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N°32 - NOVEMBRE/DICEMBRE 2015<br />
Culture<br />
e Valori<br />
€ 3,50<br />
N.32 - novembre/dicembre 2015 - POSTE ITALIANE SPED.IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L.46/2004, ART. 1, C. 1, DCB - MILANO<br />
STILI DI VITA<br />
Le parole, la visione d’ascolto<br />
ALIMENTAZIONE ECOABITARE AMBIENTE E TERRITORIO<br />
Un’ottima annata<br />
Dal laboratorio della storia Culture e valori in Sardegna
Periodico culturale di informazione<br />
sullo sviluppo sostenibile<br />
SOMMARIO<br />
pag. 10<br />
Editoriale<br />
Sostenibilmente<br />
Giorgio Nebbia<br />
2<br />
3<br />
4<br />
STILI DI VITA<br />
Le parole, la visione d‘ascolto - Franco Cirone<br />
Economia circolare cinese - Alberto Rossi<br />
A cena con le mie amiche vegetariane - Luisa Flauto<br />
6<br />
10<br />
12<br />
pag. 19<br />
ALIMENTAZIONE<br />
Certificazione... ancora questa sconosciuta? - Fabrizio Piva<br />
Un’ottima annata - Nicola Saluzzi<br />
19<br />
22<br />
AMBIENTE E TERRITORIO<br />
I parchi in Italia tra presente e futuro - Dario Sonetti<br />
Culture e valori in Sardegna - Andrea Alessandro Muntoni<br />
ECOABITARE<br />
L’alchimia di un giardino - Mario Allodi<br />
Dal laboratorio della storia - Marco Cagelli<br />
28<br />
32<br />
36<br />
38<br />
pag. 28<br />
La vivisezione è il triciclo - Edgar Meyer<br />
Idea Benessere - rubrica di Daniela Milano<br />
40<br />
43<br />
Le nostre convenzioni<br />
Ecologia in vetrina<br />
Econews<br />
Biblioteca della sostenibilità<br />
44<br />
46<br />
47<br />
48<br />
pag. 40<br />
Rinenergy ® Associazione no profit per lo Sviluppo Sostenibile costituita il<br />
5.12.2007 con sede in Milano via Sardegna 57 - www.rinenergy.it<br />
Presidente: Nicoletta Cova<br />
È attiva nei seguenti settori: agricoltura biologica, salvaguardia delle riserve<br />
energetiche, economia del recupero, progettazione ecologica dei prodotti,<br />
nuove tecnologie, utilizzo di nuovi materiali, nuove professioni, benessere.<br />
Rinenergy ® comunica i propri valori attraverso i propri mezzi periodici e<br />
siti internet. Nella ricerca di un nuovo valore sociale una particolare attenzione<br />
è dedicata agli animali d’affezione ed alla loro convivenza con l’uomo nel<br />
contesto urbano.<br />
Scelte e progetti sono avallati dal Comitato Scientifico composto da:<br />
Ing. Silvano Benitti | fonti rinnovabili – efficienza energetica<br />
Prof. Stefano Bocchi | cropping systems Università degli Studi di Milano<br />
Dr. Gianni Cavinato | tecnologia alimentare<br />
Dr. Franco Cirone | medico chirurgo ricercatore<br />
Prof. Marco Dezzi Bardeschi | urbanistica<br />
Ing. Andrea Alessandro Muntoni | ingegneria ambientale<br />
Prof. Giorgio Nebbia | ecologia<br />
Ing. Alberto Pianta | mobilità<br />
Dr. Fabrizio Piva | certificazione<br />
Dr. Rodrigo Rodriquez | imprenditore (Material Connexion Italia)<br />
Dr.ssa Paola Santeramo | agricoltura periurbana<br />
Dr. Dario Sonetti | biodiversità<br />
Dr. Alessandro Spadoni | chimica cosmetologica<br />
Prof. Roberto Spigarolo | UNIMI Facoltà di Agraria<br />
<strong>Ecoideare</strong><br />
Periodico culturale di informazione sullo sviluppo sostenibile<br />
Direzione, Amministrazione, Redazione<br />
Via Sardegna, 57 20146 Milano - tel. 02 36642800<br />
fax 02 36642803 - info@ecoideare.it - www.ecoideare.it<br />
Direttore editoriale: Nicoletta Cova (n.cova@rinenergy.it)<br />
Direttore responsabile: Edgar Meyer (direzione@ecoideare.it)<br />
Art Direction e impaginazione: Clara Falchi<br />
Copertina: Foto di Lorenzo Mattone, per gentile concessione.<br />
Concorso di Fotografia di Castelbuono, Premio Giovani Enzo Lagrua<br />
Redazione: Daniela Milano (redazione@ecoideare.it)<br />
Marketing e Sviluppo: Nicola Saluzzi (ecoideare@mediasecweb.it)<br />
Pubblicità e iniziative speciali 02 36642800 – 348 7638654<br />
Hanno collaborato a questo numero:<br />
Mario Allodi, Marco Cagelli, Franco Cirone, Luisa Flauto, Edgar Meyer,<br />
Daniela Milano, Andrea Alessandro Muntoni, Giorgio Nebbia, Fabrizio Piva,<br />
Alberto Rossi, Nicola Saluzzi, Dario Sonetti.<br />
<strong>Ecoideare</strong> è realizzata in collaborazione con Gaia Animali e Ambiente Onlus<br />
Testata registrata al Tribunale di Milano.<br />
Registro Stampa Periodica n. 60 - 13/02/2009.<br />
Stampa: Grafiche Andreoli<br />
Via Adamello, 21 - 25048 Edolo (BS)<br />
Per abbonarsi e per informazioni sul proprio abbonamento:<br />
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ECOIDEARE È AMICA DELL’AMBIENTE. QUESTA TESTATA È STAMPATA CON IL 100% DI ENERGIA PULITA SU CARTA CERTIFICATA FSC<br />
PROVENIENTE DA FORESTE DOVE SONO RISPETTATI DEI RIGOROSI STANDARD AMBIENTALI, SOCIALI ED ECONOMICI.<br />
3
Culture e Valori nuovi. Per cambiare rotta<br />
Editoriale<br />
Sostenibilmente<br />
Siamo nei giorni della Conferenza<br />
sul Clima (Cop 21), che si tiene a<br />
Parigi. L’obiettivo è netto: concludere,<br />
per la prima volta in oltre 20 anni<br />
di mediazioni da parte delle Nazioni<br />
Unite, un accordo vincolante e universale<br />
sul clima, accettato da tutte<br />
le nazioni, che limiti il riscaldamento<br />
globale sotto i 2 ° C. E’, davvero,<br />
l’ultima chiamata. O i rappresentanti<br />
politici (e l’economia) si mettono<br />
d’accordo, o si va dritti dritti verso il<br />
disastro di questo pianeta. E dovremo<br />
abituarci a una sempre maggiore<br />
tropicalizzazione del clima, a alluvioni<br />
improvvise, a inondazioni, allo<br />
scioglimento dei ghiacciai, all’innalzamento<br />
del livello dei mari, a milioni<br />
(non le attuali migliaia…) di<br />
profughi ambientali. Altro che Isis.<br />
Eppure, se ne parla poco. I media,<br />
la classe politica e la classe dirigente<br />
fanno fatica a comprendere gli allarmi<br />
di scienziati e ricercatori. Mancano<br />
ancora culture e valori che possano<br />
portare ad una vera inversione<br />
di rotta nel modello di sviluppo della<br />
società umana.<br />
Ecco, il tema di questo numero è<br />
proprio “Culture e Valori”. Perché<br />
noi di <strong>Ecoideare</strong> continuiamo a credere<br />
che non sia impossibile, anzi,<br />
cambiare rotta. E proviamo a portare<br />
qualche contributo. A partire dal<br />
“maestro” Giorgio Nebbia, che ci<br />
parla di “Cultura e valore del rifiuto<br />
e del riciclo”. Franco Cirone introduce<br />
e invita alla riflessione sull’”Io<br />
sostenibile”. Con la sua profondità<br />
filosofica ci parla di una “visione<br />
dell’ascolto” in relazione alle parole.<br />
La giornalista Luisa Flauto presenta<br />
otto storie di persone socialmente e<br />
professionalmente affermate che ci<br />
raccontano come sono diventate vegetariane.<br />
Nuove culture e nuovi valori implicano<br />
anche un nuovo rapporto, più<br />
rispettoso, con gli altri abitanti del<br />
pianeta. Dedichiamo allora alcune<br />
pagine alla speranza che la ricerca<br />
scientifica non utilizzi<br />
più gli animali, e abbandoni definitivamente<br />
paradigmi obsoleti come la<br />
vivisezione. Nuove culture e nuovi<br />
valori, declinati in senso ecocompatibile,<br />
si traducono pure in maggiore<br />
benessere e in migliore qualità della<br />
vita di tutti. Nella sezione “ecoabitare”<br />
proponiamo così una riflessione<br />
sull’”Alchimia del giardino”,<br />
viaggio tra proporzioni armoniche<br />
e colori in un perfetto rapporto pieni-vuoti<br />
e volumi-superfici. E Nicola<br />
Saluzzi nel pezzo “Un’ottima annata,<br />
dallo scandalo metanolo al primato<br />
dei vini made in Italy” ci guida in<br />
un excursus sul cambio della cultura<br />
del vino -legato al cibo e al territorio<br />
italiani- avvenuto negli ultimi<br />
30 anni, cui cultori del buonvivere e<br />
sociologi scrivono fiumi e fiumi di<br />
parole. Un cambio di cultura, peraltro,<br />
accompagnato da un cambio di<br />
prospettiva del mercato. Da non perdere,<br />
infine, l’intervista al filosofo<br />
del vino e analista sensoriale Luigi<br />
De Caro (ha inventato molti anni fa<br />
“enozioni”) che ci parla della filosofia<br />
delle emozioni, perfettamente in<br />
linea con il linguaggio ispiratore del<br />
pioniere Luigi Veronelli.<br />
Buona lettura!<br />
Edgar Meyer<br />
L’ IO SOSTENIBILE<br />
Si può parlare di sostenibilità, di<br />
biodiversità, di efficienza energetica,<br />
di ecologia ambientale<br />
accanto ad una riflessione sulla<br />
condizione umana, sul linguaggio, sul<br />
pensiero, sulla mente, sulla nostra esistenza,<br />
sul soggetto che noi siamo che ha<br />
come oggetto sè stesso?<br />
Noi di <strong>Ecoideare</strong> crediamo che sia fondamentale<br />
fare un passo indietro o laterale<br />
per vedere, con un altro sguardo,<br />
cosa stiamo facendo, le nostre procedure,<br />
i nostri pensieri e quello di cui ci stiamo<br />
occupando di volta in volta. L’apporto<br />
riflessivo e consapevole ci introduce direttamente<br />
a respirare un’aria e atmosfera<br />
nuova nel voler conoscere il processo<br />
stesso della conoscenza.<br />
Per fare ciò cercheremo di avvalerci, per<br />
quanto ci è possibile, di saperi, di pratiche<br />
e di maestri del pensiero, dell’azione,<br />
della riflessione e del saper essere. Potranno<br />
fare da ispirazione, in questo viaggio<br />
di ricerca e conoscenza (che la rivista<br />
da un po’ di tempo ha intrapreso e che<br />
intende ulteriormente percorrere),poeti<br />
filosofi, scienziati, ricercatori, pensatori,<br />
letterati, artisti.<br />
Crediamo che ciò, che innanzitutto ci<br />
riguarda intimamente come persone, sia<br />
una costante e preliminare percezione,<br />
sempre da attuare, ed avere presente,<br />
mentre viviamo (nei vari momenti), di<br />
ciò che accade, di ciò che siamo, di come<br />
pensiamo, di come parliamo, di quello<br />
che sentiamo e di come ci comportiamo.<br />
Questa pratica di consapevolezza di noi e<br />
dei nostri gesti, intrisi di linguaggio, parola,<br />
emozione, visione, ci fa capire che<br />
siamo coinvolti in prima persona, sempre,<br />
qualunque riflessione, azione, ricerca,<br />
studio, discorso, facciamo.<br />
Questo sapere è il primo sapere, da cui<br />
tutto deriva. Essere coscienti di ciò e praticarlo<br />
assiduamente, con passione, è per<br />
noi, la prima scelta ecologica da mettere<br />
in pratica e di cui parlare, madre di tutte<br />
le ecologie e di tutte le sostenibilità. Un<br />
fare etico fondamentale, che normalmente,<br />
ordinariamente, viene poco incluso<br />
nella nostra vita, in cui siamo piuttosto<br />
immersi e identificati.<br />
Un’altra etica in cui crediamo, da praticare<br />
ed attualizzare, è quella del dialogo tra<br />
i saperi. Come dice Prigogine ..“è ormai<br />
tempo per nuove alleanze, alleanze da<br />
sempre annodate, per tanto tempo misconosciute,<br />
tra la storia degli uomini, delle<br />
loro società, dei loro saperi e l’avventura<br />
esploratrice della natura... dobbiamo imparare<br />
a non giudicare più le varie forme<br />
di sapere, di pratica e di cultura prodotte<br />
dalle società umane, ma a incrociarle, a<br />
stabilire nuovi canali di comunicazione”.<br />
L’individuo, arricchito e rinnovato dal<br />
dialogo tra i vari saperi, tra i vari aspetti<br />
della conoscenza, può meglio conoscere<br />
le parti di sé e incontrarle in modo fecondo.<br />
Essere nella possibilità, continua,<br />
della visione di noi e di ambiti, culture<br />
e competenze diverse o inesplorate, può,<br />
a nostro avviso, contribuire alla costruzione,<br />
evolutiva, sostenibile ed appassionata,<br />
del mondo interno a noi prima che<br />
intorno a noi, per essere più vicini a ciò<br />
che siamo, percorrendo un cammino che<br />
ci faccia diventare meno ignoti a noi stessi<br />
e più consapevoli delle nostre scelte<br />
individuali e collettive.<br />
C’è, quindi, un sapere non visto dal sapere,<br />
che normalmente non adotta una<br />
opportuna un’inclinazione e disposizione<br />
per conoscere colui che esercita la conoscenza.<br />
Parleremo, anche di metodi e<br />
vie, di teorie e di applicazioni, scegliendo<br />
quelle più interessanti per noi, per<br />
cui prendere posizione, non aspettando<br />
troppo che la prudenza mormori al nostro<br />
orecchio, credendo, invece, che sia “venuto<br />
il momento dell’inatteso”. ■<br />
Franco Cirone<br />
«Se parli con un uomo in una lingua a lui<br />
comprensibile, arriverai alla sua testa.<br />
Se gli parli nella sua lingua,<br />
arriverai al suo cuore.»<br />
Nelson Mandela<br />
5
Giorgio Nebbia<br />
Prosegue la collaborazione con l’associazione Gaia Italia e Giorgio Nebbia,<br />
uno dei padri nobili del movimento ambientalista italiano e internazionale.<br />
Giorgio Nebbia è stato -ed è ancora- uno dei protagonisti di assoluto rilievo<br />
nello studio della questione ambientale, affrontata nell’ottica del chimico,<br />
dell’economista e del merceologo. nebbia@quipo.it<br />
CULTURA E VALORE<br />
DEI RIFIUTI E DEL<br />
RICICLO<br />
Una interessante e anche divertente operazione<br />
culturale consisterebbe nello scrivere la “storia<br />
naturale” del consumatore, il sostantivo con<br />
cui ciascuno di noi è indicato. In realtà noi non<br />
consumiamo niente ma ci limitiamo ad usare e talvolta a<br />
trasformare le merci che usiamo: usiamo per qualche tempo<br />
gli abiti, i mobili, le stoviglie, l’automobile, la casa, il<br />
telefono cellulare, e tante altri oggetti commerciali a vita<br />
più o meno lunga. Altre merci come gli alimenti, la benzina,<br />
la carta, vengono rapidamente trasformate in rifiuti gassosi<br />
che finiscono nell’atmosfera o solidi che finiscono nelle acque<br />
e nel suolo. Anche le merci a vita lunga, dopo qualche<br />
tempo, “muoiono” e diventano rifiuti. Altri rifiuti vengono<br />
poi generati e immessi nell’ambiente durante le operazioni<br />
agricole e industriali che producono le merci a vita lunga o<br />
a vita breve che ciascuno di noi usa.<br />
Per limitarci ai rifiuti solidi, in Italia si tratta di circa 180 milioni<br />
di tonnellate all’anno. Circa 35 di rifiuti urbani, 50 di<br />
rifiuti industriali, 70 di rifiuti delle attività di cave, miniere<br />
e residui di costruzioni, 25 di altri rifiuti. Nel complesso la<br />
vita quotidiana di ogni italiano comporta la produzione, ogni<br />
anno, di circa 500 chili di rifiuti solidi urbani, di circa 3000<br />
chili di rifiuti solidi totali, pari a cinquanta volte il peso di<br />
ciascuno di noi.<br />
“Rifiuti” è una delle parole che vengono ripetute con maggiore<br />
frequenza in diversissimi contesti; quando protestiamo<br />
per i sacchetti di immondizie che si accumulano nelle strade,<br />
o a proposito dei disturbi ambientali associati alle discariche<br />
o gli inceneritori. Per evitare l’uso inquinante delle discariche<br />
o degli inceneritori ai cittadini viene chiesto di effettuare<br />
una raccolta differenziata dei propri rifiuti domestici<br />
in modo da separare le componenti che potrebbero essere<br />
riciclati con minore effetto ambientale negativo, anzi con<br />
recupero di materiali economici, di “merci riciclate”, che<br />
altrimenti richiederebbero nuove materie prime tratte dalla<br />
natura. Addirittura i rifiuti raccolti in maniera differenziata<br />
sono oggetti di commercio e vengono pagati sulla base di<br />
un “valore” merceologico che dipende dalla “purezza” e<br />
dalla maggiore o minore attitudine ad essere riciclati, cioè<br />
trasformati in altre merci.<br />
Il riciclo è un insieme di attività industriali che coinvolge<br />
centinaia di aziende e diecine di migliaia di lavoratori,<br />
