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Iniezione Un mercato che cambia - Negri Bossi

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tavolarotondalo più realtà a carattere familiare o di dimensioni poco più grandi, puntandosulla sola arma del prezzo sono rimaste al palo». An<strong>che</strong> perRoberto Sallemi, direttore generale di Macam Sumitomo SHI Demag,lo scenario italiano ha pagato dazio alla crescita dei paesi emergentie al processo di globalizzazione. Secondo lo stesso Sallemi: «La capacitàdi sfruttare in modo più completo le potenzialità delle presseelettri<strong>che</strong> più performanti con manufatti e stampi progettati ad hoc hagià mostrato un ritorno di competitività di diversi trasformatori italiani,<strong>che</strong> hanno superato il concetto del costo di acquisto di macchine eattrezzature con quello del costo totale per produrre il manufatto».Packaging e medicale le “zone fran<strong>che</strong>” della crisi<strong>Un</strong> punto di vista da osservatore relativamente “fresco” è quello di PaoloZirondoli, sales manager di Ferromatik Milacron, azienda <strong>che</strong> da circadue anni opera attivamente e sistematicamente nel <strong>mercato</strong> italiano.«Difficile stimare la crisi con un valore assoluto per tutti i comparti – commenta–. L’imballaggio ha tenuto, per esempio. Molte aziende del compartosi sono rivolte a fornitori in grado di offrire soluzioni più <strong>che</strong> singoliprodotti. E in questo nuovo meccanismo, <strong>che</strong> sta diventando la regola,tocca a noi saper consigliare e guidare il cliente verso la soluzione piùadeguata alle sue esigenze». Tra i settori in grado di sfidare la tormentafinanziaria ci sono an<strong>che</strong> il medicale e il farmaceutico <strong>che</strong>, «Al contrariodel <strong>mercato</strong> dei manufatti “commodity”, dove i piccoli produttori si sonocompletamente estinti per via dell’affermazione di grandi marchi <strong>che</strong>gestiscono subforniture produttive, sono addirittura cresciuti, riuscendoa specializzare la domanda» osserva Arreghini. Per Bjorn Noren, amministratoredelegato di Arburg Italia, entrambi i campi presumono «<strong>Un</strong>avicinanza del prodotto al cliente: è poco probabile <strong>che</strong> il packagingdi un medicinale o di alimenti prodotti in Europa sia realizzato in Cina,perché chi realizza il prodotto coinvolge nel business an<strong>che</strong> chi dovràprodurne la confezione». Secondo Noren, quindi, si esce dall’impasse«Offrendo soluzioni ad hoc per ciascun cliente, aiutandolo a ottimizzarela produzione in prima persona oppure attraverso l’aiuto di partner <strong>che</strong>possano, per esempio, costruirgli lo stampo, la camera bianca o fornirealtre soluzioni a bordo macchina».Il futuro è degli specialistiIl ragionamento del dirigente della multinazionale tedesca chiama incausa il concetto di specializzazione, <strong>che</strong> per molte imprese colpite dallarecessione è stata sinonimo di salvezza. «Vista la moria degli stampatoridi questi ultimi anni, i costruttori di presse hanno diminuito i loro volumispecializzando l’offerta – testimonia Luciano Arreghini –. Chiunquepuò produrre macchine, ma soltanto uno specialista è in grado diproporre sistemi capaci di caratterizzare l’intera offerta e di trasmettereal cliente un know-how <strong>che</strong> risponda alle esigenze dell’interocontesto in cui si opera». «Saper gestire gli aspetti legati al businessdel cliente è fondamentale – chiude il cerchio Noren – perché in futurosaremo chiamati a offrire sempre più sistemi chiavi in mano».E domani questa diventerà una strada obbligata? «Non c’è alternativa– chiosa Silvio Tavecchia, direttore generale di <strong>Negri</strong> <strong>Bossi</strong>–. An<strong>che</strong> chi ha delocalizzato la produzione l’ha specializzata. Inun contesto <strong>che</strong> registrava la prevalenza di terzisti con commessetrasversali a diversi comparti è sopravvissuto soltanto chi ha saputoandare al di là della semplicefornitura di un pezzo stampato.E noi costruttori abbiamo il lorostesso destino: non ci resta <strong>che</strong>seguirli» conclude.“La riduzione deicosti di produzione el’affidabilitàdella macchina sonodellefinestre apertesu nuoveopportunità”Luciano Arreghini“Si cercal’innovazione mai costi sonospesso elevati.Quindi si ripiegasu mezzilow-cost confunzioni equivalenti”Davide Bonfadini44Plastixaprile 2011


