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Le origini della camorra - (anno 2010) - Osservatorio per la legalità ...

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OSSERVATORIO PER LA LEGALITA’ E LA SICUREZZA<br />

CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE<br />

Via Vincenzo Ricchioni, 1 - 70123 Bari<br />

LE ORIGINI DELLA CAMORRA<br />

1<br />

a cura di Nisio Palmieri


Introduzione<br />

LE ORIGINI DELLA CAMORRA<br />

Nel settembre 1982 <strong>la</strong> proposta del defunto onorevole La Torre, diventerà legge con <strong>la</strong> firma anche<br />

del ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Nel codice penale sarà introdotto l’articolo 416bis, <strong>per</strong><br />

una nuova fattispecie di reato: l’associazione a delinquere di stampo mafioso e camorristico.<br />

E’ <strong>la</strong> prima volta che <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> è riconosciuta ufficialmente quale organizzazione criminale<br />

<strong>per</strong>icolosa come <strong>la</strong> mafia e <strong>la</strong> ‘ndrangheta. E <strong>per</strong> <strong>la</strong> prima volta <strong>la</strong> Commissione par<strong>la</strong>mentare<br />

antimafia, vent’anni dopo <strong>la</strong> sua istituzione, dedicherà una indagine specifica al<strong>la</strong> criminalità<br />

organizzata in Campania.<br />

Eppure al<strong>la</strong> spalle di questa organizzazione criminale vi è una lunga storia che, a volte, si intreccia<br />

con quel<strong>la</strong> tormentata che portò all’unità d’Italia. Noi ri<strong>per</strong>correremo il suo cammino facendoci<br />

aiutare sia da Vittorio Paliotti che dal prof. Francesco Barbagallo che con <strong>la</strong> loro “Storia <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

Camorra”, edite <strong>la</strong> prima nel 2006, <strong>la</strong> seconda nel <strong>2010</strong>, h<strong>anno</strong> svolto un’o<strong>per</strong>a meritoria, mettendo<br />

in grado il lettore di conoscere, fin nelle sue pieghe più intime, questa associazione criminale che<br />

nul<strong>la</strong> può invidiare, sul piano degli obiettivi e dell’efferatezza posta nel raggiungerli, a quelle<br />

insediate in Sicilia e Ca<strong>la</strong>bria.<br />

Sul piano storico abbiamo ritenuto necessario nel capitolo “Dal tempo dei Borbone all’Italia”, di<br />

richiamare con più insistenza i fatti politici dell’epoca in quanto, ci è sembrato, più direttamente<br />

partecipi al<strong>la</strong> vita e alle gesta di quei criminali. D’altra parte <strong>la</strong> trasformazione dei comportamenti<br />

delittuosi, inizialmente rivolti soprattutto a d<strong>anno</strong> <strong>del<strong>la</strong></strong> plebe, si potevano spiegare soltanto con<br />

un’analisi attenta (come quel<strong>la</strong> che f<strong>anno</strong> Paliotti e Barbagallo) degli avvenimenti che videro loschi<br />

<strong>per</strong>sonaggi utilizzati nel<strong>la</strong> lotta politica che pure si poneva traguardi ambiziosi ed esaltanti. Nel<br />

prosieguo del <strong>la</strong>voro abbiamo reso più scorrevole (almeno così ci è sembrato) <strong>la</strong> narrazione,<br />

preferendo mettere l’accento sullo spessore criminale dell’organizzazione camorrista. Non<br />

trascurando, naturalmente, di riferire gli intrecci con <strong>la</strong> politica che pure, ahinoi, sono violentemente<br />

presenti.<br />

Dai Borbone all’unità d’Italia<br />

Intorno al 1860 lo scrittore italo-svizzero Marc Monnier (figlio di un albergatore residente nel<strong>la</strong><br />

capitale borbonica) definiva <strong>la</strong> Napoli ottocentesca descrivendo una specie di catena di montaggio<br />

che colpiva il visitatore ignaro sin da quando toccava terra, nel vedere l’esattore meglio vestito di<br />

altri plebei che divideva, senza proferire paro<strong>la</strong>, con l’umile<br />

barcaiolo il prezzo del passaggio. Dopo il barcaiolo toccava al facchino, che portava i bagagli al<strong>la</strong><br />

locanda, pagare un secondo esattore. Quando poi saliva in carrozza compariva un altro individuo,<br />

che riceveva il suo soldo dal cocchiere. E così via: .<br />

2


L’inchiesta di Monnier, condotta durante il processo unitario, è un documento prezioso <strong>per</strong>ché si<br />

giovò delle testimonianze dirette dei maggiori es<strong>per</strong>ti, ministri e dirigenti delle forze di polizia, sia<br />

del regime borbonico, che del nuovo governo italiano. Quindi una fonte storica attendibile ben più<br />

dei fantasiosi racconti e leggende che si tramandano, in gran numero, sulle <strong>origini</strong>, le forme<br />

organizzative, i riti, i miti <strong>del<strong>la</strong></strong> peculiare forma di organizzazione criminale che si sviluppa nel<br />

tessuto urbano <strong>del<strong>la</strong></strong> Napoli ottocentesca, dentro gli strati sociali plebei.<br />

Riti e miti ad ogni modo fortemente intrecciati. Da più parti, ad esempio, si riferisce di un rito<br />

iniziatico che vedeva riuniti i camorristi intorno ad un tavolo su cui erano posti un pugnale, una<br />

pisto<strong>la</strong> carica e un bicchiere d’acqua o vino avvelenati. L’aspirante bagnava <strong>la</strong> mano nel sangue che<br />

gli veniva estratto e giurava fedeltà al<strong>la</strong> setta, mostrando di essere pronto a spararsi e a bere il<br />

veleno. Il capo <strong>del<strong>la</strong></strong> riunione prendeva atto del giuramento di sangue; scaricava l’arma, gettava a<br />

terra il bicchiere e consegnava il pugnale al nuovo camorrista. Questo cerimoniale pareva essere di<br />

rigore, ma non era indispensabile seguirlo in ogni circostanza. Altre testimonianze indicavano<br />

procedure molto semplificate, specie nelle carceri. In ogni caso l’ingresso nell’associazione<br />

camorristica veniva festeggiato con grandi banchetti.<br />

<strong>Le</strong> stesse spiegazioni etimologiche del termine ‘<strong>camorra</strong>’ sono numerosissime e molto divergenti.<br />

Del resto <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> ‘<strong>camorra</strong>’ è entrata nel<strong>la</strong> lingua italiana dal gergo, non scritto, usato tra<br />

Settecento e Ottocento dai malviventi napoletani. Tra questi due secoli il termine ‘camorristi’ viene<br />

usato ripetutamente – accanto a ‘oziosi’, ‘vagabondi’, ‘rissosi’, ‘giocatori di professione’ – nei<br />

documenti <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia borbonica e del ministero <strong>del<strong>la</strong></strong> Guerra.<br />

Tra le interpretazioni più recenti ce ne sono un paio di carattere storico, notevolmente differenti.<br />

L’uno associa ‘gamorra’ al<strong>la</strong> città biblica di Gomorra, come tras<strong>la</strong>to di vizio e di ma<strong>la</strong>ffare. L’altra<br />

afferma una sorta di solidarietà lessicale tra i nomi delle tre organizzazioni criminali dell’Italia<br />

meridionale – <strong>camorra</strong>, mafia, ‘ndrangheta – e li fa risalire al<strong>la</strong> terminologia pastorale <strong>del<strong>la</strong></strong> cultura<br />

preromana. Secondo questa spiegazione si sottolinea l’originario fine protettivo e non criminale di<br />

queste ‘fratel<strong>la</strong>nze’ segrete, ‘morra’ significherebbe ‘madre di tutte le greggi’.<br />

C’è da aggiungere che ci sono poi le possibili derivazioni dal<strong>la</strong> lingua castigliana: i termini<br />

‘<strong>camorra</strong>’, ‘camora’, ‘gamurra’ rinviano sia a una corta giacca di te<strong>la</strong>, sia al<strong>la</strong> rissa, al<strong>la</strong> lite.<br />

La connessione tra <strong>camorra</strong> e gioco d’azzardo si è fatta risalire al termine arabo ‘kumar’; e si ritrova<br />

di frequente nei vocabo<strong>la</strong>ri dialettali napoletani dell’Ottocento. Proprio al gioco d’azzardo si<br />

connette l’interpretazione più diffusa nel corso dell’Ottocento, <strong>per</strong> questo <strong>camorra</strong> diventa sinonimo<br />

di estorsione, di riscossione di una tangente, una mazzetta, un pizzo su qualsiasi tipo di attività.<br />

Poi, anche <strong>per</strong> l’influenza delle sette segrete – <strong>la</strong> massoneria, <strong>la</strong> carboneria, l’”unità italiana”, i<br />

calderari del reazionario principe di Canosa – <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> diverrà sempre più organizzazione,<br />

strutturandosi specie dopo l’unificazione nazionale, in associazione di delinquenti specializzati<br />

anzitutto nelle estorsioni su ampia sca<strong>la</strong>, ma diffuse soprattutto nelle carceri e negli eserciti, dove<br />

spesso venivano arruo<strong>la</strong>ti i criminali già detenuti.<br />

La <strong>camorra</strong>, come attività e organizzazione distinta dal<strong>la</strong> criminalità comune, si diffuse nel<strong>la</strong> città di<br />

Napoli presumibilmente nel secondo quarto dell’Ottocento. Diciamo non a caso presumibilmente,<br />

<strong>per</strong>ché non si è finora ritrovata alcuna traccia archivistica degli atti <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia borbonica, né si<br />

sono rinvenuti altri documenti di rilievo storico: <strong>Le</strong> prime notizie ufficiali si ritrovano nel<strong>la</strong><br />

documentazione approntata dal<strong>la</strong> neonata amministrazione italiana. Ci sono, è vero, testimonianze<br />

storiche e letterarie di notevole spessore, come quel<strong>la</strong> citata all’inizio: l’inchiesta di Monnier. Altra<br />

cosa sono i tentativi di cercare antecedenti di questo specifico fenomeno criminale nel<strong>la</strong> storia<br />

moderna di Napoli, tra Cinquecento e Settecento, tra viceregno spagnolo e primo <strong>per</strong>iodo<br />

borbonico. La ricerca, <strong>per</strong>ò, si sfi<strong>la</strong>ccia lungo improbabili fili criminali che si immaginano dipanarsi<br />

nei secoli tra <strong>la</strong> Spagna, Napoli e <strong>la</strong> Sicilia. Questa si addensò in centinaia di miglia di <strong>per</strong>sone nel<strong>la</strong><br />

città-capitale, tra Cinquecento e primo Ottocento, richiamata dalle e<strong>la</strong>rgizioni sovrane e<br />

3


aristocratiche, dall’esenzione fiscale e dal clima mite, che consentiva di sopravvivere in grotte e<br />

caverne a queste masse di diseredati.<br />

Già i primi decenni dell’Ottocento è quasi impossibile tracciare un profilo di questa realtà<br />

criminale.<br />

Ricorrendo alle fonti storiche attualmente disponibili, si può dire che <strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, come associazione<br />

di delinquenti, si sviluppa tra Napoli, Caserta e altre aree <strong>del<strong>la</strong></strong> regione Campania lungo tutto<br />

l’Ottocento, fino ai primi decenni del Novecento. Poi si determinerà una rottura nel<strong>la</strong> continuità del<br />

fenomeno criminale, che assumerà caratteri innovativi ed espansivi, e manterrà il vecchio nome<br />

solo in ordine al<strong>la</strong> collocazione territoriale.<br />

Negli anni <strong>del<strong>la</strong></strong> restaurazione borbonica, dopo il congresso di Vienna, <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> si dà<br />

un’organizzazione, che prevede tre livelli da <strong>per</strong>correre: picciotto d’onore, picciotto di sgarro,<br />

camorrista. Prima di iniziare questa specie di carriera, il giovane aspirante è chiamato tamurro.<br />

Viene eletto un capo <strong>per</strong> ognuno dei dodici quartieri di Napoli, che sono a loro volta suddivisi in<br />

paranze. Lo stesso avviene <strong>per</strong> alcuni capoluoghi provinciali, oltre che nei luoghi di detenzione e<br />

nei corpi militari.<br />

Questi caposocietà eleggono un capintesta generale <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> napoletana, che <strong>per</strong> un lungo<br />

