.Rimasi sorpreso da quella risposta altera, pure volliaccontentarlo e tradussi quelle parole al signor Falcone.– Forse ha ragione – mi rispose il genovese, sorridendo.Umbopa riprese:– Il deserto è vasto, padrone, e l'acqua manca; le montagneche si ergono laggiù son coperte <strong>di</strong> neve ed aspre a salire. Cosavai a fare in quei lontani paesi e come cre<strong>di</strong> tu <strong>di</strong> arrivarci?...– Io vado a cercare un uomo del mio sangue, mio fratello –rispose il signor Falcone.– Sta bene – <strong>di</strong>sse il negro. – Un uomo mi ha detto che dueanni or sono un bianco era partito verso quelle montagneassieme ad un servo. Io non so se fosse tuo fratello, maquell'uomo aveva gli occhi somiglianti ai tuoi, la statura altacome la tua e so che il suo servo era un caffo che si chiamavaJim.– Quell'uomo era mio fratello.– E tu vuoi andarlo a cercare, padrone?– Certamente – rispose il genovese. – Io so che s'è <strong>di</strong>retto72


verso le montagne <strong>di</strong> Suliman e voglio andare colà, dovessiaffrontare centomila pericoli.– Nulla vi è d'impossibile per colui che è risoluto e pronto atutto, anche a sfidare la morte – <strong>di</strong>ss'io. – Ci metteremo nellemani della Provvidenza e andremo innanzi finché potremo.– Voi parlate bene – <strong>di</strong>sse Umbopa. – Sì, noi andremoinnanzi, cammineremo sempre <strong>di</strong>ritti, attraverso il deserto, poisaliremo le montagne. Giuocheremo la vita, ma cos'è la vita perfarci tanto caso? È come una piuma o come una sementetrasportata dal vento; una va lontana, l'altra si arresta forse amezza via e perciò? Sì, noi andremo ed io vi guiderò, perchébisogna che anch'io veda quelle montagne.– Quale motivo ti spinge? – gli chiesi.– Ho anch'io qualcuno del mio sangue da trovare laggiù –mi rispose il negro con tono misterioso.– Cosa vuoi tu <strong>di</strong>re? – gli chiesi.– Io so che laggiù si estende un paese fertile e ricco,posseduto da uomini valorosi e dove vi sono delle streghepossenti. So che fra quelle montagne vi è una grande via biancache nessuno sa chi l'abbia costruita e che non deve essere opera<strong>di</strong> negri. Ma a quale scopo parlare <strong>di</strong> quel lontano paese? Se ciarriveremo, chi vivrà, vedrà che cosa potrà succedere quando ioposerò i miei pie<strong>di</strong> su quella terra.Io lo guardai con <strong>di</strong>ffidenza; egli se ne accorse, poiché mi<strong>di</strong>sse con aria offesa:– Io non sono un tra<strong>di</strong>tore, Macoumazahne. Se noigiungeremo al <strong>di</strong> là delle montagne, tu saprai <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto tiho detto or ora, ma non credere che io possa tra<strong>di</strong>re gli uominibianchi, che io sinceramente amo ed ammiro.Poi guardando il genovese, continuò:– Sii prudente, padrone, e pensa che nel deserto ti attendeforse la morte. Se vuoi un mio consiglio, torna in<strong>di</strong>etro e va' a73


cacciare l'elefante in contrade meno pericolose. Ho detto...Il negro così <strong>di</strong>cendo ci salutò colla lancia e prima che noipotessimo trattenerlo, scese rapidamente il colle, allontanandosi.– Ecco un singolare in<strong>di</strong>viduo – <strong>di</strong>ss'io. – Sa molte coseintorno a quelle montagne, ma non vuole parlare.– Che sia qualche capo koukouana?– Io comincio a sospettarlo, signor Falcone.– E come si trovava presso gli zulù.– Ecco una cosa che forse non potremo mai sapere.– Comunque sia, noi non ci occuperemo che delle cosenostre – <strong>di</strong>sse il genovese. – Se vorrà più tar<strong>di</strong> lasciarci, lo facciapure. An<strong>di</strong>amo a fare i nostri preparativi, signor Quatremain,poiché noi domani ci inoltreremo nel deserto.Non potendo portare con noi un carico eccessivo, fummocostretti a sbarazzarci d'una parte <strong>dei</strong> nostri oggetti. Nonconservammo che i nostri fucili, le munizioni, alcune coperte edalcuni me<strong>di</strong>cinali; tutto il resto lo scambiammo contro alcuniotri <strong>di</strong> pelle per l'acqua, tabacco e viveri secchi. Perfino le nostrevesti <strong>di</strong> ricambio furono lasciate in deposito presso un vecchiocolono.L'indomani sera, appena il sole scomparve, noi cimettemmo in marcia seguìti da tre in<strong>di</strong>geni incaricati <strong>di</strong> portare inostri viveri e <strong>di</strong> accompagnarci per una trentina <strong>di</strong> chilometri.Eravamo riusciti a deciderli promettendo loro in regalo trecoltelli; oggetti assai rari a Sitanda e molto ricercati.Avevamo deciso <strong>di</strong> marciare alla notte per evitare i gran<strong>di</strong>calori, e <strong>di</strong> riposare il giorno.La luna cominciava ad alzarsi, quando giungemmo alleprime sabbie.Noi ci tenevamo l'uno <strong>di</strong>etro all'altro. Umbopa apriva lamarcia colla zagaglia in una mano, la mia carabina sulle spalle egli occhi fissi sull'immensa <strong>di</strong>stesa del deserto; <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui74


venivano i tre in<strong>di</strong>geni <strong>di</strong> Sitanda ed il cafro Venvogel, quin<strong>di</strong>noi.Per guida noi avevamo la linea appena visibile dellemontagne ed il documento del vecchio portoghese. Quel <strong>di</strong>segnotracciato trecent'anni prima, in<strong>di</strong>cava abbastanza chiaramente lavia che noi dovevamo tenere, ma era da vedersi se quella viacontinuasse ad esistere. I venti, sollevando le sabbie,probabilmente dovevano averla già fatta scomparire.Noi marciavamo in silenzio attraverso le sabbie cherendevano <strong>di</strong>fficile il passo, sfuggendo sotto i nostri pie<strong>di</strong>. Per <strong>di</strong>più quella polvere fina si cacciava nelle nostre calzature, sicché<strong>di</strong> quando in quando noi eravamo costretti a fermarci perliberarcene.La notte era sufficientemente fresca, ma l'aria era pesante,soffocante; quella solitu<strong>di</strong>ne poi ci opprimeva lo spirito e cimetteva indosso un certo sgomento che non sapevamo vincere.Good, per rompere quel silenzio, si mise a zuffolareun'arietta, ma ben presto dovette cessare in causa d'una stranaavventura. Essendosi messo alla testa della carovana, tutto d'untratto noi lo vedemmo cadere, mentre intorno a lui si alzavanodelle ombre che <strong>di</strong> primo acchito non potemmo ben <strong>di</strong>stinguere.I negri <strong>di</strong> Sitanda, spaventati, si erano messi a urlare asquarciagola, fuggendo.Anche noi ci eravamo arrestati guardando quelle ombre,che balzavano <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente fra le sabbie.– Good! – gridammo.Un grido ci rispose. Solo allora ci accorgemmo che ilnostro amico veniva trasportato attraverso al deserto sul dorso <strong>di</strong>una <strong>di</strong> quelle ombre.Compresi subito <strong>di</strong> che cosa si trattava. Il povero tenenteera caduto addosso ad una truppa <strong>di</strong> cuagga, addormentati fra lesabbie. I cavalli selvaggi, spaventati, si erano subito dati a corsa75


precipitosa ed uno <strong>di</strong> loro aveva portato con sé,involontariamente, anche il tenente, gettandolo poi bruscamenteal suolo.Mi affrettai ad accorrere in aiuto del camerata e lo trovaimezzo sepolto nella sabbia e tutto ammaccato da quelcapitombolo. Notai subito però, che anche in quel pericolosofrangente il monocolo non aveva abbandonato il suo posto.– Ohe! Camerata! Vi siete fatto male? – gli chiesi.– Credo che non vi sia nulla <strong>di</strong> rotto, ma vi confesso che lapaura è stata molta – mi rispose Good, ridendo.– Diavolo, bisogna guardare dove si mettono i pie<strong>di</strong>.– Ma chi avrebbe sospettato che in quella buca <strong>di</strong> sabbia sinascondessero degli animali!– Fortunatamente vi hanno fatto fare una corsa senzacattive conseguenze.– Se però mi sferravano un calcio, mi sfondavano lecostole. Che razza <strong>di</strong> bestie erano? Forse delle zebre?– Dei cuagga, una specie <strong>di</strong> cavalli selvatici.– Una bella occasione per prenderne alcuni e galoppareattraverso il deserto.– Sì, – risposi io, – per farci mandare a gambe levate.– Sono indomabili forse?– Non vogliono saperne <strong>di</strong> cavalieri.– Saranno almeno buoni da mangiare.– Non sono tanto cattivi.– Se lo avessi saputo prima, ne avrei almeno ammazzatoqualcuno.– Oh! Il feroce cacciatore! – esclamò il signor Falcone, checi aveva in quel momento raggiunti. – Non vi sono bastatiadunque gli elefanti?– Un arrosto <strong>di</strong> carne fresca non era da <strong>di</strong>sdegnarsi –rispose Good.76


– Forse avete ragione, ma ora è troppo tar<strong>di</strong> per pensare <strong>di</strong>procurarcelo. Orsù partiamo, amici.Riprendemmo le mosse attraverso alla sconfinata pianurasabbiosa e la continuammo senza altri accidenti fino ad un'oradel mattino, poi facemmo una breve sosta essendo tuttistanchissimi. Bevemmo un sorso d'acqua, uno solo, essendo<strong>di</strong>ventata per noi estremamente preziosa, poi eccoci <strong>di</strong> nuovo inmarcia, salendo e scendendo delle colline sabbiose, formateforse dal vento ardente del deserto.Finalmente spuntò l'aurora. Dapprima <strong>dei</strong> palli<strong>di</strong> raggi, mache si cangiavano rapidamente in una splen<strong>di</strong>da tinta d'oro, siestendono fugando le tenebre. <strong>Le</strong> stelle impalli<strong>di</strong>scono,svaniscono; la luna perde il suo splendore, poi nuovi raggisorgono sull'orizzonte facendo scintillare le sabbie, ed il desertointero viene invaso da un oceano <strong>di</strong> luce acciecante.Noi eravamo assai affaticati e saremmo stati ben contenti <strong>di</strong>poterci fermare, ma volendo guadagnare via e sapendo che ilsole ci avrebbe più tar<strong>di</strong> impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> procedere, continuammo lamarcia fino alle sei del mattino, arrestandoci <strong>di</strong>nanzi ad unaspecie <strong>di</strong> caverna che s'apriva nei fianchi d'un monticelloroccioso, il quale si alzava isolato in mezzo alle sabbie. Un po'd'acqua e un po' <strong>di</strong> vivande secche furono il nostro pasto, poi cisdraiammo in quel piccolo rifugio, addormentandociprofondamente.Quando ci svegliammo erano le tre pomeri<strong>di</strong>ane. Uno <strong>dei</strong>nostri portatori ci venne subito a trovare, <strong>di</strong>cendomi:– Padrone, noi non ti seguiremo più oltre.– Forse che il deserto ti spaventa? – gli chiesi.– Tutti gli uomini che si sono inoltrati fra queste sabbie nonsono più ritornati.– Se tu e i tuoi compagni ci seguirete per un altro giornoancora, noi vi daremo tre altri coltelli.77


– Tu puoi offrirmene cento, ma né io né i miei compagnifaremo un passo <strong>di</strong> più.– Dimmi almeno cos'è che vi spaventa.– Questo è il regno della morte, padrone.– Vuoi <strong>di</strong>re, che tu cre<strong>di</strong> che noi morremo tutti.– Lo temo, ed io ti consiglierei <strong>di</strong> tornare a Sitanda.– No, – risposi, – noi andremo più innanzi.– Ebbene, padrone, ad<strong>di</strong>o! Noi torniamo al kraal.Compresi che tutti i coltelli della terra non li avrebberodecisi a seguirci, tanta era la paura che ispirava loro queldeserto. Li regalai <strong>di</strong> quanto avevamo promesso, aggiungendoun po' <strong>di</strong> tabacco, e pochi minuti dopo noi vedemmo quegliin<strong>di</strong>geni tornarsene rapidamente in<strong>di</strong>etro, verso il kraal <strong>di</strong>Sitanda.Dopo un paio d'ore riprendemmo la marcia. Il silenzio e lasolitu<strong>di</strong>ne ci parevano ancora più lugubri; e non scorgemmoaltro che qualche struzzo e due o tre serpenti. Al contrario, unessere che non mancava era la mosca. Insetto straor<strong>di</strong>nario!Dove mai non si trova? In tutti i tempi essa ha dovuto essere ilflagello degli uomini, infatti ne ho vista una come fossilizzata inun pezzo d'ambra, e certo vi si conservava da più <strong>di</strong> cinquemilaanni, non <strong>di</strong>fferendo per niente dalle sue moderne congeneri. Pernostro maggior tormento queste mosche non venivano atormentarci isolatamente; ma a battaglioni fitti e numerosi. Ionon dubito affatto che quando l'ultimo uomo nel mondo esaleràl'ultimo suo sospiro, anche allora una mosca ronzerà intorno alui.Facemmo una sosta nella serata, e, colla luna, eccoci <strong>di</strong>nuovo a marciare; dalla <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> sera proseguimmo fino alle duedel mattino, e dopo un'ora <strong>di</strong> riposo, una corsa ancora fino agiorno fatto. Gettatici a terra ci addormentammo senzanemmeno pensare a far la guar<strong>di</strong>a per turno. Che cosa potevamo78


temere in quella solitu<strong>di</strong>ne abbandonata dagli uomini e daglianimali? I soli nostri nemici – e non v'era mezzo <strong>di</strong> evitarli –erano il calore, la sete e le mosche. Avrei amato meglioaffrontare qualunque pericolo anziché trovarmi in presenza <strong>di</strong>questo terribile trio.Risvegliatici verso le sette, eravamo già arrostiti dal sole a<strong>di</strong>nvano cercammo un po' d'aria più respirabile.– Puah! – gridai, tentando invano <strong>di</strong> liberarmi da una veraaureola vivente che ronzava allegramente intorno alla mia testa.– In fede mia, – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, – non ho mai vistotante mosche!– Mille tuoni! – aggiunse a sua volta Good, gesticolando. –E del caldo che fa, non <strong>di</strong>te niente?Il caldo, ah! E che caldo! E <strong>di</strong>re che non v'era la menomasperanza <strong>di</strong> trovare un po' <strong>di</strong> ombra. Dappertutto lo sguardoincontrava l'acciecante splendore della sabbia, e l'aria era cosìcalda come se si fosse proprio vicini ad un forno scaldato abianco.– Non potremo resistere a lungo a questa temperatura ed aquest'afa soffocante, – <strong>di</strong>sse il genovese, – bisognaassolutamente cercare un riparo dai raggi del sole.Ci guardammo come istupi<strong>di</strong>ti.– Ci sono! – <strong>di</strong>sse Good. – Scaviamo una fossa, lacopriremo <strong>di</strong> sterpi e ci nasconderemo dentro.L'idea non era sublime; ma poiché nessuno ne consigliavauna migliore, ci mettemmo al lavoro, sia con una piccola vangache avevamo con noi, sia anche scavando colle mani, e quandosi giunse ad avere una fossa <strong>di</strong> tre metri su quattro, tagliammo<strong>dei</strong> cespugli e de' rami inari<strong>di</strong>ti e coprimmo il nostro ricovero.Scivolati in questa fossa, ci parve a tutta prima <strong>di</strong> provare unvero refrigerio alle nostre pene. A misura però che il solemontava, il caldo cresceva; ci trovavamo come in un forno. Io79


non so come abbiamo potuto resistere a tale tormento;chiedevamo continuamente sollievo alle nostre fiasche d'acquae, se avessimo dato ascolto alla nostra bramosia, le avremmovuotate interamente, non una ma <strong>di</strong>eci volte; la ragione però ci<strong>di</strong>ceva che la nostra piccola provvista d'acqua era la nostrasalvezza, e, consumata, non ci restava altro che morire.Tutto ha una fine, questo è certo, ed il <strong>di</strong>fficile è <strong>di</strong> vivereabbastanza per vedere questa fine. E l'infausta giornata ebbe lasua fine.Verso le tre del pomeriggio uscimmo dalla nostra fornace,preferendo morire fuori piuttosto che là dentro.Avevamo percorso presso a poco la metà del deserto, e lapozza d'acqua, se pur v'era, non doveva trovarsi molto lontana.Non camminavamo più, ma ci trascinavamo, e quando ilsole scomparve dall'orizzonte, dovemmo stenderci a terra, e fuvero benefizio per noi il riuscire ad addormentarci un poco.Ci rialzammo, quando apparve la luna, non per camminare,ma per tentare d'avanzarci. Cadevamo ad ogni momento, e adogni ora era necessario fare una sosta. Non avevamo nemmenoil coraggio <strong>di</strong> scambiarci una parola; lo stesso Good, che erasempre chiacchierone e pieno <strong>di</strong> brio, non apriva più bocca.Verso le due del mattino raggiungemmo finalmente unmonticello che a tutta prima e da lontano, avevamo credutofosse un enorme casa <strong>di</strong> formiche; aveva almeno trenta metri <strong>di</strong>altezza.Coricati alle falde <strong>di</strong> questa collina, e torturati da una seteardente, ingoiammo le ultime gocce d'acqua. Ne avremmobevuto una botte e ne avevamo invece appena appena unbicchiere.U<strong>di</strong>i Umbopa che <strong>di</strong>ceva a se stesso:– Se domani non avremo ancora trovata dell'acqua, nonvedremo più il tramonto del sole. O trovare dell'acqua o morire!80


Questa prospettiva tutt'altro che lieta, mi dette i brivi<strong>di</strong>.Tuttavia la stanchezza prevalse, perché chiusi gli occhi em'addormentai.81


L'ACQUAMi svegliai dopo un paio d'ore e la gran sete che mistruggeva m'impedì <strong>di</strong> riaddormentarmi. Aveva sognato <strong>di</strong>bagnarmi in un ruscello d'acqua limpida le cui sponde fioriteerano ombreggiate da alberi ver<strong>di</strong>; al risvegliarmi, il sentimentodella realtà mi ritornò subito, parendomi ancora più triste. <strong>Le</strong>ultime parole <strong>di</strong> Umbopa mi suonavano ancora all'orecchio,come un terribile ritornello: «Trovare dell'acqua o morire!»Penai molto ad aprire gli occhi stropicciandoli. Potevano esserele quattro del mattino; il giorno veniva, ma nessuna sensazione<strong>di</strong> frescura m'annunziava il passaggio della notte al giorno, el'aria era come un vapore d'acqua calda.I miei compagni, <strong>di</strong> me più fortunati, <strong>di</strong>menticavano nelsonno le loro sofferenze. Svegliatisi finalmente anche loro,tenemmo consiglio sul da farsi.La situazione era gravissima; non una sola goccia d'acqua;le nostre fiasche erano secche tanto internamente che all'esterno;invano provammo se vi fosse rimasta qualche goccia ancora <strong>di</strong>quel liquido così prezioso. Il tenente Good estrasse dalla saccada viaggio la bottiglia d'acquavite e la guardò con occhi ardenti.– No, no, Good! – gridò il genovese, strappandogliela dallemani. – L'acquavite in un momento simile sarebbe come delfuoco nelle nostre gole; abbiamo invece bisogno <strong>di</strong> acqua, o nonla dureremo più a lungo.– Se la carta del portoghese fosse esatta, – <strong>di</strong>ss'io, –dovremmo ben presto trovare la pozza in<strong>di</strong>catavi.Questa riflessione non parve ai miei compagni motivod'incoraggiamento, anzi non vi fecero caso. E veramente da che82


la carta fu tracciata quanto tempo era trascorso, e quante coseerano succedute!Ad un tratto Venvogel si alzò e si mise a camminare, cogliocchi attentamente fissi a terra, come se cercasse qualche cosa.Poi s'arrestò <strong>di</strong> botto e mandando una esclamazione gutturale,in<strong>di</strong>cò il suolo.– Ebbene! – <strong>di</strong>ssi. – Che c'è <strong>di</strong> nuovo?Mi mostrò una piccola pianta verde.– È lo springbok – <strong>di</strong>sse l'africano. – Questa pianta nascenelle vicinanze dell'acqua.– Hai ragione! Siamo salvi; non è possibile che qui pressonon si trovi una sorgente qualunque.Questa debole speranza ci rese un coraggio incre<strong>di</strong>bile eduna in<strong>di</strong>cibile gioia; sapevamo per esperienza quale fiutoposseggono gl'in<strong>di</strong>geni. Venvogel camminava sempre, scrutandotutti i lati.– Sento l'acqua, – <strong>di</strong>ceva, – la sento ed è... vicina.In quel momento il sole si levò. Lo spettacolo era cosìgran<strong>di</strong>oso, che per qualche poco <strong>di</strong>menticammo la nostra sete. Acinquanta o sessanta chilometri lungi da noi, le montagne <strong>di</strong>Suliman risplendevano come lucido argento.I raggi del sole illuminarono alcuni istanti quelle imponentimontagne e le oscure masse delle loro falde, poi la nebbia leavviluppò a poco a poco, nascondendole alla nostra vista. Non sivedeva più che alcune linee nere in una nube fioccosa.Allora ritornammo alla nostra sete o piuttosto la sete ciritornò.Venvogel aveva un bel <strong>di</strong>re: – Sento l'acqua, sento l'acqua!– non se ne trovava.Anche noi cercavamo senz'altro scoprire che sabbia ecespugli <strong>di</strong> karou. Facemmo tutto il giro della collina e sempreinvano.83


– È inutile, la cosa è chiarissima! – <strong>di</strong>ssi. – L'acqua è nellenubi, e tra qualche settimana essa cadrà a torrenti per lavare lenostre ossa imbianchite!Il genovese si carezzava malinconicamente la sua foltabarba.– Noi non siamo ancora andati a visitare la cima <strong>di</strong> questacollina – ci <strong>di</strong>sse.– Tentiamo, – risposi, – ma se non abbiamo trovato acquaalle falde, non è probabile che ne troveremo lassù.Per iscarico <strong>di</strong> coscienza partimmo per esplorare questacollina <strong>di</strong> sabbia. Umbopa ci precedeva; tutto ad un tratto sivolse a noi.– Eccola, eccola! – ci gridò.Lascio immaginare ai lettori se fu necessario ripetercil'avviso. Effettivamente, in una depressione del monticello, sitrovava una pozza <strong>di</strong> acqua salmastra e <strong>di</strong> dubbiosa apparenza.Non mi incarico <strong>di</strong> spiegare come e perché quell'acqua sitrovasse lì. Credo che quella pozza doveva essere alimentata dauna sorgente sotterranea; ma è una semplice mia supposizione.Noi certo non perdemmo tempo ad analizzarla; in un salto citrovammo tutti, ventre a terra, intorno a quella pozza benedetta,e bevemmo come se fosse il nettare più puro dell'Olimpo. Cielo!Quali delizie! E cosa che non si può immaginare! Calmata lasete, ci strappammo in un batter d'occhio, i nostri abiti e cituffammo nell'acqua tiepida. Che bagno! Voi felici mortali chenon avete da far altro se non aprire i rubinetti d'acqua calda ofredda a volontà, non sapete né potete comprendere qualerefrigerio fu pei nostri corpi <strong>di</strong>sseccati, quel bagno d'acqua,certo non limpida.Quando fummo sufficientemente rinfrescati e riposati, cisedemmo intorno a quella fossa, sotto l'ombra protettrice d'unaroccia e allora solo ci accorgemmo d'essere affamati. Il biltong84


che non avevamo toccato da ventiquattro ore ci parve squisito, e,allungandoci sulla sabbia ombreggiata, non tardammo grantempo ad addormentarci.Restammo là tutto quel giorno, bene<strong>di</strong>cendo la nostrabuona stella che ci aveva guidati proprio al punto voluto, cosatanto <strong>di</strong>fficile in una <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> deserto così ampia. E qualericonoscenza dovevamo avere verso quel portoghese che, sullasua carta, aveva segnalata quella sorgente!Alla notte, rinforzati e freschi, riprendemmo i nostribastoni da pellegrini e ci avanzammo senza pena per più <strong>di</strong>trentacinque chilometri. Di acqua non ve ne era più; ma le nostrefiaschette erano piene, ed avemmo anche la fortuna d'incontrare<strong>dei</strong> giganteschi ni<strong>di</strong> <strong>di</strong> formiche termiti, i quali ci procuraronoun po' d'ombra quando il sole si levò.L'indomani ci trovavamo sulla falda della montagnasinistra, verso la quale eravamo <strong>di</strong>retti. Sventuratamente, nei duegiorni trascorsi, le nostre provviste d'acqua si erano <strong>di</strong> bel nuovoesaurite. <strong>Le</strong> torture della sete ricominciavano e non vedevamo ilmezzo per arrivare alle nevi che coprivano la vetta.La base della montagna era formata <strong>di</strong> lave, questi montiessendo evidentemente vulcani spenti, e quelle lave rendevanomolto malagevole il cammino.So bene che vi sono delle montagne vulcaniche che sonopiù malagevoli; ma non è perciò meno vero che, stanchi esofferenti come eravamo, quest'ultima prova ci sfinìinteramente. Non potevamo nemmeno più trascinarci su. Unamassa <strong>di</strong> lava attirò i nostri sguar<strong>di</strong>, e, non so per quale sforzo,facemmo i cento metri che da essa ci separavano. Ci sedemmoall'ombra senza coraggio e senza forza. I nostri sguar<strong>di</strong> errantiall'intorno, scoprirono una specie <strong>di</strong> verdura che si estendeva apiccole macchie qua e là. La lava sgretolata aveva formato unpo' <strong>di</strong> terreno su cui gli uccelli avevano probabilmente lasciati85


cadere <strong>dei</strong> semi. Questa verdura non ci apportò alcunaconsolazione, perché, ammeno per grazia speciale dellaProvvidenza, come accadde a Nabucodonosor, non si può certovivere <strong>di</strong> erba verde.Mentre queste amare riflessioni, senza portar sollievo allemie sofferenze fisiche, abbattevano il mio morale, Umbopafaceva il giro delle macchie <strong>di</strong> verdura che ci circondavano. Adun tratto, questo in<strong>di</strong>geno tanto solenne e compassato, siabbassò, rialzandosi tosto con qualche cosa <strong>di</strong> verde in mano, egesticolando come un fantoccio, ci fe' segno <strong>di</strong> correre presso <strong>di</strong>lui; cosa che facemmo quanto più presto ce lo permisero i nostripie<strong>di</strong> addolorati. Speravo avesse trovata dell'acqua.– Che cosa hai trovato, Umbopa, figlio d'un pazzo! – gli<strong>di</strong>ssi.– Da bere e da mangiare, Macoumazahne!E mi presentò una specie <strong>di</strong> cocomero. Avevamo la fortuna<strong>di</strong> trovare là un campo <strong>di</strong> cocomeri selvatici; quelle frutta eranoabbondanti e perfettamente mature.– Dei cocomeri! – gridai ai compagni che mi seguivano.Non avevo ancora finito <strong>di</strong> parlare che già la dentiera <strong>di</strong>Good era piantata in uno <strong>di</strong> quei cucurbitacei. Mangiammo sulprincipio senza prender fiato. I cocomeri selvaggi non sonomolto saporiti né molto dolci, ma a noi, in quel momento,sembrò <strong>di</strong> non aver mai mangiato alcun frutto più delizioso.Calmata la fame e la sete, noi raffinammo le cose,mettendo alcuni <strong>di</strong> quei cocomeri a rinfrescare. Li tagliavamoper metà ed esponendoli al sole, l'evaporazione li raffreddava.Quei cucurbitacei sono però così poco nutrienti, che benpresto la fame si fece nuovamente sentire. Il biltong ripugnavaai nostri stomachi affaticati e, d'altra parte ci trovavamonell'obbligo <strong>di</strong> economizzarlo; era la nostra unica risorsa, perchénon sapevamo quando avremmo potuto rifornire il nostro sacco86


<strong>di</strong> provviste. Stavamo cercando con quale altro cibo potevamosurrogarlo, quando uno stormo <strong>di</strong> uccelli volò dalla nostra parte.– Tira, baas, tira – <strong>di</strong>sse sottovoce il cafro, gettandosi perterra, esempio che fu subito imitato da tutti.Vi<strong>di</strong> che quegli uccelli dovevano passare a cinquanta metrisopra <strong>di</strong> me. Allora, aspettai che si fossero avvicinati eafferrando la mia carabina, l'armai; gli uccelli si strinsero fraloro, si raggrupparono quasi per offrirmi miglior bersaglio, ed iotirai nella massa. Ne cadde uno molto grosso che pesava forsequin<strong>di</strong>ci libbre. Era un'ottarda. Un buon fuoco <strong>di</strong> sterpi fu tostoacceso, e la nostra selvaggina, sorvegliata dai nostri avi<strong>di</strong>sguar<strong>di</strong>, ben presto cominciò ad arrostire. L'operazione seguì ameraviglia; da gran tempo i nostri stomachi non avevano presoparte a simile festino. Non lasciammo altro che le ossa, e nontemo <strong>di</strong> sbagliarmi credendo che questo pasto ci impedì <strong>di</strong>morire.Venuta la sera, ripartimmo carichi <strong>di</strong> cocomeri. L'aria sifaceva più fresca ed era per noi un refrigerio. Al levarsi delgiorno seguente trovammo altri cucurbitacei, e, siccome ciavvicinavamo alle nevi, così il timore della mancanza d'acquapiù non ci allarmò.Quella sera consumammo quanto ci restava <strong>di</strong> biltong. Nonvedevamo su quel versante alcun essere vivente, né alcunatraccia <strong>di</strong> corsi <strong>di</strong> acqua, malgrado la grande quantità <strong>di</strong> neve; equesto ultimo fatto ci parve ben strano.Ed ora, dopo <strong>di</strong> essere sfuggiti ai pericoli della sete,temevamo <strong>di</strong> morir <strong>di</strong> fame. Durante i tre giorni che seguirononon trovammo assolutamente nulla. Nessuna selvaggina abitavaquelle solitu<strong>di</strong>ni; ed il freddo si faceva sentire tanto più intenso,inquantoché uscivamo allora dalle fornaci del deserto. <strong>Le</strong>coperte che con tanta fatica avevamo trasportato sino lassù, ciarrecarono grande conforto; come pure l'acquavite, della quale87


prendevamo qualche sorso <strong>di</strong> tanto in tanto. Alla notte cistringevamo l'uno presso l'altro per conservare un po' <strong>di</strong> calore.Solo Venvogel sopportava il freddo più male <strong>di</strong> tutti noi.Un po' prima del tramonto del sole, nel quarto giorno, noigiungevamo esattamente alla base della seconda montagna chesi accavallava sopra la prima.Era altissima, coi fianchi ripi<strong>di</strong> e coperti dalla base allacima d'un immenso mantello <strong>di</strong> neve, che il sole tingevasuperbamente <strong>di</strong> rosso, facendolo vivamente scintillare versol'ultima vetta, come una corona risplendente posata <strong>di</strong> fronte algigantesco picco.– Ditemi dunque – gridò ad un tratto, Good, arrestandosibruscamente e volgendosi verso <strong>di</strong> me. – Il vostro vecchioportoghese non parlava d'una caverna che avrebbe dovutotrovarsi in questi paraggi?– Così <strong>di</strong>ceva il documento – risposi. – Io però non possoaffermarlo.– Ohe, signor Quatremain – <strong>di</strong>sse il signor Falcone. – Nonscoraggiateci prima del tempo, e poi si deve credere aldocumento del portoghese dopo che ci ha fatto trovare quellapozza. Io vi <strong>di</strong>co, amici, che noi troveremo infallantemente lacaverna.– Io non chiedo <strong>di</strong> meglio che <strong>di</strong> trovarla, – risposi, – solovi <strong>di</strong>co che se noi non vi giungiamo questa notte, non avremo <strong>di</strong>certo bisogno <strong>di</strong> un ricovero per la notte ventura.Nessuno rispose alla mia osservazione. Erano tutti convintidella verità delle mie parole.Avevamo già cominciata la salita, procedendofaticosamente, ed avevamo già raggiunta una certa altezza,quando Umbopa, che camminava presso <strong>di</strong> me, tenendosistrettamente avviluppato nella coperta, tutto d'un tratto mi preseper un braccio, <strong>di</strong>cendomi con voce trionfante:88


– Guardate laggiù quel buco, padrone.E così <strong>di</strong>cendo mi mostrava con una mano una puntadell'alta montagna.Guardai in quella <strong>di</strong>rezione ed a circa duecento metri danoi, scorsi in mezzo al bianco mantello nevoso un buco oscuro.– Dev'essere la caverna – <strong>di</strong>sse Umbopa.– Non si può ingannarsi – aggiunse il tenente Good.Affrettammo tutti il passo e superate alcune rocce coperted'un fitto strato <strong>di</strong> neve, giungemmo ben presto <strong>di</strong>nanzi aquell'apertura, la quale pareva che conducesse in qualchespaziosa caverna.Eravamo appena entrati che il sole, già prossimo altramonto, scomparve <strong>di</strong>etro l'orizzonte, lasciandoci in unaoscurità quasi perfetta.Sotto quelle latitu<strong>di</strong>ni non vi è, si può <strong>di</strong>re, crepuscolo.Tramontato l'astro <strong>di</strong>urno, le tenebre piombano <strong>di</strong> colpo, poichéfra il giorno e la notte non vi è transazione.Ci inoltrammo con precauzione entro quell'oscura aperturae giungemmo in fondo ad una vasta caverna che pareva fossealta assai.Essendo tutti stanchissimi, ci <strong>di</strong>videmmo gli ultimi sorsidella bottiglia d'acquavite per riscaldarci un po', quin<strong>di</strong> cisdraiammo gli uni presso gli altri cercando <strong>di</strong> addormentarci.La cosa era più facile a <strong>di</strong>rsi che a farsi: non ostante lanostra stanchezza, nessuno era capace <strong>di</strong> chiudere gli occhi incausa del freddo intenso che regnava anche entro quella caverna.Sentivamo le nostre membra gelarsi una ad una e nonriuscivamo a scaldarci nemmeno stringendoci gli uni addossoagli altri.Io non vedevo il momento che tornasse a sorgere il sole perrimetterci in cammino e rimettere un po' in circolazione ilsangue, poiché avevo il timore che qualcuno <strong>di</strong> noi non potesse89


isalutare il sole all'indomani.Qualche volta non<strong>di</strong>meno riuscivo ad assopirmi per pochiistanti; mi affrettavo però a svegliarmi, temendo che se mi fossicompletamente addormentato non potessi più mai riaprire gliocchi.Un po' prima che l'alba spuntasse vi<strong>di</strong> Venvogel che mistava a fianco appoggiarsi bruscamente contro la muraglia,mandando un sordo rantolo. Avevo u<strong>di</strong>to, tutta la notte, i suoidenti battere e stridere incessantemente; ora non u<strong>di</strong>vo più nulla.Dapprima credetti che quel povero <strong>di</strong>avolo si fosseaddormentato; ma poi mi nacque il sospetto che il freddo loavesse intrizzito, sapendo che lo soffriva assai più <strong>di</strong> tutti noi.In questo frattempo l'oscurità aveva cominciato a<strong>di</strong>ssiparsi. Dei riflessi d'oro si proiettavano sulla neve facendolasuperbamente scintillare, mentre il sole si alzava maestosamentesopra la massa granitica delle montagne, mandando i suoi raggiperfino dentro la caverna, a riscaldare un po' i nostri corpisemigelati. Guardai il povero Venvogel e m'accorsi che il<strong>di</strong>sgraziato cafro, invece <strong>di</strong> esser addormentato, era morto.La vista <strong>di</strong> quel cadavere rattrappito, ci fece un tale senso,che ci affrettammo ad allontanarci senza osare <strong>di</strong> toccarlo.Stavamo per uscire, quando volgendoci per guardare ilfondo della caverna, che la luce del sole a poco a poco invadeva,un grido <strong>di</strong> terrore ci sfuggì.All'estremità <strong>di</strong> quella grotta che si inoltrava nei fianchidella montagna per circa venti pie<strong>di</strong>, avevamo scorto un altrocorpo umano.La testa <strong>di</strong> quel cadavere era inclinata sul petto, e le suelunghe e scarne braccia, pendevano lungo i fianchi.Io lo guardai un momento, mentre un fremito <strong>di</strong> terroreinvadeva le mie membra, e vi<strong>di</strong> che quell'uomo era un bianco.Quell'inatteso spettacolo era troppo superiore alle nostre90


forze e senza attendere oltre fuggimmo precipitosamente, comese temessimo che quei due morti, Il bianco ed il negro, ciinseguissero.91


UN CADAVERE MUMMIFICATOGiunti fuori della caverna, alla luce del sole, ci arrestammoquasi vergognosi <strong>di</strong> essere fuggiti senza prima aver beneosservato quel nuovo cadavere, che teneva compagnia a quellodel povero cafro.– Io voglio rientrare – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, con tonodeciso. – Noi siamo stati sciocchi a fuggire, come se avessimoavuto <strong>di</strong>nanzi un leopardo o un leone.– Rientrare! – <strong>di</strong>ss'io. – Ed a quale scopo? Cosa importa anoi sapere chi possa essere quell'uomo bianco?– Ma io penso che potrebbe anche essere quello <strong>di</strong> miofratello – riprese il signor Falcone. – Siamo fuggiti cosìprecipitosamente che non ho avuto il tempo <strong>di</strong> guardare in visoquel morto.– Allora voi avete ragione – <strong>di</strong>sse Good. – An<strong>di</strong>amo avedere quel povero <strong>di</strong>avolo che ha avuto la cattiva idea <strong>di</strong> venirea morire in questa caverna.Ci facemmo animo e vincendo la nostra ripugnanza,rientrammo nella galleria e ci <strong>di</strong>rigemmo verso il fondo <strong>di</strong>quell'enorme spaccatura, la quale era allora così bene illuminatadai raggi obliqui del sole, da poter <strong>di</strong>stinguere senza <strong>di</strong>fficoltàl'oggetto del nostro terrore.Il cadavere <strong>di</strong> quell'uomo era appoggiato alla parete, su unaspecie <strong>di</strong> salita formata da alcune rocce. Era un in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> altastatura, dai lineamenti energici, con baffi lunghi, grigi ed ancorabene conservati, dalla testa calva e dalla pelle giallastra e seccacome quella delle mummie egiziane.Per vestito non aveva che <strong>dei</strong> brandelli <strong>di</strong> stoffa i quali92


lasciavano vedere parte del corpo. Al collo aveva un crocifissod'avorio sospeso ad una cor<strong>di</strong>cella e teneva una manorattrappita, stretta attorno ad uno <strong>dei</strong> suoi ginocchi ossuti, conuna certa posa da far rabbrivi<strong>di</strong>re.– Questo non è mio fratello – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, dopod'averlo esaminato attentamente ed emettendo un lungo sospiro<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione.– Chi può essere questo <strong>di</strong>sgraziato smarrito fra questemontagne? – <strong>di</strong>ss'io.– Chi?... – <strong>di</strong>sse Good, il quale in quel momento s'erabruscamente abbassato per raccogliere una piccola scheggia <strong>di</strong>legno che si trovava presso il cadavere.– Voi non lo indovinate adunque?– No davvero – risposi.– Ma questo <strong>di</strong>sgraziato deve essere il portoghese José daSylvestra.– Caro amico, – <strong>di</strong>ss'io, – volete scherzare? Sono ormaitrecent'anni che José Sylvestra è morto.– Trecento o quattrocento a me non importa; il tempo hanulla da fare. A voi, guardate questo pezzetto <strong>di</strong> legno tagliato informa <strong>di</strong> penna.– E cosa volete concludere?– Che questo è l'istrumento <strong>di</strong> cui si è servito il portogheseper tracciare il documento che voi possedete.– Ma sono tre secoli che è morto, vi <strong>di</strong>co.– Mettetene anche quattro se volete, e cosa importa?«Avete forse <strong>di</strong>menticato, amico mio, che ad unatemperatura bassissima la carne si conserva indefinitivamente.Fra tremila anni questo cadavere sarà conservato come loabbiamo trovato oggi, ve lo assicuro.«Signori miei, ora an<strong>di</strong>amocene onde non correre ilpericolo <strong>di</strong> tener compagnia, pei tremila anni futuri, a questo93


povero uomo. Io non mi sento <strong>di</strong>sposto a questo sacrificio,nemmeno voi, suppongo: an<strong>di</strong>amocene adunque!...»– Aspettate un momento – <strong>di</strong>sse in quell'istante il genovese,il quale esaminando il cadavere vi aveva scorto sul bracciosinistro, una piccola ferita.– Deve essere da quel forellino che egli ha tratto il sangueper scrivere il documento.Io nulla risposi: lo stupore mi aveva paralizzato. Presi lascheggia <strong>di</strong> legno raccolta da Good e che aveva servito <strong>di</strong> pennaal portoghese; il genovese con un colpo secco strappò alcadavere il crocefisso d'avorio, poi uscimmo portando ciascuno<strong>di</strong> noi un ricordo, lasciando quell'antro dove l'uno vicinoall'altro, dormivano il sonno eterno, il nobile lusitano<strong>di</strong>scendente <strong>di</strong> una illustre famiglia ed il miserabile cafro figlioselvaggio d'una razza degradata.Quella lugubre ed inattesa scoperta ci aveva per alcuniistanti fatto <strong>di</strong>menticare le nostre sofferenze, ma ci aveva peròmesso in capo delle idee ben tristi.Avremmo potuto noi sfuggire alla sorte <strong>di</strong>sgraziata cheaveva colpito il portoghese? La fame, il freddo, le fatiche edaltri malanni non avrebbero finito col vincere la nostra audacia ele nostre forze?Per sfuggire a quei pensieri, ci rimettemmo subito incammino. Veramente eravamo assai affranti e troppo assiderati;pure mettendo un piede <strong>di</strong>nanzi all'altro, e facendo appello atutte le nostre forze, verso il mezzogiorno, dopo una lunga<strong>di</strong>scesa, giungevamo sul margine d'una vasta pianura la quale siestendeva <strong>di</strong>nanzi a noi verdeggiante, fino ad un corso d'acqua.Guardando in <strong>di</strong>rezione del fiume, scoprimmo deglianimali che parevano occupati a <strong>di</strong>ssetarsi.– Cosa saranno quelle bestie? – chiese il signor Falcone,preparando la carabina.94


– Siano anche elefanti, noi andremo a cacciarli – risposeGood. – Io muoio <strong>di</strong> fame e <strong>di</strong>vorerei perfino un coccodrillo.– Quegli animali sono delle antilopi – <strong>di</strong>sse Umbopa dopo<strong>di</strong> averle osservate attentamente.– Si lasceranno avvicinare? – chiese il genovese.– Sono molto <strong>di</strong>ffidenti – risposi. – Per poterli accostarebisogna marciare sottovento e con gran<strong>di</strong> precauzioni e non <strong>di</strong>rado non si riesce a giungere a tiro nemmeno con queste misure.– Io però vi <strong>di</strong>co che possiamo far fuoco restando qui –osservò Good. – I nostri fucili hanno una buona portata.– Proviamo – <strong>di</strong>sse il genovese.Ci nascondemmo <strong>di</strong>etro alcune rocce e mirammo a lungo,con grande attenzione, premendoci <strong>di</strong> non mancare ai nostricolpi, quin<strong>di</strong> facemmo fuoco quasi contemporaneamente.Indovinate quale fu la nostra gioia quando vedemmo uno <strong>di</strong>quegli animali rizzarsi bruscamente sulle zampe posteriori,quin<strong>di</strong> stramazzare pesantemente al suolo.Dimenticammo la nostra debolezza e ci slanciammo in<strong>di</strong>rezione della vittima.Quell'animale era una splen<strong>di</strong>da antilope azzurra, unaspecie <strong>di</strong> cervo non troppo comune nell'Africa meri<strong>di</strong>onale, manon ci soffermammo a lungo ad esaminarla. Con pochi colpi <strong>di</strong>coltello la sventrammo e gli strappammo gli intestini ed il cuoreil quale era ancora palpitante.Guardammo con occhi quasi feroci quelle carni, maesitammo un po', trattenuti solo da uno sciocco ed inopportunopregiu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> uomini civili; ci ripugnava mangiare quella carneancor calda e così, cruda, come fossimo <strong>di</strong>ventati uominiselvaggi.– Bah! – gridò ad un tratto Good. – Quando si muore <strong>di</strong>fame, non bisogna essere schizzinosi! Date a me!Afferrò gl'intestini, li lavò frettolosamente nel fiumicello95


che scendeva attraverso le rocce, poi addentò ferocemente quelnutrimento ripugnante. Ebbene, lo credereste? Noi lo imitammoquasi subito e <strong>di</strong>vorammo ingordamente quella carne cruda, anziposso <strong>di</strong>rvi che la trovammo in quel momento, con tanta fameche ci tenagliava lo stomaco, incomparabilmente squisita.La fame è la migliore <strong>dei</strong> cucinieri e noi non potevamosmentire il proverbio.Quantunque i viveri abbondassero, noi fummo assaiprudenti, evitando <strong>di</strong> rimpinzare lo stomaco con troppa carne,onde non correre il pericolo <strong>di</strong> fare una in<strong>di</strong>gestione, dopo tantapenuria.Tagliammo i pezzi migliori dell'antilope per prepararci piùtar<strong>di</strong> <strong>dei</strong> deliziosi arrosti, poi fortificati da quel pasto e riposatida quella fermata, riprendemmo con maggior lena, edallegramente, la salita della grande montagna.– Ditemi – mi chiese ad un tratto il signor Falcone, dopoalcuni minuti <strong>di</strong> cammino. – Il documento lasciato dalportoghese non fa menzione d'una grande via?– Lo credo – risposi.– Non scorgete nulla lassù?Alzai gli sguar<strong>di</strong> e con mia sorpresa scorsi, incassata fra lerupi nevose, una larga linea bianca che si <strong>di</strong>rigeva verso ungruppo <strong>di</strong> altre montagne che si <strong>di</strong>segnavano in lontananza, in<strong>di</strong>rezione del deserto.– La vedete? – mi chiese il genovese.– Sì – risposi.– Che sia la via del portoghese?– Lo suppongo.– Cerchiamo <strong>di</strong> raggiungerla – <strong>di</strong>sse Good. – Ci serviràmeglio <strong>di</strong> guida pel ritorno.Accettammo il consiglio del tenente e dopo un'ora <strong>di</strong>marcia assai aspra e faticosa, giungevamo su <strong>di</strong> una grande e96


comoda via, rassomigliante ad una <strong>di</strong> quelle superbe stradecostruite dai romani e che dopo tanti e tanti secoli si conservanoancora in ottimo stato.Potete immaginarvi il nostro stupore nel trovare in un paesecosì selvaggio dell'Africa meri<strong>di</strong>onale una simile via.Cominciammo a salirla senza troppa fatica, essendo, come<strong>di</strong>ssi, assai comoda e dopo qualche po' giungemmo in unsecondo altipiano circondato, in lontananza, da altre montagne.Un grido <strong>di</strong> stupore sfuggì ai nostri petti, scorgendo <strong>dei</strong>boschi pittoreschi, <strong>dei</strong> corsi d'acqua serpeggianti fra opulentipraterie, delle terre che parevano coltivate con grande cura edelle truppe <strong>di</strong> animali. Non mancavano che delle capanne percompletare il quadro.– Urrah!... – gridò Good, alzando ed agitando trionfalmentele braccia. – Ecco un paesaggio che è molto promettente.Noi avevamo finalmente attraversata la regione arida. Quacominciavamo ad incontrare <strong>dei</strong> cespugli, <strong>dei</strong> grossi e fronzutimoshoma dal cupo e maestoso fogliame e <strong>dei</strong> macchioni assaifitti <strong>di</strong> mimose nilotiche assai spinose e <strong>di</strong> stinkhout, ossia <strong>di</strong>legni puzzolenti, così chiamati perché bruciando i rami <strong>di</strong> quellepiante, tramandano un odore niente affatto piacevole.Di passo in passo che scendevamo, inoltrandoci attraverso iboschi, la temperatura <strong>di</strong>ventava più dolce, la vegetazione piùsplen<strong>di</strong>da e più svariata e l'aria che soffiava dal piano ciapportava tratto tratto <strong>dei</strong> profumi deliziosi che noi aspiravamocon vero piacere.– Olà, amici – <strong>di</strong>sse Good. – Ora che siamo giunti in questobel paese, credo che sia giunto il momento <strong>di</strong> riposarci un po' eprepararci una buona colazione. Avete qualche obbiezione dafare?...– Nessuna – rispose il genovese. – Un bel pezzo <strong>di</strong> arrostolo desidero vivamente, credetelo.97


