25.Ho impiegato gran parte della mia vita per liberarmi del veleno che mi era statoinoculato. Ancora adesso, di tanto in tanto, sogno l’icneumonide che mi par<strong>ali</strong>zza con il suodardo.Il veleno, però, omeopaticamente mi è servito anche da antidoto: nella mia vita, infatti,non ho mai accettato, né permesso che durassero, rapporti in cui intravedevo la cifra dellamanipolazione e della falsità. Questo, di certo, non mi ha reso le cose più facili perchémanipolazione e falsità sono alla base, in forma più o meno vistosa, della maggior parte deirapporti umani, almeno di quelli che non si svolgono nella luce della consapevolezza.Il lungo training ascetico della mia infanzia e della mia giovinezza mi ha permesso didiventare una persona completamente libera dalle pastoie del sentiment<strong>ali</strong>smo, unapersona assetata di verità, incapace di accontentarsi delle piccole graticazioni dell’ego,così care a chi non è in grado di affrontare l’apparente desolazione della nudità.Non attaccarsi a nulla.Non desiderare nulla.Non attendersi nulla.Sapere di essere nulla.Quanti libri di ascetica bisogna leggere, quanti ritiri estremi, quanti gong suonati dalproprio maestro bisogna affrontare, nella speranza di giungere a questa consapevolezza!A me invece è bastato venire al mondo e respirare.Al raggiungimento della maggiore età, in me c’era il vuoto assoluto, la perfetta distanzada qualsiasi tipo di aspirazione banalmente umana. Dall’iceberg allo scendiletto, dalloscendiletto al tuo nella Fossa delle Marianne: avevo percorso con diligenza tutta la stradaper raggiungere l’entomologica freddezza dello sguardo.Uno dopo l’altro, erano stati distrutti i miei rapporti aettivi, neppure il cane erasopravvissuto a questa salutare pulizia. Per molte volte, avendo una natura molto calda,avevo cercato di far ripartire il motorino d’avviamento ma, a un certo punto, logorato daifallimenti, anche lui si era inceppato.Le strade della mistica impongono sempre il raggiungimento del deserto come passaggioobbligato, ed è giusto perché solo con il vuoto intorno, abbandonate tutte le illusioni, si puòintravedere il sentiero capace di portarci in una dimensione diversa. Nella confusione, nelladistrazione, è impossibile compiere questo passo. Anche i campi, secondo le antichetradizioni, dopo il raccolto venivano incendiati per permettere alla terra di accogliere lanuova vita dei semi.Il deserto, però, è uno stato intermedio e non possiede, tra le sue doti, quella della
neutr<strong>ali</strong>tà. Il deserto è il luogo in cui appaiono i miraggi, in cui si scatenano i pensieri, incui si manifestano i demoni.I demoni a me più fedeli sono quelli della violenza e della paura; vanno sempre in coppiae si generano costantemente l’un dall’altro, paura e reazione di difesa, desiderio disopraffare, di ferire, di distruggere, di calpestare.Persino adesso, in certi momenti di particolare silenzio, sento i passi dell’assassinorisuonare sotto la volta dei miei giorni. L’illusione di Rousseau – cioè dell’uomo che nascenaturalmente buono – la lascio agli spiriti ingenui, a tutti coloro che non sono stati maicostretti a guardare in faccia la vera natura dell’essere umano. Il male ha natura volatile,leggera, inodore e invisibile, penetra ovunque senza alcuno sforzo, invade le persone, senzache se ne accorgano. Da questa assenza di contemplazione interiore nasce il ricorso al caproespiatorio. Il male non è in me, ma nell’altro, per questa ragione va perseguitato eannientato.Non è questa forse la genesi di tutte le forme di umana distruzione? Basterebbe, invece,volgere onestamente lo sguardo dentro di noi per accorgerci dell’inutilità di trascinare ilcapro nel deserto, per buttarlo ritualmente giù dalla rupe.Eppure il demone è assolutamente necessario. Senza la sua presenza si rimane nel limbostucchevole dei buoni sentimenti, mantelli rosati deposti sulla belva che ci ruggisce dentro.Come dimostra magistralmente il simbolo taoista dello yin e dello yang, il nero non puòesistere senza il bianco, così come il bianco senza il nero. Si generano infatti a vicenda, inun moto continuo, e ognuno, per esistere, ha bisogno dentro di sé del principio dell’altro.S<strong>ali</strong>re in alto senza essere scesi in basso è sconsigliabile perché non c’è vero radicamentoin una tale crescita. Altrettanto sconsigliabile è inoltrarsi nel campo dello scrivere se, nellezone d’ombra dei propri giorni, non risuonano i passi dell’assassino.In quegli anni di sbandamento e di assenza di domicilio, ripresi a frequentare mia nonna.O meglio, fu lei, compresa nalmente la situazione, a venirmi incontro, cercando distabilire un rapporto. Di relazioni aettive, però, ormai non volevo più sentir parlare,dunque dovette impegnarsi a fondo per riuscire ad aprire una breccia nel muro inv<strong>ali</strong>cabileche mi circondava.Veniva a trovarmi con la sua Renault bianca nei vari luoghi dove vivevo oppure ero io araggiungerla, d’estate, nella sua casa sull’altipiano. Eravamo due caratteri forti che siscontravano ferocemente; la realtà che lei voleva orirmi, io sapevo solo riutarla. Il miosistema nervoso era ormai siologicamente distrutto, camminavo come su un lo sospeso,non potevo rischiare di mettere nuovamente in gioco il mio precario equilibrio.Eppure piano piano, giorno dopo giorno, con l’abilità di un cesellatore, riuscì a creareuno spiraglio per giungere al mio cuore.Spesso mi sono chiesta come sia stato possibile per lei compiere questo miracolo, pensoche nessun altro ci sarebbe riuscito. Non credo che il sangue e la parentela l’abbianoinuenzata, così come lo spirito di maternità – vale a dire il sapersi prendere naturalmentecura dell’altro – che non le era mai veramente appartenuto. Mi confessò, infatti, di aver
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