<strong>per</strong>iodo corrisponde al caposocietà <strong>del<strong>la</strong></strong> Vicaria: <strong>per</strong> molto tempo il comando dell’organizzazione<br />

resta nelle mani <strong>del<strong>la</strong></strong> famiglia Cappuccio. I capi <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> avevano il titolo di Masto, che<br />

significa maestro, ma anche padrone.<br />

Oltre che nel<strong>la</strong> capitale, <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> si era affermata già in epoca borbonica nel<strong>la</strong> Terra di Lavoro, in<br />

partico<strong>la</strong>re nell’area ristretta fra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere, dove pare ci<br />

fossero circa 2000 affiliati. La struttura eminentemente napoletana <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> prevedeva che ci<br />

fosse un solo capintesta e che fosse di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano<br />

equiparati ai quartieri di Napoli e potevano avere solo un caposocietà.<br />

Negli anni dell’unificazione nazionale, capintesta <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> era Salvatore De Crescenzo, Tore<br />

‘e Criscienzo. Capo dell’organizzazione criminale <strong>del<strong>la</strong></strong> Terra di Lavoro era Francesco Zampel<strong>la</strong>,<br />

cui De Crescenzo, <strong>per</strong> antica amicizia, riconosceva solo formalmente il titolo di capintesta del<br />

Casertano, senza <strong>per</strong>ò alcun riconoscimento di autonomia. Poi il comando passò nelle mani <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

<strong>camorra</strong> di Aversa e aumentarono le istanze di autonomia rispetto ai capintesta napoletani.<br />

Bisognerà attendere <strong>la</strong> fine dell’Ottocento <strong>per</strong>ché l’organizzazione criminale <strong>del<strong>la</strong></strong> Terra di Lavoro<br />

proc<strong>la</strong>mi <strong>la</strong> sua autonomia eleggendo capintesta l’aversano Vincenzo Serra, senza più reazioni <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

casa madre dell’ex capitale.<br />

A Napoli, intanto, le estorsioni si estendevano dap<strong>per</strong>tutto. Terreno privilegiato erano le carceri. Il<br />

dominio degli affiliati al<strong>la</strong> Consorteria dei camorristi era qui totale, e ciascun detenuto era<br />

tartassato dall’ingresso al<strong>la</strong> eventuale uscita. La prima richiesta riguardava una quota di denaro<br />

necessaria – si affermava – ad assicurare l’olio <strong>per</strong> <strong>la</strong> <strong>la</strong>mpada <strong>del<strong>la</strong></strong> Madonna del Carmine. Poi<br />

erano estorsioni e vessazioni continue, che toccavano qualsiasi attività svolta dal detenuto, e si<br />

riassumevano nel<strong>la</strong> trattenuta di una decima sul denaro e su tutto quanto veniva nel<strong>la</strong> sua<br />

disponibilità. Lo sfruttamento dei detenuti da parte degli onnipresenti camorristi toccava l’apice<br />

nelle colonie penitenziarie che il governo borbonico aveva organizzato nelle isole, a partire dalle<br />

Tremiti, di fronte al Gargano.<br />

Ogni detenuto riceveva dieci soldi al giorno. Il camorrista ne prendeva anzitutto uno, il decimo, <strong>per</strong><br />

suo conto; due soldi <strong>per</strong> <strong>la</strong> cassa comune, religiosamente conservata. Restavano sette soldi che il<br />

detenuto spendeva nell’unica distrazione possibile, il gioco. Giocava i sette soldi che gli restavano,<br />

ma sotto <strong>la</strong> vigi<strong>la</strong>nza del compagno. Il quale sorvegliava tutte le ricreazioni, e prendeva un decimo<br />

delle scommesse, <strong>per</strong> ricompensa alle proprie fatiche. Al<strong>la</strong> fine <strong>del<strong>la</strong></strong> giornata, decimo <strong>per</strong> decimo, i<br />

sette soldi erano passati nelle tasche del camorrista. Fino al punto che il depredato,<br />

paradossalmente, finiva <strong>per</strong> essere anche grato al<strong>la</strong> previdenza dell’organizzazione camorristica,<br />

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<strong>per</strong>ché se riusciva ancora, in qualche modo, a mangiare e a vestirsi lo doveva solo all’uso dei due<br />

soldi accantonati <strong>per</strong> <strong>la</strong> cassa comune. L’associazione delinquenziale plebea iniziava così <strong>la</strong> sua<br />

costitutiva attività estorsiva, esercitando una forma di totale sfruttamento delle categorie sociali più<br />

diseredate.<br />

Altro importantissimo fronte delle attività camorristiche era costituito dai mercati, dalle farine e<br />

cereali al<strong>la</strong> frutta, al pesce, al<strong>la</strong> carne. C’erano inoltre le tangenti sulle case da gioco e sul<strong>la</strong><br />

prostituzione, sul “gioco piccolo” diffuso nelle bettole e <strong>per</strong> le strade.<br />

I camorristi, poi, esercitavano in proprio il lotto c<strong>la</strong>ndestino, che procedeva paralle<strong>la</strong>mente a quello<br />

legale. E ancora estorsioni sul nolo delle carrozze e dei carri da trasporto, sullo scarico delle barche,<br />

sull’attività di facchinaggio.<br />

La <strong>camorra</strong> esercitava anche il contrabbando alle barriere daziarie. Percepiva cioè l’esazione fiscale<br />

dei dazi <strong>per</strong> le merci che giungevano nel<strong>la</strong> capitale sia dal<strong>la</strong> terra che dal mare. L’attività<br />

dell’imposizione fiscale era svolta dai camorristi in aggiunta ai funzionari, ma anche, spesso, in loro<br />

sostituzione, con notevole d<strong>anno</strong> <strong>per</strong> l’erario pubblico.<br />

Addetto agli affari economici e finanziari era il contarulo, nominato da ciascun caposocietà <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

gestione del barattolo, dove erano versati gli introiti delle estorsioni compiute dall’organizzazione<br />

camorristica, che si dava il nome di onorata società, o anche di Bel<strong>la</strong> Società Riformata.<br />

L’associazione criminale svolgeva altre funzioni di grosso rilievo: affrontava e risolveva le più<br />

diverse questioni pendenti, componeva le liti e le risse: amministrava cioè – a modo suo – <strong>la</strong><br />

giustizia nei diversi quartieri <strong>del<strong>la</strong></strong> capitale.<br />

Era una violenta organizzazione composta di plebei, che <strong>per</strong>ò guardavano in alto. Da una parte si<br />

ponevano in diretta concorrenza con lo Stato, sottraendogli in notevole parte l’esercizio di una<br />

funzione basi<strong>la</strong>re, qual’era l’esazione fiscale. Per altro verso cercavano di imitare i modelli e codici<br />

di comportamento dell’aristocrazia, facendo ricorso a rituali che davano valore al giuramento e<br />

all’onore. Un ruolo centrale aveva il duello, che si chiamava zumpata, e si svolgeva <strong>per</strong>ò con il<br />

coltello, non con <strong>la</strong> spada. Guardava anche, con interesse imitativo, alle associazioni settarie diffuse<br />

tra le èlites liberali: <strong>la</strong> massoneria e <strong>la</strong> carboneria, anzitutto.<br />

La Consorteria dei camorristi si vedeva come una èlite criminale, si autorappresentava come una<br />

sorta di “aristocrazia <strong>del<strong>la</strong></strong> plebe”, coi propri vincoli e riti iniziatici. Ogni quartiere aveva il suo<br />

tribunale, che si chiamava Mamma. L’intera città aveva il suo organo giudiziario supremo. Era <strong>la</strong><br />

Gran Mamma, presieduta dal capintesta, che in tale funzione assumeva il titolo di<br />

Mammasantissima.<br />

<strong>Le</strong> regole <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> si volevano raccolte in una sorta di statuto <strong>del<strong>la</strong></strong> setta. Di questo frieno<br />

comparivano ogni tanto versioni scritte, sul<strong>la</strong> cui veridicità e utilità sorgono diversi dubbi, visto il<br />

totale analfabetismo dei camorristi. Tuttavia nel 1842 il contarulo o contaiuolo Francesco<br />

Scorticelli, che evidentemente sapeva leggere e scrivere, raccolse queste regole in un frieno<br />

composto di ventisei articoli. Il testo dell’articolo I recitava: .<br />

La Società dell’umiltà esercitava in definitiva una forma di amministrazione privata e illegale, <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

fiscalità, <strong>del<strong>la</strong></strong> sicurezza, <strong>del<strong>la</strong></strong> giustizia. Nell’esercizio di queste funzioni riceveva spesso anche il<br />

p<strong>la</strong>uso di autorevoli esponenti <strong>del<strong>la</strong></strong> c<strong>la</strong>sse dirigente, che mostravano di apprezzare questo ruolo di<br />

supplenza.<br />

La <strong>camorra</strong> costituiva quindi una specie di potere parallelo rispetto ad una debole struttura statale.<br />

Una sorta di contropotere di origine e rappresentanza plebee, che trovava nei propri simili le prime<br />

vittime.<br />

5


Prima del 1848 <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> non si era mai occupata di politica e quindi non aveva avuto problemi<br />

col governo borbonico. Nel decennio seguito al<strong>la</strong> fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848, il<br />

regime poliziesco di Ferdinando II provvide ad incarcerare i principali esponenti dell’opposizione<br />

che non erano espatriati (centri dell’emigrazione politica napoletana erano soprattutto Torino e<br />

Firenze). I camorristi trattarono <strong>per</strong> lo più con rispetto questi aristocratici e intellettuali di valore,<br />

autorizzandoli anche a portare armi di difesa da loro offerte in segno di partico<strong>la</strong>re considerazione.<br />

Da parte sua <strong>la</strong> polizia borbonica, nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dell’ordine pubblico, non mancò di servirsi<br />

dell’organizzazione camorristica, che esercitava una intensa e diffusa autorità nel<strong>la</strong> “città plebea”. E<br />

spesso fece ricorso ai camorristi incarcerati <strong>per</strong> avere informazioni sui comportamenti dei detenuti<br />

politici. In vero, non ci sono prove documentarie a sostegno di una precisa strategia di<br />

col<strong>la</strong>borazione tra il regime poliziesco borbonico e <strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, che comunque riusciva a fare<br />

carriera nel<strong>la</strong> “bassa polizia” e a confermare, anche <strong>per</strong> questa via, il suo ruolo di dominio sulle<br />

masse plebee <strong>del<strong>la</strong></strong> capitale. Esistono invece documenti e rapporti di ministri borbonici che attestano<br />

<strong>la</strong> profonda corruzione degli organi di polizia ai diversi livelli. Si pagavano stabilmente cospicue<br />

tangenti ai commissari di molti quartieri <strong>per</strong> l’esercizio di ogni attività commerciale. <strong>Le</strong> singole<br />

guardie provvedevano in proprio a raccogliere denaro da ogni negozio. Si vendevano <strong>per</strong>messi di<br />

vario genere, come <strong>per</strong> l’a<strong>per</strong>tura domenicale di caffetterie e cantine. Ed era notevole l’attività <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

polizia nei tradizionali settori <strong>del<strong>la</strong></strong> prostituzione e del gioco d’azzardo. In tal modo <strong>la</strong> pessima<br />

amministrazione di questo settore del regime forniva un preciso esempio o<strong>per</strong>ativo <strong>per</strong> <strong>la</strong> già es<strong>per</strong>ta<br />

e attiva organizzazione camorristica; che si occupava di sovrintendere all’ordine nelle prigioni, nei<br />

mercati, nei bordelli, nelle bische.<br />

A loro volta, i liberali cercarono accordi politici con alcuni camorristi. Cercarono un contatto, anzi<br />

fu dato l’incarico a Gennaro Sambiase Sanseverino duca di San Donato di contattare alcuni<br />

camorristi e incontrò alcuni capiparanza vicino all’Albergo dei Poveri. Alle richieste di sostegno i<br />

capi<strong>camorra</strong> risposero con una proposta di ingaggio, che doveva assicurare a ciascuno di loro<br />