– Allora trasformiamoci in cuochi.Ci mettemmo a raccogliere frettolosamente <strong>dei</strong> rami secchi,ed accendemmo un allegro fuoco, mettendo ad arrostire un belpezzo <strong>di</strong> antilope infilzato in un bastoncino, come usano i cafri.I cafri non sono certo i migliori cucinieri del mondo, masanno molto meglio <strong>di</strong> noi trarre partito dalle circostanze, eprepararsi i cibi, sia in pieno deserto che sulla cima dellemontagne, senza aver bisogno né <strong>di</strong> spiedo, né <strong>di</strong> casseruole.Questa seconda colazione fu <strong>di</strong>vorata, e, lo credereste? Noila giu<strong>di</strong>cammo inferiore alla prima. Vedete quali effetti producela fame!Calmati gli stiracchiamenti dello stomaco ci credemmo in<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> fare una bella dormita e ne <strong>di</strong>e<strong>di</strong> l'esempio,allungandomi comodamente sotto la fresca ombra d'un fronzutoniawna.Dopo una dormita <strong>di</strong> qualche ora, aprii gli occhi e guardai imiei compagni; il signor Falcone e Umbopa mi avevano imitato,ma mi accorsi che Good non era coricato presso <strong>di</strong> noi.Lo vi<strong>di</strong> invece sulla riva d'un ruscello occupato a fare unaminuziosa toletta. Lo vi<strong>di</strong> spogliarsi degli indumenti, lavarliperbene con cura meticolosa, poi tenderli fra i rami per farliasciugare, quin<strong>di</strong> passare in rivista i suoi stivali. Poveri stivali!In quale stato erano ridotti dopo tante marce! Good si mise astrofinarli con del grasso d'antilope, poi se li rimise ai pie<strong>di</strong>.Ciò fatto estrasse un piccolo rasoio da viaggio e dopod'averlo affilato sulla pelle ingrassata delle scarpe, si accomodòai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> un albero, cercando <strong>di</strong> radersi la barba.L'operazione doveva essere molto ardua a giu<strong>di</strong>carlo dallesmorfie e dalle contorsioni che faceva; non<strong>di</strong>meno eglicontinuava coraggiosamente nella <strong>di</strong>fficile impresa.Già si era rasa mezza barba, quando lo u<strong>di</strong>i a gridare:– Dannato paese! Che non possa fare i miei como<strong>di</strong>?98


Mi alzai <strong>di</strong> scatto e vi<strong>di</strong> presso <strong>di</strong> lui alcuni negri armati, eche non avevano <strong>di</strong> certo un aspetto rassicurante.– Camerati! – gridai. – Aprite gli occhi ed afferrate le armi.Il genovese ed Umbopa, che dormivano presso <strong>di</strong> me, nonsi fecero ripetere il comando.Balzarono sulle armi e le puntarono risolutamente versogl'in<strong>di</strong>geni, minacciando <strong>di</strong> scaricarle contro <strong>di</strong> loro.Quei negri erano <strong>dei</strong> robusti garzoni vestiti con un semplicesottanino; ciò che attirava la nostra attenzione erano le loroarmi, le quali consistevano in lance assai affilate e in certi gran<strong>di</strong>coltelli che portavano sospesi ai fianchi.Il signor Falcone prese <strong>di</strong> mira quei selvaggi, ma essiinvece <strong>di</strong> spaventarsi lo guardarono tranquillamente, seguendo isuoi movimenti senza inquietarsi. Ciò ci fece comprendere chele armi da fuoco dovevano essere a loro sconosciute.– Camerati, – <strong>di</strong>ss'io, – credo che noi c'intenderemo senzaaver bisogno delle armi.I fucili furono abbassati ed io mi volsi verso quei negri,<strong>di</strong>cendo in lingua zulù:– Vi saluto.Figuratevi la mia sorpresa quando u<strong>di</strong>i uno <strong>di</strong> quei negri,un bel vecchio e che dall'aspetto mi sembrava un capo, avendoattorno alla testa delle piume, rispondermi nell'eguale lingua eche io compresi facilmente.– Vi saluto.Poi dopo d'averci guardato per qualche istante, riprese:– Chi siete voi? Cosa venite a far qui? Perché le vostrefacce sono bianche e perché quella <strong>di</strong> quell'uomo assomigliatutta a quella <strong>dei</strong> nostri fratelli?Ciò <strong>di</strong>cendo in<strong>di</strong>cava Umbopa, il quale effettivamenteaveva la loro statura ed i tratti del volto quasi eguali.Mi feci innanzi, <strong>di</strong>cendo:99


– Noi veniamo da lontano, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> queste montagne,dalle rive del mar salato e quest'uomo che vi rassomiglia ènostro servo.– Voi mentite – rispose fieramente il capo. – Non siattraversano impunemente queste montagne che hanno giàspento tutti coloro che hanno ar<strong>di</strong>to affrontarle. Ma cheimportano le vostre parole menzognere? Voi andate incontro allamorte, poiché nessun straniero ha il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> venire a calpestarela terra <strong>dei</strong> koukouana! Seragga, prepara i tuoi coltelli.– Cosa <strong>di</strong>ce quel vecchio gufo? – gridò Good impazientito.– Dice che vuol provare il filo <strong>dei</strong> suoi coltelli sulla nostrapelle, per poi metterci probabilmente allo spiedo.– Ah! I furfanti credono che noi abbiamo paura <strong>dei</strong> lorocoltelli! Aspettate un po' e vedrete.Com'era sua abitu<strong>di</strong>ne quand'era perplesso, portò la manoalla sua dentiera artificiale e la staccò, facendola cadere sullabbro inferiore.Quel movimento non isfuggì ai selvaggi, anzi parvero cosìimpressionati da farli retrocedere <strong>di</strong> qualche passo.– Good! – gridò il signor Falcone, il quale vide subitoquale partito insperato poteva trarsi da quella dentiera. – Pareche i selvaggi abbiano avuto paura <strong>dei</strong> vostri denti.Good comprese <strong>di</strong> cosa si trattava e con gesto rapidonascose la dentiera in una manica della camicia.– Aprite la bocca – <strong>di</strong>sse il genovese. – Mostratela a lorosenza denti.Good s'affrettò ad obbe<strong>di</strong>re. A quella vista i selvaggimandarono un lungo grido <strong>di</strong> terrore.– Good! Rimettete i vostri denti! – gridammo.Il tenente con un gesto rapido che passò quasi inosservatorimise a posto la dentiera e mostrò ai selvaggi quasi stupiti legengive perfettamente armate.100


Lo stupore <strong>dei</strong> poveri negri non ebbe allora più limiti.Colui che abbiamo u<strong>di</strong>to chiamarsi Seragga si gettò a terrarotolandosi fra le erbe, mentre il vecchio capo e tutti gli altritremavano così forte, che le loro ginocchia parevano dovesseropiegarsi da un istante all'altro.– Siete voi degli spiriti? – chiese il capo, con voce tremula.– Noi non abbiamo mai veduto degli uomini che si levano identi e che se li ripongono a posto come fate voi. Se siete degliesseri superiori, vi prego <strong>di</strong> non far del male alla mia tribù.– Noi non vi faremo nulla, – <strong>di</strong>ss'io, guardandosuperbamente quei negri tremanti <strong>di</strong> spavento, – ma colui chepel primo ardì alzare la sua arma sul capo dell'uomo dai dentimobili, meriterebbe una severa lezione.– Perdonate a lui – <strong>di</strong>sse il capo. – Egli è il figlio del re, e<strong>di</strong>o solo sono responsabile delle sue azioni.– Sta bene, – <strong>di</strong>ss'io, – ma vogliamo darvi ancora una provadella nostra potenza onde impariate a temerci ed a rispettarcimeglio. Vedete voi laggiù quell'antilope che pascola sul margine<strong>di</strong> quel bosco?– Sì, la ve<strong>di</strong>amo – rispose il capo.– Ebbene, state ora attenti a quello che succede.Mi volsi verso il nostro servo, <strong>di</strong>cendogli con ariaminacciosa:– Cane d'uno schiavo!... Dammi il tubo fiammeggiante.Umbopa capì cosa volevo fare e s'affrettò a porgermi ilfucile.– Uomini selvaggi – ripresi io, rivolgendomi verso i negriche ci guardavano con crescente stupore. – Ditemi, siete a corto<strong>di</strong> viveri?– Perché ci fate questa domanda? – chiese il capo deldrappello.– Perché io voglio regalarvi quell'antilope.101


– Ma se è lontana da noi?– Io la ucciderò egualmente, senza muovermi da qui.– Ecco una cosa assolutamente impossibile.– Ma che io forò per darvi un'idea della nostra straor<strong>di</strong>nariapotenza – <strong>di</strong>ss'io. – State attenti e preparatevi a raccogliere lapreda.Mirai attentamente l'animale che pascolava a trecento metrida noi, poi feci fuoco.I selvaggi, udendo lo sparo caddero al suolo, urlando <strong>di</strong>terrore, mentre l'antilope, colpita dalla mia palla, stramazzavasul margine del bosco.– Andate a raccoglierla – <strong>di</strong>ss'io, con una certa impazienza.Ad un segno del vecchio capo, due uomini, dopo un po' <strong>di</strong>esitazione, si recarono sul margine del bosco e tornaronoportando l'antilope da me uccisa.– Lo vedete: è morta – <strong>di</strong>ss'io. – Ora se qualcuno <strong>di</strong> voidubita della potenza del mio tubo fiammeggiante, vada a porsinel luogo ove cadde l'animale ed io lo ucciderò senza muovermida questo posto.Non sarebbe necessario <strong>di</strong>re che nessuno <strong>dei</strong> selvaggi sisentì il coraggio <strong>di</strong> tentare la prova.Il figlio del re, colui che avevamo u<strong>di</strong>to chiamare Seragga,si fece innanzi <strong>di</strong>cendomi:– Noi cre<strong>di</strong>amo alla potenza del tuo tubo fiammeggiante enon dubitiamo che tu possa uccidere anche un uomo come haiucciso l'antilope, a meno che mio zio non voglia provarlo.Il vecchio negro parve offeso da quelle parole:– No, no – <strong>di</strong>ss'egli vivamente. – Se vogliono fare la provai nostri stregoni, la facciano pure, ma io non ho alcunaintenzione <strong>di</strong> parlare colla canna fiammeggiante. Conduciamoquesti uomini dal nostro re e là, se qualcuno porrà in dubbio lapotenza <strong>di</strong> quel tubo, ne faranno l'esperimento a loro spese.102


Poi avvicinatosi a noi ci <strong>di</strong>ede alcune informazioni sulleloro persone e sullo scopo del loro viaggio. Egli, il vecchiocapo, si chiamava Infadou, il re <strong>dei</strong> koukouana Touala, eSeragga era il figlio del monarca. Si trovavano in quelle pianureper caso, avendo voluto scortare il figlio del re ad una partita <strong>di</strong>caccia.– Si trova molto lontano il re? – chiesi io.– Il suo kraal è situato a tre giornate <strong>di</strong> marcia – mi risposeil vecchio capo.– Volete condurci da lui?...– Se così lo desiderate, noi vi guideremo.Fece un gesto ad alcuni <strong>dei</strong> suoi uomini, i qualis'affrettarono ad impadronirsi <strong>dei</strong> nostri leggeri bagagli nonsolo, ma anche delle vesti <strong>di</strong> Good, il quale, come già <strong>di</strong>ssi, erastato sorpreso dai negri mentre stava facendo toletta.Il tenente si mise a strepitare per avere i suoi calzoni, ma ilvecchio negro <strong>di</strong>sse:– Il signore dai denti mobili, non si inquieti; i miei schiaviporteranno le sue vesti.– Ma io non voglio camminare senza calzoni!... – gridòGood.Io ed Umbopa ebbimo un bel tradurre le parole, ma ilvecchio capo si limitava a ripetere:– No, il signore dai denti mobili non s'inquieti e nonnasconda agli occhi <strong>dei</strong> suoi servitori le sue belle gambebianche.Intanto durante questa <strong>di</strong>scussione, i negri erano partitivelocemente, portando con loro gli effetti del povero Good.– Alla malora gli scellerati!... – urlò il povero tenente. – Mihanno portato via i pantaloni!...– Calmatevi amico – <strong>di</strong>sse il genovese, ridendo dellacollera del compagno. – Il prestigio che vi siete procurato colla103


vostra dentiera, nulla perderà, anzi io credo che aumenterànotevolmente. Guardate che aspetto imponente che avete ora,colla vostra camicia <strong>di</strong> lana svolazzante, i vostri stivali infilatinelle gambe nude ed il vostro occhialetto!... Siete più magnifico<strong>di</strong> prima, ve lo assicuro. E poi, <strong>di</strong> che cosa vi lagnate!...Stimatevi fortunato <strong>di</strong> avere i vostri stivali e <strong>di</strong> essere sotto unclima così mite che permette <strong>di</strong> farne senza <strong>dei</strong> pantaloni.– Al <strong>di</strong>avolo i negri ed i miei pantaloni – brontolò Good,fra il serio ed il burlesco. – Quello che mi secca è <strong>di</strong> doverpresentarmi al re in questo stato poco attraente.104


IL RE TOUALAGuidati dal capo negro e dal figlio del re, ci mettemmo inmarcia, seguendo quella gran<strong>di</strong>osa via che ci aveva condotti finoa quel luogo, e che continuava a prolungarsi attraverso amontagne ed a pianure sempre larghe e comode.Ora era tagliata nella roccia viva, serpeggiando nel cuore <strong>di</strong>alte montagne; ora lambiva <strong>dei</strong> profon<strong>di</strong> precipizi, riparata dasoli<strong>di</strong> muriccioli <strong>di</strong> pietra che impe<strong>di</strong>vano qualsiasi <strong>di</strong>sgrazia;ora saliva ed ora scendeva, mantenendosi sempre eguale.Ad un certo punto noi giungemmo sotto una galleriascavata in una rupe gigantesca. Era lunga una dozzina <strong>di</strong> metri ele sue pareti erano coperte <strong>di</strong> figure strane e <strong>di</strong> geroglifici cheparevano parole.– Ma queste figure sono <strong>di</strong> origine egiziana – <strong>di</strong>sse il signorFalcone, dopo d'averle osservate attentamente. – Ecco degli ibis,gli uccelli sacri <strong>dei</strong> Faraoni che si trovano scolpiti su tutti gliantichi monumenti del paese delle pirami<strong>di</strong> e delle mummie.– Ma volete che gli egiziani si siano spinti sino qui?... –chiese Good, con tono incredulo. – Non <strong>di</strong>menticate che siamonell'Africa meri<strong>di</strong>onale.– Chissà! Forse in un'epoca molto lontana qualche tribùegiziana può aver attraversato il continente dal nord al sud edessere venuta qui a stabilirsi.– Hum! La cosa è poco cre<strong>di</strong>bile.– E perché? Forse che gli antichi egiziani non avevanodelle nozioni molto esatte sulla configurazione del nerocontinente?... Conoscevano tutte il corso del Nilo, il Niger nonera a loro ignoto ed i gran<strong>di</strong> laghi dell'interno erano a loro noti105


molti secoli prima che gli europei potessero vederli.– Questo è vero.– Proviamo ad interrogare il vecchio capo – <strong>di</strong>ss'io. – Forsepuò darci qualche spiegazione.Mi appressai ad Infadou e gli chiesi se sapeva <strong>di</strong>rmi chierano stati gli uomini che avevano costruita quella gran<strong>di</strong>osa viae che avevano aperto quella galleria.– Io non so molte cose – mi rispose il negro. – So però chequesta grande via è stata costruita da un popolo industrioso cheabitava queste contrade prima <strong>di</strong> noi.«<strong>Le</strong> nostre tribù sono qui venute <strong>di</strong>ecimila lune or sono edavendo trovato il paese fertile e bello vi restarono, prendendonepossesso colla forza della armi.«Io <strong>di</strong> più non posso <strong>di</strong>rvi, ma se vorrete avere maggiorispiegazioni ve le potrà dare la nostra strega che passa per unadonna molto istruita.»– Vostro cognato regna su tutto il paese?...– Touala è possente e regna su <strong>di</strong> un popolo numerosocome le sabbie del deserto. Quando chiama alla guerra i suoisoldati, le loro piume coprono una immensa superficie delpaese.– E perché tiene tanti soldati? – chiesi. – Voi non doveteavere guerra con chicchessia, essendo <strong>di</strong>fesi da un grandedeserto e da aspre montagne.– Al nord il paese è scoperto ed il pericolo viene <strong>di</strong> là. Neiprimi tempi <strong>di</strong> questa generazione dovemmo già sostenere duesanguinose guerre, una interna ed una esterna.– Vi è stata forse qualche sollevazione fra le vostre tribù?– Sì, provocata da due fratelli figli <strong>di</strong> re. Dovete sapere cheil re <strong>di</strong> Kafa, aveva avuto due figli gemelli. Essendovi qui ilcostume <strong>di</strong> uccidere il più debole <strong>dei</strong> due neonati, la madre delre ebbe compassione pel fanciullo destinato alla morte e lo106


sottrasse ai sicari incaricati <strong>di</strong> ucciderlo, affidandolo alla stregaGagoul, la quale lo allevò segretamente.«Alla morte del padre, il gemello favorito, che si chiamavaImotu, fu nominato re.«Accadde che in quel tempo scoppiò una grande guerra allaquale il re non poté prendere parte, essendo stato ferito duranteuna partita <strong>di</strong> caccia.«La popolazione si mise a mormorare contro <strong>di</strong> lui, ancheperché alle nostre truppe erano toccati vari rovesci. La stregaGagoul approfittò allora del malumore delle tribù e presentòaudacemente il gemello che aveva allevato, affermando che eglisolo era il re legittimo.«Nacque un vivo tumulto, il re Imotu, quantunque ancoraammalato uscì dalla <strong>di</strong>mora reale per frenare i ribelli, ma suofratello gli si scagliò contro e con un colpo <strong>di</strong> lancia lo uccise,facendosi poi proclamare re <strong>dei</strong> koukouana.«La moglie <strong>di</strong> Imotu, apprendendo la fine del marito, presecon sé il figlio Ignosi che contava allora tre anni e fuggì dalregno, incamminandosi verso l'immenso deserto. Cosa siaaccaduto <strong>di</strong> loro lo si ignora, ma si crede che sieno morti fraquelle sabbie infuocate.»– E se quel fanciullo vivesse ancora, sarebbe il relegittimo?– Certamente, mio signore.In quell'istante mi volsi per vedere cosa facevano i miecompagni e con mia grande sorpresa vi<strong>di</strong> Umbopa, il qualeascoltava la storia del vecchio capo con uno stupore cosìprofondo scolpito sul viso, che ne rimasi colpito.– Dimmi, gli chiesi, t'interessa molto questo racconto?– Moltissimo – mi rispose egli con aria misteriosa.– Forse che hai u<strong>di</strong>to parlare <strong>di</strong> questo Ignosi?– Forse.107


Poi senza aggiungere altro mi volse le spalle rimettendosiin cammino.Avevamo riprese le mosse da qualche ora seguendo ilvecchio capo e la sua scorta, quando ad una curva della grandevia scorgemmo una numerosa truppa <strong>di</strong> negri marciare verso <strong>di</strong>noi. Erano tutti begli uomini alti e robusti e portavano <strong>dei</strong> gran<strong>di</strong>scu<strong>di</strong> <strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> bue, delle lunghe lance dalla larga lama, etenevano sospesa ad una cintura <strong>di</strong> pelle <strong>dei</strong> pesanti coltelli.Scorgendoci, spiegarono rapidamente le loro colonne e conun or<strong>di</strong>ne ammirabile occuparono le alture guardanti la grandevia, in modo da chiuderci il passo e da schiacciarcicompletamente, se lo avessero voluto.– Chi sono quei negri? – chiesi al vecchio capo. – Amici onemici che dobbiamo combattere?– Sono i guerrieri della mia tribù – mi rispose il vecchiocapo. – Avevo loro inviato un corriere per avvertirli del nostroarrivo ed essi sono accorsi a scortare gli amici del loro capo.Quando giungemmo in mezzo alle linee degli armati, ilvecchio Infadou alzò la sua lancia e tosto, come uno scoppiofurioso <strong>di</strong> tuono, irruppe dal petto <strong>dei</strong> tremila guerrieri, il salutoreale: Koum!Poi tutti, nel più perfetto or<strong>di</strong>ne, formarono nuovamente lecolonne e si misero in marcia, <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi, per scortarci alkraal.Ben presto noi giungemmo ad un villaggio africano. Essoera circondato da un largo fossato e <strong>di</strong>feso da un'alta e robustapalizzata; <strong>dei</strong> ponti levatoi, alquanto primitivi, davano accessonella piazza.Quando giungemmo nell'interno, ci accorgemmo che queiselvaggi avevano qualche nozione <strong>di</strong> topografia citta<strong>di</strong>na.Infatti il kraal era <strong>di</strong>viso da una larga e comoda viaombreggiata da superbi fichi sicomori e fiancheggiata da108


pittoresche capanne, <strong>di</strong>vise le une dalle altre da cortili e dagiar<strong>di</strong>netti cintati.Delle donne in<strong>di</strong>gene, attirate dalla novità dello spettacolo,ci corsero incontro salutandoci con alte grida ed osservammoche avevano <strong>dei</strong> lineamenti molto più regolari, e delle figuremolto più intelligenti delle negre ottentotte. Ci guardavano collapiù grande meraviglia ed osservavano soprattutto le gambe <strong>di</strong>Good, meravigliandosi della loro tinta bianca.Infadou ci assegnò per ricovero un recinto, <strong>di</strong>feso da unapalizzata e cosparso nell'interno <strong>di</strong> foglie secche, mostrandosidolente <strong>di</strong> non potere offrire <strong>di</strong> meglio, ma assicurandoci chenella piccola capanna che si elevava al centro, saremmo statisufficientemente riparati dal sole e dalla polvere.Entrati, trovammo delle pelli tese come amache, chedovevano servire da letti e <strong>dei</strong> vasi pieni d'acqua che dovevanoservirci per la pulizia.Avevamo appena finita l'ispezione, quando alcuni negri cicondussero un bue assai grasso, che subito uccisero, mettendolointeramente a nostra <strong>di</strong>sposizione.Scegliemmo i pezzi migliori, incaricando una giovinenegra, che ci era stata mandata in qualità <strong>di</strong> serva, <strong>di</strong> cucinarli;poi <strong>di</strong>stribuimmo gli avanzi del bue alla folla che si eraagglomerata intorno alla cinta.Quando la cena fu pronta mandammo ad invitare Infadoued il figlio del re, pregandoli <strong>di</strong> volerci tenere compagnia. Ilvecchio capo si mostrò riconoscentissimo dell'onore fattogli e citenne allegra compagnia, mente invece Seragga ci parve nonpoco mal contento, ed avendogli chiesto il motivo, ci rispose chele emozioni <strong>di</strong> quel viaggio lo avevano soverchiamente stancatoe che non vedeva l'istante <strong>di</strong> giungere da suo padre, anche perrassicurare la sua scorta, la quale cominciava ad avere unagrande paura della nostra misteriosa potenza.109


Terminata la cena e rimasti noi soli, prendemmo dellemisure precauzionali per passare tranquillamente la notte, nonfidandoci completamente <strong>di</strong> quei selvaggi, i quali potevanoapprofittare del nostro sonno per giuocarci qualche brutto tiro.Visitammo accuratamente le pareti della capanna perrassicurarci della loro soli<strong>di</strong>tà, poi, dopo d'aver visitata la cinta,caricammo tutti i nostri fucili e ci accordammo per vegliare unpaio d'ore ciascuno.Il sole non si era ancora alzato, che gli inviati del vecchiocapo bussavano già alla porta della capanna, per avvertirci chela numerosa falange stava per mettersi in marcia.Fummo lesti ad alzarci e pochi minuti dopoabbandonavamo il villaggio negro, <strong>di</strong>rigendoci a marce forzateverso Loo, ossia verso la città reale. Due giorni dopo, verso iltramonto, noi facevamo l'entrata trionfale nella capitale delregno.Quella città era situata in mezzo ad una grande pianura edera <strong>di</strong>visa in due parti eguali da un bellissimo fiume, attraversatoin più luoghi da pittoreschi ponti <strong>di</strong> legno.Un profondo fossato, semiripieno <strong>di</strong> piante spinose,ostacoli insormontabili pei pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong> <strong>dei</strong> negri ed una robustacinta <strong>di</strong> legno, la ponevano al coperto da ogni attacco esterno.Scorgendo il vecchio capo, le sentinelle che vegliavano alleporte della cinta, abbassarono i ponti levatoi, e noi, scortati epreceduti dalle numerose colonne <strong>di</strong> Infadou, attraversammouna gran parte del kraal, attirando sul nostro passaggio unnumero enorme <strong>di</strong> curiosi.Giunti <strong>di</strong>nanzi ad una grande capanna dal tetto circolare e<strong>di</strong>fesa da una cinta, il vecchio capo c'invitò ad entrare, <strong>di</strong>cendocicon una certa nobiltà:– Siete in casa vostra.– Ma quando potremo vedere il re? – gli chiesi.110


– Ora è troppo tar<strong>di</strong> e poi devo prima avvertirlo della vostrapresenza, senza <strong>di</strong> che monterebbe forse in furore.– È forse cattivo il vostro re?– Lo giu<strong>di</strong>cherete domani – mi rispose il capo, con unsospiro. – Entrate e riposate tranquilli.Ciò detto ci salutò con un gesto della mano e s'allontanòseguìto dai suoi numerosi guerrieri.Eravamo appena entrati nella capanna quando vedemmogiungere <strong>dei</strong> negri carichi <strong>di</strong> vivande, <strong>di</strong> pezzi <strong>di</strong> antilopearrostiti, <strong>di</strong> miele, <strong>di</strong> burro freschissimo, <strong>di</strong> latte, <strong>di</strong> frutta e <strong>di</strong>recipienti ripieni d'una specie <strong>di</strong> birra che doveva essere statafatta con sorgo o con miglio fermentato e che trovammoeccellente.Good, prima <strong>di</strong> dare l'assalto alla cena, rovistò tutte leceste, sperando <strong>di</strong> trovare i suoi calzoni, ma con sua grande<strong>di</strong>sperazione non vi erano.– Per centomila ottentotti! – esclamò egli, sbuffando esospirando ad un tempo. – Vogliono proprio che mi presenti alre colle gambe nude? Mi pare che questa sia una vera indecenza.– Mio caro amico, – <strong>di</strong>sse il genovese, ridendo, – iocomincio a credere che voi non potrete averli mai più.– E cosa v'induce a supporre ciò?– Mi è venuto un sospetto.– E quale?– Che questi selvaggi abbiano destinati i vostri pantaloni adun altissimo ufficio.– Ossia?– Che ne abbiano fatta una ban<strong>di</strong>era.– La ban<strong>di</strong>era della tribù? – esclamò Good, scoppiando inuna fragorosa risata.– Comincio a sospettarlo.– Ah! Burlone! Sicché dovrei tornarmene nei paesi civili111


senza pantaloni?– Cosa importa? Non vi basta l'onore <strong>di</strong> vederli sventolaresul palazzo reale del potente regno <strong>dei</strong> koukouana?– Al <strong>di</strong>avolo voi ed anche questi stupi<strong>di</strong> <strong>di</strong> negri chem'hanno derubato <strong>di</strong> un così importante indumento.– Via! – <strong>di</strong>ss'io, mettendo <strong>di</strong>nanzi a Good un bel pezzo <strong>di</strong>arrosto. – Consolatevi con questa deliziosa antilope chetramanda un profumo da far risuscitare un morto.Il povero uomo accettò <strong>di</strong> buon grado il mio consiglio e simise a lavorar così bene <strong>di</strong> denti che noi, per invi<strong>di</strong>a, ciaffrettammo ad imitarlo.Terminata la cena innaffiata da un abbondante bevuta <strong>di</strong>birra, ci sdraiammo su <strong>dei</strong> freschi fasci <strong>di</strong> foglie recateci daglischiavi messi a nostra <strong>di</strong>sposizione e ci addormentammo d'unsonno così profondo, che non ci avrebbe svegliato nemmeno ilruggito d'un leone.Verso le nove dell'indomani, il vecchio Infadou ci venne adavvertire che il re ci attendeva. Noi, per non aver l'aria <strong>di</strong> esseretroppo curiosi, lo pregammo <strong>di</strong> attenderci qualche ora, volendoanche fare un po' <strong>di</strong> toletta e preparare le nostre formidabilicanne fiammeggianti.Giunto il momento, caricammo accuratamente i fucili peressere pronti a qualsiasi sorpresa e ci avviammo verso la <strong>di</strong>morareale, scortati da un drappello <strong>di</strong> guerrieri.Il recinto reale era situato in mezzo alla città ed occupavauno spazio vastissimo.Nel centro si elevavano tre gran<strong>di</strong>ose costruzioni in forma<strong>di</strong> capanne, coi tetti assai accuminati e irti <strong>di</strong> antenne sostenentidelle pelli <strong>di</strong> leoni.Lo spazio compreso fra la cinta e le capanne reali, eraoccupato da un gran numero <strong>di</strong> guerrieri armati <strong>di</strong> lance e <strong>di</strong>coltellacci e che si tenevano immobili, come tante statue <strong>di</strong>112


onzo.La vista <strong>di</strong> quelli uomini così perfettamente allineati e<strong>di</strong>sciplinati, che si mantenevano in un silenzio assoluto ma checi guardavano con certi occhi tutt'altro che benigni, produsse su<strong>di</strong> noi un certo effetto e le nostre mani cercaronoinvolontariamente i grilletti <strong>dei</strong> fucili.Guidati dal vecchio capo attraversammo quelle lineecompatte e ci arrestammo <strong>di</strong>nanzi alla porta della capannamaggiore.Tutto ad un tratto un vivo movimento si manifestò neiguerrieri schierati nella cinta ed un uomo <strong>di</strong> statura imponente,col capo adorno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>adema <strong>di</strong> penne d'avvoltoio ed il corpoavvolto in una splen<strong>di</strong>da pelle <strong>di</strong> leopardo comparve, seguìto daSeragga, che già noi conosciamo, e da un brutto e piccoloin<strong>di</strong>viduo che a prima vista scambiammo per una scimmia e chesi affrettò a rifugiarsi in un angolo ombroso della capanna.Quando quell'uomo, che era il re, giunse <strong>di</strong>nanzi a noi,lasciò cadere la pelle che lo copriva.La vista <strong>di</strong> quel monarca produsse su <strong>di</strong> noi un effettostraor<strong>di</strong>nario: era <strong>di</strong> statura quasi gigantesca, con unamuscolatura così enorme da farci supporre che dovessepossedere una forza più che erculea; aveva le labbra grosse etumide come quelle <strong>dei</strong> negri ed il naso schiacciato; uno <strong>dei</strong> suoiocchi era nerissimo e brillava d'una fiamma cupa, l'altro invecegli mancava, mostrando una cavità orribile.L'espressione del suo volto poi era improntata d'unacrudeltà impossibile a descriversi.Quel gigante aveva il petto racchiuso entro una vecchiacotta d'acciaio, stretta ai fianchi da un certo numero <strong>di</strong> code <strong>di</strong>buoi, l'ornamento nazionale <strong>di</strong> quasi tutte le tribù sud-africane;al collo teneva una grossa collana d'oro e <strong>di</strong> pietre preziose, enella destra bran<strong>di</strong>va una lancia <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione enorme.113


Il re guardò per alcuni istanti i suoi soldati schieratinell'immenso recinto e alzò l'arma che teneva in pugno. Tostouna foresta <strong>di</strong> lance si alzò e mille voci ripeterono tre volte, conun clamore assordante, spaventevole, il saluto reale: – Koum!Il silenzio si era già ristabilito, quando tutto d'un tratto fuinterrotto; un soldato aveva inavvertitamente lasciato cadere ilsuo scudo e questo battendo sul duro terreno aveva mandato unsordo suono.Touala, il re gigante, fissò col suo occhio feroce il soldatomaldestro, <strong>di</strong>cendogli con voce minacciosa:– Avanzati!Noi vedemmo il <strong>di</strong>sgraziato guerriero tremare <strong>di</strong> spaventosotto la sua pelle nera, e, dopo una breve esitazione, farsiumilmente innanzi, <strong>di</strong>cendo con voce semispenta:– Perdonate, mio re; è stato un accidente.– Chi sei tu, cane d'uno schiavo, che <strong>di</strong>sonori il mioesercito <strong>di</strong>nanzi a questi stranieri? – urlò il re. – Tu pagherai latua <strong>di</strong>strazione colla tua vita.Poi volgendosi verso il figlio, gli chiese:– Seragga, la tua lancia è ben affilata?Il giovane principe s'avanzò con un sorriso crudele, mentreil povero soldato si copriva il viso con ambe le mani, senza peròfare un passo per isfuggire alla terribile sorte che lo attendeva.Noi eravamo pietrificati dal terrore e non osavamointervenire, per tema <strong>di</strong> scatenare la collera del terribile monarcaanche contro <strong>di</strong> noi.– Seragga!... – gridò ad un tratto il re. – Sei pronto?– Sì – rispose il principe, bilanciando l'arma.– Uno!... Due!...Tre!...L'arma si immerse nel corpo del povero negro, il qualecadde al suolo senza mandare un solo grido, mentre il sangue glicopriva rapidamente il petto.114


Il signor Falcone aveva fatto un gesto per slanciarsi innanzied armare il fucile, ma io lo trattenni violentemente, prima che inegri potessero accorgersi <strong>di</strong> quella mossa.– Tu sei valente, figlio mio – <strong>di</strong>sse il re volgendosi versoSeragga che stava pulendo la lama sanguinante della sua lancia.– Portate ora via quel cane d'uno schiavo!Alcuni uomini s'affrettarono ad uscire da una delle capannee trascinarono via il cadavere del povero soldato, mentre unagiovane negra copriva con sabbia il sangue che aveva inzuppatoil suolo.Quando le tracce dell'assassinio furono scomparse, ed ilsilenzio ristabilito, il feroce monarca si levò in pie<strong>di</strong> evolgendosi verso <strong>di</strong> noi, gridò:– Uomini bianchi!... Chi siete voi e da quale lontano paesevenite?... Cosa siete venuti a fare qui?...Io allora mi feci animosamente innanzi, <strong>di</strong>cendo:– Noi veniamo molto da lontano, da un paese che è situatoal <strong>di</strong> là delle montagne e del grande deserto, e siamo qui venutiper visitare il tuo regno. Forse che ti <strong>di</strong>spiace?– Voi siete venuti da lontano per vedere ben poche cose – cirispose il re. – A me non rincrescere vedervi e ricevervi, mapensate che io sono il padrone <strong>di</strong> queste terre e che se io volessipotrei farvi subire l'egual sorte toccata al soldato maldestro.Noi ne sapevamo perfino troppo della crudeltà <strong>di</strong> quel re, eudendo quelle parole ci sentimmo correre un certo brivido <strong>di</strong>paura, non<strong>di</strong>meno conservammo una tranquillità e freddezzaassoluta.– Tu ci minacci – <strong>di</strong>ss'io, guardandolo fisso e con ariabaldanzosa. – I tuoi guerrieri non ti hanno detto adunque quantonoi siamo possenti?... Hai mai veduto tu un uomo simile aquesto?Così <strong>di</strong>cendo facevo cenno a Good <strong>di</strong> avanzarsi.115


– No – <strong>di</strong>sse il re, guardando con stupore il nostrocompagno e fissando specialmente l'occhialetto incastratonell'orbita. – Io non ho mai veduto un uomo che abbia un occhiocosì risplendente, né delle gambe <strong>di</strong> quel colore.– Cre<strong>di</strong> tu adunque che noi siamo esseri superiori?– Non ancora, poiché io non ho avuta nessuna prova dellavostra potenza.– Non ti hanno parlato delle nostre canne fiammeggianti?– Sì, ma io nulla ho veduto e se è vero che i tuoi tubiuccidono a grande <strong>di</strong>stanza, dammene una prova.– Sono pronto a dartela.– Allora ucciderai quell'uomo che si trova laggiù,appoggiato alla palizzata – mi <strong>di</strong>sse il re, in<strong>di</strong>candomi un poveronegro che si trovava a centocinquanta passi da noi.– No – risposi io, risolutamente. – Noi non ucci<strong>di</strong>amo gliuomini senza motivo, essendo abituati a rispettare la vita umana.Fa' uscire dal tuo kraal un bue ed io te lo ucciderò senzamuovermi da qui.– Se le vostre armi non uccidono gli uomini a cosa sonoutili?– Tu adunque non cre<strong>di</strong> che possano abbattere anche unguerriero?– No – mi <strong>di</strong>sse il re.– Ebbene, giacché dubiti della potenza <strong>dei</strong> nostri tubifiammeggianti, or<strong>di</strong>na a tuo figlio che si ponga alla porta delkraal ed io farò fuoco su <strong>di</strong> lui.– Tu sei audace, o straniero – mi rispose il re, con voceaspra. – Voglio però credere alla efficacia delle tue armi e faraila prova su <strong>di</strong> un bue per ora.Mentre alcuni uomini, ad un or<strong>di</strong>ne del re, conducevano ungrosso bue verso la porta del kraal, mi volsi verso il genovese,<strong>di</strong>cendogli:116


– Questa volta sparerete voi onde non credano che glistregoni possenti siamo io e Good soli.– Avete ragione – mi rispose. – Io non ho la dentiera enemmeno il monocolo come il mio compagno, per farmi temere.Puntò attentamente il fucile mirando il bue, il quale si<strong>di</strong>rigeva adagio adagio verso l'uscita del kraal.Un profondo silenzio regnava allora nell'immenso recinto:si sarebbe quasi potuto u<strong>di</strong>re una mosca a volare. Il re, Seragga,il vecchio capo e tutti i guerrieri trattenevano il fiato per nonperdere il colpo e non staccavano gli occhi dal bue e dalbersagliere.Il signor Falcone attese che il bue fosse lontanocentocinquanta metri, poi fece fuoco.Il povero animale, colpito al cuore dal valente tiratore,rotolò al suolo fulminato.Un lungo mormorìo d'ammirazione si levò fra i guerrieridel re, a quell'inaspettata caduta del grosso ruminante.Io mi avvicinai al monarca che non si curava <strong>di</strong> nascondereil suo stupore e gli <strong>di</strong>ssi freddamente:– Vuoi ora provare se le nostre armi possono abbattere tuofiglio?– No, no! – esclamò il re, con voce spaventata.– Saresti contento <strong>di</strong> possedere anche tu un'arma cosìformidabile?...– Oh sì!... – rispose, mentre il suo occhio lampeggiava daldesiderio. – Se io potessi avere un tubo fiammeggiante eguale aquello che voi avete, non temerei più nessuno.Presi il fucile del povero Venvogel che avevamoconservato e glielo porsi, <strong>di</strong>cendogli:– Ecco il dono degli uomini bianchi, ma prima vogliomostrarti che è formidabile quanto quelli che noi posse<strong>di</strong>amo. Tiavverto però che tu non dovrai servirtené contro gli uomini,117


altrimenti ti porterà sventura. Ora fa' piantare una lancia in terraed io ti mostrerò come quest'arma la spezzi <strong>di</strong> colpo.L'or<strong>di</strong>ne fu subito eseguito ed io mirai con estremaprecisione la lancia onde non sbagliare il colpo e con una pallaben aggiustata la mandai in ischegge, con grande stupore del ree <strong>di</strong> tutto il suo esercito.Presi il fucile e lo porsi al re, il quale se lo prese convivacità, mettendoselo al fianco.In quell'istante quel brutto essere, che noi avevamoscambiato per una scimmia e che si era sdraiato ai pie<strong>di</strong> del re, sialzò, mostrando il suo volto.Solo in quel momento ci accorgemmo che non era unquadrumane, bensì una orribile vecchia rachitica,spaventosamente magra, colla pelle incartapecorita, che lafaceva rassomigliare ad una vera mummia egiziana.La sua testa sembrava il cranio d'un morto e per tale lo sisarebbe senza fatica scambiato, se quella pelle fosse stata biancainvece <strong>di</strong> nera, e se al posto delle orbite non si fossero vedutidue piccoli occhi neri, scintillanti come carboni.Quella orribile megera si avanzò verso il re e stendendoverso <strong>di</strong> lui una mano adunca come quella d'una bestia selvaggiae munita <strong>di</strong> unghie lunghissime, gridò con una voce aspra,sgradevole e che produceva ai nostri orecchi un effetto strano:– Ascoltami re!... Ascoltami popolo!... Cielo, terra, morti evivi, ascoltatemi tutti!... Io sono profeta!...<strong>Le</strong> sue parole erano state ascoltate nel più religioso silenziodal re, dai capi e dall'esercito, pareva anzi che tutti fossero sottol'impressione d'un vivo terrore.La vecchia strega, dopo alcuni istanti <strong>di</strong> silenzio, riprese:– Del sangue!... Del sangue!... Io vedo scorrere fiumi <strong>di</strong>sangue!... Che odore tramanda tutto questo sangue!...«Ma ben altro se ne spargerà in queste regioni e gli118


avvoltoi manderanno le loro strida <strong>di</strong> gioia e la terra tremeràtutta.«Io sono vecchia, ma vedo lontano, leggo nel libro deldestino e vedo avanzarsi l'uomo bianco. Disgrazia!... Disgraziaal nostro popolo!... L'uomo bianco un tempo aveva invasoqueste terre e costruita la grande via delle montagne, poi la suarazza scomparve, ma tornerà per riprendersi i suoi domini equesti tre solitari, qui giunti, sono l'avanguar<strong>di</strong>a della razza dallapelle bianca.«Che cosa venite a fare qui voi bianchi, che siete cosìsaggi, così esperti e così possenti?... Quello che aveva perduto lavostra razza che un tempo qui imperava?«Da molti, da lunghi secoli, un solo bianco ha osatoinoltrarsi in questi territori abbandonati dai suoi padri; ma egli èmorto. Venite a cercare il suo cadavere, oppure venite araccogliere le pietre brillanti? Comunque sia voi rimarrete qui,onde impe<strong>di</strong>re che la sventura piombi sul popolo <strong>dei</strong> neri.»Poi volgendosi verso Umbopa, gridò:– E tu chi sei, tu che hai la pelle eguale alla nostra? Tu nondevi essere venuto a cercare le pietre brillanti ed il metallogiallo?... Io vorrei vedere il sangue che scorre nelle tue vene eleggere nel tuo cuore per conoscere il segreto che nascon<strong>di</strong> ed iltatuaggio misterioso che celi sotto la tua cintura.In quel momento la vecchia strega fu presa come da unattacco epilettico e cadde al suolo <strong>di</strong>battendosi.Il re pareva spaventato e non meno <strong>di</strong> lui dovevano esserloi suoi capi ed i suoi guerrieri.Rimessosi un po' dalla sorpresa, fece sfilare <strong>di</strong>nanzi a sétutte le orde, poi volgendosi verso <strong>di</strong> me <strong>di</strong>sse:– Bianco!... Gagoul, la vecchia strega della nostra tribù, hapronunciato delle strane parole. Io ho paura <strong>di</strong> voi e bisogna chevi uccida, poiché la strega me l'ha consigliato.119


Lo guardai ar<strong>di</strong>tamente in viso, <strong>di</strong>cendogli:– Se tu dovessi alzare una mano su <strong>di</strong> noi, ti toccherebbeuna grave sciagura. Non hai veduto cadere il bue?– Il re non è un bue, – mi rispose egli, – e le minacce nonmi fanno paura.– Io non ti minaccio; ti avverto solamente.Il gigante si passò una mano sulla fronte come se volessescacciare un importuno pensiero, poi aggiunse, cambiando tono:– Questa notte si farà una grande festa: è la serata dellanostra strega Gagoul.– Ebbene? – gli chiesi.– Io vi invito a prendervi parte.– Noi verremo, ma bada che noi saremo pronti a sventarequalunque <strong>di</strong>segno delittuoso.– Non farò nulla, né nulla intraprenderò questa notte contro<strong>di</strong> voi. Si vedrà domani cosa noi dovremo fare <strong>di</strong> te e <strong>dei</strong> tuoicompagni.Lo salutai senza rispondere e feci ritorno alla nostracapanna, seguìto da' miei compagni. Credo inutile <strong>di</strong>rvi cheeravamo tutti assai preoccupati dalla cattiva piega cheprendevano le nostre avventure e che quella sera mangiammocon nessun appetito e nessuna allegria.120


LA FESTA DELLA STREGAAvevamo appena terminata la nostra triste cena, quandovedemmo entrare Infadou. Il vecchio capo mi parve assaipreoccupato, ed attribuii ciò alle minacciose parole che il re ciaveva <strong>di</strong>rette poco prima.Per accertarmene, mi rivolsi a lui, <strong>di</strong>cendogli a bruciapelo:– Voi avete un re che non mi sembra degno <strong>di</strong> governare unpopolo così numeroso come il vostro. Io sono certo che dai suoisud<strong>di</strong>ti non deve essere amato. Cosa ne <strong>di</strong>te voi?Il capo mi guardò per alcuni istanti, in silenzio, poi <strong>di</strong>sse:– Voi avete ragione; egli è un uomo crudele e da lungotempo tiranneggia il suo popolo. Per lui non vi è <strong>di</strong>fferenza fra ipiù gran<strong>di</strong> capi ed i più miserabili schiavi, e tanto gli uni comegli altri tratta come fossero non persone ma bestie, ed il paeseintero geme sotto le sue mani implacabili. Se volete avere unaprova della sua efferatezza venite questa sera alla festa dellastrega e vi persuaderete del modo crudele con cui tratta lapopolazione del regno.– Ebbene – <strong>di</strong>ss'io. – E perché tollerate un simile tiranno?Ribellatevi e privatelo del potere supremo.– Ma, mio signore, ignorate voi che Seragga è l'eredelegittimo? Il cuore del figlio è più crudele ancora <strong>di</strong> quello delpadre; quin<strong>di</strong> che governi l'uno o l'altro il popolo non ha nulla <strong>di</strong>buono da sperare. Oh! Se il figlio d'Imotu vivesse ancora!Umbopa che si era lentamente avvicinato e che ascoltavacon viva attenzione le nostre parole, <strong>di</strong>sse bruscamente:– Chi vi assicura che il giovine Ignosi sia morto? Ditemi,se fosse vivo, credete che potrebbe riprendere il suo posto?121


