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note sulla teoria dell'errore in diritto romano - Rivista S.S.E.F.

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icorrendo i presupposti della essenzialità 33 e della scusabilità, e, nel caso di negozi plurilaterali, dellariconoscibilità alla controparte, l’atto era considerato nullo. I giuristi classici non assunsero mai unaposizione netta <strong>in</strong> tal senso e, piuttosto, si soffermarono sulle diverse situazioni che potevano verificarsi<strong>in</strong> concreto, proponendo soluzioni varie <strong>in</strong> relazione ai diversi tipi di errore <strong>in</strong> cui un soggetto poteva<strong>in</strong>correre. Le pr<strong>in</strong>cipali ipotesi prese <strong>in</strong> considerazione – e di cui abbiamo numerosi riscontri nelle fonti– furono l’error <strong>in</strong> negotio, l’error <strong>in</strong> persona, l’error <strong>in</strong> corpore, l’error <strong>in</strong> substantia e l’error <strong>in</strong> quantitate.Ricorreva il caso dell’error <strong>in</strong> negotio 34 quando un soggetto poneva <strong>in</strong> essere un negozio diverso daquello voluto. Ad esempio, stipulava una donazione <strong>in</strong>vece di una vendita. Questo tipo di errore erasempre rilevante e determ<strong>in</strong>ava la nullità nel negozio, salvo nell’eventualità <strong>in</strong> cui consistesse solo <strong>in</strong> unaerronea denom<strong>in</strong>azione dell’atto (cd. error <strong>in</strong> nom<strong>in</strong>e) 35 . Un’ipotesi aff<strong>in</strong>e era costituita dall’errore <strong>sulla</strong>complessiva identità della dichiarazione negoziale, resa nota attraverso un nuntius, oppure documentataper iscritto. Potevano verificarsi due eventualità: il nuntius trasmetteva una dichiarazione, che rispetto aquella reale era difforme nel contenuto, o attribuita ad un autore diverso 36 ; oppure poteva accadere chenel documento fosse attribuita alla parte una dichiarazione mai fatta 37 .L’error <strong>in</strong> persona 38 rappresentava l’errore <strong>sulla</strong> identificazione della controparte o del dest<strong>in</strong>atariodi un atto, oppure sulle sue qualità. Determ<strong>in</strong>ava la nullità dell’atto quando l’identificazione dellapersona risultava essenziale e, qu<strong>in</strong>di, pr<strong>in</strong>cipalmente nei negozi <strong>in</strong>tuitu personae, nei negozi di naturacommerciale e negli atti mortis causa. Questo tipo di errore poteva verificarsi pr<strong>in</strong>cipalmente <strong>in</strong> duecircostanze: <strong>in</strong> primo luogo, quando la dichiarazione era <strong>in</strong>dirizzata, di fatto, ad una persona diversa daquella con cui si <strong>in</strong>tendeva entrare <strong>in</strong> rapporto. Era il caso, ad esempio, della stipulatio novativa, volta adottenere l’effetto di una novazione soggettiva passiva, <strong>in</strong>tercorsa con persona diversa da quella che sidesiderava accettare come nuovo debitore. La seconda ipotesi si aveva quando il dest<strong>in</strong>atario di unadichiarazione non recettizia era diverso da quello realmente voluto dal disponente. Tra le fattispecie piùfrequentemente discusse dai giuristi vi era il caso del de cuius, che errava nell’identificazione del proprioerede; <strong>in</strong> questa ipotesi, se fosse stato evidente il dissenso tra dichiarazione e volontà, e nonostante nonfosse stato possibile correggere la disposizione, <strong>in</strong>dicando il soggetto effettivamente designato, l’heredis<strong>in</strong>stitutio sarebbe stata nulla. A questo proposito è particolarmente <strong>in</strong>teressante un testo ulpianeo, <strong>in</strong> cuiil giurista riportava con ogni probabilità l’op<strong>in</strong>ione di Sab<strong>in</strong>o e affermava che, qualora il testatore avesse<strong>in</strong>dicato un erede, volendone però designare un altro, l’istituzione sarebbe stata nulla, ma nel contemponon avrebbe avuto rilievo neanche la reale volontà, <strong>in</strong> quanto manifestata <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>opportuno 39 .La parte poteva, poi, <strong>in</strong>correre nel cd. error <strong>in</strong> corpore 40 , che si verificava, sia quando l’errorericadeva <strong>sulla</strong> denom<strong>in</strong>azione o sull’<strong>in</strong>dividuazione dell’oggetto giuridico del negozio, sia nel caso <strong>in</strong> cuitra la denom<strong>in</strong>azione usata (designazione <strong>in</strong>tellettuale, error <strong>in</strong> nom<strong>in</strong>e) e la <strong>in</strong>dividuazione materiale(mediante <strong>in</strong>dicazione della cosa, error <strong>in</strong> demonstratione) vi era <strong>in</strong>compatibilità. Come abbiamo giàsegnalato 41 , l’error <strong>in</strong> demonstratione e l’error <strong>in</strong> nom<strong>in</strong>e non <strong>in</strong>validavano il negozio, se l’oggetto risultavacomunque <strong>in</strong>equivocamente identificato.33 Non era considerato essenziale l’error <strong>in</strong> demonstratione o error <strong>in</strong> nom<strong>in</strong>e (‘falsa demonstratio non nocet ’), se, nonostante l’erronea<strong>in</strong>dicazione di un soggetto o di un oggetto giuridico, non sorgevano equivoci <strong>sulla</strong> sua effettiva identificazione; tra <strong>in</strong>umerosi esempi si leggano: I. 2.20.29-30; D. 5.1.80; 18.1.9.1; 28.5.49.3; 33.4.1.8; 35.1.17.1; 45.1.32; CI. 6.23.4.34 D. 12.1.18 pr.; CI. 4.22.5; 8.53.10.35 Su cui v. supra nt. 33.36 D. 39.5.25.37 CI. 4.22.5.38 D. 12.1.32; 28.5.9 pr.39 D. 28.5.9 pr. (Ulp. 5 ad Sab.): Quotiens volens alium heredem scribere alium scripserit, <strong>in</strong> corpore hom<strong>in</strong>is errans, veluti ‘frater meus’‘patronus meus’, placet neque eum heredem esse qui scriptus est, quoniam voluntate deficitur, neque eum quem voluit, quoniam scriptus non est. È<strong>in</strong>teressante notare la particolare term<strong>in</strong>ologia adottata dal giurista, il quale qualificava l’errore non error <strong>in</strong> persona, bensì error<strong>in</strong> corpore hom<strong>in</strong>is.40 I. 3.19.23; D. 18.1.9 pr.; 28.5.9.1; 30.4 pr.; 45.1.83.1.41 Supra <strong>in</strong> nota.4