10.000 ducati. La trattativa fallì subito. Ma i liberali, che avevano ri<strong>la</strong>sciato imprudentemente ai<br />

camorristi alcuni documenti con <strong>la</strong> denominazione del loro comitato segreto, subirono a lungo, coi<br />

loro amici, pesanti ricatti economici.<br />

La tesi delle parti sociali sempre contrapposte e delle due città sempre inconciliabili tra loro non<br />

corrisponde a una realtà ben più complessa e variegata, fatta di re<strong>la</strong>zioni cangianti nel tempo ma<br />

solide, tra <strong>la</strong> parte aristocratica-borghese <strong>del<strong>la</strong></strong> città e quel<strong>la</strong> plebea-popo<strong>la</strong>re. Altre occasioni di<br />

scambio, a metà Ottocento, avrebbero visto gentiluomini liberali fornire denaro a gruppi<br />

camorristici <strong>per</strong> l’organizzazione di tumulti antiborbonici.<br />

Si andavano invece accentuando le differenze di orientamento tra i ceti popo<strong>la</strong>ri di diverse zone<br />

<strong>del<strong>la</strong></strong> capitale. Per antica tradizione il quartiere marinaro di Santa Lucia era sempre schierato dal<strong>la</strong><br />

parte del re e del regime borbonico (i luciani d’‘o rre). I ceti popo<strong>la</strong>ri di Montecalvario, invece,<br />

dove c’erano molti artigiani ed era attivo il famoso capintesta Tore ‘e Criscienzo, parevano più<br />

orientati verso l’opposizione liberale, specie verso <strong>la</strong> fine del regno delle Due Sicilie.<br />

L’estate 1860 vide scomparire il più grande Stato <strong>del<strong>la</strong></strong> peniso<strong>la</strong> italiana. Il 25 giugno 1860 il<br />

giovane re Francesco II di Borbone, tentò di frenare <strong>la</strong> caduta del suo regno nominando, tra l’altro,<br />

un governo di moderati e liberali, tra cui il prefetto di polizia Liborio Romano. Concesse, ai primi<br />

di luglio, una <strong>la</strong>rga amnistia che liberò detenuti politici, criminali e camorristi. A fine giugno<br />

esplosero tre giorni di tumulti e violenze provocati da delinquenti e da popo<strong>la</strong>ni schierati su fronti<br />

opposti e da quanti si vendicavano delle prepotenze e dei soprusi subiti. Assalti ai commissariati,<br />

tentativi di linciaggio di poliziotti e gendarmi, distruzioni di archivi videro come protagonisti i<br />

capi<strong>camorra</strong> e i loro adepti. In prima fi<strong>la</strong> si schierarono il capintesta Salvatore De Crescenzio e sua<br />

cugina Marianna, detta <strong>la</strong> “Sangiovannara”, che gestiva una taverna al<strong>la</strong> Pignasecca, dentro<br />

Montecalvario. Al<strong>la</strong> testa <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia e poi del ministero dell’Interno era stato posto Liborio<br />

Romano, avvocato e professore di diritto commerciale originario <strong>del<strong>la</strong></strong> Terra d’Otranto, liberale e<br />

6


massone già carbonaro e partecipe dei moti del 1820-21 e del 1848. Venne confinato, imprigionato<br />

e andò in esilio in Francia. Richiesta <strong>la</strong> grazia al re, tornò a Napoli nel ’54.<br />

Nel novembre 1860 giunge a Napoli, dall’Emilia, Luigi Carlo Farini, primo luogotenente generale<br />

delle province meridionali, appena cedute da Garibaldi a Vittorio Emanuele. Al<strong>la</strong> testa del governo<br />

nominato da Farini viene posto Liborio Romano, che conserva il ministero dell’Interno. Ma<br />

direttore <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia viene nominato Silvio Spaventa, cui nel marzo 61 il nuovo luogotenente,<br />

principe Eugenio di Savoia-Carignano, affiderà anche <strong>la</strong> guida del ministero.<br />

Pochi giorni dopo l’insediamento del governo <strong>del<strong>la</strong></strong> prima luogotenenza, Spaventa e il prefetto di<br />

polizia De B<strong>la</strong>sio dirigono il primo grande blitz contro l’organizzazione camorristica, che, intanto,<br />

grazie al<strong>la</strong> sua parziale legittimazione da parte dello Stato, aveva su<strong>per</strong>ato ogni limite nel<br />

contrabbando e nell’esazione in proprio dei dazi.<br />

Tra i più solerti funzionari si illustrer<strong>anno</strong> proprio gli ex camorristi Capuano e Jossa. La parentesi<br />

legalitaria si chiuderà invece <strong>per</strong> il capintesta Salvatore De Crescenzo, che aveva sig<strong>la</strong>to l’accordo<br />

con Liborio Romano: tornerà a svolgere le sue attività criminali e trascorrerà alcuni annui nelle<br />

carceri napoletane, all’iso<strong>la</strong> di Ponza, alle Murate di Firenze, <strong>per</strong> poi tornare libero alle tradizionali<br />

funzioni di capo<strong>camorra</strong> <strong>del<strong>la</strong></strong> Vicaria.<br />

Poco dopo <strong>la</strong> proc<strong>la</strong>mazione del regno d’Italia (ai primi di aprile 1861), il giovane diplomatico<br />

Costantino Nigra, segretario generale <strong>del<strong>la</strong></strong> Luogotenenza Carignano, invia a Spaventa una richiesta<br />

riservata <strong>per</strong> ottenere Notizie sul camorrismo. Il direttore <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia napoletana ha appena inviato<br />

al ministro dell’Interno Marco Minghetti un artico<strong>la</strong>to rapporto sul brigantaggio, <strong>la</strong> questione<br />

demaniale, <strong>la</strong> difficile organizzazione <strong>del<strong>la</strong></strong> Guardia nazionale, senza accenni <strong>per</strong>ò all’attività<br />

camorristica.<br />

Spaventa si applica a preparare <strong>per</strong>sonalmente un Rapporto sul<strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, affidando a un es<strong>per</strong>to<br />

funzionario di sua fiducia. Vincenzo Cuciniello, <strong>la</strong> preparazione di Memoria sul<strong>la</strong> Consorteria dei<br />

Camorristi esistente nelle Provincie Napolitane. Queste re<strong>la</strong>zioni sar<strong>anno</strong> inviate al Luogotenente e<br />

al ministero di Torino a fine maggio. Minghetti farà pubblicare il rapporto sul giornale torinese<br />

, con il suo apprezzamento.<br />

La Memoria preparata da Cuciniello è una precisa descrizione delle forme organizzative <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

Consorteria: sono indicati i tre gradi <strong>per</strong>corsi dagli adepti, le diverse responsabilità, <strong>la</strong><br />

strutturazione <strong>per</strong> province e quartieri napoletani, <strong>la</strong> presenza nelle prigioni e nell’esercito. Più<br />

approfondito è il Rapporto di Spaventa. Intanto par<strong>la</strong> di <strong>camorra</strong> sia <strong>per</strong> le province napoletane che<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> Sicilia e ne fa discendere l’origine dal<strong>la</strong> Spagna e dal suo dominio. Distingue anche tra una<br />

<strong>camorra</strong> napoletana, che si limitava in principio a tassare il gioco e i giocatori, e una più feroce<br />

criminalità siciliana, che entrava come leva volontaria nel reggimento borbonico <strong>per</strong> sfuggire al<br />

carcere duro, ma poi ricadeva nei reati e tornava nelle carceri, dove affermava il suo potere<br />

estorsivo in ogni direzione, dandosi .<br />

Spaventa, da parte sua, proseguiva nell’o<strong>per</strong>azione di espellere dal<strong>la</strong> polizia napoletana <strong>la</strong> gran parte<br />

delle forze camorristiche che vi erano state immesse nel <strong>per</strong>iodo transitorio tra le fine del regno<br />

delle Due Sicilie e l’avvento del regno d’Italia. I problemi più delicati riguardavano<br />

l’organizzazione <strong>del<strong>la</strong></strong> Guardia nazionale, che prevedeva l’espulsione delle guardie cittadine di<br />

provenienza camorristica, e le proteste che montavano tra <strong>la</strong> bassa forza dell’esercito garibaldino.<br />

La decisione, poi, di vietare l’uso <strong>del<strong>la</strong></strong> divisa alle guardie nazionali fuori servizio, <strong>per</strong> impedire i<br />

frequenti abusi e soprusi, scatenò una violenta protesta contro l’azione di Spaventa, che fu assediato<br />

nei suoi uffici e assalito nel<strong>la</strong> sua abitazione. Altre proteste erano organizzate da una parte dei<br />

soldati garibaldini, in cerca di sussidi e di sistemazione.<br />

7


L’arrivo dell’ultimo Luogotenente, il generale Enrico Cialdini, nell’estate 1861, pose fine al<strong>la</strong><br />

<strong>per</strong>manenza dell’austero dirigente politico al<strong>la</strong> guida <strong>del<strong>la</strong></strong> polizia napoletana. Cialdini avvierà una<br />

politica più a<strong>per</strong>ta nei confronti dei democratici e dei garibaldini, reclutandoli in maggior misura tra<br />

le guardie nazionali mobili. I fidati carabinieri, <strong>per</strong>ò, informavano il segretario di polizia che i noti<br />

commissari Jossa e Capuano avevano pensato di rafforzare <strong>la</strong> loro posizione, accordandosi con il<br />

partito garibaldino, introducendo un forte numero di camorristi.<br />

Meno fortuna ebbe il terzo commissario di polizia venuto dal<strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, Ferdinando Mele, che fu<br />

ucciso dal delinquente Salvatore De Mata, accusato di aver ricattato un barone borbonico. Ma i<br />

fratelli De Mata avevano anche svolto il ruolo di guardie del corpo di Silvio Spaventa, quando<br />

mezza Napoli voleva ammazzarlo.<br />

Nell’estate 1861 esplode con grande violenza il brigantaggio nelle province meridionali. Il governo<br />

Ricasoli conferirà al generale Cialdini il comando del VI corpo d’armata e tutti i poteri <strong>per</strong><br />

reprimere le insorgenze contadine. Lo stato d’assedio sarà subito utilizzato a Napoli dal prefetto, in<br />

accordo col questore Carlo Aveta, <strong>per</strong> procedere al rapido arresto di 300 camorristi.<br />

Il prefetto generale La Marmora era fiero di comunicare al ministero dell’Interno, il 23 settembre<br />

1862, di aver potuto assumere questo energico provvedimento . E aggiungeva il suggerimento di confinare in Sardegna i più (circa 150), <strong>per</strong> recidere i rapporti e <strong>la</strong> gestione degli affari con le mogli e gli altri<br />

scherani. Il governo recepì questo indirizzo. Una sessantina di camorristi furono inviati al carcere<br />

delle Murate a Firenze, guidati dal capo<strong>camorra</strong> del carcere di Castelcapuano, il ben noto Salvatore<br />

De Crescenzo, e dal suo omologo nel carcere di San Francesco, Vincenzo Zingone, che fu poi<br />

trasferito insieme a una quindicina di affiliati a Cagliari, dove progettò di uccidere il prefetto e il<br />

delegato di Pubblica sicurezza. Altri camorristi, a decine, furono inviati in isole lontane: duecento a<br />

Capraia, e poi a Pantelleria, Favignana, alle Tremiti. Quindi a Saluzzo, a Brescia, a Pisa, a Pistoia.<br />

Tra il dicembre 1862 e il marzo 1863 si succedono al<strong>la</strong> testa del governo Farini e Minghetti. Al<br />

ministero dell’Interno subentra Ubaldino Peruzzi, che sceglie come principale col<strong>la</strong>boratore Silvio<br />

Spaventa, con l’incarico di segretario generale (carica corrispondente a quel<strong>la</strong> di un odierno<br />

sottosegretario). Da questa postazione Spaventa ri<strong>la</strong>ncia <strong>la</strong> sua guerra al<strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, chiedendo a tutti<br />

i prefetti del Mezzogiorno gli elenchi dei camorristi detenuti e associando poi <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> al<br />

brigantaggio nelle indagini che effettuerà nelle province meridionali <strong>la</strong> Commissione par<strong>la</strong>mentare<br />

d’inchiesta nel corso del 1863.<br />

Vengono poi istituite <strong>la</strong> Commissione provinciale <strong>per</strong> <strong>la</strong> . I documenti fondamentali esaminati dal<strong>la</strong> Commissione<br />

sono costituiti da una quarantina di lettere ritrovate, insieme a numerosi biglietti di<br />

raccomandazione, durante una <strong>per</strong>quisizione nel carcere San Francesco. Queste lettere erano<br />

sottoscritte dal camorrista Antonio Formino e indirizzate a Vincenzo Zingone.<br />