Infadou guardò Umbopa con occhio torbido, <strong>di</strong>cendoglicon voce severa:– Chi sei tu e chi ti ha dato il permesso d'interrompere ituoi superiori?– Ascoltami, capo, – <strong>di</strong>sse Umbopa senza prendersela amale <strong>di</strong> quelle osservazioni; – tu cre<strong>di</strong> che Ignosi sia morto ed ioinvece ti <strong>di</strong>co che egli vive.Il vecchio capo lo guardò con profondo stupore per alcuniistanti, senza essere capace <strong>di</strong> parlare, poi facendo uno sforzo gli<strong>di</strong>sse, con voce irata:– Non è possibile! Tu menti!– Ed io vi <strong>di</strong>co che la madre <strong>di</strong> Ignosi non è morta neldeserto, come si crede.– Chi te lo <strong>di</strong>sse?– Lo saprete più tar<strong>di</strong>. Vi <strong>di</strong>rò intanto che quand'ella lasciòil kraal inospitaliero e scese nella pianura, s'incontrò con alcunicacciatori i quali la condussero seco loro nel paese degli zulù.Colà poté allevare senza tema il figlio; insegnargli la storia delsuo paese e fargli apprendere il motivo della sua fuga non solo,ma anche fargli balenare la speranza che un giorno potesserisalire sul trono <strong>di</strong> suo padre. Cresciuto forte e gagliardo, Ignosiemigrò nei paesi <strong>dei</strong> bianchi in attesa dell'occasione propizia pertornare al paese natìo e detronizzare l'usurpatore.– Ma come sai tutto ciò? – chiese Infadou, il cui stuporenon aveva più limiti.– Guardatemi bene in viso: io sono Ignosi! – risposesemplicemente il nostro servo.– Tu! – esclamò il vecchio capo guardando Umbopa conaria incredula.– Io – rispose Umbopa con voce ferma, senza abbassare gliocchi sotto gli sguar<strong>di</strong> acuti <strong>di</strong> Infadou.– Dammi una sola prova se vuoi ch'io ti creda.122


– Conosci il segno sacro che portano impresso, attorno ifianchi, i principi ere<strong>di</strong>tari della nostra nazione?– Sì.– Cos'è?– Un serpente azzurro tatuato tutto intorno al corpo.– Ebbene: guarda.Così <strong>di</strong>cendo Umbopa aveva lasciato cadere rapidamente ilgonnellino che gli stringeva i fianchi, mostrando un tatuaggioazzurro che raffigurava un serpente.– Cre<strong>di</strong> ora a quanto t'ho detto?Infadou esaminò attentamente quel segno che cingeva lereni del nostro uomo, poi cadde in ginocchio <strong>di</strong>nanzi a lui,<strong>di</strong>cendo con voce tremante:– Sì, io riconosco il serpente sacro che viene <strong>di</strong>segnato aifigli ere<strong>di</strong> del trono. O Ignosi, sei tu il mio re.– Ebbene, zio mio – riprese Umbopa. – Mi aiuterai ariacquistare il trono <strong>di</strong> mio padre?Il vecchio capo rimase silenzioso.– Perché esiti, zio mio? – chiese Umbopa. – Ignori forseche la tua vita è nelle mani del re e che domani potresti perderela testa sotto il coltello <strong>dei</strong> suoi carnefici?– È vero – rispose il capo.– Allora cosa sarebbe <strong>di</strong> Ignosi privo del tuo appoggio? Seio devo riconquistare il trono <strong>di</strong> mio padre è necessario agirepresto onde allontanare da noi i menomi sospetti. Quandodovessi <strong>di</strong>ventare re <strong>di</strong> questo popolo, io ti prometto <strong>di</strong> serbare ate i più gran<strong>di</strong> onori e <strong>di</strong> concederti il miglior posto alla cortereale.– Io non esito più, Ignosi – <strong>di</strong>sse finalmente il vecchiocapo. – Io sono tuo e pronto a combattere per la tua causa.Allora Ignosi volgendosi verso <strong>di</strong> noi, ci <strong>di</strong>sse con unacerta nobiltà:123


– E voi, miei cari capi bianchi, miei amici, mi presterete ilvostro aiuto, voi che avete le braccia sì possenti? Io nulla possoper ora offrirvi in ricompensa, ma se potrò giungere al poterenon avrete che da manifestare i vostri desideri.– Quanto a me, – <strong>di</strong>sse il genovese, – non ho bisogno <strong>di</strong>alcuna ricompensa perché gl'italiani non sono abituati a venderei loro aiuti; desidererei però che tu m'aiutassi a ritrovare il miopovero fratello.– Contate su <strong>di</strong> me, signore.– E tu conta sul mio fucile. Io sarei ben contento <strong>di</strong> trattarequel manigoldo <strong>di</strong> re come si merita e rendere felice questopovero popolo.– Grazie, signore.Quin<strong>di</strong> Ignosi guardandomi in volto, mi <strong>di</strong>sse:– E tu mi seconderai sempre coi tuoi consigli?– Di questo puoi essere certo, – risposi io, – ma mi sembrache non sia il caso <strong>di</strong> vendere la pelle dell'orso prima d'averloucciso.– Vedrete che col soccorso <strong>di</strong> mio zio io salirò sul trono <strong>di</strong>mio padre.– In tal caso sii certo ch'io non t'abbandonerò.– Grazie – mi rispose Ignosi. – E cosa dovrò fare per te?– Il signor Falcone ha parlato per suo conto e rifiutaqualunque ricompensa perché è ricco; ma io sono un povero<strong>di</strong>avolo, ed accetterò tuttociò che vorrai offrirmi.– Cosa chiederesti? Parla e tu l'avrai.– Io so che in questo paese vi sono molti <strong>di</strong>amanti <strong>dei</strong> qualivoi non sapete trarre alcun profitto.– È vero; per noi le pietre brillanti non hanno alcun valore.– Ebbene, dammi <strong>di</strong> quei <strong>di</strong>amanti.– Ti prometto <strong>di</strong> regalarti tutti quelli che si troveranno nelregno.124


– Ma, miei amici, – ci interruppe Good, – tutto ciò èbellissimo, ma come farai tu, Umbopa, a riven<strong>di</strong>care i tuoi<strong>di</strong>ritti?– Che cosa mi consiglia <strong>di</strong> fare mio zio? – chiese Ignosi,rivolgendosi al vecchio capo.– Atten<strong>di</strong>amo questa notte – <strong>di</strong>sse Infadou.– Che cosa ha intenzione <strong>di</strong> fare? – gli chiese il signorFalcone.– Di promuovere un'improvvisa rivolta subito dopo ilmassacro che seguirà la festa. Io andrò a parlare ad alcuni capimiei amici, li metterò al corrente degli avvenimenti eraccoglieremo tante truppe, da schiacciare in un colpo solo ipartigiani del re. Intanto tenetevi tranquilli e prendete un po' <strong>di</strong>riposo.Infadou stava per lasciarci, quando comparvero alcunimessaggeri reali portando a noi tre splen<strong>di</strong>de cotte d'acciaiosomiglianti a quelle che avevamo vedute indossare dai principi,quin<strong>di</strong> delle spade e delle lance magnifiche.– Chi ha fabbricato queste armature? – chiesi io ad Infadou,quando i messi reali se ne furono andati.– Io lo ignoro; so però che i nostri vecchi principi nefacevano uso. Il re ne possiede alcune, ma non le adopera che luisolo per <strong>di</strong>fendersi contro le spade e le lance <strong>dei</strong> nemici.– E perché le ha mandate a noi?– Io non lo so; ciò forse <strong>di</strong>mostra che egli vi tiene in grandeconto. Indossate queste vestimenta magiche e sarete sicuricontro qualunque colpo <strong>di</strong> lancia e <strong>di</strong> spada.Noi seguimmo il consiglio del vecchio capo e<strong>di</strong>ndossammo quelle solide cotte, quin<strong>di</strong> ci sedemmo fuori dellacapanna, impazienti <strong>di</strong> conoscere il seguito delle nostre straneavventure.La luna stava sorgendo <strong>di</strong>etro alle alte montagne,125


ischiarando la grande pianura come in pieno giorno, quandoalcuni messi reali vennero a prenderci per condurci alla festadella strega Gagoul.Il recinto delle capanne reali, come la prima volta, eraoccupato da un numero enorme <strong>di</strong> guerrieri in assetto <strong>di</strong>combattimento. <strong>Le</strong> loro armi scintillavano vivamente sotto ipalli<strong>di</strong> raggi della luna e le loro lunghe piume ondeggiavano allafresca brezza notturna.Noi attraversammo i loro lunghi ranghi silenziosi e<strong>di</strong>mmobili, ed andammo a sederci al posto assegnatoci, il quale sitrovava <strong>di</strong>nanzi alla capanna reale.Il re non si fece attendere a lungo. Egli indossava come noiuna cotta d'acciaio scintillante, e portava sul capo un cerchiod'oro adorno <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> piume <strong>di</strong> struzzo; in mano poi teneva unbastone forcuto.Seragga, il principe ere<strong>di</strong>tario, e la strega Gagoul, loseguivano.– Sono contento che voi siate venuti, o uomini bianchi – ci<strong>di</strong>ss'egli con voce giuliva. – Io vi mostrerò uno spettacolo chemai avrete veduto nei vostri paesi. M'affretto a dare il segnale,poiché le ore saranno troppo brevi per la grande festa notturna.– Troppo brevi! Troppo brevi! – <strong>di</strong>sse la vecchia strega convoce gutturale.Si alzò tenendo in mano una forca simile a quella cheimpugnava il re e mandò un lungo grido stridente.Tosto una cinquantina <strong>di</strong> vecchie negre, le più orribili chesi possano immaginare, sorsero come per incanto fra i ranghi <strong>dei</strong>guerrieri e formato <strong>di</strong>nanzi al re un grande cerchio si misero adanzare vertiginosamente, al suono d'un istrumento formato daparecchie pietre sonore, e <strong>di</strong> certi tamburi fatti con tronchid'albero vuoti e ricoperti <strong>di</strong> pelle.Saltavano come furie infernali, eseguendo delle pantomime126


impossibili a descriversi, mentre <strong>dei</strong> canti gravi e monotoni sialzavano fra le numerose orde <strong>dei</strong> guerrieri.Tutto d'un tratto quelle vecchie megere si afferrarono permano e si scagliarono, come un torrente impetuoso, fra le file<strong>dei</strong> soldati, i quali, quantunque fossero armati, si affrettavano aretrocedere come se avessero paura <strong>di</strong> venire toccati.Quei <strong>di</strong>sgraziati non avevano torto, poiché ogni uomo cheveniva toccato, veniva tosto preso dai suoi compagni, trascinato<strong>di</strong>nanzi al re e consegnato ad alcuni carnefici i qualis'affrettavano a decapitarlo a colpi <strong>di</strong> coltellaccio.Potete immaginarvi il nostro terrore a quelle orribili scene<strong>di</strong> sangue! Lo spavento che invadeva i guerrieri invadeva purenoi, e cominciavamo a tremare per la nostra vita.– Fuggiamo – <strong>di</strong>sse Good. – Questo spettacolo mi fanausea.– È impossibile – risposi io. – Il re potrebbe prendersela amale e scagliarci contro quelle furie ed i suoi carnefici.– Ma io non posso resistere a tante infamie.– La prudenza ci insegna a non muoverci <strong>di</strong> qui.– E se quelle orribili megere venissero verso <strong>di</strong> noi?– Abbiamo le armi e le respingeremo.Mentre <strong>di</strong>scorrevamo, le sanguinarie vecchie continuavanoa correre attraverso i ranghi <strong>dei</strong> soldati, scegliendo le lorovittime ed i carnefici del re continuavano ad accumulare teste.Ad un tratto quello che Good temeva, avvenne. <strong>Le</strong> vecchie,dopo essere passate attraverso a due ranghi <strong>di</strong> guerrieri, si<strong>di</strong>ressero correndo verso <strong>di</strong> noi. Facevano paura a vederle:avevano i capelli arruffati, gli occhi scintillanti come carboniardenti e la spuma alle labbra.Vedendole avvicinarsi, noi ci stringemmo gli uni contro glialtri, preparandoci a <strong>di</strong>fendere estremamente le nostre vite.Quando giunsero a pochi passi da noi, una <strong>di</strong> esse si staccò127


dal gruppo e s'avanzò toccando con un bastone forcuto Umbopa.– Noi vogliamo vedere il sangue che scorre nelle tuevene!... – gridò la megera, con voce strillante. – Io ti conosco: tuvieni da lontano ma sei nato qui; le jene domandano il tuocarcame e noi il tuo sangue!...Subito due guerrieri si slanciarono verso Umbopa perafferrarlo, ma noi ci gettammo <strong>di</strong>nanzi a lui, mentre io puntavoil mio fucile verso il re, gridando:– Re Touala, fa' ritirare le tue streghe ed i tuoi soldati,poiché non ti lasceremo il nostro servo senza <strong>di</strong>fenderlo. La suavita costerà anche la tua.Intanto il signor Falcone aveva preso <strong>di</strong> mira Seragga eGood la vecchia Gagoul. Tutti e tre eravamo pronti a fare fuocose non si ubbi<strong>di</strong>va prontamente.Il re, visibilmente spaventato, si era alzato, <strong>di</strong>cendoci convoce alterata:– Abbassate i vostri tubi fiammeggianti: Gagoul è saggia ele sue parole pre<strong>di</strong>cano delle gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>sgrazie. Io dovreiobbe<strong>di</strong>re ai suoi desideri, ma non tra<strong>di</strong>rò le leggi dell'ospitalità enon permetterò che venga torto un solo capello al vostro servo.Ciò detto si volse, fece segno ai guerrieri, che si eranocollocati <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi, per obbe<strong>di</strong>re forse a degli or<strong>di</strong>ni segreti,<strong>di</strong> ritirarsi, quin<strong>di</strong> riprese:– Se lo desiderate, tornare alla vostra capanna, non avendoancora deciso sulla vostra sorte. Vi avverto però che nell'ora incui il sole sarà egualmente lontano dall'aurora e dal tramonto,avrà luogo la danza delle giovani donne e che per allora io avròriflettuto su quanto dovrò fare. Intanto andate a riposarvi.Rispondemmo al suo saluto e ci affrettammo a lasciare ilrecinto col cuore angosciato dall'orrore.– Per centomila leoni!... – esclamò il signor Falcone,quando fummo fuori dal kraal reale. – Non era possibile128


immaginare uno spettacolo più atroce <strong>di</strong> quello che abbiamoveduto questa sera.– Siamo stati stupi<strong>di</strong> a non bruciare un po' <strong>di</strong> polvere sottoil naso <strong>di</strong> quelle canaglie – <strong>di</strong>sse Good.– Sarebbe stata una pazzia che avremmo pagata ben cara –risposi io. – Cosa avreste voluto fare con tre soli fucili controtanti guerrieri armati? Dopo i primi spari ci avrebbero fatti apezzi.– È vero; ci avrebbero voluti alcuni pezzi d'artiglieria.– Ed un reggimento <strong>di</strong> fucilieri.– Però anche senza cannoni e senza fucili abbiamo ottenutoil nostro scopo – <strong>di</strong>sse il genovese.– Avete ragione – rispose Good. – Io credevo davvero chepel nostro povero Umbopa la fosse finita.– E che il suo trono andasse all'aria per sempre – aggiunsel'italiano. – Mio caro Ignosi, puoi vantarti <strong>di</strong> averla scampatabella.– Lo so, signori bianchi, – rispose il nostro ex-servo, – e viassicuro che Ignosi non <strong>di</strong>menticherà mai <strong>di</strong> dovervi la vita.Quando giungemmo alla capanna il sole stava per alzarsi.Visitammo accuratamente il recinto per tema che vi fossenascosto qualche sicario della strega Gagoul, poi, essendo tuttistanchissimi, ci sdraiammo sui nostri giacigli, cercando <strong>di</strong>dormire, senza speranza però <strong>di</strong> riuscirvi.<strong>Le</strong> paure e l'orrore provato durante quella notte ci avevanocosì scombussolati, da non essere capaci <strong>di</strong> chiudere gli occhi unsolo istante.Potevano essere le nove o le <strong>di</strong>eci, quando vedemmoentrare Infadou seguìto da alcuni capi suoi amici, che avevanoabbracciato o che almeno avevano l'intenzione <strong>di</strong> appoggiare lacausa d'Ignosi.Il nostro ex-servo li ricevette con una <strong>di</strong>gnità veramente129


eale e narrò loro succintamente i <strong>di</strong>versi accidenti della suavita, per provare che egli fosse veramente il figliodell'assassinato re; quin<strong>di</strong> per meglio persuaderli mostrò loro iltatuaggio che egli era stato fatto attorno alle reni.I capi lo ascoltarono in silenzio ma non parvero del tuttopersuasi <strong>di</strong> quanto avevano u<strong>di</strong>to.– Dateci un segno che ci <strong>di</strong>mostri che voi siete veramentel'erede legittimo del trono e noi vi aiuteremo a rovesciare Touala– <strong>di</strong>ssero finalmente.– Non vi basta il tatuaggio? – chiesi io, intervenendo.– No, signor bianco, non basta – mi risposero.– Cosa volete adunque?– Una prova che ci <strong>di</strong>mostri essere egli veramente protettodagli spiriti e da voi.– Ma quel serpente azzurro dovrebbe bastare per in<strong>di</strong>carviessere egli veramente il sangue reale.– È vero, ma voi non ci avete ancora detto se lo proteggete.– Siamo pronti a <strong>di</strong>mostrarvelo.– E come?– Ditecelo voi in qual modo.– Dateci un segno manifesto della vostra potenza a suoriguardo.Noi eravamo in grande imbarazzo, non sapendo davverocosa pretendessero quei negri cocciuti. Ciascuno <strong>di</strong> noiruminava nel proprio cervello per trovare una soluzione, quandoGood <strong>di</strong>sse tutto ad un tratto:– Ho trovato!... Oh! I capi saranno sod<strong>di</strong>sfatti e fors'anchetremeranno.– Che cosa volete <strong>di</strong>re? – gli chiedemmo.– Che noi daremo a loro un segno ben chiaro della nostrapotenza. Figuratevi che ce lo darà il sole.– Spiegatevi Good.130


– Questa mattina, osservando il mio piccolo calendario cheho portato con me, lessi che oggi deve aver luogo un eclissitotale <strong>di</strong> sole.– A che ora? – chiedemmo.– Alle un<strong>di</strong>ci pei paesi situati al sud dell'equatore.– Ecco una eclissi che ci renderà un bel servizio – <strong>di</strong>sse ilgenovese, con vero entusiasmo.Lo guardai con un po' <strong>di</strong> sorpresa ed anche con un po'd'ironia. Non essendo mai stato forte in matematica astronomicanon approvavo affatto i suo entusiasmo, tanto più che noncredevo affatto all'infallibilità degli astronomi.– Mio caro signore – <strong>di</strong>ssi a Good. – Siete voi sicuro che ilfenomeno arriverà proprio oggi?– Lo <strong>di</strong>ce il mio almanacco – mi rispose.– E se gli astronomi si fossero ingannati?– È impossibile.– Voglio credervi, ma pensate che se noi annunciamo ilgrande fenomeno e che poi non avvenisse, perderemmo tutta lanostra fama <strong>di</strong> esseri superiori e rovineremmo con noi ancheIgnosi.– E perché? – chiese Good, colla sua solita vivacità. – Glialmanacchi sono sempre fatti scientificamente e se annuncianouna eclissi, questa avverrà infallantemente all'ora stabilita.– Ebbene, vada per l'eclissi.I due amici si assorbirono in certi calcoli che io noncomprendevo e conchiusero che il fenomeno doveva avvenire,nel luogo ove si trovavano, poco prima del mezzodì. Alloraassumendo un'aria da ispirato, <strong>di</strong>sse ai capi:– La prova ve la daremo.– Quando? – chiesero i negri.– Oggi stesso – rispose. – Voi domandate un segnostraor<strong>di</strong>nario: alzate gli occhi verso il sole che coi suoi raggi <strong>di</strong>131


fuoco illumina il mondo. Fra due ore egli si coprirà d'un velonero, la terra piomberà fra le tenebre, e ciò in<strong>di</strong>cherà che questogiovane è veramente Ignosi, il vostro re legittimo.Un sorriso d'incredulità apparve sulle labbra <strong>dei</strong> capi negri.– Dite al sole <strong>di</strong> oscurarsi ed alle tenebre <strong>di</strong> scendere e noitutti, il popolo compreso, crederemo alla vostra potenza e nonesiteremo più a riconoscere Ignosi per nostro re.– Questo segno voi l'avrete – aggiunsi io.I capi, sod<strong>di</strong>sfatti dalle mie parole se ne andaronosilenziosamente insieme ad Infadou, il quale pareva lietissimo <strong>di</strong>quanto avevamo promesso.Quando fummo soli, Ignosi ci si avvicinò, <strong>di</strong>cendoci:– Grazie, amici bianchi: ancora una volta dovrò a voi iltrono <strong>dei</strong> miei padri. Contate sulla mia eterna riconoscenza.Essendo prossima l'ora della festa delle giovani donneannunciataci dal re, riprendemmo le nostre armi e ci <strong>di</strong>rigemmoverso il kraal reale, conducendo con noi Ignosi. L'aspetto delvasto recinto era cambiato. Invece <strong>di</strong> trovarlo pieno <strong>di</strong> soldatiarmati, rigurgitava <strong>di</strong> ragazze tutte inghirlandate ed adorne <strong>di</strong>braccialetti d'oro e <strong>di</strong> avorio, tenendo in mano delle gran<strong>di</strong>foglie <strong>di</strong> palmizio, che agitavano graziosamente, a guisa <strong>di</strong>ventagli.Quantunque fossero nere, erano per la maggior parte belle.Il re ci ricevette con grande affabilità, come fossepremuroso <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare ciò che era accaduto alla notte e cheper poco non era costata la vita al nostro servo.– Io ormai vi considero come figli del mio regno – ci <strong>di</strong>ssecon un amabile sorriso.Poi alzò le mani e le danze cominciarono.Quelle giovani negre si muovevano in mille guise,eseguendo graziose pantomime e danze intrecciate che io non vipotrei descrivere, poiché in fatto <strong>di</strong> balli non ero più forte che in132


calcoli astronomici: perdonerete <strong>di</strong> certo l'ignoranza <strong>di</strong> unvecchio cacciatore.Vi posso <strong>di</strong>re solamente che mi parve danzassero con moltagrazia e con sorprendente agilità.Dopo i balli in massa, seguirono <strong>dei</strong> balli separati i qualidurarono molto tempo.Ad un certo momento il re si avvicinò chiedendoci qualedanzatrice ci sembrava la più abile e la più bella.– Quella che si trova innanzi a tutte – rispondemmo.– Avete ragione – ci rispose. – È veramente la più valente ela più graziosa.– Volete forse farle qualche regalo? – gli chiesi.– Sì, ma un regalo che a voi non garberebbe <strong>di</strong> certo – mirispose.– E quale sarebbe?– Quella fanciulla fra poco sarà morta.– Morta! – esclamai. – Ma questa è una crudeltà inau<strong>di</strong>ta!...Ucciderla perché è la più graziosa e la più bella?– Essa morrà – <strong>di</strong>sse il re con tono reciso. – È il nostrocostume ed io devo fare ciò che prima facevano gli altri re. Quisi usa offrire ai geni delle montagne la più brava e la più belladanzatrice del regno.– E non potete salvarla?...– È impossibile! Se io lo facessi, una grande sventurapiomberebbe sul mio paese, e anche su <strong>di</strong> me.– Non credete a queste storie – <strong>di</strong>ss'io.– Eppure è la verità. Il re che prima <strong>di</strong> me sedeva sul trono,si lasciò commuovere dalle lagrime della fanciulla destinata adessere sacrificata ai geni della montagna e la sventura piombò su<strong>di</strong> lui. Fu ucciso nel fiore degli anni e suo figlio non ere<strong>di</strong>tò iltrono. Uomini bianchi!... La fanciulla va a morire!...Ad un suo cenno, due guar<strong>di</strong>e della scorta reale si133


slanciarono verso la giovane negra, la quale, ignara della tristesorte che l'attendeva, continuava a danzare, mentre le suecompagne la coprivano <strong>di</strong> fiori.<strong>Le</strong> guar<strong>di</strong>e si precipitarono su <strong>di</strong> lei afferrandolastrettamente per le braccia.Solo allora la <strong>di</strong>sgraziata comprese a quale terribile sortel'aveva destinata il re, e proruppe in singhiozzi così straziantiche avrebbero commossa persino una jena, ma non certamente ilcuore del terribile monarca.I soldati, sor<strong>di</strong> ai suoi lamenti ed alle sue suppliche, latrassero bruscamente verso il kraal reale.– Cosa vogliono fare <strong>di</strong> quella fanciulla – chiese ilgenovese, impallidendo.– Si preparano ad ucciderla – risposi io.– Oh! Io non lo permetterò mai, dovessi impegnare unalotta suprema contro le guar<strong>di</strong>e del re.– E nemmeno io – risposi, prendendo il fucile.In quell'istante il re, volgendosi a suo figlio, <strong>di</strong>sse:– Seragga, la tua lancia è pronta?– Sì padre – rispose il principe con un crudele sorriso.– Sii pronto.Gagoul, l'orribile strega, fece u<strong>di</strong>re uno scoppio <strong>di</strong> risaatroci.Vedendo Seragga avanzarsi verso la vittima colla lanciatesa, mi precipitai innanzi, gridando:– Arrestatevi: questo delitto non si compirà!Il re s'alzò <strong>di</strong> scatto, guardandomi minacciosamente.– Chi me lo impe<strong>di</strong>rà adunque? – chiese con voce tuonante.– Noi – risposi, facendomi innanzi col fucile in mano.– Ma chi credete d'essere voi per venire a contrad<strong>di</strong>re lamia volontà?– Noi siamo degli uomini bianchi, <strong>dei</strong> figli <strong>dei</strong> paesi civili.134


– E che importa a me se siete uomini bianchi, io non vitemo.– Ed io ti ripeto che quella fanciulla non la si ucciderà sottoi nostri occhi. Guarda o re, la tua crudeltà offende perfino ilcielo! Guarda, il sole va a nascondersi ai tuoi occhi; le tenebrestanno per coprire il tuo paese, e questo significa che questodelitto non rimarrà impunito.Poi stendendo una mano verso l'astro <strong>di</strong>urno, gridai convoce tuonante:– Sole, nascon<strong>di</strong>ti!...In quel momento io stavo giuocando una carta suprema,poiché, come <strong>di</strong>ssi, non aveva nessuna fiducia nel calendario <strong>di</strong>Good e dell'eclissi annunciata, e guardavo ansiosamente il soleche doveva confermare la nostra formidabile potenza.Si sarebbe oscurato l'astro <strong>di</strong>urno o no? Ecco la grandequestione che mi preoccupava, perché se il calendario sbagliavapotevamo considerarci belli e spacciati.Il re ci guardava con un misto <strong>di</strong> stupore, <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong>dubbio. Seragga invece si avanzava verso la giovane negraagitando minacciosamente la sua lancia.Good si era slanciato innanzi per proteggere la <strong>di</strong>sgraziata equesta, comprendendo che noi volevamo salvarla, si eraaggrappata alle ginocchia del nostro camerata, supplicandolo <strong>di</strong>non abbandonarla.Intanto mi accorsi che l'orlo del sole andava rapidamenteoscurandosi. Il mio cuore cominciava ad allargarsi e bene<strong>di</strong>i lapuntualità degli astronomi.– Guarda o re! – gridai. – Già le tenebre circondano ilsole!...Il re aveva alzati gli occhi e vedendo che l'astro a poco apoco si oscurava, cominciava a manifestare un profondo terrore,che era <strong>di</strong>viso da tutti coloro che si trovavano nel kraal reale.135


Non si u<strong>di</strong>va più alcun rumore: pareva che tutti fosseropietrificati dalla paura.<strong>Le</strong> tenebre scendevano sempre più rapide <strong>di</strong>stendendosisulla terra e mettendo in fuga gli uccelli, mentre il solecontinuava a scemare.La figura del crudele monarca si alterava sempre più.Ad un tratto Seragga, preso da un improvviso furore, sislanciò improvvisamente contro il genovese che era il piùvicino, mirandolo colla lancia.L'italiano, accortosi a tempo, si volse rapidamentepuntando il fucile. Si udì a rimbombare una detonazione el'erede <strong>di</strong> Touala ruzzolò al suolo fulminato.A quel colpo <strong>di</strong> scena successe una confusioneindescrivibile seguìta da una fuga generale delle danzatrici e delpopolo che si affollava nel recinto del kraal.Noi approfittammo subito <strong>di</strong> quel subbuglio per fuggire atutte le gambe, prima che i guerrieri pensassero a prenderel'offensiva e farci pagare cara la nostra audacia.Favoriti dall'oscurità, abbandonammo il recinto e ci<strong>di</strong>rigemmo verso il campo d'Infadou onde metterci sotto laprotezione delle numerose truppe che aveva raccolto perrovesciare il feroce monarca e collocare al suo posto il bravoIgnosi, il nostro ex-servo.136


LA GUERRATerminava l'eclissi quando noi giungemmo presso Loo,dove si trovavano raccolti i partigiani d'Ignosi, i quali, dopo ilfenomeno celeste, non avevano più alcun dubbio sul vero esseredel nostro ex-servo e sulla nostra straor<strong>di</strong>naria potenza.Il campo da loro scelto si trovava su <strong>di</strong> una collina rocciosache aveva la forma d'un ferro da cavallo e che costituiva unavera fortezza naturale e contemporaneamente un osservatorio,dominando interamente la pianura.Essendo tagliato a picco lungo i fianchi e <strong>di</strong>feso da roccecolossali, non era attaccabile che verso il centro e nella parteposteriore, ma i negri si erano affrettati a rizzare solide palizzatee <strong>dei</strong> terrapieni abbastanza ben fatti e robusti.Noi avemmo la sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> constatare che i partigianierano in grosso numero. Essendo Infadou il capo più popolaredel regno, non aveva faticato troppo a raccogliere sotto le sueban<strong>di</strong>ere tutti i malcontenti e tutti i suoi numerosi amici.Appena ci vide giungere, così trafelati per la lunga corsa, ilvecchio capo si affrettò a correrci incontro, chiedendoci cosa eraaccaduto nel kraal reale, avendo u<strong>di</strong>to il colpo <strong>di</strong> fucile sparatodal signor Falcone.– Una cosa semplicissima, – <strong>di</strong>ss'io, – ma che tornerà moltoutile alla ribellione. Abbiamo ucciso il principe ere<strong>di</strong>tario conuna palla nel cuore.– Chi? Seragga!... – esclamò Infadou.– Voleva uccidere uno de' miei compagni e lui lo haprevenuto facendo fuoco col tubo fiammeggiante.– E perché voleva ammazzare il tuo compagno?137


– Perché volevamo impe<strong>di</strong>re che si assassinasse la piùvalente danzatrice e la più bella fanciulla del regno.– Ed il re, cosa ha fatto?– È rimasto immobile per lo stupore, poi non sapemmoaltro poiché approfittando delle tenebre e della confusionefuggimmo.– Avete avuto un grande coraggio a uccidere Seragga – mi<strong>di</strong>sse il vecchio capo. – Sono stupito <strong>di</strong> vedervi ancora vivi.– Eh!... – <strong>di</strong>ss'io. – Non ci saremmo <strong>di</strong> certo lasciatisgozzare come capre.– La morte <strong>di</strong> Seragga favorirà i nostri <strong>di</strong>segni.– Lo cre<strong>di</strong>?– Sì poiché il popolo avrà paura <strong>di</strong> voi e sapendo che voiappoggiate Ignosi, abbraccerà subito la nostra causa.– Il re però non si arrenderà così facilmente.– Oh no! – esclamò il capo – Touala è crudele ma valoroso,e lotterà fino a che avrà una sola goccia <strong>di</strong> sangue nelle vene.– Sperate <strong>di</strong> trionfare?– Sì perché tutti ormai si preparano a riconoscere Ignosicome il vero re <strong>di</strong> questo paese.– Sono molti i vostri uomini?– Sì e tutti d'un coraggio provato. I più valenti e piùpopolari capi hanno ormai abbracciata la causa <strong>di</strong> mio nipote.Venite: Ignosi si prepara a parlare ai nostri guerrieri.Infatti il nostro ex-servo, salito su <strong>di</strong> una rupe ches'innalzava in mezzo al campo, aveva cominciato a parlare aiguerrieri ed ai capi che si erano affollati intorno a lui.Con un linguaggio immaginoso, che non mancava d'unacerta elevatezza, pronunciato con voce sonora, egli si sforzava<strong>di</strong> persuadere i koukouana che egli era il re legittimo; che sottoil suo regno la clemenza e la giustizia non sarebbero più stateparole vane; che le crudeltà <strong>di</strong> Touala non si sarebbero più mai138


vedute e che tutto avrebbe messo in opera per formare la felicitàdel suo popolo.La sua eloquenza veramente straor<strong>di</strong>naria per un negro, lasua aria <strong>di</strong> superiorità e soprattutto la nostra presenza cheprometteva un valido appoggio al futuro re, ebbero un completosuccesso sulle orde <strong>dei</strong> guerrieri, colà radunate da Infadou.Quando Ignosi terminò, dopo un breve silenzio, un gridoimmenso si levò fra tutti i presenti:– Koum!...Era il saluto sovrano che si faceva al futuro monarca.Spezzati i ranghi cominciammo tosto i preparativi per lagrande battaglia, essendo certi che Touala non ci avrebbe lasciatia lungo tranquilli.Furono assegnati ai capi più valorosi i posti più <strong>di</strong>fficili a<strong>di</strong>fendersi; furono mandati nella sottostante pianura numerosiesploratori onde ci avvertissero per tempo dell'avvicinarsi <strong>dei</strong>nemici e furono messe dappertutto sentinelle fidate onde evitareuna possibile sorpresa.Quei <strong>di</strong>versi preparativi occuparono l'intera giornata;giunta la notte, ci fu offerta una capanna che era stata costruitain mezzo al campo.Indovinate quale fu la nostra sorpresa e la gioia <strong>di</strong> Good nelritrovare i nostri bagagli che avevamo affidati alla scortad'Infadou, prima <strong>di</strong> metterci in viaggio pel kraal reale!... Ifamosi pantaloni, tanto rimpianti dal nostro amico, erano statifinalmente ritrovati!Vi lascio supporre con quanta premura egli se li miseindosso, sicché le sue belle gambe furono per sempre tolteall'ammirazione <strong>dei</strong> koukouana. Infadou che ci teneva perchénon le coprisse, temendo che il nostro amico perdesse una granparte del suo prestigio, cercò <strong>di</strong> persuaderlo <strong>di</strong> levarseli, maGood fu inesorabile, anzi strinse vieppiù la cintola.139


Ci eravamo coricati da tre o quattro ore, quando fummobruscamente svegliati dalle sentinelle.Immaginandoci che le bande <strong>di</strong> Touala fossero uscite dalkraal, chiamammo uno <strong>dei</strong> capi che in quel momento passava<strong>di</strong>nanzi alla nostra capanna, chiedendogli il motivo <strong>di</strong>quell'allarme.– Gli uomini bianchi si preparino a combattere – ci rispose.– Si avvicina il nemico? – chiesi io.– Sì, tre colonne sono uscite dal kraal reale e s'avvicinanoalle nostre posizioni.– Contano numerosi guerrieri?– Tanti che occupano gran parte della pianura.Io m'affrettai a vestirmi e ad afferrare il fucile, ma ilgenovese se la prese con più calma, essendosi fitto in capod'indossare un bellissimo costume in<strong>di</strong>geno che gli avevaregalato Infadou.Quel costume consisteva in una specie <strong>di</strong> casacca formatacon una superba pelle <strong>di</strong> leopardo; in un <strong>di</strong>adema <strong>di</strong> bellissimepenne <strong>di</strong> struzzo, <strong>di</strong>stintivo <strong>dei</strong> gran<strong>di</strong> capi koukouana; in unacintura formata con code <strong>di</strong> bue bianco e in sandali assai villosi,<strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> capra.Oltre il fucile si era armato <strong>di</strong> una pesante scure ed unaspecie <strong>di</strong> mazza <strong>di</strong> ferro a punte acute. Quel costume assaipittoresco faceva doppiamente risaltare la bellezza fisicadell'italiano.Good invece era ad<strong>di</strong>rittura grottesco colla maglia d'acciaioche gli copriva anche parte <strong>dei</strong> suoi famosi calzoni; con quelcappellaccio piumato, il suo occhialetto incastrato nell'orbita econ quegli stivali già assai malandati in causa delle lunghissimemarce.Quando ci trovammo all'aperto, vedemmo Ignosi edInfadou, entrambi vestiti come il signor Falcone, occupati a140


adunare le loro bande per <strong>di</strong>sporle sulla fronte della collina,dovendosi decidere colà la sanguinosa battaglia.Il nemico, attraversata la pianura e giunto a cinquecentopassi dalla collina, si <strong>di</strong>stese in linea <strong>di</strong> battaglia, facendoscintillare ai primi raggi del sole una vera selva <strong>di</strong> lance; inmezzo a tutti quei battaglioni noi scorgemmo Touala vestito conuna splen<strong>di</strong>da maglia d'acciaio e con in capo una specie <strong>di</strong> elmocoperto <strong>di</strong> piume nere.Ci accorgemmo subito che per numero <strong>di</strong> guerrieri noi noneravamo i più forti, ma confidammo nei nostri tubifiammeggianti, armi che, se bene adoperate, non avrebberomancato <strong>di</strong> spargere il terrore fra le linee nemiche.Io lasciai che Good ed il genovese si mettessero in primalinea e mi ritrassi sulla cima <strong>di</strong> una roccia, dalla quale potevodominare il campo della lotta, seguire tutte le fasi della battagliae fare fuoco sui punti più minacciati.Veramente non nutrivo alcun o<strong>di</strong>o contro quei poveri<strong>di</strong>avoli <strong>di</strong> negri che il feroce monarca si preparava a rovesciarecontro <strong>di</strong> noi, ma si trattava d'uccidere o <strong>di</strong> venire uccisi.L'assalto che seguì fu spaventevole. <strong>Le</strong> orde nemiche,incoraggiate dalla voce tuonante del loro erculeo re, ciattaccarono con tanto impeto che le nostre prime linee furonod'un colpo solo travolte. Ignosi però, col signor Falcone e Goodaccorsero alla riscossa colle bande agguerrite d'Infadou,impegnando una lotta <strong>di</strong>sperata.La battaglia era <strong>di</strong>ventata terribile. D'ambe le particombattevano come leoni in furore, non volendo né gli uni négli altri cedere il campo, ed i morti ed i feritis'ammonticchiavano dovunque, insanguinando il pendìo dellacollina.Io, vedendomi in procinto <strong>di</strong> venire circondato dai nemici,ero sceso dalla rupe e sparavo all'impazzata, per farmi largo. Ad141


un tratto un negro <strong>di</strong> statura gigantesca, un capo a giu<strong>di</strong>carlodalle piume che gli ornavano la testa, si slanciò contro <strong>di</strong> me contanta furia, che credetti fosse giunta la mia ultima ora.Non mancandomi il tempo <strong>di</strong> evitarlo, mi gettaiprontamente a terra ed il negro, trasportato dal suo impetuososlancio e non trovando da colpirmi, mi passò addosso, cadendo<strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me.In un batter d'occhio mi ero alzato impugnando la miapistola pronto a cacciargli una palla nel petto, quando un colpo<strong>di</strong> mazza avventatami sulla testa mi fece ricadere al suolostor<strong>di</strong>to.Una improvvisa sensazione <strong>di</strong> fresco mi fece aprire gliocchi e vi<strong>di</strong> Good curvo ansiosamente su <strong>di</strong> me, con un vasod'acqua in mano.– Come va mio bravo? – mi chiese.– Non c'è male, sono un po' stor<strong>di</strong>to, ecco tutto – glirisposi. – E la battaglia?– Va a meraviglia! Ci siamo rinforzati su tutte le linee.Già ci felicitavamo del successo così pronto e così facile,quando Infadou che era stato avvertito del brutto caso toccatomi,ci raggiunse.– Pel momento noi siamo vittoriosi, – mi <strong>di</strong>sse, dopoessersi informato del mio stato, – ma non cre<strong>di</strong>ate che Toualanon ritorni alla carica. Prima <strong>di</strong> decidersi ad uno sforzosupremo, aspetta <strong>di</strong> conoscere la condotta che noi terremo.Venite signori; delibereremo sul da farsi.Ci <strong>di</strong>rigemmo verso l'estremità della collina dove eraavvenuto lo scontro e vedemmo che le bande <strong>di</strong> Touala stavanoriorganizzandosi nella pianura onde ritentare l'attacco, il qualedoveva <strong>di</strong> certo essere il più sanguinoso.Infadou, radunati attorno a sé i principali capi, <strong>di</strong>ssevolgendosi verso <strong>di</strong> noi e verso Ignosi:142


– Signor bianchi, mio re, riflettete su quello che dobbiamofare. Questa sera o al più tar<strong>di</strong> domani, le nostre vettovagliesaranno terminate e l'unica sorgente che si trova nel campo èappena sufficiente a <strong>di</strong>ssetare i nostri soldati. Se noi nonpren<strong>di</strong>amo vigorosamente l'offensiva corriamo il pericolo <strong>di</strong>vedere il nostro esercito stremato dalla fame e dalla sete e <strong>di</strong>vedere le bande <strong>di</strong> Touala, fortemente rinforzate da altre colonne<strong>di</strong> guerrieri freschi. Dinanzi a questi fatti, cosa avete da <strong>di</strong>re?Ignosi si volse verso <strong>di</strong> me, <strong>di</strong>cendomi:– Parli prima il grande cacciatore bianco.Così invitato dovetti mio malgrado prendere la parola.– Io non temo la guerra, – <strong>di</strong>ssi, – anzi io l'ho in orrore.Non<strong>di</strong>meno nelle circostanze in cui ci troviamo mi sembra chenon sia prudente lasciar raffreddare l'entusiasmo <strong>dei</strong> nostrisoldati.«In questo momento, fieri del successo ottenuto e pieni <strong>di</strong>confidenza nella buona causa che servono, non si farannopregare per gettarsi nuovamente nella mischia. Se aspettiamodomani avremo i nostri uomini sfiniti dalla fatica e dalla fameed anche scoraggiati dai rinforzi che avrà certamente ricevutoTouala.«Prima <strong>di</strong> lasciare ai nostri valorosi combattenti il tempo <strong>di</strong>pensare ed a Touala d'agire, scen<strong>di</strong>amo su Loo, assaltiamo<strong>di</strong>speratamente le truppe demoralizzate del re e voltiamole infuga verso il kraal.»Un profondo silenzio accolse il <strong>di</strong>scorso guerresco <strong>di</strong> unuomo perfettamente pacifico.Un istante dopo Ignosi, assorto fino allora nei suoi pensieri,alzò il capo <strong>di</strong>cendo:– Il cacciatore bianco ha parlato bene ed ha riflettuto bene.Miei amici riorganizziamoci, attacchiamo a fondo il nemico equesta sera dormiremo nel kraal <strong>di</strong> Touala.143


Dopo queste parole fu subito organizzato il piano d'attacco.<strong>Le</strong> bande d'Infadou, i gris, queste truppe vantate le più valorosefra tutte le orde <strong>dei</strong> koukouana, furono poste in prima fila sottoil comando del signor Falcone, avendo incarico <strong>di</strong> occupare lagola centrale della collina.Esse dovevano sostenere il primo urto, mentre noidovevamo scendere i lati dell'altura per prendere <strong>di</strong> fianco, ed asinistra, le orde <strong>di</strong> Touala.Gli or<strong>di</strong>ni furono prontamente eseguiti. <strong>Le</strong> bande <strong>dei</strong> gris,fiere del posto loro assegnato, si schierarono ar<strong>di</strong>tamente inlinea <strong>di</strong> battaglia senza un istante d'esitazione, pur sapendo <strong>di</strong>dover subire per<strong>di</strong>te crudeli.I reggimenti <strong>dei</strong> negri delle tribù <strong>dei</strong> bufali furono postisotto gli or<strong>di</strong>ni miei e <strong>di</strong> Ignosi.Infadou, che da vecchio capo conosceva quanta importanzaavesse sul morale <strong>dei</strong> soldati una buona parolad'incoraggiamento, prima che quei guerrieri occupassero leposizioni loro assegnate li passò in rivista, promettendo a tuttionori ed avanzamenti e facendo risaltare il favore da meconcesso <strong>di</strong> combattere alla loro testa.– Capi, e soldati! – gridò allora Infadou. – Oltre all'uomobianco combatte nelle vostre file anche il nostro re. Mostratevipro<strong>di</strong> e degni <strong>di</strong> tanto onore.Fra le bande <strong>di</strong> guerrieri, il solito grido immenso echeggiò:– Koum!Giammai imperatore romano, prima <strong>di</strong> far combattere isuoi gla<strong>di</strong>atori, aveva dovuto ricevere una simile acclamazione.Ignosi rispose al saluto alzando la sua ascia <strong>di</strong> guerra, poi ireggimenti <strong>dei</strong> gris sfilarono <strong>di</strong>nanzi a lui su tre linee, ognunadelle quali si componeva <strong>di</strong> mille uomini.I secon<strong>di</strong> reggimenti sfilarono al pari <strong>dei</strong> primi su trecolonne e si recarono ai loro posti <strong>di</strong> combattimento, senza144


manifestare la menoma apprensione per la morte che andavanoad affrontare, anzi manifestando un vero entusiasmo.– Questi negri sono ammirabili – mi <strong>di</strong>sse Good che mistava accanto. – Noi faremo gran<strong>di</strong> cose con simili uomini.– Ma anche quelli <strong>di</strong> Touala sono guerrieri che non hannopaura della morte – risposi io.– Lo so ma hanno paura <strong>dei</strong> nostri tubi fiammeggianti. Lanostra presenza vale mille uomini.– Prima, ma non ora.– E perché? – mi chiese stupito.– Perché il nostro prestigio è un po' scemato.– E come?– In causa <strong>dei</strong> vostri calzoni.– Ah! Burlone!– Niente affatto, signore. <strong>Le</strong> vostre gambe nudeesercitavano un fascino misterioso su questi negri ed ora sonodolenti che voi le abbiate coperte.– Se si tratta <strong>di</strong> guadagnare la battaglia, me li levo subito –<strong>di</strong>sse Good, ridendo.– Oh per questo credo che bastino la vostra dentiera ed ilvostro monocolo.– Dite piuttosto i nostri fucili.In quell'istante nella pianura u<strong>di</strong>mmo alzarsi urlaformidabili.– La battaglia sta per cominciare – <strong>di</strong>sse Good. –Accorriamo ai nostri posti.Quando giungemmo sul margine della spianata, le orde <strong>dei</strong>gris erano già <strong>di</strong>scese a metà collina e quella mossa ar<strong>di</strong>ta avevaprodotto una viva animazione nel campo <strong>di</strong> Touala.I reggimenti nemici si riorganizzarono rapidamente e simisero in marcia per contrastare il passo ai nostri.Giunti i gris allo sbocco del ferro <strong>di</strong> cavallo, invece <strong>di</strong>145


avventurarsi nella pianura si ammassarono nella stretta,attendendo l'attacco; non volevano caricare a corpo perdutofinché gli altri reggimenti non si trovavano a posto.Quando i soldati <strong>di</strong> Touala s'accorsero d'aver <strong>di</strong>nanzi i gris,che come <strong>di</strong>ssi erano i più valenti guerrieri <strong>di</strong> tutto il paese e lividero schierati alla base della collina, s'arrestaronoimbracciando gli scu<strong>di</strong> ed abbassando le lance.Ben tosto un capo, riconoscibile per le penne <strong>di</strong> struzzo chegli ornavano la testa, si avanzò e <strong>di</strong>ede alcuni coman<strong>di</strong> con vocetuonante.<strong>Le</strong> bande <strong>di</strong> Touala si rimisero in marcia per attaccare inostri gris, i quali rimanevano impassibili, senza curarsi dellefrecce che cadevano addosso a loro in gran numero. Quandoperò, li videro a soli quaranta passi, i nostri bravi negri, ad uncomando <strong>di</strong> Infadou e del genovese, abbassarono le lance e siscagliarono innanzi colla furia d'un uragano, mandando urlaspaventevoli.U<strong>di</strong>i un cozzo formidabile come se si fossero urtati duetreni ferroviari lanciati a tutto vapore e vi<strong>di</strong> scintillare in aria lelance, per poi abbassarsi con fulminea rapi<strong>di</strong>tà ed immergersinei petti nemici.I gris, quantunque inferiori <strong>di</strong> numero, si erano impegnatiin una lotta mortale.La mischia era <strong>di</strong>ventata sanguinosissima. <strong>Le</strong> due masseumane si urtavano con pari furore, cercando <strong>di</strong> sfondarsi.S'avanzavano, oscillavano, retrocedevano lasciando il terrenocoperto <strong>di</strong> cadaveri, poi tornavano alla carica con crescentefurore, percuotendosi colle lance, colle mazze e colle asce.La lotta durò <strong>di</strong>eci minuti, poi i valorosi gris si slanciaronoun'ultima volta all'assalto, passando addosso ai loro avversari, iquali, impotenti ormai a resistere, non tardarono a volgere infuga precipitosa.146