Un’ipotesi abbastanza simile a quella appena descritta era costituita dall’error <strong>in</strong> substantia 42 . Sitrattava dell’errore sulle qualità essenziali dell’oggetto del negozio (talvolta def<strong>in</strong>ito error <strong>in</strong> qualitate) o<strong>sulla</strong> materia da cui era costituito (vero e proprio error <strong>in</strong> substantia). È <strong>in</strong>teressante notare che nellaprospettiva dei Romani con il term<strong>in</strong>e substantia non si <strong>in</strong>dicava soltanto la composizione materiale diuna res, ma soprattutto la dest<strong>in</strong>azione economica, che ne determ<strong>in</strong>ava l’appartenenza ad una categoriamercantile, piuttosto che a un’altra 43 . Mentre l’error <strong>in</strong> qualitate non aveva rilevanza, l’error <strong>in</strong> substantiapoteva avere effetto <strong>in</strong>validante; le fonti testimoniano, tuttavia, una divergenza di op<strong>in</strong>ioni tra alcunigiuristi classici, di cui può essere utile dare conto, per sottol<strong>in</strong>eare la maturità dell’approccio scientifico aquesta materia 44 .Ulpiano, <strong>in</strong> un brano tratto dai Libri ad Sab<strong>in</strong>um, riportava il pensiero di Marcello, al f<strong>in</strong>e diconfutarlo:D. 18.1.9.2 (Ulp. 28 ad Sab.): Inde quaeritur, si <strong>in</strong> ipso corpore non erratur, sed <strong>in</strong> substantiaerror sit, ut puta si acetum pro v<strong>in</strong>o veneat, aes pro auro vel plumbum pro argento vel quid aliudargento simile, an emptio et venditio sit. Marcellus scripsit libro sexto digestorum emptionem esse etvenditionem, quia <strong>in</strong> corpus consensum est, etsi <strong>in</strong> materia sit erratum. ego <strong>in</strong> v<strong>in</strong>o quidem consentio,quia eadem prope ‘ousia’ est, si modo v<strong>in</strong>um acuit: ceterum si v<strong>in</strong>um non acuit, sed ab <strong>in</strong>itio acetumfuit, ut embamma, aliud pro alio venisse videtur. <strong>in</strong> ceteris autem nullam esse venditionem puto,quotiens <strong>in</strong> materia erratur.La questione di cui dibatteva il giurista era se fosse valida la vendita, qualora l’errore fossecaduto non sul corpus, bensì <strong>sulla</strong> substantia, come nel caso <strong>in</strong> cui si acquistava aceto al posto del v<strong>in</strong>o,oppure bronzo <strong>in</strong>vece di oro, o ancora piombo anziché argento. Si trattava, dunque, di un error <strong>in</strong>substantia nella più corretta accezione, e non di un error <strong>in</strong> qualitate. Marcello riteneva che l’empio venditiofosse perfetta, <strong>in</strong> quanto l’errore <strong>sulla</strong> materia non aveva fatto venir meno l’accordo sul corpus. Ulpiano,al contrario, sosteneva la nullità del negozio, dato che l’errore aveva determ<strong>in</strong>ato la vendita di aliud proalio. Solo <strong>in</strong> un caso il giurista concordava con Marcello, vale a dire quando, nell’esempio dell’aceto e delv<strong>in</strong>o, l’acquirente aveva comprato del v<strong>in</strong>o, diventato successivamente aceto.L’op<strong>in</strong>ione di Marcello, condivisa anche da Paolo 45 e da Marciano 46 , conduceva alla conseguenzache, nel caso di errore unilaterale, se vi fosse stato il dolo della controparte, quest’ultima avrebbedovuto risarcire il danno arrecato 47 . Secondo questi tre giuristi, dunque, non vi era differenza di effettitra error <strong>in</strong> substantia ed error <strong>in</strong> qualitate. Il pensiero di Ulpiano e di Giuliano 48 , <strong>in</strong>vece, era ben diverso:poiché l’error <strong>in</strong> substantia escludeva la volontà, il negozio era nullo. Un’attenuazione di questo pr<strong>in</strong>cipioera ipotizzabile nei contratti di buona fede, <strong>in</strong> cui il dolo di una delle parti avrebbe comportato,nonostante la nullità dell’atto, l’obbligo di risarcire i danni 49 . In base a questa diversa <strong>teoria</strong>, qu<strong>in</strong>di,potevano prospettarsi due ipotesi: se entrambe le parti fossero <strong>in</strong>corse <strong>in</strong> errore, il negozio sarebbe statonullo; se, <strong>in</strong>vece, solo una di esse fosse stata ignorans, a causa del dolo dell’altra, e se si fosse trattato diun bonae fidei contractus, il contratto sarebbe stato nullo, ma avrebbe conservato eccezionalmente taluni42 D. 18.1.9.2; 18.1.11.1; 18.1.14; 18.1.41.1; 18.1.45; 19.1.21.2; 45.1.22. Tutti questi testi – ad eccezione del primo –, tuttavia,sono ritenuti <strong>in</strong>terpolati e testimonierebbero, pertanto, la realtà giuridica giust<strong>in</strong>ianea, piuttosto che quella classica. Sul temav. P. Cornioley, “Error <strong>in</strong> substantia, <strong>in</strong> materia, <strong>in</strong> qualitate” cit. pp. 251 ss..43 Così E. Betti, sv. Errore cit. p. 663.44 D. 18.1.9.2. Il tema, che si presenta particolarmente <strong>in</strong>teressante, sarà approfondito <strong>in</strong>fra <strong>in</strong> questo §.45 D. 19.1.21; 45.1.22.46 D. 18.1.45.47 Tuttavia, vi erano ipotesi <strong>in</strong> cui i giuristi ritenevano ch e fosse escluso anche il risarcimento del danno, come nel caso dellastipulatio prospettato da Paolo, <strong>in</strong> cui il ristoro dei danni era ammesso solo se vi fosse stata una espressa clausola doli (D.45.1.22).48 D. 18.1.41.1.49 In questo senso P. Voci, v. Errore cit. p. 232. I testi da cui si ricava questa regola sono, pr<strong>in</strong>c., D. 18.1.57; 18.4.4-12;19.1.21 pr., su cui v. R. Von Jher<strong>in</strong>g, “Culpa <strong>in</strong> contrahendo” oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelangtenVerträgen, <strong>in</strong> Jahrbücher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatsrechts 4 (1860) pp. 67 ss., trad. it. a cura di F.Procchi, con il titolo Della “culpa <strong>in</strong> contrahendo” ossia del risarcimento del danno nei contratti nulli o non giunti a perfezione (Napoli2005) pp. 135 ss.5