con tecnologie talvolta raffinate e un grande giro di affari.<br />
Ciascuna delle frazioni di rifiuti, raccolti in maniera differenziata,<br />
viene dapprima ritirata da alcune imprese che effettuano<br />
una selezione per eliminare le componenti estranee:<br />
purtroppo infatti spesso molti cittadini, pur volonterosi,<br />
mettono alcuni rifiuti nel cassonetto sbagliato, rendendo talvolta<br />
impossibile il riciclo dell’intero contenuto.<br />
Ciascuna frazione, abbastanza omogenea, di rifiuti (vetro,<br />
plastica, metalli, carta, eccetera) viene venduta (proprio così,<br />
esiste un vero commercio come se si trattasse di qualsiasi altra<br />
materia prima o merce) alle industrie che trasformano i<br />
rifiuti differenziati in nuove merci. Nella Comunità Europea<br />
ciascun rifiuto, dalla lampadina bruciata, alla bottiglia della<br />
conserva di pomodoro, al camion fuori uso destinato alla<br />
rottamazione, è classificato con un codice numerico CER<br />
(Catalogo Europeo dei Rifiuti) e viene avviato allo smaltimento<br />
o al riciclo proprio sulla base di questo codice CER.<br />
Il riciclo è effettuato da industrie specializzate di cui sarebbe<br />
bene conoscere i processi se si vuole fare una raccolta differenziata<br />
veramente efficace.<br />
Il “valore” merceologico dei rifiuti e delle merci riciclate<br />
deve essere accertato con analisi e controlli chimici e fisici,<br />
in qualche caso molto delicati. Ad esempio degli oltre sei<br />
milioni di tonnellate della carta e dei cartoni raccolti in maniera<br />
differenziata in Italia ogni anno, solo cinque entrano<br />
nei processi di produzione di nuova carta e in tali processi<br />
di riciclo si formano altri rifiuti: 400 mila tonnellate all’anno:<br />
fanghi di disinchiostrazione e di altro tipo, che finiscono<br />
nelle discariche o negli inceneritori.<br />
Anche l’industria agroalimentare genera rifiuti riciclabili:<br />
per esempio nella produzione vitivinicola si forma oltre<br />
un milione di tonnellate di sottoprodotti dai quali potrebbero<br />
essere ottenuti gas combustibili o alcol etilico.<br />
Fra le materie più difficili da riciclare ci sono le materie<br />
plastiche; quelle in commercio sono di molti tipi diversi,<br />
ciascuna con composizione chimica e ingredienti diversi,<br />
per cui una gran parte della plastica, anche raccolta negli<br />
appositi cassonetti, finisce nelle discariche (1,6 milioni di<br />
tonnellate all’anno) o negli inceneritori, spesso con effetti<br />
inquinanti dell’atmosfera. Le attività di demolizione degli<br />
edifici e delle costruzioni producono ogni anno circa 50<br />
milioni di tonnellate di residui che, in gran parte, finiscono<br />
nelle discariche. La rottamazione e il riciclo delle varie componenti<br />
dei veicoli fuori uso comporta delicati problemi tecnici<br />
ed ecologici perché le varie parti dei veicoli delle varie<br />
marche hanno composizione chimica differente; le componenti<br />
metalliche devono essere separate e riciclate ciascuna<br />
diversamente e comunque, nella rottamazione, oltre il 25<br />
% del peso del veicolo finisce in un rifiuto, detto “fluff”,<br />
costituito da una miscela di materiali metallici come ferro<br />
e alluminio, materie plastiche, gomma, vetro, fibre tessili,<br />
vernici, di difficile smaltimento.<br />
Gli inceneritori/termovalorizzatori dei rifiuti urbani, che<br />
tanto piacciono a molte amministrazioni locali, lasciano<br />
come residuo circa il 30 % di ceneri; altre ceneri si formano<br />
nei forni che bruciano carbone; la maggior parte di queste<br />
sostanze solide finisce nelle discariche ma sono attivi studi<br />
per vedere se possono “servire” anche loro non solo come<br />
riempitivi stradali ma per estrarne metalli rari.<br />
Benché le operazioni di riciclo siano chiamate, con gioioso<br />
neologismo, “economia circolare”, non bisogna dimenticare<br />
che qualsiasi processo di trattamento e di riciclo dei<br />
rifiuti si lascia dietro inevitabilmente altri rifiuti e inquinamenti:<br />
lo stesso riciclo dei rifiuti richiede la soluzione<br />
di problemi chimici, tecnici, commerciali, argomenti di una<br />
vera e propria “Merceologia del riciclo”, il cui insegnamento<br />
e le cui conoscenze consentirebbero agli amministratori e<br />
agli imprenditori scelte meno costose e, a loro volta, meno<br />
inquinanti, capaci di creare nuova duratura occupazione: infatti,<br />
siate certi, la massa dei rifiuti da trattare aumenterà<br />
sempre. ■<br />
GIORGIO NEBBIA<br />
6<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
7
LE PAROLE,<br />
STILI DI VITA<br />
LA VISIONE<br />
“Non c’è peggior sordo di chi non vuol vedere” (Lao-tze)<br />
D’ASCOLTO<br />
ascoltare con gli occhi<br />
vedere con le orecchie<br />
prima parte<br />
di Franco Cirone<br />
La frase taoista ricordata, anche rispecchiabile nel suo<br />
opposto“non c’è peggior cieco di chi non vuol sentire”,<br />
introduce l’aspetto cinestesico, plurisensoriale, partecipativo,<br />
globale dell’ascolto e della visione, dove la nostra<br />
interezza e presenza, l’aspetto emotivo e cognitivo è sempre in<br />
gioco, per noi che ascoltiamo, parliamo e vediamo. Si può dire,<br />
quindi, che quando una persona non vede non sente, cioè, spesso<br />
fa molta fatica a sentire senza poter vedere l’ascolto, senza guardare<br />
quello che sente.<br />
Ma cosa c’è da ascoltare? Possiamo inoltrarci nel guardare questo<br />
ascoltare. C’è da ascoltare qualcosa che si dice, di cui si parla,<br />
le parole di un discorso. Siamo nel discorso e nella parola in<br />
ogni momento. Per noi che siamo essenzialmente dei parlanti,<br />
immersi da sempre nella parola e nel discorso ci viene difficile<br />
parlare di ciò che ci costituisce, cioè le parole e il discorrere. Ci<br />
rendiamo conto che dobbiamo usare le parole e fare un discorso,<br />
per dire del discorso stesso, per parlare del parlare. Si può<br />
inaugurare, così, uno sguardo e processo di conoscenza circolare,<br />
laterale e inusuale, che necessita di poter sospendere un certo<br />
modo di procedere, vedere e pensare, che tende a escludere il<br />
coinvolgimento in prima persona di chi sta descrivendo l’esperienza<br />
mentre la vive. Nel momento in cui si vive l’esperienza<br />
occorre imparare a vedere e a parlarsi in modo nuovo, visionario<br />
e silenzioso, intraprendendo un cammino senza sosta di continua<br />
retrocessione, indietreggiamento e spostamento del processo<br />
della percezione, come metodo e abitudine. Un cammino che si<br />
compie ‘senza camminare’: un cammino già sapiente fin da subito,<br />
in cui dobbiamo renderci consapevoli di esser già nati, pronti<br />
per intraprenderlo sempre e inaugurarlo di continuo. Siamo così<br />
abitati nella e dalla parola che appena ci voltiamo la troviamo,<br />
non facciamo in tempo a distrarci che si impossessa di noi. Ci giriamo<br />
in un’altra direzione ed eccone ancora un’altra che risuona<br />
in noi e noi in lei. Non se ne esce fuori (dal contesto fondato dal<br />
linguaggio stesso). Siamo ricacciati dentro al parlare, al dire, al<br />
fare con le parole. Siamo sempre dentro un discorso. E perché si<br />
faccia la parola, perché la parola abbia luogo occorre qualcuno<br />
che ascolti. Noi ascoltiamo: siamo gli ascoltanti, per cui abbiamo<br />
le orecchie. Ma non sono le orecchie che sentono, anche se non<br />
sentiamo senza le orecchie. Ci chiediamo: ma fuori dal discorso,<br />
dalle parole che usiamo, ci sono orecchie e occhi, per sentire e<br />
vedere? Gli occhi e le orecchie sono innanzitutto delle parole.<br />
Ma quello di cui si parla è anche altro da ciò di cui si parla e non<br />
sarebbe quello che è senza essere quello di cui si parla.<br />
Le parole sono sempre in gioco e noi siamo questo gioco, serio<br />
e divertente. Ma siamo ogni volta rimandati indietro, là dove da<br />
sempre noi siamo, nella parola e nel suono, dove non si va oltre,<br />
che non si oltrepassa: la dogana che non si trascende. La parola,<br />
le parole sono trascendentali rispetto a ogni altro dire, a ogni<br />
8 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
9
altro sapere. Stanno prima, sono originarie, non possono diventare<br />
oggetto d’altro se non di altre parole e altro discorrere. Ma<br />
le parole del discorso dicono anche cose diverse del discorso:<br />
parlano, per esempio, oltre che delle orecchie e dell’occhio, del<br />
vedere e del sentire, anche del cervello, che peraltro non sa nulla<br />
di quello di cui sta parlando il soggetto che ha quel cervello, anche<br />
se, senza il suo cervello, con la rete di sinapsi e neuroni, non<br />
potrebbe dire nessuna parola né discorso. Ma tutte queste cose,<br />
di cui parla il discorso, non emergerebbero dall’anonimato, dal<br />
non detto, se non ci fosse la parola, le parole che le pronunciano.<br />
Per parlare del cervello e del suo funzionamento bisogna quindi<br />
fare un discorso.<br />
Quello che si dice è possibile<br />
grazie all’esperienza<br />
che se ne ha di quell’argomento,<br />
ma fin da subito è<br />
intrisa, interrelata, mentre<br />
la si fa, a quello che può<br />
si dire. Fin da subito, fin<br />
dall’inizio, da quell’inizio<br />
che tutti abbiamo avuto,<br />
quando siamo entrati<br />
nelle parole e nel dire,<br />
quando siamo passati da<br />
una condizione, che con<br />
le parole diciamo ‘condizione<br />
infantile’, ‘infanzia’,<br />
di cui non abbiamo<br />
più quasi memoria. Un<br />
infante non può parlare degli occhi e delle orecchie, nonostante<br />
possa sentire e vedere bene. La memoria che ne abbiamo è ancora<br />
un racconto, un discorso. Proveniamo, quindi, da una vita<br />
senza parole, senza dire, senza nomi, che abbiamo incominciato<br />
a balbettare, sulla scena del mondo del senso e del significato<br />
che si stava facendo strada. Quindi le parole, il discorso, le frasi<br />
che si dicono e che parliamo, sono il presupposto di ogni sapere,<br />
come luogo (utopico = fuori luogo, fuori e prima di altri luoghi),<br />
un limite invalicabile, un confine, un’esperienza, una serie<br />
di esperienze che sono state tradotte nelle parole di un discorso.<br />
Ci sono due livelli, due strati, due dimensioni, due domini, che<br />
vanno considerati: la parola, il “discorso che parla di qualcosa”<br />
e .. “quel qualcosa che non possiamo che nominare nel discorso”<br />
(diciamo ‘qualcosa’ che è già dire qualcosa). “Ma qual è<br />
quella dimensione dell’esperienza che è oggetto del discorso,<br />
che è nominata dal discorso, che tutti facciamo e poi ne parliamo<br />
nel discorso e cerchiamo di renderla in parole?.. Sembra<br />
piuttosto complessa la faccenda, perché tutte le volte che indaghiamo<br />
questa esperienza, cerchiamo di comprenderla, di analizzarla<br />
l’abbiamo già tradotta nel discorso”. Mentre leggiamo<br />
queste parole, mentre cerchiamo di afferrare quello che si sta dicendo<br />
e che si sta leggendo, cosa sperimentiamo, che esperienza<br />
ne abbiamo?. Questa cosa che è l’esperienza di questo momento,<br />
di questo istante per ognuno di noi (per me che scrivo e che poi<br />
leggerò e per chi sta adesso leggendo) è un fatto così complesso,<br />
talmente articolato e stratificato da essere non analizzabile<br />
nè descrivibile esaurientemente con le parole. È ciò che accade<br />
adesso. E’quello che è. Per sapere e dirci quello che è dobbiamo<br />
usare le parole, dobbiamo fare un discorso. Ma lo facciamo a<br />
posteriori dell’esperienza. Nel momento in cui facciamo l’esperienza<br />
che facciamo, in cui stiamo vivendo quello che stiamo vivendo<br />
siamo in una totalità, (potremmo anche dire che siamo nel<br />
‘tantra’, una parola usata in certi ambiti, con certe intendimenti.<br />
E per dire cos’è questa cosa detta ‘tantra’ dobbiamo usare altre<br />
parole, cioè fare un discorso).<br />
“Noi siamo la danza dell’esistenza e della non esistenza: se non<br />
lo capiamo il tantra è impossibile. Ma, non importa se lo capiamo<br />
o no, il tantra attua continuamente se stesso: esso è ciò che<br />
accade“ (N.Chogyam)<br />
Questo sapere-cos’è-quello-che-è lo possiamo collocare anche<br />
aldilà della parola o aldiquà, sospesi rispetto alla parola, in un terreno<br />
dove la parola è silente: il campo, il dominio della coscienza<br />
(‘della presenza mentale’), che è un’altra parola, che non dice,<br />
non collima con l’esperienza della coscienza (e ‘della presenza<br />
mentale’), di un certo modo di essere della coscienza, dell’esser<br />
coscienti, che trascende la parola stessa. E, ancora, il campo<br />
di ciò che accade adesso,<br />
che per dirlo devo parlare,<br />
ma la cui esperienza è<br />
ben altro rispetto al dire,<br />
è un mondo, una situazione<br />
indicibile nella sua<br />
interezza.Quindi quando<br />
facciamo un’esperienza,<br />
cioè quando viviamo, siamo<br />
sempre nella totalità<br />
(di ciò che accade), viviamo<br />
come una totalità, non<br />
come delle realtà separate<br />
(come se fossimo divisi<br />
nelle varie parti che poi<br />
nominiamo nel discorrere,<br />
come oggetti del discorso:<br />
orecchio, occhio,<br />
cervello, parole, discorso..). L’esperienza vissuta è integrale, è<br />
qualcosa di intero, di integrato (yoga integrale) Non siamo disuniti,<br />
smembrati, disgregati. Siamo congiunti, collegati, riuniti,<br />
integrati e integrali: viviamo in una sintesi di tutte le parti.<br />
Questa totalità è ben aldilà della somma dei suoi elementi: “la<br />
somma degli elementi è dopo,viene dopo attraverso una analisi<br />
che è fatta dal discorso”.<br />
Diventa ora più comprensibile quello che dice la frase: sapere<br />
”ascoltare con gli occhi e vedere con le orecchie”. Noi non ci<br />
vediamo facilmente, mentre viviamo, ci vedono meglio gli altri,<br />
ognuno si vede con gli altri, grazie agli altri, ma può avvicinare<br />
l’esperienza mentre la fa con la visione che si fa, non come un<br />
“semplice vedere”, ma come un altro vedere, visionario e scandaloso,<br />
sempre fondato, incarnato, intriso di emozione, di emozioni<br />
che si alternano, si susseguono, permangono, sfumano, si<br />
mantengono: contentezza, malumore, tristezza, preoccupazione,<br />
rabbia, noia, paura, fastidio, approvazione, fiducia. Noi vediamo<br />
e ascoltiamo dal filtro, dalla lente emotiva che viviamo: a partire<br />
sempre da questo ‘primo vedere’. Primo perché originario, costitutivo<br />
del nostro esserci. E quello che vediamo è influenzato da<br />
quello che ascoltiamo. I sensi sono contemporanei, ciò che avvertiamo<br />
è una sinfonia, non un assolo di un singolo strumento.<br />
Non si vede soltanto vedendo ma anche ascoltando, rabbrividendo,<br />
impaurendosi, rattristandosi, preoccupandosi, gioendo e partecipando<br />
dello sconcerto che crea in noi la pratica di assistere<br />
e vedere che ci si vede. Non si ascolta solo sentendo, ma anche<br />
vedendo suoni, immagini, colori. L’udire è insieme al vedere,<br />
il vedere insieme all’udire. Chi non vede fa fatica a sentire ciò<br />
che si dice. Siamo sempre in una esperienza totalizzante, che<br />
investe la nostra persona completamente, per cui abbiamo impressioni,<br />
viviamo in un certo modo l’ascolto dell’altro, quello<br />
che l’altro dice. Sentiamo, quasi annusiamo, percepiamo anche i<br />
modi dell’altro. Siamo sempre (oltre che in una tonalità emotiva<br />
particolare) anche in un modo particolare per vedere, sentire l’altro.<br />
C’è sempre un motivo per sentire, vedere l’altro, per percepire<br />
l’altro: letterale, non letterale, metaforico. Perché è importante<br />
sottolineare questa unità di esperienza, che ci costituisce<br />