Prospettive future tra prezzi e servizioSe specializzazione e partnership sono due possibili chiavi di lettura,Davide Bonfadini, direttore commerciale di IMG (rivenditore perl’Italia delle cinesi Haitian, NdR), esprime alcune perplessità in meritoalle prospettive immediate del <strong>mercato</strong> interno. «Il paese vive unmomento difficile e, sebbene fama del Made in Italy resista, la capacitàproduttiva è calata progressivamente. Del resto, da costruttore,fino a cinque anni fa non avrei mai immaginato <strong>che</strong> sarei riuscito avendere presse cinesi poco personalizzabili, <strong>che</strong> oggi gli stampatoriitaliani accettano di buon grado per motivi di prezzo». Prezzo, dunque.E l’innovazione tecnologica? «Il cliente la cerca frequentementee noi valutiamo con lui ogni possibile soluzione – continua Bonfadini –.Ma altrettanto spesso i costi <strong>che</strong> ne derivano sono insopportabili esi finisce per ripiegare su mezzi low-cost in grado di svolgere funzioniequivalenti». Sposta il ragionamento sull’aspetto del servizioSilvio Tavecchia: «Chi realizza prodotti di qualità trova porte aperteovunque: le case automobilisti<strong>che</strong> tedes<strong>che</strong> attingono a piene manidall’Italia per diversi componenti delle loro vetture. Per le presse ainiezione il discorso è analogo: sopravvive chi innova e offre un servizio.A differenza degli anni Settanta, quando bastava produrre pervendere, oggi le imprese devono lavorare su ricerca e sviluppo senzal’alibi dell’assenza della nostra classe politica». E sulle nostreimprese, il direttore generale di <strong>Negri</strong> <strong>Bossi</strong> ha una visionenel complesso positiva: «I trasformatori sono diminuiti. Oltre aiproblemi di <strong>mercato</strong>, le piccole aziende padronali hanno dovutoaffrontare an<strong>che</strong> quelli legati al passaggio generazionale:non è stato semplice, abbiamo assistito a una sorta di selezionenaturale ma oggi chi è rimasto sul <strong>mercato</strong> è diventatocompetitivo dal punto di vistatecnologico e commerciale».Il peggio, quindi,“Rispetto al 2008gli ordini e ilfatturato sono increscita, mail <strong>mercato</strong>si è spostato versotonnellaggiinferiori”Corrado Dimartinosembra essere passato e il sistema italiano può rimettersi in moto.«Stiamo risalendo rispetto al tonfo del 2008 sebbene a ritmi non moltosostenuti – commenta Corrado Dimartino, amministratore delegatodi Billion Italia –. Gli ordini e il fatturato sono in crescita, ma il <strong>mercato</strong>si è spostato verso tonnellaggi inferiori: sono diminuite le vendite dipresse intorno alle 2.000 tonnellate, e salite quelle di macchine intornoalle 500/600 tonnellate, ma è il <strong>mercato</strong> delle piccole tra le 50 e le300 tonnellate <strong>che</strong> va bene, an<strong>che</strong> a causa delle presse elettri<strong>che</strong>».Più cauto Paolo Zirondoli: «Nonostante siamo tornati ai livelli pre-crisi,la ciclicità di questi alti e bassi sta crescendo rispetto al passatoe fronteggiarli non sarà sempre cosa facile». Bjorn Noren individuanella «Migrazione delle multinazionali e delle attività low-cost le ragionidel calo: fattori ormai esauriti, per cui è ragionevole pensare aun assestamento della situazione». Roberto Sallemi, invece, giudica«Efficienza e hi-tech le leve di competitività per contrastare questasituazione di stagnazione e le opportunità di conversione in plasticadi ciò <strong>che</strong> è sempre stato realizzato in metallo o in altri materiali comeelemento trainante della crescita». Le opportunità dei trasformatoriitaliani sono dunque le stesse dei costruttori di impianti. «In questoscenario – sostiene Luciano Arreghini –, la riduzione dei costi di produzionee l’affidabilità della macchina sono delle finestre aperte sunuove opportunità». <strong>Un</strong> ritorno ai volumi“Oggi iltrasformatore è ingrado di stabilirese può ottenerecicli più rapidie convenienzaattraverso un’ibridao una full-electric”Bjorn Norendel passato sembra però impossibile,an<strong>che</strong> se «La capacità imprenditoriale èancora viva: il know-how sviluppato neglianni può tornare utilissimo in termini diservizi e idee produttive, ma le aziendemodelloin grado di investire stanno fatturandosoprattutto all’estero. Per cui lavivacità va intesa in questo senso: produrrein Italia ed esportare». <strong>Un</strong>a cartaPlastixaprile 201145