effetti: il soggetto <strong>in</strong>gannato, <strong>in</strong>fatti, avrebbe avuto a disposizione un’azione contrattuale per ilrisarcimento del danno 50 .In età giust<strong>in</strong>ianea fu accolta l’op<strong>in</strong>ione di Ulpiano e di Giuliano, ma non fu riconosciuta alcunaazione di risarcimento del danno a favore della parte <strong>in</strong>gannata dal dolo altrui 51 .All’error <strong>in</strong> substantia può essere accostato 52 il cd. error <strong>in</strong> dom<strong>in</strong>io nella traditio 53 , <strong>in</strong> quanto sarebbestato determ<strong>in</strong>ato dalla ignoranza circa una particolare qualità, segnatamente circa la condizionegiuridica della cosa. Vi era, dunque, un errore su chi fosse il vero proprietario della cosa e avesseconseguentemente il <strong>diritto</strong> di disporne. Poteva verificarsi, ad esempio, che un soggetto consegnasse aun altro un bene per conto di un terzo, ignorando di esserne l’effettivo dom<strong>in</strong>us. La giurisprudenzaclassica ritenne che la traditio non fosse valida, <strong>in</strong> quanto il proprietario non aveva <strong>in</strong>tenzione ditrasferire la cosa propria, e il pr<strong>in</strong>cipio restò immutato anche nella Compilazione giust<strong>in</strong>ianea 54 . Nelcaso il soggetto <strong>in</strong> errore fosse l’acquirente, l’error <strong>in</strong> dom<strong>in</strong>io non avrebbe spiegato la sua efficacia<strong>in</strong>validante, e ciò <strong>in</strong> base a un pr<strong>in</strong>cipio generale degli atti con effetti acquisitivi, secondo il quale lavolontà di acquistare non viene meno a causa dell’ignoranza circa l’effettiva proprietà del bene 55 .Inf<strong>in</strong>e, si <strong>in</strong>correva nell’error <strong>in</strong> quantitate quando l’errore verteva <strong>sulla</strong> quantità o <strong>sulla</strong> dimensionedell’oggetto del negozio. Si determ<strong>in</strong>ava, pertanto, una difformità tra la quantità dichiarata e la quantitàvoluta, che, nella generalità dei casi, importava la nullità del negozio, sebbene non mancassero delleeccezioni. Era, <strong>in</strong>fatti, previsto che <strong>in</strong> talune ipotesi la dichiarazione fosse comunque valida nei limitidella m<strong>in</strong>ore quantità tra quella voluta e quella espressa 56 . Inoltre, nelle fonti ricorre un’ulteriore especifica eccezione alla regola: <strong>in</strong> tema di heredis <strong>in</strong>stitutio, se nel testamento era <strong>in</strong>dicata una quota<strong>in</strong>feriore rispetto a quella realmente voluta dal de cuius, la disposizione risultava valida per la quantitàmaggiore 57 . Sempre nullo era, <strong>in</strong>vece, il negozio bilaterale viziato da errore <strong>sulla</strong> quantità, se determ<strong>in</strong>avaun dissenso essenziale tra le parti.Un campo <strong>in</strong>teressante di applicazione delle regole sull’errore escludente la volontà èrappresentato dai negozi conclusi attraverso comportamenti concludenti o, più <strong>in</strong> generale, dallemanifestazioni tacite di volontà. Vi erano situazioni <strong>in</strong> cui era possibile trarre da un comportamento unsignificato particolare, attribuendo, qu<strong>in</strong>di, ad un soggetto una determ<strong>in</strong>ata volontà. Un simileprocedimento <strong>in</strong>duttivo, tuttavia, doveva fermarsi nel caso <strong>in</strong> cui la parte versasse <strong>in</strong> una situazione diignoranza tale da escludere la volontà ed elim<strong>in</strong>are il carattere di concludenza attribuito alcomportamento 58 . In questo ambito trovarono, dunque, generale applicazione le massime errantisvoluntas nulla est o non videtur qui errant consentire o altre simili 59 . Tra i casi paradigmatici ricordiamo quelloriportato <strong>in</strong>D. 5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.): Consenssisse autem videtur, qui sciant se non esse subiectosiurisdictioni eius et <strong>in</strong> eum consentiant. ceterum si putent eius iurisdictionem esse, non erit eius50 Questa <strong>in</strong>terpretazione non è condivisa da E. Betti, sv. Errore cit. p. 664, il quale ricostruisce il pensiero di Ulpiano e diGiuliano <strong>in</strong> questo modo: se l’errore è bilaterale il contratto è nullo; se, <strong>in</strong>vece, è unilaterale, il contratto è valido, ma la parte<strong>in</strong> errore può ottenere il risarcimento del danno.51 Lo si deduce dai brani appena richiamati <strong>in</strong> nota, che furono opportunamente <strong>in</strong>terpolati dai Compilatori giust<strong>in</strong>ianei, alf<strong>in</strong>e di sostenere questo risultato.52 Lo fa, ad esempio, E. Betti, v. Errore cit. p. 664.53 Il tema è stato affrontato, con approcci diversi, tra gli altri da: P. Voci, L’errore cit. pp. 82 ss.; R. Reggi, L’ “error <strong>in</strong> dom<strong>in</strong>io”cit. 88 ss.; A. Burdese, Il cd. error <strong>in</strong> dom<strong>in</strong>io, cit. pp. 101 ss. – Sul tema v. anche B. W<strong>in</strong>dscheid, Diritto delle pandette I (tr. it.Tor<strong>in</strong>o 1930) §172, p. 616.54 D. 17.1.49; 18.1.15.2; 41.1.35.55 D. 22.6.9.4; 41.3.44.4; 41.4.2.2; 41.6.3.56 Un esempio di questa ipotesi è offerto da P. Voci, v. Errore cit. p. 231: <strong>in</strong> una locazione, il canone è <strong>in</strong>dicato <strong>in</strong> 10 dallocatore, mentre il conduttore ritiene che sia 15; la locazione si <strong>in</strong>tende che valga per 10. Diversamente, <strong>in</strong>vece, se il locatorevoleva 15 e il conduttore 10. In questa fattispecie, <strong>in</strong>fatti, tra le parti vi era un dissenso essenziale (D. 19.2.52).57 P. Voci, Diritto ereditario <strong>romano</strong> II. Successione “ab <strong>in</strong>testato”, successione testamentaria (Milano 1963) p. 907.58 E. Betti, v. Errore cit. p. 661; P. Voci, sv. Errore cit. p. 232.59 Numerose le fonti <strong>in</strong> cui si rivengono tali espressioni, sebbene talune siano di dubbia orig<strong>in</strong>alità: D. 2.1.15; 5.1.2 pr.;39.3.19-20; 50.17.116.2; CI. 1.18.8; 1.18.9; 4.65.23.6