La vittoria era stata guadagnata, ma a quale prezzo! Laterza parte <strong>dei</strong> gris giaceva sul campo, orrendamente mutilata esanguinante.Fui felice però nel constatare che il signor Falcone erauscito sano e salvo da quel macello. Infatti scorsi le sue piumeondeggiare al vento. Quella salvezza mi parve pro<strong>di</strong>giosa, dopoun simile scontro.Mentre le bande <strong>dei</strong> nostri bravi si riorganizzavano perprendere l'offensiva, i nostri reggimenti s'affrettarono a scenderela collina per appoggiarli.Ben presto un secondo corpo d'esercito <strong>di</strong> Touala si feceinnanzi e si scagliò contro i gris. Questi lo lasciarono accostarefino a quaranta passi come avevano fatto prima, poi locaricarono con lena <strong>di</strong>sperata, impegnando una secondabattaglia non meno sanguinosa e non meno fortunata.La banda <strong>di</strong> Touala, formata per lo più da giovani negri chesi misuravano per la prima volta, non era in grado <strong>di</strong> tener testaall'attacco <strong>di</strong> quei veterani e dopo una breve lotta si ripiegò<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, non ostante le grida e le minacce <strong>dei</strong> capi.Quella seconda pugna, contro forze tre volte più numeroseera stato pure terribile pei gris. Il loro numero era ormaienormemente assottigliato, non<strong>di</strong>meno essi si slanciaronoanimosamente <strong>di</strong>etro ai fuggiaschi e s'impossessarono d'unatrincea formata da una triplice palizzata.In quel momento vi<strong>di</strong> ancora ondeggiare le penne delsignor Falcone e d'Infadou e respirai, avendo tremato perentrambi.La battaglia non era ancora cessata. Touala <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong>altri reggimenti i quali già si avanzavano, desiderosi <strong>di</strong>ven<strong>di</strong>care le due prime sconfitte.La lotta ricominciò non meno cruenta, ma questa voltaeravamo anche noi della partita e la presenza d'Ignosi era147


astante per infondere ai nostri guerrieri un ardore ammirabile.Impazienti <strong>di</strong> finirla e <strong>di</strong> giungere sotto le palizzate delkraal, ci affrettammo a scendere nella pianura per urtare le alidelle genti <strong>di</strong> Touala. Comprendevamo che si stava giuocandouna partita suprema.Quando Ignosi vide i gris assaliti furiosamente da tutte leparti e già in procinto <strong>di</strong> cedere in causa dell'enorme superioritànumerica degli avversari, alzò la sua ascia <strong>di</strong> guerra, gridandocon voce tuonante:– Avanti miei valorosi bufali!...I guerrieri che portavano tale nome, perché le loro cintureerano formate <strong>di</strong> code <strong>di</strong> buoi selvaggi, gettarono il loro grido <strong>di</strong>guerra e si precipitarono come un solo uomo in aiuto <strong>dei</strong> gris.Io non potrei descrivere la lotta che ne seguì. Mi parve chela terra tremasse, tale fu l'urto <strong>di</strong> quelle masse umane. Fra uncozzare furioso <strong>di</strong> armi ed un gridìo assordante, spaventevole,gli uomini cadevano a drappelli interi sotto i colpi <strong>di</strong> mazza e <strong>di</strong>lancia.Io mi ero trovato, non so come, accanto al signor Falcone ecombattevo come un <strong>di</strong>sperato, facendo un fuoco infernale.I miei colpi spesseggiavano, ma cosa potevano produrre inmezzo a tanta moltitu<strong>di</strong>ne?... Il baccano era tale che non siu<strong>di</strong>vano nemmeno le detonazioni e ciò era un vero svantaggio,poiché io contavo più sullo scoppio che sulle palle perspaventare i nemici.In mezzo a tanta confusione, Infadou conservava una calmaammirabile, come se si fosse trovato ad una semplice rivista inpiazza d'armi, anziché in mezzo ad una mischia sanguinosa.Impartiva gli or<strong>di</strong>ni con voce tranquilla, incoraggiava oragli uni ed ora gli altri e mandava soccorsi sui punti piùminacciati.Ad ogni carica io lo vedevo sempre nel più folto della148


mischia e presso <strong>di</strong> lui scorgevo il signor Falcone il quale sibatteva con un coraggio da leone. <strong>Le</strong> piume del genovese eranostate strappate dai colpi <strong>di</strong> lancia; i suoi capelli neri, non piùtrattenuti dal <strong>di</strong>adema, svolazzavano.La sua statura e la sua forza s'imponevano a tutti e nessunnemico osava resistere al formidabile campione bianco, il qualene approfittava per spingere gli attacchi. Tutti lo temevano, certi<strong>di</strong> venire uccisi se avessero avuto l'ar<strong>di</strong>re <strong>di</strong> affrontarlo.Finalmente dopo un'ultima e sanguinosa carica, u<strong>di</strong>mmoecheggiare a destra ed a sinistra delle grida assordanti. <strong>Le</strong> nostreali venivano alla riscossa, prendendo ai fianchi i reggimenti <strong>di</strong>Touala.Questi, che già si trovavano impegnati entro quella specie<strong>di</strong> ferro <strong>di</strong> cavallo formato dalla collina, non potendofronteggiare quei nuovi avversari che piombavano addosso datutte le parti, colpendoli all'impazzata colle lance e colle asce,titubarono, poi il panico li prese e cominciarono a sbandarsi.– Avanti miei pro<strong>di</strong>!... – si udì a gridare Ignosi. – Un ultimosforzo e avremo vinto!All'appello del giovane re tutti ci scagliammo addosso aireggimenti nemici, investendoli con impeto <strong>di</strong>sperato.I loro ranghi, già sconnessi, non ressero a quell'ultimo urtoe cedettero dovunque dopo una breve ed inutile resistenza.La battaglia terminava in un vero massacro. La pianura eratutta coperta <strong>di</strong> morti, <strong>di</strong> feriti e <strong>di</strong> fuggenti, ma quali per<strong>di</strong>tecrudeli anche da parte nostra! Dei valorosi gris, che avevanodeciso le sorti della giornata, non erano rimasti in vita chenovanta uomini <strong>di</strong> due grossi reggimenti.– Soldati!... – gridò Infadou, quando vide le ultime bande<strong>di</strong> Touala scomparire sull'immensa pianura. – Voi siete degli eroie si rammenterà a lungo il valore da voi <strong>di</strong>mostrato in questagloriosa giornata!...149


Poi volgendosi verso il signor Falcone, il quale era sfuggitomiracolosamente a tanto massacro, gli <strong>di</strong>sse:– Tu sei grande!... Io aveva veduto <strong>dei</strong> bravi guerrieri, mamai uno valoroso come te!...150


UN DUELLO MORTALENon vi era tempo da perdere. Se volevamo impe<strong>di</strong>re lariorganizzazione <strong>dei</strong> reggimenti <strong>di</strong> Touala e che nuovi rinforzigli giungessero, era necessario muovere prontamente su Loo edassaltare il kraal reale, onde non perdere i frutti <strong>di</strong> quellavittoria.Quantunque tutti fossero stanchi ed affamati, i reggimenti,sebbene così tremendamente mutilati, si misero tosto in colonna,dopo d'aver staccato numerosi reparti per curare i feriti.Io ed il signor Falcone stavamo per metterci alla testa dellecolonne, quando ci vennero ad avvertire che Good era statotrovato in fondo ad un burrone, seriamente ferito.Temendo che il nostro <strong>di</strong>sgraziato compagno fosse statoridotto a mal partito, ci affrettammo a correre da lui e lotrovammo su <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> barella fatta con rami e foglie, chealcuni koukouana avevano improvvisata.Good era palli<strong>di</strong>ssimo, abbattuto, colle vesti lacere, il visocontuso e con una gamba ferita da un colpo d'ascia.– Che cosa vi è accaduto?... – gli chiesi, premurosamente.– Una brutta avventura in fede mia, che per poco mimandava all'altro mondo – mi rispose egli, sorridendo. – Senzaquesta solida cotta d'acciaio che mi ha riparato, a quest'ora nonsarei più fra il numero <strong>dei</strong> viventi.– Raccontateci come è andata la faccenda – gli <strong>di</strong>sse ilgenovese.– Ve la spiego in due parole. Avevo appena abbattuto uncapo nemico, un <strong>di</strong>avolo d'uomo che mi aveva dato un gran dafare e, credendolo morto, stava per scendere la collina, quando151


quel dannato si precipitò a tra<strong>di</strong>mento su <strong>di</strong> me.«Il volpone era più vivo <strong>di</strong> prima ed era ricorso aquell'astuzia per attaccarmi alle spalle.«Preso alla sprovvista, non ebbi il tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendermi,anzi ricevetti un colpo d'ascia che per fortuna mi colpì ad unagamba invece <strong>di</strong> fracassarmi la testa, poi una spinta furiosa chemi mandò a gambe levate a ruzzolare in fondo al burrone.«Come sia ancora vivo io non lo so, ma credo che senza lacotta <strong>di</strong> maglia mi sarei fracassato lo stomaco.»– Ed il koukouana, lo avete ucciso? – chiesi.– Mai più – rispose Good. – Dopo d'avermi spinto nelburrone fuggì a rompicollo e probabilmente è ancora vivo, seperò lo ritrovo siate certi che gli farò pagare il tra<strong>di</strong>mento.Poi cambiando tono, ci chiese:– Dunque, siamo vincitori?– Su tutta la linea – rispose il signor Falcone. – Framezz'ora noi avremo conquistato anche il kraal reale. Riposatetranquillo e non temete per noi.Lo lasciammo, non volendo perdere l'occasione <strong>di</strong> prendereparte all'attacco del kraal e raggiungemmo Ignosi ed Infadou, iquali si erano posti alla testa <strong>dei</strong> loro reggimenti.<strong>Le</strong> porte <strong>di</strong> Loo erano state fortemente occupate dalletruppe <strong>di</strong> Touala ed i ponti levatoi erano stati prontamente alzati,ma noi eravamo certi <strong>di</strong> non trovare molta resistenza, essendoquei negri completamente <strong>di</strong>sorganizzati e demoralizzati dopo lesanguinose sconfitte.Da un capo nemico caduto in nostro potere, apprendemmoche il feroce monarca si era trincerato nelle sue capanne,risoluto a resistere fino all'ultimo, ma che le sue truppe eranopiù <strong>di</strong>sposte ad abbandonarlo che a <strong>di</strong>fenderlo, considerandoormai ogni resistenza inutile.Ignosi, volendo evitare un nuovo spargimento <strong>di</strong> sangue,152


mandò degli aral<strong>di</strong> a ciascuna porta, promettendo ai <strong>di</strong>fensorisalva la vita se si arrendevano.Delle acclamazioni fragorose ci avvertirono che gli aral<strong>di</strong>erano riusciti ad ottenere il loro scopo. Infatti poco dopo icinque ponti levatoi venivano abbassati e noi entravamo in Loocon tutte le precauzioni immaginabili però, temendo untra<strong>di</strong>mento.<strong>Le</strong> nostre paure erano infondate. <strong>Le</strong> truppe <strong>di</strong> Toualadeposero le armi e s'affrettarono a fraternizzare coi nostriguerrieri, acclamando Ignosi re.Superate le cinte del kraal reale, vedemmo che gli ultimifi<strong>di</strong> del monarca avevano preso rapidamente il largo, per nonfarsi inutilmente trucidare. Il recinto era completamente desertoed un silenzio assoluto regnava dovunque, perfino nelle capannereali.– Che sia fuggito anche Touala? – chiese il signor Falcone,volgendosi verso Ignosi.– Non credetelo – rispose il re. – Touala è troppo valorosoper volgere le spalle ai nemici.– Si arrenderà a noi?...– Sì, ma non colla speranza <strong>di</strong> sopravvivere.– Lo ucciderai?...– Quando un re viene vinto in guerra, lo si uccide – risposiIgnosi. – Tale è il nostro costume.– E chi lo ucciderà?...– L'uomo che avrà scelto per combatterlo.– Non ti comprendo.– Touala ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> scegliere l'uomo che deve ucciderlo ecombatterà con lui fino all'estremo delle sue forze.– E se Touala riuscisse vincitore!...– Dovrà sceglierne un secondo, un terzo, un quarto ecc.Potrebbe uccidere <strong>di</strong>eci combattenti, ma finirebbe per venire153


ucciso a sua volta. Non si può resistere infinitamente.– E se scegliesse te?... – chiese il signor Falcone.– Sarei costretto ad accettare la sfida, e ti assicuro che nonesiterei a misurarmi coll'assassino <strong>di</strong> mio padre.– Touala è forte come un gigante – <strong>di</strong>ss'io. – Sarà unavversario pericoloso.– Lo so, – mi rispose Ignosi, – ma io sono pronto a tentarela sorte.– Se ti lascerò fare – <strong>di</strong>sse il genovese, con aria misteriosa.– Che cosa volete <strong>di</strong>re?... – chiese Ignosi.– Lo si saprà più tar<strong>di</strong>. Ah!... Ecco Touala e la sua animadannata!...Il re vinto non stava che a pochi passi da noi. Si era sedutoinnanzi alla porta della capanna reale, all'ombra d'un nopale dalfolto fogliame. Teneva il capo chino sul petto, aveva l'aria tetra eminacciosa, ed ai suoi pie<strong>di</strong> teneva le armi.Accanto a lui, rannicchiata come una belva, stava lavecchia Gagoul.Vedendo il fiero guerriero in quell'atteggiamento, un lampo<strong>di</strong> pietà mi traversò il cuore.Tutti lo avevano abbandonato, perfino i suoi parenti, le suedonne, i suoi cortigiani. <strong>Le</strong> migliaia e migliaia <strong>di</strong> soldati che loavevano obbe<strong>di</strong>to e temuto fino a poche ore prima e che per luis'erano valorosamente battuti, lo avevano pure lasciato solo,abbandonandolo al suo triste destino.Solamente la vecchia strega, la sua anima dannata, gli erarimasta fedele nella <strong>di</strong>sgrazia, pronta a <strong>di</strong>videre col padrone lasorte crudele che gli era riserbata.Allorquando noi fummo presso <strong>di</strong> lui, la Gagoul si alzòd'un balzo vomitando su <strong>di</strong> noi un <strong>di</strong>luvio d'imprecazioni,minacciandoci <strong>di</strong> terribili pene nell'altra vita, ma nessuno sioccupò <strong>di</strong> lei e la lasciammo urlare a suo comodo.154


Il vinto re, vedendo Ignosi fermo a pochi passi, alzò il capoe fissando sul fortunato rivale uno sguardo tetro e feroce, comese avesse voluto col lampo degli occhi annichilirlo, gli <strong>di</strong>sse conprofonda amarezza:– Salute al nuovo re!... Tu che hai mangiato il mio pane eche hai avuto da me ospitalità, hai contraccambiato coltra<strong>di</strong>mento la mia generosità, aiutato dalle perfide arti magichedegli uomini bianchi. Quale sorte mi serbi tu?– Quello che tu hai fatto subire a mio padre – risposeIgnosi, con accento severo.– Sta bene, io sono pronto, perché Touala non ha pauradella morte, ma sai che a me spetta per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> scegliere il mioantagonista e <strong>di</strong> perire combattendo.– Io non voglio privarti del tuo <strong>di</strong>ritto.– Ti avverto che mi <strong>di</strong>fenderò come un leone e che ho unasete feroce <strong>di</strong> sangue.– Sia pure: è con me forse che vuoi misurarti?– No – <strong>di</strong>sse Touala, alzandosi <strong>di</strong> scatto.Il suo sguardo feroce percorse le nostre file e per alcuniistanti si fissò su <strong>di</strong> me.All'idea <strong>di</strong> tanto onore che ero ben lontano dall'ambire, misentii prendere da un brivido.Io non ero un poltrone, ma non mi garbava affattomisurarmi con quell'uomo dotato d'una forza erculea e resoferoce dalla sventura che lo aveva colpito; pure se mi avessescelto non avrei potuto rifiutare senza perdere il prestigio chegodeva fra i guerrieri koukouana. Già mi pareva <strong>di</strong> sentire ilfreddo ferro dell'ascia sul collo e <strong>di</strong> sentirmi ruzzolare la testaper terra, quando lo sguardo fosco del re si fissò con ostinazionesul signor Falcone.– Tu hai ucciso mio figlio – gli <strong>di</strong>sse – il mio unico figlio.Esci dai ranghi e vedremo se tu vincerai così facilmente me,155


come hai vinto il fanciullo.– No – <strong>di</strong>sse Ignosi. – Tu non combatterai coll'uomobianco.– Uso del mio <strong>di</strong>ritto.– Egli non appartiene alla nostra nazione.– Ma ha combattuto contro <strong>di</strong> me. Se egli ha paura, nonparliamone più – <strong>di</strong>sse Touala con intenzione.Il signor Falcone aveva compreso; il sangue gli montò allatesta a quell'ingiuria fatta al suo valore.– Se tu cre<strong>di</strong> che io abbia paura <strong>di</strong> te, selvaggio, – gridòcon esasperazione, – t'inganni!– Signor Falcone, – <strong>di</strong>ss'io, – non arrischiate la vostra vitacontro quell'idrofobo. Quell'uomo non ha bisogno <strong>di</strong> vedere sesiete coraggioso, poiché egli sa ed al pari <strong>di</strong> lui lo sappiamo tuttiche un valoroso come voi non sa che cosa sia la paura.– Io mi batterò – ripeté il genovese con voce risoluta. –Nessuno <strong>di</strong>rà mai che un italiano si è rifiutato <strong>di</strong> battersi.– No, amico mio – <strong>di</strong>sse Ignosi. – Se ti toccasse una<strong>di</strong>sgrazia non mi consolerei mai più e ti piangerei troppo. Lasciache si batta con uno <strong>dei</strong> miei capi o che si misuri con me.– Su questo punto io non cedo – riprese l'ostinato. – Io nonho paura <strong>di</strong> Touala e giacché ha detto che io ho paura loucciderò.– Ebbene, fratello bianco – riprese Ignosi. – Tu ti batti peruna buona causa e non sarai sfortunato. Touala, ecco il tuoavversario: egli ti aspetta per ucciderti.L'ex-re si era rialzato <strong>di</strong> colpo afferrando le sue armi, lequali consistevano in un'ascia e in un largo e pesante coltellocapace <strong>di</strong> troncare con un solo colpo la testa a un uomo.Il genovese, del pari armato, si era messo in guar<strong>di</strong>a,aspettando a piè fermo l'avversario.I due combattenti si guardarono per alcuni istanti, tenendo156


alte le asce: poi Touala fece un passo innanzi, facendo un fintoattacco.Il genovese non si mosse.– Bada! – grido l'ex-re. – Ti taglierò in due.Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra del signor Falcone.– Io credo che sarai tu che soccomberai – <strong>di</strong>sse poi.Ad un tratto lo vedemmo gettarsi innanzi con uno slancioda tigre e vibrare un colpo tale che avrebbe spaccato perfino unarupe, ma il gigantesco negro, con una mossa fulminea, evitò labotta.Il genovese, trasportato dal troppo slancio, aveva perdutol'equilibrio per la forza del colpo. Credemmo che fosse perdutoe un grido immenso <strong>di</strong> terrore echeggiò fra le nostre fila,vedendo Touala precipitarsi su <strong>di</strong> lui per spaccargli il cranio,prima che riprendesse l'appiombo.L'ascia dell'africano scese rapida, ma il genovese avevau<strong>di</strong>to le nostre urla e con una mossa istintiva si era gettato da unlato, mentre alzava la propria arma per parare.Quella manovra gli salvò la testa, però l'asciadell'avversario, scivolando, lo colpì ad una spalla e vedemmospruzzare un getto <strong>di</strong> sangue.La ferita non doveva essere però grave poiché vedemmo ilvaloroso nostro compagno rimettersi in guar<strong>di</strong>a, quin<strong>di</strong> dopo unmomento d'attesa attaccare con novello ardore il negro,tempestando colpi <strong>di</strong>sperati a destra ed a manca.Tutti noi avevamo rotti i ranghi ed avevamo formatoattorno ai due combattenti un vasto circolo, per non perdere ilmenomo particolare <strong>di</strong> quel duello mortale.Anche Good si era fatto trasportare al kraal ed aveva presoposto accanto a me. Era palli<strong>di</strong>ssimo temendo per l'amico; anzisi sarebbe detto che non respirava quasi più.Vedendolo incalzare vigorosamente il gigante, malgrado la157


ferita sanguinante, si mise a gridargli:– Avanti, mio bravo amico! Non lasciategli tempo <strong>di</strong>riprendere fiato! Giù un buon colpo!Il signor Falcone non aveva bisogno <strong>di</strong> quegliincoraggiamenti. Continuava ad incalzare il negrocostringendolo a rompere e ad in<strong>di</strong>etreggiare, minacciandosempre <strong>di</strong> vibrargli il colpo mortale.Touala, <strong>di</strong>nanzi a tanta furia, cominciava a perdere la suafiducia e la sua calma. Parava continuamente senza trovare iltempo <strong>di</strong> rispondere, tanto rapidamente cadevano i colpi.D'improvviso lo vedemmo barcollare, poi lo u<strong>di</strong>mmomandare un urlo <strong>di</strong> rabbia. L'ascia del genovese aveva spezzata<strong>di</strong> colpo la maglia d'acciaio e lo aveva colpito sopra il petto,producendogli uno squarcio sanguinoso.Un grido <strong>di</strong> gioia echeggiò fra i ranghi <strong>dei</strong> soldati; ma quelgrido si convertì subito in un urlo <strong>di</strong> terrore.L'ascia del genovese, percossa da un colpo dell'ex-re, eracaduta in terra, spezzata in due.– Gran Dio! – esclamai, impallidendo. – È perduto!...Chiusi gli occhi per non vedere il mio povero compagnocol cranio spaccato.Quando li riaprii, con mia grande gioia vi<strong>di</strong> il valorosoitaliano aggrappato a Touala.I due avversari, entrambi robustissimi, caddero ben presto aterra, rotolandosi fra le erbe. Ora era il signor Falcone cheteneva sotto Touala, ora era questi che pressava addosso aquello.Il primo era inerme ed il secondo invece erasi armato delpesante coltellaccio, ma non poteva farne uso nella posizione incui si trovava.Mi avvicinai ad Ignosi, <strong>di</strong>cendogli:– Io non posso permettere che Touala uccida il signor158


Falcone – e così <strong>di</strong>cendo armai il fucile.– No – mi <strong>di</strong>ss'egli. – <strong>Le</strong> nostre leggi non permettono alcunintervento in queste lotte.– Il mio amico è in pericolo.– Egli è forte e valoroso.– Non ve<strong>di</strong> che è inerme?– No: guarda!...Guardai i due avversari: il genovese in quel momentobalzava in pie<strong>di</strong> tenendo in pugno la formidabile arma dell'ex-re.Con un ultimo sforzo era riuscito a strappargliela.Touala d'un balzo si era pure alzato, raccogliendo da terral'ascia che poco fa gli era sfuggita.Il sangue scorreva lungo le armature <strong>dei</strong> due campioni,entrambi però infiammati dall'ardore della lotta pareva che nonsentissero alcun dolore.L'africano, impaziente <strong>di</strong> finirla, vibrò un ultimo colpo sulpetto del genovese, però la maglia d'acciaio, control'aspettazione generale, resistette meravigliosamente. Il nostroamico a sua volta caricò a fondo e vedemmo la larga e pesantelama del suo coltello piombare, colla rapi<strong>di</strong>tà del lampo, sulcollo del competitore.Un immenso grido <strong>di</strong> trionfo s'alzò da tutte le parti.La testa <strong>di</strong> Touala, spiccata nettamente dal busto,abbandonò le larghe spalle su cui posava e venne a rotolare aipie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ignosi.Il corpo rimase ritto per qualche secondo, in atto ancoraminaccioso, mentre il sangue sgorgava a torrenti dalle arterierecise, poi il colosso piombò a terra con un sordo rumore,mentre la sua collana d'oro sbalzava da un lato.Nel medesimo istante il valoroso italiano spossato dallafatica e dalla per<strong>di</strong>ta del sangue, cadeva svenuto, fra le braccia<strong>di</strong> Ignosi.159


Venti mani amiche lo adagiarono dolcemente al suolo,mentre Infadou gli spruzzava dell'acqua sul volto.Il valoroso riaprì gli occhi e tese la mano, raccogliendo lacollana d'oro caduta dalla testa <strong>di</strong> Touala, e <strong>di</strong>cendo a Ignosi:– Pren<strong>di</strong> questo segno del supremo potere, re legittimo <strong>dei</strong>koukouana.Ignosi la prese, se la mise sulla fronte e posando un piedesul petto del defunto re, gridò:– Mio padre è ven<strong>di</strong>cato!<strong>Le</strong> orde <strong>dei</strong> guerrieri proruppero in grido immenso:– Tu sei il nostro re!160


IL SEGRETO DELLA STREGAIl povero nostro compagno, assieme a Good, fu subitotrasportato nella capanna reale <strong>di</strong> Touala, dove venne spogliatodella sua armatura ed attentamente esaminato da un capochiamato Foulata, il quale passava anche per un famoso me<strong>di</strong>co.Il valoroso campione non aveva riportato, sotto la maglia <strong>di</strong>ferro che lo proteggeva, che delle ammaccature causate dai colpid'azza dall'erculeo monarca, ma alla spalla aveva ricevuto unalarga ferita, più dolorosa però che pericolosa non avendointaccato l'osso.Anche Good, che aveva voluto assistere al duello, eramalconcio, tutto ammaccato e pieno <strong>di</strong> contusioni ancorasanguinanti e dovemmo coricarlo accanto al genovese.Foulata applicò sulle ferite <strong>di</strong> entrambi un certo empiastroin<strong>di</strong>geno che godeva la proprietà <strong>di</strong> rimarginarle presto,adoperando i nostri fazzoletti per fasciarle.I miei due compagni, già più tranquilli, quantunquefebbricitanti, ben presto si addormentarono ed io cercaid'imitarli, ma mi fu impossibile, poiché tutta la notte il kraalreale risuonò <strong>di</strong> urla lamentevoli, essendo stati ricoverati inumerosissimi feriti raccolti sul campo <strong>di</strong> battaglia, ed accorsenumerose donne, le quali piangevano <strong>di</strong>speratamente suicadaveri <strong>dei</strong> padri, <strong>dei</strong> mariti, <strong>dei</strong> fratelli o <strong>dei</strong> figli.Sorto il giorno, quelle grida e quei pianti scemarono a pocoa poco, finché s'estinsero completamente; u<strong>di</strong>i però ancora lavoce strillante della strega Gagoul, la quale si lamentava accantoal cadavere dell'ex-re.Finalmente potei anch'io chiudere gli occhi e dormire un161


paio d'ore; quali sogni spaventevoli però turbarono il miospirito, durante quel breve riposo! Mi pareva <strong>di</strong> vedermi sempreintorno <strong>dei</strong> koukouana armati <strong>di</strong> formidabili coltelli, pronti adecapitarmi e <strong>di</strong> vedere la testa <strong>di</strong> Touala rotolarmi addosso ecoprirmi <strong>di</strong> sangue.Quando mi svegliai trovai Good assai indebolito efebbricitante. Come saprete, durante la battaglia aveva ricevutoun colpo d'ascia in una gamba. Durante il sonno il bendaggio glisi era smosso e la ferita, riapertasi, aveva lasciato colare grandequantità <strong>di</strong> sangue; per <strong>di</strong> più si era inasprita, forse in causa delcaldo eccessivo, destando in me delle serie apprensioni.– Voi state male, camerata – gli <strong>di</strong>ssi.– È vero – mi rispose Good. – Quel dannato selvaggio miha conciato per bene e temo <strong>di</strong> averne per molto tempo. Misento estremamente debole per la per<strong>di</strong>ta del sangue. Guardatequanto me n'è uscito questa notte; <strong>di</strong> sotto questo giaciglio vi èuna larga pozza.– Lasciate fare a me; <strong>di</strong> ferite me ne intendo un po'.Mi feci portare dell'acqua fresca, lavai la gamba dal sangueche vi si era raggrumato, riunii delicatamente le due labbra dellaferita, vi applicai sopra il rime<strong>di</strong>o in<strong>di</strong>geno, poi feci lafasciatura.Ciò fatto visitai il genovese. Anche questo era assaifebbricitante e debole, però constatai che la ferita non si eraaffatto inasprita e ne fui lietissimo.– La va meglio, signor Falcone – gli <strong>di</strong>ssi. – Se la continuacosì, fra una settimana voi sarete guarito e potremo riprendere ilnostro viaggio alle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.– Ah! Ci tenete a visitarle! – mi rispose il genovese,sorridendo.– Certamente, signore. Eh! Quando vedrete tutte quellepietre scintillanti non vi potrete trattenere dal desiderio <strong>di</strong>162


iempirvi le tasche, ve lo assicuro.– Siete ben certo però che ve ne siano molti?...– Ho già interrogato parecchi capi e da tutti ebbil'assicurazione che in quelle <strong>caverne</strong> ve ne sono tanti da caricare<strong>di</strong>eci buoi.– Un tesoro inestimabile adunque!... – mi rispose ilgenovese, quasi beffardamente.– Vedo che voi dubitate.– No, ma che ci siano <strong>di</strong>amanti come la ghiaia, lo si vedrà,mio caro cacciatore.– Cercate <strong>di</strong> guarire, mio signore, e poi vedremo se miavranno ingannato o se avranno detta la verità.In quell'istante entrarono Ignosi e Infadou: apprendendoche Good stava assai più male del giorno innanzi, e che anche ilsignor Falcone era assai debole, decisero <strong>di</strong> far ricoverare i duevalorosi in un'altra capanna più arieggiata e più tranquilla, ondenon venissero <strong>di</strong>sturbati dai lamenti delle donne e dai gemitidelle centinaia e centinaia <strong>di</strong> feriti affollati nel kraal.Furono costruite due comode barelle rese soffici da uncumulo <strong>di</strong> foglie fresche ed i due miei amici vennero, con gran<strong>di</strong>precauzioni, trasportati in una bella abitazione situataall'estremità della vasta cinta e circondata da sette od ottocolossali niawna, i quali la ombreggiavano, mantenendola frescaanche durante le ore più calde del giorno.Io e Foulata c'incaricammo <strong>di</strong> vegliare e <strong>di</strong> curare i dueferiti.Non ostante le nostre premurose cure, Good invece <strong>di</strong>migliorare peggiorò sempre più e per parecchi giorni lottò fra lavita e la morte. Anzi un mattino, essendo caduto in un lungodeliquio, credemmo davvero che avesse cessato <strong>di</strong> vivere;finalmente la sua robusta costituzione trionfò e ben presto entròin convalescenza. Il signor Falcone intanto era quasi163


completamente guarito ed aveva già cominciato a fare dellepasseggiate intorno alla graziosa capanna, passando più oreall'aperto, seduto sotto la fresca ombra <strong>dei</strong> niawna.Un giorno, vedendo che i miei due amici non avevano piùbisogno <strong>di</strong> me, mi recai al kraal reale per visitare Ignosi, chesapevo occupatissimo a rior<strong>di</strong>nare il suo regno ed il suo esercito.Io lo trovai nella capanna del grande indeba, ossia delConsiglio, assiso su <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> trono fregiato d'oro ecoperto d'una splen<strong>di</strong>da pelle <strong>di</strong> leopardo.Aveva l'aria d'un vero re, un'aria <strong>di</strong>gnitosa d'uomosuperiore ed abituato al comando.Intorno a lui stavano parecchi capi coi quali <strong>di</strong>scutevaanimatamente.Lasciai che finisse il Consiglio, non avendo mai avutopassione per la politica, né europea, né africana, poi quando icapi se ne andarono, mi presentai a lui.Il bravo monarca <strong>di</strong>menticando l'etichetta mi vennesollecitamente incontro, stringendomi ambe le mani,chiedendomi come stavano i miei due amici e scusandosi <strong>di</strong> nonaver potuto venire a trovarci da qualche giorno, in causa <strong>dei</strong>molti affari <strong>di</strong> Stato che non gli lasciavano un solo istante <strong>di</strong>libertà.– La loro guarigione è ormai rassicurata – gli risposi. – Ilsignor Falcone può alzarsi e camminare, ed anche Good fraqualche giorno non avrà più bisogno <strong>di</strong> starsene coricato.– Ecco una notizia che mi fa molto piacere, puoi crederlo,amico bianco. Mi sarebbe assai rincresciuto che quei valorosiavessero dovuto soccombere, dopo d'avermi aiutato aconquistare il trono. Ora è giunto il momento <strong>di</strong> ricompensarvi<strong>di</strong> quanto avete fatto per me.– Ero venuto precisamente per chiederti se avevi<strong>di</strong>menticato le <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.164


– No, amico bianco – mi rispose Ignosi. – Io non ho<strong>di</strong>menticata la promessa che ti ho fatta.– Dunque potremo noi vedere quelle famose <strong>caverne</strong>.– Lo spero.– Oh! – feci io. – Vi sono delle <strong>di</strong>fficoltà forse?– Sì, però le vinceremo.– E le quali sono?– Tutto <strong>di</strong>pende dalla Gagoul.– Dalla vecchia strega!... – esclamai io, con stupore.– Sì, essendo la sola che conosca il luogo dove si trovanoraccolte le pietre brillanti.– E tu non lo sai?...– Ecco: io conosco la via che conduce alle tre montagne.– È forse quella grande strada che abbiamo già percorsa?...– Sì – rispose Ignosi.– Allora il documento del portoghese è esatto.– Lo credo anch'io. In una <strong>di</strong> quelle tre montagne nevose sitrovano delle vaste <strong>caverne</strong>, in una delle quali si seppelliscono ire della mia nazione. In un'altra si trovano raccolte le pietrescintillanti che voi tanto apprezzate.– Ma chi le ha portate colà! – chiesi io.– La leggenda narra che molti, ma molti anni or sono,erano state colà radunate per regalarle ad un uomo bianco ilquale poi non ne avrebbe tratto alcun profitto, essendo mortoprima <strong>di</strong> lasciare questi paesi.– Era il portoghese José Sylvestra – <strong>di</strong>ss'io. – Come tu sai,abbiamo trovato il suo cadavere mummificato.– Sì, è vero.– E tu <strong>di</strong>ci che solamente la strega conosce il segreto <strong>di</strong>quella caverna?– Non vi è nessun'altra persona del mio regno che loconosca. Ho fatto chiedere a molti, ma senza risultato.165


– Allora dubito <strong>di</strong> poter porre le mani su quei <strong>di</strong>amanti –risposi io, senza nascondere il mio malumore. – La vecchiastrega non parlerà, <strong>di</strong> questo sono certo.– La vedremo – mi rispose Ignosi, con un sorriso.Batté tre volte le mani e tosto un guerriero gris entrò.– Conduci qui la vecchia Gagoul – <strong>di</strong>sse il re. – Se sirifiuta, trascinala a forza.Alcuni istanti dopo la strega veniva condotta <strong>di</strong>nanzi a noi,sorretta da due guerrieri. Sembrava furibonda ed opponeva unafiera resistenza, facendo sforzi <strong>di</strong>sperati per liberarsi dalle maniche la stringevano e vomitando contro i guerrieri un torrente <strong>di</strong>minacce e <strong>di</strong> male<strong>di</strong>zioni.– Lasciatela – <strong>di</strong>sse Ignosi.La vecchia strega, sentendosi libera, si lasciò cadere alsuolo come un sacco <strong>di</strong> stracci, fissando su <strong>di</strong> noi uno sguardoripieno d'o<strong>di</strong>o feroce.– Cosa vuoi tu, re Ignosi? – chiese ella. – La presenzadell'uomo bianco mi fa sospettare che tu voglia sapere dovesono celate le pietre brillanti. Mi sono ingannata?– No – rispose Ignosi.– Ah! Ah! – fece l'orribile megera, con tono beffardo. – Ionon <strong>di</strong>rò nulla.– Lo si vedrà più tar<strong>di</strong>, Gagoul.– Cosa vorresti fare a me? Sta' in guar<strong>di</strong>a, poiché la vecchiaGagoul è la madre delle arti magiche.– Vecchia jena, io non credo affatto alla tua pretesapotenza. Se tu fossi stata la madre delle arti magiche comepreten<strong>di</strong>, avresti dovuto salvare Touala dalla morte. Orsù, parla,<strong>di</strong>mmi dove si trova la caverna <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti; io voglio saperlo.– T'ho detto che non lo <strong>di</strong>rò mai. Questi bianchi possonotornare al loro paese colle mani vuote, perché non vedrannogiammai la misteriosa caverna. Nessuno sa dove si trova, me166


eccettuata.– Io ti farò parlare, non dubitare – <strong>di</strong>sse Ignosi, con tonominaccioso.– Oh! Tu potrai essere un re grande, ma non avrai lapotenza <strong>di</strong> strappare una confessione alle labbra d'una donnamia pari.– Ti ripeto che tu ci <strong>di</strong>rai dove si trova la caverna.– Mai – ripeté la Gagoul, sempre più inferocita.– Ebbene, allora preparati a morire.– A morire! – esclamò la vecchia, con accento stupito e nelmedesimo tempo spaventato. – Nessuno oserà alzare le manisulla madre delle arti magiche.– L'oserò io.– Non avrai tanto ar<strong>di</strong>re!...– L'avrò, Gagoul.– Io ti farò morire.– Non temo le tue minacce, brutta jena. Non è a me che lamorte fa paura, è a te, quantunque sii ormai tanto vecchia che lavita non dovrebbe avere per te più nessuna attrattiva.– Tu parli come un fanciullo – <strong>di</strong>sse la strega. – Tu ignoriadunque che più che si vive più si vorrebbe prolungarel'esistenza?... <strong>Le</strong> giovani possono morire senza troppi rimpiantiperché non hanno conosciuto le emozioni dell'esistenza, maquando s'è vissuti lungo tempo, non si vorrebbe più mai dare unad<strong>di</strong>o per sempre alla luce.– Giacché tanto ci tieni a vivere, io ti <strong>di</strong>co che ti manderò adormire il sonno eterno nel regno delle tenebre, se non condurraii miei amici bianchi nelle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.– Non li condurrò – ripeté ella risolutamente.Ignosi afferrò una lancia, <strong>di</strong>cendo:– Allora tu morrai subito.Ella lesse sul volto del re una risoluzione implacabile e167


provò un fremito <strong>di</strong> paura:– Fermati! – gridò, vedendo Ignosi alzare l'arma. – Iocondurrò gli uomini bianchi sulle alte montagne; ti avverto peròche gravi sciagure colpiranno coloro che entreranno nelle<strong>caverne</strong> dove dormono da secoli le spoglie <strong>dei</strong> re e dove sitrovano i <strong>di</strong>amanti. Io so che molti, moltissimi anni or sono, unaltro uomo bianco ha voluto visitare quelle <strong>caverne</strong>, condotto dauna mia antenata e che la sciagura lo colpì perché non rivide piùmai il suo paese.– Non mi fa paura la sventura – <strong>di</strong>ss'io. – A me basta porrele mani sulle pietre scintillanti.– Ti avverto che il viaggio sarà lungo e che correrai ilpericolo <strong>di</strong> morire e <strong>di</strong> farti mangiare gli occhi dagli avvoltoi.– Non ho paura <strong>di</strong> nulla. Conducimi nelle <strong>caverne</strong> e nonoccuparti d'altro.– Sia – mi <strong>di</strong>sse la Gagoul. – Quando vorrai partire, me lo<strong>di</strong>rai.Non desideravo sapere <strong>di</strong> più. Ringraziai Ignosi <strong>di</strong> avermantenuta la promessa e tornai dai miei compagni perinformarli del colloquio avuto col re e colla strega.Decidemmo <strong>di</strong> metterci in viaggio fra otto giorni, ondelasciar tempo a Good <strong>di</strong> guarire completamente.L'indomani istesso io cominciai i preparativi. Aiutato daFoulata preparai una tenda onde ripararci dal sole ardente ecome meglio potei rassettai le nostre scarpe, essendo ormairidotte in cattivo stato dalle lunghe marce, poi preparaiparecchie bisacce impermeabili per l'acqua e pei viveri.Otto giorni dopo, ai primi albori, essendo già Goodperfettamente guarito ed anche rinvigorito, salutati Ignosi edInfadou, ci mettevamo in marcia seguìti da Foulata e dallavecchia Gagoul che noi portavamo su <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> barella.Quella prima giornata trascorse senza incidenti spiacevoli.168


Avevamo camminato continuamente sulla grande via già da noipercorsa per recarci nel paese <strong>dei</strong> koukouana.Il giorno seguente però, essendo giunti in un paesemontuoso, fummo costretti ad inoltrarci attraverso a fitte forestedove incontrammo numerosa selvaggina. Abbondavano leantilopi, le zebre, le giraffe, e scorgemmo anche numerosetracce <strong>di</strong> elefanti e <strong>di</strong> rinoceronti.Temendo <strong>di</strong> trovarci da un istante all'altro <strong>di</strong> fronte ad uno<strong>di</strong> quei pericolosi colossi, avanzammo con molte precauzioni,ascoltando attentamente prima <strong>di</strong> cacciarci in mezzo a queigiganteschi macchioni <strong>di</strong> acacie, <strong>di</strong> sicomori, <strong>di</strong> banani e <strong>di</strong>manzanilli, piante queste ultime che uccidono le persone cheincautamente s'addormentano sotto la loro fresca e deliziosaombra.Alla sera, assai stanchi da quella faticosa marcia, ciaccampammo entro una specie <strong>di</strong> gola profonda e selvosa, che siaddentrava in una delle tre famose montagne. Sapendo che glianimali feroci non dovevano mancare, accendemmo un granfuoco per tenerli lontani e per prepararci contemporaneamente lacena.Avevamo appena terminato <strong>di</strong> mangiare ed avevamo accesele nostre pipe, quando, tutto ad un tratto, u<strong>di</strong>mmo risuonarenella foresta un ruggito così formidabile, che parve facessetremare perfino il suolo.Foulata si era alzato <strong>di</strong> colpo, <strong>di</strong>cendo con voce tremante:– È un leone.– E non deve essere lontano – ci <strong>di</strong>sse la Gagoul, conaccento beffardo. – Ha sentito l'odore degli uomini bianchi evorrà provare se la carne bianca è migliore della negra.– Bah! – esclamò il genovese, afferrando prontamente ilsuo fucile. – La carne bianca è protetta dalle cannefiammeggianti.169


– Vedremo se il leone avrà paura – riprese la Gagoul.Un secondo ruggito, più formidabile del primo e più vicino,echeggiò minacciosamente nella foresta.– Che l'abbia proprio con noi? – chiese Good.– Avrà fame – <strong>di</strong>ssi io.In questo istante Foulata s'inchinò verso <strong>di</strong> me, <strong>di</strong>cendomi:– È la vecchia strega che lo chiama.Io, invece <strong>di</strong> rispondergli, mi alzai col fucile in mano e mispinsi fino sul margine del macchione, seguìto dal genovese.Guardai a destra ed a manca, ma non mi riuscì <strong>di</strong> scorgereil pericoloso vicino.– Dove si sarà nascosto? – mi chiese il signor Falcone. –Vorrei vederlo per cacciargli una buona palla nel corpo.– Cercherà <strong>di</strong> sorprenderci – risposi. – Questi animali sonopiù prudenti <strong>di</strong> quello che si crede e se non sono feriti o moltoaffamati, non osano assalire l'uomo.– Allora aspetterà che noi ci siamo coricati.– È probabile – risposi io.– Ciò non mi garba affatto.– E nemmeno a me.– Volete che lo scoviamo?– Lo crederei il partito migliore.– Purché si mostri?– Di questo m'incarico io.In quel momento Good venne a raggiungerci, chiedendociche cosa intendevamo <strong>di</strong> fare.– Voi rimanete a guar<strong>di</strong>a del campo, – gli risposi, – e noi cioccuperemo <strong>di</strong> questo affamato.Poi rivolgendomi al genovese, gli <strong>di</strong>ssi:– Seguitemi senza far rumore, signor Falcone.Ci mettemmo a strisciare lungo il margine d'un macchionefoltissimo <strong>di</strong> mimose nilotiche, piante assai spinose che formano170


<strong>dei</strong> veri boschetti.Percorsi duecento passi, feci cenno al mio compagno <strong>di</strong>non muoversi e posto un orecchio a terra, ascoltai con profondaattenzione.– Nulla? – mi chiese il signor Falcone.– Sì – risposi. – Odo il leone che si avanza.In quel momento, un buffo d'aria calda, portò fino al mionaso quell'odore sgradevole <strong>di</strong> selvatico che tramandano glianimali feroci.– L'amico si sente già – <strong>di</strong>ss'io.– È lontano? – mi chiese il genovese.– Io credo che ci stia a breve <strong>di</strong>stanza.Avendo scorto sulla mia destra un grosso albero, ci<strong>di</strong>rigemmo a quella volta, nascondendoci <strong>di</strong>etro l'enorme tronco.Eravamo appena giunti colà, quando verso l'accampamentou<strong>di</strong>mmo delle urla <strong>di</strong> terrore mandate da Foulata e dalla vecchiastrega.– Gran Dio! Che cosa succede? – chiese il genovese,alzandosi. – Che qualche altro leone abbia assaliti i nostricompagni?– Ritorniamo – <strong>di</strong>ssi io.Stavamo per abbandonare l'albero, quando vedemmo duepunti luminosi, fosforescenti, brillare fra le tenebre, a meno <strong>di</strong>trenta passi da noi.– Fuggiamo – gridai.Il genovese invece d'ubbi<strong>di</strong>rmi appoggiò la carabina allaspalla e mirò in quella <strong>di</strong>rezione, con una calma ammirabile.– Fuggite!... – ripetei.In quel momento le macchie s'aprirono impetuosamente edun leone <strong>di</strong> taglia enorme, colla villosa giubba irta, si mostròmandando un ruggito così spaventevole che parve un colpo <strong>di</strong>tuono.171