tavolarotondavincente può essere “clonare” la propria realtà in paesi in cui il costodel lavoro è inferiore, magari trovando partner locali. «Questa sarà lavera sfida dei prossimi anni» aggiunge il CEO di Arburg Italia.Sistemi elettrici e ibridiSotto il profilo strettamente tecnico, l’avanzata delle presse full-electricè inconfutabile. Che siano più pulite e precise e <strong>che</strong> garantiscanoconsumi energetici inferiori sembra ormai un dato di fatto, ma restada definire in quali applicazioni offrano le migliori performance produttiveed economi<strong>che</strong>. Altra“La capacità disfruttare in modopiù completole potenzialitàdelle full-electricha già mostrato unritornodi competitività”Robero Sallemiquestione è quanto siano apprezzatee diffuse sul <strong>mercato</strong>. «Finoa qual<strong>che</strong> anno fa – sostiene SilvioTavecchia – l’elettrica facevatendenza. Oggi, le vendite delleelettri<strong>che</strong>, ma an<strong>che</strong> delle idrauli<strong>che</strong>,sono diminuite a favore delleibride, <strong>che</strong> garantiscono prestazionielevate a fronte di costiinferiori». <strong>Un</strong>a diversa tendenzanell’acquisto esiste, an<strong>che</strong> se perBillion Italia è diversa: «Fino a dieci anni fa per noi era difficile proporrele elettri<strong>che</strong> – afferma Corrado Dimartino –, ma oggi le cosesono <strong>cambia</strong>te: le acquistano an<strong>che</strong> i terzisti <strong>che</strong> ormai svolgono unruolo di primo piano nel processo produttivo». Bjorn Noren confermail <strong>cambia</strong>mento in atto, favorito sia dai vantaggi della tecnologiasia dalle maggiori competenze dei trasformatori: «Qualsiasi committenteè ormai in grado di stabilire se può ottenere cicli più rapidi econvenienza attraverso un’ibrida o una full-electric, an<strong>che</strong> se sonoconvinto <strong>che</strong> le maggiori opportunità per l’elettrica verranno dai settoridel packaging e del medicale». Battenfeld distingue: «L’elettricaè più richiesta per le applicazioni in campo medicale, ma an<strong>che</strong> la ibridariscuote un certo interesse, soprattutto perché incontra il target pricedell’acquirente – argomenta Luciano Arreghini –. Chiaramente un’elettricaè più performante sugli azionamenti e si può assimilare a unamacchina utensile; al contrario, la ibrida, <strong>che</strong> mantiene l’estrattoreidraulico o l’accostamento del carro, consente di ridurre i costi dellamacchina <strong>che</strong> diventano, in linea generale, superiori del 20 per centorispetto a un’idraulica». Strategia “elettrica” a tutto campo per MacamSumitomo SHI Demag: «Il <strong>mercato</strong> a cui ci rivolgiamo nell’ambito dellepresse inferiori a 400 tonnellate di forza di chiusura chiede quasisolo macchine elettri<strong>che</strong>, perché non sposa la causa dell’elettrica soloper il risparmio energetico, pur non trascurabile, ma soprattutto perrendere più competitivo il ciclo produttivo grazie a riduzioni dei tempiciclo e miglioramenti dell’affidabilità. Come mostrato dall’esperienzadel <strong>mercato</strong> giapponese, la miniaturizzazione di molti manufatti, <strong>che</strong>necessariamente si svilupperà an<strong>che</strong> in Italia, richiede una precisioneottenibile solo con un’elettrica con alle spalle una lunga esperienzadi sviluppo. D’altra parte, è evidente <strong>che</strong> esistono applicazioni in cuila macchina ibrida può dare performance più interessanti nella fasedi riempimento rispetto a quella full-electric, ricordando sempreperò <strong>che</strong> in queste distinzioni la prima può iniettare più velocementema trova limitazioni nel controllo