Il problema giuridico affrontato, in via preliminare, dal<strong>la</strong> Commissione in merito a questi<br />

documenti fu . L’unanime<br />

conclusione, di netta impronta garantistica, dichiarò sia l’insufficienza di prova, sia l’indispensabile<br />

verifica <strong>del<strong>la</strong></strong> sua veridicità e di ogni specifica attribuzione. Ad ogni modo, su circa 600 casi<br />

esaminati l’accusa di <strong>camorra</strong> fu confermata <strong>per</strong> circa 500 imputati.<br />

Nello stesso <strong>per</strong>iodo aveva o<strong>per</strong>ato <strong>la</strong> Commissione par<strong>la</strong>mentare d’inchiesta sul brigantaggio, le<br />

cui competenze erano state estese al<strong>la</strong> <strong>camorra</strong> <strong>per</strong> impulso di Spaventa.<br />

Ai primi di giugno 1863 veniva presentato al<strong>la</strong> Camera un disegno di legge, di cui era re<strong>la</strong>tore<br />

l’esule pugliese Giuseppe Massari. Il prolungarsi di un aspro dibattito che rendeva ormai prossimo<br />

il rinvio all’autunno, spinse il deputato Giuseppe Pica a proporre <strong>la</strong> rapida approvazione di uno<br />

8


stralcio. Il testo, più breve, prevedeva <strong>la</strong> sottrazione <strong>del<strong>la</strong></strong> materia al<strong>la</strong> magistratura ordinaria e il<br />

domicilio coatto <strong>per</strong> i sospettati anche solo di connivenza con i briganti e i camorristi, nonché gli<br />

oziosi e i vagabondi. La “legge Pica” fu approvata il 15/8/1863. Il governo ebbe <strong>la</strong> :<br />

La legge eccezionale fu estesa dal brigantaggio al<strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, <strong>per</strong>ché questa venne considerata come<br />

un potere parallelo e alternativo rispetto al<strong>la</strong> sovranità dello Stato, sia sul terreno del monopolio<br />

<strong>del<strong>la</strong></strong> violenza e dell’ordine sociale, che sul piano dell’amministrazione di essenziali funzioni statali:<br />

<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dell’ordine pubblico e <strong>del<strong>la</strong></strong> convivenza civile, l’esazione dei tributi fiscali.<br />

A Napoli <strong>la</strong> Giunta o<strong>per</strong>ò dall’autunno ’63 al<strong>la</strong> primavera ’64, esaminando circa 2000 casi. Ne uscì<br />

una mappa documentata <strong>del<strong>la</strong></strong> delinquenza napoletana, con l’indicazione dei dati anagrafici, dei capi<br />

d’accusa, dei mestieri e dei precedenti penali.<br />

Gli inquisiti <strong>per</strong> <strong>camorra</strong> nel<strong>la</strong> provincia di Napoli, risultano 1285, di cui 900 a Napoli. Oltre il 30%<br />

dei camorristi si concentra nel quartiere Mercato, un altro 35,5% si distribuisce tra Vicaria, Porto e<br />

Pendino. Quartieri poveri; ma anche luoghi dove si svolgono i traffici, le attività economiche: i<br />

mercati <strong>del<strong>la</strong></strong> frutta e del pesce, il porto, <strong>la</strong> dogana, <strong>la</strong> ferrovia, <strong>la</strong> piazza degli orefici e infine il<br />

Tribunale, le carceri, i bordelli.<br />

Circa <strong>la</strong> metà dei sospetti camorristi è costituita da giovani sotto i trent’anni. Tra i mestieri<br />

dichiarati i più numerosi sono i facchini, presenti in tutti i mercati, poi i sensali, che spesso sono<br />

estorsori degli orefici, quindi i commercianti al dettaglio e gli ambu<strong>la</strong>nti, i cantinieri, i caffettieri, i<br />

cocchieri, i calzo<strong>la</strong>i, i falegnami. Il carattere plebeo dell’associazione viene confermato dall’assenza<br />

di impiegati e o<strong>per</strong>ai.<br />

La Giunta riaffermò <strong>la</strong> convinzione che <strong>la</strong> documentazione ritrovata l’<strong>anno</strong> prima nel carcere di San<br />

Francesco poteva considerarsi fondamento probatorio dell’associazione criminale.<br />

L’affermazione del carattere associativo e organizzato <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> costituiva un punto molto<br />

importante. La cultura giuridica liberale aveva in gran sospetto il reato associativo: sia <strong>per</strong> <strong>la</strong> sua<br />

prevalente applicazione ai delitti di associazione e cospirazione politica, sia <strong>per</strong> il rischio di punire<br />

come reati penali anche gli atti solo ‘preparatori’ di progetti non portati a compimento. I problemi<br />

non sorgevano nel<strong>la</strong> valutazione di un concreto reato, ma risultavano di difficile applicazione<br />

quando l’imputato non era accusato di aver compiuto un reato determinato, oltre quello di<br />

associazione criminosa.<br />

Nel primo decennio unitario fu <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> napoletana, e non <strong>la</strong> mafia siciliana, l’oggetto<br />

privilegiato di una continua azione repressiva dello Stato. L’espiazione delle pene e l’esaurirsi delle<br />

procedure eccezionali riportavano a Napoli e dintorni i camorristi, che riprendevano subito le<br />

tradizionali attività.<br />

Nel settembre 1866 il direttore su<strong>per</strong>iore al ministero dell’Interno, Nico<strong>la</strong> Amore, scriveva al<br />

prefetto <strong>del<strong>la</strong></strong> sua città che l’al<strong>la</strong>rme destato nel<strong>la</strong> cittadinanza <strong>per</strong> il prossimo ritorno dei camorristi<br />

dal domicilio coatto aveva costretto il ministero ad appigliarsi al<strong>la</strong> determinazione di non ri<strong>la</strong>sciare<br />

più camorristi di nessuna specie, non tenendo conto delle questioni di mera forma legale,<br />

considerando generalmente il ritorno al<strong>la</strong> loro patria coma causa di un <strong>per</strong>icolo incessante al<strong>la</strong><br />

pubblica sicurezza.<br />

Questo principio non durò a lungo <strong>per</strong>ché ledeva i principi garantisti che lo Stato liberale intendeva<br />

comunque assicurare, fuori dai <strong>per</strong>iodi eccezionali, tanto che già al principio del 1868 il procuratore<br />

Marvasi denunciava che in meno di quattro mesi, dall’aprile all’agosto del ’67, erano tornati nel<strong>la</strong><br />

provincia 158 camorristi.<br />

9


Nel settembre 1869 in un documento preparato dal<strong>la</strong> Prefettura di Napoli venivano confermate le<br />

re<strong>la</strong>zioni che legavano gli ambienti criminali ai ceti sociali più elevati. Autorevoli membri delle<br />

c<strong>la</strong>ssi dominanti intervenivano <strong>per</strong> salvare dal carcere i loro omologhi nel sottomondo criminale.<br />

“<strong>Le</strong> raccomandazioni, diceva <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione prefettizia, cadano d’ordinario a favore dei camorristi più<br />

influenti, quando si pensa che i più famosi camorristi non furono a quel rigore, che altri sottopostivi<br />

ne furono presto liberati, si sarebbe del domicilio coatto tentati di dire: che non colpì i pessimi, che<br />

colpì <strong>per</strong> breve tempo i cattivi e che nel<strong>la</strong> rete ora rimangono solo i pesci piccoli>>.<br />

Sempre nel 1869 si svolgeva, nel<strong>la</strong> città di Castel<strong>la</strong>mmare di Stabia, un processo a carico di 67<br />

imputati, di cui 18 pregiudicati accusati di aver costituito un’associazione criminale con lo scopo di<br />

depredare nel Porto Mercantile, con minacce a mano armata, continuare contrabbandi, esercitare<br />

<strong>camorra</strong> in d<strong>anno</strong> dei commercianti, dell’Erario dello Stato e dei privati. Gli altri 49, imputati di<br />

complicità e ricettazione, erano impiegati doganali, pesatori, facchini.<br />

Nello stesso rapporto del pretore al procuratore del re si dava conto anche di un contrabbando<br />

compiuto dal comandante siciliano di un bastimento proveniente da Trapani con 100 quintali di<br />

sale, in accordo con alcuni camorristi di Castel<strong>la</strong>mmare. Lo sbarco avvenne rapidamente sul<strong>la</strong><br />

spiaggia cittadina e, <strong>la</strong> sera dopo, al<strong>la</strong> marina di Cassano <strong>per</strong> <strong>la</strong> distribuzione nei paesi <strong>del<strong>la</strong></strong> peniso<strong>la</strong><br />

sorrentina, col favore di parecchie guardie doganali corrotte.<br />

Il sindaco di Castel<strong>la</strong>mmare, ch’era proprietario di alcuni bastimenti, non aveva alcuna difficoltà a<br />

ri<strong>la</strong>sciare certificati di buona condotta ai notori camorristi e aveva introdotto negli uffici doganali<br />

due imputati già ammoniti dal pretore. Tra i suoi scaricatori al porto c’era il camorrista più temuto,<br />

Gennaro Ferrara, che, non <strong>per</strong> caso, citerà come testi a suo discarico il sindaco e gli assessori<br />

municipali.<br />

<strong>Le</strong> indagini e gli atti istruttori compiuti dal<strong>la</strong> polizia e dal pretore non appaiono <strong>per</strong>ò sufficienti a<br />

configurare <strong>per</strong> gli imputati il reato di “associazione di malfattori”: né al pubblico ministero, né poi<br />

al tribunale, che procedono rapidamente al<strong>la</strong> scarcerazione di tutti i detenuti. Questa linea liberale,<br />

fortemente garantista, corrispondeva agli orientamenti governativi. C’è da notare che, se il reato<br />

associativo era raramente applicato ai camorristi, più facilmente colpiva internazionalisti, anarchici<br />

e socialisti.<br />

Intanto, anche a Napoli e al Sud era in atto una trasformazione delle re<strong>la</strong>zioni sociali, che produceva<br />

interazioni tra i diversi strati <strong>del<strong>la</strong></strong> società, in uno con il progressivo ampliamento <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

partecipazione politica e delle funzioni di amministrazione e di governo. Anche in presenza di un<br />

suffragio partico<strong>la</strong>rmente ristretto, intorno al 3-4%, si segna<strong>la</strong>vano brogli e compravendita di voti.<br />

Era il caso di un deputato moderato del quartiere napoletano San Giuseppe, De Rosa, che affidava<br />

l’acquisto dei voti a un comitato formato da un commesso municipale, due guardie nazionali, un<br />

cantiniere e un camorrista appena tornato dal domicilio coatto.<br />

L’inchiesta diretta dal senatore Saredo sulle amministrazioni napoletane dopo l’unificazione,<br />

mostrava che già nei primi decenni unitari il<strong>legalità</strong> e criminalità si diffondevano attraverso<br />

re<strong>la</strong>zioni più complesse che andavano ben oltre il sottomondo plebeo e camorristico.<br />

Si andavano formando reti di interessi che avvicinavano sempre più i ceti bassi e quelli alti. Si<br />

affacciavano atteggiamenti, valori che al<strong>la</strong>rgavano i confini <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> plebea verso più moderne<br />

forme di il<strong>legalità</strong>. Al posto <strong>del<strong>la</strong></strong> bassa <strong>camorra</strong>, esercitata sul<strong>la</strong> povera plebe, sorgeva un’alta<br />

<strong>camorra</strong>, composta dai più audaci borghesi. Costoro traevano alimento nei commerci e negli<br />

appalti, nelle pubbliche amministrazioni, nei circoli e nel<strong>la</strong> stampa.<br />

Come rilevava l’inchiesta Saredo, veniva fuori una figura sociale <strong>del<strong>la</strong></strong> realtà politicoamministrativa<br />

di Napoli di fine Ottocento, l’interposta <strong>per</strong>sona. Questa figura, sempre attiva nel<strong>la</strong><br />

Napoli borbonica, trovava più ampi spazi nel<strong>la</strong> nuova organizzazione politica ed elettorale, con <strong>la</strong><br />

diffusione del voto, l’affermazione delle clientele e dello scambio tra voti e servizi. Con le forme<br />

<strong>del<strong>la</strong></strong> corruzione diventava centrale <strong>la</strong> figura dell’intermediario.<br />