Si era accovacciato come si preparasse a prendere loslancio e piombare su <strong>di</strong> noi e si batteva i fianchi colla coda,dando segni d'impazienza.Io avevo pure puntato il fucile; prima però che potessi farfuoco, il genovese mi prevenne.La nube <strong>di</strong> fumo non era ancora scomparsa, quando io ed ilmio compagno fummo violentemente atterrati.Il leone, forse solamente ferito, si era scagliato su <strong>di</strong> noiurtandoci in così malo modo da mandarci a gambe levate.Fortunatamente, invece <strong>di</strong> arrestarsi e <strong>di</strong> mettere in opera i suoiformidabili artigli, era subito scomparso, rientrando nellamacchia.– Fuggiamo signor Falcone – gridai, alzandomiprecipitosamente. – Un altro assalto e noi vi lasceremo la pelle.Sfuggiti miracolosamente a quel grave pericolo,abbandonammo frettolosamente l'albero e ci <strong>di</strong>rigemmo <strong>di</strong> corsaverso l'accampamento, non senza guardarci alle spalle per tema<strong>di</strong> vederci inseguiti dal terribile animale.A metà via incontrammo Good, il quale avendo u<strong>di</strong>to iruggiti del leone e lo sparo, si affrettava ad accorrere in nostrosoccorso, credendoci in pericolo.– L'avete ucciso? – ci chiese, con apprensione.– No – rispondemmo.– Siete stati feriti?– Nemmeno, – <strong>di</strong>ss'io, – ma se siamo ancora vivi è unmiracolo poiché siamo stati assaliti ed atterrati. Ed a voi checosa è accaduto? Abbiamo u<strong>di</strong>te le grida <strong>di</strong> Foulata e dellavecchia strega.– Un altro leone è comparso vicino al campo, però è subitofuggito, forse spaventato dal fuoco.– Ripieghiamo sul campo e accen<strong>di</strong>amo altri falò – <strong>di</strong>ss'io.– Gli animali feroci <strong>di</strong>fficilmente osano accostarsi ai fuochi;172


potete credere a me, vecchio cacciatore.In pochi salti giungemmo presso la tenda, dove trovammola Gagoul tremante <strong>di</strong> paura e Foulata riparato <strong>di</strong>etro al suoscudo e colla lancia in mano.Temendo un nuovo assalto da parte <strong>dei</strong> leoni, siaffrettarono tutti ad obbe<strong>di</strong>rmi, raccogliendo moltissimi rami edelle erbe secche ed accendendo tre altri fuochi intorno allatenda.Avevamo appena terminati i preparativi, quando Foulata misi avvicinò, ad<strong>di</strong>tandomi due punti luminosi che si scorgevanoin mezzo ad una macchia <strong>di</strong> acacie.– È un leone che ci spia – <strong>di</strong>ssi.– Che sia lo stesso che ci ha assaliti? – mi chiese ilgenovese.– Io credo che sia invece un altro – risposi.– Ed il suo compagno, dove sarà andato? Che sia giàmorto?... È impossibile che non sia stato colpito, essendo io unbuon bersagliere.– Hanno la pelle dura questi animali.– Vedremo se l'avrà anche quell'amico – <strong>di</strong>sse il genovese.– Lo mirerò fra gli occhi.Così <strong>di</strong>cendo il signor Falcone, appoggiatosi ad un palodella tenda, prese <strong>di</strong> mira il leone che stava nascosto fra lemimose, aspettando forse che i fuochi si spegnessero per gettarsisul nostro campo.Io e Good ci eravamo collocati presso il nostro compagnocol <strong>di</strong>to sul grilletto <strong>dei</strong> fucili, pronti a fare fuoco a nostra volta,se avesse mancato il colpo.Il leone, accortosi certamente del pericolo che correva, feceu<strong>di</strong>re un ruggito profondo e vedemmo i suoi occhi cambiareposizione.– Tirate – <strong>di</strong>ssi al genovese. – Tirate o si caccerà nella173


macchia.<strong>Le</strong> mie ultime parole furono soffocate dalla detonazionedella carabina.Vedemmo subito il leone balzare fuori dalle mimose poiscagliarsi, con un grande salto, al <strong>di</strong> sopra <strong>dei</strong> fuochi eprecipitarsi addosso alla nostra tenda, abbattendola <strong>di</strong> colpo.Io mi ero gettato prontamente da un lato e stavo per farefuoco, quando m'accorsi che la fiera, colpita senza dubbio inpiena testa, non si era più rialzata.– Il leone è morto!... – gridai ai miei compagni, che sierano gettati a destra ed a sinistra.Presi un tizzone e mi avvicinai al feroce animale,bruciandogli il muso, ma non <strong>di</strong>ede segno <strong>di</strong> vita.– Signor Falcone – <strong>di</strong>ssi. – Lasciate che faccia i mieicomplimenti pel vostro colpo d'occhio! Guardate: la vostra pallaha fracassata la fronte della fiera e precisamente fra i due occhi.– Bah!... Un altro avrebbe fatto altrettanto – mi risposemodestamente l'intrepido genovese. – Orsù, ora che i signoricarnivori hanno avuto il loro conto, approfittiamo per fare unabella dormita.Certi che anche l'altro leone fosse stato o ucciso ogravemente ferito, ci sdraiammo nella tenda sotto la guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong>Foulata, incaricato del primo quarto <strong>di</strong> veglia.La notte non fu tuttavia tranquilla come avevamo sperato,in causa <strong>di</strong> una grossa banda <strong>di</strong> jene macchiate, le quali ci<strong>di</strong>edero un concerto assordante capace <strong>di</strong> svegliare perfino unmorto, e che più volte cercarono, <strong>di</strong> soppiatto, d'introdursi nelnostro campo, forse per banchettare colla vecchia Gagoul cheaveva voluto dormire all'aperto.All'alba riprendevamo la salita della montagna, procedendocon grande fatica in causa <strong>dei</strong> burroni, delle fen<strong>di</strong>ture, degliavvallamenti, delle rocce e <strong>dei</strong> fitti cespugli che ci chiudevano il174


passo ad ogni istante.Quella montagna aveva la forma d'un cono immenso e lasua cima, al pari delle altre due che le stavano <strong>di</strong>etro, era coperta<strong>di</strong> neve, non ancora scioltasi malgrado l'eccessivo calore.Camminavamo da tre ore, quando giungemmo sul margined'una profonda escavazione avente cento metri <strong>di</strong> larghezza eduna lunghezza d'un chilometro.Il genovese e Good mi chiesero che cosa poteva esserequell'enorme buco, non essendo un burrone naturale, ma bensìscavato, forse molti secoli prima, dalla mano dell'uomo.– Non ve lo immaginate? – <strong>di</strong>ss'io.– Ma... non saprei – mi rispose il signor Falcone.– Allora voi non avete mai veduto le miniere <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti <strong>di</strong>Kimberley?– Come! Questa sarebbe una miniera?– Oh! Io sono certo <strong>di</strong> non ingannarmi, e se noi potessimo<strong>di</strong>scendere troveremmo senza dubbio gli antichi pozzi aperti daiminatori. Guardate laggiù, non vedete quei serbatoi <strong>di</strong> acqua.Essi hanno servito al lavaggio delle pietre preziose persbarazzarle del loro involucro terroso.– Ma chi credete che abbia lavorato questa miniera? – michiese Good.– Forse i negri degli antichi re <strong>dei</strong> koukouana.– Per dare i <strong>di</strong>amanti al portoghese Sylvestra?– È probabile – risposi.Dopo una breve fermata per la colazione, la vecchiaGagoul c'in<strong>di</strong>cò il largo sentiero il quale saliva la montagna azig-zag.– È la via <strong>dei</strong> Silenziosi – ci <strong>di</strong>sse Foulata.– Che cosa sono questi Silenziosi? – chiedemmo noi.– Guardateli lassù.Alzammo gli occhi e vedemmo a breve <strong>di</strong>stanza tre enormi175


statue alte più <strong>di</strong> sette metri e situate a circa venti passi l'unadall'altra.Due rappresentavano degli uomini, la terza una donna.Sulle loro basi si vedevano scolpiti <strong>dei</strong> caratteriassolutamente indecifrabili per noi.La donna aveva un aspetto bello, ma con una espressioneassai severa e le ingiurie del tempo non l'avevano menomamenteguastata; <strong>dei</strong> due uomini uno sembrava un demone o per lomeno qualche stregone e teneva in una mano un tridente <strong>di</strong>ferro; l'altro invece era un guerriero d'aspetto imponente, conuno scudo gigantesco ed una picca fornita d'una lama smisurata.Dal suo atteggiamento pareva che fosse per slanciarsi contro unnemico invisibile.Quei tre colossi situati lassù, fra le solitu<strong>di</strong>ni dellamontagna, contemplanti eternamente l'immensa pianura che siestendeva a per<strong>di</strong>ta d'occhio, fecero su <strong>di</strong> noi un sensod'involontario terrore.– Chi può aver portato quassù queste statue? – si chieseGood, con stupore.– Non deve essere certo opera <strong>dei</strong> koukouana – <strong>di</strong>sse ilsignor Falcone.– E <strong>di</strong> chi adunque?– Forse degli uomini che hanno costruita la grande stradache noi abbiamo percorsa venendo in questo paese.– Forse la Gagoul ne saprà qualche cosa – <strong>di</strong>ssi io.Interrogammo la vecchia strega, ed ella ci <strong>di</strong>ede la seguenterisposta:– Ho u<strong>di</strong>to a raccontare da mia madre, morta vecchissima,che i tre Silenziosi erano stati qui portati dal popolo che abitavaqueste regioni prima <strong>di</strong> noi. Di più non potrei <strong>di</strong>rvi.– Ma quel popolo come è scomparso? – gli chiese il signorFalcone.176


– Sembra che sia stato <strong>di</strong>strutto totalmente da un terribilemale.– Sono molti anni che i koukouana hanno occupate questeregioni?– Oh molti! Così ho u<strong>di</strong>to a raccontare da mia madre.– Ed a che cosa credete che abbiamo servito questi trecolossi.Un sorriso, che ci parve un sogghigno beffardo, contrassele labbra della strega, mentre nei suoi piccoli occhi neribalenava un lampo strano.– Come! Non lo sapete? – <strong>di</strong>sse. – Essi sono i guar<strong>di</strong>anidelle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.– Sì, <strong>dei</strong> guar<strong>di</strong>ani impassibili – <strong>di</strong>sse Good, ridendo. –Non so davvero come farebbero a scendere dai loro pie<strong>di</strong>stalliper cacciare via i ladri. Ah! Vecchia Gagoul, non siamo cosìsciocchi a credere simili frottole.– Guardatevi, uomini bianchi!... Essi sono capaci <strong>di</strong> gettaresu <strong>di</strong> voi il malefizio.– S'accomo<strong>di</strong>no pure – concluse Good.Riprendemmo la via della montagna, lasciando alle nostrespalle i granitici guar<strong>di</strong>ani delle <strong>caverne</strong>, arrampicandocifaticosamente su per la cima, la quale <strong>di</strong>ventava <strong>di</strong> passo inpasso più <strong>di</strong>fficile.Dopo d'aver attraversato nuovi burroni, nuovi boschi, ed ungran numero <strong>di</strong> torrenti scroscianti sui fianchi dell'immensocono, giungemmo <strong>di</strong>nanzi ad una gigantesca muraglia <strong>di</strong> granito,la quale ci chiudeva il passo da ogni parte.Ci arrestammo guardando la vecchia strega, la quale era<strong>di</strong>scesa dall'amaca, appoggiandosi ad un nodoso bastone.– Dove si va? – le chiedemmo.– Noi ci troviamo presso le <strong>caverne</strong> – ci rispose.– Di già! – esclamammo con stupore.177


La vecchia ci rispose con un sorriso sardonico.– Ma io non veggo alcun passaggio – <strong>di</strong>sse il signorFalcone.– So io dove si trova.– Allora conducici.– Ah! Ah! – esclamò la Gagoul. – I gran<strong>di</strong> capi bianchihanno fretta <strong>di</strong> vedere il luogo che porta sventura?– Noi ce ne ri<strong>di</strong>amo delle sventure – rispose Good.– Ebbene io sono pronta ad obbe<strong>di</strong>re agli or<strong>di</strong>ni del re ed acondurvi nelle <strong>caverne</strong>, ma vi avverto che vedrete delle coseterribili. Venite capi bianchi ed anche tu Foulata che hai tra<strong>di</strong>to,al pari d'Infadou, il tuo padrone.Il capo koukouana aggrottò la fronte, <strong>di</strong>cendo:– No, io non ho il permesso d'entrare, ma tu risponderaidella vita degli uomini bianchi colla tua, e se a loro toccassequalche sventura, la pagherai cara, vecchia strega.– Io non ho bisogno <strong>di</strong> minacce per obbe<strong>di</strong>re agli or<strong>di</strong>ni delre. Io condurrò i capi bianchi nella caverna <strong>dei</strong> tesori, ma seavranno paura, tanto peggio per loro.– Ehi, vecchia! Ci pren<strong>di</strong> per fanciulli? – <strong>di</strong>sse il signorFalcone. – Sappi che gli uomini bianchi non hanno mai credutoalle streghe né ai malefizi.– Lo si vedrà: seguitemi.Senza altro aggiungere la vecchia, appoggiandosi al suobastone, costeggiò la base dell'immensa muraglia per circatrecento metri, poi s'arrestò <strong>di</strong>nanzi ad una stretta apertura quasinascosta da piante arrampicanti e che pareva la galleria <strong>di</strong>un'antica miniera.– È qui? – chiedemmo.– Sì – ci rispose la strega. – Il vostro cuore non trema?– Niente affatto – rispose Good per tutti.– Me lo <strong>di</strong>rete più tar<strong>di</strong>.178


Cominciammo ad inoltrarci in quella specie <strong>di</strong> galleria cheera tanto larga da permettere il passaggio a due uomini <strong>di</strong> fronte.La Gagoul ci precedeva senza arrestarsi un solo istante,quantunque l'oscurità cominciasse a <strong>di</strong>ventare profonda e noi laseguivamo non senza un certo panico, non sapendo che cosafosse per accadere ed avendo tutto da temere dalla malvagità <strong>di</strong>quella donna.Dopo una cinquantina <strong>di</strong> passi, la galleria s'allargòimprovvisamente e ci trovammo sulla soglia <strong>di</strong> una immensacaverna.Immaginate voi la più vasta cattedrale del mondo, alta più<strong>di</strong> trenta metri, <strong>di</strong> forma circolare, vagamente illuminata daalcuni raggi <strong>di</strong> luce che scendevano dall'alto e sostenuta in tuttala sua lunghezza da una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> gigantesche colonnebianche e trasparenti, come se fossero <strong>di</strong> ghiaccio.Qualcuna <strong>di</strong> esse aveva un <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> più <strong>di</strong> sei metri etale si conservava sino alla cima, mentre altre erano tronche ametà altezza, come se agli uomini che le avevano costruite fossemancato il tempo d'ultimarle.Vi <strong>di</strong>rò poi che tutte avevano delle iscrizioni e dellescolture che ci parvero <strong>di</strong> origine egiziana, avendo scortenumerose ibis. Quanto tempo dovevano aver impiegato perinnalzare quei colossali pilastri? Certamente parecchi secoli.– A che cosa può aver servito questa caverna? – chieseGood.– Forse sarà stata adoperata per servire <strong>di</strong> sepolcreto ai redel popolo scomparso – rispose il signor Falcone.– Ma io non vedo alcuna tomba.– Saranno stati tumulati nella roccia.– Ma sapete, amico, che questa caverna è un capolavoro! Iocredo che non ne esista un'eguale al mondo.– È probabile.179


– Che sia naturale o che sia stata scavata?– Queste colonne c'in<strong>di</strong>cano che questa roccia è statatraforata pazientemente a forza <strong>di</strong> scalpello al pari <strong>dei</strong> famositempli <strong>di</strong> Ellora che si trovano nell'In<strong>di</strong>a – rispose il signorFalcone.– Per fare questo colossale lavoro devono aver impiegato<strong>dei</strong> secoli.– Dei secoli! Dite delle migliaia d'anni, Good.– Quale popolo deve essere adunque stato per eseguiresimile lavoro.– Uno solo io credo.– E quale?– Quello che ha costruito le gigantesche pirami<strong>di</strong> <strong>dei</strong>Faraoni.– L'egiziano?– Sì, Good – rispose il signor Falcone. – Io non ho piùalcun dubbio.– Voi dunque credete che una colonia egiziana si sia spintafin qui?– Tutto lo in<strong>di</strong>ca; la grande via che abbiamo percorsa, lagalleria scavata attraverso la montagna adorna <strong>di</strong> sculture <strong>di</strong> stileprettamente egiziano, e questa immensa caverna.– Ma pensate che quella colonia deve aver attraversatal'intera Africa dal nord al sud.– Lo so: è una cosa che sembrerà impossibile e pure ormainon possiamo più dubitare.In quell'istante la Gagoul si volse verso <strong>di</strong> noi, <strong>di</strong>cendoci:– Seguitemi, capi bianchi; la caverna delle pietre brillanti èvicina.Seguimmo la vecchia strega, passando successivamenteentro altre <strong>caverne</strong>, le una più superbe delle altre, con stalattiti estalagmiti colossali, formate dalle gocce impregnate <strong>di</strong> materia180


calcarea che cadevano costantemente, da secoli e secoli,dall'alto. Ve n'erano <strong>di</strong> quelle magnifiche, tutte bitorzolute oscannellate o rigonfie ad intervalli come le colonne doriche,alcune <strong>di</strong>ritte ed altre oblique a seconda della caduta delle goccecalcaree.<strong>Le</strong> pareti poi delle <strong>caverne</strong>, a somiglianza <strong>di</strong> quelle famoseche furono scoperte nel Kentuky e che vennero poi chiamate <strong>dei</strong>mammouth per aver trovato in una <strong>di</strong> esse lo scheletrogigantesco d'un elefante anti<strong>di</strong>luviano, erano coperted'incrostazioni sorprendenti.Si vedevano arabeschi che parevano opera non della naturacapricciosa ma del genio umano, can<strong>di</strong><strong>di</strong> come se fossero fatte<strong>di</strong> neve gelata, poi animali strani, quin<strong>di</strong> panneggiamentienormi, gruppi <strong>di</strong> foglie mostruose e <strong>di</strong> fiori d'una bellezzameravigliosa.Noi avremmo voluto fermarci per ammirare le bellezze <strong>di</strong>quel mondo sotterraneo, e per vedere se quelle <strong>caverne</strong> avesseroun tempo servito a qualche uso al misterioso popolo che abitavaquelle contrade prima dell'invasione <strong>dei</strong> koukouana, ma laGagoul, famigliarizzata a quelle bellezze s'avanzava sempre,senza curarsi <strong>di</strong> guardarle e noi eravamo costretti a seguirla pertema <strong>di</strong> smarrirci.Dopo d'aver attraversato parecchie spaziose gallerie,giungemmo <strong>di</strong>nanzi ad una porta altissima, larga alla base e piùstretta alla cima e colle pilastrate adorne <strong>di</strong> geroglifici che a noiparvero assolutamente <strong>di</strong> stile egiziano.La Gagoul si era volta verso <strong>di</strong> noi, <strong>di</strong>cendoci con vocelugubre:– Voi state per entrare nell'asilo della morte.– Vi seguiamo – <strong>di</strong>ss'io.– Non avrete paura, uomini bianchi?– I morti non ci fanno più paura <strong>dei</strong> vivi – <strong>di</strong>sse il181


genovese.– Vi avverto che vedrete delle cose terribili.– Va' innanzi, vecchia strega.La Gagoul, dopo un istante <strong>di</strong> esitazione, attraversò laporta.– Seguitela pel primo, Allan – mi <strong>di</strong>sse il signor Falcone.Io feci alcuni passi innanzi, non senza però sentirmi batterefortemente il cuore, temendo qualche brutta sorpresa.Mi trovai subito in una sala più oscura delle altre e perciò<strong>di</strong> colpo nulla potei <strong>di</strong>stinguere, ma ben presto i miei occhi siabituarono a quella semioscurità e scorsi, non senza un brivido,una enorme tavola bianca e massiccia che si estendeva per tuttala lunghezza della caverna.Volgendo gli occhi all'intorno, a poco a poco <strong>di</strong>stinsi dellefigure <strong>di</strong> grandezza naturale <strong>di</strong>sposte presso quell'enorme tavolae sopra <strong>di</strong> essa una forma bruna, la cui vista mi strappò un grido<strong>di</strong> terrore.Credetti <strong>di</strong> perdere le forze e feci atto <strong>di</strong> fuggire, ma ilsignor Falcone, che mi veniva <strong>di</strong>etro, mi prese pel colletto e viassicuro che senza il suo solido pugno io sarei caduto al suolo oper lo meno fuggito per non rientrare più mai in quella sala.Mi volsi verso i miei compagni, pallido come un cadaveree vi<strong>di</strong> che entrambi si asciugavano il freddo sudore che calavadalle loro fronti.– Ciò è orribile! – u<strong>di</strong>i ad esclamare il genovese. – Nonavrei mai creduto <strong>di</strong> vedere un così spaventevole spettacolo!...– Signore, fuggiamo! – gridai.– No – mi rispose il signor Falcone, trattenendomi. – Nondobbiamo mostrare alla strega che noi abbiamo paura. Avanti,compagni!...Facemmo alcuni passi innanzi guardando l'immensa tavola<strong>di</strong> pietra bianca che si allungava verso il fondo della caverna ed182


all'estremità scorgemmo un gigantesco scheletro umano alto più<strong>di</strong> due metri.Con una delle sue mani ossute s'appoggiava alla tavolanella posa d'un uomo che sta per rizzarsi; nell'altra teneva inpugno ed alzata una lunga spada bianca che sembrava <strong>di</strong> pietra epareva che si preparasse ad abbassarla.Lo scheletro, pendendo in avanti, aveva l'aria <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigersiverso <strong>di</strong> noi per parlarci o per lasciar cadere sui nostri crani lasua arma.– Chi sarà quel colosso? – chiese Good, con voce tremula.– Forse lo scheletro <strong>di</strong> qualche re – rispose il genovese, lacui voce era pure malferma.– Si <strong>di</strong>rebbe che ci guar<strong>di</strong> colle sue occhiaie – mormorai. –Signori, an<strong>di</strong>amocene da qui. Non mi trovo bene in questaorribile caverna.– Avete <strong>di</strong>menticato i <strong>di</strong>amanti? – mi chiese il genovese. –Toh! Che cos'è quella massa bruna che si vede situata in mezzoalla tavola <strong>di</strong> pietra?– Si <strong>di</strong>rebbe un corpo umano – <strong>di</strong>sse Good, rabbrividendo.– Ma privo della testa – rispos'io.La Gagoul, che mi aveva inteso, fece u<strong>di</strong>re un riso striduloe beffardo.– Non lo conoscete? – ci chiese.– No – rispondemmo.– Vi avevo detto che entrando qui avreste veduto delle coseorribili.– Ma chi è? – chiese il genovese.– Avvicinati; tu che sei bravo a combattere, guarda l'uomoche hai ucciso.Afferrò il genovese per un braccio e lo spinse verso latavola. Il nostro amico in<strong>di</strong>etreggiò tosto, facendo un gestod'orrore.183


Assiso su quella tavola, perfettamente nudo, colla propriatesta decapitata situata fra le ginocchia, stava il re Touala, uccisodal genovese nel terribile duello. Se era stato brutto quando eravivo, morto era ancora più ripugnante.Il suo corpo era avvolto in una materia biancastra che gliscendeva lungo le cosce ed i fianchi, aggruppandogli d'intorno.Ascoltando, u<strong>di</strong>mmo un monotono sgocciolare che cadevadall'alto. Comprendemmo subito <strong>di</strong> cosa si trattava: erano gocced'acqua calcarea che cadevano sul corpo dell'ex-re e chedovevano, col tempo, trasformarlo in stalagmite.Solo allora ci accorgemmo che attorno alla tavola stavanodelle figure che avevano l'aspetto umano e che erano <strong>dei</strong>cadaveri pietrificati.È impossibile descrivere l'impressione che ci fece la vista<strong>di</strong> tutti quei cadaveri pietrificati ed assisi attorno a quella tavoladella morte. Erano ventisette, compreso il gigante che stavaall'estremità, come se fosse il capo <strong>di</strong> quella lugubre compagnia.– Chi sono questi uomini? – chiese il signor Falcone allaGagoul.– I re <strong>dei</strong> koukouana – rispose la vecchia strega.– Tutti?– Tutti, capo bianco.– Vi è adunque qui anche il padre d'Ignosi?– Sì, è l'ultimo e si troverà ben presto a fianco <strong>di</strong> Touala,poiché quando quest'ultimo sarà pietrificato, prenderà il suoposto alla tavola della morte.– Ma chi ha condotto quassù Touala?– Quattro schiavi, che poi feci uccidere onde conservare iosola il segreto della caverna <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.– E quell'uomo gigantesco chi è? – chiese Good.– Il fondatore del regno <strong>dei</strong> koukouana.– È una vera opera d'arte – <strong>di</strong>sse il nostro amico che in184


fatto <strong>di</strong> anatomia se ne intendeva. – A questo scheletro nonmanca nessun osso.– Un brutto guar<strong>di</strong>ano <strong>dei</strong> tesori – <strong>di</strong>ss'io. – Se fossi entratosolo in questa caverna per cercare le pietre brillanti, sarei morto<strong>di</strong> spavento.– Vi credo – mi rispose il genovese. – Sono certo chenessuno si sarebbe sentito il coraggio <strong>di</strong> porre i pie<strong>di</strong> in questasala della morte. <strong>Le</strong> pietre brillanti erano ben guardate, ve loassicuro.185


LA CAVERNA DEI TESORIMentre noi contemplavamo con orrore quello spettacolofunebre, la Gagoul si era issata sulla tavola e s'era avvicinata aTouala per vedere, come aveva detto a Good, se lapietrificazione del cadavere riusciva perfetta.Rassicurata su quel punto, fece il giro della tavolainchinandosi <strong>di</strong>nanzi a ciascun re, come per rendere a loroomaggio, quin<strong>di</strong> si arrestò <strong>di</strong>nanzi al gigante e la u<strong>di</strong>mmomormorare a lungo, come se recitasse delle preghiere. Ciò fatto,<strong>di</strong>scese, <strong>di</strong>cendoci:– Venite, uomini bianchi; noi andremo ora a vedere lacaverna <strong>dei</strong> tesori.– Vedremo altre cose orribili? – chiesi io.– Avete forse paura? – mi chiese la vecchia, con un sorrisoatroce.– No, – risposi, – ma <strong>dei</strong> morti ne abbiamo vedutiabbastanza per andare a vederne degli altri.Un sogghigno contrasse le labbra della vecchia strega.– Gli uomini bianchi si rassicurino – <strong>di</strong>sse poi. – Iomostrerò invece a loro le pietre brillanti.– Si trovano in un'altra caverna? – chiese Good.– Sì, e che io sola conosco.– An<strong>di</strong>amo – <strong>di</strong>sse il genovese, con impazienza.– I capi bianchi mi seguano.La vecchia si rimise in cammino e ci condusse all'estremitàdella caverna; colà però non scorgemmo alcun passaggio. Laparete era tutta liscia, senza alcuna fessura o crepaccio per poterpassare.186


– Qui non vedo alcuna porta – <strong>di</strong>ss'io. – Forse che tu,vecchia strega, possie<strong>di</strong> la magia <strong>di</strong> farci passare attraverso laroccia?La Gagoul non rispose: era intenta ad osservare la paretecon profonda attenzione.Dopo un esame durato alcuni minuti salì su <strong>di</strong> un masso emise un <strong>di</strong>to su <strong>di</strong> una piccolissima fessura; tosto accadde unacosa per noi assolutamente strabiliante.Un enorme macigno che noi credevano saldato alla paretesi spostò, come se fosse mosso da una forza misteriosa e girandosu se stesso salì entro un vano <strong>di</strong> certo appositamente scavato,mostrando ai nostri occhi stupiti un passaggio tanto vasto, dapermettere ad una persona d'inoltrarvisi.In seguito a quale forza inesplicabile si era mosso quelmacigno?Noi non sapemmo indovinarlo, né cercammo <strong>di</strong> spiegare ilmistero; a noi bastava <strong>di</strong> veder aperta la famosa caverna dellepietre brillanti.L'idea <strong>di</strong> metter le mani sui tesori inestimabili raccolti làentro e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventar forse gli uomini più ricchi della terra, avevafatto sparire tutti i nostri timori e <strong>di</strong>menticare perfino la cavernadella morte.Stavamo per slanciarci attraverso la galleria, quando lastrega ci arrestò, <strong>di</strong>cendoci:– Ascoltatemi, figli del sole; voi volete vedere le pietrebrillanti, ma sapete innanzi a tutto da chi sono state raccolte?– No, – risposi io, – e saremmo ben contenti <strong>di</strong> poterlosapere.– Sono stati qui ammassati dal popolo che ha costruito i treSilenziosi e che occupava queste regioni prima <strong>dei</strong> koukouana.Che cosa volessero farne io l'ignoro, come ignoro il perché nonne abbiano fatto uso alcuno.187


– Dimmi, vecchia, conoscevi tu sola il segreto?– No, lo conoscevano anche i nostri re, ma solamente gliultimi, poiché per molti e molti secoli l'esistenza <strong>di</strong> questacaverna era stata ignorata.– E come fu adunque trovata? – chiese Good.– Per caso, e da una donna che aveva qui guidato un uomobianco.– Molti anni or sono? – chies'io.– Circa trecento – mi rispose la Gagoul. – Egli veniva dalontano, forse dal vostro paese ed il re che in quel tempo sitrovava al potere lo aveva bene accolto. Scoperta la caverna,fece raccolta <strong>di</strong> pietre e fuggì...– Vecchia, – <strong>di</strong>ss'io, – finirai un'altra volta questa istoria;abbiamo fretta <strong>di</strong> vedere i <strong>di</strong>amanti.– Sia pure, ma vi avverto che nel nostro paese corre unaterribile leggenda su chi viola il segreto della caverna <strong>dei</strong><strong>di</strong>amanti.– Al <strong>di</strong>avolo le leggende!– Si <strong>di</strong>ce che chi penetra qui, dovrà morire entro una luna –proseguì la Gagoul.– Mille tuoni! – esclamò Good, che nulla comprendendoperdeva la pazienza. – Piantiamo ra<strong>di</strong>ci qui? An<strong>di</strong>amo Allan,<strong>di</strong>te a questa vecchia megera che vada innanzi; io ne hoabbastanza delle sue chiacchiere.– Sì an<strong>di</strong>amo – <strong>di</strong>sse il genovese. – Non è questo ilmomento <strong>di</strong> ascoltare delle frottole.Accesi una lampada che aveva portata con me e la <strong>di</strong>e<strong>di</strong>alla Gagoul, la quale si cacciò senz'altro nella oscura galleria.Noi la seguimmo tosto, ansiosi <strong>di</strong> porre finalmente le mani suifamosi tesori.Percorsi una ventina <strong>di</strong> metri, la Gagoul ci fece notare unammasso <strong>di</strong> pietre ben levigate che si trovavano <strong>di</strong>nanzi ad una188


porta. Pareva che fossero state colà portate per costruire unmuro onde impe<strong>di</strong>re a chicchessia <strong>di</strong> potere, un giorno,penetrare nella caverna ed involare i tesori. Infatti più innanzitrovammo della calce <strong>di</strong>sseccata ed una specie <strong>di</strong> cazzuola <strong>di</strong>selce.Varcammo la porta che era semiaperta ed arricchita <strong>di</strong>sculture, e subito urtammo contro un sacco <strong>di</strong> pelle che era statoabbandonato sulla soglia.– È quello abbandonato dall'uomo bianco che era venutoqui trecent'anni or sono – ci <strong>di</strong>sse la Gagoul.– Cosa contiene? – chiedemmo.– Dei <strong>di</strong>amanti.– Mille tuoni! – esclamò Good. – Tutti <strong>di</strong>amanti!Afferrò il sacco che era molto pesante e lo lasciò ricadere aterra <strong>di</strong> colpo.U<strong>di</strong>mmo un suono come se quell'involucro fosse pieno <strong>di</strong>selci.– Se questi sono davvero <strong>di</strong>amanti, questo sacco contieneuna fortuna.– Lasciatelo lì – <strong>di</strong>sse il genovese. – Lo riprenderemo nelritorno.Si volse verso la Gagoul, <strong>di</strong>cendole:– Vecchia, dammi la lampada.Avutala, attraversò ar<strong>di</strong>tamente la soglia, e noi ciprecipitammo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui senza nemmeno più occuparci <strong>di</strong> quelsacco che forse conteneva <strong>dei</strong> milioni.La pallida luce della lampada ci mostrò una cavernascavata nella roccia. In un angolo scorgemmo una vera catasta<strong>di</strong> enormi denti d'elefante, la più superba collezione d'avorio cheuomo abbia potuto sognare. Vi erano almeno cinquecento denti,una vera fortuna se avessimo potuto portarli con noi, ma pelmomento non ci occupavamo che <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti, assai più189


preziosi e più facili a trasportarsi.In un altro angolo, una ventina <strong>di</strong> vasi <strong>di</strong>pinti in rosso,attirarono subito la nostra attenzione.– Sono là dentro i <strong>di</strong>amanti! – gridò il genovese.Mi accostai ad uno <strong>di</strong> quei vasi, gettai il coperchio e cacciaiavidamente le mani dentro: invece <strong>di</strong> ritirarle piene <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti,trovai fra le mie <strong>di</strong>ta <strong>dei</strong> pezzi d'oro d'una forma particolare.– Oh! Non è che oro – esclamai con superbo <strong>di</strong>sprezzo.– Mio caro Allan, – mi <strong>di</strong>sse Good, – se tutti quei vasi sonocosì ripieni, vi sarebbe da comperare un paese intero.– E questo ci potrebbe servire per pagare i portatori –aggiunse il genovese e ce ne avanzerebbe ancora da fare il girodel mondo come tanti lords. – Ma... e gli altri <strong>di</strong>amanti, dovesono? Suppongo che il povero Sylvestra non se gli avrà messitutti nel sacco.– Ehi! Vecchia! Dov'è adunque il tesoro? – chiesi io.– Guardate nell'angolo più oscuro – <strong>di</strong>ss'ella. – Vi sono treforzieri, uno aperto e gli altri due chiusi.– Come sai tu ciò, se da trecento anni più nessuno è venutoin questa caverna? – chiesi io stupito.– I miei occhi vedono – rispose ella.Io avevo in<strong>di</strong>cato ai miei camerati l'angolo della caverna. Ilsignor Falcone si slanciò da quella parte ed entro una specie <strong>di</strong>nicchia scavata nella roccia, vide tre forzieri d'un metroquadrato ciascuno, uno aperto e gli altri due chiusi da unchiavistello che sembrava d'oro.Aprimmo il primo e lo trovammo a metà ripieno <strong>di</strong> grossi<strong>di</strong>amanti, i quali sotto la luce della lampada mandavano sprazzifiammeggianti. Presi da una specie <strong>di</strong> delirio forzammo anchegli altri due e li trovammo ripieni, ma allo stato ancora naturalenon avendo dovuto conoscere, coloro che li avevano raccolti,l'arte <strong>di</strong> lavorarli.190


Un grido <strong>di</strong> pazza gioia ci sfuggì dalle labbra, alla vista <strong>di</strong>così immense ricchezze.– Amici! – gridai. – Balliamo, saltiamo, urliamo! Noisiamo più ricchi <strong>di</strong> tutti i nababbi della In<strong>di</strong>a.– Monte-Cristo non era che un povero in nostro paragone –gridò Good.Avevamo tuffate le mani entro gli scrigni e facevamosaltare i <strong>di</strong>amanti, <strong>di</strong>vertendoci a farli scintillare alla lucevacillante della lampada.La Gagoul si era fermata a tre passi da noi e ci guardavacon due occhi lampeggianti, mentre un orribile sogghignodeformava la sua bocca.– Vecchia strega! – gridai io, avendola scorta. – Perchéri<strong>di</strong>?– Rido, perché vedo gli uomini bianchi felici comefanciulli che hanno trovato <strong>dei</strong> giuocattoli.– Ma non sai tu adunque quale fortuna rappresentanoqueste pietre scintillanti, che tu non sembri apprezzare?– Sì, lo so, uomini bianchi! Ora sarete contenti <strong>di</strong> avertrovato il tesoro! Fateli saltare fra le vostre <strong>di</strong>ta, mangiateli,beveteli, ah! Ah!Noi non ci occupammo <strong>di</strong> rispondere. Centomila volte piùfelici <strong>di</strong> quel povero don Sylvestra, noi continuavamo arimescolare i <strong>di</strong>amanti, calcolando quale enorme cifra ciavrebbero reso una volta trasportato il nostro tesoro al capo <strong>di</strong>Buona Speranza.Intanto, senza essere da noi veduta, la vecchia strega si erafurtivamente allontanata dalla caverna e si era cacciata nelcorridoio che conduceva alla porta segreta, senza che noi,immersi come eravamo a contemplare i nostri tesori, ce nefossimo subito accorti.Fu Good che nel volgersi per raccogliere alcuni <strong>di</strong>amanti191


caduti a terra, s'avvide della scomparsa della megera.– Dov'è la Gagoul? – chiese, con stupore.– Lasciate che vada al <strong>di</strong>avolo – risposi io. – Che importaormai a noi <strong>di</strong> quella brutta vecchia? I tesori sono nostri e non celi lasceremo portar via da nessuno.– E la porta segreta? – gridò il signor Falcone, che ebbe untriste presentimento.Stavamo per slanciarci tutti tre nella galleria, onderaggiungere la vecchia, quando un grido d'angoscia ruppe ilsilenzio che regnava nel sotterraneo.– Al soccorso, uomini bianchi! Al soccorso!Era la voce <strong>di</strong> Foulata.– Al soccorso! – u<strong>di</strong>mmo a ripetere il negro. – La porta siabbassa!Intuimmo il dramma che stava svolgendosi nell'oscuracaverna ed il tra<strong>di</strong>mento della vecchia Gagoul.Ci precipitammo tutti tre nella galleria coi fucili in manopronti ad accoppare la strega. Fra la semioscurità appena rottadalla luce della nostra lampada, scorgemmo la Gagoul curva suFoulata, il quale si <strong>di</strong>batteva <strong>di</strong>speratamente, come fosse statoferito a morte.– Fermati, vecchia! – urlai io.La Gagoul nel vedermi abbandonò il negro e si slanciò, conuna agilità che non avrei mai supposto in quel vecchio corpo,verso la porta. U<strong>di</strong>mmo un colpo secco: il sasso erasi abbassatoed aveva chiuso il passaggio che metteva nella caverna dellamorte.Subito non avevamo pensato all'orribile morte a cui cicondannava la miserabile strega. Ci occupammo <strong>di</strong> Foulata ilquale si <strong>di</strong>batteva al suolo, tenendosi ambe le mani strette allagola, dalla quale sgorgava un getto <strong>di</strong> sangue.– Foulata, amico mio! – gridai. – Cos'è accaduto?192


– Sto per morire – balbettò il misero. – La Gagoul mi hapugnalato onde non le impe<strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> chiudere la galleria.– Ma perché sei venuto qui?– Ero inquieto, temevo che la vecchia vi avesse tra<strong>di</strong>ti edero venuto a cercarvi.«Ero appena entrato, quando vi<strong>di</strong> la megera strisciare nellagalleria e <strong>di</strong>rigersi verso l'apertura. Indovinando il suo orribile<strong>di</strong>segno mi slanciai verso <strong>di</strong> lei per impe<strong>di</strong>rle <strong>di</strong> far scendere lapietra, ma ella estrasse un pugnale e me lo cacciò in gola.«Ad<strong>di</strong>o, uomini bianchi! Io non ci vedo più; sento che lamorte si avvicina a rapi<strong>di</strong> passi... Ad<strong>di</strong>o! Ad<strong>di</strong>o!...»Good si era seduto accanto al povero negro e col fazzolettocercava <strong>di</strong> arrestargli il sangue che continuava a sgorgare, ingran copia, dalla gola ferita.Foulata alzò su <strong>di</strong> lui i suoi begli occhi, dolci ed espressivi,mormorando:– Noi... ci rivedremo... all'altro mondo... Ad<strong>di</strong>o, uominibianchi... <strong>di</strong>te al re... che io sono morto... per salvarvi... e che...Non poté più proseguire. Uno sbocco <strong>di</strong> sangue lo prese e<strong>di</strong>l misero ricadde all'in<strong>di</strong>etro, esalando l'ultimo respiro.Noi ci eravamo seduti intorno al negro: eravamo desolati,costernati, incapaci quasi <strong>di</strong> parlare, Good piangeva.Il signor Falcone ruppe il silenzio funebre che regnavanella tetra galleria.– Orsù, amici – <strong>di</strong>ss'egli, con tono energico. – Nonper<strong>di</strong>amoci <strong>di</strong> coraggio ed invece <strong>di</strong> starcene qui attorno aquesto povero uomo a cui non possiamo, coi nostri lamenti,restituire la vita, cerchiamo <strong>di</strong> trarci da questa terribilesituazione.– E che cosa volete fare? – chiese Good, singhiozzando.– Che cosa voglio fare?... Avete pensato che noi siamosepolti vivi?193


A quelle parole un brivido d'orrore mi corse per le ossa.Fino a quel momento nessuno forse aveva pensato allafatale pietra che ci aveva chiusi nella caverna <strong>dei</strong> tesori ed allatremenda vendetta della megera.Io e Good ci guardammo in viso, palli<strong>di</strong> come cadaveri ecol cuore stretto da un'angoscia indescrivibile. Chi avrebbepotuto aprire la massiccia porta che c'impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> rivedere laluce del sole, ora che la strega era scomparsa? Nessuno <strong>di</strong> noiconosceva il segreto per far salire l'enorme macigno, forsenemmeno Ignosi, forse nessuno <strong>di</strong> tutti gli abitanti del regno.L'idea <strong>di</strong> dover finire i nostri giorni entro quella caverna,accanto a quelle ricchezze incalcolabili che non avremmo maipotuto godere, ci gelava il sangue nelle vene.– Sepolti vivi! – esclamai, battendo i denti. – Oh! Non èpossibile che la vecchia Gagoul ci abbia condannati ad unamorte così atroce.– Lo dubitate? – mi chiese il signor Falcone, l'unico checonservava ancora un sangue freddo ammirabile e che forse nonaveva perduto la testa. – Io vi <strong>di</strong>co che non dobbiamo piùcontare sul ritorno della megera, ma solamente sulle nostreforze.– Forse ha voluto solamente spaventarci.– No, Allan, non createvi delle illusioni vane; la Gagoul s'èven<strong>di</strong>cata della morte <strong>di</strong> Touala.– E saremo costretti a morire, proprio ora che abbiamoscoperti i tesori? Che questi <strong>di</strong>amanti portino sventura, comel'hanno portata al portoghese Sylvestra?– Lo temo, mio povero amico. Nessuno <strong>di</strong> noi conosce ilsegreto <strong>di</strong> quella pietra.– Ma forse vi è qualche uscita? – <strong>di</strong>sse Good.– Cerchiamo – rispose il genovese. – Finché vi è dell'olionella lampada, visitiamo la caverna.194


– Strega dannata!... – urlai. – Se posso riacquistare lalibertà ti strangolerò!...– Cerchiamo – <strong>di</strong>sse il genovese. – I minuti sono piùpreziosi <strong>di</strong> tutti questi <strong>di</strong>amanti.Ci avvicinammo alla pietra che ci separava dal mondo <strong>dei</strong>viventi e tentammo <strong>di</strong> scuoterla senza però alcun risultato. Lasua massa era così enorme che sarebbero stati necessari centouomini per sollevarla e, come si può comprendere, noi noneravamo capaci <strong>di</strong> sviluppare una forza così gigantesca.Scrutammo attentamente tutte le fessure, percuotendole colcalcio <strong>dei</strong> nostri fucili colla speranza <strong>di</strong> trovare il misteriosomeccanismo e farlo scattare, ma invano. La parete non portavaalcuna traccia e si rizzava <strong>di</strong>nanzi a noi imponente e<strong>di</strong>nattaccabile.– Nulla! Nulla!... – esclamò Good, con crescente angoscia.– Noi siamo condannati a morire lentamente in mezzo ai nostritesori. Ah!... Ora comprendo le parole ironiche della dannatavecchia!... Mangiateveli i <strong>di</strong>amanti!... Beveteveli!... Lamiserabile voleva avvertirci che ci avrebbe fatti morire <strong>di</strong>fame!...– Ma dove si trova questa molla segreta che ha fattori<strong>di</strong>scendere il macigno? – chiesi io, esasperato. – Che non esistaadunque qui dentro?...– Lo temo – mi rispose il signor Falcone.– Non ci rimane adunque che morire?... – chiesi io, conaccento <strong>di</strong>sperato.Il genovese mi guardò senza rispondere. Egli era <strong>di</strong>ventatopallido come Good e sui suoi lineamenti si leggeva un'angosciaestrema. La paura d'una morte lenta ed atroce, in mezzo alletenebre <strong>di</strong> quella caverna, aveva cominciato ad invadere anchel'anima <strong>di</strong> quell'uomo così coraggioso e così calmo anche neipiù terribili momenti.195


Per alcuni istanti un profondo silenzio regnò fra noi, poi ilgenovese, scuotendosi bruscamente, <strong>di</strong>sse:– Non ci rimane che un'ultima speranza.– Quale? – chiedemmo noi con voce strozzata.– Che nella caverna possa esistere qualche passaggioignorato anche dalla vecchia strega.– Cerchiamo – <strong>di</strong>sse Good. – Già la luce della lampadascema ed il momento in cui l'olio verrà a mancare non è lontano.Ritornammo nella galleria per raggiungere la caverna <strong>dei</strong><strong>di</strong>amanti. Passando <strong>di</strong>nanzi al cadavere del povero negro,raccogliemmo il canestro delle provvigioni che egli aveva colàportato.Ohimè! Conteneva ben poca cosa: forse due libbre <strong>di</strong> farina<strong>di</strong> sorgo, alcuni banani, un pezzo <strong>di</strong> selvaggina ed una fiascad'acqua della capacità <strong>di</strong> poco più <strong>di</strong> un litro. Vi era <strong>di</strong> chevivere forse per tre giorni, mettendoci a razione.Entrati nella caverna ci mettemmo ad esplorare le pareti,battendole coi nostri fucili per sentire se in qualche luogo vi eradel vuoto; con nostra grande <strong>di</strong>sperazione ci accorgemmo che laroccia era dovunque solida e massiccia.Un freddo sudore m'inondò la fronte e mi consideraiperduto assieme ai miei sventurati compagni.– Allan, che ora abbiamo? – mi chiese il signor Falcone,con voce tremula.– Sono le sei – risposi, dopo d'aver osservato il mioorologio.– Siamo entrati in queste <strong>caverne</strong> alle due, mi sembra.– Sì, signor Falcone.– Sono dunque quatt'ore che ci troviamo qui.– Ma perché questa domanda? – chiesi.– Perché la lampada non aveva che l'olio bastante per solecinque ore.196