iurisdictio: error enim litigatorum, ut Iulianus quoque libro primo digestorum scribit, non habetconsensum. aut si putaverunt alium esse praetorem pro alio, aeque error non dedit iurisdictionem 60 .Ulpiano riferiva l’op<strong>in</strong>ione di Giuliano circa il caso di due parti che stavano <strong>in</strong> giudizio d<strong>in</strong>anziad un magistrato <strong>in</strong>competente. Il giurista classico riteneva che, se i contraddittori non sapevano della<strong>in</strong>competenza del giudice, non poteva esservi consenso <strong>sulla</strong> proroga della giurisdizione: dunque,l’errore delle due parti rendeva <strong>in</strong>concludente il loro comportamento.In materia successoria, <strong>in</strong>vece, un altro ambito <strong>in</strong> cui l’errore escludente la volontà manifestò lasua rilevanza già nella concezione classica fu l’aditio hereditatis 61 , cioè l’atto con il quale l’erede accettaval’eredità. La serietà dell’atto determ<strong>in</strong>ò nei giureconsulti della prima età imperiale la conv<strong>in</strong>zione che,laddove fosse mancata la volontà a causa di un errore, l’aditio sarebbe stata <strong>in</strong>valida. Il pr<strong>in</strong>cipio, che fuapplicato dai classici con particolare rigore, subì talune deroghe soltanto nel corso dell’età giust<strong>in</strong>ianea,come nel caso di error de iure proprio 62 .3. L’ERRORE MOTIVANTE LA VOLONTÀBen diverso negli effetti rispetto all’errore escludente la volontà era l’errore motivante lavolontà, o errore sui motivi, il quale <strong>in</strong>terveniva nel processo causale dell’atto giuridico, viziandolo;poiché, però, per l’ord<strong>in</strong>amento tale fase non era rilevante, l’errore non determ<strong>in</strong>ava alcuna <strong>in</strong>validità 63 .L’irrilevanza dell’errore sui motivi si giustificava alla luce della considerazione che, anche quando ilmotivo risultava espresso nell’atto, sarebbe stato possibile astrarre la disposizione, isolandola dalleragioni <strong>in</strong>dividuali esteriorizzate, a meno che il motivo non fosse assurto a vera e propria condizione 64 .E questo pr<strong>in</strong>cipio valse anche per i negozi <strong>in</strong> cui la parte <strong>in</strong> errore era quella che, animata da spirito diliberalità, attribuiva ad altri un patrimonio, sicché anche le donazioni e i negozi mortis causaconservavano validità nonostante l’errore sui motivi 65 .Ad ogni modo, anche tale regola subì delle eccezioni, che <strong>in</strong> età classica condusseroall’<strong>in</strong>validazione dell’atto, almeno nella parte viziata e, <strong>in</strong> determ<strong>in</strong>ate circostanze, si giunse addirittura aricostruire quale sarebbe stato il diverso contenuto della disposizione.È stato osservato 66 , <strong>in</strong>fatti, a questo proposito, come l’errore sui motivi negli atti mortis causaavesse assunto rilevanza <strong>in</strong>versamente proporzionale all’importanza della disposizione (massima neilegati e m<strong>in</strong>ima nell’heredis <strong>in</strong>stitutio), e ciò perché più importante era la disposizione, più era difficile chefosse stata determ<strong>in</strong>ata da un’unica ragione; raggiunta, tuttavia, la certezza della rilevanza dell’errore, ladisposizione doveva essere considerata <strong>in</strong>valida 67 .L’errore sui motivi, così, fu ritenuto determ<strong>in</strong>ante <strong>in</strong> materia successoria, quando risultava che ilfalso motivo aveva <strong>in</strong>dotto il testatore a <strong>in</strong>serire delle disposizioni che non avrebbe previsto, se ilprocesso causale non fosse stato viziato. È questo il caso, ad esempio, della madre che aveva istituitosuo erede un estraneo, perché credeva morto il figlio 68 . L’errore, <strong>in</strong> questa ipotesi, fu considerato60 Tra i brani <strong>in</strong>dicati alla nota precedente e tratti dai Digesta, questo è l’unico che si ritiene essere genu<strong>in</strong>o.61 Sul tema, approfonditamente, P. Voci, L’errore cit. pp. 64 ss..62 Era la situazione <strong>in</strong> cui si trovava colui che ignorava la propria condizione giuridica: un esempio può essere costituito dalcaso di chi, credendo erroneamente di essere filius familias, accettava l’eredità, ritenendo ch e essa sarebbe entrata a far partedel patrimonio paterno. In tale ipotesi, la giurisprudenza classica sosteneva che l’aditio fosse nulla, mentre i bizant<strong>in</strong>i laconsideravano comunque valida (cfr. D. 29.2.6.4; 29.2.75). Sul tema P. Voci, L’errore cit. pp. 75 ss..63 In materia successoria il pr<strong>in</strong>cipio è reso dal brocardo falsa causa non nocet : Ep. Ulp. 24.19; I. 2.20.31; D. 12.6.65.2; 35.1.17.2;35.1.72.6.64 Così, E. Betti, v. Errore cit. p. 664.65 Tra le tante testimonianze v. D. 35.1.17.2; 35.1.72.6; I. 2.20.31; CI. 6.44.1-5; Ep. Ulp. 24.19. Il pr<strong>in</strong>cipio qui enunciato fupiù volte ribadito dai giureconsulti classici, e a Pap<strong>in</strong>iano (D. 35.1.72.6) si deve la nota massima: Falsam causam legato non obesseverius est, quia ratio legandi legato non cohaeret.66 Da P. Voci, v. Errore cit. p. 233.67 Alla base della decisione di annullare o conservare una particolare disposizione vi era, dunque, un’attività dell’<strong>in</strong>terpretevolta ad accertare se il motivo erroneo fosse stato realmente l’unico, <strong>in</strong> quanto solo <strong>in</strong> questa ipotesi poteva essere fattavalere la nullità (cfr. ex adverso D. 35.1.72.6; CI. 6.44.1-5).68 D. 5.2.28; 28.5.93 (92).7