sempre? “Siamo così analiticamente convinti che le cose siano<br />
come dice il nostro sapere di parola e totalmente dimentichi di<br />
quell’esperienza che incarniamo in ogni istante perché la scrittura<br />
delle nostre parole ci ha indotto a questo risultato, perchè è<br />
l’alfabeto che ha fatto tutto ciò”.<br />
L’alfabeto è una macchina sofisticata e complessa. Usandolo,<br />
essendo noi ‘fatti di linguaggio’, non lo vediamo in azione, lo diventiamo.<br />
L’alfabeto che usiamo, di cui ci serviamo, ci possiede,<br />
ci governa. L’azione, il lavoro che l’alfabeto fa su di noi, sui nostri<br />
corpi, quando parliamo e leggiamo, plasmandoci, facendoci<br />
assumere posture mentali e corporee, li possono vedere e vedere<br />
agire chi sta di fronte a noi. Le parole danzano con noi e sulle<br />
nostre espressioni del volto, così particolari e uniche, che possiamo<br />
solo riconoscerle nell’altro davanti a noi e noi davanti a lui.<br />
È una meccanica prodigiosa e potente, rimasta fedele e pressochè<br />
uguale a sè stessa nel tempo, così particolare, da potere leggere<br />
in una lingua che non si conosce senza capire alcunché. È<br />
una dimostrazione della forza e dell’efficacia di questo sistema<br />
complesso, innovativo e rivoluzionario, attraverso il quale si è<br />
costruito l’impianto logico-mentale, la “anima logica” dell’Occidente,<br />
“la sua capacità analitica, di impadronirsi analiticamente<br />
dell’esperienza” (fino al dominio imposto dalla scienza<br />
e dalla tecnica sul mondo e al tempo stesso anche un esempio<br />
della sua fragilità, del suo limite). “Abbiamo imparato a usare<br />
l’alfabeto. Ma se ci inoltriamo a voler conoscere e sapere perché<br />
diciamo quello che diciamo, il senso di quello che si sta facendo”<br />
si tratta di“un altro discorso, che non può emergere semplicemente<br />
dalla conoscenza tecnica, scientifica, filosofica (che<br />
sono la stessa cosa, la stessa radice che si è sviluppata via via)”.<br />
..“Abbiamo costruito un [discorso] e una scrittura del [discorso],<br />
che ha influito sul parlato, sul veduto, sull’ascoltato: è diventata<br />
la “nostra anima, la nostra logica”. Questo discorso “è<br />
sostanzialmente convenzionale e arbitrario”. Nella provenienza<br />
antica, “ancestrale, dei segni che diventeranno i segni del<br />
nostro alfabeto, questi segni<br />
erano come quelli cinesi.<br />
Erano disegni, segni (tracce)<br />
che avevano un valore<br />
iconico, rappresentativo,<br />
figurativo, mentre per noi<br />
tutto è convenzionale ed arbitrario<br />
e i significati sono<br />
semplicemente mentali,cioè<br />
non hanno niente a che vedere<br />
con ciò che sento.. Casa<br />
non è costruita con c (ci), a, s<br />
(esse), a”. Ma cosa significa<br />
è arbitrario, convenzionale?<br />
È stato deciso un giorno che<br />
casa è casa, uomo è uomo,<br />
donna è donna? Questo non<br />
può essere accaduto mai,<br />
proprio per quella originarietà trascendentale del discorso. Ci<br />
dovevano essere già queste parole per poter dire:..“facciamo<br />
così, diciamo così, stabiliamo così”. Wittgenstein dice che ci<br />
deve essere un nesso reale tra la parola (es. casa) e la cosa (casa)<br />
ma l’abbiamo dimenticato, non ce ne ricordiamo. L’abbiamo tradotto<br />
in uno strumento che agisce su di noi e in noi in modo inconsapevole,<br />
ignari di quello che accade, non consci dell’aspetto<br />
interpretativo implicito (ermeneutico) dell’esperienza e della sua<br />
integrazione. “Tutto il campo dell’espressione viene invaso, attraverso<br />
l’alfabeto, da una logica performativa, prestazionale”.<br />
Ma considerando che la globalità, la totalità, l’atmosfera dell’esperienza<br />
è un’altra cosa, spesso ci rivolgiamo alle parole della<br />
poesia che non hanno una logica, una sintassi precisa, che dicono<br />
cose senza senso, inaudite, che non possono essere normalmente<br />
ascoltate e che non si può osare dire, nella comune quotidianità.<br />
Oppure pratichiamo l’esperienza musicale, radice e fondamento<br />
dell’udire e del sentire. L’esperienza e il fare dell’arte (che ha la<br />
facoltà di andare aldilà, oltre l’uso tecnico e utilitaristico delle<br />
parole e del discorso), ci viene in aiuto, ci salva, ci risarcisce<br />
rispetto all’impoverimento che abbiamo costruito con il linguaggio<br />
scritto e con la parola come mezzo di scambio di informazioni<br />
tecniche, che escludono il soggetto, che ha l’esperienza della<br />
parola e del linguaggio, che ha l’esperienza in prima persona<br />
di ciò che dice e di ciò che gli accade. La pratica artistica ci fa<br />
raggiungere e vivere l’esperienza umana più reale, più intera e<br />
quindi interiore, partecipativa, coinvolgente la dimensione emozionale<br />
e relazionale. L’importanza decisiva dell’arte è legata<br />
proprio al fatto di rappresentarci meglio, di dire e significare meglio<br />
di altre esperienze ed espressioni la nostra condizione umana,<br />
così particolare e rivoluzionaria sulla scena della natura del<br />
mondo. Già, il nostro entrare in modo dirompente in mezzo alla<br />
natura riesce a compiere il passaggio culturale preternaturale, per<br />
mezzo del linguaggio, essendo noi essenzialmente linguaggio ed<br />
espressione. Il corpo, la corporeità si modella a vedere, a sentire,<br />
a far risuonare la prestazione della parola, conformando la mente<br />
con quello che vive, che sente, che dice quello che viene detto.<br />
Con questo pronunciar parole, avviene una separazione, una dicotomia<br />
corpo-mente, proprio grazie all’alfabeto. Un prodotto<br />
della mente logica dell’alfabeto è, ad esempio, il fare dello scienziato,<br />
dentro il suo laboratorio di razionalità analitica e algebrica<br />
(logica analitica-prestazionale o performativa) in grado di separarsi<br />
definitivamente dalle parole orali, usando un linguaggio<br />
simbolico matematico, astratto. In questo modo il tratto orale<br />
dell’alfabeto, della scrittura, della lettura e del discorso viene tralasciato.<br />
Tendiamo a dimenticare, a rimuovere il fatto che dietro<br />
questa logica razionale dei risultati, delle prestazioni del rendimento<br />
c’è comunque il discorso,<br />
la parola, il linguaggio.<br />
Dietro tutta la scienza (e le varie<br />
scienze) c’è “un modo di<br />
essere dell’uomo che si realizza<br />
in un discorso”. Occorre,<br />
perciò, riflettere “sulle scritture<br />
del sapere e sul rapporto<br />
del sapere col discorso originario<br />
(col dire originario,<br />
trascendentale) che sta dentro<br />
ognuno di noi”. ■<br />
La seconda parte<br />
nel prossimo numero.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
1. De Saussurre F., a cura di Tullio De Mauro, Roma-Bari, Laterza - 2009<br />
2. M.Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano - 1988<br />
3. L.Wittgenstein, Tractatus logico Philosophicus, Einaudi, Torino -1989<br />
4. C.Sini, La verità è un’avventura, Ed. Gruppo Abele, 2012 / Filosofia, Jaca Book, Milano<br />
- 1992<br />
5. R.M.Rilke, Elegie duinesi, Einaudi, Torino -1978<br />
6. A.Moro, Parlo dunque sono, Adelphi, Milano - 2012<br />
7. I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza-Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino<br />
- 1999<br />
8. C. Namkhai Norbu, La Suprema Sorgente, Astrolabio, Roma -1997<br />
9. R. Pannikar, La pienezza dell’uomo, Jaca Book, Milano - 1999<br />
10. Lao-tze, Tao te Ching, Oscar Mondadori, Milano - 2009<br />
11. E. Borgna, Parlarsi, G.Einaudi, Torino - 2015<br />
12. H. von Hofmannsthal, Le parole non sono di questo mondo, Quodlibet, Macerata - 2004<br />
ALIMENTAZIONE<br />
STILI DI VITA<br />
10 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
11
Pubblichiamo un contributo sugli sviluppi della politica ambientale in Cina<br />
scritto da Alberto Rossi, analista del Centro Studi della Fondazione Italia-Cina,<br />
già apparso nel numero di Ottobre dela rivista Formiche.<br />
STILI DI VITA<br />
ECONOMIA CIRCOLARE<br />
CINESE<br />
di Alberto Rossi<br />
Una città di 25 kmq senza prodotti di scarto, in cui le<br />
materie secondarie vengono costantemente riutilizzate,<br />
con università, hotel, zone residenziali, decine di<br />
imprese sostenibili ed un complesso sistema di riciclaggio<br />
dei rifiuti, da completare entro il 2020 grazie al lavoro di<br />
100mila persone. Un grandioso progetto di economia circolare,<br />
che ci aspetteremmo magari in Scandinavia, non certo nel Guangdong,<br />
dove con la collaborazione della Germania il governo<br />
cinese sta dando vita alla “Sino-German Metal Eco-City”.<br />
Tra le prime associazioni di immagini che abbiamo nei confronti<br />
della Cina, certamente ci vengono in mente le cappe di smog, il<br />
sole che non sorge mai a Pechino, l’inquinamento. Tutto vero,<br />
ma nello stesso tempo occorre sottolineare gli investimenti cinesi<br />
per uno sviluppo meno sfrenato e più sostenibile, con una<br />
maggiore efficienza delle risorse ed energetica, verso un’economia<br />
più verde e circolare che può supportare i driver dell’urbanizzazione<br />
(la Cina avrà nel 2030 due terzi dei suoi residenti<br />
- oltre 900 milioni - localizzati in aree urbane, contro il 54,77%<br />
del 2014) e di un modello maggiormente incentrato sui servizi.<br />
La legge sull’economia circolare promulgata nel 2009 ha portato<br />
la Cina a promuoverne lo sviluppo in ambito industriale. Certamente<br />
la strada da fare è ancora moltissima, dato che il contesto<br />
continua a presentare grandi difficoltà ed ostacoli. È noto<br />
infatti che il rapido progresso economico degli ultimi trent’anni<br />
sia stato accompagnato dal deterioramento della situazione ambientale<br />
in Cina. Tra le dieci città più inquinate del mondo sette<br />
(tra cui Pechino) sono cinesi. La Cina dal 2008 è il primo Paese<br />
al mondo per emissioni di CO2, dovute soprattutto al massiccio<br />
utilizzo del carbone come principale fonte per la produzione di<br />
energia (66% nel 2013).<br />
Per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria, delle 161 città<br />
monitorate, solo il 9,9% ha raggiunto standard accettabili. L’inquinamento<br />
delle acque rappresenta un problema ancora più<br />
rilevante: il 40% dei corsi d’acqua cinesi sono seriamente contaminati,<br />
e il 20% raggiunge un livello di inquinamento tale da<br />
rendere l’acqua tossica ed inadatta al contatto umano. La Cina è<br />
anche uno dei Paesi che più soffre la scarsità di risorse idriche: la<br />
disponibilità media di acqua per abitante in Cina è di 2.200 m3,<br />
a fronte di una media a livello globale quattro volte superiore.<br />
Infine l’inquinamento del suolo è questione talmente delicata da<br />
spingere le autorità cinesi a non diffonderne dati sull’estensione,<br />
anche se le stime indicano che una percentuale compresa tra il<br />
10% e il 40% dei terreni cinesi contiene livelli significativi di<br />
sostanze inquinanti.<br />
A fronte di questo contesto, i temi ambientali sono diventati<br />
sempre più prioritari, ed è previsto che il XIII piano quinquennale<br />
(2016-2020) dia ancora maggior spazio al tema dell’ambiente.<br />
Nel 2013 sono stati effettuati investimenti contro l’inquinamento<br />
ambientale per 951,64 miliardi di Rmb (abbreviazione<br />
di Renminbi, moneta del popolo. 1 euro equivale a 7.592 Rmb),<br />
con l’obiettivo di ridurre il consumo energetico del 16% entro il<br />
2015. Sono stati investiti tra il 2006 e il 2010 oltre 1.200 miliardi<br />
di Rmb in progetti per il risparmio energetico e la riduzione<br />
delle emissioni inquinanti, finanziati per il 10-15% dal Governo<br />
centrale, che ha previsto 5.000 miliardi di Rmb di investimento<br />
per sostenere più ampi settori nell’ambito delle nuove energie,<br />
tra cui energia idroelettrica, eolica, da biomassa, solare (fotovoltaica<br />
e termica), nucleare, carbone pulito, “smart grid”, petrolio<br />
non convenzionale, shale gas e gas naturale. L’obiettivo è che le<br />
fonti rinnovabili arrivino a fornire fino al 18% del totale della<br />
domanda nazionale entro il 2020. Laddove gli interessi economici<br />
ed ambientali sono in competizione, la crescita economica<br />
tende ancora a prevalere sull’ambiente, anche se dei passi in<br />
avanti ci sono, come si evince dalla nuova legge sulla tutela ambientale,<br />
in vigore da inizio 2015, che sostituisce una legge del<br />
1989, e che porta con sé tre novità sostanziali: il meccanismo<br />
sanzionatorio alle imprese su base continuativa e non “una tantum”;<br />
l’introduzione di una valutazione di impatto ambientale;<br />
la formalizzazione del diritto a controversie relative al pubblico<br />
interesse.<br />
Riguardo al tema del trattamento dei rifiuti solidi urbani, centrale<br />
nello sviluppo di una economia circolare in Cina, nel 2014 la<br />
capacità giornaliera di trattamento di rifiuti urbani ha raggiunto<br />
i 128,96 milioni di metri cubi (+3,5% rispetto al 2013). Dopo<br />
aver raggiunto la prima posizione al mondo in termini di volume<br />
totale, la produzione di rifiuti solidi in Cina continua a crescere<br />
ad uno dei ritmi più alti al mondo, con una crescita annuale<br />
dell’11% negli ultimi cinque anni, e si stima che entro il 2030 i<br />
rifiuti cinesi rappresenteranno più del doppio di quelli prodotti<br />
negli Usa. Ciò rende indispensabile lo sviluppo di una gestione e<br />
di un utilizzo efficiente dei rifiuti. Il Governo cinese punta forte<br />
sulla raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, oltre alla produzione<br />
di energia da questi ultimi (waste-to-energy): nel XII<br />
piano quinquennale sono stati destinati 800 miliardi di Rmb al<br />
settore del trattamento dei rifiuti solidi (dato quadruplicato rispetto<br />
al piano precedente), e l’obiettivo è l’aumento del riutilizzo<br />
dei rifiuti solidi industriali fino al 72% entro il 2015. Sono<br />
stati annunciati una serie di progetti per promuovere il settore<br />
del riciclo, in particolare l’Urban Mining, che consiste nell’estrazione<br />
di materiali utili dai rifiuti urbani al fine di ottenere<br />
nuove risorse riutilizzabili. Tra i progetti annunciati ed in via<br />
di realizzazione: 80 città modello per la raccolta dei rifiuti solidi,<br />
50 progetti pilota di “Urban Mining” - per raggiungere una<br />
capacità di riutilizzo e rigenerazione di circa 80 milioni di tonnellate<br />
di rifiuti solidi - e 100 per il riciclo dei rifiuti di cucina.<br />
La Cina si muove, dunque: lo sviluppo dell’economia circolare<br />
è ancora agli albori, ma in futuro potrà portare con sé anche ingenti<br />
opportunità per le imprese del settore, italiane ed internazionali.<br />
Sta a noi farci trovare pronti per coglierle. ■<br />
12<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
13
ESPERIENZE<br />
VEGETARIANE<br />
Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ad un imprevedibile processo<br />
di cambiamento negli stili alimentari, come anche l’ultima ricerca Sinottica<br />
ha evidenziato. Stili alimentari oggi consolidati che, per molto tempo e anche<br />
grazie alla disinformazione, hanno prodotto, genericamente, confusione tra scelta<br />
di cibi da agricoltura biologica e vegetarianesimo, così come più recentemente<br />
vegetarianesiamo viene accostato a veganesimo. È necessario fare un po’ di chiarezza<br />
fra i diversi stili alimentari, ma soprattutto valorizzare la motivazione, che spesso ha radici<br />
etiche, quando non di moda, tanto da diventare uno stile di vita. Scelte che includono anche<br />
