6° Numero 3d Magazine
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“Questa vita è stupenda”<br />
Il suono pungente di una poesia che non si piega. Quella della<br />
poetessa russa Anna Achmatova, che metteva in luce la dittatura<br />
staliniana sussurrando l’inenarrabile. Una voce nostalgica che<br />
guardava con mesto, lucido dolore al passato.<br />
“Negli anni terribili della ežóvščina, ho<br />
passato diciassette mesi in fila davanti<br />
alle carceri di Leningrado. Una volta<br />
qualcuno mi ‘riconobbe’. Allora una<br />
donna dalle labbra livide che stava dietro<br />
di me e che, sicuramente, non aveva<br />
mai sentito il mio nome, si riscosse dal<br />
torpore che era caratteristico di noi tutti<br />
e mi domandò in un orecchio (lì tutti<br />
parlavano sussurrando):<br />
- Ma questo lei può descriverlo?<br />
E io dissi:<br />
- Posso.<br />
Allora una sorta di sorriso scivolò lungo<br />
quello che un tempo era stato il suo<br />
volto.<br />
(Leningrado, primo aprile 1957)”<br />
Si apre così Requiem, una delle opere<br />
più note di una voce per molto tempo<br />
disapprovata e aspramente criticata: la<br />
voce di Anna Achmatova, poetessa russa<br />
che preferiva in realtà essere definita<br />
poeta. Requiem racconta il dolore,<br />
pungente e acuto, di una madre che si<br />
vede prima condannare a morte e, una<br />
volta mutata la pena, deportare l’unico<br />
figlio, accusato dal regime staliniano<br />
di essere un dissidente. Il motivo? Il<br />
figlio di Anna Achmatova portava il<br />
cognome di Gumilëv, fucilato senza<br />
processo nel 1921 con l’accusa di essere<br />
un controrivoluzionario. Fu egli il primo<br />
amore della poetessa, padre di quel<br />
movimento artistico che fu l’acmeismo<br />
— l’incessante ricerca dell’essenza<br />
segreta delle cose a cui la poesia, diretta,<br />
realistica, terrena, doveva tendere. E fu<br />
infatti l’essenza segreta della dittatura<br />
staliniana ciò che la pericolosa poesia di<br />
#3D 70<br />
Achmatova metteva in luce, sussurrando<br />
l’inenarrabile; la sua voce divenne per il<br />
popolo russo “la bocca straziata con cui<br />
un popolo di cento milioni grida”, una<br />
voce nostalgica che guardava con mesto,<br />
lucido dolore al passato.<br />
Il miele selvatico sa di libertà,<br />
la polvere del raggio di sole,<br />
la bocca verginale di viola,<br />
e l’oro di nulla.<br />
La reseda sa d’acqua,<br />
e l’amore di mela,<br />
ma noi abbiamo appreso per sempre<br />
che il sangue sa solo di sangue…<br />
(Il miele selvatico sa di libertà, 1933)<br />
Nata nel 1889, Anna Andreevna<br />
Gorenko mostrò la sua vena poetica<br />
fin dai primi anni della sua vita. Risale<br />
infatti al 1900 la sua prima poesia e<br />
al 1907 la prima pubblicazione, che<br />
apparve con il nome “Achmatova”,<br />
uno pseudonimo preso in prestito<br />
dalla nonna di origine “tartara”, la cui<br />
discendenza la poetessa faceva risalire a<br />
Gengis Khan. Sposò nel 1910 Gumilëv<br />
e in quello stesso periodo, durante il<br />
suo viaggio di nozze, conobbe il pittore<br />
Modigliani, che ebbe occasione di<br />
ritrarla. Il matrimonio con Gumilëv<br />
fallì pochi anni dopo, così come i<br />
seguenti amori della poetessa, che prima<br />
condivise la vita con un assirologo<br />
morbosamente geloso e in seguito con<br />
un critico d’arte, con la cui ex moglie<br />
e figlia si ritrovò a vivere nelle stesse<br />
stanze. L’infelicità penetrò nelle sue dita<br />
al punto da causare un’interruzione<br />
della sua vena poetica, che rimase muta<br />
fino ai primi anni ’40. Fu allora che suo<br />
figlio Lev venne arrestato e Requiem<br />
vide la luce. Vide la luce in maniera<br />
singolare, a sua insaputa, ed effimera<br />
come solo la poesia sa essere. Essendo<br />
Achmatova invisa al regime, infatti, ed<br />
essendo i contenuti del poemetto una<br />
chiara accusa che gettava luce su ciò che<br />
il governo non diceva, Requiem venne<br />
diffuso non sulla carta, ma tramite la<br />
voce. Le più care amiche della poetessa,<br />
infatti, ne impararono i versi a memoria,<br />
trasmettendoli a loro volta, con<br />
venerazione, a voci vicine, finché sotto<br />
la coltre di silenzio imposto, non iniziò a<br />
risuonarne il canto.<br />
Bevo a una casa distrutta,<br />
alla mia vita sciagurata,<br />
a solitudini vissute in due<br />
e bevo anche a te:<br />
all’inganno di labbra che tradirono,<br />
al morto gelo dei tuoi occhi,<br />
ad un mondo crudele e rozzo,<br />
ad un Dio che non ci ha salvato.<br />
(Ultimo brindisi, 1934)<br />
Che cos’era la poesia per Achmatova?<br />
In “La musa” (1924) la poetessa lo<br />
racconta, spiegando come “la vita<br />
sembra sia appesa a un filo” quando<br />
l’attesa dell’ispirazione la consuma. E<br />
quando finalmente la Musa giunge con il<br />
suo flauto e dolce canto, colei che è stata