10


Scrive, in proposito, lo storico Barbagallo:


questore di Napoli denuncia al procuratore del re che il soggetto dopo tante ribalderie non risulta<br />

mai condannato e <strong>per</strong> questo “va pubblicamente vantandosi <strong>per</strong> le alte protezioni di cui gode”.<br />

Finalmente il 1883 il ventenne ‘o Sciascillo, dopo aver proseguito im<strong>per</strong>territo nelle sue azioni<br />

criminose, viene condannato a sei anni di carcere, in via definitiva. Se ne <strong>per</strong>der<strong>anno</strong> le tracce, né si<br />

conoscer<strong>anno</strong> le specifiche protezioni di cui aveva goduto.<br />

Un settore fondamentale dell’attività camorristica, nel quale o<strong>per</strong>avano anzitutto i capintesta da<br />

Salvatore De Crescenzo a Ciccio Cappuccio, ‘o signorino era quello legato al<strong>la</strong> “filiera” dei cavalli.<br />

Il controllo partiva al momento delle aste degli scarti equini dell’esercito, che venivano accaparrati<br />

a basso prezzo, eliminando, si intuisce con quali mezzi, <strong>la</strong> concorrenza. Il secondo passaggio era<br />

rappresentato dal commercio <strong>del<strong>la</strong></strong> crusca e delle carrube <strong>per</strong> l’alimentazione degli animali. Era<br />

quest’ultima, poi, l’attività ufficiale svolta da molti camorristi. L’organizzazione criminale<br />

esercitava il pieno controllo di tutti i cocchieri e stallieri. A dare forza a questi traffici quindi <strong>la</strong><br />

stretta congiunzione con l’esercizio dell’usura.<br />

La <strong>camorra</strong> non cessava di evolversi. La pratica dell’estorsione, rinnovata e al<strong>la</strong>rgata, si diffondeva<br />

nel<strong>la</strong> “società civile” di quel tempo e nel<strong>la</strong> sua rappresentanza politica e amministrativa.<br />

Ce ne spiega il <strong>per</strong>ché il prof. Barbagallo: .<br />

Al<strong>la</strong> fine dell’Ottocento l’espansione dell’il<strong>legalità</strong> criminale si misurava con gli sviluppi <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

politica. Non essendo ancora nati i partiti di massa, questi si muovevano come aggregati di notabili,<br />

guidati da <strong>per</strong>sonalità eminenti come Nicotera, Crispi, Rudinì, Giolitti, Zanardelli, Sonnino. Non<br />

era più una stretta oligarchia di ricchi e aristocratici. Sul<strong>la</strong> scena politica irrompevano ceti meno<br />

altolocati, più disponibili a più <strong>la</strong>rghe re<strong>la</strong>zioni. Si tenga presente che le riforme elettorali degli anni<br />

’80 al<strong>la</strong>rgavano il voto ai maschi ventunenni in grado di leggere e scrivere.<br />

D’altra parte l’il<strong>legalità</strong> e <strong>la</strong> criminalità applicata alle amministrazioni pubbliche non erano una<br />

novità. L’amministrazione del potere politico era nata, nell’età moderna, a cominciare dal<strong>la</strong> Francia,<br />

con <strong>la</strong> vendita delle cariche e <strong>la</strong> venalità degli uffici. A Napoli, poi, i Borbone avevano affidato<br />

gestione di appalti e tangenti, forniture e concessioni a nobili e principi, ma anche ai propri<br />

camerieri.<br />

La modernità quindi, senza alcun stupore, avanzava anche a Napoli, esprimendo qui pratiche<br />

corruttive e illegali.<br />

A metà agosto del 1884 arrivò il colera e fece il primo morto. A settembre l’epidemia esplose nei<br />

quartieri popo<strong>la</strong>ri e devastò <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione ammonticchiata nei fondaci e nei bassi.<br />

Il 15 gennaio 1885 fu approvato dal Par<strong>la</strong>mento <strong>la</strong> legge <strong>per</strong> il Risanamento <strong>del<strong>la</strong></strong> città di Napoli.<br />

Prevedeva un finanziamento di 100 milioni <strong>per</strong> le o<strong>per</strong>e di bonifica e <strong>per</strong> <strong>la</strong> nuova rete fognaria,<br />

agevo<strong>la</strong>zioni fiscali, una più incisiva procedura d’espropriazione <strong>per</strong> pubblica utilità, che colpiva gli<br />

interessi dei proprietari.<br />

Queste condizioni non convinsero le imprese edili nazionali ad assumere i <strong>la</strong>vori di ‘sventramento’<br />

e di risanamento dei quartieri bassi, considerati costosi e incerti. Si determinò così una paralisi<br />

produttiva.<br />

Soltanto nel 1904 un nuova convenzione consentirà di portare a termine nel 1910 i <strong>la</strong>vori previsti<br />

<strong>per</strong> il 1894. E soprattutto avevano privilegiato <strong>la</strong> costruzione di nuovi quartieri signorili.<br />

12


L’ammodernamento edilizio di Napoli, insomma, era giovato al<strong>la</strong> borghesia e aveva ignorato i<br />

bisogni dei diseredati <strong>per</strong> i quali era stato in principio pensato.<br />

Tuttavia fu realizzato un efficiente sistema di fognature che migliorava <strong>la</strong> situazione igienica <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

città.<br />

La ricostruzione del centro, del sistema fognario e i contratti stipu<strong>la</strong>ti con le società erogatrici dei<br />

servizi pubblici, sollecitavano le amministrazioni ad assumere atteggiamenti imprenditoriali che, tra<br />

scontri certamente non disinteressati, assumevano una sinistra modernità, in quanto spingeva ad<br />

intervenire con <strong>la</strong> richiesta e <strong>la</strong> <strong>per</strong>cezione di ‘contrattare tangenti’.<br />

Sullo sfondo di tutto questo si sviluppava una lotta tra gli aggregati conservatori e clerico- moderati<br />

sostenuti dal<strong>la</strong> Curia arcivescovile e un sistema di potere politico-amministrativo <strong>del<strong>la</strong></strong> Sinistra<br />

massonica guidato dal ministro dell’Interno Giovanni Nicotera.<br />

Il gruppo (ma era ben più di un gruppo) nicoterino, attivo nell’organizzazione delle clientele<br />

politico-amministrativo nei quartieri popo<strong>la</strong>ri del centro, presidiava anche il settore delle imprese<br />

economiche.<br />

Nell’ultimo quinquennio dell’Ottocento l’amministrazione comunale di Napoli resta dei gruppi<br />

nicoterini, poi diventati crispini. Sono questi poi i giorni in cui vengono messe a punto le nuove<br />

convenzioni con <strong>la</strong> Società belga dei tramways, con <strong>la</strong> società <strong>per</strong> l’acqua del Serino e con le<br />

aziende elettriche <strong>per</strong> l’impianto di illuminazione. La pubblica opinione era generalmente convinta,<br />

non a caso, che queste società avessero erogate somme <strong>per</strong> contrattare e definire le convenzioni. Un<br />

rappresentante <strong>del<strong>la</strong></strong> Società belga confermò: .<br />

La <strong>camorra</strong>, intesa come organizzazione di plebei e analfabeti di certo non c’entrava direttamente.<br />

Si trattava di una forma moderna di corruzione cliente<strong>la</strong>re e familistica diffusa anche in altre città e<br />

in altri continenti. Anche se Napoli, nel<strong>la</strong> sua originalità, ci metteva del suo. Per esempio, non<br />

aveva titolo di studio nemmeno il ragioniere capo, che preparava il bi<strong>la</strong>ncio.<br />

Il 1° maggio 1899 i giovani socialisti napoletani fondarono il settimanale .<br />

Obiettivo immediato fu l’attacco contro <strong>la</strong> ‘<strong>camorra</strong>’ amministrativa e politica che dominava<br />

Napoli, <strong>per</strong> cui fu creata un’apposita rubrica tito<strong>la</strong>ta “Contro <strong>la</strong> <strong>camorra</strong>”.<br />

Sul finire del ’99 iniziò il processo a Mi<strong>la</strong>no <strong>per</strong> l’omicidio mafioso del marchese Emanuele<br />

Notarbartolo, già sindaco di Palermo e direttore del Banco di Sicilia. Il figlio <strong>Le</strong>opoldo denunciò in<br />

au<strong>la</strong> il deputato Raffaele Palizzolo quale mandante del delitto. L’8 dicembre <strong>la</strong> Camera approvò<br />

l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole che fu arrestato <strong>la</strong> sera stessa.<br />

Due giorni dopo pubblicava un numero speciale tutto dedicato a Napoli, in considerazione del fatto che .<br />

Gli inizi del novecento – La lotta ai guappi di sciammeria<br />

La lotta al<strong>la</strong> “<strong>camorra</strong> amministrativa” segnerà <strong>la</strong> fine del gruppo che, in un primo tempo, si<br />

richiamava a Nicotera e poi a Crispi. Tuttavia ciò non provoca un cambiamento progressivo e più<br />

democratico. Al Municipio di Napoli tornano a insediarsi i clerico-moderati, i cattolici conservatori<br />

che avevano già amministrato e che rimarr<strong>anno</strong> al potere <strong>per</strong> oltre dieci anni.<br />

13


Negli anni del ri<strong>la</strong>ncio industriale e di una modernizzazione che aveva invaso una <strong>la</strong>rga parte <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

Peniso<strong>la</strong>, a Napoli sarà un moderato conservatorismo politico a guidare il Municipio, le associazioni<br />

commerciali e industriali, gli stessi processi di espansione, anche se re<strong>la</strong>tiva, di gruppi finanzieri e<br />

mercantili.<br />

Non si fermava intanto l’attacco socialista al sistema cliente<strong>la</strong>re e camorristico che caratterizzava<br />

l’attività amministrativa nel<strong>la</strong> metropoli e nel vastissimo territorio agricolo <strong>del<strong>la</strong></strong> Terra del Lavoro<br />

(che si combinava con <strong>la</strong> provincia di Caserta). La condanna più dura, pronunciata da un deputato<br />

socialista, fu riservata al giolittiano Peppuccio Romano, non a caso deputato di Sessa Aurunca<br />

(collocata nel<strong>la</strong> Terra di Lavoro) definito .<br />

<strong>Le</strong> dure parole subite dal giolittiano furono confermate, qualche tempo dopo, dal prefetto <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

provincia di Caserta, che all’epoca si estendeva a Sora e a Gaeta, che in una re<strong>la</strong>zione riservata al<br />

ministero diceva che nell’agro aversano .<br />

Per il vero non erano soltanto i deputati dell’Estrema sinistra ad intervenire contro <strong>la</strong> <strong>camorra</strong>. Un<br />

deputato clerico-moderato di Napoli-Chiaia, denunciava e<br />

invitava il governo a combatter<strong>la</strong>, ammonendo: .<br />

Una parte <strong>del<strong>la</strong></strong> stampa locale (quel<strong>la</strong> che contava) e in partico<strong>la</strong>re il “Mattino” e il suo vate<br />

Scarfoglio, difendeva a tutto campo e con veemenza il Romano. Questo <strong>per</strong>ò non fermava l’azione<br />

<strong>del<strong>la</strong></strong> Prefettura casertana contro il politico-camorrista. Nel collegio di Aversa si raddoppiavano i<br />

contingenti di carabinieri e poliziotti, si aggiungevano quaranta guardie di finanza, veniva impiegata<br />

anche <strong>la</strong> cavalleria. Lo Stato, attestava il prefetto al governo, era entrato in guerra contro<br />

l’onorevole che<br />

si appoggia al<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>vita locale e <strong>la</strong> sostiene vigorosamente traendo in gran parte da essa <strong>la</strong> sua<br />

forza elettorale. Perciò è grato alle figure principali di essa; <strong>per</strong>ciò si ado<strong>per</strong>a in ogni contingenza<br />

in favore loro. Non appena esse h<strong>anno</strong> a rendere qualche conto al<strong>la</strong> giustizia, egli si pone in prima<br />

linea <strong>per</strong> difenderle recandosi <strong>per</strong>sonalmente nelle Aule del Tribunale e mostrandosi a<strong>per</strong>tamente<br />

ai Magistrati compiacenti con <strong>la</strong> veste di fautore e di patrocinatore, sostenuto a sua volta da<br />

numerosi affiliati al<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>vita.[…] Per tutto ciò, che ora il Cav. Romano sia ritenuto moralmente<br />

diffamato è noto; ma <strong>la</strong> recente lotta elettorale ha valso a confermarlo ed a caratterizzarlo<br />

moralmente e politicamente <strong>la</strong> figura di lui.<br />

Il processo Cuocolo, di cui parleremo fra poco, provocò un’attenzione inedita al problema<br />

criminale. Si sviluppava così un’analisi dei caratteri e soprattutto dell’evoluzione del fenomeno<br />

camorristico. Il dirigente sindacale e giornalista, Eugenio Guarino, <strong>per</strong> esempio, poneva fortemente<br />

l’accento sul<strong>la</strong> <strong>per</strong>sistenza e aggiornamento dell’associazione delinquenziale, che pareva assumere<br />