ilevante e l’esigenza di salvaguardare la volontà della de cuius <strong>in</strong>dusse i giudici ad annullare ladisposizione e a ricostruire quale sarebbe stata la volontà del testatore se non fosse <strong>in</strong>corso <strong>in</strong> errore 69 .Numerose le eccezioni considerate anche <strong>in</strong> tema di legati 70 : i giureconsulti ritennero che, se il de cuius,nell’errata conv<strong>in</strong>zione di avere un unico erede, avesse gravato soltanto quest’ultimo dell’adempimentodi tutti i legati, il testamento si sarebbe dovuto correggere <strong>in</strong> modo da ripartire tra tutti gli eredi il pesodei legati, perché tale sarebbe stata la volontà del disponente, se avesse conosciuto la reale situazione 71 .In ambito diverso, l’errore sui motivi, se scusabile, trovava riconoscimento nell’editto delpretore come presupposto per la restitutio <strong>in</strong> <strong>in</strong>tegrum. Una clausola edittale, <strong>in</strong>fatti, prevedeva che larestitutio potesse essere concessa se ci fosse stata una iusta causa, che nella prassi fu spesso <strong>in</strong>terpretatacome iusta causa erroris 72 .In s<strong>in</strong>tesi, <strong>in</strong> età classica l’errore sui motivi non fu considerato rilevante, salvo che <strong>in</strong> talunedeterm<strong>in</strong>ate ipotesi, che comunque non scalfirono la portata generale di questo pr<strong>in</strong>cipio; <strong>in</strong> etàgiust<strong>in</strong>ianea, <strong>in</strong>vece, prese piede la tendenza opposta e, oltre a <strong>in</strong>validare gli atti viziati da errore, sidiffuse la regola di ricercare e applicare quella che sarebbe stata la volontà del soggetto, se non fosse<strong>in</strong>corso <strong>in</strong> errore.4. L’ERRORE QUALIFICANTE LA VOLONTÀL’ultimo modo <strong>in</strong> cui l’errore poteva <strong>in</strong>cidere <strong>sulla</strong> volontà era qualificandola; ciò avvenivaquando l’ord<strong>in</strong>amento giuridico valutava l’ignoranza del soggetto, facendone conseguire effetti a luifavorevoli, o, <strong>in</strong> altre parole, considerava l’errore un presupposto per il raggiungimento di undeterm<strong>in</strong>ato risultato giuridico. L’errore, dunque, assumeva valore <strong>in</strong> quanto consentiva di tipizzare lavolontà, assegnando al comportamento tenuto un preciso significato 73 . Nel rapporto tra soggetto eord<strong>in</strong>amento, quest’ultimo doveva svolgere nei confronti del primo un controllo di ‘eticità’ dell’attoposto <strong>in</strong> essere, e non di efficacia o validità dello stesso 74 .I motivi che <strong>in</strong> età classica <strong>in</strong>dussero ad assegnare una peculiare rilevanza all’errore-presuppostofurono i più vari, <strong>in</strong> relazione alle diverse ipotesi considerate, a testimonianza del fatto che anche <strong>in</strong>questo ambito non esisteva un pr<strong>in</strong>cipio di portata generale, ma si procedeva piuttosto <strong>in</strong> via empirica ecasistica a valutare le differenti fattispecie 75 . Mentre il <strong>diritto</strong> classico dimostrò una certa benevolenzanei confronti del soggetto errante, giudicando favorevolmente la sua condizione, nel tardo antico e <strong>in</strong>età giust<strong>in</strong>ianea l’atteggiamento mutò: l’errore divenne rilevante solo se scusabile 76 e l’errore di <strong>diritto</strong>non fu ritenuto tale.Dato l’elevato numero delle fattispecie <strong>in</strong> cui rilevava l’errore-presupposto, procederemoall’esame solo di alcune di esse, <strong>in</strong> funzione dell’aff<strong>in</strong>ità con istituti ancora oggi <strong>in</strong> vigore (usucapione econdictio <strong>in</strong>debiti).Per quanto concerne l’usucapione, l’errore poteva determ<strong>in</strong>are il requisito della bona fides, oppurepoteva <strong>in</strong>tervenire sul titolo (titolo putativo). Quanto al primo aspetto, occorre sottol<strong>in</strong>eare come nellaprospettiva dei classici non esistesse un concetto unitario di bona fides, per cui i giuristi enuclearono talerequisito nelle s<strong>in</strong>gole fattispecie, ricorrendo all’unico elemento a loro disposizione, vale a dire la69 Una situazione analoga si verificava quando taluno <strong>in</strong> un precedente testamento aveva istituito erede una persona e,ritenendo che il beneficiario fosse morto, redigeva un nuovo testamento, <strong>in</strong> cui chiariva che alla base della revoca vi eraproprio la consapevolezza del decesso del primo istituito. Accertato che il beneficiario del primo testamento non era morto,il secondo atto era considerato nullo nella sola parte relativa all’heredis <strong>in</strong>stitutio, conservando piena validità, <strong>in</strong>vece, per lerestanti disposizioni: D. 28.5.93 (92).70 D. 31.7; 31.29; 31.76.6; 32.40 pr.; 34.9.5.2; 36.1.77 (75) pr.; Vat. Frag. P. 205.71 D. 31.7; 31.29; 32.40 pr.; 36.1.77 (75) pr.72 Gai 2.163; I. 4.6.33; D. 11.1.18; 14.3.13 pr.; 34.9.17; 44.2.11 pr.73 In tal senso, U. Zilletti, La dottr<strong>in</strong>a cit. p. 164 ss..74 Ancora, U. Zilletti, La dottr<strong>in</strong>a cit. p. 165.75 Le fattispecie valutate dall’ord<strong>in</strong>amento furono le più disparate, e tra esse ricordiamo i negozi putativi, l’erroris causaeprobatio, l’edictum de lite restituenda, l’<strong>in</strong> <strong>in</strong>tegrum restitutio, l’usucapione, la condictio <strong>in</strong>debiti, alcuni casi di decadenza e talune ipotesidi illecito penale.76 V. P. Voci, L’errore cit. p. 129.8


