You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
persecutore è, solitamente, proprio<br />
la notte). Il poter usufruire<br />
di diverse tipologie di social<br />
network ha permesso all’ossessivo/stalker<br />
di perseguitare la propria<br />
vittima nei modi più efficaci<br />
e letali: egli non utilizza più solo<br />
il telefono e nemmeno i messaggi<br />
intimidatori/ricattatori, ma<br />
anche l’opportunità offerta da<br />
WhatsApp di tormentare con<br />
audiomessaggi e da Instagram di<br />
inviare fotografie o filmati. Per<br />
gli ossessivi e i persecutori le possibilità<br />
sono sempre più a portata<br />
di mano e aiutano a eccitare le<br />
loro menti perverse. Un ulteriore<br />
aspetto comportamentale su cui<br />
richiamare l’attenzione riguarda<br />
la personalità “verbalmente<br />
incontinente”, ossia il “troll”. Il<br />
termine deriva dalla figura di<br />
una creatura umanoide presente<br />
in certe fiabe nordeuropee: si<br />
tratta di orchi, di orribili giganti<br />
dal comportamento ruvido, rozzo,<br />
inquietante. Nella cultura<br />
di Internet, il troll rappresenta<br />
colui che frequenta la rete con<br />
lo scopo di far circolare messaggi<br />
provocatori, aggressivi, fuori<br />
tema, irritanti, che spesso hanno<br />
l’obiettivo di disinformare, di offendere,<br />
di creare inutili polemiche.<br />
Insomma, il troll è il fungo<br />
malnato dei social network. Per<br />
incontrare un troll basta viaggiare<br />
nella rete: dove c’è una chat o<br />
un focus group di qualsiasi genere<br />
e argomento, lì si annida l’orco<br />
telematico. Probabilmente,<br />
solo da quando esistono i social<br />
network riusciamo a renderci<br />
conto di quanta frustrazione e di<br />
quanta solitudine c’è tra la gente,<br />
e Internet si conferma uno<br />
strumento prezioso per studiare<br />
il comportamento umano. Il<br />
boom economico ha continuato<br />
per almeno tre decenni a diffondere<br />
un benessere impensabile<br />
fino a pochi anni prima. Ciò<br />
ha contribuito, contrariamente<br />
a quanto ci si poteva aspettare,<br />
a rendere le persone più fragili,<br />
non più forti. L’aspetto cruciale è<br />
rappresentato infatti dalle aspettative.<br />
Se una persona non si<br />
aspetta molto dalla situazione in<br />
cui vive, sa che deve trovare dentro<br />
di sé le energie e le risorse per<br />
agire e per migliorare la propria<br />
posizione sociale: è ciò che hanno<br />
dovuto fare le generazioni che<br />
hanno preceduto la mia. Gente<br />
che ha affrontato le distruzioni<br />
delle guerre, epidemie, scarsità<br />
di beni materiali: molti non ce<br />
l’hanno fatta a non soccombere,<br />
però una buona percentuale di<br />
loro non solo c’è riuscita, ma è<br />
addirittura stata capace di contribuire<br />
allo straordinario cambiamento<br />
di scenario sociale ed<br />
economico degli ultimi decenni.<br />
Larga parte delle generazioni<br />
successive ha vissuto quelle conquiste<br />
come definitive e ha sviluppato<br />
aspettative esorbitanti:<br />
prima fra tutte l’improbabilità di<br />
tornare alla situazione delle generazioni<br />
preboom. La crisi che<br />
ha colpito l’economia mondiale<br />
dal 2007-2008 ha per la prima<br />
volta messo in discussione quelle<br />
certezze, deludendo drasticamente<br />
le aspettative di chi si riteneva<br />
al riparo da eventi esterni.<br />
Da questo inaspettato attacco<br />
alla personale sicurezza economica<br />
nasce un profondo<br />
senso di frustrazione<br />
che, non trovando<br />
spazio né conforto<br />
nelle tradizionali ideologie,<br />
cerca nuovi<br />
spazi di espressione<br />
e rappresentazione.<br />
I social network, offrendo<br />
in modo (quasi)<br />
gratuito i loro servizi,<br />
concedono l’illusione che<br />
ogni critica e ogni sfogo<br />
possano liberarsi dall’angustia<br />
delle singole vite per giungere<br />
all’universalità (quella promessa<br />
dalle tecnologie digitali): questo<br />
è il pane quotidiano di cui si cibano<br />
i troll, persone capaci solo<br />
di lamentarsi, di esprimere un<br />
malcontento che non giunge ad<br />
alcuna proposta fattiva, che non<br />
può concepire alcun progetto<br />
di reale cambiamento, ma solo<br />
il piacere di uno sfogo fine a se<br />
stesso. I social network corrono<br />
dunque il rischio di prendere il<br />
posto del vecchio Bar dello Sport<br />
o delle osterie della mia gioventù,<br />
con una differenza: un tempo<br />
chi imprecava o offendeva era<br />
visibile in carne e ossa, mentre<br />
oggi il troll, il provocatore professionista<br />
della rete, è mimetizzato<br />
nella nuvola digitale, segnalato<br />
soltanto da un nickname. A<br />
questa gente non interessa avere<br />
ragione e nemmeno argomentare<br />
i propri attacchi mediatici: la costruzione<br />
e la saldezza della loro<br />
identità è direttamente correlata<br />
alla dimensione del danno che<br />
producono.