un diveso approccio verso ciò che ci circonda e quindi consumi più consapevoli. <strong>Ecoideare</strong>,<br />
punto di riferimento dell’informazione sulla sostenibilità, ha accolto volentieri la proposta della<br />
collega Luisa Flauto di presentare alcune storie a lei raccontate in prima persona<br />
da chi ha operato, con questa scelta, una svolta nella propria vita<br />
(trattasi di persone che godono di una certa notorietà).<br />
Riteniamo però opportuno, per completezza di informazione<br />
e per evitare che una posizione piuttosto che un’altra<br />
influenzi la propria visione del mondo assurgendola<br />
a dottrina, spesso in modo inconsapevole,<br />
fornire, a conclusione delle storie narrate,<br />
una nostra riflessione soprattutto per<br />
mettere in evidenza le eventuali<br />
contraddizioni fra l’essere vegetariano<br />
e i benefici in termini di salute,<br />
ovvero se alimentarsi vegetariano<br />
è aprioristicamente sinonimo di salute.<br />
A CENA CON LE MIE AMICHE<br />
VEGETARIANE<br />
di Luisa Flauto<br />
All’inizio degli anni 70<br />
era difficile essere vegetariani,<br />
se pensavi a<br />
chi fosse vegetariano<br />
tra i personaggi famosi ti venivano<br />
in mente solo George Harrison<br />
e Paul Mc Cartney. Oggi<br />
non riesci neanche più a contarli<br />
sulla punta delle dita. Sono vegetariani<br />
da Brad Pitt a Leonardo<br />
di Caprio, da Richard Gere<br />
a Prince e Natalie Portman, da<br />
Giovanotti a Battiato a Gianni<br />
Morandi. Persino Lisa Simpson, figlia di Homer, è diventata<br />
vegetariana nel 95, per motivi etici dopo una visita allo zoo di<br />
Springfield. Ma tornando agli anni 70 ricordo che, divenuta io<br />
vegetariana nel‘73, e qui sotto vi spiegherò il perché, incontravo<br />
parecchi ostacoli nel pranzare e cenare fuori. Una sera a cena<br />
in un posto elegante, con mio padre Lucio Flauto, e alcuni suoi<br />
amici tra cui Pippo Baudo, Bice Valori e Paolo Panelli, spiegai<br />
cortesemente al ristoratore che non mangiavo carne e pesce, mi<br />
fece un gran sorriso e mi disse “ci penso io, le cucino qualche<br />
cosa personalmente” Ritornò con gran soddisfazione con<br />
un piatto di pasta con la pancetta. Quando non lo mangiai si<br />
offese e andò via dicendo “il maiale non è mica carne!” Gli altri<br />
commensali mi guardavano affascinati, come fossi un animale<br />
esotico. In quegli anni se dicevo di essere vegetariana, subito<br />
mi veniva chiesto se avevo cambiato religione ed ero divenuta<br />
induista. Esserlo per motivi etici era impensabile. Negli anni 80<br />
poi, quando collaboravo con una rivista di moda, mi capitava di<br />
girare il mondo per seguire le sfilate. In un ristorante parigino mi<br />
sentii dire con un certo disprezzo “Elle ne sait pas comment bien<br />
vivre!”, lei non sa vivere! Mentre in una trattoria affollatissima<br />
di Madrid, col ristoratore che correva da un tavolo all’altro affannato,<br />
al mio chiamarlo per dirgli “Yo no como carne y pescado”<br />
mi sentii rispondere “No tengo tiempo que perder”, non ho<br />
tempo da perdere con lei, e girò sui tacchi e se ne andò. Era il 92<br />
quando incominciai a capire che le cose stavano cambiando. Per<br />
lavoro avevo accompagnato Terence Hill a Umbria Fiction, dove<br />
promuoveva una sua serie tv. La sera ci trovammo ad un piccolo<br />
tavolo di un ristorante insieme a Brooke Shields e Maria Rosaria<br />
Omaggio, che poi divenne mia carissima amica. Fu con sorpresa<br />
che realizzai che eravamo tutti vegetariani! Va beh, Terence Hill<br />
viveva a Santa Fe allora, Booke Shields veniva dagli States, ma<br />
Maria Rosaria era romana e non mangiava carne come me!<br />
Col passare degli anni mi sono accorta che, grazie alla comunicazione<br />
sui temi etici e di tutela ambientale, ma anche per una<br />
coscienza globale più attenta e sensibile, le mie amiche più strette,<br />
amiche da decenni, e anche mia sorella gemella, stavano diventando<br />
anche loro vegetariane, o avevano smesso di mangiare<br />
carne, senza che io facessi proseliti o mai discutessi con loro su<br />
cosa voleva dire essere vegetariani per me. Lo sono divenute<br />
ognuna con il proprio percorso personale. Alcune di loro lo sono<br />
da moltissimo tempo, come me, altre sono state influenzate da<br />
eventi che hanno toccato e cambiato la loro coscienza. Ascoltarle<br />
raccontarmi il perché di questa loro scelta, è un’esperienza<br />
che vorrei condividere con voi. ■<br />
STILI DI VITA<br />
Luisa Flauto con Terence Hill<br />
a Umbria Fiction -1992<br />
Ingmari Lamy in una copertina<br />
di Vogue degli anni 60<br />
L’attrice Brooke Shields.<br />
14<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
“verrà il giorno in cui gli uomini giudicheranno l’uccisione di un animale<br />
come essi giudicano oggi quella di un uomo”<br />
Leonardo da Vinci<br />
15
STILI DI VITA<br />
LUISA FLAUTO<br />
GIORNALISTA<br />
ELENA FLAUTO<br />
DIRIGENTE<br />
INGMARI LAMY<br />
MODELLA INTERNAZIONALE<br />
DANIELA RENIER<br />
PITTRICE<br />
Devo ammetterlo, da bambina e ragazzina, cresciuta negli anni<br />
50 e 60, la carne mi piaceva, la mangiavamo molto in casa,<br />
non avevamo alcuna coscienza animalista. Tra i miei amici dei<br />
vent’anni c’era il cantautore Claudio Rocchi vegetariano, un<br />
giorno mise fuori dalla sua porta cinture, scarpe, e borse in<br />
pelle, per chi le volesse, lui da allora avrebbe indossato solo<br />
accessori di tela. Io ricordo, che non condividendo le sue scelte,<br />
scelsi una borsa da viaggio. Poi nel ’72 partii per l’India,<br />
come molti giovani di allora, alla ricerca delle risposte alle<br />
grandi domande della vita. Il primo viaggio durò tre mesi, durante<br />
i quali non mangiai carne perché non ce ne fu l’occasione.<br />
Tornata a Milano mia nonna mi invitò a pranzo. Seduta al<br />
tavolo della sua cucina mi ritrovai davanti ad una grande bistecca<br />
al sangue. Mi resi conto in quel momento, ( forse i mesi<br />
di meditazione passati in India mi avevano reso più sensibile)<br />
che l’avrei mangiata per non dispiacere a mia nonna, ma che<br />
sarebbe stata l’ultima della mia vita, e cosi fu. Ricordo anche<br />
uscita da casa sua, in ascensore, l’energia quasi anfetaminica<br />
che quella bistecca mi aveva dato, e la trovai sgradevole.<br />
Da allora sono divenuta vegetariana, e maturando ho<br />
acquisito un rispetto per gli animali talmente profondo<br />
che mi disgusta anche solo il pensiero di mangiare la<br />
carne di una creatura vivente.<br />
Penso che con il passare degli anni si acquisti più consapevolezza<br />
delle proprie azioni. Insomma se un battito d’ali di una<br />
farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo,<br />
io se mangio un panino al prosciutto di cosa posso essere responsabile?<br />
A 40 anni circa, proprio nel mezzo del cammino, mi sono posta<br />
alcuni interrogativi che prima sinceramente nascondevo<br />
nel profondo della mia coscienza. Durante le vacanze estive<br />
percorrevo autostrade trafficate da enormi camion, carichi di<br />
povere creature ammassate e dirette al macello. Uno spettacolo<br />
da spezzare il cuore a chiunque ne abbia uno. E anno dopo<br />
anno mi sono sentita sempre più sconvolta da quel processo di<br />
deportazione di massa verso il mattatoio. Buoi, maiali e pecore.<br />
E si per un po’ ho pensato che sarebbe stato un problema<br />
non avere più la comodità del famoso panino al prosciutto, da<br />
mangiare al bar durante la pausa lavoro, o della bistecca da<br />
cucinarmi a casa velocemente, poi ho capito che era una scusa<br />
pietosa e cosi ho detto basta.<br />
Da un giorno con l’altro. È stato facilissimo. Viva Paul Mc<br />
Cartney che ai suoi concerti vieta il consumo di panini con carne...<br />
e tutti coloro che ci aiutano a capire come questi allevamenti<br />
siano dannosi per l’intero sistema ecologico mondiale. Il<br />
famoso battito d’ali.<br />
Non eravamo una famiglia vegetariana ma mia mamma cucinava<br />
cibi e verdure dell’orto. Io poi, da ragazzina,adoravo<br />
passare del tempo in mezzo alla natura a mangiare germogli,<br />
radici e bacche. A 15 anni decisi di diventare vegetariana per<br />
scelta. Non era così facile esserlo allora come lo è oggi, ma<br />
sono rimasta vegetariana durante tutta la mia carriera di modella<br />
anche se, viaggiando molto per lavoro, ho avuto più di un<br />
problema a rispettare la mia scelta. Ricordo un’esperienza nel<br />
deserto in Marocco durante un servizio fotografico di moda,<br />
siamo stati invitati per una cena speciale lontano nel deserto<br />
in una tenda beduina. Avevano ucciso un agnello per noi.<br />
Mi sono presa un momento da sola per decidere che fare e ho<br />
capito che dovevo onorare l’offerta dell’agnello da parte dei<br />
padroni, e che essere aperta e flessibile era la cosa giusta in<br />
quel momento.<br />
Qui a Stoccolma ho il mio orto, e inizio la mia giornata sempre<br />
con una bevanda verde, mi piace una sferzata naturale di<br />
energia al mattino. La scelta di essere vegetariana è stata una<br />
scelta interiore fatta da giovanissima, e le rare volte in questi<br />
lunghi decenni in cui, per ragioni sociali, mi sono trovata a<br />
dover mangiare carne, ho cercato dentro di me un sentimento<br />
speciale per onorare l’animale e la vita che ci aveva donato.<br />
Recentemente ho pensato di diventare vegana, ma il clima qui<br />
è freddo e non abbiamo abbastanza verdure e frutta stagionali.<br />
Sono divenuta vegetariana circa 18 anni fa. Da ragazza mangiavo<br />
tutto quello che mi cucinavano inclusa la carne in tutte<br />
le sue forme, anche se, in vacanza a Forte dei Marmi, sapevo<br />
dove stava il macello, e sentivo che era una cosa orrenda. Ho<br />
iniziato a mangiarla sempre meno volentieri quando mi sono<br />
sposata, ho avuto figli, e andavo io a fare la spesa. Entrare in<br />
macelleria mi dava prima un leggero fastidio, tanto da farmela<br />
mangiare sempre meno volentieri. Chiaramente visto che in<br />
famiglia adoravano la carne ho dovuto continuare ad acquistarla<br />
e cucinarla. Poi quando i ragazzi, crescendo, sono<br />
usciti di casa, mi sono trovata ad andare al supermercato<br />
evitando accuratamente la zona della carne, mi faceva impressione<br />
vedere tutta quella carne esposta in vendita e sapere<br />
che quel pezzo di carne arrivava da una mucca o un<br />
agnello che immaginavo vivi e belli. Trovavo la cosa<br />
violenta e cruenta. Non è stata una decisione razionale<br />
ma un cambiamento naturale, oggi sono totalmente<br />
vegetariana, e non escludo<br />
di divenire vegana prima<br />
o poi visto che, io che<br />
adoro il latte e tutti i<br />
suoi derivati, ho scoperto di<br />
esserne allergica. Ma è un’altra<br />
scelta che farei naturalmente e che<br />
non mi spaventa..<br />
16 ecoIDEARE - Settembre / Ottobre 2015<br />
17
STILI DI VITA<br />
FIORELLA<br />
PIEROBON<br />
PITTRICE<br />
MARIA ROSARIA<br />
OMAGGIO<br />
ATTRICE<br />
MARINA<br />
DE BARBERIS<br />
ADVERTISING PRODUCER<br />
GIULIANA<br />
PARABIAGO<br />
DIRETTORE VOGUE SPOSA E VOGUE BAMBINO<br />
Sono cresciuta in campagna in mezzo a tanti animali, la mia<br />
famiglia teneva i polli e i conigli, e quando si decideva di mangiarli<br />
ovviamente venivano uccisi, le galline non le senti urlare,<br />
ma i conigli capiscono e gridano come dei pazzi, come i suini.<br />
Avevo quattro anni, e cercavo di spiegare ai miei, inutilmente,<br />
che non volevo che venissero uccisi, ma nessuno mi considerava.<br />
Ad un certo punto, all’ennesima uccisione non ho detto<br />
nulla, ho preso una borsa, ho messo dentro una padella e un<br />
maglione e sono uscita di casa, partendo verso l’ignoto. Nessuno<br />
se ne è reso conto per un po’. Mi hanno trovata a due<br />
chilometri di distanza che marciavo, nanetta, verso l’ignoto.<br />
Io pensavo sopravviverò, ma basta con queste urla strazianti!<br />
Poi ovvio ho mangiato carne, anche controvoglia, fino al<br />
2000, ma pochissima, perché in famiglia tutti la mangiavano.<br />
Allora poi non c’era tutta questa comunicazione, nessuno metteva<br />
in discussione l’essere carnivoro. Nel 2000, una sera stavo<br />
guardando con Albert, il mio compagno, un documentario di<br />
Santoro su come allevano intensivamente e sfruttano mucche,<br />
maiali, e polli. Era sconcertante vedere come erano trattati<br />
e alimentati. Nell’ultima scena si vedevano uscire i pulcini<br />
dalle uova e nella catena di montaggio prendevano<br />
i pulcini sani e li mettevano da una parte mentre quelli,<br />
che si capiva che erano più deboli, venivano gettati vivi<br />
nel tritacarne. Finito il documentario Alberto ed io ci siamo<br />
guardati e detti: noi non cambieremo il mondo, ma queste cose<br />
non possiamo accettarle, e non mangeremo più carne, anche<br />
se siamo una goccia nel mare non vogliamo più essere<br />
partecipi di questa violenza!”<br />
La mia coscienza vegetariana si presentò per la prima volta quando<br />
avevo quattro anni. Mi portarono in campagna dalla mia Tata,<br />
e come si fa con i bambini mi coinvolsero, dandomi responsabilità<br />
e facendomi credere di aiutare un maialino che doveva attaccarsi<br />
al seno della scrofa. La cosa mi prese molto e ci misi tutto il mio<br />
impegno. Qualche mattina dopo, fui svegliata da urla quasi umane<br />
e quando realizzai che avevano ucciso la scrofa per farne salsicce<br />
e prosciutti, e che i maialini erano rimasti orfani, ho pianto<br />
per giorni. Non riuscivano a consolarmi. Da allora non volli più<br />
mangiare insaccati. Mia madre insisteva dicendo: “Mangia almeno<br />
il prosciutto, che ti fa bene!”. Dovette arrendersi: a quattro<br />
anni ero già determinatissima! Verso i dieci anni mi portarono a<br />
Ischia, dove il piatto più famoso è il coniglio all’ischitana. Nel<br />
luogo di villeggiatura giocavo col figlio del proprietario e un coniglio<br />
bianco. Lo avevo chiamato Bunny e con me non temeva neanche<br />
l’acqua, lo portavo persino in pedalò! Una mattina, dopo<br />
che avevano cambiato per turno il cuoco, lo cercai ovunque, disperatamente,<br />
finché scoprii che lo avevano cucinato. Ne fui cosi<br />
sconvolta che da allora smisi di mangiare anche il coniglio. Poi<br />
adolescente, viaggiando con mio fratello maggiore da Roma per<br />
andare al mare, vedevo le mucche e le pecore al pascolo. Cominciai<br />
a guardarle con occhi più consapevoli: le mucche con quegli<br />
occhioni tondi e umidi mi piacevano molto e le pecore con gli<br />
agnellini mi facevano tenerezza. Il passo fu breve: smisi di mangiare<br />
pure loro, nonostante la preoccupazione di mia madre che<br />
diventassi anemica. Debuttai nello spettacolo nel ‘74 a soli sedici<br />
anni in Canzonissima, ero ancora una ragazzina e sul lavoro<br />
mi vergognavo un po’ a dire che non mangiavo carne, visto che<br />
ogni volta che la rifiutavo mi chiedevano ridacchiando “Ma sei<br />
una Hare Krisna o sei mussulmana?”. Un bel giorno, stanca di<br />
raccontare la storia del maialino e di Bunny, il coniglietto bianco,<br />
imparai a dire di sì, qualsiasi cosa mi chiedessero, per zittirli<br />
rispondevo semplicemente “Ebbene sì”. E devo dirvelo, non<br />
mangiare carne fa bene, non è vero che si deperisce come<br />
molti credono: io ho esami clinici perfetti e non sono<br />
affatto anemica. E non solo: molti amici sono felici<br />
di venire a cena da me!<br />
Da bambina (erano gli anni ‘50) non avevo nessuna coscienza<br />
di tipo animalista, per me era normale mangiare la carne, come<br />
si era sempre fatto nella mia famiglia. Amavo però gli animali,<br />