– Dunque fra poco noi resteremo all'oscuro. Quale morteatroce ci si prepara. Avete più nessuna speranza, signor Falcone?– Forse un'altra ancora.– E quale? – chiese Good.– Che Ignosi ed Infadou non vedendoci più tornare,man<strong>di</strong>no qui degli uomini a cercarci.– Ma se nessuno conosce il segreto della pietra, comepotrebbero fare a liberarci?– La Gagoul ha detto che i re <strong>dei</strong> koukouana loconoscevano.– Ma Ignosi deve ignorarlo – <strong>di</strong>ss'io. – Se lo avesse saputonon avrebbe minacciato la vecchia strega quando si rifiutava <strong>di</strong>guidarci.– Allora tutto è perduto – mormorò il genovese, conrassegnazione. – Mettiamoci nelle mani <strong>di</strong> Dio, ed aspettiamo lamorte.In quel momento la fiamma della lampada cominciò acrepitare ed a vacillare.– Signor Falcone! – esclamai io. – Stiamo per piombarenelle tenebre.Il genovese non mi rispose. Si era seduto su <strong>di</strong> un massotenendosi la testa stretta fra le mani, come se fosse immerso inprofon<strong>di</strong> pensieri.– Ad<strong>di</strong>o luce – u<strong>di</strong>i a mormorare Good.La fiamma s'alzava e s'abbassava sempre crepitando. Essarischiarò un'ultima volta l'enorme catasta <strong>di</strong> denti d'elefante, ivari ripieni <strong>di</strong> pezzi d'oro, i tre scrigni ripieni <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti e lenostre figure pallide e <strong>di</strong>sfatte, poi bruscamente si spense e lepaurose tenebre piombarono su <strong>di</strong> noi.197


LE ANGOSCE DELLA MORTENessuno potrebbe mai descrivere le angosce <strong>di</strong> quellaprima notte passata nella caverna del tesoro; qualsiasiimmaginazione non potrebbe avvicinarsi, nemmenolontanamente, alla realtà.Fortunatamente la natura, da buona madre, per qualche orariprese i suoi <strong>di</strong>ritti e, cosa appena cre<strong>di</strong>bile, noi, in mezzo atante paure ed a tanti tristi pensieri, gustammo un po' <strong>di</strong> sonnocalmando per qualche tempo le nostre ansietà.Ma quanto fu terribile il risveglio! Avevamo creduto <strong>di</strong>aver fatto uno spaventevole sogno ed invece tutto era vero.La tristezza, per un momento calmata, ci riprese più acuta<strong>di</strong> prima.La sensazione più penosa per noi era quella del profondosilenzio che ci regnava attorno. Quel silenzio era assoluto,pauroso. Alla superficie della terra esiste sempre qualche suono,qualche movimento <strong>di</strong> cui non sappiamo renderci conto, cheperò esclude il silenzio assoluto, ma dove ci trovavamo noi, nelcuore della montagna, nessun rumore poteva giungere dal <strong>di</strong>fuori.I nostri più prossimi vicini erano i re koukouana,avviluppati, rinchiusi nel loro involucro calcareo ed i morti, lo sisa, non sono capaci <strong>di</strong> produrre il menomo bisbiglio; e poi sifossero anche abbandonati a tutte le sarabande, a tutte le danzemacabre, nulla avremmo potuto u<strong>di</strong>re attraverso l'enormespessore della roccia e la nostra tomba sarebbe rimastaegualmente silenziosa.In mezzo a quelle tenebre, colla morte che ci stava così198


vicina, la vanità delle cose umane ci appariva allora in tutta lasua vacuità. Noi eravamo in mezzo a ricchezze incalcolabili:oro, avorio, <strong>di</strong>amanti: che cosa servivano a noi in questomomento? Ah! Con quanta gioia noi avremo scambiato queitesori contro la nostra libertà, meno ancora, per un solo raggio <strong>di</strong>sole, per una boccata d'aria pura.– Allan che ora abbiamo? – mi chiese ad un tratto il signorFalcone. – Voi avete ancora qualche zolfanello, se nonm'inganno; guardate adunque.Trassi <strong>di</strong> tasca la scatola e m'affrettai ad accenderne uno; ilcontrasto della piccola fiamma fra quelle tenebre profonde miabbagliò; non<strong>di</strong>meno vi<strong>di</strong> che erano le cinque.In quel momento al <strong>di</strong> fuori l'alba doveva cingere <strong>di</strong> rossola cima della montagna entro la quale noi eravamo sepolti ecacciare le tenebre dalle vallate. A quel pensiero un profondosospiro <strong>di</strong> rimpianto mi uscì dalle labbra, e sentii il cuore farmisigrosso.– Cinque ore! – esclamò il genovese. – Credo che faremobene a mangiare un boccone onde conservare le nostre forze.– A quale scopo? – chiese Good. – Se dobbiamo morire,trovo inutile prolungare la nostra agonia.– No! – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, con energia. – Finché ciresta un atomo <strong>di</strong> vita non dobbiamo <strong>di</strong>sperare: mangiamo.Distribuì a ciascuno <strong>di</strong> noi un po' <strong>di</strong> sorgo, un pezzo <strong>di</strong>selvaggina arrostita e ci porse la bottiglia, consigliandoci però <strong>di</strong>economizzare l'acqua. Quantunque nessuno <strong>di</strong> noi avesse famela piccola razione fu mandata giù e non ci trovammo male,poiché quel po' <strong>di</strong> nutrimento rialzò le nostre forze sì morali, chefisiche.– U<strong>di</strong>amo ora – <strong>di</strong>sse Good, volgendosi verso il signorFalcone. – Quali speranze avete voi per cercar <strong>di</strong> prolungare lanostra esistenza?199


– Nessun finora – rispose il genovese. – Pure sento peristinto che noi non morremo qui dentro.– Dite questo per farci coraggio?– No, ve l'assicuro, Good.– Allora voi contate su Ignosi?– Forse.– Ma, e la pietra che ci chiude, il cui segreto non èconosciuto da alcuno?– Voi avete ragione, eppure non <strong>di</strong>spero ancora.– Ascoltatemi amico; mi viene un'idea.– Esponetela, Good.– Se provassimo a gridare?– Sono convinto che nessuno ci udrebbe.– Se noi gri<strong>di</strong>amo qui, <strong>di</strong> questo sono certo, ma <strong>di</strong>etro ilmasso che ci chiude? Chissà, se qualcuno si trovasse nellacamera della morte, forse potrebbe raccogliere qualche rumore.Volete che proviamo, Falcone?– Tentiamolo, Good.Quantunque fossimo più che convinti che nessuno sarebbevenuto in nostro soccorso, poiché certamente i re koukouananon si sarebbero mossi dalla loro funebre tavola alla quale sitrovavano assisi da secoli e secoli, ci <strong>di</strong>rigemmo a tentoni versola galleria, e giunti <strong>di</strong>etro alla pietra, ci mettemmo ad urlare contutta la forza <strong>dei</strong> nostri polmoni. Good soprattutto metteva adura prova la sua gola, facendo rintronare la galleria e lacaverna, con una costanza invi<strong>di</strong>abile.Naturalmente quello sforzo <strong>dei</strong> nostri polmoni fuassolutamente inutile; il ronzìo d'una mosca avrebbe prodottoaltrettanto effetto.Più scoraggiati che mai per la nessuna riuscita <strong>di</strong>quell'ultimo tentativo e completamente sfiatati, ci ritirammonella nostra caverna, lasciandoci cadere al suolo, ormai200


assegnati alla nostra triste sorte.Coricati l'uno vicino all'altro, sempre più atterriti da quelsilenzio <strong>di</strong> tomba, attendemmo che la fame compisse il suoufficio. Avevamo ormai perduto ogni speranza <strong>di</strong> rivedere laluce e non avevamo più nessuna fiducia nella Provvidenza.La giornata passò senza che noi scambiassimo una solaparola.Quale giornata! Io aveva passato nella mia vita degli anniche mi erano sembrati meno lunghi.Quando accesi un altro zolfanello, vi<strong>di</strong> che erano trascorsegià altre nove ore.– Sono ventisei ore che siamo rinchiusi.– Ventisei ore! – esclamò Good, balzando in pie<strong>di</strong>. – Macom'è che l'aria non è ancora viziata?Questa riflessione del nostro amico ci strappò bruscamentedal nostro mutismo.– Ma sì! – esclamò il genovese. – Questa caverna non ègrande ed in così lungo tempo l'aria avrebbe dovuto <strong>di</strong>ventareirrespirabile.– Che si rinnovi per mezzo <strong>di</strong> qualche fessura?– Ma allora si dovrebbe vedere qualche barlume <strong>di</strong> luce –<strong>di</strong>ss'io.– Eppure quest'aria deve rinnovarsi – rispose Good.– Amici! – gridò il signor Falcone. – Io comincio a sperare.– Bisogna cercare.Ci eravamo alzati tutti, girando intorno gli sguar<strong>di</strong>, purenulla riuscimmo a vedere in alcuna <strong>di</strong>rezione.Ad un tratto un'ispirazione balenò nel cervello <strong>di</strong> Good.– Rimuoviamo la catasta <strong>dei</strong> denti d'elefante! – esclamò.Quegli enormi denti, <strong>di</strong>sposti a strati, formavano una massaimponente alta più <strong>di</strong> quattro metri e larga altrettanto,occupando quin<strong>di</strong> un tratto considerevole della parete. Nella201


speranza che la fessura si trovasse da quella parte ci mettemmofebbrilmente al lavoro e alla luce <strong>di</strong> alcuni zolfanellicominciammo a rovesciare quelle pesanti zanne, facendo unfracasso assordante.Lavoravamo da circa <strong>di</strong>eci minuti con lena crescente,quando u<strong>di</strong>mmo Good ad urlare:– Camerati! Venite, adunque, venite!...Guidati dalla sua voce lo raggiungemmo prontamentequantunque ci trovassimo nuovamente avvolti nelle tenebre.– Che cosa avete trovato? – chiedemmo.– Qui esiste un passaggio – ci rispose.– Una galleria?– Lo credo.– Che abbia comunicazione con l'esterno? – chiese ilgenovese, con ansietà.– Sento una corrente d'aria fredda che mi giunge sul viso.– Vedete nessun barlume <strong>di</strong> luce?– Non vedo che tenebre per ora.– Potete passare.– Sì, è abbastanza vasta per poter inoltrarmi.– Purché poi non si restringa?– Lo si vedrà più tar<strong>di</strong>.– Avanti, Good.– Sono già dentro! Seguitemi!Il genovese s'aggrappò alla giacca del compagno, io aquella <strong>di</strong> lui, e tutti tre, spinti dalla speranza <strong>di</strong> poter lasciare lanostra tomba, ci mettemmo a strisciare in quella specie <strong>di</strong> tubo ilquale saliva rapi<strong>di</strong>ssimo.Di passo in passo che ci avanzavamo, una corrente d'ariapura ci giungeva, rianimando le nostre forze e riempiendo inostri polmoni.– Avanti, avanti – <strong>di</strong>ceva affannosamente il genovese.202


– Sì, avanti! – ripeteva Good che pareva delirante.– Lassù vi è la libertà, la luce, la salvezza!E tutti e tre procedevamo con impazienza, spingendoci l'unl'altro, ansiosi <strong>di</strong> lasciare quella caverna che per poco <strong>di</strong>ventavala nostra tomba.Tutto ad un tratto Good, che ci precedeva sempre, siarrestò, esclamando con accento spaventato:– Tuoni! Cosa sono quei due punti luminosi?– Vedete la luce? – chiese il signor Falcone.– Ma no! Si <strong>di</strong>rebbero due occhi fosforescenti.– Qualche animale forse?– Io non lo so, ma mi pare che si avvicinino.– Bisogna retrocedere – <strong>di</strong>ss'io. – Questa galleria potrebbecondurre nel covo <strong>di</strong> qualche bestia feroce.– Good!– Amico.– U<strong>di</strong>te nulla?– Sì, come un sordo miagolio.– In<strong>di</strong>etro! – gridai. – Potrebbe essere qualche leopardo.Mi misi a retrocedere frettolosamente quantunque molto amalincuore, seguìto tosto dai miei due compagni ed in pochiistanti ci ritrovammo ancora nella caverna.– Allan, voi che siete cacciatore, a chi credete che possanoappartenere quei due punti luminosi? – mi chiese Good.– Ad una fiera senza dubbio – risposi.– Allora bisogna ucciderla – <strong>di</strong>sse il genovese. – Lassù vi èla libertà e noi per conquistarla non dobbiamo arrestarci <strong>di</strong>nanziad una fiera, si tratti d'un leone, o d'un leopardo.In quell'istante u<strong>di</strong>mmo echeggiare entro la galleria unbrontolìo rauco, gravido <strong>di</strong> minaccia.– È un leopardo – <strong>di</strong>ssi, armando precipitosamente il fucile,e mettendomi risolutamente <strong>di</strong>nanzi all'apertura.203


– Come si trova in questo passaggio? – chiese il signorFalcone.– Forse conduce nel suo covo – risposi.– Allora abbiamo la possibilità <strong>di</strong> poter uscire.– Sì, dopo ucciso il carnivoro.– Lo scorgete?Mi abbassai e guardai con precauzione entro quella specie<strong>di</strong> tubo e vi<strong>di</strong>, a breve <strong>di</strong>stanza, brillare fra le tenebre due puntifosforescenti a riflessi verdastri.– Eccolo! – esclamai.– Appena comparisce nella caverna facciamo fuoco – <strong>di</strong>sseil genovese, armando la carabina.– No – gridai. – Simili animali posseggono uno slanciotroppo pericoloso. No, amici: ucci<strong>di</strong>amolo prima che esca.– Allora facciamo fuoco – <strong>di</strong>sse Good.Puntammo i fucili e tre detonazioni rimbombarono,facendo un fracasso assordante, che gli echi della galleriaripeterono a lungo.Appena scaricate le armi balzammo giù dalla catasta <strong>dei</strong>denti d'elefante, rifugiandoci presso l'opposta estremità dellacaverna, non sapendo, con quell'oscurità, se la formidabile fieraera stata uccisa o se era ancora viva.Cessato il rombo, verso la galleria u<strong>di</strong>mmo a risuonarecome un sordo miagolìo.– Che l'abbiamo mancato? – chiese il genovese ricaricandoprecipitosamente l'arme.– Mi sembra invece che il carnivoro sia agonizzante –risposi. – Se non fosse stato gravemente colpito, a quest'orasarebbe qui; quei formidabili animali non esitano mai ad assalirei cacciatori.– Bisogna assicurarsi se è vivo o morto – <strong>di</strong>sse Good. –Non avete più zolfanelli?204


– La mia scatola è vuota.– Cerchiamo nelle nostre tasche – suggerì il genovese. –Forse ne troveremo ancora qualcuno.Ci mettemmo a frugare e rifrugare tutte le saccocce efummo tanto fortunati da trovarne sette: cinque ne aveva ilsignor Falcone e due io.Ne accendemmo uno con grande precauzione, temendo cheperdesse la capocchia <strong>di</strong> fosforo e salimmo sulla catasta <strong>di</strong> dentid'elefante, guardando entro la galleria.Proprio presso l'uscita trovammo un superbo leopardo,grosso quasi quanto una tigre, con una splen<strong>di</strong>da pelle giallorossiccia a macchie nere irregolari, che <strong>di</strong>ventavano più foltesulla spina dorsale.<strong>Le</strong> nostre palle lo avevano colpito nel cranio e nel petto e lamorte non aveva tardato a sorprenderlo.– Sbarazziamo la galleria, poi fuggiamo – <strong>di</strong>sse ilgenovese. – Se questo animale ha potuto giungere fino a noi, ciòsignifica che un passaggio esiste.Afferrammo l'animale per le zampe anteriori e lotrascinammo fuori, precipitandolo nella caverna.– An<strong>di</strong>amo, amici! – gridò il genovese. – La libertà sta infondo a questa galleria.– Un momento, signori – gridai io.– Che cosa volete?...– E lasceremo qui tutti questi <strong>di</strong>amanti? Io voglio benriempirmi almeno le tasche prima <strong>di</strong> andarmene. Camerati! Fatealtrettanto!...– Grazie, ma io ne ho abbastanza <strong>dei</strong> vostri <strong>di</strong>amanti, tantoanzi che mi fanno nausea – <strong>di</strong>sse il genovese. – Eppoi pensateche non siamo ancora fuori e che potremmo essere costretti aritornare.Good non era più avido del suo compagno, pure tornò205


in<strong>di</strong>etro ed entrambi ci gettammo sui tre forzieri riempendoci letasche e la camicia <strong>di</strong> quelle preziose pietre. Ne avevamoalmeno per trenta chilogrammi, una fortuna colossale, <strong>dei</strong>milioni e milioni.Quando ci cacciammo nella galleria, il genovese si era giàavanzato scandagliando prudentemente il terreno, per paura <strong>di</strong>cadere in qualche frana.Ad un tratto Good, che era passato <strong>di</strong>nanzi al signorFalcone, avendoci assicurato che ci vedeva anche <strong>di</strong> notte, cigridò:– Fate attenzione!... Vi sono <strong>dei</strong> gra<strong>di</strong>ni.– Abbiamo degli zolfanelli ancora – <strong>di</strong>sse il genovese. –Accen<strong>di</strong>amone uno e ve<strong>di</strong>amo dove si va.Good ne prese uno e lo strofinò rapidamente. Alla luce <strong>di</strong>quel pezzetto <strong>di</strong> legno scorgemmo una scala scavata nella rocciae che <strong>di</strong>scendeva.– Avanti – <strong>di</strong>sse il genovese.Scendemmo adagio adagio contando i gra<strong>di</strong>ni; giunti alventisettesimo trovammo una salita la quale pareva chedescrivesse una curva verso sinistra, quin<strong>di</strong> sentimmo che lepareti si allargavano. Contemporaneamente un odore <strong>di</strong> carnecorrotta ci giunse al naso.– Questo deve essere il covo del leopardo – <strong>di</strong>ss'io.– Sì – confermò Good. – Vi sono delle ossa per terra.– Allora l'uscita non deve essere lontana.– Fermiamoci ed ascoltiamo – <strong>di</strong>sse il genovese.– Che cosa temete?...– Se vi fosse la compagna della belva?...A quella riflessione, non ostante il nostro provato coraggio,ci sentimmo invadere da un freddo sudore.Ci arrestammo <strong>di</strong> colpo tutti tre, colle <strong>di</strong>ta sul grilletto <strong>dei</strong>nostri fucili, guardando all'ingiro per vedere se scorgevamo206


degli occhi scintillare fra le tenebre; non vedemmofortunatamente nulla.– La tana è vuota – <strong>di</strong>sse finalmente Good, respirando alungo.– Allora an<strong>di</strong>amo innanzi – <strong>di</strong>sse il signor Falcone. – Ah!– Che cosa avete! – chiesi.– L'aria è <strong>di</strong>ventata più fresca.– Me ne sono accorto anch'io – risposi.– Allora siamo vicini all'uscita.– Lo spero.– Avanti!... Avanti!...Girammo lungo le pareti della piccola caverna e, trovato unpassaggio, ci cacciammo risolutamente entro. La corrente d'ariaveniva precisamente <strong>di</strong> là; era aria pura, fresca, vivificante.Continuammo ad avanzarci in quella nuova galleria,mettendo un piede innanzi all'altro con precauzione e tenendo lemani tese per non romperci il capo contro qualche improvvisoostacolo. Tutto d'un tratto il corridoio ci parve attraversato da unaltro passaggio.– Che cosa facciamo? – chiese Gold indeciso sulla via daprendersi. – Vi è una galleria che taglia quella che abbiamofinora percorsa.– Da dove viene la corrente d'aria? – chiese il genovese.– Da destra, mi pare.– Allora pieghiamo a destra.Abbandonammo la vecchia galleria e prendemmo la nuova,la quale saliva rapidamente e irregolarmente, costringendoci apiegare <strong>di</strong> sovente ora a destra ed ora a manca.La seguimmo per qualche tempo procedendo sempre congran<strong>di</strong> precauzioni, essendo perfettamente all'oscuro, poi citrovammo nuovamente <strong>di</strong>nanzi ad una nuova biforcazione. Unaviva ansietà cominciò a prenderci, temendo <strong>di</strong> esserci smarriti in207


un vero labirinto sotterraneo.– La nostra situazione si complica – <strong>di</strong>sse Good. – Dove citroviamo noi?...– Credo <strong>di</strong> averlo indovinato – rispose il genovese.– Spiegatevi, signore – <strong>di</strong>ssi.– Noi forse ci troviamo nelle gallerie <strong>di</strong> qualche anticaminiera – mi rispose il signor Falcone. – Tutti questi passaggiche si tagliano l'un l'altro e che salgono e che scendono, me lofanno sospettare.– Sapete che ho notato una cosa? – <strong>di</strong>ss'io.– Volete <strong>di</strong>re che la corrente d'aria fresca non si sente più?– Sì, signor Falcone.– L'ho notato anch'io, ma prima <strong>di</strong> ritornare an<strong>di</strong>amo avedere dove va a finire questo passaggio.Ci arrestammo un momento per riposare, quin<strong>di</strong>riprendemmo quella marcia che durava già da più d'un'ora,senza aver potuto vedere un solo raggio <strong>di</strong> luce, che cipromettesse una prossima liberazione.Continuammo per un'altra lunga mezz'ora a salire escendere, seguendo le capricciose curve delle gallerie,abbandonando le vecchie per entrare in altre, spinti innanzi dauna crescente angoscia, cominciando ad infiltrarsi nei nostrianimi il timore <strong>di</strong> aver smarrita la via buona e <strong>di</strong> esserci perdutiin un labirinto senza uscita.Camminavamo da qualche minuto in un'altra galleria, forsela ventesima, quando ai nostri orecchi giunse un sordo rumore.– Non u<strong>di</strong>te voi? – chiese Good arrestandosi, e volgendosiverso <strong>di</strong> noi.Tendemmo gli orecchi ed ascoltammo trattenendo ilrespiro.– Sì – <strong>di</strong>sse il genovese. – Sembra il gorgoglìo d'un corsod'acqua.208


– Dove scorre? – chiesi io.– Dinanzi a noi – mi rispose Good.– Raggiungiamolo – <strong>di</strong>ssi. – Seguendo quel torrente siamocerti <strong>di</strong> giungere fuori.Rianimati dalla speranza <strong>di</strong> poter giungere presto all'aperto,riprendemmo le mosse, seguendo il rumore <strong>di</strong> quel corsod'acqua. Io rinuncio a descrivervi il benessere che ci procuravaquel gorgoglìo rompente la tristezza mortale <strong>di</strong> quel silenzio chefino allora era regnato intorno a noi. Di passo in passo che ciavanzavamo, il rumore aumentava sempre.Era certamente prodotto da una forte corrente d'acqua cheprecipitava <strong>di</strong> cascata in cascata; ben presto <strong>di</strong>venne più intenso,anzi formidabile in mezzo a quel profondo silenzio.– Attenzione! – <strong>di</strong>sse il genovese. – Attenzione, Good! Voiche siete <strong>di</strong>nanzi a tutti, guardate <strong>di</strong> non cadere nel torrentepoiché mi sembra che ci sia vicino.– Non abbiate timore, amico – rispose Good. – Mi sonotalmente abituato a questa oscurità che mi sembra <strong>di</strong> aver degliocchi alle <strong>di</strong>ta delle mani e <strong>dei</strong> pie<strong>di</strong>.Aveva appena terminato <strong>di</strong> parlare quando u<strong>di</strong>mmo untonfo nell'acqua, seguito da un grido soffocato.– Good! Good! Dove siete voi? – gridammo, arrestandoci<strong>di</strong> colpo.U<strong>di</strong>mmo l'acqua a gorgogliare, poi una voce ci rispose:– Sono qui! Sono qui!– Dove?– In acqua.– Vi siete fatto male?– Non credo, accendete un zolfanello onde veda dove sono.Il genovese s'affrettò ad obbe<strong>di</strong>re ed alla scarsa luce <strong>di</strong>quello stecco scorgemmo Good aggrappato a una roccia, laquale si alzava come un isolotto in mezzo ad un largo corso209


d'acqua nera, sulle cui rive noi ci eravamo arrestati.Avevamo avuto appena il tempo <strong>di</strong> vederlo che il genovese,sentendosi bruciare le <strong>di</strong>ta, lasciò andare il zolfanello, sicché citrovammo ancora fra le tenebre. Good però ci aveva scorti e siera messo a nuotare verso <strong>di</strong> noi, guidato anche dalla nostravoce. Ben presto giunse alla riva, <strong>di</strong>cendoci:– Che brutto capitombolo, amici miei! Se non avessi avutola fortuna <strong>di</strong> saper nuotare, non mi avreste <strong>di</strong> certo più riveduto.– Era molto alta l'acqua <strong>di</strong> quel torrente?– Non sono stato capace <strong>di</strong> toccar fondo.Malgrado la morte ci sembrasse quasi inevitabile, noiprovammo una gioia indescrivibile nel rivedere vivo, presso <strong>di</strong>noi, il nostro compagno. Eppure quale speranza ormai cirimaneva? Più nessuna fuorché quella <strong>di</strong> errare all'avventura <strong>di</strong>galleria in galleria, finché la fame e la fatica ci avessero vinti.– Che cosa facciamo noi? – <strong>di</strong>sse il genovese, con vocedesolata. – Ormai è evidente che noi abbiamo smarrita la buonavia.– Lo credo anch'io, – rispose Good, – tanto più che lacorrente d'aria fresca è venuta a mancare.– Volete ritornare? – chiesi.– Lo credo necessario.– Però io vorrei prima vedere se non esiste alcun passaggio.– Sì, accen<strong>di</strong>amo un altro zolfanello e guar<strong>di</strong>amo – <strong>di</strong>sseGood.Il nostro quarto pezzetto <strong>di</strong> legno fu consumato e quel po'<strong>di</strong> luce ci convinse che la galleria terminava sulle rive <strong>di</strong> quelprofondo torrente.Decidemmo <strong>di</strong> ritornare sui nostri passi per giungere nellatana del leopardo, prima però <strong>di</strong> abbandonare quei paraggic'immergemmo nelle acque fresche del torrente. Quel bagno ciringagliardì alquanto e riprendemmo la via del ritorno con minor210


tristezza <strong>di</strong> quanto credevamo.Giunti alla prima biforcazione della galleria, ciarrestammo, indecisi sulla via da prendere.– Una galleria vale l'altra – <strong>di</strong>sse il genovese. – Noicamminiamo ormai senza speranza <strong>di</strong> poter vedere la luce;pren<strong>di</strong>amo la destra o la sinistra, tanto vale.Si mise alla testa e riprendemmo l'interminabile marcia.Noi camminavamo lentamente, come gente che sa <strong>di</strong> compieredegli sforzi completamente vani.Una galleria seguiva l'altra con una monotonia desolante;una ancora, poi un'altra e tutte lunghe, interminabili, silenziosecome tombe, ed oscure.Quanta tristezza nei nostri animi!Quanta demoralizzazione e quante angosce!Tutto ad un tratto io urtai contro il genovese il quale si eraimprovvisamente arrestato.– Che cosa avete? – gli chiesi.– Non vedete là in fondo, <strong>di</strong>nanzi a noi, una specie <strong>di</strong> luce?– mi chiese egli con tono <strong>di</strong> voce che l'emozione rendevatremante.Subito nulla vi<strong>di</strong>, però dopo qualche istante mi sembrò <strong>di</strong><strong>di</strong>stinguere una pallida luce, che spiccava fra la profondaoscurità. Era l'effetto delle nostre fatiche, oppureun'allucinazione <strong>dei</strong> nostri sguar<strong>di</strong>?– Mi sembra <strong>di</strong> vedere qualche cosa – <strong>di</strong>ss'io. – Non so sevi sia della luce; tuttavia si <strong>di</strong>rebbe che le tenebre si <strong>di</strong>ssipanolaggiù.Noi avevamo già sperato e <strong>di</strong>sperato tante volte nel corsodelle nostre pericolose avventure, che non potevamo credere atanta fortuna.Non<strong>di</strong>meno quel chiarore aveva esercitato su <strong>di</strong> noi unfascino irresistibile. <strong>Le</strong> nostre forze già tanto esauste erano211


tornate prontamente; non camminavamo più, correvamo.A poco a poco la luce <strong>di</strong>veniva meno indecisa; era ancoratanto pallida, che io credo che solamente i nostri occhi, già datante ore abituati alle tenebre, avrebbero potuto <strong>di</strong>stinguerla.Non<strong>di</strong>meno quella luce esisteva e per noi era la vita, era lalibertà.La galleria andava restringendosi rapidamente,convertendosi in una specie <strong>di</strong> gola da camino. Il genoveseaveva dovuto prima procedere curvo ed ora era costretto astrisciare come un serpente, ma cosa importava? Dei buffi d'ariafresca e pura, <strong>di</strong> vera aria <strong>di</strong> montagna, giungeva fino a noi.Noi ci trascinavamo <strong>di</strong>etro al signor Falcone, aiutandocicolle mani e coi pie<strong>di</strong>, sforzandoci <strong>di</strong> passare fra le rocce chesempre più si stringevano attorno a noi.Il signor Falcone, giunto ad un certo punto, si arrestò,gridando:– Amici, vedo il cielo stellato!– Avanti, avanti! – gridammo.– Non posso più passare.– Bisogna andare innanzi o non usciremo più mai – <strong>di</strong>ss'io.Il genovese faceva sforzi <strong>di</strong>sperati per poter superarel'ultima stretta. Finalmente dopo essersi insanguinati i fianchi erotte le unghie contro le rocce riuscì a passare; noi, che eravamopiù magri <strong>di</strong> lui, l'uno dopo l'altro gli tenemmo <strong>di</strong>etro.Dio! Quale gioia! Sopra le nostre teste scorgevamol'azzurra vôlta del cielo ancora scintillante <strong>di</strong> stelle.C'eravamo appena alzati, quando la terra franòimprovvisamente sotto i nostri pie<strong>di</strong>, e ci sentimmo travolti inuna corsa vertiginosa.In capo a pochi istanti, sentendo sotto le mie mani un ramo,mi vi aggrappai con la forza della <strong>di</strong>sperazione, gridando:– Signor Falcone! Good!212


Il genovese rispose subito al mio appello. Egli avevacontinuata la <strong>di</strong>scesa ed era andato a rotolare in mezzo ad unafolta prateria, mentre Good si era arrestato a pochi passi da me,a cavalcioni d'una ra<strong>di</strong>ce.Ci affrettammo ad abbandonare i nostri posti ed araggiungere il genovese.Quella caduta inattesa ci aveva scombussolati, anzitramortiti, e ci vollero parecchi minuti prima che potessimorimetterci.Noi rimanemmo là sdraiati in mezzo alla fresca erba,assaporando il piacere dell'esistenza guadagnata a prezzo <strong>di</strong>tante angosce e <strong>di</strong> tante fatiche. Era tanta la nostra gioia, che perun sentimento naturale ci mettemmo a piangere, ringraziando laProvvidenza <strong>di</strong> averci fatta prendere quella galleria che dovevacondurci alla libertà.La notte fuggiva. Là <strong>di</strong>nanzi a noi, la grande montagnacominciava a rischiararsi sotto i primi albori ed i nostri occhipoterono contemplare quell'aurora rosseggiante che noicredevamo <strong>di</strong> non più rivedere.Quando il sole spuntò sull'orizzonte noi ci accorgemmo <strong>di</strong>trovarci in fondo a quella grande escavazione ove si ergevano itre Silenziosi, le cui forme gigantesche spiccavano nettamentesul cielo rischiarato dalla luce mattutina.Senza alcun dubbio quell'interminabile galleria, che noiavevamo percorsa durante la notte, aveva altre volte servito <strong>di</strong>comunicazione con la famosa caverna <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti.Il giorno era venuto. Guardandoci l'un l'altro, noi avemmopaura; eravamo ridotti in tale stato che nessuno certamente <strong>dei</strong>koukouana ci avrebbe <strong>di</strong> primo acchito riconosciuti. Eravamocoperti <strong>di</strong> sangue e <strong>di</strong> fango, avevamo le vesti a brandelli, gliocchi pesti, i lineamenti alterati e sul volto l'impronta dellelunghe angosce sofferte. Da cronista fedele devo però <strong>di</strong>rvi che213


malgrado le tante avventure passate ed i pericoli affrontati, ilmonocolo <strong>di</strong> Good non aveva <strong>di</strong>sertato il suo posto; voi forse nonlo crederete, ma io l'ho constatato coi miei occhi.– An<strong>di</strong>amo camerati, non immobilizziamoci qui – <strong>di</strong>sse ilsignor Falcone. – Se noi ci fermiamo ancora mezz'ora, non saremopiù capaci <strong>di</strong> muoverci.Il genovese aveva ragione; la stanchezza guadagnava lenostre membra già messe a dura prova durante quelle lunghemarce; se noi tardavamo ancora un po', non saremmo stati piùcapaci <strong>di</strong> muoverci.Impiegammo non meno <strong>di</strong> un'ora per lasciarequell'avvallamento, ma finalmente, aggrappandoci alle piante, allera<strong>di</strong>ci ed alle erbe, riuscimmo a guadagnare l'altipiano che siestendeva sui fianchi della montagna.Stavamo per lasciarci cadere al suolo completamente sfiniti,quando u<strong>di</strong>mmo il signor Falcone a gridare:– Vedo degli in<strong>di</strong>geni occupati a preparare la colazione.– Dei koukouana?– Mi sembrano tali.– An<strong>di</strong>amo a raggiungerli – gridò Good.Ci eravamo rialzati, risoluti a spingerci più innanzi perprendere parte alla colazione, essendo noi sfiniti dalla fame,quando vedemmo uno <strong>di</strong> quegli in<strong>di</strong>geni staccarsi dal gruppo,correrci incontro, poi cadere al suolo facendo un atto <strong>di</strong> spavento.Quell'uomo lo riconoscemmo subito: era il capo Infadou.– Hai paura <strong>dei</strong> tuoi amici? – gridammo.– Ma adunque voi non siete gli spiriti degli uomini bianchi?– gridò egli, piangendo <strong>di</strong> gioia, e stringendo le ginocchia delgenovese. – Noi vi avevamo creduti già morti.– No, amico – <strong>di</strong>sse il signor Falcone. – Noi siamo ancoravivi, ma senza la protezione del nostro Dio, noi saremmo morti <strong>di</strong>fame nella caverna delle pietre scintillanti.214


IL RITORNOPochi minuti dopo quell'incontro, assolutamentestraor<strong>di</strong>nario, inaspettato, noi eravamo seduti <strong>di</strong>nanzi ad un belpezzo d'arrosto che esalava un profumo appetitoso. Dopo d'averassaporata la gioia della libertà, ora assaporavamo coi denti ilpiacere della tavola.Terminato quel pasto che a noi sembrò il più delizioso fattonella nostra vita, narrammo ad Infadou ed alla sua scorta lenostre stupefacenti avventure, facendo pianger più volte ofremere d'orrore l'u<strong>di</strong>torio.– Ma dell'infame Gagoul, che cosa è avvenuto adunque? –richiese con stupore Infadou, quando io ebbi terminato ilracconto.– Ma non è tornata fra voi?... – chiedemmo noi con parisorpresa.– No, nessuno <strong>di</strong> noi l'ha veduta – ci risposero i koukouana.– Che sia morta nell'abbassare la pietra? – <strong>di</strong>sse il signorFalcone.– Io comincio a crederlo – risposi.– Vorrei essere certo <strong>di</strong> questo – <strong>di</strong>sse Good. – Io hogiurato <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>care la morte del povero Foulata e nonabbandonerò questo paese se prima non ho la certezza chequella jena è morta; in caso contrario io andrò a cercarladovunque e la strangolerò.– Ma <strong>di</strong>mmi – chiesi ad Infadou. – Perché sei venuto qui?– Pel motivo che vi credevamo morti. Non vedendovi piùtornare, Ignosi, inquieto sulla vostra sorte, mi comandò <strong>di</strong>venirvi a cercare e <strong>di</strong> esplorare la caverna.215


– Conosci l'entrata?– Sì – rispose il capo. – Ero già entrato nella caverna dellamorte dove trasportai il padre d'Ignosi assassinato da Touala.– Ed il segreto delle <strong>caverne</strong> delle pietre scintillanti? –chiesi io.– Ohimè, no!... Se l'avessi conosciuto vi avrei guidato io,invece <strong>di</strong> affidarvi a quella vecchia jena. Uomini bianchi, orache avete mangiato, riposatevi, poi ripartiremo per Loo ondetranquillizzare il re.Accettammo il consiglio, essendo noi così stanchi da nonpoterci più reggere dopo tante fatiche, tante emozioni e tanteveglie.Ci sdraiammo sotto la tenda che i negri avevano rizzata epotemmo finalmente assaporare alcune ore <strong>di</strong> sonno tranquillo.Infadou intanto aveva fatto i preparativi per la partenza,avendo fretta <strong>di</strong> ricondurci dal re. Prima però <strong>di</strong> abbandonare lamontagna, noi volemmo rivedere la grotta della morte per saperecosa era avvenuto della Gagoul ed anche per cercare, se erapossibile, <strong>di</strong> entrare nella caverna <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti, quantunque giàio e Good avessimo le tasche piene e fossimo certi <strong>di</strong> possedereuna cifra favolosa.Guidati dal vecchio capo, rientrammo quin<strong>di</strong> nelle <strong>caverne</strong>e potemmo facilmente giungere là ove si trovavano assisi, allafunebre tavola, i defunti re <strong>dei</strong> koukouana e dove Toualalentamente si pietrificava.Giunti presso l'enorme pietra che chiudeva la galleria dellacaverna <strong>dei</strong> tesori, scorgemmo un braccio magro e nero che erastato completamente staccato; lo riconoscemmo subito: era dellaGagoul.Comprendemmo tutto: la miserabile vecchia, per tema <strong>di</strong>non poter uscire in tempo, aveva allungato al <strong>di</strong> fuori delpassaggio un braccio ed aveva fatto scattare la molla segreta,216


preferendo farsi stritolare sotto l'enorme peso della pietra,piuttosto che correre il pericolo <strong>di</strong> farsi prendere da noi o chegiungessimo in tempo per sfuggire alla morte orribile, a cui laven<strong>di</strong>cativa donna ci aveva condannati.Cercammo <strong>di</strong> scoprire il segreto, ma perdemmo inutilmenteil nostro tempo. La parete rocciosa non aveva traccia alcuna edappariva perfettamente liscia ed uniforme dovunque. Lavecchia, morendo, aveva portato con sé anche il segreto <strong>di</strong> farscattare la molla e <strong>di</strong> riaprire la via che conduceva a queifavolosi tesori.È bensì vero che rimaneva il passaggio della miniera;avevamo però già provate tante angosce in quelle spaventosegallerie, che nessuno <strong>di</strong> noi si sentiva in caso <strong>di</strong> avventurarsiancora là dentro, colla tema <strong>di</strong> smarrirsi in quel labirinto e <strong>di</strong>non poter poi più mai uscire.Verso il tramonto abbandonammo la montagna per avviarciverso Loo e due giorni dopo noi rivedevamo finalmente il bravoIgnosi a cui raccontammo le nostre avventure. Apprendendo lafine della Gagoul, ci <strong>di</strong>sse:– Io sono contento <strong>di</strong> sapere che quella vecchia strega haavuto la punizione che si meritava. Era da troppo lungo tempo lapiaga <strong>di</strong> questo paese; era stata la causa principale <strong>di</strong> tutte leribellioni e <strong>di</strong> tutti gli assassinii, come se quell'infame avesseavuto bisogno <strong>di</strong> spegnere continuamente delle vite perprolungare la sua. Colla sua morte la pace regnerà, d'ora innanzinel mio regno.Poi guardandoci con tristezza, continuò:– È vero che voi vi preparate ad abbandonarci?– Sì – rispose il signor Falcone. – Qui più nulla abbiamo dafare; tu eri venuto con noi come semplice servitore e ti lasciamore possente d'un popolo ormai interamente devoto a te.– Che cosa potrò fare per voi, per <strong>di</strong>mostrarvi la mia217


gratitu<strong>di</strong>ne?– Governare il tuo popolo con giustizia, con saviezza e conmoderazione ed abolire quelle atroci feste notturne checostavano tanto sangue ai tuoi sud<strong>di</strong>ti. Sii felice, Ignosi e non<strong>di</strong>menticare <strong>di</strong> rispettare la vita <strong>dei</strong> tuoi sud<strong>di</strong>ti.Il re stette alcuni istanti silenziosi, coprendosi il volto conambe le mani, poi rispose con voce addolorata:– Sì, io giuro <strong>di</strong> seguire i saggi consigli <strong>dei</strong> buoni capibianchi, ma non potrò mai consolarmi dell'assenza vostra.Perché volete voi abbandonare il mio regno? Vi manca forse quiqualche cosa? Vi ho fatto io qualche cosa che possa esservispiaciuta, per lasciarmi? Nei giorni dell'avversità voi mi aveteprestato il vostro possente aiuto, e ora che io sono <strong>di</strong>ventato re,che la pace regna e che i giorni <strong>di</strong>fficili sono trascorsi, voi voleteandarvene. No, miei padri bianchi, rimanete nel mio regno,rimanete presso <strong>di</strong> me. Prendetevi tutto quello che volete,chiedetemi qualunque cosa, io sono e sarò sempre pronto asod<strong>di</strong>sfare i vostri minimi desideri. Voi lo vedete, il mio regnoora è tranquillo, il soggiorno è felice, nulla manca qui e potresteessere forse più contenti qui che nei paesi civili.– Grazie, Ignosi – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, con vocecommossa. – Noi apprezziamo il tuo buon cuore, pure noidesideriamo rivedere la nostra patria.– Oh!... – riprese egli con amarezza. – Ora vi comprendo!...Voi non desideravate che il possesso <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti! Voi ora nepossedete e li preferite al vostro amico. Voi siete avi<strong>di</strong> <strong>di</strong>ricchezze come tutti gli uomini bianchi. Siano maledette lepietre scintillanti che mi rubano i capi bianchi! Io pronunceròsentenza <strong>di</strong> morte contro chiunque ne farà uso nel mio regno.Andate, uomini bianchi! Voi potrete partire quando lo vorrete evi darò una scorta. Ho detto!...– Ignosi – <strong>di</strong>ss'io, mettendogli affettuosamente una mano218


sulla spalla. – Tu adunque non ti rammenti più come il tuo cuoresoffriva quando tu eri a Natal?... Tu sospiravi sempre <strong>di</strong> rivedereil paese ove eri nato e tutte le attrattive delle nostre città e tuttigli agi della civiltà non potevano farti <strong>di</strong>menticare, né soffocare,il desiderio che ti spingeva verso le terre <strong>dei</strong> koukouana. Eperché vuoi che il nostro cuore non provi il medesimo desiderio<strong>di</strong> rivedere la patria nostra? Io colà ho lasciato un figlio: perchésuo padre dovrebbe abbandonarlo?Ignosi abbassò il capo, mentre i suoi occhi <strong>di</strong>ventavanoumi<strong>di</strong>.– Tu hai detto la verità, padre bianco – mi <strong>di</strong>sse poi. – <strong>Le</strong>tue parole sono piene <strong>di</strong> saggezza. Sì, comprendo il vostrodesiderio <strong>di</strong> tornare nella vostra patria. Voi partirete, il miocuore però rimarrà ben triste, perché sento che io non vi rivedròpiù mai e che io non udrò più mai parlare <strong>di</strong> voi.«Quando l'età avrà incanutiti i vostri capelli, e che tuttitremanti vi stringerete verso il fuoco, col vostro pensiero tornatein<strong>di</strong>etro e rammentatevi <strong>dei</strong> giorni che noi abbiamo trascorsiinsieme, dell'aspra battaglia che <strong>di</strong>ede a me il trono <strong>di</strong> Toualache tu, genovese, hai abbattuto colla tua forza <strong>di</strong> toro selvaggio.«Amici, partite prima che i miei occhi si fondano in unruscello <strong>di</strong> lagrime! Ad<strong>di</strong>o, amici bianchi! Siate felici nel paese<strong>dei</strong> vostri padri!...»Si era alzato. Si avvicinò a noi guardandoci a lungo comese avesse voluto scolpirsi per sempre nel cuore i nostri volti, poisi gettò sul capo il mantello per nascondersi gli occhi e ricaddesulla sua se<strong>di</strong>a, mentre <strong>dei</strong> sor<strong>di</strong> singhiozzi gli sollevavano ilpetto.Noi ci allontanammo in silenzio, col cuore rattristato daquella separazione ed entrammo nel nostro kraal senza averscambiato una parola.L'indomani noi abbandonavamo la capitale <strong>dei</strong> koukouana.219


