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<strong>Bioetica</strong> & <strong>Società</strong> - <strong>Anno</strong> <strong>XIII</strong> - n. 2/3 - maggio/dicembre 2015<br />
BIOETICA DEGLI ANIMALI • FRANCESCO ZINI<br />
La modificazione della realtà, non solo materiale, costituisce la cifra del lavoro dell’uomo<br />
come progettazione e realizzazione di qualcosa che prima non c’era. La proiezione di<br />
se stesso verso uno studio, una ricerca che qualifica la sua azione e la libera nel suo<br />
sviluppo. In questa attività storica, l’evoluzione umana dimostra la sua libertà, come<br />
capacità di pensare e andare sempre oltre se stesso attraverso la fatica dell’opera,<br />
attraverso il miglioramento della condizioni materiali e attraverso una comunicazione<br />
relazionale progressiva. E’ l’attività intellettuale intesa come potenzialità espressiva della<br />
sua dimensione metafisica che caratterizza l’essere dell’uomo.<br />
L’emergere dell’animalismo contemporaneo coincide proprio nell’incapacità<br />
postmoderna di comprendere tale differenza, portando ad equiparare la dimensione<br />
umana a quella animale-non umana. 27<br />
Difendere la differenza ontologica uomo-animale, appare allora come un segno di<br />
riconoscimento di tale valore verso la partecipazione comune all’ecologia umana, capace<br />
di rispettare sempre meglio la dignità animale, ma altrettanto capace di distinguere<br />
l’enorme potenzialità attuale e attuata (anche quando appare minima in molti casi) tra<br />
uomo e animale nella realtà dell’essere. 28<br />
Mettere in crisi questa differenza determina la prima conseguenza problematica della<br />
teoria animalista che “risiede” nella questione del sacrificio animale per l’alimentazione<br />
umana. Il circolo ermentutico dei diritti degli animali deve sempre chiudersi non tanto sul<br />
divieto di maltrattamenti quanto sul divieto di eliminazione per scopi alimentari. 29<br />
La questione sostanziale non concerne tanto la classificazione specista quanto il senso<br />
del “sacrificio animale” per l’uomo in ottica antropocentrica. Lo sfruttamento intensivo<br />
dell’allevamento ai fini della macellazione per alimentazione chiede di rispondere e<br />
giustificare il gesto del sacrificio animale per dare un senso e una responsabilità al gesto<br />
stesso. La questione è molto delicata sul piano bioetico poiché concerne il “rendere conto”<br />
alla domanda se sia lecito o meno eliminare un animale per utilizzarlo come nutrimento, e se<br />
l’utilizzo dell’animale porterà benefici alla salute psicofisica dell’uomo? Il piano bioetico del<br />
sacrificio animale è intrinsecamente utilitaristico in relazione alla visione antropocentrica: se<br />
il beneficio dell’apporto dell’alimentazione animale sarà vincente rispetto al sacrificio allora<br />
varrà la pena il sacrificio (costo). In questo caso l’utilità marginale è totalmente a favore<br />
dell’uomo e della sua salute, ma si ha comunque il dovere di giustificarne la responsabilità<br />
dell’atto. Se il soggetto umano mangiando quell’animale precedentemente ucciso<br />
“diverrà un uomo migliore”, nel senso che il beneficio apportato alla sua salute è superiore<br />
al costo del sacrificio animale, allora sarà valsa la pena eliminarlo, ma se l’uccisione di<br />
quell’animale non aiuterà quel soggetto umano ad essere “migliore”, allora non sarà<br />
giustificato il gesto dell’uccisione che diverrà inutile. In questo si condensa il servizio della<br />
vita animale per l’uomo, altrimenti andrebbe sospesa immediatamente la produzione e il<br />
consumo di carne animale o intrapresa immediatamente una moratoria dell’allevamento<br />
e della macellazione. O si ritrova il senso del sacrificio animale o riappare l’unica<br />
argomentazione sull’inutilità del sacrificio, poiché l’unica giustificazione all’argomento che<br />
giustifica l’eliminazione animale, oltre i meri dati economici delle imprese che lavorano nella<br />