e cercavo sempre di portarne a casa qualcuno, trovatelli cani<br />
o gatti, ai quali mia madre nel giro di pochi giorni trovava una<br />
misteriosa altra collocazione e venivano fatti sparire tutti, uno<br />
dopo l’altro. Verso i 20 anni, universitaria, ho iniziato a fare<br />
delle scelte diverse, ad esempio non mangiare più i conigli,<br />
animali tenerissimi, che ho conosciuto da vicino, quando mio<br />
padre acquistò una cascina in campagna. C’era un contadino<br />
che aveva anche un porcellino rosa dagli occhi azzurri, bellissimo,<br />
cosi smisi anche di mangiare il maiale perché guardandolo<br />
presi coscienza che, cresciuto, lo avrebbero fatto diventare delle<br />
fette di prosciutto. Dopo un anno di questa dieta, cioè niente<br />
coniglio e maiale, direi a capodanno del 74/75, ho fatto una<br />
scommessa con me stessa, provare a non mangiare più carne o<br />
pesce in assoluto per un mese, perché dire “mai più” mi sembrava<br />
troppo impegnativo. La scommessa l’ho vinta, da allora<br />
non l’ho più toccata. Per carattere non mi piace mettermi in<br />
mostra, non ho mai cercato di fare proseliti, la mia è sempre<br />
stata una scelta assolutamente personale, e sempre più convinta<br />
man mano che passavano gli anni. Ho dato la carne ai miei<br />
figli, anche se sono nati da una mamma vegetariana, perché,<br />
soprattutto nella società di allora, era una scelta che ritenevo<br />
avrebbero dovuto fare loro a tempo debito, come avevo fatto<br />
io. Inoltre mio marito mangia la carne, e la mia è una scelta<br />
che non condividiamo. Ancora oggi sono sempre più convinta<br />
della decisione presa in quel lontano Capodanno dl 1974, mi fa<br />
stare male vedere l’indifferenza e la cattiveria con cui vengono<br />
trattati gli animali.<br />
Credo di essere sempre stata vegetariana nel mio essere più<br />
profondo, anche se la cosa è affiorata e si è affermata per gradi.<br />
Da piccola sfuggivo la carne, la evitavo, cercavo di farne a<br />
meno: semplicemente non mi piaceva e ancora meno mi piaceva<br />
quello sgranocchiare di ossa, nel caso del pollo, o quei<br />
sinistri residui di sangue nel piatto che accompagnavano quelle<br />
poche bistecche che mi ero lasciata convincere a mangiare.<br />
La relazione con gli animali che vedevo quando andavo in visita<br />
in campagna era evidente e straziante, colpevole e crudele.<br />
Da adulta sono stata onnivora per lassismo e per vigliaccheria:<br />
non volevo creare scompiglio se invitata a cena, attirare<br />
l’attenzione dei colleghi al ristorante, selezionare le tartine ai<br />
cocktail, ero vegetariana a metà: sì a casa no oppure ‘in incognita’<br />
nella vita sociale fino a quando, le urla strazianti<br />
di una mucca separata dal suo vitellino in un pascolo di<br />
montagna, mi sono entrate dentro per non uscire mai<br />
più e sottolineare quella componente cannibalistica<br />
che regna in ogni piatto che contenga<br />
un essere vivente<br />
ucciso. Ora lo dichiaro con<br />
orgoglio ogni volta che mi capita<br />
di poterlo fare, nella speranza lo ammetto,<br />
di fare proseliti. L’informazione<br />
mi ha dato la consapevolezza che si tratta di<br />
una posizione giusta: per gli animali, per la<br />
salute del Pianeta e anche per la salute degli<br />
esseri viventi.<br />
18 19
LA NOSTRA RIFLESSIONE<br />
Forse andrebbero visti certi presupposti che portano a certe scelte esclusive in campo alimentare. Presupporre i presupposti può rendere<br />
miopi e privi di quel dubbio filosofico (epistemologico), che è il fondamento di ogni sapere scientifico e di ogni poterlo saper<br />
dire. Per chi si occupa di scienza, e non solo, occorre sapere come si procede nella costruzione di un sapere specialistico, ad esempio,<br />
come quello dell’alimentazione umana, divenuto da tempo argomento di interesse comune. La scienza, piuttosto dottorale e certa<br />
dei suoi assunti, riflette con difficoltà su quello che fa, immersa nelle sue verità e identificata com’è dalle sue pratiche che la coinvolgono,<br />
da non saperle spesso argomentare. Ancora più lontane dalla scienza sono le posizioni ideologiche, di qualunque natura,<br />
che da tempo si aggirano nel campo della nutrizione, così affollato di pareri e competenze, spesso senza titolo né ragionamento, a tal<br />
punto da sfociare in settarismi e gregarismi massificanti, dal sapore più mitologico e favolistico che antropologico e scientifico. Si<br />
tende così, senza sapere bene perché, a parteggiare per una posizione piuttosto che per un’altra, mossi spesso inconsapevolmente da<br />
necessità biologiche condizionanti la propria visione del mondo, che assurge a dottrina. Nella letteratura scientifica, nella comunità<br />
scientifica e non, si possono trovare studi, ricerche, articoli, libri, interviste a sostegno di una o di un’altra posizione, così lontane e<br />
divergenti, in contrapposizione e in lotta tra loro, da rendere il lettore sconcertato e perplesso. Si sta assistendo ad una vera e propria<br />
guerra tra le varie fazioni, che qui per scelta e presa di posizione non nominiamo, dove certezza delle proprie posizioni e verità<br />
assoluta si fondono in radicalità e intransigenze indiscutibili.<br />
Saremo in grado finalmente di liberarci dagli inutili e dannosi ‘ismi’ per approdare ad un adulto sapere ed essere?<br />
ALIMENTAZIONE<br />
La salute è di tutti e occorre, a nostro avviso, cambiare approccio e procedere in modo nuovo e antico, anche e soprattutto<br />
nella conoscenza del cibo e delle sue implicazioni. Non serve ed è riduttivo parlare di dieta giusta e salutare a-priori, pur ricordando<br />
alcune regole generali per il mantenimento e la prevenzione della buona salute, che assecondano le caratteristiche fisiologiche<br />
tipicamente umane. Ogni individuo presenta caratteristici assetti biochimici, costituzionali, energetici, cognitivi, emozionali ed<br />
esperienziali, in costante dialogo tra loro, in vitale divenire e trasformazione, per il mantenimento della propria identità biologica e<br />
mentale. Occorre saper personalizzare per quella determinata persona, in quel determinato momento della sua vita (contesto sociale,<br />
situazione soggettiva, stile di vita, condizione fisiopatologica) modalità e strategie di approccio nutrizionale, che sappiano cogliere<br />
i bisogni primari e le necessità particolari. Ciò che va bene per una persona, in quelle determinate quantità e qualità, nelle diverse<br />
e tipiche procedure gastronomiche, nei metodi di cottura e di accostamento degli alimenti (durante la giornata), con la predilezione<br />
di alcune esigenze rispetto ad altre, può non giovare o addirittura essere dannoso per un altro o altri. Bisogna, come in ogni attività<br />
umana imparare a saper pensare, differenziare e discernere, di volta in volta: pratica di non facile attuazione, che richiede abitudine<br />
e dedizione, anche e soprattutto in un ambito così decisivo come quello della nutrizione umana.<br />
Ci occuperemo prossimamente in modo più approfondito di questo tema (e di altri temi legati al cibo) con l’ausilio di uno specialista<br />
del settore, che ci accompagnerà in modo nuovo e non facilmente riscontrabile in campo nutrizionale, così saturo di informazioni,<br />
non sempre di aiuto per noi.<br />
(F. Cirone, medico ricercatore nutrizionista)<br />
CERTIFICAZIONE…<br />
ANCORA QUESTA<br />
SCONOSCIUTA?<br />
sia obbligatoria e dia garanzia al mercato che processi e prodotti<br />
aderiscono alla normativa stessa. Le norme volontarie, invece,<br />
possono essere frutto dell’attività normativa prodotta dagli enti<br />
normatori nazionali, UNI ad esempio nel nostro paese, EN in<br />
sede europea e ISO in campo internazionale o anche a livello privatistico<br />
da associazioni ed imprese che ritengono di porre sul<br />
mercato prodotti con caratteristiche superiori e in grado di differenziarsi<br />
dalle caratteristiche di base previste dalle norme di legge<br />
esistenti. Quando la certificazione viene applicata alle norme<br />
volontarie si tratta di certificazione volontaria, quando invece la<br />
si applica alle normative di legge assume la denominazione di<br />
certificazione regolamentata e, comunque, pur sempre volontaria<br />
in quanto l’adesione ai processi disciplinati da dette norme è pur<br />
sempre volontaria.<br />
La certificazione consente di fornire, con ragionevole certezza,<br />
la sicurezza che quel determinato processo e/o prodotto corrisponde<br />
ai requisiti minimi fissati nelle normative o nei disciplidi<br />
Fabrizio Piva<br />
A<br />
cosa serve la certificazione di parte terza? Quante volte<br />
abbiamo sentito questa domanda e quante differenti<br />
risposte sono state date. Sì, proprio differenti, perché<br />
molteplici sono le risposte così come diversi sono gli<br />
obiettivi che ci si pone con l’attività di controllo e certificazione.<br />
Innanzitutto è necessario definire una normativa di riferimento o<br />
delle specifiche di processo e/o di prodotto a cui l’attività deve<br />
corrispondere; normative a carattere volontario o cogente volte a<br />
migliorare la qualità dei processi produttivi e/o dei prodotti che<br />
ne sono il frutto. Il primo obiettivo che ci si pone nel disciplinare<br />
un percorso produttivo consiste nel migliorarne la qualità al<br />
fine di aumentare il valore aggiunto sia dei processi stessi che<br />
dei prodotti che ne derivano, onde corrispondere alle esigenze<br />
dei mercati e dei consumatori che desiderano riscontrarvi le caratteristiche<br />
volute. La normativa può avere anche un carattere<br />
cogente, basti pensare a quella per i prodotti biologici o per i prodotti<br />
agroalimentari tipici, ovvero prevede che la certificazione<br />
20<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
21
ALIMENTAZIONE<br />
nari che sono stati applicati dalle imprese che vi si sono assoggettate.<br />
In questo modo si rassicura mercato e consumatori e si<br />
pongono le basi per una competizione leale fra le imprese che<br />
volontariamente hanno deciso di adottare quella determinata<br />
norma, privata o pubblica che essa sia. La certificazione, quindi,<br />
come strumento di valorizzazione e di promozione di un determinato<br />
sistema produttivo per elevarne il livello qualitativo e<br />
renderlo maggiormente competitivo nei confronti di altri sistemi<br />
concorrenti. Da ciò ne deriva la necessità che un determinato<br />
sistema economico possa esprimere i propri requisiti di qualità<br />
non solo affidandosi a sistemi produttivi in grado di raggiungere<br />
elevati standard in linea con le mutevoli esigenze di mercato, ma<br />
anche mettendo a punto sistemi di valutazione e di certificazione<br />
che possano svolgere adeguatamente la funzione di controllo e<br />
certificazione in linea con le norme nazionali ed internazionali<br />
e siano in grado di conferire certezze a mercati sempre più lontani,<br />
e non solo in senso geografico, dai luoghi di produzione. La<br />
conformità alle norme internazionali di riferimento consentono<br />
di far riconoscere la di conformità Filippo della Mariani certificazione indipendentemente<br />
dalla lingua utilizzata e dal mercato di riferimento e di<br />
fornire la garanzia che l’organismo di controllo e certificazione<br />
abbia agito nel rispetto dei criteri che lo devono caratterizzare.<br />
Questo è possibile in virtù del fatto che un paese come l’Italia<br />
abbia posto in atto un sistema di accreditamento degli organismi<br />
di controllo e certificazione operanti valutandone il rispetto<br />
dei requisiti posti nella norma internazionale, la UNI EN ISO<br />
17065, che ne definisce i criteri. L’organismo di accreditamento,<br />
in Italia Accredia, svolge verifiche di sussistenza di detti criteri<br />
nel rispetto dei principi di mutuo riconoscimento esistenti in<br />
ambito europeo (EA, European Accreditation) ed internazionale<br />
(IAF, International Accreditation Forum) e fornisce valore alle<br />
certificazioni emesse dagli organismi italiani e, di conseguenza,<br />
ai processi ed ai prodotti da questi certificati. I requisiti principali<br />
cui un organismo di certificazione deve corrispondere sono<br />
la competenza, l’indipendenza, la terzietà, l’imparzialità, la riservatezza<br />
e la trasparenza in quanto il processo di controllo e di<br />
certificazione deve essere un processo estremamente democratico<br />
ed aperto a tutti coloro che ne rispettano gli adempimenti ed i<br />
requisiti contenuti nelle norme di riferimento.<br />
La prima attività condotta dall’organismo di certificazione consiste<br />
nell’attività di verifica o controllo dei processi o dei prodotti,<br />
a seconda del caso, rispetto ai requisiti presenti nelle norme<br />
per poi giungere ad un giudizio che corrisponde all’attività<br />
certificativa. L’indipendenza e l’imparzialità derivano dal fatto<br />
che l’organismo è soggetto all’azione di comitati di imparzialità<br />
e di certificazione in cui sono rappresentate le parti interessate al<br />
processo di certificazione e contemporaneamente non coinvolte<br />
nello stesso. I comitati devono essere composti di persone competenti<br />
non “affette” dal servizio di certificazione.<br />
Affrontando la tematica relativa ai processi produttivi ecosostenibili,<br />
la certificazione ha permesso di allargare il mercato e di<br />
diffondere i processi che sono alla base della “necessaria” sostenibilità.<br />
Questa non può ridursi ad un termine vacuo ma deve<br />
essere sostanziata da prodotti e da processi che fanno toccare con<br />
mano la sua “bontà”. Quando trattiamo il tema del biologico, i<br />
prodotti che ne derivano sono ottenuti senza l’utilizzo di sostanze<br />
chimiche di sintesi, senza OGM, nel rispetto dei cicli naturali<br />
e di una corretta rotazione agronomica che favorisce l’accumulo<br />
di carbonio organico al suolo e di sostanza organica, i prodotti<br />
animali sono tratti da animali trattati secondo i principi del benessere<br />
animale. Prodotti per il cui ottenimento si garantisce la<br />
possibilità che le risorse naturali siano in grado di sostenere anche<br />
i processi per le future generazioni. La certificazione garantisce<br />
questo ed il mercato ha premiato in tutti questi anni i processi<br />
così garantiti. Sostenibilità però significa anche riduzioni<br />
delle emissioni in gas serra, riduzione dei consumi idrici, lotta<br />
allo spreco, annullamento di sversamenti in natura di sostanze<br />
dannose che favoriscono l’eutrofizzazione e l’acidificazione dei<br />
suoli. Oggi vi sono sistemi di certificazione che garantiscono il<br />
raggiungimento di tali obiettivi, basti pensare agli schemi dell’<br />
EPD (Environmental Product Declaration), della carbon o della<br />
water footprint e a tutte le certificazioni che consentono di verificare<br />
la fissazione del carbonio organico al suolo con l’indubbia<br />
possibilità di assorbire parte delle emissioni in CO2 e di favorire<br />
una migliore fertilità dei suoli.<br />
Attraverso l’attività di controllo e certificazione è possibile coniugare<br />
l’ottenimento di prodotti di qualità con la salvaguardia<br />
della salute dell’ambiente e delle sue risorse e consentire che<br />
il miglioramento delle condizioni del nostro Pianeta possa avvenire<br />
grazie ad un semplice atto di acquisto. È necessario incentivare<br />
questi atti di acquisto e promuovere i processi ecosostenibili<br />
ed i loro prodotti che, al di là del termine sostenibilità, hanno<br />
una precisa denominazione: biologico, integrato, riduzione delle<br />
emissioni, a basso consumo idrico, ecc. ■<br />