Infadou ci accompagnava con una scorta <strong>di</strong> venti uominiscelti fra i reggimenti <strong>dei</strong> bufali.Quantunque l'ora fosse mattutina, tutti i <strong>di</strong>ntorni del nostrokraal formicolavano d'in<strong>di</strong>geni, accorsi a darci l'ultimo saluto.Gli uomini si gettavano ai nostri pie<strong>di</strong> stringendoci leginocchia e le donne ci baciavano le mani gettandoci addosso<strong>dei</strong> fiori. Quella <strong>di</strong>mostrazione spontanea ed inattesa ci toccòvivamente il cuore.Infadou ci condusse attraverso alle montagne prendendo unlargo sentiero che si trovava al nord della grande via che noiavevamo percorsa e che era più comodo, essendo più piano. Icacciatori del paese lo frequentavano a preferenza dell'altra,quando si recavano nei paesi civili a vendere le penne <strong>di</strong> struzzo.Fu anzi da uno <strong>di</strong> quei cacciatori che Infadou apprese,come in mezzo al deserto che noi ci preparavamo adattraversare, si trovava una vasta oasi assai fertile e ci consigliò<strong>di</strong> <strong>di</strong>rigerci a quella volta per evitare il pericolo <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> setefra quelle sabbie infuocate.Questo ci fece supporre che la madre d'Ignosi, prima <strong>di</strong>giungere alla colonia <strong>di</strong> Natal, fosse giunta in quell'oasi,salvando così la propria vita e quella del futuro monarca.Quattro giorni dopo noi giungevamo alla grande catena <strong>di</strong>montagne che <strong>di</strong>videva il paese fertile <strong>dei</strong> koukouana dallesabbie aride del gran deserto.Gli ad<strong>di</strong>i con Infadou e la sua scorta furono commoventi. Ilbravo e valoroso capo, prima <strong>di</strong> lasciarci per sempre, ci chiese ilpermesso <strong>di</strong> abbracciare tutti, poi ci separammo e noi cimettemmo animosamente in marcia attraverso le sabbie pergiungere all'oasi, dove contavamo <strong>di</strong> arrestarci qualche tempo,prima d'intraprendere la seconda e più lunga marcia che dovevacondurci al kraal <strong>di</strong> Sitanda.Ci eravamo già allontanati dalla scorta, quando Infadou ci220


aggiunse per salutarci ancora. Il povero vecchio aveva lelagrime agli occhi e pareva che non sapesse decidersi a lasciarci.– Ad<strong>di</strong>o, uomini bianchi – ci <strong>di</strong>ss'egli, singhiozzando. – Ionon rivedrò più mai le vostre sembianze!... Più mai i miei occhipotranno rivedere i gran<strong>di</strong> capi dalla pelle bianca! Non vi vedròpiù, ma ricorderò sempre la vostra bravura nel condurre gliuomini alla guerra; mai <strong>di</strong>menticherò il terribile duello che haucciso Touala e che ha dato un trono a mio nipote! Ad<strong>di</strong>o unavolta ancora, valorosi uomini!Noi eravamo più commossi <strong>di</strong> quanto credevamo, <strong>di</strong>nanzi aquella affettuosa <strong>di</strong>mostrazione. Good fu talmente tocco, chevolle offrire un ricordo al vecchio capo e fece il sacrificio delsuo monocolo, <strong>di</strong> quell'occhialetto che mai aveva abbandonato,nemmeno nei più tremen<strong>di</strong> momenti. Infadou apprezzò il giustovalore <strong>di</strong> quel sacrificio e vide subito quale prestigio gli avrebbedato quel pezzo <strong>di</strong> vetro, che era appartenuto all'uomo bianco, <strong>di</strong>fronte ai suoi compatrioti.Dopo alcuni tentativi infruttuosi riuscì ad aggiustarselo adun occhio e ci lasciò commosso sì, ma fiero <strong>di</strong> quell'ornamentoche forse lo stesso Ignosi gli avrebbe invi<strong>di</strong>ato.La nostra peregrinazione fra le sabbie infuocate del desertocominciò. Marciammo tutta la giornata con grande lena,frettolosi <strong>di</strong> giungere nei paesi civili, poi alla sera ciaccampammo in un avvallamento, ove avevamo trovato deglisterpi secchi.Sapendo che il fuoco è in<strong>di</strong>spensabile in quei paesi pertenere lontano le fiere, raccogliemmo quanti sterpi trovammo,quin<strong>di</strong> ci allestimmo la cena, consistente in gallette <strong>di</strong> sorgo,carne arrostita e birra in<strong>di</strong>gena.Quella prima notte la passammo tranquilla, e l'indomaniriprendevamo la marcia sotto un sole cocente che ci minacciavaad ogni istante qualche insolazione pericolosa. Per due giorni221


ancora avanzammo in mezzo alle sabbie, poi il quarto giorno,essendo privi <strong>di</strong> provviste e stanchi, ci arrestammo ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong>alcune colline brulle e calcinate dal sole.La nostra situazione tornava a <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>fficile, nonavendo ancora raggiunto l'oasi. Correvamo un'altra volta ilpericolo <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> sete. La nostra provvista era già ridotta adue sole bottiglie d'acqua e molto scarse, essendol'evaporizzazione rapi<strong>di</strong>ssima in quelle regioni così ardenti.– Fermiamoci alcune ore e perlustriamo queste colline, pervedere se vi è qualche sorgente – <strong>di</strong>sse il genovese. – L'oasi èforse ancora lontana e non è prudente continuare la marcia,stanchi come siamo e senza una briciola <strong>di</strong> sorgo.– Se non troviamo dell'acqua, sarà un po' <strong>di</strong>fficile chetroviamo della selvaggina – rispos'io.– Gli struzzi, voi lo sapete, frequentano anche le parti piùaride <strong>dei</strong> deserti.– È vero, potendo essi rimanere lunghissimo tempo senzabere, più ancora <strong>dei</strong> cammelli, ma finora non abbiamo vedutoancora uno solo <strong>di</strong> quei giganteschi volatili.– Chissà! Speriamo – concluse il signor Falcone.Dopo esserci riposati qualche ora, ci <strong>di</strong>rigemmo verso quelgruppo <strong>di</strong> colline per esplorarlo.Il sole cominciava a tramontare in mezzo ad un orizzonte<strong>di</strong> fuoco e la luna a sorgere, quando giungemmo sulla più altacollina del gruppo. Girando intorno gli sguar<strong>di</strong>, in fondo ad unostretto vallone scoprimmo delle piante che ci parvero delleacacie.– Forse laggiù vi è qualche corso d'acqua – <strong>di</strong>sse Good.– È probabile – risposi io.– Allora troveremo anche della selvaggina– An<strong>di</strong>amo a vedere – suggerì il genovese.Ci affrettammo a scendere la collina e giunti nel vallone,222


oltre parecchi gruppi d'acacie trovammo anche <strong>dei</strong> folti cespugli<strong>di</strong> mimose bianche e delle bellissime felci arborescenti cheproiettavano una fresca ombra.Proseguendo nelle nostre ricerche, non tardammo ascoprire un ampio stagno che serviva <strong>di</strong> scolo alle acque che siraccoglievano negli avvallamenti delle colline, durante irarissimi sì, ma abbondantissimi acquazzoni, che talvolta sirovesciano su quelle regioni.Subito notammo sulla sabbia umida delle rive numerosetracce <strong>di</strong> selvaggina, <strong>di</strong> struzzi, <strong>di</strong> antilopi, <strong>di</strong> giraffe, <strong>di</strong> zebre eperfino talune che sembravano fatte dalle zampe <strong>dei</strong> leoni.Pel momento nessun animale si scorgeva; se però quelletracce esistevano, ciò significava che gli animali <strong>dei</strong> <strong>di</strong>ntornidovevano talvolta venire a <strong>di</strong>ssetarsi.– Aspettiamo questa sera e vi prometto una buona cena –<strong>di</strong>ss'io.– Purché invece della minuta selvaggina, non arrivi quellagrossa, armata <strong>di</strong> unghie e <strong>di</strong> denti – osservò Good.– L'accoglieremo egualmente a colpi <strong>di</strong> fucile, è veroAllan? – <strong>di</strong>sse il signor Falcone.– E perché no? – risposi io. – La carne del leone non è cosìcattiva come si <strong>di</strong>ce.– Sarà dura come quella d'un vecchio mulo – <strong>di</strong>sse Good.– Non <strong>di</strong>co che sia tenera, ma per gente affamata puòpassare.Ci <strong>di</strong>ssetammo abbondantemente, poi essendo stanchissimici sdraiammo sotto la fresca ombra d'una felce arborescente enon tardammo ad addormentarci d'un sonno <strong>di</strong> piombo.Quando mi svegliai il sole era tramontato, ed una splen<strong>di</strong>daluna brillava in un cielo senza nubi. Vedendo che i mieicompagni dormivano, trassi la pipa e due pezzi <strong>di</strong> selceregalatimi da Infadou per accenderla. Stavo per sbattere le223


pietre, quando pervenne ai miei orecchi un rumore come <strong>di</strong>foglie smosse.Temendo che qualche fiera stesse spiandoci, armai pianpiano il mio fucile, poi colla sinistra scossi fortemente il signorFalcone che mi dormiva accanto, <strong>di</strong>cendogli:– Presto, svegliatevi, signore.– Che cosa avete? – mi chiese il genovese, sba<strong>di</strong>gliando estropicciandosi gli occhi.– Credo che la cena stia per giungere.– Sotto forma <strong>di</strong> quale animale?– Pel momento lo ignoro, ma un animale è nascosto fra lemimose.– Allora non lo lasceremo scappare.Svegliammo Good, mettendolo al corrente <strong>di</strong> quantoaccadeva, quin<strong>di</strong> ci nascondemmo in mezzo a una fitta macchia,aspettando che l'animale si mostrasse per fargli fuoco addosso.Passarono alcuni minuti senza che alcun rumore giungesseai nostri orecchi, poi alla pallida luce della luna vedemmo uscirefra le mimose una massa enorme che a prima vista scambiammoper un elefante, quantunque ci sembrasse un po' troppo bassoper essere uno <strong>di</strong> quei mostruosi pachidermi.– Che bestione è quello là? – mormorò Good.– Sembra un elefante – <strong>di</strong>sse il signor Falcone.– Od un ippopotamo?– Un ippopotamo nel deserto? Non vi sono né laghi néfiumi qui.– Signori miei, – <strong>di</strong>ss'io che avevo osservato attentamentequell'animalaccio, – non è né l'uno né l'altro.– Che cos'è adunque? – chiesero entrambi.– Io vi <strong>di</strong>co che si tratta d'un rinoceronte.– Cattivo vicino – <strong>di</strong>sse il genovese.– Dite cattivissimo. Simili animali sono più pericolosi <strong>dei</strong>224


leoni, degli elefanti e degli ippopotami.– Allora lasciamolo bere in pace.– E la nostra cena? – <strong>di</strong>sse Good.– Ci rifaremo più tar<strong>di</strong> – <strong>di</strong>ss'io. – Se vi preme la vita nonfate fuoco.Infatti nulla avremmo avuto da guadagnare impegnando lalotta con quel mostruoso animale. È il più violento <strong>di</strong> quanti neesistano ed anche il più coraggioso; perché quando è arrabbiato,e lo è quasi sempre, non esita a scagliarsi anche contro un'interatribù <strong>di</strong> negri armati. È poi <strong>di</strong>fficilissimo ad uccidersi, perchécoperto d'una pelle assai fitta, e poche volte le palle riescono acolpirlo in qualche organo vitale.Quello che ci stava <strong>di</strong>nanzi era lungo più <strong>di</strong> quattro metri esul naso portava un corno formidabile, alto un metro, arma dellaquale si serve per sventrare gli avversari.Essendo d'indole sospettosa, giunto all'aperto si arrestò perguatare a destra ed a manca ed aspirando fragorosamente l'aria,quin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>resse verso lo stagno, mettendosi a bere.– Allan – mi <strong>di</strong>sse il signor Falcone che tormentava labatteria della sua carabina. – È buona la sua carne?– Vorreste far fuoco, signore? – gli chiesi con tonospaventato.– Ci si presenta così bene, che mi sento tentato <strong>di</strong> farglifuoco addosso.– Se siete stanco <strong>di</strong> vivere, fatelo pure.– Non ho alcuna intenzione <strong>di</strong> morire, ma io credo che contre palle lo si potrebbe abbattere e procurarci delle buonecostolette.– Che poi non sareste capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>gerire, essendo la carne<strong>di</strong> quelli animali eccessivamente coriacea.In quell'istante l'animalaccio, quasi si fosse accorto dellanostra presenza, volse la testa verso <strong>di</strong> noi, dando segni d'una225


certa impazienza.– Non muovetevi – mormorai. – Se si accorge che noisiamo qui, ci piomberà addosso come un uragano.– E noi lo riceveremo con una scarica generale delle nostriarmi – rispose flemmaticamente il genovese.Così <strong>di</strong>cendo aveva alzato il fucile per mirare, e nel farequell'atto aveva urtato colla canna contro un ramo, producendoun rumore lieve bensì, ma che non era sfuggito all'u<strong>di</strong>to acutodel rinoceronte.Il sospettoso animale abbassò subito la testa mostrandoci ilsuo formidabile corno, come si preparasse a caricarci, però nonsi mosse. Noi, pur conservando una immobilità assoluta, cieravamo preparati a riceverlo con una scarica generale dellenostre armi, quantunque io avessi ben poca fiducia nell'efficacia<strong>dei</strong> nostri proiettili contro quella corazza vivente.L'animale continuava a guardarci, sempre tenendo il cornoteso, come si <strong>di</strong>vertisse delle nostre angosce. Ad un tratto peròretrocesse vivamente verso i cespugli, guardando in <strong>di</strong>rezionedello stagno.Un ruggito formidabile si era u<strong>di</strong>to nella valletta, rompendoil profondo silenzio che regnava sulle rive del bacino.– Un leone! – esclamò Good.– Ecco perché il rinoceronte si è affrettato a nascondersi –<strong>di</strong>ss'io.– Forse che così poderosi animali non osano affrontare ileoni? – chiese il genovese.– Non è la paura che lo ha fatto nascondere – risposi. – Irinoceronti si battono contro tutti, perfino contro gli elefanti.– Ed allora?– Vorrà prima vedere che cosa farà il leone, per piombargliaddosso <strong>di</strong> colpo.– Stiamo per assistere ad una tremenda lotta?226


– Certo, signore, ma avrà esito negativo per entrambi, lovedrete. Se le unghie del leone poco possono contro la grossapelle del rinoceronte, il corno <strong>di</strong> questi non potrà sfondare lecostole a quello.– Lo credete?– Aspettate e ne sarete convinto.Alla luce della luna, scorgemmo in quell'istante un superboleone avanzarsi lentamente nella valletta, <strong>di</strong>retto verso lasorgente. Conscio della propria forza, veniva innanzi facendou<strong>di</strong>re, <strong>di</strong> quando in quando, la sua possente voce.Pareva che sdegnasse <strong>di</strong> prendere qualsiasi precauzione,anzi che volesse annunciare a tutti la sua presenza.Passo a passo giunse sull'opposta riva dello stagno e simise a bere a lunghi sorsi, gettando però, <strong>di</strong> tratto in tratto, deglisguar<strong>di</strong> sospettosi a destra ed a manca. Forse il venticellonotturno aveva portato fino a lui le emanazioni del rinoceronte.– È splen<strong>di</strong>do quell'animale – <strong>di</strong>sse Good. – Quanta<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> gesti dai leoni che si vedono nei serragli.– E che incedere maestoso – aggiunse il genovese.– Attenti al rinoceronte – <strong>di</strong>ss'io. – Si prepara ad assalire.Il colosso infatti era uscito pian piano dai cespugli, senzaessere stato scorto dall'avversario, essendosi questo rimesso abere.Con uno slancio <strong>di</strong> cui non lo si sarebbe creduto capace, ilrinoceronte attraversò lo spazio che lo <strong>di</strong>videva dalla riva, poi siscagliò in mezzo allo stagno, sollevando un'ondata gigantesca.Il leone, scorgendolo, aveva fatto un salto in<strong>di</strong>etro,sottraendosi a quel violento attacco e si era piantato sulle zampe,pronto a prendere, a sua volta, lo slancio.I due formidabili avversari si guardarono l'uno l'altro perparecchi istanti, poi il rinoceronte abbassò l'aguzzo corno ecaricò a fondo, all'impazzata, credendo forse <strong>di</strong> frantumare il re227


delle foreste.Questi con un secondo slancio sfuggì a quella nuova carica,poi scattò spiccando un gran salto e cadde sul largo dorsodell'assalitore, tentando <strong>di</strong> lacerargli la pelle colle poderoseunghie e <strong>di</strong> morderlo al collo.Sentendosi straziare il dorso, il rinoceronte parve cheimpazzisse. Saltava come un dannato, si rizzava sulle zampeposteriori, mandava fischi stridenti e si scaraventavafuriosamente in mezzo ai cespugli cercando <strong>di</strong> sbarazzarsi <strong>di</strong>quello strano cavaliere, ma senza riuscirvi. Il leone non lasciavail posto, anzi raddoppiava colpi <strong>di</strong> zampa, aprendo a poco apoco la grossa pelle del nemico e toccando la carne viva.Perduta ogni speranza <strong>di</strong> scavalcarlo, il rinoceronte si <strong>di</strong>edead un tratto ad una corsa precipitosa, sfrenata, attraverso lavalletta. Lo vedemmo per alcuni istanti fra le piante della gola,poi scomparve ai nostri occhi senza che fosse riuscito a liberarsidell'avversario.– Ecco la nostra cena che se ne va – <strong>di</strong>sse il genovese chesi era prontamente alzato.– Lasciamola correre, signore. C'era poco <strong>di</strong> buono daguadagnare, affrontando quei due formidabili animali, tanto piùche ci avrebbero somministrato delle costolette in<strong>di</strong>geste.– Credete che il leone possa riuscire ad abbattere ilrinoceronte? – mi chiese Good.– Lo dubito assai. A quest'ora il re delle foreste avràlasciato la sua cavalcatura, mettendosi in salvo su qualcheroccia.– Che ferite però avrà fatto!– Gravi senza dubbio, ma non mortali però. Bah! Hanno lapelle dura quegli animalacci e non si uccidono così facilmente.– Pst!...– Che cosa avete, signor Falcone? – chiesi.228


– Ecco la cena che si avanza, e questa, migliore e menopericolosa dell'altra. Guardate laggiù, Quatremain.Guardai verso il deserto e vi<strong>di</strong> avanzarsi verso la gola dellavalletta una banda <strong>di</strong> giganteschi volatili, i quali si avvicinavanocautamente allungando i loro colli smisurati.– Degli struzzi!... – esclamai. – Signori miei, se non vimuovete, ne abbatteremo qualcuno.– Che entrino nella valletta? – chiese Good.– Lo vedremo – risposi.Gli struzzi si avvicinavano lentamente, come fosseroindecisi sul da farsi. Erano una dozzina, tutti altissimi, dai due aitre metri e ricchi <strong>di</strong> quelle splen<strong>di</strong>de piume che si vendono ad unprezzo così alto anche al capo <strong>di</strong> Buona Speranza.Noi ci eravamo tutti alzati per salutarli con una scarica, maquei giganteschi volatili non parevano <strong>di</strong>sposti ad avvicinarsi,anzi nemmeno ad entrare nella valletta.Dopo d'aver ronzato qua e là, vedemmo alcuni <strong>di</strong> loroscavare la sabbia colle zampe, poi coricarsi, mentre gli altri sitenevano in sentinella a varie <strong>di</strong>stanze.– Ora comprendo – <strong>di</strong>ssi a Good, che mi interrogava. –Quelle che sono accovacciate sono femmine e stanno deponendole uova nella sabbia. Amici miei: la cena è finalmente venuta epiù deliziosa <strong>di</strong> quanto credevo.Attesi alcuni minuti, poi vedendo che qualche femminacominciava ad alzarsi, feci cenno ai miei due compagni <strong>di</strong>seguirmi.Celandoci ora <strong>di</strong>etro le macchie ed ora <strong>di</strong>etro ai monticelli<strong>di</strong> sabbia che il vento aveva accumulati nella valletta,giungemmo ben presto a tiro <strong>di</strong> fucile.– Mirate la testa – <strong>di</strong>ss'io.Tre spari rimbombarono, uno <strong>di</strong>etro l'altro. La banda <strong>dei</strong>volatili, spaventata, fuggì a precipizio sollevando, coi larghi229


pie<strong>di</strong>, un nuvolone <strong>di</strong> sabbia; uno però, dopo d'aver percorsocinquanta o sessanta passi cadde al suolo per non più rialzarsi.Gli altri invece continuarono la corsa e ben presto scomparvero<strong>di</strong>etro gli avvallamenti sabbiosi del deserto.230


UNA PARTITA DI CACCIA DI QUATREMAINPochi minuti dopo noi eravamo seduti attorno ad un allegrofuoco, occupati a sorseggiare tre uova <strong>di</strong> struzzo che avevamocucinate sulla cenere calda, in attesa che terminasse <strong>di</strong> arrostirsiun bel pezzo <strong>di</strong> carne.Nella sabbia avevamo trovate quin<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> quelle enormiuova, due delle quali sono sufficienti per fare una frittata per seipersone, quin<strong>di</strong> ormai non avevamo più da temere la carestia,per <strong>di</strong> più poi avevamo lo struzzo il quale avrebbe potutobastarci per quin<strong>di</strong>ci giorni se avessimo potuto conservare lacarne, cosa assolutamente impossibile, non avendo noi che unascarsissima provvista <strong>di</strong> sale.In attesa dell'arrosto, ci eravamo sdraiati mollemente inmezzo alla fresca erba, assaporando un ben meritato riposo echiacchierando tranquillamente sulle cacce, sugli animali esoprattutto sugli struzzi.– Ditemi, Allan – mi chiese ad un tratto Good. – Avetecacciato altre volte lo struzzo?– Parecchie volte – risposi. – Anzi un giorno ne abbattei unbel numero nel paese <strong>dei</strong> basuto.– Raccontate un po', amico – <strong>di</strong>sse il genovese. – Intantol'arrosto si cucinerà perfettamente.– Volontieri, – risposi, – tanto più che il mio racconto vifarà conoscere certi usi <strong>dei</strong> capi tribù negri, usi che voi forse nonconoscete ancora.– U<strong>di</strong>amo!... U<strong>di</strong>amo!... – esclamò Good.– Avevo lasciato la colonia <strong>di</strong> Natal per condurre unacarovana nel paese <strong>dei</strong> basuto. Si componeva <strong>di</strong> alcuni olandesi,231


i quali volevano recarsi presso quelle bellicose tribù per faregran<strong>di</strong> acquisti <strong>di</strong> piume <strong>di</strong> struzzo.«Eravamo già giunti nel <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Malupe e ci eravamoaccampati presso un grosso villaggio comandato da un capoassai rapace, al quale dovevamo mandare <strong>dei</strong> regali perché ciaccordasse il permesso <strong>di</strong> attraversare il suo territorio. In Africa,specialmente al sud, se non si paga il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> passaggio non sipuò avanzare che combattendo. I capi negri su questo punto nonla cedono e cercano <strong>di</strong> spogliare meglio che possono lecarovane, con quel sistema.«Volendo noi procedere senza dover ricorrere alle armi,avevamo mandato in regalo, a quel piccolo re, alcuni fazzoletti;il furbo però che voleva taglieggiarci, colla scusa che la giornataera troppo avanzata per trattare, aveva rimandato l'affareall'indomani. Temendo però che noi ci <strong>di</strong>sgustassimo ci avevamandato in dono un bue, tisico e magro come un merluzzo, manon importa.«Era un dono da ladro, che ci faceva presagire, per più tar<strong>di</strong>un formidabile tributo da pagare.«Quando all'indomani i nostri mandatari si ripresentaronoal capo, dovemmo aggiungere al regalo alcuni metri <strong>di</strong> pannorosso e, <strong>di</strong> nascosto, facemmo tenere qualche cosa al vizir, unvuangana della costa, avido quanto il suo padrone, del quale eral'intimo consigliere.«Pur facendo un po' il <strong>di</strong>fficile, il capo finì coll'aggra<strong>di</strong>re lanostra offerta: ma quando aprì la bocca, fu per tassarci <strong>di</strong>duecento dotis <strong>di</strong> hongo, più <strong>di</strong> seicento metri <strong>di</strong> stoffa, una verarovina!«In risposta a ciò, gli facemmo rimettere venticinque dotische egli ci rimandò, e salimmo fino a quaranta, <strong>di</strong>chiarando chenon ne avrebbe uno <strong>di</strong> più.«Si profuse in belle parole: e ci spedì una capra che noi232


ifiutammo. Allora fece preparare del pombè – specie <strong>di</strong> birraafricana ottenuta dalla fermentazione del sorgo – e ce ne feceportare delle otri. Egli stesso si mise a berne tanta, che in brevetempo cadde in una profonda ubriachezza.«Ogni speranza <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere il tributo per quel giorno,doveva essere abbandonata.«All'alba del dì successivo gli rimandammo i nostriquaranta dotis con altre stoffe che egli <strong>di</strong> nuovo ci rinviò; eprima <strong>di</strong> mezzogiorno, l'interessante monarca avevaricominciato a bere del pombè in quantità così grande, che ogni<strong>di</strong>scussione dovette essere <strong>di</strong> nuovo interrotta.«Il capo arabo, in compagnia del quale viaggiammo dalnostro ingresso in quella regione, venne allora a trovarmi, e mipropose <strong>di</strong> fare una battuta nelle vicinanze.«"Il paese è ricco <strong>di</strong> struzzi," mi <strong>di</strong>sse, "mi avetemanifestato, lasciando Kuzi, il desiderio <strong>di</strong> dar loro la caccia; equesta è una bella occasione, che non bisogna lasciarcisfuggire."«Ed era tanto più bella, in quanto che mi offriva il mezzo <strong>di</strong>ven<strong>di</strong>carmi <strong>di</strong> quell'insolente monarca, che passava in orge iltempo che avrebbe dovuto impiegare nel <strong>di</strong>scutere il nostrotributo, e ciò coll'evidente scopo <strong>di</strong> trattenerci presso <strong>di</strong> lui ilmaggior tempo possibile ed obbligare in tal guisa i nostriportatori ad acquistare quantità <strong>di</strong> viveri dagli in<strong>di</strong>geni, giacchéin questo consiste tutta la tattica <strong>di</strong> quei potentati: l'hongo èdestinato a loro ed alla loro corte; l'utile del popolo consistenelle provvigioni che vengono vendute alle carovane, ed il caposi guarda bene dal malcontentare i suoi sud<strong>di</strong>ti, liberando troppopresto una spe<strong>di</strong>zione.«Feci sapere dunque allo scortese capo che non avendonessuna volontà <strong>di</strong> lasciarmi spogliare, e che non avendo fretta alasciare quel luogo, partivo per una passeggiata nei <strong>di</strong>ntorni,233


dalla quale sarei ritornato quando Sua Maestà avesse <strong>di</strong>gerito ilsuo pombè in modo da poter <strong>di</strong>scorrere ragionevolmente.«All'indomani, un'ora prima dell'alba, scelti <strong>di</strong>eci <strong>dei</strong> mieiuomini e l'arabo venti <strong>dei</strong> suoi, ci incamminammo verso lagrande pianura <strong>di</strong> Kuzi, che si stende all'est <strong>di</strong> Khunko.«Non era ancora giorno quando uscimmo dalla foresta:allora fu stabilito che andrei a pormi, con <strong>di</strong>eci negri, neicespugli che circondano la pianura dalla parte <strong>di</strong> Kuzi, mentre,risalendo un po' verso il nord e scaglionando i suoi uomini sullimite della foresta, l'arabo avrebbe formato un cordone <strong>di</strong>battitori, incaricati <strong>di</strong> spingere verso <strong>di</strong> me gli struzzi.«Quando l'orizzonte cominciò ad illuminarsi, io mi trovavoal mio posto, mentre i negri erano <strong>di</strong>sseminati intorno a me, neicespugli: ma essendo cattivi tiratori in generale, mi avevanodomandato il permesso, presentandosi l'occasione, <strong>di</strong> servirsi <strong>dei</strong>loro archi, il che m'affrettai ad accordar loro, colla espressaraccomandazione che nessuno <strong>di</strong> loro si muoverebbe prima chene avessi dato io stesso il segnale, facendo fuoco.«Frattanto il sole apparve; una pioggia d'orofiammeggiante incen<strong>di</strong>ò il suo canto mattutino: gli uccellischerzavano tra le fronde, l'insetto sibilava sul suo filo d'erba, e,<strong>di</strong> tratto in tratto, correndo in cerca <strong>di</strong> un po' d'acqua, apparivaun'antilope; s'arrestava un istante come pietrificata, posciafuggiva con tutta la celerità, senza che un solo movimento daparte nostra avesse salutato il suo passaggio.«La nostra immobilità era completa; il nostro silenzioassoluto.«Ad un tratto, laggiù all'orizzonte, fin dove potevagiungere la nostra vista, apparve una nube che sembravaondeggiare sulla pianura. Ma no, non è vapore, e lungi dal<strong>di</strong>ssiparsi ai raggi del sole, si muove verso <strong>di</strong> noi, accorre, siavvicina, prende una forma, <strong>di</strong>venta una striscia nerastra: è234


qualche cosa che si avanza sollevando nembi <strong>di</strong> polvere.«Molto da lontano si ode un fragore, come il mormorìodelle onde: sono i battitori; e quella tromba <strong>di</strong> sabbia è sollevatada una truppa <strong>di</strong> struzzi che si spinge verso <strong>di</strong> noi.«Il mio cuore batteva violentemente, giacché finalmente livedevo quei gran<strong>di</strong> trampolieri. Correvano con una rapi<strong>di</strong>tàvertiginosa, agitandosi un po' colle gran<strong>di</strong> ali, che fanno l'effetto<strong>di</strong> agili remi che battono l'acqua attorno ad una spiaggia.«Dovetti risovvenirmi <strong>dei</strong> miei primi tentativi infruttuosiper non tirare troppo presto; nulla <strong>di</strong> più ingannatore dellepianure d'Africa; si crede la selvaggina a tiro, si fa fuoco, el'animale quasi non se ne accorge. È soltanto dopo qualchetempo che vi accorgete ch'esso si allontana man mano cheavanzate, e che vi tiene sempre ad una <strong>di</strong>stanza rispettabile, laquale non può essere superata dalla portata del vostro tiro.«Seppi contenermi; ma realmente era un bel spettacoloquello che offrivano quegli struzzi; accorrevano in squadroniserrati, dondolando senza grazia un collo lungo quanto le lorogambe, sormontato da una testa che sembrava piccolissima inproporzione della grossezza del corpo. I loro occhi gran<strong>di</strong> espalancati ed il becco depresso dànno loro un'aria <strong>di</strong> stuporemista a stupi<strong>di</strong>tà; ed infatti è nota la fama meritata che hanno <strong>di</strong>imbecilli.«Io, però, vedendoli giungere con quella celerità pro<strong>di</strong>giosache certamente è una delle loro caratteristiche, li ammiravo enon pensavo che a misurare la <strong>di</strong>stanza che me ne separava ondefar cadere sotto i miei colpi il maggior numero possibile <strong>di</strong> queigiganteschi volatili.«Accanto a me tenevo tre fucili carichi; appena gli struzzifurono a breve <strong>di</strong>stanza presi <strong>di</strong> mira due <strong>dei</strong> più belli. Partiti iprimi colpi, prendendo la seconda arma dalle mani del servonegro, feci fuoco ancora due volte sulla truppa che si sbandava;235


non ebbi il tempo <strong>di</strong> scaricare il terzo fucile, ma in compenso imiei uomini avevano salutate le prime detonazioni con una veratempesta <strong>di</strong> frecce, parecchie delle quali colpirono nel segno.«Senza indugiarmi nel guardare quelli fra gli struzzi cheavevamo feriti e che si <strong>di</strong>battevano sul suolo, avevo continuatoil fuoco; ma si dovette presto perdere ogni speranza <strong>di</strong> inseguirela truppa.«Allora uscii dal nascon<strong>di</strong>glio circondato dai miei negri, iquali sgambettavano allegramente alla vista <strong>di</strong> quei gran<strong>di</strong> corpiche giacevano a terra.«Due struzzi erano stati uccisi dalle mie palle, un terzo eracaduto crivellato <strong>di</strong> frecce; i negri tagliarono loroimme<strong>di</strong>atamente la testa, gettando frenetiche grida.«Non tardammo ad essere raggiunti dai battitori i qualiavevano potuto uccidere uno struzzo. L'arabo ci felicitòvivamente, e ci assicurò che sebbene abbondante nella regione,quei gran<strong>di</strong> volatili sono <strong>di</strong>fficilissimi a cacciarsi, tanto più nonavendo cavalli per inseguirli finché siano stanchi, come sipratica ai confini del Transvaal e del deserto <strong>di</strong> Kalahari.«Il nostro ritorno fu un vero trionfo. Il capo negro, tornatoin sé per la ruvidezza della mia partenza, mi venne incontro contutta gentilezza, m'assicurò della sua vera amicizia, ripetendocontinuamente:«"Oh! Questi bianchi! Essi possono tutto! Sono <strong>dei</strong>!"«E, in una estasi religiosa toccava i miei fucili con rispettoe nello stesso tempo con bramosia.«Ma all'indomani quando ricominciarono le trattative perl'hongo quell'ammirazione si tramutò nella domanda formale <strong>di</strong>un'arma simile; a questa con<strong>di</strong>zione egli si sarebbe mostratoarrendevole nel resto. Non<strong>di</strong>meno il tributo salì a novanta dotis<strong>di</strong> buone stoffe alle quali dovetti aggiungere un bariletto <strong>di</strong>polvere ed un fucile a pietra.236


«Gli struzzi potranno senza paura avventurarsi attorno allacapanna reale perché non sarà certo il regalo nostro, massimenelle mani del vecchio negro, quello che potrà arrestarli nellaloro corsa. Dietro preghiera del capo gli lasciammo anche lapelle <strong>dei</strong> giganteschi volatili colla quale voleva fare deglieccellenti scu<strong>di</strong>.»– Che furfanti <strong>di</strong> capi! – esclamò Good. – Sono tutti cosìavi<strong>di</strong>?– Uno peggio dell'altro – risposi io. – Se date <strong>di</strong>eci vidomandano venti, e quando date venti vi domandano cinquanta.– E se non si dasse niente e si passasse sui loro territori agran<strong>di</strong> marce?– Sarebbe peggio, poiché non si tarderebbe ad avere allespalle tutti i loro guerrieri. L'allarme si propagherebbe <strong>di</strong>villaggio in villaggio e si sarebbe costretti a procederecombattendo continuamente.– Amici! – <strong>di</strong>sse il genovese. – L'arrosto minaccia <strong>di</strong>abbruciarsi.La cena non fu così eccellente come avevamo sperato. Siache quello struzzo fosse assai vecchio o che la carne <strong>di</strong> queigiganteschi volatili sia realmente poco succolenta, trovammol'arrosto assai coriaceo, tanto anzi che ci stancammo presto <strong>di</strong>masticare. Fortunatamente avevamo prima bevute le uova e leavevamo trovate non inferiori a quelle <strong>di</strong> gallina.La notte trascorse tranquilla, però u<strong>di</strong>mmo più volterisuonare nella valletta le risa sgangherate delle jene e le urlaniente allegre <strong>di</strong> alcuni sciacalli, i quali si erano presi ilpermesso <strong>di</strong> offrirci una serenata poco attraente.L'indomani, dopo d'aver vuotato tre altre uova <strong>di</strong> struzzo,riprendevamo la marcia su quelle sabbie ardenti che pareva nonavessero mai confine. Cominciavamo a <strong>di</strong>ventare inquieti,perché l'oasi in<strong>di</strong>cataci da Ignosi e dai cacciatori della montagna237


non si scorgeva in alcun luogo.– Che abbiamo smarrito la via? – mi chiese il signorFalcone, dopo due ore <strong>di</strong> marcia faticosissima. – A quest'ora noidovremmo essere giunti all'oasi.– Noi abbiamo costantemente seguìta la <strong>di</strong>rezionein<strong>di</strong>cataci – risposi.– Suppongo che quell'oasi non sarà scomparsa.– Non lo credo, non soffiando qui quel vento impetuosoche si scatena nel Sahara e che gli arabi chiamano il simun.Forse i negri si sono ingannati sulla <strong>di</strong>stanza da percorrere, ciòche è possibile essendo essi gran<strong>di</strong> camminatori.– Diavolo! – esclamò Good. – Che dobbiamo soffrireun'altra volta la sete?– Abbiamo riempite tutte le otri – risposi io. – Per tre oquattro giorni non correremo alcun pericolo.– Ma poi?– Chissà, forse troveremo qualche altra sorgente,quantunque mi abbiano detto che in questo deserto sono assairare.– Ma, <strong>di</strong>temi Quatremain, non vi sono abitanti in questideserto? – mi chiese Good.– Vi sono anzi non poche tribù – risposi.– Che vivono fra queste sabbie infuocate?– Sì, e quei negri si chiamano bosiesmani.– E come fanno a vivere?– Oh! Sono uomini che si accontentano <strong>di</strong> tutto. Quandonon possono avere delle antilopi o degli struzzi non si fannonessun scrupolo a <strong>di</strong>vorare i serpenti e le lucertole.– E l'acqua dove la trovano?– Scavando <strong>dei</strong> pozzi profon<strong>di</strong>ssimi che poi nascondonogelosamente onde non possano venire scoperti.– E dove si trovano questi negri?238


– Dispersi pel deserto.– Ne incontreremo?– Non auguratevi <strong>di</strong> trovare una <strong>di</strong> quelle tribù – risposi io.– Sono cattivi forse?– No, ma respingono inesorabilmente chiunque tentiavvicinarsi ai loro pozzi. Essendo le loro provviste d'acquasempre scarsissime, tanto anzi da soffrire sovente la sete, nonpermettono che uno straniero vada a consumargliela.– Bah! I nostri fucili avrebbero facilmente ragioni sulleloro armi – <strong>di</strong>sse Good.– Camerata, guardatevene da quelle armi.– <strong>Le</strong> lance non hanno mai vinti i fucili.– Ma le frecce avvelenate talvolta sì.– Forse che quei selvaggi possiedono <strong>dei</strong> veleni?– E <strong>di</strong> terribile effetto, camerata. Un uomo colpito daquelle frecce è irremissibilmente perduto e nessun antidotovarrebbe a salvarlo.– Alla larga, da quei messeri?Mentre così <strong>di</strong>scorrevamo continuavamo a marciareattraverso a quelle sabbie interminabili, guardando in tutte le<strong>di</strong>rezioni per vedere se all'orizzonte si <strong>di</strong>segnavano le piantedell'oasi e sempre senza risultato. Sabbie e poi sempre sabbie,ora piane ed ora avvallate come le onde del mare, interrottesolamente da qualche macchia <strong>di</strong> sterpi o <strong>di</strong> spine, si<strong>di</strong>stendevano senza tregua <strong>di</strong>nanzi ai nostri occhi addoloratidalla polvere impalpabile che noi alzavamo camminando.Perfino gli animali mancavano. Non si vedevano più néstruzzi, né antilopi, né cuagga, né zebre, segno evidente chequella parte del deserto era la più arida, priva assolutamente <strong>di</strong>poggi o <strong>di</strong> sorgenti.Tutta la notte continuammo a marciare con una specie <strong>di</strong>rabbia o meglio con una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione, poi verso l'alba,239


sfiniti, assetati, ci arrestammo in mezzo ad alcune rocce ches'alzavano solitarie fra quell'oceano <strong>di</strong> sabbie.Il sole cominciava ad alzarsi e la tema <strong>di</strong> venire colpiti dauna meningite fulminante, ci obbligava ad arrestarci.Prima <strong>di</strong> coricarci perlustrammo quelle rupi per vedere sein qualche luogo si trovava una sorgente onde rinnovare lanostra già quasi esausta provvista d'acqua, ma fu fatica sprecata.Durante l'esplorazione non vedemmo che una specie <strong>di</strong> grossalucertola: null'altro.Quella giornata fu terribile per noi. Una profonda tristezzaci aveva invasi unitamente a delle paurose inquietu<strong>di</strong>ni.Credevamo <strong>di</strong> essere anche noi destinati a morire <strong>di</strong> fame e<strong>di</strong> sete come erano morti i due portoghesi.– Orsù – <strong>di</strong>sse il genovese, il solo che conservasse ancorauna calma ammirabile. – Se è destino che noi dobbiamo lasciarele nostra ossa in questo deserto, prima cercheremo <strong>di</strong> lottarefinché ci rimarrà un soffio <strong>di</strong> vita.– Sperate ancora? – gli chiesi.– Penso che se i sud<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Ignosi ci hanno parlato <strong>di</strong>quell'oasi, quella terra verdeggiante noi la troveremo.– Ma sapete che le nostre provviste sono quasi esaurite? –gli <strong>di</strong>ssi.– Quant'acqua ci rimane ancora, Quatremain?– Forse un litro e mezzo. Se prima <strong>di</strong> domani mattina nonavremo trovato una sorgente, noi cadremo tutti su queste sabbiee per non più rialzarci.Il genovese mi guardò senza rispondere, poi si prese il capofra le mani e mi parve che s'immergesse in tristi pensieri.La giornata trascorse senza che la nostra situazione sicambiasse e giunta la sera riprendemmo la terribile marcia fraun calore così spaventevole, che ci sembrava <strong>di</strong> camminare inmezzo alle fiamme.240


<strong>Le</strong> precedenti marce e la sete ci avevano anche cosìindeboliti che dopo i primi chilometri ci trovavamo quasinell'impossibilità <strong>di</strong> continuare il cammino.Fummo costretti ad arrestarci ed a bere un altro sorsod'acqua per calmare l'arsura che ci tormentava.Eravamo allora giunti in mezzo ad una serie <strong>di</strong> alturerocciose, le quali ci limitavano l'orizzonte, impedendo ai nostrisguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> spaziare lontano. Volendo io vedere se da qualcuna <strong>di</strong>quelle alture si poteva scorgere la sospirata oasi, facendo appelloa tutte le mie forze mi arrampicai su una rupe, la quale s'alzavaper cinquanta o sessanta metri.Ero appena giunto sulla cima, quando scorsi delle ombreumane <strong>di</strong>rigersi verso una specie <strong>di</strong> gola, portando sulle spalle<strong>dei</strong> pacchi assai voluminosi e biancastri e che subito non riusciia conoscere.– Dei bosiesmani! – esclamai. – Che cosa vengono a farequi?Mi nascosi <strong>di</strong>etro un macigno onde non venire scorto,cominciando allora ad alzarsi la luna e stetti attento per vedereche cosa facevano e dove erano <strong>di</strong>retti.Quei negri, una dozzina fra uomini e donne, si <strong>di</strong>resserolentamente verso l'uscita della gola, poi, dopo d'aver cercato peralcuni istanti, muovendo e rimuovendo le sabbie in vari luoghi,li vi<strong>di</strong> scaricarsi <strong>di</strong> quegli oggetti che portavano sulle spalle.Compresi subito <strong>di</strong> che cosa si trattava.– Sono venuti a fare le loro provviste d'acqua – mormorai.Infatti, osservando con maggior attenzione, m'accorsi chequei fardelli altro non erano che delle reti ripiene <strong>di</strong> uova <strong>di</strong>struzzo, le quali dovevano servire da recipienti.Non ne volli sapere <strong>di</strong> più e scesi precipitosamente peravvertire i miei due compagni.– Amici – <strong>di</strong>ss'io, correndo verso <strong>di</strong> loro. – Siamo salvi.241


– Avete scoperto l'oasi? – chiese il signor Falcone,balzando in pie<strong>di</strong>.– No, ma vi è una sorgente od un pozzo in questevicinanze.– Un pozzo? – esclamò Good. – An<strong>di</strong>amo a vuotarlo,camerati. Io ho tanta sete da temere che tutta l'acqua checontiene non basti a spegnermela.– Adagio amici, poiché ora vi sono i bosiesmani.– Vi fossero anche venti leoni io andrò egualmente – <strong>di</strong>sseil genovese. – Sono molti quegli uomini?– Una dozzina.– Divideranno l'acqua con noi o li prenderemo a colpi <strong>di</strong>fucile.– Badate alle frecce avvelenate.– Non mi fanno paura in questo momento. Presto,Quatremain, guidateci al pozzo.Sapendo ormai dove si trovava la gola, mi cacciai in mezzoalle rocce, le quali formavano una specie <strong>di</strong> bizzarro labirinto,procedendo cautamente per tema che gl'in<strong>di</strong>geni avesserocollocato delle sentinelle e che qualche freccia avvelenata micolpisse d'improvviso. Dopo un quarto d'ora giungevoall'opposta estremità della valle, sempre seguìto dai mieicompagni, i quali avevano armate le carabine.Scorgemmo subito i negri ancora occupati a riempired'acqua le uova <strong>di</strong> struzzo. Per compiere quell'operazione siservivano <strong>di</strong> cannelli che introducevano nella sabbia, sotto laquale doveva trovarsi il serbatoio d'acqua e passavano il liquidonelle uova riempiendosi prima la bocca, procurando <strong>di</strong> nonperderne una sola goccia.Quegli abitanti del deserto erano tutti <strong>di</strong> statura piuttostobassa, d'una tinta giallo bruna, col corpo quasi ischeletrico, lebraccia magre ma <strong>di</strong>scretamente muscolose, le mani ed i pie<strong>di</strong>242


piccolissimi. Anche nei lineamenti erano un po' <strong>di</strong>fferenti dagliottentotti che popolano le regioni sud-africane, avendo le labbrameno tumide, la fronte meno prominente ed il naso invece piùschiacciato, anzi quasi quasi si confondeva cogli zigomi.Tutti quegli uomini erano quasi nu<strong>di</strong>, non avendo chequalche pezzo <strong>di</strong> pelle ai fianchi, avevano però delle stranepitture rosse, sul volto e sulle gambe.Vedendoci, uno <strong>di</strong> essi si staccò prontamente dal gruppo eci venne incontro tenendo in mano un arco ed una freccia,gridandoci in una lingua che subito compresi, avendo avuto giàaltre volte rapporti con quelli della sua razza.– Che cosa vogliono gli uomini bianchi? Questa è la terra<strong>dei</strong> buschmen e nessuno ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> calpestarla o le frecce tintenel veleno dell'haja-uaje vi uccideranno.– Noi siamo amici degli uomini dalla pelle nera, e nonsiamo qui venuti per farvi la guerra – risposi.– Che cosa volete adunque?– Veniamo a cercare un po' d'acqua perché moriamo <strong>di</strong>sete.– L'acqua è troppo preziosa pei buschmen, perché possanodame agli estranei – rispose il negro.– Voi avete un pozzo nascosto sotto le sabbie, perché nonpermettete agli uomini bianchi <strong>di</strong> bagnarsi la gola?– Perché l'acqua racchiusa in quel pozzo è appenasufficiente alla nostra tribù.– Noi ve la pagheremo.– E noi non te la daremo – rispose duramente il negro.– Allora ricorreremo alla violenza.– Bada che noi abbiamo le frecce velenose.– Noi posse<strong>di</strong>amo delle armi ben più formidabili delle tue.– <strong>Le</strong> frecce tinte nel veleno dell'haja-uaje non perdonano.– E le nostre palle uccidono ad una <strong>di</strong>stanza a cui mai243


giungeranno le tue frecce. Ne vuoi una prova?– Dammela, e solo allora ti crederò.– Ebbene, guarda.In quel momento un grosso uccello dalle ali nere si eraalzato da una rupe, tenendo stretto fra il becco un lunghissimoserpente, il quale si <strong>di</strong>batteva tentando, ma invano, <strong>di</strong> sfuggirgli.Era un serpentario, uno <strong>di</strong> quei singolari volatili che pare nonabbia altra missione che quella <strong>di</strong> purgare la terra dai rettilivelenosi, che sono così abbondanti nelle regioni sud-africane.Sono uccelli assai coraggiosi e robusti, armati d'un becco acutoe molto lungo e <strong>di</strong> unghie poderose, e che alle estremità delle aliportano una specie d'uncini.Non temono nessun serpente per quanto sia velenoso, edappena ne scorgono uno vi piombano addosso stordendoli acolpi d'ala o spaccandone la testa a colpi <strong>di</strong> becco. Pare che ilveleno non abbia nessuna influenza letale su <strong>di</strong> loro, poichémangiano perfino la testa ai rettili che riescono a prendere,senza risentirne poi danno alcuno.Vedendo quell'uccello volteggiare sopra <strong>di</strong> noi, adun'altezza <strong>di</strong> cento metri, puntai rapidamente il fucile e dopod'aver mirato alcuni istanti feci fuoco.Il volatile, colpito mortalmente, ripiegò le ali, lasciò cadereil serpente, poi roteando su se stesso venne a cadere quasi aimiei pie<strong>di</strong>.I buschmani, spaventati dalla detonazione e stupiti da quelcolpo maestro si erano ritirati precipitosamente <strong>di</strong> alcuni passi,guardandoci con terrore. L'uomo che ci aveva minacciati eraperò rimasto intrepidamente al suo posto, tenendo sempre fra lemani l'arco e la freccia avvelenata.– Saresti stato capace <strong>di</strong> fare altrettanto? – gli chiesi.– Con quell'uccello no, ma con te, che mi sei così vicino sì– mi rispose egli ar<strong>di</strong>tamente.244