def<strong>in</strong>izione della bona fides come persuasione di non ledere un <strong>diritto</strong> altrui. È stato correttamenteosservato 77 , che più di una def<strong>in</strong>izione di bona fides si tratta di “un <strong>in</strong>dirizzo per r<strong>in</strong>tracciarla, sì che ilm<strong>in</strong>imum etico richiesto è da ricavare dalle peculiarità delle s<strong>in</strong>gole fattispecie”. In età classica, la buonafede che consentiva il verificarsi dell’usucapione era, dunque, costituita dal m<strong>in</strong>imum etico a cui siriferisce Zilletti, ma i bizant<strong>in</strong>i ritennero necessario qualificare l’errore su cui poggiava la bona fides, cheacquistò rilevanza solo se scusabile 78 .Riguardo al titolo putativo, la questione se esso potesse condurre all’usucapione costituì oggettodi dibattito tra i giuristi classici. La tesi più diffusa fu quella che ammetteva sempre il titolo putativo, maa Nerazio 79 è riconducibile un’op<strong>in</strong>ione più rigida – accolta prima da Giuliano 80 , e poi dai bizant<strong>in</strong>i, chegeneralizzarono l’affermazione di Nerazio –, secondo cui aff<strong>in</strong>ché il titolo putativo fosse rilevanteoccorreva che si basasse su un errore scusabile.Per r<strong>in</strong>tracciare la ragione che <strong>in</strong>dusse a valutare favorevolmente l’errore-presupposto dellabuona fede, occorre osservare la situazione <strong>in</strong> una prospettiva di convenienza economica. I soggettico<strong>in</strong>volti nell’usucapione erano il possessore e l’effettivo proprietario, entrambi colpevoli di negligenzaagli occhi dell’ord<strong>in</strong>amento giuridico: l’uno perché ignorava di ledere un <strong>diritto</strong> altrui, l’altro perchéassumeva un atteggiamento economicamente <strong>in</strong>erte nei confronti della res di sua proprietà.L’ord<strong>in</strong>amento, non potendo comporre altrimenti la divergenza tra i due <strong>in</strong>teressi, doveva effettuareuna scelta e, qu<strong>in</strong>di, privilegiava il possessore, il quale, nonostante tutto, si <strong>in</strong>seriva attivamente nelsistema economico 81 .Il secondo istituto su cui ci soffermeremo brevemente è la condictio <strong>in</strong>debiti 82 . La questione è entroquali limiti colui che aveva pagato credendo di esservi obbligato poteva ripetere il pagamento. L’errore,<strong>in</strong> questa ipotesi, caratterizzava l’atto sia positivamente, che negativamente. Nel soggetto agente, <strong>in</strong>fatti,risultava da una parte la volontà di pagare il dovuto e, dall’altra, la determ<strong>in</strong>azione di non volercompiere un atto di liberalità. I giuristi classici e i compilatori giust<strong>in</strong>ianei ritennero che, se l’errore cheaveva <strong>in</strong>dotto il solvens a pagare fosse stato un error facti, poteva essere consentita la ripetizionedell’<strong>in</strong>debito. Certamente, poi, i bizant<strong>in</strong>i considerarono <strong>in</strong>escusabile l’error iuris e, dunque, irripetibile ilpagamento effettuato a causa di un errore di <strong>diritto</strong>. Dubbia, al riguardo, è, <strong>in</strong>vece, la posizione assuntadai giureconsulti classici, a causa della manipolazione dei testi operata dai giust<strong>in</strong>ianei. Tuttavia,possiamo ritenere più probabile che anche i giuristi classici considerarono non ripetibile l’<strong>in</strong>debitopagato <strong>in</strong> base ad un error iuris 83 .5. CENNI SULLA DOTTRINA DELL’ERRORE NELLA TRADIZIONE ROMANISTICA: DALLADISSOLUZIONE DELL’IMPERO ROMANO ALLA SCUOLA STORICALa storia della <strong>teoria</strong> dell’errore dopo la dissoluzione dell’Impero <strong>romano</strong> è legata<strong>in</strong>dissolubilmente alla valutazione della volontà come elemento del negozio giuridico e, <strong>in</strong> generale,come presupposto per la riferibilità di ogni atto, lecito o illecito, ad un determ<strong>in</strong>ato soggetto.Le legislazioni barbariche, poco attente all’elemento soggettivo, ignorarono le problematicheconnesse all’errore e affrontarono il tema ad esso collegato della valutazione della volontarietà di un77 Da U. Zilletti, La dottr<strong>in</strong>a cit. p. 175.78 L’<strong>in</strong>escusabilità dell’errore di <strong>diritto</strong> si ricava da D. 22.6.4; 41.3.31 pr.; 41.3.32.1; 41.4.2.15.79 D. 41.10.5.80 D. 41.3.33.1; 41.4.7.2.81 V. più approfonditamente U. Zilletti, La dottr<strong>in</strong>a cit. p. 173.82 Sul tema v. <strong>in</strong> part. G. Vassalli, Iuris et facti ignoratia, cit. pp. 446 ss.; P. Voci, L’errore cit. pp. 130 ss.; S. Solazzi, L’errore nella“condictio <strong>in</strong>debiti” cit. pp. 99 ss.; Id., Ancora sull’errore cit. pp. 405 ss.; Id., Le “condictiones” cit. pp. 1 ss.; P. Voci, In tema di errorecit. pp. 22 ss.; C. Sanfilippo, Condictio <strong>in</strong>debiti I. Il fondamento dell’obbligazione da <strong>in</strong>debito (Milano 1943) pp. 97 ss.; G.G. Archi,Variazioni <strong>in</strong> tema di “<strong>in</strong>debiti solutio”, <strong>in</strong> Onor. V. Arangio-Ruiz III (Napoli 1952) pp. 335 ss., ora <strong>in</strong> Scritti di <strong>diritto</strong> <strong>romano</strong> II(Milano 1981) pp. 1169 ss..83 D. 22.6.9.5; CI. 1.18.10; 2.32.2; 4.5.6; 4.5.7; 6.50.9.9


atto solo <strong>in</strong> specifiche fattispecie e limitatamente al campo penale 84 . Com<strong>in</strong>ciò, tuttavia, ad emergere ilconcetto di scientia - <strong>in</strong>tesa come conoscenza di dati oggettivi -, da cui si fecero dipendere di volta <strong>in</strong>volta conseguenze negative o positive. Il legislatore, ad esempio, ritenne che taluni presupposti di fattoo di <strong>diritto</strong> non potevano essere ignorati dal soggetto agente e, qu<strong>in</strong>di, la loro mancata conoscenza nonpoteva essere addotta come scusante 85 . In altri casi, <strong>in</strong>vece, l’ignoranza di una circostanza escludeva laperfezione di un reato 86 . Solo <strong>in</strong> sporadiche disposizioni la scientia fu ritenuta rilevante <strong>in</strong> fattispeciecivilistiche e, <strong>in</strong> particolare, <strong>in</strong> materia negoziale.F<strong>in</strong>o all’<strong>in</strong>izio del secondo millennio, dunque, l’errore non fu preso <strong>in</strong> considerazione <strong>in</strong> modospecifico da alcuna legislazione (fatta eccezione per alcuni riferimenti presenti nel <strong>diritto</strong> canonico, aproposito dell’istituto matrimoniale 87 ), né fu oggetto di speculazione da parte dei giuristi.Con l’opera scientifica dei Glossatori si tornò, per la prima volta dopo la f<strong>in</strong>e dell’Imperogiust<strong>in</strong>ianeo, ad approfondire le conseguenze civilistiche dell’errore, che fu accostato all’ignoranza 88 .Irnerio dist<strong>in</strong>se l’oggetto dell’errore a seconda che si trattasse di un fatto o di un <strong>diritto</strong> e, <strong>in</strong> taleseconda ipotesi, se fosse <strong>diritto</strong> civile o <strong>diritto</strong> naturale 89 . L’errore di fatto fu ritenuto probabilis, qualoraavesse riguardato la rappresentazione di un fatto altrui e non fosse dipeso da una negligenza delsoggetto. L’errore di <strong>diritto</strong>, al contrario, non trovava giustificazione, che <strong>in</strong> alcune ipotesi di ignoranzadel ius civile. Nella costruzione teorica dei Glossatori, <strong>in</strong>fatti, l’ignoratia iuris civilis poteva essere fattavalere, se impediva di subire un danno, mentre nessun rilievo aveva <strong>in</strong> lucro captando 90 . Il dogma ignorantiaiuris nocet, dunque, venne ridimensionato nella sua applicazione pratica, così come era già avvenutonell’esperienza giuridica romana dell’età classica.L’apporto dei Commentatori alla dottr<strong>in</strong>a dell’errore fu piuttosto ridotto, e si limitòpr<strong>in</strong>cipalmente ad alcune osservazioni <strong>in</strong> ambito crim<strong>in</strong>ale, che consentirono di approfondire ilrapporto tra errore, dolo e colpa. Sotto altro profilo, è all’età del Commento che risalgono le primeaffermazioni dei giuristi volte a disapplicare la regola romana secondo cui milites e villici potevano<strong>in</strong>vocare l’ignorantia legis, alla luce della ben diversa realtà sociale del XIII sec. 91 .Sebbene <strong>in</strong> età preirneriana volontà ed errore fossero stati occasionalmente accostati e alcuniGlossatori avessero ravvisato nella scientia un elemento impresc<strong>in</strong>dibile della voluntas, il passodeterm<strong>in</strong>ante verso l’elaborazione di una accurata <strong>teoria</strong> dell’errore-vizio della volontà non fu compiuto.Gli spunti presenti nel Corpus iuris civilis e su cui poteva <strong>in</strong>card<strong>in</strong>arsi una più approfondita riflessione<strong>in</strong>torno all’<strong>in</strong>cidenza dell’errore sul processo di formazione e <strong>sulla</strong> manifestazione della volontà nonfurono sviluppati né dai Glossatori, né dai Commentatori. Il loro sforzo speculativo non andò oltre lasuperficiale riproposizione delle teorie romane, che, da una parte, determ<strong>in</strong>ò l’assolutizzazione dellamassima errantis voluntas nulla est 92 ; dall’altra, condusse all’espressa dist<strong>in</strong>zione tra errore circa rem, cheescludeva la volontà, ed errore circa causam, rilevante solo se si fosse trattato di causa f<strong>in</strong>alis 93 .Con l’Umanesimo giuridico si compirono, f<strong>in</strong>almente, quei passi avanti nell’elaborazione di una<strong>teoria</strong> dell’errore <strong>in</strong> rapporto alla volontà negoziale, che maturarono poi def<strong>in</strong>itivamente grazie84 Così, E. Cortese, v. Errore (dir. <strong>in</strong>term.), <strong>in</strong> ED. XV cit. p. 236. Nell’Editto di Rotari, ad esempio, è impiegato il term<strong>in</strong>e“asto” (Ed. Roth. 149, 229, 248, 264, 357), talvolta seguito da animo (Ed. Roth. 149, 201, 342, 344, 345), per richiamare ilconcetto di volontarietà di un atto illecito (lo si ricava da Ed. Roth. 146, 149, 201).85 Ed. Roth. 151: chi costruiva un mul<strong>in</strong>o <strong>in</strong> un fondo altrui, ne perdeva la proprietà, senza <strong>diritto</strong> ad un risarcimento poiché- disponeva la norma - ognuno doveva conoscere ciò che era suo e ciò che non lo era.86 La falsa testimonianza era punita solo se consapevole: Ed. Liut. 63. Altri esempi: Ed. Roth. 229, 230, 265-268.87 V. al riguardo P.S. Leicht, Il <strong>diritto</strong> privato preirneriano (Bologna 1933) 27; E. Cortese, sv. Errore cit. p. 238.88 E ciò nonostante già il Piacent<strong>in</strong>o, Summa Codicis, sub tit. ‘de iuris et facti ignorantia’, e Azzone, Summa Codicis, sub tit. ‘de iuris etfacti ignorantia’, avessero, forse poco consapevolmente, tracciato una l<strong>in</strong>ea di conf<strong>in</strong>e tra l’errore, che si verificava quandoqualcosa era diverso da ciò che si credeva, e l’ignoranza, <strong>in</strong>tesa come non conoscenza di qualcosa che doveva essereconosciuto.89 Gl. Error ad D. 22.6.8.90 Accursio, Gl. Regula est ad D. 22.6.9. Sul tema v. E. Cortese, La norma giuridica. Spunti teorici nel <strong>diritto</strong> comune classico II(Milano 1964) p. 107 nt. 15.91 Così, E. Cortese, v. Errore cit. p. 242.92 Che, <strong>in</strong>vece – come abbiamo rilevato nel corso della trattazione –, <strong>in</strong> nessuna fase dell’evoluzione giuridica romana ebbe<strong>in</strong>derogabile applicazione.93 Ancora, E. Cortese, v. Errore cit. p. 244.10


all’apporto dei Giusnaturalisti. Le prime e pr<strong>in</strong>cipali <strong>in</strong>novazioni risalgono a Donello, il quale ricavòdalle fonti romane 94 , attraverso un’<strong>in</strong>terpretazione dei testi spesso poco fedele all’<strong>in</strong>tenzione dell’autore,il pr<strong>in</strong>cipio che omnem contractum esse consensum et conventionem; presupposto poi il rapporto tra volontà ederrore, il giurista giunse ad affermare che l’errore era causa di dissenso 95 . Fu Grozio, tuttavia, a trarne leconclusioni, affermando che l’errore, se determ<strong>in</strong>ante <strong>sulla</strong> formazione del consenso, <strong>in</strong>validava ognitipo di atto 96 .Ma è soprattutto <strong>sulla</strong> dottr<strong>in</strong>a di Pufendorf che occorre soffermarsi, se pur brevemente. Ilgiurista dist<strong>in</strong>se tra atti unilaterali e bilaterali. Nei primi, l’errore era considerato rilevante, quandol’autore dell’atto era sp<strong>in</strong>to al suo compimento <strong>sulla</strong> base di una falsa rappresentazione della realtà e,qu<strong>in</strong>di, non lo avrebbe concluso se non fosse <strong>in</strong>corso nell’errore. In merito ai negozi bilaterali, <strong>in</strong>vece,Pufendorf dist<strong>in</strong>se tra errore <strong>in</strong>cidente <strong>sulla</strong> determ<strong>in</strong>azione di concludere l’atto, oppure sull’oggetto delnegozio. Nel