<strong>la</strong> forma di una , i cui tentacoli invadevano tutta <strong>la</strong> città. Indicava, con molto<br />

coraggio e spregiudicatezza, quelli che erano i : i legami con <strong>la</strong> polizia,<br />

specie <strong>per</strong> il controllo del mercato elettorale; <strong>la</strong> tolleranza <strong>del<strong>la</strong></strong> magistratura e, soprattutto, delle<br />

autorità religiose che tanto peso avevano nel<strong>la</strong> città; infine l’assuefazione <strong>del<strong>la</strong></strong> pubblica opinione<br />

allo spettacolo delle istituzioni conniventi con <strong>la</strong> delinquenza.<br />

Il pubblicherà una attenta inchiesta, poi raccolta in volume da Ernesto Serao e<br />

Ferdinando Russo. Serao spiegherà <strong>la</strong> profondità dei cambiamenti che avevano ormai oscurato i<br />

tradizionali riti camorristici e che vedevano sempre più crescere <strong>la</strong> presenza, accanto ai delinquenti<br />

plebei, di strati sociali più elevati ed a<strong>per</strong>ti ad altolocate re<strong>la</strong>zioni, grazie agli accordi elettorali, alle<br />

pratiche usuraie, al controllo delle aste, al gioco e al mondo appassionato ai cavalli.<br />

14


Sarà un funzionario di polizia, Eugenio De Cosa, nel 1908, a tracciare un intrigante profilo di questi<br />

criminali aggiornati ai tempi nuovi:<br />

Il camorrista moderno conosce anticipatamente a chi verrà aggiudicato l’appalto di questa o di<br />

quel<strong>la</strong> amministrazione, rego<strong>la</strong> <strong>la</strong> vendita dell’asta pubblica, ne svia le maggiori offerte, concerta e<br />

mena a termine questue e feste di beneficenza da cui detrae <strong>la</strong>uta sua spettanza. Egli inizia e<br />

“protegge” case da gioco e di prostituzione prestandosi a fornire i capitali che gli vengono poi resi<br />

quintuplicati, dispone <strong>del<strong>la</strong></strong> servitù di tutto il quartiere, ed in caso di elezioni, <strong>per</strong> logica<br />

conseguenza, di 100 o 200 voti, secondo <strong>la</strong> sua importanza e secondo gli anni <strong>del<strong>la</strong></strong> sua carriera. Il<br />

camorrista moderno conosce ed è conosciuto da tutte le Autorità locali; qualche volta è nominato<br />

“notabile” municipale del quartiere, e mercé le sue raccomandazioni, gli abitanti del rione<br />

ottengono dei favori delle concessioni.<br />

A questi delinquenti che, abbandonate le vecchie frequentazioni, si appropriavano delle abitudini<br />

borghesi ed aristocratiche, fu imposto il termine di guappi di sciammeria (ch’era una specie di<br />

abito).<br />

Veniamo ora al . Lo raccontiamo <strong>per</strong>ché rappresenta <strong>la</strong> fine <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong><br />

elegante, non sopravviverà al proditorio assalto dei Reali Carabinieri.<br />

Gennaro Cuocolo era un rinomato basista di furti di appartamenti, pur discendendo da commercianti<br />

di pel<strong>la</strong>mi; sua moglie veniva dal<strong>la</strong> prostituzione. Lui fu ammazzato sul<strong>la</strong> spiaggia di Torre del<br />

Greco; lei, poche ore dopo, nel<strong>la</strong> nuova casa sita tra via Toledo e i Quartieri spagnoli. Era quasi<br />

certamente, una storia di sgarro. Il basista si era appropriato <strong>del<strong>la</strong></strong> parte spettante ai <strong>la</strong>dri finiti in<br />

carcere, che poi si erano vendicati.<br />

La vicenda fu resa più torbida dal fatto che sul<strong>la</strong> stessa spiaggia in una trattoria si intrattenevano<br />

famosi camorristi. C’era il caposocietà di Vicaria e aspirante capintesta Enrico Alfano, detto<br />

Erricone, arricchitosi nei traffici di cavalli: C’era poi il professore Giovanni Rapi, molto attivo in<br />

un Circolo del Mezzogiorno, ben frequentato da nobili e borghesi, che in sostanza era una bisca. Era<br />

presente anche un prete, don Ciro Vittozzi, cappel<strong>la</strong>no del cimitero di Poggioreale, molto legato ai<br />

camorristi.<br />

Sul duplice omicidio si era affermata l’ipotesi di un chiarimento – tra <strong>la</strong>dri, basista e capi<strong>camorra</strong> –<br />

finito tragicamente che aveva conseguentemente imposto l’eliminazione <strong>del<strong>la</strong></strong> donna in quanto<br />

testimone. Il capitano dei Reali Carabinieri, Carlo Fabroni, <strong>per</strong>ò, impresse una inaspettata svolta:<br />

accusò <strong>la</strong> Questura di aver fatto scarcerare i camorristi, <strong>per</strong> vecchie e nuove connivenze, <strong>per</strong>tanto<br />

sollecitò nuove indagini, affidate già al<strong>la</strong> magistratura, <strong>per</strong>altro spaccata al suo interno e sballottata<br />

da molteplici pressioni. L’ufficiale prezzolò un col<strong>la</strong>boratore, Gennaro Abbatemaggio, che<br />

vent’anni dopo avrebbe ritrattato tutto. Intanto forniva false dichiarazioni e prove artefatte che<br />

partivano da una fantasiosa sentenza di un presunto Tribunale <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong>, riunito in una trattoria<br />

di Bagnoli<br />

I delitti erano accol<strong>la</strong>ti a un ristretto gruppo di camorristi eccellenti. Con l’invenzione, poi, di<br />

riunioni, tribunali e sentenze si al<strong>la</strong>rgava l’applicazione del reato di associazione a delinquere. Così<br />

si potevano colpire e togliere dal<strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione alcuni soggetti di quel gruppo di guappi di<br />

sciammeria che con i delitti non aveva colpe, ma che aveva avuto <strong>la</strong> spudoratezza di spartire (o<br />

anche mil<strong>la</strong>ntare) con <strong>la</strong> crema <strong>del<strong>la</strong></strong> società napoletana, angustamente rappresentata da Sua Altezza<br />

Reale Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, residente nel pa<strong>la</strong>zzo reale di Capodimonte.<br />

Protagonista di questa storia presumibilmente fu un certo Gennaro De Marinis, detto il mandriere,<br />

camorrista che esercitava l’attività di usuraio e ricettatore nell’elegante quartiere San Ferdinando e<br />

Chiaia, tra corse di cavalli e puntate nei casini da gioco.<br />

Tuttavia <strong>la</strong> guerra scatenata dai carabinieri contro <strong>la</strong> <strong>camorra</strong>, pare <strong>per</strong> impulso del cugino del duca,<br />

il re Vittorio Emanuele III, era condivisa dalle parti più diverse.<br />

15


Il processo Cuocolo contrappose <strong>la</strong> Questura ai carabinieri e sconquassò <strong>la</strong> magistratura napoletana.<br />

La procura di Napoli rinviò a giudizio più di trenta imputati: alcuni <strong>per</strong> omicidio, <strong>la</strong> gran parte <strong>per</strong><br />

associazione a delinquere. Nel 1911 il processo, <strong>per</strong> legittima suspicione, approdò al<strong>la</strong> Corte<br />

d’Assise di Viterbo. Nel 1912 i giurati emisero una sentenza di colpevolezza. Alfano, Rapi, De<br />

Marinis e altri cinque furono condannati a 30 anni.<br />

La <strong>camorra</strong> elegante si inabissò e scomparve <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> propriamente detta, nel<strong>la</strong> sua forma<br />

ottocentesca.<br />

Come si è potuto leggere tra Ottocento e primo Novecento <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> rappresenta un fenomeno<br />

urbano, espresso da un ceto sociale, <strong>la</strong> plebe, prodotto dal<strong>la</strong> storia di Napoli. Una massa di<br />

diseredati, marginali e dipendenti dalle e<strong>la</strong>rgizioni di re, viceré, aristocratici e borghesi.<br />

I più vocati al<strong>la</strong> delinquenza si organizzano e impegnano il loro ingegno <strong>per</strong> cercare strade diverse,<br />

ancor più quando da Napoli scomparve <strong>la</strong> corte, le e<strong>la</strong>rgizioni e gli uffici.<br />

Quando si procede verso il più liberale primo Novecento aumentano le occasioni d’incontro, di<br />

col<strong>la</strong>borazione tra aggregati politici, economici, amministrativi, camorristici.<br />

La re<strong>la</strong>tiva espansione economica provocherà l’al<strong>la</strong>rgamento dei circuiti economici illegali. Di<br />

conseguenza una maggiore presenza dei delinquenti arricchitisi coi nuovi traffici.<br />

I camorristi e i guappi napoletani si mostravano, si dichiaravano, si addobbavano con vesti<br />

sgargianti. Vi era poi il tentativo, <strong>per</strong> il vero maldestro, di interloquire da vicino con l’alta società.<br />

Tutto ciò produsse una reazione violenta e vincente, tale da distruggere un’associazione criminale.<br />

Basterà dire che mentre <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> tradizionale aveva resistito alle repressioni, quel<strong>la</strong> moderna non<br />

sopravviverà all’assalto dei reali Carabinieri. Il suo inabissamento, dopo il processo Cuocolo,<br />

segna<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua marginalità sociale e <strong>la</strong> subalternità politica ai poteri dominanti.<br />

Dall’avvento del fascismo ai ‘ magliari’<br />

<strong>Le</strong> terre <strong>del<strong>la</strong></strong> Campania costiera erano rico<strong>per</strong>te da orti irrigui, giardini di frutta, seminativi<br />

erborati, le più ricche colture intensive. Un’area, quindi, fertilissima con pochi grandi proprietari e<br />

molti di media e picco<strong>la</strong> consistenza. Che, <strong>per</strong> lo più, fittavano ai coloni. I contadini, molti dei quali<br />

piccoli fittuari e coloni, vivevano in miseria, <strong>per</strong>ché sfruttati sia dai proprietari che dagli<br />

intermediari nelle com<strong>per</strong>e e nel credito.<br />

In questa pianura crescerà una delinquenza che eserciterà uno sfruttamento contadino ben oltre i<br />

confini <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>legalità</strong>. Infatti, le campagne dell’Aversano del No<strong>la</strong>no, dell’area vesuviana, del<br />

confinante agro sarnese diventer<strong>anno</strong> una vasta area <strong>del<strong>la</strong></strong> intermediazione.<br />

Qui, a differenza <strong>del<strong>la</strong></strong> Sicilia, non o<strong>per</strong>ano gabellotti, vi sono, numerosi, mediatori e guappi che<br />

intervengono individualmente senza alcuna appartenenza ad associazioni. Esercitano forme di<br />

intermediazione, anche ricorrendo al<strong>la</strong> violenza, sapendo bene che rappresentano l’unica strada che<br />

<strong>per</strong>mette ai contadini di re<strong>la</strong>zionare con i mercati urbani e con l’industria di trasformazione. Solo<br />

attraverso <strong>la</strong> cinica imposizione <strong>del<strong>la</strong></strong> mediazione viene assicurata <strong>la</strong> commercializzazione dei<br />

prodotti agricoli, nel<strong>la</strong> prima metà del Novecento.<br />

<strong>Le</strong> aree partico<strong>la</strong>rmente infestate da delinquenti e camorristi, di cui si h<strong>anno</strong> notizie fin dal<strong>la</strong> metà<br />

dell’Ottocento, sono l’agro aversano e <strong>la</strong> zona dei Mazzoni, quest’ultima tra i Regi Lagni (canali di<br />

bonifica) e il basso Volturno tra Cancello Arnone, Castelvolturno, Mondragone.<br />