22<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
23
UN’OTTIMA<br />
ANNATA<br />
Dallo scandalo metanolo<br />
al primato dei vini<br />
made in Italy<br />
di Nicola Saluzzi<br />
Trent’anni fa, l’Italia ha vissuto l’ennesimo scandalo:<br />
il vino al metanolo. Un prodotto scadente veniva<br />
spacciato per vino dopo un processo chimico di sofisticazione<br />
con l’aggiunta di alcol metilico.<br />
Di questa tragedia vanno ricordate, prima di tutto, le venti persone<br />
morte, le decine di persone rimaste cieche e a seguire<br />
tutti i danni sanitari con centinaia di ricoveri, con molti miliardi<br />
di vecchie lire, difficile quantificare quelli commerciali<br />
e d’immagine, dopo il sequestro delle cisterne e il crollo delle<br />
esportazioni. Ma questa crisi - mortale per il settore - fu<br />
l’occasione per i produttori di unirsi, dimostrare orgoglio e<br />
realizzare una “rivoluzione” che non si poteva immaginare.<br />
Vennero riscritte le norme, i controlli severi lungo la filiera<br />
assicuravano la qualità, si aggiornarono i disciplinari atti a<br />
garantire la tipicità della produzione vitivinicola e l’identità<br />
territoriale. La credibilità soprattutto all’estero viene riconquistata,<br />
si diffonde una nuova immagine e una nuova cultura<br />
del vino, la sua promozione è sempre legata al territorio, di cui<br />
viene valorizzato ogni aspetto compreso quello paesaggistico,<br />
in ogni regione il vino muove un turismo di qualità crescente<br />
con una significativa presenza di stranieri. Quella che per la<br />
maggior parte dei consumatori era una bevanda comune, in<br />
genere consumata durante i pasti, è passata ad essere “espressione<br />
del territorio”, locuzione che implica conoscenza e cultura,<br />
un linguaggio proprio, raffinato ma non più esclusivo<br />
degli esperti del settore bensì condiviso da un vasto pubblico<br />
che si approccia alla degustazione attraverso corsi e seminari.<br />
I vini di pregio approdano nei supermercati, mentre si moltiplicano<br />
le enoteche e nascono i wine bar. Sempre più, nella<br />
selezione di vini importanti l’attenzione è orientata ad esaltare<br />
l’occasione in cui si vuole degustare, non solo al giusto e tradizionale<br />
abbinamento al cibo.<br />
Bere vino, anzi degustare, è un’occasione di vita sociale<br />
che interessa sempre più i giovani e che anche per questo è<br />
diventato fenomeno di moda; il rituale, finalizzato all’assaporare<br />
ogni goccia prima di trarne piacere, è un percorso di<br />
identificazione in uno stile, dove il vino esprime carattere e<br />
personalità.<br />
Il vino è al contempo un prodotto antico e moderno; produrlo<br />
potrebbe essere relativamente semplice, produrlo di qualità<br />
è un processo molto complesso. Nel vigneto decide l’agronomo,<br />
in cantina l’enologo; spesso le due professionalità si sommano<br />
in una sola figura che governa il processo produttivo in<br />
base ai diversi parametri, per ottenere il vino desiderato e che<br />
possibilmente risponda ai gusti che fanno tendenza.<br />
La cultura enologica è cresciuta in modo importante, anche<br />
il consumatore meno abituale è più informato, consapevole<br />
ed esigente: distingue il vino in purezza da quello composto<br />
(blend), si informa sulla varietà dell’uva, sul vitigno che la<br />
produce e sul metodo di invecchiamento. Il vino di qualità<br />
conquista ampie fasce di consumatori ed entusiasma produttori<br />
sempre più giovani, che appassionati, e sempre più spesso<br />
in possesso di un buon titolo di studio, scoprono un lavoro<br />
più confacente alle proprie aspirazioni: gratificante (anche sul<br />
piano economico) e improntato ai ritmi della natura. Coltivare<br />
la vigna e gestire la cantina sono un grande impegno, richiede<br />
cultura e tenacia. Il viticoltore moderno ha una coscienza ambientale,<br />
è molto attento a difendere e valorizzare il territorio,<br />
sa che la migliore qualità si ottiene se produce in modo sostenibile,<br />
e per questo sceglie metodi e tecniche naturali, senza<br />
ricorrere in modo massiccio alla chimica come abitualmente<br />
si faceva in passato, valorizza la naturalità del prodotto anche<br />
a scapito di maggiori ricavi, spesso sperimenta la vinificazione<br />
senza solfiti aggiunti, e, sempre più sovente, sottopone il<br />
terreno alle procedure di conversione al metodo dell’agricoltura<br />
biologica, quando già non la pratica.<br />
A parte la fiera più conosciuta a livello internazionale e le<br />
molte manifestazioni su tutto il territorio, innumerevoli sono<br />
gli eventi dedicati al vino. Incontri in cantina, corsi, seminari<br />
sono organizzati da vari movimenti e associazioni che promuovono<br />
la cultura del bere di qualità; il culmine della celebrazione<br />
a tutti i livelli si è avuto in periodo di Expo Milano,<br />
dove anche il vino ha rappresentato l’orgoglio del made in<br />
Italy. La chiusura di questo numero di <strong>Ecoideare</strong> corrisponde<br />
al periodo della vendemmia in quasi tutte le regioni. Secondo<br />
gli esperti, il 2015, per la viticoltura e l’enologia, è da annoverare<br />
tra le annate memorabili, sia per quantità sia per qualità.<br />
Infatti la produzione supererà i 46 milioni di ettolitri contro i<br />
42 dell’anno passato (fonte: Assoenologi) e alla natura va il<br />
merito di aver regalato condizioni meteo ottimali che hanno<br />
portato a giusta maturazione le uve in tutte le regioni, senza<br />
malattie e parassiti. Dunque, citando il titolo di un recente<br />
film di successo, questa è un’ottima annata!<br />
In linea con il tema centrale di Expo, la difesa della biodiversità,<br />
e sull’onda di tanto successo del made in Italy enologico,<br />
è auspicabile un maggiore impegno nel percorso di recupero e<br />
di promozione dei vitigni antichi valorizzandone il carattere di<br />
tipicità e salubrità che li contraddistingue. Il valore della biodiversità<br />
passa innanzitutto attraverso l’educazione ambientale<br />
e la riscoperta di culture antiche che la storia ci narra; ne è di<br />
esempio l’ultima, recentissima, scoperta dei semi di malvasia<br />
e vernaccia che risalgono a tremila anni fa, recuperati vicino<br />
a un nuraghe in Sardegna. La vite ha una storia antichissima.<br />
Coltivata in Oriente, nel Mediterraneo occidentale si diffuse<br />
grazie ai Fenici e successivamente ai Romani. Oggi le analisi<br />
di laboratorio ci permettono di ricostruire l’affascinante storia<br />
di questo antico vitigno.<br />
L’Italia è terra di vini, in ogni zona c’è una vigna dove si producono<br />
vini diversi, spesso rari e soprattutto unici per caratteristiche<br />
organolettiche. Negli ultimi vent’anni il mercato globalizzato<br />
ha portato a coltivare poche varietà internazionali<br />
dimenticando i vitigni tipici locali. I grandi vini sono per la<br />
maggior parte autoctoni (cito alcuni tra i rossi più conosciuti,<br />
solo per esempio: Aglianico, Dolcetto, Montepulciano, Nebbiolo,<br />
Negroamaro, Nero d’Avola, Sangiovese). Negli ultimi<br />
anni i vini che si ottengono da vitigno antico locale rappresentano<br />
un patrimonio tipicamente italiano per le centinaia di varietà<br />
di vitigni presenti in ogni regione che, se non recuperati<br />
e coltivati, sarebbero a rischio di estinzione. I vini da varietà<br />
locali rare che si producono nonostante la produzione sia ancora<br />
limitata, si fanno sempre più apprezzare. L’offerta diversificata<br />
è trainante dello sviluppo della vitivinicoltura italiana.<br />
Infatti già con i 355 vitigni tradizionali locali classificati l’Italia<br />
ha il primato mondiale per varietà e altre 1000 attendono di<br />
essere studiati: una ricchezza economica e culturale. La loro<br />
storia ci racconta il territorio e rappresenta un potenziale d’eccellenza<br />
tutto da sviluppare.<br />
ALIMENTAZIONE<br />
24 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
25
L’INTERVISTA A LUIGI DE CARO<br />
“Il vino è il canto della terra verso il cielo.”<br />
Sulle orme di Gino Veronelli.<br />
In questo excursus sul fenomeno sociale del vino sento l’obbligo<br />
morale di ricordare Luigi Veronelli. Per la sua umanità<br />
e la sua poesia, per le sue battaglie a favore dei contadini e<br />
contro l’agroindustria globalizzata, per il valore culturale e<br />
sociale che ha dato al vino prima e più di ogni altro e per lo stile<br />
con cui lo decantava. Ho avuto l’onore di conoscere il maestro<br />
che oltre ad un grande vuoto, ha lasciato un’eredità per tutti coloro<br />
che si approcciano al mondo del vino, che voleva naturale<br />
e sostenibile.<br />
Luigi (Gino) Veronelli amava i vini perché raccontano il terroir<br />
e la storia dell’uomo ad esso intrecciata, una specificità di valori<br />
e di pratiche tradizionali antagoniste all’omologazione (che fa<br />
rima con globalizzazione) che stava snaturando il patrimonio<br />
vitivinicolo italiano, oggi riscoperto. A Lui si sono ispirati i cultori<br />
del vino negli ultimi decenni, a Lui si deve il nuovo linguaggio<br />
fatto di neologismi ed espressioni (per esempio: “vino<br />
da meditazione”) oggi utilizzato da tutti gli enologi e non solo.<br />
frutti in quella zona; se l’esperienza affonda le radici nei secoli,<br />
si può parlare di vitigno autoctono, originario del territorio.<br />
E in realtà è lo stesso legislatore ad aver recepito e promosso<br />
l’idea della qualità legata alla tipicità territoriale (in relazione<br />
a specifici vitigni, elencati nei disciplinari di produzione): l’intero<br />
sistema delle denominazioni d’origine (DOP, che include<br />
DOC e DOCG), infatti, è imperniato su questa idea della qualità,<br />
legata alla tipicità territoriale.<br />
A mio parere, quindi, qualificare un vino come “espressione<br />
del territorio” denota una tendenza molto positiva, anche se è<br />
vero che le espressioni linguistiche si logorano e si svuotano di<br />
senso se abusate o usate come semplici cliché (è un fenomeno<br />
comune a tutti i valori, non solo ai valori linguistici: quando il<br />
valore non è accompagnato da una più o meno forte intenzionalità<br />
soggettiva, l’espressione portatrice di valore, ad esempio<br />
“giustizia”, diventa un veicolo vuoto; i valori si testimoniano<br />
meglio con l’esempio, che non declamandoli).<br />
ALIMENTAZIONE<br />
Luigi De Caro è filosofo e analista sensoriale.<br />
A lui chiedo la sua opinione attraverso tre domande.<br />
NS: “Espressione del territorio” oggi descrive il vino di qualità,<br />
tanto più se proviene da vitigno autoctono, tradizionalmente<br />
coltivato nel territorio. Questo rapporto così spesso<br />
richiamato tra qualità e territorialità è autentico o rischia di<br />
diventare un mero luogo comune?<br />
LDC:<br />
Un vino è “espressione del territorio” quando possiede caratteri<br />
tipici che lo distinguono da vini fatti altrove. La locuzione è<br />
diventata sinonimo di vino di qualità perché più il vino è tipico,<br />
definito, riconoscibile, più si distingue da vini comuni o standardizzati,<br />
che potrebbero essere fatti dovunque (o con qualsiasi<br />
uva). Normalmente al “territorio” è associato anche uno (o<br />
più) specifico vitigno che l’esperienza ha mostrato dare buoni<br />
26<br />
Su questa idea di qualità si possono fare alcune considerazioni:<br />
la tipicità come criterio di indicazione della qualità funziona<br />
quanto più l’identità territoriale della denominazione è definita,<br />
ma non funziona quando l’ identità territoriale è indefinita,<br />
poiché troppo vasto è il territorio, o troppo diversa è l’interpretazione<br />
del vino con la medesima denominazione d’origine. A<br />
questo proposito, mi piace ricordare una mia recente esperienza<br />
professionale, a Milano, nei giorni di chiusura dell’ Expo,<br />
quando ho condotto la presentazione del vino laziale “Cesanese<br />
di Olevano Romano”, un vino antico, già bevuto dai Romani,<br />
e recentemente rilanciato nel panorama dei moderni vini di<br />
qualità. Ebbene, sono stato sorpreso dal constatare come dai 13<br />
esemplari assaggiati si potesse risalire a una nitida definizione<br />
dell’identità territoriale del vino, nonostante le consuete eccezioni<br />
che confermano la regola. La coerenza dell’interpretazione<br />
(ricerca di equilibrio e bevibilità di fronte a una elevata gradazione<br />
alcolica e a una struttura importante, che si esprime in<br />
Foto di Rita Camicia - Archivio Comune di Olevano Romano - Contest Cesanese<br />
profumi fruttati e floreali, con note speziate), pur nella diversità<br />
delle voci, come in un coro, che i produttori hanno voluto e saputo<br />
dare al vino, ha anche una precisa funzione strategica: la<br />
volontà e la capacità di fare gioco di squadra, supportate da un<br />
attento marketing territoriale, come mezzi di affermazione del<br />
vino italiano, anche sui mercati internazionali.<br />
NS: Nonostante la territorialità sia criterio di qualità, e nonostante<br />
l’Italia sia ricchissima di vitigni autoctoni, spesso<br />
rari e ancora poco conosciuti, però non si vede ancora un<br />
movimento collettivo che vada nella direzione di valorizzare<br />
i gusti particolari, territoriali, originali. Molti seguono la<br />
strada più facile del gusto omologato, di moda? Che ruolo<br />
ha la comunicazione a tal proposito?<br />
LDC:<br />
Non è solo colpa della comunicazione. La comunicazione più o<br />
meno riflette il peso degli interessi della società, e quindi, vi si<br />
trova un po’ di tutto, in positivo e in negativo. Una lacuna a mio<br />
parere assai grave, e che mi preme segnalare, concerne il<br />
cosiddetto vino quotidiano, o altrimenti i vini della fascia<br />
sotto i 5 euro di prezzo al consumo (ma il discorso vale<br />
anche, sia pure qui con diverse eccezioni, per la fascia<br />
sotto gli 8 euro). Stando a ciò che si legge, e si sente,<br />
essi sembrano non esistere, non appartenere all’area<br />
del vino di qualità, per non parlare del vino sfuso, la<br />
cui immagine è rimasta quella del vino dozzinale, precedente<br />
alla rivoluzione qualitativa alla quale ti riferisci<br />
nell’articolo. Ma questa cancellazione mediatica è<br />
assurda: si trovano, a saperli cercare, prodotti sotto i<br />
5 euro non lontani dall’eccellenza, almeno per rapporto<br />
qualità/prezzo.<br />
La comunicazione si concentra piuttosto sui vini di punta, sui<br />
top wine, intensi, concentrati, strutturati, lunghi, persistenti,<br />
quasi che avere tanti muscoli sia l’unica condizione per<br />
aspirare all’eccellenza. Davvero un errore di prospettiva<br />
grossolano! La comunicazione fa passare il messaggio:<br />
Foto di Laurentiu Mitruti - Archivio Comune di Olevano Romano - Contest Cesanese<br />
più strutturato = più costoso = più buono. E spesso semplifica<br />
ulteriormente: più costoso = più buono. Falso!<br />
Lo stesso Veronelli aveva provato ad opporsi a questo sofisma<br />
di spacciare per “buono” ciò che è “costoso”: l’idea di riportare<br />
in etichetta il “prezzo sorgente” andava in questa direzione,<br />
anche se mirava a tutelare, oltre che il consumatore finale,<br />
anche i piccoli produttori vitivinicoli, cercando di ripartire in<br />
modo ad essi più vantaggioso il valore aggregato della domanda<br />
di quel prodotto. Personalmente, ricordo che qualche anno<br />
fa, ad una fiera presso il Centro sociale Leoncavallo di Milano,<br />
si potevano fare acquisti al prezzo sorgente, e acquistai<br />
un ottimo Amarone ad 11 euro, cioè circa un terzo del prezzo<br />
a cui normalmente viene venduto (con quel budget, ne avrei<br />
acquistati tre).<br />
