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IL FENOMENO DEL LOOK ALIKE: “SAILING TOO CLOSE ... - Indicam

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al pubblico cui ci si rivolge di distinguere i prodotti di cui trattasi da quelli aventi un’altra origine<br />

commerciale al momento della decisione di effettuare un acquisto” 26 .<br />

In tema di imitazione di confezione di prodotto, il rischio di confusione e/o il rischio di associazione<br />

assumono una connotazione particolare. Si ha rischio di confusione, nel senso classico del termine,<br />

quando il consumatore che vuole acquistare il prodotto A, acquista invece il prodotto B, perché<br />

tratto in inganno dalla similitudine delle confezioni. Tuttavia, questa ipotesi è forse la meno<br />

frequente. Normalmente, se anche le confezioni si assomigliano molto (nelle immagini, colori e<br />

forme) esse, tuttavia, riportano marchi differenti. Per lo più, le imitazioni riguardano confezioni di<br />

prodotti di largo consumo che abitualmente vengono vendute nei supermercati. E nei supermercati<br />

le confezioni (che si tratti di confezioni di pasta o di confezioni di detersivi o altro) sono allineate<br />

sugli scaffali le une accanto alle altre. Il consumatore che va al supermercato, normalmente si trova<br />

di fronte ad un prodotto ad una distanza piuttosto ravvicinata. Spesso l’acquisto avviene sì<br />

velocemente, ma in una posizione tale in cui il consumatore è in grado di distinguere che una<br />

confezione non è uguale all’altra o che una confezione riporta un marchio differente dall’altro.<br />

Difficilmente, chi vuole A prenderà B nella convinzione che sia A. Invece, succede una cosa<br />

diversa. Il consumatore vuole acquistare A, vede il prodotto B che è assolutamente simile, nella<br />

confezione, al prodotto A. Il consumatore sa che il prodotto B non è il prodotto A, tuttavia acquista<br />

B perché pensa che tra l’azienda che produce B e l’azienda che produce A vi sia un qualche<br />

collegamento; il consumatore penserà che forse B è una sottomarca di A e dunque B ha la stessa<br />

qualità di A. Qui si verifica, allora, un rischio di associazione.<br />

Cioè, si verifica:<br />

i) alterazione del processo decisionale del consumatore;<br />

ii) possibile sviamento di clientela;<br />

iii) danno per l’impresa che ha diritti sulla confezione.<br />

L’errore, secondo noi, sta nel ritenere che un rischio di associazione tout court non crei confusione e<br />

non meriti protezione. Non è così. La decisione di comprare B e non A determina, nella mente del<br />

consumatore, alterazione decisionale al momento dell’acquisto.<br />

4.2 L’imitazione della confezione è un atto sleale. L’applicazione dell’art. 2598 n. 3 c.c.<br />

Il problema che vogliamo in conclusione affrontare e che speriamo possa rappresentare uno spunto<br />

di riflessione, è il superamento della visione ristretta della imitazione della confezione dal solo<br />

punto di vista della disciplina concorrenziale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.), ossia dal solo punto di<br />

vista del rischio di inganno per il consumatore 27 .<br />

L’imitazione della confezione non è un atto sleale solo perché l’imitazione crea confusione. Una<br />

tale concezione, troppo spesso adottata dalla prassi giudiziale, finisce col negare tutela alla<br />

confezione per il semplice fatto che in concreto la confusione pare non sussistere 28 . E non sussiste<br />

per svariati motivi: perché i singoli elementi della confezione sono giudicati non distintivi oppure<br />

non sono completamente identici, o ancora perché i canali distributivi sono diversi, oppure il<br />

marchio apposto sulla confezione è diverso. Il consumatore, che, come dice la Corte di Giustizia,<br />

oggi sempre più spesso è consumatore attento e informato, può sapere che i prodotti, pur<br />

presentando una confezione simile e confondibile, provengono da due fonti produttive diverse.<br />

Non c’è confusione, allora, non c’è concorrenza sleale? La conclusione è inaccettabile.<br />

Si è perso di vista il fondamento logico, la ratio dell’istituto della concorrenza sleale, che è quello<br />

di colpire il comportamento concorrenzialmente illecito, e non solo quello di proteggere<br />

determinate ideazioni – la confezione del prodotto – o eliminare l’effetto confusorio in relazione al<br />

consumatore.<br />

26<br />

Corte di Giustizia, decisione 16 luglio 1998, C-210/96; 6-Korn-Eier – Gut Springenheide; decisione 22 giugno 1999,<br />

C-342/97, Lloyd.<br />

27<br />

In questo senso si era già espresso ROTONDI, Diritto Industriale, Padova, 1965, pag. 498 ss., il quale ha sostenuto che<br />

è ammissibile l’imitazione servile senza la confusione dei prodotti. Tale atto sarebbe scorretto non tanto ai sensi dell’art.<br />

2598 n. 1 c.c., ma dell’art. 2598 n. 3 c.c.<br />

28<br />

Non sussiste in termini di scambiabilità, mentre esiste pur sempre il collegamento associativo con la fonte produttiva.<br />

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