Così <strong>di</strong>cendo aveva teso l'arco incoccando la freccia, comesi preparasse a prendermi <strong>di</strong> mira.– Che cosa fai? – gli chiesi.– Provo contro <strong>di</strong> te la potenza della mia freccia avvelenata– mi rispose egli con accento freddo.Il signor Falcone, sapendo che in quel momento io mitrovavo inerme, non avendo avuto il tempo <strong>di</strong> ricaricare l'arma,si era gettato <strong>di</strong>nanzi a me, mirando il negro.– Fermati, uomo selvaggio, – gridò, – od io ti uccido.Il negro probabilmente non lo comprese ed accostò lafreccia all'occhio, prendendomi <strong>di</strong> mira; il genovese loprevenne. Una detonazione rimbombò ed il bosiesmano, colpitoin mezzo alla fronte, cadde al suolo fulminato.I suoi compagni, vedendolo stramazzare, raccolseroprecipitosamente le loro uova <strong>di</strong> struzzo e fuggironoall'impazzata nel deserto, gridando come una banda d'ochespaventate.– Che cosa avete fatto, signor Falcone? – gridai.– L'ho ucciso – mi rispose freddamente il genovese.– Ma ora ci attireremo addosso l'ira dell'intera tribù.– E noi la prenderemo a fucilate – <strong>di</strong>sse Good. – Volevateche vi lasciassimo uccidere.– Forse voi avete ragione, perché quel dannato negropareva <strong>di</strong>sposto a cacciarmi in corpo la sua freccia avvelenata,ma i suoi compagni vorranno ven<strong>di</strong>carlo.– Credete che ritornino? – mi chiese il signor Falcone.– Se non ritorneranno, ci aspetteranno <strong>di</strong> certo nel deserto.– Bah! Quando vedranno che le nostre palle faranno <strong>dei</strong>gran<strong>di</strong> vuoti nelle loro file, ci lasceranno tranquilli. Amici,pensiamo all'acqua.Assetati come eravamo ci mettemmo subito in cerca delpozzo, ma la cosa non era molto facile poiché, come <strong>di</strong>ssi, i245


osiesmani hanno l'abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> nasconderli gelosamente.Infatti cercammo a lungo rimuovendo in più luoghi lesabbie e con esito negativo. Già <strong>di</strong>speravamo <strong>di</strong> trovarlo,quando tutto ad un tratto mancò il terreno sotto i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Good evedemmo scomparire il nostro compagno. U<strong>di</strong>mmo un tonfoseguìto da un grido, ma che non era <strong>di</strong> spavento, anzi era unvero grido <strong>di</strong> gioia.– Good! Good! – gridammo.– Sono qui che bevo a crepapelle! – ci rispose.Ci precipitammo verso il luogo dov'era scomparso e lotrovammo entro un piccolo serbatoio <strong>di</strong> due metri <strong>di</strong> circuito eprofondo uno, immerso nell'acqua fino alle reni. Camminando acaso sopra il pozzo, la parte superiore, composta solamente <strong>di</strong>sterpi intrecciati, e ricoperti <strong>di</strong> sabbia, aveva ceduto sotto il pesoed il nostro amico era capitombolato dentro, senza <strong>di</strong> certolamentarsi.– Bevete amici! – <strong>di</strong>ss'egli, porgendoci un otre ripienad'acqua. – Questo liquido è più delizioso del migliorChampagne che produca la Francia, e della migliore birra che sifabbrichi in Inghilterra ed in Baviera.– Non vi siete fatto alcun male almeno? – gli chiedemmo.– Tutt'altro, ho preso un bagno delizioso che desideravo dalungo tempo.La nostra sete fu estinta, ma vi assicuro che non avremmofatto simile onore a nessun vino della terra, tanta fu l'acqua cheingoiammo.Aiutato Good a risalire, pensammo a preparare lacolazione. I nostri viveri ormai non consistevano che in un po' <strong>di</strong>sorgo e frutta secche; vi era però il serpentario, il quale potevaprocurarci un arrosto, se non delizioso, almeno passabile.Fatta raccolta <strong>di</strong> sterpi secchi accendemmo il fuoco ai pie<strong>di</strong><strong>di</strong> un'alta rupe che proiettava su <strong>di</strong> noi un po' d'ombra, quin<strong>di</strong>246


preparammo il volatile, mettendolo ad arrostire infilato nellabacchetta d'un fucile.Terminato il pasto, rinnovate le provviste d'acqua, ciaffrettammo a trovarci un altro rifugio per non avere sotto gliocchi il cadavere <strong>di</strong> quel negro, accampandoci in un'altravalletta ari<strong>di</strong>ssima, dove avevamo scoperta una specie <strong>di</strong>caverna <strong>di</strong>scretamente fresca.Appena il sole tramontò decidemmo <strong>di</strong> rimetterci inmarcia, temendo che i bosiesmani tornassero in grosso numeroper ven<strong>di</strong>care il loro compagno. Sapendo io quanto sonoven<strong>di</strong>cativi quei negri, avevo ragioni da vendere.Marciammo tre ore continue, allungando sempre il passo escrutando continuamente l'orizzonte per scoprire l'oasi tantosospirata, poi affranti da quella corsa sostammo in mezzo adalcune collinette <strong>di</strong> sabbia, dove si vedevano numerosi scheletri<strong>di</strong> antilopi e <strong>di</strong> struzzi, forse morti <strong>di</strong> sete o <strong>di</strong>vorati da qualchebanda <strong>di</strong> leoni.Riposavamo da un'ora circa, quando il signor Falcone, chesi era sdraiato sulla cima <strong>di</strong> una <strong>di</strong> quelle collinette per dominareil deserto, venne a <strong>di</strong>rci che aveva scorto <strong>dei</strong> punti neri avanzarsiattraverso le sabbie.– Che siano i bosiesmani? – <strong>di</strong>sse Good.– M'è stato impossibile, in causa della grande <strong>di</strong>stanza,<strong>di</strong>stinguere se sono uomini od animali – rispose il genovese. –Credo però che faremo bene ad allontanarci subito <strong>di</strong> qui.– No – risposi. – Rimanendo fra queste colline possiamosfuggire agli sguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> quegli uomini, ammesso che siano tali enel caso che dovessimo venire assaliti, <strong>di</strong>fenderci con vantaggio,mentre nella pianura verremmo subito scoperti e circondati.– Voi parlate come un comandante – <strong>di</strong>sse Good ridendo. –Signor Quatremain, noi vi nominiamo generale d'armata.– Lasciate gli scherzi, signori – risposi. – Se sono i247


osiesmani non avremo da stare molto allegri.– An<strong>di</strong>amo a vedere – <strong>di</strong>sse il genovese.Ci arrampicammo su <strong>di</strong> un monticello e guardammoattentamente l'immensa pianura sabbiosa, procurando però <strong>di</strong>non farci scoprire.– Sono negri e non già animali – <strong>di</strong>sse il genovese.– È una truppa numerosissima – aggiunsi io.– Una tribù intera – <strong>di</strong>sse Good.– Che siano i compagni dell'uomo che abbiamo ucciso oduna tribù che attraversa il deserto? – chiese il signor Falcone. –So che i bosiesmani talvolta intraprendono delle emigrazioni.– Vedremo dalla <strong>di</strong>rezione che prenderanno – risposi. – Sesi <strong>di</strong>rigono verso le vallette rocciose, non avremo più alcundubbio sullo scopo del loro viaggio.In quel momento u<strong>di</strong>mmo Good a mandare un grido, poirintronò un colpo <strong>di</strong> fucile.– Fulmini!... – gridai.Guardammo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi e vedemmo Good ai pie<strong>di</strong> dellacollinetta, mezzo sepolto fra la sabbia. Comprendemmo tostoche cosa era avvenuto. Il nostro compagno aveva perdutol'equilibrio ed era ruzzolato giù dal pendìo traendosi <strong>di</strong>etro unammasso <strong>di</strong> sabbie, e nel cadere, il suo fucile, battendo forsecontro qualche sasso si era scaricato.Ci precipitammo verso <strong>di</strong> lui temendo che la palla lo avessecolpito; fortunatamente constatammo che il colpo era andato avuoto.– Imprudente!... – esclamò il signor Falcone. – Potevateuccidervi!...– È stata la sabbia che è franata sotto i miei pie<strong>di</strong> – risposeGood.– Dovevate abbandonare subito il fucile.– È ciò che ho fatto, ma il colpo è partito egualmente.248


– Sono felice che siate sfuggito al pericolo, camerata –<strong>di</strong>ssi. – Ma con quello sparo ci mettete in pericolo.– Che i bosiesmani abbiano u<strong>di</strong>ta la detonazione?– Ne sono certo.– Maledetto fucile!...– Non male<strong>di</strong>te la vostra arma che a momenti ci sarà troppopreziosa.Il signor Falcone era intanto risalito sulla collinetta pervedere se quella banda <strong>di</strong> negri aveva cambiata <strong>di</strong>rezione.– Amici – <strong>di</strong>sse. – Essi hanno u<strong>di</strong>to lo sparo e si <strong>di</strong>rigonoda questa parte, correndo come antilopi ed agitando le lorozagaglie. Non u<strong>di</strong>te queste urla selvagge?...Tendemmo gli orecchi ascoltando con profonda attenzione;u<strong>di</strong>mmo delle urla lontane, che <strong>di</strong>ventavano però rapidamentepiù <strong>di</strong>stinte.– Sono i bosiesmani – <strong>di</strong>ssi.Risalii frettolosamente la collina e guardai nel deserto. Labanda <strong>di</strong> negri correva verso <strong>di</strong> noi, urlando a squarciagola etenendo alte le zagaglie dalla punta avvelenata e gli archi. Queinemici che si preparavano ad assalirci per ven<strong>di</strong>care il lorocompagno, erano almeno una sessantina, forza imponente per tresoli uomini, sia pure armati <strong>di</strong> fucili <strong>di</strong> lunga portata e benprovvisti <strong>di</strong> munizioni.– Signor Quatremain, che cosa facciamo? – mi chiese ilgenovese. – Mi sembra che quei negri l'abbiano proprio con noie che siano ben <strong>di</strong>sposti ad assalirci. Credete che sia possibile laritirata?– Sarebbe troppo tar<strong>di</strong> – risposi. – E poi le nostre gambenon potrebbero gareggiare con quelle <strong>di</strong> quei negri. Fermiamocifra queste colline che ci possono servire <strong>di</strong> barricate eprepariamoci a <strong>di</strong>fenderci estremamente.– Io credo che quando vedranno cadere parecchi <strong>di</strong> loro si249


decideranno a lasciarci tranquilli – <strong>di</strong>sse Good. – Dannato colpo<strong>di</strong> fucile!... Senza quello sparo non avremmo addosso quei rettilivelenosi.– I rimpianti sono affatto inutili – rispose il genovese. –Siamo tutti buoni bersaglieri, le munizioni non ci fanno <strong>di</strong>fetto enon siamo nuovi al fuoco. Voi Good <strong>di</strong>fendeteci le spalle e noidue sosterremo l'attacco.– Vado ad occupare la collina che sta <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi – <strong>di</strong>sse iltenente.Il luogo dove ci trovavamo si prestava a meraviglia per unabuona <strong>di</strong>fesa. Era una specie <strong>di</strong> buca larga una trentina <strong>di</strong> metri elunga il doppio, riparata da una collinetta <strong>di</strong> forma quasicircolare alta una ventina <strong>di</strong> metri, quin<strong>di</strong> con Good alle spallenoi potevamo essere certi <strong>di</strong> non venire colti <strong>di</strong> sorpresa.I negri intanto si avvicinavano sempre, raddoppiando leurla. Ci avevano ormai scorti e si affrettavano, impazienti <strong>di</strong>darci battaglia.Giunti a trecento metri da noi, s'arrestarono <strong>di</strong>etro unavvallamento del suolo, poi uno <strong>di</strong> loro, un capo certamente,avendo delle penne <strong>di</strong> avvoltoio infisse nei capelli, s'avanzòverso <strong>di</strong> noi tenendo in pugno uno scudo <strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> elefante eduna lunga zagaglia colla punta <strong>di</strong> ferro.Vedendolo accostarsi io balzai sulla cima della collina e lopresi <strong>di</strong> mira, gridando:– Se tu ti avanzi, io ti uccido.Il negro si arrestò, depose lo scudo e la zagaglia ed alzandole braccia <strong>di</strong>sse:– Che gli uomini bianchi odano le mie parole.– Parla – risposi. – Noi ti ascoltiamo, ma poi uccideremo teed i tuoi guerrieri, se sei qui venuto per intimarci la guerra.– Voi avete ucciso un capo appartenente alla nostra tribù, ilvaloroso Pikakou.250


– È vero – <strong>di</strong>ss'io.– La tribù chiede vendetta: voi consegnerete a noil'uccisore o noi vi stermineremo tutti colle frecce avvelenate.– E che cosa ne farete dell'uomo che ha ucciso Pikakou?– Lo seppelliremo vivo nelle sabbie del deserto per placarelo spirito del morto.– Grazie delle vostre buone intenzioni, ma nessuno <strong>di</strong> noiha il menomo desiderio <strong>di</strong> andare a tener compagnia al vostrocapo.– Rifiutate?...– Certamente – risposi. – Pikakou era un prepotente chetentava <strong>di</strong> uccidere a tra<strong>di</strong>mento, mentre noi nulla avevamo fatto<strong>di</strong> male a lui, essendo noi amici <strong>dei</strong> negri e lo abbiamoammazzato per legittima <strong>di</strong>fesa.– Pikakou era un prode.– Era un furfante.– Consegnateci l'uomo bianco che lo ha ucciso.– Vieni a prendertelo, se l'osi.– Allora noi vi uccideremo.Il capo raccolse il suo scudo, poi impugnò la sua zagagliaed in atto <strong>di</strong> sfida la scagliò, con un vigore ed una abilitàstraor<strong>di</strong>naria, fino alla base della collinetta, piantandolaprofondamente nella sabbia.Io avevo alzato il fucile per abbatterlo con una palla nelpetto, ma non volendo essere noi i primi a versare sangueumano, mi trattenni ed aspettai che i nemici cominciasserol'attacco.Con mia grande sorpresa, vi<strong>di</strong> invece i bosiesmaniaccamparsi <strong>di</strong>etro alla collina, al riparo <strong>dei</strong> nostri colpi eraccogliere degli sterpi come si preparassero a costruirsi <strong>dei</strong>ripari contro i raggi infuocati del sole.– Che abbiano voluto fare solamente gli spacconi? – <strong>di</strong>sse251


Good. – Io credo che abbiano ben più paura delle nostre palle,che noi delle loro frecce avvelenate.– Io penso invece che siano più furbi <strong>di</strong> quello checre<strong>di</strong>amo.– E perché? – chiese il genovese.– Quegli uomini, signor Falcone, si preparano a bloccarcinelle nostre trincee.– Lo credete?– Non vedete che stanno costruendo delle capanne?– È vero, – <strong>di</strong>sse Good, – ma noi non ci lasceremo <strong>di</strong> certoasse<strong>di</strong>are.– Allora bisognerà sloggiarli.– E noi lo faremo.– Saremo costretti ad abbandonare questi ripari naturali, edesporci alle loro frecce avvelenate.– Mi viene un'idea – <strong>di</strong>sse il genovese.– Gettatela fuori – <strong>di</strong>ss'io.– Aspettiamo la sera, poi tentiamo una vigorosa sortitanotturna. Udendo gli spari delle nostre armi, e vedendo cadereparecchi <strong>di</strong> loro, forse non resisteranno all'attacco.– Credo che la vostra idea sia la migliore – risposi io. – Amezzanotte noi tenteremo il colpo.Vedendo che i negri non si occupavano <strong>di</strong> noi,approfittammo per fare colazione, poi ci accomodammo fra lesabbie, mettendoci in sentinella.Essendo già spuntata l'alba, ed essendo noi sulla cima dellecollinette, potevamo <strong>di</strong>stinguere nettamente tutte le mosse <strong>dei</strong>negri. Essi avevano impiegato il resto della notte, a costruirenumerosi ripari e ad aprire fra il bastione <strong>di</strong> sabbia che li<strong>di</strong>fendeva, numerose brecce per poter più comodamentesorvegliarci.Infatti, <strong>di</strong> quando in quando, delle teste si mostravano fra252


quegli squarci. Avremmo potuto facilmente colpirle, ma cieravamo proposti <strong>di</strong> non aprire le ostilità prima che fosse giuntal'ora propizia. Il progetto <strong>di</strong> quei selvaggi era ormai chiarissimo.Essi contavano <strong>di</strong> costringerci alla resa, senza esporsi ai pericolid'una battaglia. Ed infatti che cosa sarebbe accaduto <strong>di</strong> noi, sequel blocco fosse durato parecchi giorni. La fame, e soprattuttola sete, non avendo potuto portare con noi che l'acqua sufficienteper tre giorni, ci avrebbero obbligati a capitolare.Come vedete la situazione era tutt'altro che allegra, nonpotendo noi recarci nella valletta dove avevamo ucciso il capobosiesmano, senza esporci al pericolo <strong>di</strong> ricevere qualcuna <strong>di</strong>quelle terribili frecce avvelenate. La giornata, come avevamoprevisto, passò tranquilla. I nemici non si mossero dalle loroposizioni; non ci perdettero <strong>di</strong> vista però un solo istante. Anziogni volta che qualcuno <strong>di</strong> noi si muoveva, trenta o quarantateste apparivano improvvisamente <strong>di</strong>etro al bastione <strong>di</strong> sabbia edaltrettanti archi si tendevano, pronti a far piovere su <strong>di</strong> noi unnembo <strong>di</strong> dar<strong>di</strong>.Giunta la sera, noi raddoppiammo la vigilanza, temendoqualche sorpresa; quelle precauzioni furono vane, poiché inemici non <strong>di</strong>edero segno <strong>di</strong> vita.Verso la mezzanotte, non udendo alcun rumore nel campobosiesmano, ci alzammo tutti e tre risoluti a tentare un attacco<strong>di</strong>sperato.– Amici – <strong>di</strong>sse il signor Falcone – combattiamo da forti onoi lasceremo qui la nostra pelle.– Prima abbatteremo quel negro che veglia sul bastione –<strong>di</strong>ss'io in<strong>di</strong>cando un'ombra che si <strong>di</strong>segnava sulla cima dellacollinetta sabbiosa.– M'incarico io <strong>di</strong> quell'uomo – <strong>di</strong>sse Good. – Unadomanda però: se i negri resistessero al nostro assalto,torneremo qui ad aspettare una morte angosciosa?253


– No – rispose il signor Falcone risolutamente. – Noifuggiremo attraverso il deserto <strong>di</strong>fendendoci come megliopotremo. Chissà! Forse l'oasi non è molto lontana.– An<strong>di</strong>amo – <strong>di</strong>ss'io. – Io ed il signor Falcone irromperemonel campo girando il bastione a destra, mentre voi Good logirerete a sinistra, così prenderemo i nemici fra due fuochi.Ci stringemmo la mano, poi scendemmo risolutamente lacollinetta, avanzandoci in silenzio verso il campo nemico.Non essendo ancora sorta la luna, l'oscurità era cosìprofonda da permetterci <strong>di</strong> avvicinarci al bastione, senza ilpericolo <strong>di</strong> venire scorti dalla sentinella che vegliava sulla cima.Giunti a venti passi, senza che l'allarme fosse stato dato, <strong>di</strong>ssi aGood, sottovoce:– Incaricatevi <strong>di</strong> quell'uomo, ma aspettate che noi abbiamogirato il bastione.– Avrò il tempo <strong>di</strong> mirarlo a mio comodo. Andate ed almomento opportuno prenderò i bosiesmani alle spalle.– Siate prudente e non esponetevi troppo alle frecce <strong>di</strong> queinegri. Badate che le ferite che producono sono mortali.– Mi nasconderò <strong>di</strong>etro qualche altura e farò fuoco al riparodai loro dar<strong>di</strong>.Egli si sdraiò sulla sabbia mirando la sentinella che se nestava immobile sul bastione, appoggiata alla sua zagaglia, e noici mettemmo a strisciare per giungere al nostro posto.Procedendo cautamente e nel più profondo silenzio, inpochi minuti riuscimmo a girare la collina senza essere statiscorti e ci trovammo a sessanta passi dalle capannucce <strong>dei</strong>bosiesmani.– Mi pare che dormano tutti – mi <strong>di</strong>sse il genovese.– Infatti non odo alcun rumore – risposi.– Quando Good farà fuoco, noi approfitteremo della lorosorpresa per attaccarli vigorosamente.254


– Silenzio: guardate.Alcune ombre erano in quel momento apparse <strong>di</strong>nanzi aduna capannuccia. Si erano accorte del nostro avanzarsi? Noi nonlo potemmo sapere, poiché d'improvviso u<strong>di</strong>mmo rimbombarela carabina <strong>di</strong> Good.La detonazione fu seguìta da un urlo terribile, e vedemmola sentinella cadere a capofitto giù dal bastione.A quello sparo, che si ripercosse lungamente fra le colline<strong>di</strong> sabbia, tenne <strong>di</strong>etro un breve silenzio, poi delle vociferazionispaventevoli echeggiarono nel campo nemico.I bosiesmani, destati <strong>di</strong> soprassalto, si erano precipitaticonfusamente all'aperto, urlando ed agitando le armi. Dellefrecce fischiavano in aria, ma lanciate a caso, essendoci noitenuti bene nascosti.– Siete pronto, Quatremain? – mi chiese il genovese.– Sto già mirando il mio uomo – risposi.Due spari rimbombarono e due negri, i più vicini, cadderol'uno sull'altro. I loro compagni invece <strong>di</strong> fuggire siprecipitarono dalla nostra parte risoluti ad attaccarci, ma primache fossero giunti a metà via altri due uomini stramazzaronosotto i nostri colpi.Vedendo quel doppio colpo, s'arrestarono indecisi sul dafarsi, scagliando un nuvolo <strong>di</strong> frecce, assolutamente inoffensiveper noi, non avendo abbandonato il nostro riparo.In quel momento u<strong>di</strong>mmo Good a urlare:– Avanti, compagni!... Spazziamo via queste canaglie!...Poi seguì uno sparo.I negri, accorgendosi d'essere presi anche alle spalle ecredendo forse che ci fossero giunti degli altri rinforzi,abbandonarono precipitosamente il campo, <strong>di</strong>sperdendosi peldeserto. Ne avevano avute abbastanza delle nostre palle e dellaper<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sei uomini; per continuare la lotta.255


– Evviva!... Urrah!... – gridò Good, correndoci incontro. –Speriamo che si siano convinti che le nostre armi sono ben piùterribili delle loro frecce avvelenate. Credete che ritornino,Quatremain?...– Lo dubito, – risposi, – però non fermiamoci qui a lungo.La loro tribù può essere numerosa e venire qui tutta. Vi ho giàdetto che questi negri sono assai ven<strong>di</strong>cativi.– Sì, partiamo – <strong>di</strong>sse il signor Falcone. – Forse l'oasi non èlontana e giunti colà noi potremo riposare a nostro agio.Approfittiamo della insperata vittoria per prendere il largo.Era forse il piano migliore e lo mettemmo in esecuzionesenza altri ritar<strong>di</strong>, per impe<strong>di</strong>re un nuovo assalto.Orizzontatici colla Croce del Sud, abbandonammo ilcampo nemico, spingendoci rapidamente attraverso alle sabbiedel deserto.Marciavamo con grande lena per frapporre fra noi ed inemici il maggior spazio possibile, non trascurando <strong>di</strong> guardarciattentamente attorno, per tema <strong>di</strong> un improvviso attacco.I negri non si erano più fatti vedere; dubitavamo però che sifossero definitivamente allontanati. Essendo quella parte deldeserto interrotta da un gran numero <strong>di</strong> colline sabbiose, potevadarsi che si fossero celati <strong>di</strong>etro a qualcuna per tenderci unagguato.I nostri timori pur troppo non erano ingiustificati. Infattiavevamo percorso appena un miglio, quando passando accantoad una collinetta fummo salutati da una volata <strong>di</strong> frecce.Ci arrestammo subito <strong>di</strong>etro ad una roccia ed attendemmoche i nemici comparissero, per rispondere a quel brutale saluto.Alcuni uomini non tardarono a farsi vedere, ma due colpi<strong>di</strong> fucile che gettarono a terra due <strong>di</strong> loro, bastarono per metterein fuga gli altri.Riprendemmo la ritirata, affrettando sempre il passo;256


fummo però costretti a sostare parecchie volte ancora perrespingere nuovi attacchi. I bosiesmani, nascostisi fra le colline<strong>di</strong> sabbia, aspettavano che noi passassimo presso <strong>di</strong> loro perscagliarci <strong>di</strong>etro le loro frecce mortali. Combattemmo così tuttala notte sparando un gran numero <strong>di</strong> fucilate ed uccidendoparecchi nemici e fu solamente verso il mattino che riuscimmo asbarazzarci completamente <strong>di</strong> quei negri ven<strong>di</strong>cativi.– Che testar<strong>di</strong>! – esclamò Good. – Dovevano ormai averlocapito che le loro frecce non valevano le nostre palle. Speriamo<strong>di</strong> giungere all'oasi senza venire altro <strong>di</strong>sturbati.– Chissà che a forza <strong>di</strong> marciare, un giorno o l'altro non sipossa vederla – <strong>di</strong>sse il genovese. – Se devo <strong>di</strong>re il vero,comincio a dubitare anche della sua esistenza.– Sarebbe un colpo tenibile, se noi non la trovassimo –<strong>di</strong>ss'io. – Pensate che abbiamo una provvista d'acqua appenasufficiente per un giorno ancora: questo calore spaventevole neconsuma più <strong>di</strong> noi.– Credete che ci manchi molto ad attraversare il deserto eda giungere al kraal <strong>di</strong> Sitanda? – mi chiese il genovese.– Almeno sei giorni – risposi.– Allora senza trovar l'oasi o una nuova fonte, non sipotrebbe giungere <strong>di</strong> certo in quel villaggio.– È vero, signor Falcone. Senza l'incontro dell'oasi noicorreremo nuovamente il pericolo <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> sete fra questesabbie.– Ebbene, amici miei, allora vi dò la lieta novella che ilpericolo è passato! – gridò Good che era <strong>di</strong>nanzi a noi.– Perché? – chiedemmo noi ansiosamente.– Perché scorgo laggiù delle piante.– L'oasi forse?– Lo credo.– Allora siamo salvi!257


Trovandosi sulla nostra destra una collinetta la salimmorapidamente e <strong>di</strong> lassù potemmo <strong>di</strong>stinguere una lineaverdeggiante, la quale spiccava vivamente sulla sabbia quasibiancheggiante del deserto.Un grido sfuggì dai nostri petti.– L'oasi! L'oasi!...258


I ROBINSON DEL DESERTOUn'ora dopo noi ci riposavamo sotto la fresca ombra dellemimose e delle acacie.L'oasi era stata finalmente trovata. Quantunque nonl'avessimo ancora esplorata, ci parve vastissima. Vi eranoboschetti in gran numero, con piante frondose popolate damiria<strong>di</strong> <strong>di</strong> uccelli; delle splen<strong>di</strong>de praterie in mezzo alle qualisaltellavano non poche antilopi e parecchi torrentelli i qualiscorrevano gorgogliando in mezzo a quel piccolo para<strong>di</strong>soperduto nell'immenso deserto.Dopo esserci abbondantemente <strong>di</strong>ssetati e <strong>di</strong> esserciriposati una buona mezz'ora, c'internammo nell'oasi, sperando <strong>di</strong>trovare della frutta e <strong>di</strong> abbattere qualche capo <strong>di</strong> selvaggina perla colazione. Avevamo già percorso cinquanta passi, quando connostra grande sorpresa, trovammo delle orme umane impressesu un tratto <strong>di</strong> terreno umido ed alcune cartucce già sparate.– Che quest'oasi sia abitata? – chiese il signor Falcone.– È impossibile! – esclamai. – Come si può supporre cheun uomo bianco si sia spinto fin qui per cacciare?– Ma chi vi <strong>di</strong>ce che sia un uomo bianco? – chiese Good.– Quelle orme – risposi. – Non avete osservato che sivedono le tracce <strong>di</strong> alcuni chio<strong>di</strong>? I negri <strong>di</strong> queste regioni nonhanno mai portate le scarpe.– Bisogna visitare quest'oasi – <strong>di</strong>sse il genovese.– È ciò che faremo subito – risposi. – Sono curioso <strong>di</strong>sapere chi può essersi spinto fino qui.Ci eravamo appena rimessi in cammino quando, dopo <strong>di</strong>aver attraversato un macchione <strong>di</strong> niawna, vedemmo Good259


tornare frettolosamente verso <strong>di</strong> noi.– Che cosa avete? – gli chiedemmo, afferrandoprontamente i fucili.– Ho scorta una capanna.– Dove?– A venti passi da qui.– Disabitata forse? – chiesi io.– No, poiché ho veduto del fumo.– Allora sapremo chi è l'uomo bianco che abita quest'oasi.Ci inoltrammo con precauzione sotto gli alberi, ed in brevescorgemmo, <strong>di</strong>nanzi ad un gigantesco baobab, una graziosacapannuccia rassomigliante a quelle che sogliono costruire icafri, colle pareti composte <strong>di</strong> tronchi e <strong>di</strong> rami d'albero, ed iltetto <strong>di</strong> foglie secche; solamente in luogo del buco rotondoabituale, una bella porta dava accesso all'abitazione rustica.Io mi ero arrestato guardandola col più vivo stupore. Nonera un'allucinazione del nostro cervello esaltato dall'ardentecalore del deserto: si trattava veramente <strong>di</strong> un'abitazione, equello che era più, d'una capanna nella cui costruziones'indovinava l'opera dell'uomo bianco.– Chi può essere l'uomo che è venuto ad abitare quest'oasi?– mi chiesi.Non avevo ancora terminato <strong>di</strong> farmi quella domanda,quando un uomo coperto <strong>di</strong> pelli d'animali selvaggi, comparvesulla soglia.Egli era <strong>di</strong> taglia me<strong>di</strong>a, col viso assai abbronzato, conocchi nerissimi, con una barba e capelli lunghi ed incolti: vi<strong>di</strong>subito che era un uomo bianco. Egli fece alcuni passi verso <strong>di</strong>noi, barcollando su <strong>di</strong> una gamba, come fosse ferito o storpio.Il signor Falcone si era precipitato innanzi e dopo d'averloguardato alcuni istanti in viso, aveva aperto le braccia, gridandocon voce soffocata per la grande emozione:260


– Cielo! Mio fratello!L'uomo bianco non aveva risposto una sola parola; eracaduto fra le braccia del fratello, come svenuto.In quel momento un altro in<strong>di</strong>viduo pure coperto <strong>di</strong> pelliselvagge, uscì dalla capanna e si slanciò verso <strong>di</strong> noi col fucilein mano, come se avesse voluto <strong>di</strong>fendere il suo compagno.Vedendomi lasciò cader l'arma, gridando:– Macoumazahne, non mi conosci dunque più? Io sono Jimil cacciatore.Così <strong>di</strong>cendo il cafro era caduto in ginocchio <strong>di</strong>nanzi a me,piangendo <strong>di</strong> gioia e strappandosi contemporaneamente i capelli.– Io ho perduto il biglietto che tu mi avevi dato – ripreseegli. – Invece <strong>di</strong> prendere la buona via che ci avrebbe condottialle montagne <strong>di</strong> Suliman, noi ci siamo trovati in quest'oasi, esono due lunghi anni che qui <strong>di</strong>moriamo, senza avere lapossibilità <strong>di</strong> lasciarla.– Miserabile! – esclamai. – Tu meriteresti <strong>di</strong> venireappiccato, ma se ti trovi confinato qui da due anni, il tuo fallol'hai duramente espiato.Mentre Jim mi parlava, il fratello del signor Falcone eratornato in sé. I due uomini, che da tanti anni non si vedevano,stettero lungamente abbracciati senza pronunciare una solaparola, come se l'emozione avesse spenta la loro voce.Io e Good ci eravamo avvicinati. Il signor Falcone,scorgendoci, ci tese la destra stringendo vigorosamente le nostremani e balbettando a più rispose:– Grazie! Amici!...Poi volgendosi verso suo fratello, gli <strong>di</strong>sse:– Povero Giorgio, io ti credevo ormai morto. Non avendotrovato le tue tracce sulle montagne <strong>di</strong> Suliman, che io ed i mieidue amici abbiamo lungamente esplorate, ritenevo che tu fossiperito nel deserto. Io avevo abbandonato ogni speranza e se ti ho261


trovato lo devo ad un caso miracoloso.– Sono circa due anni che io mi trovo perduto in quest'oasi– rispose Giorgio parlando con molta <strong>di</strong>fficoltà.– Quanto devi aver sofferto in questa solitu<strong>di</strong>ne.– Oh! Immensamente, fratello! Tanto che mi auguravo <strong>di</strong>morire presto, per porre un termine alle mie pene.– Ma perché non hai fatto ritorno a Sitanda? La <strong>di</strong>stanzache corre fra quest'oasi e il kraal non è poi tale da spaventare unuomo che ha già traversato il deserto.– Ma cre<strong>di</strong> tu, fratello, che non l'avrei tentato se l'avessipotuto?– E chi te lo impe<strong>di</strong>va, Giorgio?– La mia gamba. Non ti sei adunque accorto che io nonposso camminare che con grande fatica? Una pietra staccatasidall'alto d'una rupe, il giorno istesso in cui giungevamo inquest'oasi, mi ha storpiata la destra in modo da non poterintraprendere un viaggio <strong>di</strong> sole poche miglia. Ma basta: voidovete essere stanchi ed affamati: entrate adunque nella miacapanna e vi offrirò tutto quello che possiedo.Prima ch'egli si muovesse, io mi feci innanzi e porgendoglila mano, gli <strong>di</strong>ssi:– Signor Giorgio, non mi conoscete più?Il fratello del signor Falcone mi guardò fisso per alcuniistanti, poi esclamò:– Ma sì! Certamente che vi conosco, voi siete il signorQuatremain! Toh! E questo è Good! Non mi sarei mai aspettato<strong>di</strong> fare un simile incontro in quest'oasi. Ormai avevo perdutoogni speranza <strong>di</strong> poter rivedere una faccia amica! Tutte lefelicità vengono in un colpo solo.Egli strinse con grande effusione le nostre mani, poic'introdusse nella sua capanna.L'interno era <strong>di</strong>viso in due stanze, una riservata al padrone262


e l'altra al cafro.Tutti i mobili consistevano in due rozze scranne fabbricatecon rami d'albero ed in due ammassi <strong>di</strong> foglie che servivano daletto; gli utensili poi erano rappresentati da un tegame <strong>di</strong> ferro eda alcuni gusci d'uova <strong>di</strong> struzzo che servivano <strong>di</strong> recipienti.Ad un or<strong>di</strong>ne del padrone, il cafro ci servì un bel pezzo <strong>di</strong>antilope arrostita <strong>di</strong> recente, <strong>dei</strong> navoni selvatici e delle ra<strong>di</strong>cimangerecce che fino ad un certo punto potevano supplire ilpane.Calmata la fame e la sete, pregammo il povero Robinson <strong>di</strong>raccontarci le sue straor<strong>di</strong>narie avventure.– La mia istoria è breve e niente attraente – ci <strong>di</strong>ss'egli,sorridendo amaramente. – Come voi sapete, signor Quatremain,io avevo lasciato il kraal <strong>di</strong> Sitanda, per andare a cercare fortunasulle montagne <strong>di</strong> Suliman.«Una negra che avevo conosciuta nel paese degli zulù, miaveva confidato che sui fianchi <strong>di</strong> quelle lontane montagne sitrovavano delle <strong>caverne</strong> ripiene <strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti. Già altre volteavevo u<strong>di</strong>to a parlare vagamente <strong>di</strong> quei tesori, ma non vi avevoprestato molta fede, credendo che si trattasse <strong>di</strong> una sempliceleggenda. Mi avevano anzi parlato d'un portoghese che si erainoltrato nel deserto colla speranza <strong>di</strong> mettere le mani su queitesori, che poi era morto, non so se <strong>di</strong> fame o <strong>di</strong> sete.»– Non si trattava <strong>di</strong> una leggenda, è vero Good? – <strong>di</strong>ssi io.– No, poiché noi siamo penetrati nelle <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti– rispose il tenente <strong>di</strong> marina.– Voi! – esclamò Giorgio, con tono incredulo.– Continuate per ora il vostro racconto, – <strong>di</strong>ss'io, – poi vi<strong>di</strong>remo quanto è toccato a noi.– Avendo Jim perduto il vostro biglietto che conteneva lein<strong>di</strong>cazioni necessarie per giungere alle montagne <strong>di</strong> Suliman, iodovetti affidarmi alle vaghe in<strong>di</strong>cazioni degli in<strong>di</strong>geni <strong>di</strong> Sitanda263


o meglio all'istinto del mio cafro. Ci inoltrammo animosamentenel deserto, sperando <strong>di</strong> poterlo attraversare, ma ben presto citrovammo come smarriti su quest'oceano <strong>di</strong> sabbie e privid'acqua. La fortuna però ci fu benigna e potemmo finalmentegiungere in quest'oasi.«Avevamo deciso <strong>di</strong> riposarci alcuni giorni prima <strong>di</strong>rimetterci in via onde giungere alle montagne <strong>dei</strong> koukouana;una <strong>di</strong>sgrazia doveva immobilizzarmi e condannarmi per duelunghi anni alla poca invi<strong>di</strong>abile vita <strong>dei</strong> Robinson.«Una pietra, come già vi <strong>di</strong>ssi, mossa dal mio cafro mentrecercava, sulla cima d'una rupe, <strong>dei</strong> ni<strong>di</strong> d'uccelli, mi caddeaddosso colpendomi ad una gamba in così malo modo darimanere storpio.«Dopo quel <strong>di</strong>sgraziato accidente, la via del ritorno e la viadella fortuna per me erano chiuse, non potendo quasi piùcamminare. Fortunatamente le munizioni abbondavano epotevamo essere certi <strong>di</strong> non morire <strong>di</strong> fame.«Ci costruimmo questa capanna, <strong>di</strong>ssodammo un pezzo <strong>di</strong>terra piantando ra<strong>di</strong>ci mangerecce, <strong>dei</strong> navoni selvatici e <strong>dei</strong>poponi e vivemmo alla meglio. La selvaggina accorrevanumerosa da tutte le parti del deserto, per <strong>di</strong>ssetarsi a questesorgenti e la carne non ci faceva <strong>di</strong>fetto.«Quanta tristezza però, amici miei!... Quest'isolamentocontinuo era <strong>di</strong>ventato a poco a poco un vero tormentoassolutamente insopportabile, tanto più che non avevo speranzaalcuna <strong>di</strong> poterlo sfuggire.«Così trascorsero i due lunghi anni. <strong>Le</strong> nostre vesti, ridottetutto uno strappo, ci erano cadute <strong>di</strong> dosso pezzo a pezzo, ederavamo stati costretti a farcene delle altre colle pelli deglianimali che uccidevamo. Eravamo <strong>di</strong>ventati due veri selvaggi.«Avendo ormai perduto ogni speranza <strong>di</strong> venire salvato daqualche cacciatore <strong>di</strong> struzzi, rivolsi finalmente <strong>di</strong> mandare Jim264


al kraal <strong>di</strong> Sitanda a cercare soccorsi. Io ero convinto <strong>di</strong> nonrivederlo più, non perché <strong>di</strong>ffidassi <strong>di</strong> lui, ma perché temevo chedovesse soccombere durante la traversata del deserto, pure eradeciso <strong>di</strong> rimanermene qui da solo, <strong>di</strong>menticato da tutti e <strong>di</strong>finire miseramente i miei ultimi giorni per quell'estremotentativo.«Se voi aveste ritardato <strong>di</strong> alcuni giorni, Jim non l'avreste<strong>di</strong> certo più trovato qui.»– Mio povero fratello – <strong>di</strong>sse il signor Falcone, con vocecommossa. – Tu hai terminate le tue pene e noi ti condurremo inquei paesi civili che tu credevi ormai <strong>di</strong> non più rivedere e dovepotrai vivere lungamente fra gli agi, poiché tu lo sai bene che iosono ricco assai e che anche tu hai lasciato in patria alcuneproprietà.– Grazie, fratello – rispose Giorgio. – Ma hai pensato cheio non posso camminare?– Costruiremo una barella e ti porteremo a Sitanda.– La via è lunga assai.– Che importa? Noi non abbiamo nessuna fretta, è verosignor Quatremain?– No, signor Falcone. Prenderemo con noi una buonaprovvista d'acqua, che ci possa durare per molti giorni emarceremo con gran lena dal tramonto all'alba.– Io m'incarico <strong>di</strong> portare la barella assieme a Jim – <strong>di</strong>sseGood.– Grazie, amici! A voi dovrò la mia vita – <strong>di</strong>sse Giorgio.Poi, dopo alcuni istanti <strong>di</strong> silenzio, riprese:– Ma è dunque vero che voi siete giunti ai monti Suliman?– Sì, fratello – rispose il signor Falcone. – Noi siamo giuntilassù non solo, ma abbiamo potuto entrare anche nelle famose<strong>caverne</strong>.– È vero che vi sono <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amanti colà?265


– Verissimo, anzi il signor Quatremain e Good ne hanno ungrosso gruzzolo.– Veri <strong>di</strong>amanti?– Della più bell'acqua – <strong>di</strong>ss'io. – Contiamo <strong>di</strong> realizzare<strong>dei</strong> milioni.– Uomini fortunati.– Bah! Per mio conto ho rinunciato alla mia parte – <strong>di</strong>sse ilsignor Falcone.– No signore – <strong>di</strong>ss'io. – Abbiamo <strong>di</strong>vise le fatiche, leprivazioni, ed i pericoli, <strong>di</strong>videremo quin<strong>di</strong> anche gli utili.– Vi ho già detto che io rinunciavo.– Voi, ma noi daremo la parte che vi spetta a vostro fratello,è vero Good?– Certamente – rispose il tenente. – Giorgio ha sofferto più<strong>di</strong> noi ed è stato il meno fortunato.– Oltre la vita dovrò a voi anche la fortuna? – <strong>di</strong>sse ilRobinson del deserto. – Questo è troppo.– Silenzio – <strong>di</strong>ss'io. – Non parliamo più <strong>di</strong> ciò e pensiamo afare i preparativi per il ritorno.***Due giorni dopo noi lasciavamo l'oasi, per far ritorno aSitanda.Essendo la via da percorrere ancora assai lunga, colla pelledegli animali selvaggi ci facemmo numerosi otri per mettervil'acqua, poi fabbricammo una portantina che doveva servire pelnostro <strong>di</strong>sgraziato amico.La traversata <strong>di</strong> quell'ultima parte del deserto fu lunga efaticosissima, dovendo riposarci <strong>di</strong> frequente a causa <strong>di</strong> Giorgio,ma finalmente, il settimo giorno, noi giungevamo al kraal congrande sorpresa <strong>di</strong> tutti, avendoci ormai creduti morti fra le266


sabbie.Il vecchio portoghese a cui noi avevamo affidato i nostribagagli fu il più sorpreso <strong>di</strong> tutti, ed anche, devo <strong>di</strong>rlo, il più<strong>di</strong>spiacente <strong>di</strong> tutti avendo sperato <strong>di</strong> tenerseli per sempre.Avendo io fretta <strong>di</strong> tornarmene nella colonia <strong>di</strong> Natal perrivedere la mia casetta, lasciai i due fratelli Falcone a Sitanda,avendo essi deciso <strong>di</strong> fermarsi qualche tempo per riposarsi e perorganizzare poi una carovana onde viaggiare più comodamente,e con Good presi la via della costa.Tre mesi dopo io potevo finalmente riposare nella miacomoda casetta <strong>di</strong> Durban, in quella casetta che io ormai tantevolte avevo <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> rivedere.Due mesi più tar<strong>di</strong> giungevano anche i fratelli Falcone,scortati da una numerosa carovana. Con mia grande sorpresaessi portavano anche i denti <strong>dei</strong> nove elefanti che noi avevamouccisi durante il viaggio e che, come i lettori ricorderanno,avevamo sepolti alla base <strong>di</strong> una collina.I due fratelli rimasero presso <strong>di</strong> me qualche settimana, pois'imbarcarono per l'Europa, portando con loro i <strong>di</strong>amanti che noiavevamo raccolti nella famosa caverna <strong>dei</strong> monti Suliman e chesi erano incaricati <strong>di</strong> vendere a Londra, onde ricavare maggiorprofitto che alla città del capo.Erano già trascorsi tre mesi dalla loro partenza, quando unmattino vi<strong>di</strong> giungere alla mia abitazione un cafro, il qualeportava una lettera messa in cima ad un bastone leggermentespaccato.Quella lettera era del signor Falcone e la riproduco suqueste pagine, senza levarci una parola.«Caro amico,«Voi avrete già ricevuto, coll'ultimo battello a vapore,notizie del nostro felice sbarco in Inghilterra. Oggi voglio darvi267


maggior particolari.«La nostra traversata fu felicissima, senza burrasche esenza cattivi incidenti; mio fratello si trovò benissimo, anzi vi<strong>di</strong>rò che i me<strong>di</strong>ci sperano <strong>di</strong> guarirlo perfettamente.«Al nostro arrivo a Southampton abbiano trovato Good,che come sapete, era partito col precedente battello a vapore;l'amico era vestito colla sua solita eleganza, raffinato, sbarbato,profumato come un damerino e con un nuovo monocolocacciato, più profondo che mai, nell'orbita.«Ed ora eccoci ai nostri, o meglio ai vostri affari. Io hoportato i <strong>di</strong>amanti da uno <strong>dei</strong> più noti gioiellieri <strong>di</strong> Londra perfarli stimare, come eravamo d'accordo e sono felicissimo <strong>di</strong>potervi <strong>di</strong>re che anche <strong>di</strong>videndoli con mio fratello e con Good,voi sarete presto ricchissimo.«Io non potrei ancora <strong>di</strong>rvi esattamente quanto si potràricavare dalla ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quei <strong>di</strong>amanti; vi basti sapere che quellepietre sono state trovate d'una purezza incomparabile, <strong>di</strong> granlunga superiore alle più stimate pietre del Brasile.«Il gioielliere, sebbene uno <strong>dei</strong> più ricchi, non potràacquistarle tutte in una sola volta; le sue finanze sarebberoinsufficienti. Una parte però è stata già venduta pel prezzo <strong>di</strong><strong>di</strong>eci milioni e altrettanti <strong>di</strong> certo e forse <strong>di</strong> più, riceveremodall'altra.«Io credo quin<strong>di</strong> che la vostra presenza sia ora piùnecessaria qui che a Durban, mio caro Quatremain.«Voi sapete che Good non è una persona adatta per trattareaffari <strong>di</strong> tale serietà; curare la sua persona è una occupazionesufficiente per assorbirlo completamente. An<strong>di</strong>amo, decideteviuna buona volta e venite a raggiungerci, tanto più che io e miofratello Giorgio ci siamo accasati definitivamente in questa città.Vicino a noi vi è una piccola ma graziosa proprietà da vendere evoi siete ormai tanto ricco da poterla acquistare.268


«Se non avete terminata la narrazione delle nostreavventure, darete gli ultimi tocchi sul battello a vapore che vitrasporterà in Europa. Già la istoria del nostro viaggiostraor<strong>di</strong>nario nei paesi <strong>dei</strong> koukouana è conosciuta da parecchiepersone, e qui si attende con grande curiosità la vostrapubblicazione.«Vi aspettiamo quin<strong>di</strong> per le feste <strong>di</strong> Natale che passeremoassieme a mio fratello, a Good ed a vostro figlio Harry, che hoavuto già il piacere <strong>di</strong> conoscere.«È un gagliardo garzone che farà molta strada, ve lo <strong>di</strong>coio.«Egli è già venuto a caccia con me, ma in questo esercizionon somiglia certo a voi, poiché ha cominciato collo scaricarmiil suo fucile nelle gambe; mi affretto però a <strong>di</strong>rvi che egli mi haestratto abilmente il piombo ed ho rimarcato che uno studente inme<strong>di</strong>cina non è mai <strong>di</strong> troppo in una partita <strong>di</strong> piacere.«Mio caro camerata, siamo adunque d'accordo; senza chevi scriva altro, vi aspetto qui col primo piroscafo in partenza perl'Inghilterra. Credetemi vostro.L. FALCONE».Tre giorni dopo io lasciavo Durban, sul pacchebotto chesalpava per l'Europa, e quarantasei giorni più tar<strong>di</strong> abbracciavosul molo <strong>di</strong> Southampton mio figlio Harry, i due fratelli Falcone,e l'amico Good più azzimato e profumato che mai, ed intascavosette milioni <strong>di</strong> lire, parte spettantemi dalla ven<strong>di</strong>ta <strong>dei</strong> <strong>di</strong>amantipresi nelle famose <strong>caverne</strong> <strong>dei</strong> monti Suliman. Non occorre chevi <strong>di</strong>ca che il fratello del signor Falcone e l'amico Good neavevano intascati altrettanti.269

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