Così, grazie alla complicità della comunicazione, i vini più<br />
leggeri, più semplici, di “pronta beva”, che si abbinano meravigliosamente<br />
alla cucina quotidiana, sono considerati vini<br />
“base”, cioè di minor pregio, mentre vi sono vini che sono autentici<br />
gioielli, pur non rincorrendo una struttura imponente<br />
(solo per fare un esempio, il Ruché di Castagnole Monferrato<br />
è una piccola DOC, che si presenta al pubblico in un’unica<br />
versione: non vi sono, almeno a mia conoscenza, produttori<br />
che presentano versioni base, e riservano la migliore<br />
qualità per versioni di eccellenza, superconcentrate). A<br />
farne le spese è stato anche il settore dei rosati (e in<br />
parte il discorso vale anche per i bianchi) che, a differenza<br />
di quel che avviene in Francia, quasi mai sono<br />
considerati dal produttore come top wine dell’azienda,<br />
ma come vini semplici, destinati soltanto a una piccola<br />
nicchia di consumatori, prevalentemente femminile.<br />
Eppure, come da alcune parti si inizia a capire, non è impossibile<br />
indirizzare le risorse, sia nella ricerca, sia nella<br />
produzione, verso la creazione di vini “facili di eccellenza”,<br />
locuzione che purtroppo oggi sembra un ossimoro, proprio a<br />
causa del martellamento mediatico a cui siamo sottoposti.<br />
E proprio questo dovrebbe essere l’ obiettivo strategico<br />
27
del vino italiano: valorizzare le qualità tipiche dei vitigni autoctoni,<br />
secondo le loro potenzialità, che si esprimono al meglio<br />
a volte in vini di struttura, come ad esempio l’Amarone della<br />
Valpolicella, o il Sagrantino di Montefalco, a volte invece in<br />
vini più leggeri, come la Schiava dell’Alto Adige, o i vari Lambruschi<br />
emiliani. Queste ultime considerazioni ci permettono di<br />
riconoscere che, come dicevo all’inizio, non è solo colpa della<br />
comunicazione: in ogni parte del mondo del vino, dai produttori<br />
ai consumatori, dai politici ai tecnici, c’è chi ritiene opportuno<br />
trascurare una visione strategica, e si limita a seguire le mode<br />
del momento. Esempio saliente mi sembra essere la moda del<br />
legno, oggi per fortuna declinante: ancora oggi troppi vignaioli<br />
e enologi italiani ritengono che per fare un vino vincente ci<br />
si debba omologare ai modelli di gusto imposti dalla comunicazione<br />
internazionale, imitando quei pochi vini che vengono<br />
celebrati come “icone”: nascono così migliaia di “vinoni”, più<br />
o meno buoni, ma sicuramente poco territoriali (e molto costosi).<br />
Contro questa tendenza, si dovrebbero seguire le orme di<br />
Gino Veronelli, verso una enologia più democratica (nel senso<br />
anche di meno individualistica) in grado di offrire le tantissime<br />
eccellenze del patrimonio viticolo italiano al maggior numero<br />
possibile di consumatori, o più semplicemente di persone.<br />
NS: Al di là del fatto che le espressioni linguistiche impiegate<br />
per descrivere i vini sembrano a volte essere ripetute come<br />
vuoti rituali, la degustazione coinvolge e produce sensazioni<br />
profonde. Possiamo dire che il vino richiama una “filosofia<br />
delle emozioni”?<br />
LDC:<br />
Non c’è dubbio che il vino racchiuda un forte potenziale emozionale,<br />
ma questo potenziale spesso viene perduto quando il<br />
vino viene bevuto con superficialità, e spesso anche quando lo<br />
si esamina con attenzione e competenza, allo scopo di misurarne<br />
la qualità.<br />
La mia tesi di Master in Scienze dell’Analisi Sensoriale partiva<br />
proprio dalla constatazione di questa deficienza: analisti sensoriali<br />
e tecnici degustatori rischiano di sacrificare il potenziale<br />
emozionale del vino sull’altare della ricerca di una misurazione<br />
quanto più possibile oggettiva delle qualità del prodotto.<br />
Nella tesi, ho tentato allora di misurare l’impatto emozionale<br />
del vino, mediante il rilevamento di descrittori emozionali in<br />
tre gruppi differenti di assaggio. Ebbene, il gruppo dei consumatori<br />
non qualificati, sollecitati dall’ascolto di brani musicali<br />
appositamente selezionati, ha avuto risultati statisticamente<br />
molto più significativi dei due gruppi di assaggiatori tecnici,<br />
che avevano degustato senza l’ausilio emotigeno della musica.<br />
Il vino è un oggetto straordinario, che riunisce in sé misteriosamente<br />
aspetti dell’artefatto, e dell’opera d’arte, oltre che<br />
della creatura vivente, e richiede pertanto un approccio integrale,<br />
che sappia coglierne l’anima, oltre che il corpo, come<br />
per una bella donna, per riprendere una brillante e suggestiva<br />
immagine di Gino Veronelli: “i vini sono come le belle donne,<br />
differenti, misteriosi e volubili, e come una donna va preso.<br />
Comincia sempre col rifiutarsi con garbo o villania, secondo<br />
il temperamento e si concede solo a chi aspira alla sua anima,<br />
oltre che al suo corpo. Apparterrà a colui che la scoprirà con<br />
delicatezza”.<br />
Foto di Elena Pucci - Archivio Comune di Olevano Romano - Contest Cesanese<br />
Nella mia precedente collaborazione su <strong>Ecoideare</strong>, avevo suggerito<br />
l’espressione “Enologia profonda” (con un calco su ecologia<br />
profonda), per denotare questo approccio integrale, che<br />
sia in grado di includere anche gli aspetti profondi, emozionali.<br />
In enologia profonda occorre andare al di là della categorizzazione<br />
ordinaria, di senso comune, che intenziona il vino come<br />
un mero “oggetto”, occorre togliersi gli occhiali della vita quotidiana,<br />
che vedono nel mondo solo delle mute cose, manipolate<br />
da una ragione calcolante e misurante, e, invece mettersi in<br />
contatto con l’anima delle cose, come fanno i poeti, i musicisti,<br />
gli artisti, che sanno dare forma alle energie creatrici, alle quali<br />
tutti gli esseri viventi sono imparentati. Sono le energie creatrici<br />
presenti nelle creature viventi, a cui i grandi vini sanno dare<br />
espressione. Sulle potenzialità espressive del vino insisteva uno<br />
dei padri fondatori dell’enologia profonda, Luigi Veronelli, che<br />
scriveva: “Il vino è il canto della terra verso il cielo. Il rapporto<br />
con il vino è un rapporto fra due soggetti. Il suo fascino è che<br />
ha una sua capacità autonoma, che non è condizionata da me,<br />
io mi metto nei suoi confronti in un rapporto dialettico, come<br />
con un ente vivente. Il vino a me dà piacere non per quello che<br />
io sento, ma per quello che mi sembra esprimere”.<br />
Il vino esprime qualcosa al di là dei suoi caratteri organolettici.<br />
Qui entrano in scena le emozioni: quando riusciamo a squarciare<br />
il velo della vita quotidiana, entriamo in un mondo poetico<br />
di significati, armonie e corrispondenze che ci emozionano.<br />
A titolo di esempio si pensi a una speciale emozione, generata<br />
dall’idea stessa di vino, che si potrebbe chiamare “emozione<br />
cosmica”, e che viene evocata dalla vite e dal vino in quanto<br />
simboli di trasformazione, di rinascita, di rigenerazione della<br />
vita. La forza universale del vino, la sua funzione cosmica consiste<br />
nell’essere un medium tra l’oro del sole, che penetra a<br />
fiotti nel grappolo in maturazione, e il sangue, vivida rossa sostanza<br />
che esprime la quintessenza della vita animale (cfr. Gaston<br />
Bachelard, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità,<br />
1948, pp. 277-284). Credo che tutti abbiano notato almeno una<br />
volta che un vino bevuto in cantina, vicino alle vigne, nel suo<br />
territorio di nascita, sembra più buono, forse proprio perché lì<br />
è più facile che si accenda questa speciale emozione cosmica:<br />
quando il vino inizia a circolarci nelle vene, sentiamo che il diaframma<br />
che ci separa dal cosmo a poco a poco cede, entriamo<br />
in sintonia con i ritmi della natura, fino a fonderci in unione<br />
quasi mistica con il creato: il vino si fa ebbrezza!<br />
L’ambiente della degustazione, quindi, può facilitare il gioco<br />
delle emozioni. Si tratta di immaginare spazi dove i nostri organi<br />
di senso vengono sciolti dai condizionamenti pratico-utilitari<br />
propri della vita quotidiana e si abbandonano fiduciosi alla<br />
esperienza emozionale.<br />
Anche le sinestesie, cioè le associazioni che la nostra mente<br />
è in grado di operare tra modalità sensoriali differenti, possono<br />
aiutare a sintonizzarsi con l’anima di un vino. Classica<br />
è ormai l’associazione del vino con la musica. Estremamente<br />
interessante e raffinato è il tentativo di rinnovamento recentemente<br />
operato dal critico cinematografico Marco Lombardi<br />
con l’invenzione della “Cinegustologia”, che mette in parallelo<br />
le sensazioni e emozioni evocate dal cinema con quelle dei cibi<br />
e dei vini. Ecco come lui stesso introduce la Cinegustologia:<br />
“M’è allora venuto in mente uno di quei giochi che facevamo<br />
da ragazzini, e cominciava più o meno così: “Se Pinco Pallino<br />
fosse un albero, che albero sarebbe?” “E se fosse un colore?”,<br />
fino a quando s’indovinava a quale compagno di giochi ci si<br />
stava riferendo. Era un modo sinestetico e irrazionale, e forse<br />
più profondo, per raccontare Pinco Pallino, invece di dire<br />
che è alto, ha i capelli neri ed è simpatico. Partendo poi dalla<br />
considerazione che spesso, come conseguenza di quest’istintualità,<br />
descriviamo un film come duro, acido, morbido, amaro,<br />
dolce, ruvido e profumato, proprio come se fosse qualcosa da<br />
bere o da mangiare, ecco che l’associare liberamente un film a<br />
un piatto o a un vino, e viceversa, può costituire un modo più<br />
autentico per raccontare agli altri, e anche a noi stessi, le emozioni<br />
indotte da quel tipo d’opera d’arte (perché sia i film, sia<br />
i vini, sia i piatti, lo sono… almeno dovrebbero)”. http://www.<br />
cinegustologia.it/cinegustologia.html<br />
Suggerisco un altro modo di sfruttare le associazioni sinestesiche<br />
per cercare di esplorare le potenzialità emozionali di un<br />
vino: si tratta di immaginare il vino come un volto, esattamente<br />
come noi facciamo quando vediamo per la prima volta una<br />
persona: istintivamente ne esaminiamo il volto, ne riceviamo<br />
un’impressione, e più o meno consciamente intuiamo il carattere<br />
e la profondità della persona. Così anche per il vino<br />
dovremmo riuscire a intuire, dietro il suo tessuto superficiale,<br />
nelle pieghe della sua trama gusto-olfattiva, mediante uno<br />
sguardo d’insieme, sintetico, non analitico, l’anima del vino:<br />
si potranno così trovare vini sbarazzini, spensierati, allegri, o<br />
rassicuranti, profondi, interiori, vini sorprendenti, provocatori,<br />
vini danzanti, epici, e così via. La visione interiore dell’anima<br />
interroga e ascolta la trama di ritmi liquidi e armonie odorose,<br />
ne prova risonanze, ripercussioni sentimentali, richiami del<br />
nostro passato. L’immagine olfattiva del vino ci ha toccato in<br />
profondità, le nostre risorse emozionali sono state scosse.<br />
Propongo un’esperienza, più o meno ludica, facilmente realizzabile,<br />
per sfruttare le sinestesie “vino-viso”: si provi ad<br />
associare ogni vino ad un volto, scorrendo una galleria di immagini:<br />
chissà che un giorno non ci imbattiamo in un vino che<br />
sembra il nostro ritratto… “quel vino sono io”! E speriamo che<br />
quel vino sia buono… ■<br />
(*) Luigi De Caro<br />
Laurea in Filosofia del Diritto,<br />
Master in Scienze dell’Analisi Sensoriale.<br />
Progettista di eventi ispirati alla “enologia profonda”.<br />
Ha ideato e condotto “ENOZIONI”,<br />
Laboratorio di sensazioni eno-musicali,<br />
in Lombardia e Piemonte (2006-2007).<br />
Ha già collaborato con <strong>Ecoideare</strong>.<br />
ALIMENTAZIONE<br />
28<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015 29
I PARCHI IN ITALIA<br />
TRA PRESENTE<br />
E FUTURO<br />
DARIO FURLANETTO<br />
Laureato in Scienze Biologiche, iscritto<br />
all’Ordine Nazionale dei Biologi, nel<br />
1987 viene nominato Direttore del Parco<br />
regionale lombardo della Valle del Ticino<br />
fino al 2010. Attualmente Direttore del<br />
Parco regionale dell’Adamello lombardo è<br />
autore di progetti e pubblicazioni di ricerca<br />
e divulgazione in materia ambientale.<br />
AMBIENTE E TERRITORIO<br />
Intervista di Dario Sonetti<br />
a Dario Furlanetto<br />
Direttore del Parco Regionale dell’Adamello<br />
Il Castello di Breno con lo sfondo del Pizzo Badile camuno<br />
Il Parco dell’Adamello, indicatore emblematico?<br />
Il Parco dell’Adamello, indicatore emblematico?<br />
Il sistema dei Parchi in Italia è a un punto critico, tra rivisitazione<br />
della loro funzione e scarsità cronica di mezzi. A ciò<br />
Il sistema dei Parchi in Italia un punto critico, tra rivisitazione<br />
della loro funzione scarsità cronica di mezzi. ciò<br />
si somma una minor attenzione ai problemi della conservazione<br />
si somma una minor attenzione ai problemi della conservazione<br />
degli ecosistemi e della biodiversità da parte delle Istituzioni,<br />
degli ecosistemi della biodiversità da parte delle Istituzioni,<br />
messi in secondo piano da altri tipi di emergenze nazionali. Dobbiamo<br />
essere pessimisti o i Parchi possono continuare ad offrire<br />
messi in secondo piano da altri tipi di emergenze nazionali. Dobbiamo<br />
essere pessimisti Parchi possono continuare ad offrire<br />
una loro indispensabile funzione?<br />
una loro indispensabile funzione?<br />
Lo chiediamo al Direttore di un Parco Regionale tra i più belli<br />
Lo chiediamo al Direttore di un Parco Regionale tra più belli<br />
e interessanti dell’Arco Alpino, il Parco dell’Adamello, che in<br />
interessanti dell’Arco Alpino, il Parco dell’Adamello, che in<br />
questa prospettiva può dare utili indicazioni.<br />
questa prospettiva può dare utili indicazioni.<br />
D.: Dottor Furlanetto, se per un parco vi è un presente e si<br />
D.: Dottor Furlanetto, se per un parco vi un presente si<br />
spera, un futuro, è perché c’è stato un passato. Quando è stato<br />
spera, un futuro, perché c’è stato un passato. Quando stato<br />
creato il Parco dell’Adamello e con quali intenzioni o aspirazioni?<br />
Quali sono le emergenze naturalistiche e storiche più<br />
creato il Parco dell’Adamello con quali intenzioni aspirazioni?<br />
Quali sono le emergenze naturalistiche storiche più<br />
interessanti?<br />
interessanti?<br />
R.: Il Parco dell’Adamello nasce nel 1983 insieme ad altri Parchi<br />
regionali lombardi, contestualmente alla “Legge Quadro”<br />
R.: Il Parco dell’Adamello nasce nel 1983 insieme ad altri Parchi<br />
regionali lombardi, contestualmente alla “Legge Quadro”<br />
che la Regione Lombardia emanò, la LR 86/83, per istituire un<br />
che la Regione Lombardia emanò, la LR 86/83, per istituire un<br />
“Sistema di Aree Protette”.<br />
“Sistema di Aree Protette”.<br />
Questo “sistema” ad oltre 30 anni dalla sua emanazione “regge”,<br />
Questo “sistema” ad oltre 30 anni dalla sua emanazione “regge”,<br />
ma sicuramente necessita di un restauro tutt’altro che di facciata.<br />
ma sicuramente necessita di un restauro tutt’altro che di facciata.<br />
Per quanto concerne le intenzioni, il legislatore regionale ed un<br />
Per quanto concerne le intenzioni, il legislatore regionale ed un<br />
poco di anni dopo anche il legislatore nazionale (Legge Quadro<br />
Nazionale sui Parchi – L.394/1991) puntavano soprattutto<br />
poco di anni dopo anche il legislatore nazionale (Legge Quadro<br />
Nazionale sui Parchi L.394/1991) puntavano soprattutto<br />