zootecnia e che producono mangimi per animali e assorbono occupazione con il relativo<br />
margine di produttività in termini di produzione di carne e derivati, risiede nell’affrontare<br />
il senso dell’identità animale: o l’animale può essere sacrificato perché diverso da noi e<br />
serve all’uomo per la sua realizzazione (salute psico-fisica) oppure il riconoscimento dei<br />
diritti fa scattare il suo pieno diritto a non essere eliminato per qualsivoglia ragione. 30<br />
Sul piano strettamente bioetico se si riuscisse a dimostrare che quel consumo di carne<br />
animale non aiuta a migliorare la qualità della vita della persona che consuma carne, allora<br />
sarebbe doveroso sospendere quel consumo. Ma se anche una sola persona al mondo<br />
traesse beneficio psicofisico dal consumo di carne allora varrebbe la pena il sacrificio<br />
di quell’animale per sostenere l’alimentazione di quella persona. Questo il bilanciamento<br />
degli interessi se ancora si ritenga che il soggetto umano abbia un primato non solo di<br />
specie ma antropologico rispetto agli animali.<br />
In senso contrario le conseguenze dell’animalismo contemporaneo porterebbero<br />
inevitabilmente alla cessazione di ogni “consumo animale”, con esiti paradossali non solo<br />
in relazione alla teoria di Singer, ma relativi al “dato naturale” che quegli stessi animali<br />
spesso si nutrono di altri animali che uccidono per alimentarsi. Ma questo dato naturale<br />
permette di realizzare un’improbabile educazione di tutto il regno animale per insegnare a<br />
non cibarsi più tra specie diverse. Un tale esito paradossale mette in evidenza come dietro<br />
il problema bioetico dei diritti degli animali e del loro riconoscimento giuridico, ci sia la crisi<br />
antropologica della nostra epoca che non riesce più ad elaborare un’idea equilibrata di<br />
soggetto umano o post-umano.<br />
27 Sull’animalismo post umano che si libera della vecchia umanità per aprirsi a sempre nuove forma di interazione uomo-macchinaanimale<br />
si veda Marchesini R., Post-Human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. Da qui le domande<br />
provocatorie: Perché uccidere animali-non-umani per nutrirsi della loro carne quando potremmo farne a meno e vivere di soli<br />
vegetali? Ma anche i vegetali sono esseri viventi non umani? Potrebbero essere senzienti, provare dolore, comunicare? Allora anche<br />
per “loro” vale il riconoscimento soggettivo e il divieto di eliminarli per utilizzarli? Lo stesso potrebbe essere utilizzato anche per gli<br />
esseri invertebrati più piccoli che incidentalmente potrebbero essere calpestati o inalati? Si dovrebbe girare con mascherine per<br />
non rischiare di ingoiare altre esseri viventi? O camminare con una scopa per non rischiare di calpestare qualche insetto? Che differenza<br />
c’è tra la grande scimmia e l’intelligente formica? Per completare il quadro si dovrebbe insegnare alla specie a non eliminare<br />
altre specie, perché anche agli animali carnivori dovrebbe essere impedito di nutrirsi degli altri animali.<br />
28 Il rischio contrario è l’esempio della relazione tra pari in cui rientra l’esempio della normalizzazione della zooerastia o zoofilia<br />
nel riconoscimento dell’esercizio dell’attività sessuale tra uomo e animale (intesa come atto d’amore consenziente), come nel caso<br />
dell’associazione tedesca che me rivendica il diritto di avere rapporti sessuali uomo animale: http://www.zeta-verein.de/en/ .<br />
29 Sulla perdita della centralità dello schema sottomissivo dell’uomo sull’animale si veda M. Calarco, Zoografie. La questione dell’animale<br />
da Heidegger a Derrida, Mimesis, 2012<br />
30 In prospettiva animalista e inclusiva dei diritti degli animali si veda Cavalieri P., La questione animale. Per una teoria allargata dei<br />
diritti umani, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.<br />
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