Occorre subito precisare che questa <strong>camorra</strong>, diversamente da quel<strong>la</strong> napoletana, ha essenzialmente<br />

caratteri rurali. Fin dall’Ottocento, comunque, non aveva niente da invidiare a quel<strong>la</strong> urbana, sia <strong>per</strong><br />

16


il numero degli adepti, sia <strong>per</strong> il rilievo dei capi, sia <strong>per</strong> <strong>la</strong> violenza. I camorristi casertani erano, <strong>per</strong><br />

lo più, sensali, mediatori, sedicenti guardiani e, soprattutto, come dice il più volte citato Barbagallo,<br />

. <strong>Le</strong> sue <strong>origini</strong> sono molto antiche.<br />

Questa criminalità, nonostante tutto, tra Ottocento e Novecento, si inserì rapidamente nei processi di<br />

modernizzazione, instaurando rapporti con l’attività politica e amministrativa.<br />

La descritta delinquenza non avrà remore ad inserirsi nel<strong>la</strong> nuova vita politica, determinata<br />

dall’avvento del fascismo, intrigando con podestà e segretari locali del Partito fascista, intervenendo<br />

nei conflitti massonici, non trascurando il suo impegno professionale, tanto che tra il 1922 e il 1926<br />

si segna<strong>la</strong>no centinaia di omicidi, migliaia di furti e rapine, centinaia di incendi e danneggiamenti.<br />

A testimoniarlo, sul finire del 1926, un ispettore generale del ministero dell’Interno documentò<br />

l’espansione di una “<strong>camorra</strong> a raggiera” che dal Napoletano si espandeva nel Casertano e<br />

raggiungeva l’agro Sarnese-nocerino nel Salernitano.<br />

Uno Stato conquistato e amministrato con <strong>la</strong> violenza non poteva <strong>per</strong>mettersi concorrenza alcuna. E<br />

così, mentre in Sicilia a occuparsi <strong>del<strong>la</strong></strong> mafia aveva spedito il prefetto Mori, nel<strong>la</strong> Terra del Lavoro<br />

inviò il maggiore dei carabinieri Vincenzo Anceschi, nato a Giuliano, quindi pratico <strong>del<strong>la</strong></strong> zona.<br />

Non solo, nel 1927 abolì <strong>la</strong> provincia di Terra di Lavoro. La parte al di qua del Garigliano fu<br />

assegnata al<strong>la</strong> provincia di Napoli; da Gaeta fin su a Sora una vasta area fu trasferita al Lazio, nel<strong>la</strong><br />

nuova provincia di Frosinone, che in seguito dovette cederne parte al<strong>la</strong> neonata Littoria (divenuta<br />

poi Latina). Poco dopo fu assunto un altro provvedimento di tipo demografico: i comuni di Casal di<br />

Principe, Casapesenna e San Cipriano di Aversa vennero accorpati col nome di Albanova.<br />

Intanto i carabinieri assolsero il loro compito. Arrestarono migliaia di delinquenti e di fatto<br />

promossero una ventina di processi.<br />

Con il processo Cuocolo e l’attacco al<strong>la</strong> delinquenza casertana i carabinieri raggiunsero l’obiettivo<br />

di sconfiggere <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> storica dalle aree control<strong>la</strong>te dal<strong>la</strong> delinquenza campana. Certo <strong>la</strong> guerra<br />

fu condotta non certo con mezzi garantisti, tuttavia fu vinta.<br />

Questo, naturalmente, non assicurava <strong>la</strong> scomparsa <strong>del<strong>la</strong></strong> criminalità, ma si esauriva il ciclo storico<br />

dell’associazione di delinquenti dotata di propri riti e miti. Restavano i gruppi, sparsi nei quartieri,<br />

che gestivano e control<strong>la</strong>vano <strong>la</strong> delinquenza diffusa.<br />

Ci sembra qui opportuno puntualizzare un aspetto. La mafia siciliana, pur colpita dall’azione del<br />

prefetto Mori, procede su una linea di continuità senza fratture e significativi cambiamenti. La<br />

differenza con <strong>la</strong> delinquenza campana sta nel fatto che <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> ottocentesca resta,<br />

indubbiamente, un fenomeno marginale e subalterno rispetto ai poteri dominanti, mentre <strong>la</strong> mafia è<br />

stata sempre in contatto e in concorrenza con le c<strong>la</strong>ssi dominanti in Sicilia ed espande il suo spazio<br />

o<strong>per</strong>ativo dentro il sistema di potere dell’iso<strong>la</strong>.<br />

.<br />

Il contrabbando delle sigarette americane e <strong>la</strong> borsa nera dei prodotti di prima necessità sono un<br />

commercio che vedono impegnate masse popo<strong>la</strong>ri e mettono in luce i principali esponenti criminali,<br />

non più legati a gruppi camorristici ma o<strong>per</strong>atori individuali. Ritornano in uso, di conseguenza, altre<br />

denominazioni: guappi, carte di tressette. A Napoli dettano legge tre gruppi di fratelli: Spavone,<br />

Mormone, Giuliano.<br />

Nel 1945 Carmine Spavone, ‘o malommo, viene ucciso da Giovanni Mormone, ‘o mpicciuso (il<br />

litigioso), ammazzato, a sua volta, da Antonio Spavone, che subentra al fratello anche nel<br />

sopr<strong>anno</strong>me. Ci racconta Barbagallo:


dall’annegamento più <strong>per</strong>sone, tra cui due agenti e <strong>la</strong> figlia del direttore, <strong>per</strong> cui ottenne <strong>la</strong> grazia e<br />

il condono <strong>del<strong>la</strong></strong> consistente pena residua>>.<br />

Dominano, in quegli anni ’40 e ’50, <strong>la</strong> borsa nera, i falsi, le contraffazioni, gli scartiloffi (merci<br />

costose vendute <strong>per</strong> tali ma sostituite da mattoni, segatura, cartapressata). Il controllo di questa zona<br />

è assicurato dai fratelli Giuliano: Pio Vittorio, Guglielmo, Salvatore.<br />

Sempre tra gli anni ’40 e ’50 guappi e “carte di tressette” si introducono nelle campagne e in una<br />

specie di borsa merci all’a<strong>per</strong>to, a corso Novara vicino al<strong>la</strong> Stazione centrale di Napoli, sono i nuovi<br />

mediatori che, come i vecchi, sfruttano il <strong>la</strong>voro contadino. Assumono il ruolo centrale tra i<br />

grossisti, che acquistano dai contadini, e i concessionari dei magazzini del mercato ortofrutticolo<br />

all’ingrosso. Insomma, sono quelli che decidono i prezzi e quindi i profitti di tutti gli attori che<br />

trasportano <strong>la</strong> frutta e gli ortaggi dal contadino all’acquirente finale.<br />

Questi si chiamano presidente dei prezzi. Se poi sono bravi e riescono ad imporsi diventano<br />

presidente unico. Nei primi anni ’50 si affermano tre presidenti dei prezzi: Alfredo Misto di<br />

Giugliano, Pasquale Simonetti di No<strong>la</strong>, Antonio Esposito di Pomigliano.<br />

Tra questi tre guappi <strong>la</strong> convivenza è caratterizzata da conflitti con sparatorie sulle aree di rispettiva<br />

competenza. Prevale Simonetti (Pascalone ‘e No<strong>la</strong>) che diventa presidente unico dei prezzi.<br />

Ma i contrasti non si fermarono. Nell’estate 1955 Pascalone ‘e No<strong>la</strong> fu ammazzato proprio a corso<br />

Novara da un sicario di Totonno ‘e Pomigliano (Antonio Esposito). Esposito, poi, fu ucciso dal<strong>la</strong><br />

giovane vedova di Simonetti, <strong>la</strong> diciottenne Pupetta Maresca, ch’era incinta e faceva parte <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

famiglia criminale dei <strong>la</strong>mpetielli di Castel<strong>la</strong>mare di Stabia.<br />

La vicenda ebbe risonanza internazionale <strong>per</strong>ciò segnò <strong>la</strong> conclusione del predominio dei mediatori<br />

criminali e l’emarginazione <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong>. Ciò non impediva a qualche gruppo di aggirarsi, come<br />

don Vittorio Nappi, di stanza a Scafati nell’agro sarnese-nocerino, detto ‘o studente o anche ‘o<br />

signurino. Di famiglia borghese, era iscritto al<strong>la</strong> facoltà di Giurisprudenza a Napoli. Fu coinvolto in<br />

un delitto “d’onore”, andò in carcere <strong>per</strong> un po’, tornò in paese .<br />

Durante il fascismo fu mandato alle Tremiti in soggiorno obbligato.<br />

La sua principale attività fu l’estorsione a d<strong>anno</strong> degli industriali e dei commercianti <strong>del<strong>la</strong></strong> zona, in<br />

cambio di protezione. Dirimeva, inoltre, questioni e dava consigli, a pagamento.<br />

Vi erano altri gruppi nell’area vesuviana. A Castel<strong>la</strong>mare di Stabia im<strong>per</strong>ava Catello Di Somma. Il<br />

leader democristiano Silvio Gava passeggiava insieme a lui, specie nelle campagne elettorali.<br />

Sempre negli anni ’40 e ’50 “carte di tressette” gestivano come grossisti il settore dei magliari che,<br />

in giro <strong>per</strong> l’Italia e l’Europa, vendevano, porta a porta, a basso prezzo, stoffe adulterate passandole<br />

<strong>per</strong> cotone, <strong>la</strong>na, seta. Si trattava di truffe estese anche ai traffici di merce rubata e coinvolgevano,<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> vendita diretta, <strong>la</strong>rghi strati popo<strong>la</strong>ri che vivevano di attività illegali.<br />

Per concludere il capitolo, aggiungiamo che questa delinquenza urbana, negli anni ’50, come <strong>la</strong><br />

<strong>camorra</strong> ottocentesca, restava marginale e subalterna.<br />

La guerra tra i c<strong>la</strong>n dei marsigliesi e Cosa Nostra a Napoli<br />

Agli inizi degli anni ’60 <strong>la</strong> timida espansione <strong>del<strong>la</strong></strong> società meridionale, promossa dallo sviluppo<br />

economico in atto nel Paese, si accompagnò al più grande sviluppo <strong>del<strong>la</strong></strong> criminalità organizzata che<br />

in Campania avrebbe trasformata <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> storica, facendole assumere forme più consistenti, di<br />

<strong>la</strong>rgo respiro molto lontane dai suoi primordiali appetiti.<br />

18


Qualche <strong>anno</strong> dopo il 1956, con l’indipendenza del Marocco, vi fu <strong>la</strong> chiusura del porto di Tangeri.<br />

I depositi di tabacco, quindi, si spostarono nei porti jugos<strong>la</strong>vi e albanesi da dove, attraversando <strong>la</strong><br />

Puglia, le casse di sigarette arrivavano a Napoli.<br />

I delinquenti napoletani inizialmente svolgono, <strong>per</strong> questo traffico illegale, ruoli secondari: lo<br />

sbarco delle sigarette, <strong>la</strong> collocazione nei magazzini, <strong>la</strong> vendita al dettaglio. I marinai, imbarcati su<br />

veloci scafi, sbarcano le casse in alto mare. I banchetti di vendita delle ‘stecche’ sono sparsi <strong>per</strong><br />

tutta Napoli.<br />

Bisogna chiarire che, negli anni ’60, il contrabbando di tabacco è generalmente considerato<br />

un’attività tra lecito e illecito, tanto che le sigarette vengono portate e vendute in tutti gli uffici di<br />

Napoli, dal<strong>la</strong> Prefettura all’Intendenza di Finanza. Si può certo comprendere il tollerante<br />

atteggiamento in una città che non dà posti di <strong>la</strong>voro sufficienti, le sigarette illegali forniscono una<br />

<strong>la</strong>rga occupazione ben retribuita a <strong>la</strong>rghi settori di emarginati e inquieti (oggi forse lo avremmo<br />

chiamato un ‘ammortizzatore sociale’).<br />

Sono <strong>per</strong> lo più i siciliani di Cosa Nostra e delinquenti corsi, marocchini, algerini che f<strong>anno</strong> capo a<br />