dei profili di riempimento». Più cautosull’elettrica Silvio Tavecchia, <strong>che</strong> spezza una lancia a favore dellemacchine ibride: «Gli azionamenti elettrici sono più precisi sul posizionamentoe meno sul controllo delle forze: per questo il packagingpiù evoluto utilizza ancora sistemi tradizionali. Tra l’altro qual<strong>che</strong> costruttoreleader nella tecnologia elettrica si sta spostando sulla ibrida,perché permette di ottenere prestazioni più elevate in termini diripetibilità e velocità con iniettori idraulici. Comunque, l’elettrica non èideale per ogni applicazione: è una soluzione quasi sempre correttaper le macchine da 50 o 100 tonnellate, ma non sempre per le 300o 500 tonnellate. Nelle idrauli<strong>che</strong> i“L’elettrica facevatendenza., ma oggic’è una rivalutazionedella ibridaperché garantisceprestazioni elevatea fronte di costiinferiori”Silvio Tavecchiamovimenti sono in sequenza, mentrenelle elettri<strong>che</strong> sono sovrapponibilipiù o meno a piacere. Nessuno,però, utilizza cinque movimentisovrapposti perché lo stampo imponedelle limitazioni, quindi nel90% dei casi si ha solo la sovrapposizionedi estrattore su chiusurae apertura o rotazione della vite(nei casi eclatanti) per plastificarepiù o meno velocemente. <strong>Un</strong>amacchina elettrica standard <strong>che</strong> sovrappone apertura, chiusura edestrazione ha un costo superiore rispetto a una idraulica, perché hauna sola fonte energetica e nell’elettrica cinque. Se poi i movimentielettrici sono rotatori e quelli a iniezione sono lineari, assiali, è necessariotrasformare i movimenti con delle viti a ricircolo di sfera e questocomporta ulteriori costi. Insomma, è impossibile stabilire a priori cosasia meglio: tutto va calibrato sull’equipaggiamento specifico e sultonnellaggio. E il cliente, sebbene sappia distinguere tra le diversetecnologie, guarda molto ai costi: di investimento, di produzione e dimanutenzione. E su quest’ultimo punto le elettri<strong>che</strong> sono più difficili daapprocciare dai tecnici <strong>che</strong> operano nelle aziende di trasformazione».L’esperienza concreta di Sallemi lo porta invece a non condividere affattoqueste ultime affermazioni sulla base dei risultati delle macchineinstallate in Italia in cinque anni, <strong>che</strong> «Non hanno ancora richiesto interventisignificativi e non in ultimo la nostra esperienza mondiale diSumisu oltre 55.000 installazioni». Che l’elettrica non sia una soluzione46Plastixaprile 2011


tavolarotondaServono politi<strong>che</strong> fiscali e industrialiStando alle stime di Euromap e Assocomaplast, le macchine ordinatein Italia nel 2010 potrebbero essere al massimo 1.000, circala metà rispetto ai parametri del 2000. Ma come già accennato, ipresenti non prevedono si possa tornare ai valori del passato, anzisecondo alcuni tra una decina di anni il <strong>mercato</strong> potrebbe stabilizzarsitendendo addirittura al ribasso. Sembra una strada senza viad’uscita, an<strong>che</strong> perché «Molti dei nostri clienti delocalizzano – sottolineaTavecchia – e i costruttori stranieri potrebbero pensare diaprire nuove filiali in questi paesi, penalizzando la struttura italianaesistente. È la stessa considerazione di <strong>Negri</strong> <strong>Bossi</strong> quando valutal’andamento delle filiali straniere». Cosa si può fare, dunque, per farripartire il <strong>mercato</strong> italiano? E ancora «Come si può arginare la delocalizzazionee attirare nuovi investimenti in Italia? – s’interroga LucianoArreghini –. Mancano politi<strong>che</strong> di sviluppo adeguate, politi<strong>che</strong>invece esistenti in diversi paesi europei». Della stessa opinione BjornNoren: «È la politica fiscale di un paese ad attrarre o respingere gliinvestitori. Da noi al massimo si possono ottenere dei finanziamenti,però strutturati come una sorta di forma di assistenzialismo». Il soloprovvedimento a favore del settore – secondo molti dei presenti– è stata la legge Tremonti, <strong>che</strong> secondo Silvio Tavecchia «Ha sovalidain termini assoluti ne è convinto an<strong>che</strong> Corrado Dimartino: «Finoa dieci anni fa noi parlavamo solamente