primo caso, colui che era caduto <strong>in</strong> errore poteva ottenere la rescissione, se l’esecuzionenon era ancora <strong>in</strong>iziata; altrimenti, sarebbe stato necessario ottenere il consenso della controparte.Qualora l’errore avesse riguardato l’oggetto, il negozio sarebbe stato <strong>in</strong>valido, ma – secondo Pufendorf– l’effetto sarebbe dipeso non dai pr<strong>in</strong>cipi <strong>in</strong> tema di errore, bensì dalla legge stessa, secondo la quale ilsoggetto doveva conoscere l’oggetto per poter manifestare correttamente la propria volontà 97 .Le teorie umanistiche e giusnaturalistiche rappresentarono il modello di riferimento per lasuccessiva elaborazione dottr<strong>in</strong>ale, che trovò i suoi più noti esponenti <strong>in</strong> Domat e <strong>in</strong> Savigny 98 . Domatripresentò la dist<strong>in</strong>zione tra errore di fatto ed errore di <strong>diritto</strong>, sostenendo che l’error facti aveva effetto<strong>in</strong>validante, se la ‘convenzione’ avesse trovato unico fondamento nella “verità ignorata” 99 . Ma la novitàpr<strong>in</strong>cipale fu il ritorno all’accostamento tra errore di fatto ed errore di <strong>diritto</strong>, basato sull’affermazioneche, nonostante ognuno fosse tenuto a conoscere le leggi civili e naturali 100 , l’atto posto <strong>in</strong> essere<strong>in</strong>correndo <strong>in</strong> un error iuris sarebbe stato <strong>in</strong>valido, se l’ignoranza o l’errore di <strong>diritto</strong> fossero stati “l’unicacausa della convenzione” 101 .Savigny, <strong>in</strong>vece, propose una dist<strong>in</strong>zione dell’errore <strong>in</strong> relazione alla negligenza del soggetto:soltanto l’error iustus o probabilis poteva essere <strong>in</strong>vocato per <strong>in</strong>validare un atto 102 ; l’errore dipeso dallanegligenza dell’agente, al contrario, non produceva alcuna conseguenza.In questa prospettiva, la dicotomia error iuris-error facti aveva riscontro <strong>in</strong> un diverso regimeprobatorio: la negligenza del soggetto nel caso di errore di <strong>diritto</strong> si presumeva, mentre per l’errore difatto doveva essere provata.6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVELa storia della <strong>teoria</strong> dell’errore nel <strong>diritto</strong> privato si è sviluppata seguendo due b<strong>in</strong>ari paralleli:da una parte, è stato approfondito il rapporto tra errore e volontà, dall’altra, sono stati contrapposti iconcetti di errore di fatto ed errore di <strong>diritto</strong>.Nell’esperienza giuridica romana, <strong>in</strong> cui le problematiche dell’errore furono affrontate soltanto apartire dall’età imperiale, la valutazione dell’errore non seguì un processo l<strong>in</strong>eare.I giureconsulti classici non costruirono ex novo una sistematica dell’errore e furono <strong>in</strong>tenti,piuttosto, a risolvere casisticamente le questioni sollevate di volta <strong>in</strong> volta. Pur non avendo formulatopr<strong>in</strong>cipi di portata generale, la giurisprudenza ebbe il merito di affrontare questo tema <strong>in</strong> modo non94 Il pr<strong>in</strong>cipale testo di riferimento fu il brano conservato <strong>in</strong> D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.): Conventionis verbum generale est ad omniapert<strong>in</strong>ens, de quibus negotii contrahendi transigendique causa consentiunt qui <strong>in</strong>ter se agunt…, su cui v. G. Melillo, “Contrahere, pacisci,transigere”. Contributi allo studio del negozio bilaterale <strong>romano</strong> (Napoli 1994) pp. 178 ss..95 Sulla <strong>teoria</strong> di Donello <strong>in</strong> materia di errore v. P. Voci, L’errore cit. 1, pp. 145 ss., p. 277; E. Cortese, v. Errore cit. p. 244.96 V. U. Grotius, De iure belli ac pacis IV (trad. it. Napoli 1777) lib. II, cap. 11.VI, § 1-3.97 Il tema è discusso <strong>in</strong> S. Pufendorf, De iure naturae et gentium I (Frankofurti et Lipsiae 1759) lib. III, cap. 6, § 6-7.98 Così, E. Cortese, v. Errore cit. p. 245.99 Così, J. Domat, Le leggi civili nel loro ord<strong>in</strong>e naturale II (trad. it. Napoli 1839) lib. I, tit. 18, sez. I § p. 7.100 J. Domat, Le leggi civili cit. lib. I, tit. 18, sez. I §§ 3, p. 13.101 J. Domat, Le leggi civili cit. lib. I, tit. 18, sez. I § p. 14.102 V. F.C. Von Savigny, Sistema del <strong>diritto</strong> <strong>romano</strong> attuale III (trad. it. Tor<strong>in</strong>o 1900) pp. 35 ss..11


superficiale, proponendo soluzioni articolate e dibattute, <strong>in</strong> cui dava conto della diversità di situazioniche potevano verificarsi.Alla maturità dell’approccio classico si contrappose la perentorietà della legislazione delDom<strong>in</strong>ato, che, attenta alla salvaguardia della certezza del <strong>diritto</strong> e dei rapporti negoziali, si limitò adapprofondire la dist<strong>in</strong>zione tra errore di fatto ed errore di <strong>diritto</strong>.Il Corpus iuris civilis rappresentò la s<strong>in</strong>tesi delle due esperienze precedenti: dall’elaborazioneclassica fu tratto lo spunto per costruire il sistema della patologia del negozio giuridico, basato sui vizidella volontà, e <strong>in</strong> cui divenne centrale il tema del rapporto tra errore, dist<strong>in</strong>to <strong>in</strong> scusabile e<strong>in</strong>escusabile, e volontà; dal <strong>diritto</strong> basso-imperiale, <strong>in</strong>vece, recepì la regola della <strong>in</strong>escusabilità dell’erroredi <strong>diritto</strong>.Anche nella tradizione romanistica, dalla Glossa a Savigny, la <strong>teoria</strong> dell’errore subì alternevicende, che hanno condotto <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e all’isolamento dell’errore-vizio della volontà e causa di <strong>in</strong>validità delnegozio e all’affievolimento della distanza tra error iuris ed error facti.Margherita ScognamiglioAssegnista di ricercaUniversità degli Studi di Salerno12

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