Marsiglia e, <strong>per</strong>ciò, vengono chiamati “marsigliesi”. Ma insieme a questi criminali, secondo un<br />

rapporto <strong>del<strong>la</strong></strong> Guardia di Finanza italiana o<strong>per</strong>ano le banche svizzere, finanzieri di vari paesi europei, ditte import-export<br />

di mezzo mondo.<br />

Intanto <strong>la</strong> mafia siciliana si dibatte in una grave crisi. Dopo <strong>la</strong> prima guerra scoppiata tra i Greco e i<br />

La Barbera, all’inizio degli anni ’60 e dopo <strong>la</strong> strage di Ciaculli del 1963, quando una Giulietta al<br />

tritolo destinata ai Greco ammazza, invece, sette carabinieri, lo Stato repubblicano sferra un duro<br />

attacco a Cosa Nostra.<br />

Abbiamo già detto che negli anni ’60 è Marsiglia il centro internazionale dei traffici illeciti, specie<br />

degli stupefacenti, tra i paesi produttori e quelli consumatori, soprattutto gli Stati Uniti. <strong>Le</strong> cose<br />

cambier<strong>anno</strong> negli anni ’70 quando stabilitosi un accordo tra Stati Uniti e Francia, si svilup<strong>per</strong>à un<br />

duro contrasto al<strong>la</strong> “French Connection” che ridurrà drasticamente il predominio corso-marsigliese.<br />

Si aprirà così <strong>la</strong> strada al<strong>la</strong> affermazione di Cosa Nostra nel controllo delle reti di traffico degli<br />

stupefacenti nell’area mediterranea.<br />

La situazione cambierà, sempre negli anni ’70, anche <strong>per</strong> <strong>la</strong> delinquenza campana <strong>per</strong> due fattori. Il<br />

soggiorno obbligato che porta nel Napoletano numerosi capimafia; <strong>la</strong> guerra tra Cosa Nostra e il<br />

c<strong>la</strong>n dei marsigliesi <strong>per</strong> il controllo del tabacco e <strong>del<strong>la</strong></strong> droga nell’area napoletana.<br />

Si stabilir<strong>anno</strong> rapporti tra capimafia in soggiorno obbligato e gruppi criminali locali. Infatti, nei<br />

dintorni di Napoli erano giunti, <strong>per</strong> obbligo di dimora, Stefano Bontate, Gaetano Riina, Salvatore<br />

Bagarel<strong>la</strong> ed altri. Per scelta volontaria arrivano Giuseppe Savoca, Tommaso Spadaro e Antonio<br />

Salomone. Latitavano, tra l’altro, nel Napoletano Saro Riccobono, Ger<strong>la</strong>ndo Alberti e il capo dei<br />

corleonesi Luciano <strong>Le</strong>ggio (Liggio), legato ai Nuvoletta di Marano che, <strong>per</strong> suo conto,<br />

amministrava una grande azienda ortofruttico<strong>la</strong> e investiva nei traffici di tabacco e di droga.<br />

La guerra a<strong>per</strong>ta tra c<strong>la</strong>n marsigliesi e mafia siciliana <strong>per</strong> <strong>la</strong> conquista di Napoli gioverà ai criminali<br />

campani che compiono, così, un salto di qualità, <strong>la</strong>sciando le retrovie <strong>per</strong> obiettivi più ambiziosi.<br />

Addirittura le famiglie più solide e affidabili del Napoletano e del Casertano entrano, insieme ai<br />

cugini <strong>del<strong>la</strong></strong> ‘ndrangheta ca<strong>la</strong>brese, nel salotto buono, dell’associazione di orizzonte mondiale: Cosa<br />

Nostra siciliana.<br />

Intanto il soggiorno obbligato esporta mafiosi non solo a Napoli ma anche a Mi<strong>la</strong>no e nel Nord,<br />

.<br />

In questa fase avviene l’ingresso <strong>del<strong>la</strong></strong> delinquenza campana .<br />

19


Tra il 1971 e il 1973 si svolgerà una vera e propria guerra tra mafiosi e marsigliesi, che sono <strong>per</strong> lo<br />

più algerini e marocchini provenienti da Tangeri o Casab<strong>la</strong>nca.<br />

Da parte sua il c<strong>la</strong>n dei marsigliesi, attaccato dal Narcotic Bureau, che gli distrugge le raffinerie di<br />

eroina nei pressi di Marsiglia, ca<strong>la</strong> su Napoli <strong>per</strong> provare a scalzare <strong>la</strong> presenza mafiosa. Arrivano<br />

tutti i capi e si sistemano in alberghi e abitazioni del centro. Sono marocchini, francesi, inglesi,<br />

spagnoli, greci, arabi, ca<strong>la</strong>bresi. Dal<strong>la</strong> Svizzera dirigono il traffico e forniscono i capitali il<br />

finanziere rumeno Alexander Florescu, residente a Ginevra, e lo svizzero Serafino Meniconi,<br />

rappresentante di una delle società svizzere che gestiscono una parte rilevante del contrabbando<br />

internazionale di tabacco.<br />

Cosa Nostra reagisce con forza, con tutte le armi, anche quelle delle ‘soffiate’, che consentono alle<br />

forze dell’ordine di sequestrare ripetutamente grossi carichi di ‘bionde’. Tuttavia nell’autunno del<br />

’72 vengono arrestati i capi del c<strong>la</strong>n dei marsigliesi: può considerarsi quindi fallito il loro controllo<br />

<strong>del<strong>la</strong></strong> piazza di Napoli già dal principio del 1973.<br />

Cosa Nostra, diventata padrona del campo, toglierà dal<strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione i contrabbandieri napoletani<br />

vicini ai maghebrini di Marsiglia, eliminati da un killer venuto apposta da Bagheria. Poi affilierà<br />

come “uomini d’onore” i maggiori e più affidabili criminali napoletani: Michele e Salvatore Zaza<br />

che control<strong>la</strong>vano i traffici nell’area che andava da Santa Lucia a San Giovanni a Teduccio; Angelo<br />

e Lorenzo Nuvoletta di Marano, già in ottimi rapporti, come abbiamo già letto, con il corleonese<br />

<strong>Le</strong>ggio (Liggio); il boss di Giugliano e Vil<strong>la</strong>ricca Raffaele Ferrara che affilierà a Cosa Nostra il<br />

boss aversano Antonio Bardellino.<br />

Secondo una deposizione del mafioso Gaspare Mutolo nel 1973 era stata costituita in Campania una<br />

famiglia di Cosa Nostra. Il rappresentante era Salvatore Zaza, legato a Tano Bada<strong>la</strong>menti, sottocapo<br />

era Lorenzo Nuvoletta, intimo dei corleonesi.<br />

Nel 1974 si stipu<strong>la</strong> un accordo strategico fra i trafficanti siciliani e napoletani uniti nel vincolo di<br />

Cosa Nostra. Si concordano dettagliate regole di funzionamento, stabilendo quattro turni di scarico<br />

nel mar Tirreno di una nave contrabbandiera <strong>per</strong> volta. Il primo turno sarà gestito da Spadaro <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

famiglia palermitana di Porta Nuova, il secondo da La Mattina <strong>per</strong> <strong>la</strong> famiglia di Santa Maria del<br />

Gesù, il terzo da Michele Zaza col nipote Ciro Mazzarel<strong>la</strong> <strong>per</strong> <strong>la</strong> famiglia di Napoli, il quarto da<br />

Pino Savoca <strong>per</strong> <strong>la</strong> famiglia di Brancaccio e <strong>per</strong> <strong>la</strong> Commissione di Cosa Nostra.<br />

E’ il <strong>per</strong>iodo più ricco del traffico del tabacco. Dai libri contabili risulta che Michele Zaza gestisce<br />

nel 1977 un movimento annuale di 5000 tonnel<strong>la</strong>te di sigarette <strong>per</strong> un fatturato di 150 miliardi di<br />

lire.<br />

Nel 1979 questa forma di società si scioglie di comune accordo <strong>per</strong> due motivi. Da qualche tempo<br />

l’interesse primario si è spostato sul narcotraffico. C’è poi l’abilità sia di Zaza che di Spadaro a<br />

privilegiare troppo i propri affari.<br />

A Napoli si era affermato, verso <strong>la</strong> metà degli anni ’70, un trafficante internazionale di cocaina:<br />

Umberto Ammaturo. Questi si era prima legato a Luigi Grieco, ‘o sciecco (l’asino), presto eliminato<br />

dai siciliani, e manteneva buoni rapporti con Spavone (‘o malommo) e anche con Zaza. Si era già<br />

arricchito col contrabbando delle sigarette, quando diede una dimensione internazionale ai suoi<br />

affari. Si trasferì in Perù, a Lima, e diventò un grosso produttore e mercante di cocaina.<br />

Acquistava dai contadini <strong>la</strong> pasta di coca, che raffinava ed esportava nelle maggiori città europee e<br />

italiane. Non aveva problemi con <strong>la</strong> polizia <strong>per</strong>uviana. Sarà arrestato più volte, ma grazie alle<br />

<strong>per</strong>izie del criminologo Aldo Semerari, verrà considerato schizofrenico e detenuto in manicomi<br />

criminali, sempre preferiti dai delinquenti alle carceri. La comune propensione verso il traffico <strong>del<strong>la</strong></strong><br />

cocaina e l’identico carattere impetuoso favorirono rapporti stabili con Antonio Bardellino. Proprio<br />

<strong>per</strong> il carattere, invece, avrebbe contrapposto Ammaturo a Raffele Cutolo, anche lui impegnato<br />

nello smercio di cocaina.<br />

20


Al<strong>la</strong> metà degli anni ’70 si sviluppa <strong>la</strong> dimensione internazionale dei traffici dei più intraprendenti<br />

criminali napoletani e casertani. Il continente privilegiato è l’America <strong>la</strong>tina, <strong>la</strong> merce preferita <strong>la</strong><br />

cocaina. La <strong>camorra</strong>, quindi, non o<strong>per</strong>a più soltanto nei quartieri di Napoli, nelle città <strong>del<strong>la</strong></strong> costa,<br />

nel<strong>la</strong> campagne ma i nuovi boss – Ammaturo, Zaza, Nuvoletta, Bardellino, Cutolo – si muovono<br />

al<strong>la</strong> conquista dei mercati mondiali più redditizi. La <strong>camorra</strong> non è soltanto locale, ma globale. Non<br />

è più <strong>la</strong> <strong>camorra</strong> ottocentesca, è un’altra <strong>camorra</strong> che tratterà da pari con le affermate consorelle di<br />

Sicilia e Ca<strong>la</strong>bria.<br />

Sul finire degli anni ’70 si unificano il contrabbando dei tabacchi e quello <strong>del<strong>la</strong></strong> droga. Mafia<br />

siciliana e criminalità campana procedono all’unisono. Hashish ed eroina raffinata a Palermo<br />

giungono a Napoli fina dal 1977: al c<strong>la</strong>n Di Biase, nei Quartieri spagnoli, e al c<strong>la</strong>n Cozzolino di<br />

Erco<strong>la</strong>no. In questo secondo caso è <strong>la</strong> famiglia Vernengo che spedisce da Palermo a quelli che<br />

considera concessionari <strong>per</strong> <strong>la</strong> distribuzione <strong>del<strong>la</strong></strong> propria eroina in tutta l’Italia.<br />

Napoli diventa rapidamente un grosso mercato di consumo di eroina e di cocaina.<br />

I criminali campani sono diventati maggiorenni, h<strong>anno</strong> frequentato un’alta scuo<strong>la</strong>, girano il mondo<br />

e f<strong>anno</strong> affari sempre più diversificati e diffusi.<br />

Poi arriver<strong>anno</strong> gli anni ’80 con le grandi occasioni di poderoso sviluppo criminale.<br />

********************************************************************************<br />

Qui, <strong>per</strong>ò, noi li <strong>la</strong>sciamo <strong>per</strong>ché ci eravamo assunto il solo compito di<br />

raccontare le radici <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong>, quello che è accaduto in seguito, del resto, è<br />

stato riferito diffusamente dal<strong>la</strong> cronaca quotidiana.<br />

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I N D I C E<br />

Introduzione pag. 2<br />

Dai Borbone all’unità d’Italia “ 2<br />

Una città moderna “ 11<br />

Gli inizi del novecento – La lotta ai guappi di sciammeria “ 13<br />

Dall’avvento del fascismo ai “magliari” “ 16<br />

La guerra tra i c<strong>la</strong>n dei marsigliesi e Cosa Nostra a Napoli “ 18<br />

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