di macchine con il motoreelettrico su una vite, perché il costo dell’energia in Francia è moltopiù basso e, quindi la macchina totalmente elettrica era poco sentitaoltralpe. Negli ultimi cinque anni an<strong>che</strong> noi ci siamo convertiti all’elettrica,non solo per i consumi ma an<strong>che</strong> per la grande precisione, tanto<strong>che</strong> oggi sotto le 200 tonnellate produciamo ormai quasi solo macchinefull-electric: siamo riusciti a contenerne i costi entro il 20-25 per centorispetto alle idrauli<strong>che</strong>, e questo differenziale potrà essere ammortizzatofacilmente dal cliente con il risparmio sulla bolletta dell’energia elettricae sulle spese di manutenzione. I costi di produzione salgono proporzionalmenteall’aumento della grandezza degli iniettori per la necessità deldoppio motore hi-torque, con relativi due inverter, per la fase di iniezione.Dunque, l’elettrico conviene, come ammortamento del costo rispettoalle presse tradizionali oleodinami<strong>che</strong>, entro un certo limite, direi intornoalla grandezza 1300 Euromap dell’iniettore». Sulle stesse posizioniDavide Bonfadini: «L’orientamentoper tonnellaggi piccoli tende all’elettrico.La difficoltà vera sta nell’adattamentodei vecchi stampi daparte del cliente». Roberto Sallemiafferma <strong>che</strong> questo adattamentonon è così complesso, e di fatto vienestimato un raddoppio dei fatturatidi vendita in Italia proprio grazie aipiccoli stampatori <strong>che</strong> sceglierannol’elettrica.“Nell’interesse delsistema Italiasarebbero auspicabilimaggiori flessibilità,credibilitàe accessibilità alcredito per le aziende<strong>che</strong> innovano”Paolo ZirondoliUsato sicuro e garantitoSe la crisi ha aperto la strada a nuove opportunità, c’è chi ha puntatoall’usato. Non un fatto recente, secondo Silvio Tavecchia, quanto «<strong>Un</strong>fenomeno legato alla moria di trasformatori <strong>che</strong> però si è consumatoin fretta, perché molti pezzi rappresentavano dei veri affari e, chi hapotuto, se li è aggiudicati. Ciò non toglie <strong>che</strong> esistano davvero delleaziende attive in questo ambito, <strong>che</strong> trattano specialmente presse digrande tonnellaggio per lo stampaggio sia di elastomeri sia di termoplastici».Luciano Arreghini sostiene invece <strong>che</strong> nel 2010 le macchineusate in circolazione non fossero po<strong>che</strong>: «Secondo le nostre stime,tra le 300 e le 400 unità, provenienti principalmente da fallimenti eliquidazioni. E poi, oggi <strong>che</strong> la visione del futuro dei trasformatori èdiventata a breve termine, in molti casi si preferisce investire per unbuon usato e meno sul nuovo». Davide Bonfadini, la cui azienda operanel revamping di macchine, conferma i dati sull’usato: «Circa 400pezzi nel 2010». Gli fa eco Corrado Dimartino: «An<strong>che</strong> aziende di uncerto livello, <strong>che</strong> qual<strong>che</strong> anno fa non si sarebbero mai interessateall’usato, ormai lo chiedono purtroppo frequentemente».Market share: chi, quanto e dove«Il <strong>mercato</strong> italiano è poco più di un francobollo, soprattutto separagonato a quelli dei paesi del BRIC o dell’Est asiatico. Così le 50macchine vendute qui valgono quanto 5.000 in Cina o in Brasile»testimonia Davide Bonfadini a proposito dei risultati del 2010 <strong>che</strong>portano IMG a sfiorare il 10 per cento di market share. Per ArburgItalia, invece, il Belpaese rappresenta la seconda piazza a livelloeuropeo con una quota di <strong>mercato</strong> superiore al 20 per cento intermini di volumi e qualcosa in meno come fatturato: il tutto inun contesto <strong>che</strong> vede Polonia e Repubblica Ceca ormai superiori aFrancia e Gran Bretagna» constata Bjorn Noren. Billion punta invecea “quotare” il 10 per cento della produzione sul <strong>mercato</strong> italiano, <strong>che</strong>lo scorso anno si è assestata sul 5 per cento: «Ora <strong>che</strong> l’economiasembra essere ripartita, potremmo riuscire a tornare ai valori precrisi»conferma l’amministratore delegato Corrado Dimartino notando48Plastixaprile 2011

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