a dare una alternativa di funzioni (tutela di ambiente, paesaggio<br />
dare una alternativa di funzioni (tutela di ambiente, paesaggio<br />
e natura) soprattutto in chiave economica, a quelle popolazioni<br />
natura) soprattutto in chiave economica, quelle popolazioni<br />
che erano rimaste ai margini dello sviluppo che aveva investito<br />
che erano rimaste ai margini dello sviluppo che aveva investito<br />
e stravolto il Paese nel secondo dopoguerra. Un forte movimen-<br />
stravolto il Paese nel secondo dopoguerra. Un forte movimento<br />
ambientalista, sostenuto dall’opinione pubblica, pretendeva<br />
to ambientalista, sostenuto dall’opinione pubblica, pretendeva<br />
i Parchi come alternativa alla distruzione e al degrado che av-<br />
Parchi come alternativa alla distruzione al degrado che avveniva<br />
più meno dappertutto in nome di uno sviluppo senza<br />
veniva più o meno dappertutto in nome di uno sviluppo senza<br />
limiti. Il legislatore coglieva così due piccioni con una fava: si<br />
limiti. Il legislatore coglieva così due piccioni con una fava: si<br />
rispondeva ad una opinione pubblica sempre più indisposta a<br />
rispondeva ad una opinione pubblica sempre più indisposta sopportare degrado e inquinamento e si poneva una alternativa<br />
sopportare degrado inquinamento si poneva una alternativa<br />
di sviluppo – oggi diremmo “sostenibile” – ad aree marginali e<br />
di sviluppo oggi diremmo “sostenibile” ad aree marginali a popolazioni emarginate dal tumultuoso sviluppo economico di<br />
popolazioni emarginate dal tumultuoso sviluppo economico di<br />
quegli anni. Ovviamente da questa descrizione fanno eccezione<br />
quegli anni. Ovviamente da questa descrizione fanno eccezione<br />
alcune aree, ma per la maggior parte queste erano le motivazioni<br />
di fondo dell’istituzione delle Aree Protette negli anni ’70<br />
alcune aree, ma per la maggior parte queste erano le motivazioni<br />
di fondo dell’istituzione delle Aree Protette negli anni ’70<br />
– ’80. Alle stesse motivazioni rispondeva l’istituzione del Parco<br />
’80. Alle stesse motivazioni rispondeva l’istituzione del Parco<br />
Adamello. La disaffezione verso le Aree Protette che è seguita<br />
Adamello. La disaffezione verso le Aree Protette che seguita<br />
fa il pari, a mio avviso, con tre elementi concomitanti: primo,<br />
fa il pari, mio avviso, con tre elementi concomitanti: primo,<br />
una forte crescita della sensibilità ambientale che ha fatto si che<br />
una forte crescita della sensibilità ambientale che ha fatto si che<br />
rispetto agli anni ‘50 – ‘80 del secolo scorso la gente non si<br />
rispetto agli anni ‘50 ‘80 del secolo scorso la gente non si<br />
accontenta più delle sole Aree Protette chiedendo, giustamente,<br />
accontenta più delle sole Aree Protette chiedendo, giustamente,<br />
maggiore attenzione a tutto il territorio; secondo, un maggiore<br />
maggiore attenzione tutto il territorio; secondo, un maggiore<br />
controllo dei fattori inquinanti e quindi una crescita generalizzata<br />
della “coscienza” ambientalista ed infine, la crisi economica<br />
controllo dei fattori inquinanti quindi una crescita generalizzata<br />
della “coscienza” ambientalista ed infine, la crisi economica<br />
degli ultimi dieci anni che ha dirottato le risorse economiche su<br />
degli ultimi dieci anni che ha dirottato le risorse economiche su<br />
altri temi, quasi sempre “urbani”, relegando ancora una volta<br />
altri temi, quasi sempre “urbani”, relegando ancora una volta<br />
le aree rurali e quindi quasi tutti i Parchi, ai margini del sistema<br />
le aree rurali quindi quasi tutti Parchi, ai margini del sistema<br />
economico e sociale nazionale.<br />
economico sociale nazionale.<br />
Dal punto di vista geografico il Parco Regionale dell’Adamello<br />
è situato nel cuore della catena alpina, nelle Alpi Retiche e<br />
Dal punto di vista geografico il Parco Regionale dell’Adamello<br />
situato nel cuore della catena alpina, nelle Alpi Retiche comprende tutto il versante lombardo del gruppo dell’Adamello,<br />
comprende tutto il versante lombardo del gruppo dell’Adamello,<br />
nella porzione nord-occidentale della Valle Camonica; il versan-<br />
nella porzione nord-occidentale della Valle Camonica; il versan-<br />
30 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
31
te orientale del gruppo adamellino è anch’esso Parco, ma gestito<br />
dalla Provincia autonoma di Trento e prende il nome di “Parco<br />
Naturale Adamello – Brenta”. Il Parco Regionale dell’Adamello<br />
lombardo con 510 kmq circa di superficie è la più estesa<br />
area protetta della Provincia di Brescia e custodisce il più ampio<br />
ghiacciaio italiano, vasto – secondo le più recenti stime - circa<br />
16 kmq. Gli oltre 3.000 metri di dislivello – dai 390 metri di<br />
quota minima ai 3.539 metri di Cima Adamello - l’esposizione<br />
della valle a sud verso il Lago d’Iseo con il suo clima mediterraneo,<br />
la complessità geologica che caratterizza la compagine<br />
montuosa, danno vita a un’ampia varietà di ecosistemi. La ricchezza<br />
floristica è notevole, con una elevata presenza di specie<br />
rare ed endemiche. La fauna è molto ricca ed è tipicamente alpina.<br />
Tra i mammiferi si possono incontrare lo stambecco, il camoscio,<br />
il cervo, il capriolo, l’ermellino, la marmotta e da alcuni<br />
anni è assodato il ritorno dell’orso bruno. Tra gli uccelli, l’aquila<br />
reale, il gufo reale e il Grifone costituiscono le eccellenze della<br />
nostra fauna ornitica.<br />
D.: Dal sito del parco (www.parcoadamello.it) si ha l’impressione<br />
di un parco con una notevole attività e molte iniziative.<br />
Trovano queste una corrispondenza e un interesse nella utenza?<br />
Quanti visitatori può vantare e si può fare una loro categorizzazione?<br />
L’evento di Expo ha visto un maggior afflusso di<br />
visitatori anche nel parco?<br />
R.: La vitalità del Parco si riflette anche nel web. La sezione<br />
news del sito viene aggiornata costantemente grazie all’inserimento<br />
di iniziative di interesse pubblico promosse direttamente<br />
dal Parco stesso e dalle sue tre “Case del Parco”. Per aumentare<br />
la portata di traffico sul sito e per raggiungere un pubblico sempre<br />
più numeroso e diversificato, ai sistemi di interazione “tradizionale”<br />
quali la newsletter, sono stati affiancati i principali<br />
canali social media (Facebook, Twitter, Youtube, Instagram e<br />
Pinterest) che ci consentono anche di monitorare e “ascoltare”<br />
la rete, raccogliendo preziosi spunti per le attività future. Dal<br />
punto di vista quantitativo, abbiamo da poco abbattuto il muro<br />
del milione di pagine viste nei 10 anni di vita del sito.<br />
Osservando le statistiche di accesso nel corso degli anni, è evidente<br />
che sia in atto un trend di crescita costante, con evidenti<br />
picchi di traffico in corrispondenza del periodo estivo. Confrontando<br />
i dati di quest’anno (2015) con quelli degli anni passati,<br />
si nota l’apice di accessi registrato nel mese di agosto: +44%<br />
rispetto allo stesso mese dello scorso anno. L’incremento di traffico<br />
rispetto al passato, seppur senza i picchi citati, accomuna<br />
tutto il periodo estivo appena trascorso; dai semplici dati estrapolare<br />
l’elemento determinante non è facile, ma possiamo dedurre<br />
che nel 2015 l’accoppiata EXPO e condizioni meteo favorevoli<br />
abbiano trainato notevolmente questa crescita. Gli utenti<br />
giungono sul sito del Parco dell’Adamello dopo aver interrogato<br />
i motori di ricerca con le seguenti parole chiave: “Parco Adamello”,<br />
“Adamello”, “Rifugi Adamello” e “Alta via dell’Adamello”.<br />
A tal proposito, grazie ad alcuni accorgimenti SEO, per<br />
le key words “Parco Adamello” e “Adamello” il nostro sito ha<br />
raggiunto un’indicizzazione Google migliore rispetto ai vicini<br />
dell’Adamello Brenta. Cercando di effettuare una categorizzazione<br />
geografica, l’utenza predominante è quella nazionale, seguita<br />
da quella tedesca, svizzera e statunitense. Scomponendo i<br />
dati nazionali, scopriamo che i principali bacini di provenienza<br />
degli accessi sono le grandi aree urbane del nord e centro Italia,<br />
qui elencate in ordine decrescente: Milano, Roma, Brescia<br />
e Firenze. Con i dati sopra elencati, l’identikit del nostro utente<br />
digitale tipo è abbozzato. Ora, la vera sfida sta nel convertire<br />
queste visite online in visite reali sul nostro territorio. Alcune rapide<br />
osservazioni: i nostri utenti sono giovani, provengono dalle<br />
aree urbane e chiedono trekking, alpinismo, natura, paesaggio<br />
e vogliono risposte organizzative chiare a queste domande. Noi<br />
cerchiamo di darle, ma temo che la Valle Camonica, in molte<br />
sue componenti sociali, economiche, politiche e culturali, non<br />
I ruderi dell’”Ospedale” risalenti alla prima guerra mondiale,<br />
presso le sorgenti del Caffaro<br />
abbia ancora capito di quale potenziale tesoro può disporre e non<br />
sappia valorizzare adeguatamente le risorse “natura” e “paesaggio”.<br />
Un esempio: per dare risposta alla domanda di turismo<br />
in montagna occorre innanzitutto proporre percorsi, manutenere<br />
sentieri e segnaletica, rafforzare il ruolo dei rifugi, ristrutturare i<br />
bivacchi, organizzare all’accoglienza le malghe e i malgari. Bastano<br />
le forze del Parco Adamello per rispondere a tutti questi<br />
bisogni? E fuori Parco, chi risponde a queste domande?<br />
D.: Veniamo ora agli aspetti più spinosi e forse meno conosciuti<br />
dal pubblico, la situazione di molti parchi in Italia per<br />
certi versi è critica. E’ un problema di collocazione identitaria?<br />
E’ necessario ripensare alla loro funzione o è un problema di<br />
buona gestione in un contesto difficile e in questo caso quali<br />
sono le maggiori problematiche? Quali difficoltà incontra chi<br />
deve gestire un parco come il suo?<br />
R.: Alla complessa domanda serve una complessa risposta. Solo<br />
per quanto riguarda<br />
la prima affermazione,<br />
ovvero sulla<br />
evidente criticità del<br />
sistema nazionale<br />
delle aree protette,<br />
si può essere più o<br />
meno tutti d’accordo.<br />
Per quanto concerne<br />
gli altri aspet-<br />
Il lago d’Aviolo con sullo sfondo il gruppo dell’Adamello<br />
(Corno Gallinera e Corno di Val Rabbia<br />
ti, personalmente,<br />
non credo ci siano<br />
problemi di collocazione<br />
identitaria,<br />
né problemi di buona<br />
o cattiva gestione.<br />
Molti enti pubblici e privati in Italia sono caratterizzati da<br />
pessima gestione e non per ciò sono in crisi in quanto “sistema”<br />
(pensate alle cellule fondanti della nostra Nazione, i Comuni,<br />
alcuni gestiti malissimo ma non per questo messi in crisi nella<br />
loro totalità). Quello che invece mi pare sia in crisi, sia proprio<br />
la funzione che dovrebbero esercitare le Aree Protette. Ho già<br />
accennato nelle precedenti risposte, al fatto che la maggior parte<br />
dei Parchi italiani nascono come una reazione, da un lato all’evidente<br />
degrado ambientale di molte parti del territorio al quale<br />
si tentò demagogicamente di porre rimedio sottoponendo altre<br />
aree a vincoli ambientali più o meno stretti (dentro il Parco non<br />
si può fare … mentre fuori Parco …), dall’altra, utilizzando lo<br />
strumento Parco come una Istituzione che desse opportunità di<br />
sviluppo “sostenibile” (ma non sempre!) ad aree marginali ed<br />
escluse dal circuito economico “forte” che caratterizzava il Paese.<br />
Oggi, entrambe queste funzioni sono in crisi. I Parchi vanno<br />
reinterpretati per quello che sono: aree dove ambiente, natura,<br />
paesaggio, uomini, piante e animali devono trovare nuove forme<br />
di convivenza, devono costituire dei “Laboratori di buone pratiche”<br />
da esportare su tutto il territorio, affinché non ci siano più<br />
dei “dentro” e dei “fuori” ma prevalga una visione complessiva<br />
e in equilibrio tra azione e presenza umana e azione e presenza<br />
degli elementi naturali. Le Aree Protette, a mio avviso, se vogliono<br />
ancora avere un ruolo attivo nella società anche negli anni<br />
a venire, devono diventare capofila di una serie di Enti eccellenti<br />
che sperimentano nuove filiere di lavoro, di gestione territoriale,<br />
di pianificazione, di ricerca, di convivenza sociale e di sviluppo<br />
economico sostenibile. L’alternativa è la riduzione dei confini<br />
delle Are Protette a isole di naturalità assoluta, gestite anche da<br />
privati, magari con ingresso a pagamento - come molti già propugnano<br />
- perse in una matrice di ordinaria o pessima gestione<br />
degli elementi naturali. Quest’ultima ”visione” delle Aree Protette,<br />
cara a molti ambientalisti e che certamente non dispiace<br />
anche a molti propugnatori dello “sviluppo” senza limiti, decreterebbe<br />
la fine per lenta agonia dei Parchi ma rappresenterebbe<br />
anche le fine di una delle poche Istituzioni che in questo Paese<br />
si occupa di tutelare e gestire i “beni comuni”: paesaggio,<br />
elementi na- turali e primi tra questi le<br />
acque, beni demaniali,<br />
cultura, identità<br />
territoriale.<br />
D.: Come vede il<br />
futuro del Parco<br />
dell’Adamello e in<br />
genere dei Parchi<br />
in Italia? Quale<br />
invito si sente di<br />
dare alle Istituzioni<br />
che hanno potere e<br />
responsabilità decisionali?<br />
R.: Credo serva il<br />
coraggio di rifondare profondamente i Parchi, iniziando con lo<br />
smettere di pensare alle Aree Protette come ad “Isole di naturalità”<br />
ingessate nel loro ruolo puramente protezionistico o, per<br />
contro, pensate come agenzie di sviluppo territoriale tout court,<br />
una sorta di Pro Loco territoriale per far cassa vendendo natura<br />
e salamelle.<br />
D.: Per finire questa intervista, potrebbe elencare alcune prossime<br />
attività del Parco che siano anche un invito alla sua visita<br />
e conoscenza?<br />
R.: Continueremo con la “Fiera della Sostenibilità nella Natura<br />
Alpina”, manifestazione che coinvolge oramai da quattro anni,<br />
nel mese di giugno, l’intera Valle Camonica sui temi della tutela<br />
e gestione sostenibile delle risorse territoriali alpine, materiali<br />
e immateriali. Poi continueremo nella promozione e nella gestione<br />
delle nostre montagne: sentieri, rifugi, bivacchi, malghe e<br />
nell’aiutare chi ci vive. Vogliamo montagne vive e ricche di valori,<br />
non solo di natura e paesaggio ma anche di storia, cultura e<br />
orgoglio identitario. Tutto ciò senza dimenticare quanto asserito<br />
poc’anzi: tutela attiva, sperimentazione, sostenibilità. Mi piace<br />
chiudere ricordando la missione che, con i miei collaboratori,<br />
ci siamo dati e che contraddistingue il nostro lavoro nel e per il<br />
Parco: “Custodire la diversità della vita, consegnare al futuro<br />
l’identità delle comunità alpine”. ■<br />
AMBIENTE E TERRITORIO<br />
32<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
Uno stambecco tra le fioriture del Monte Listino<br />
33
Foto di Antonello Zappadu<br />
AMBIENTE E TERRITORIO<br />
I<br />
valori fondanti delle comunità della Sardegna,<br />
soprattutto di quelle piccole o piccolissime,<br />
sono l’ospitalità, la sincerità e schiettezza<br />
nei rapporti interpersonali, soprattutto con gli<br />
“stranieri” (termine con cui si indicano tutte le<br />
persone che non appartengono alla comunità stessa,<br />
perciò provenienti anche da altre regioni storiche<br />
dell’Isola).<br />
La gente dell’Isola è generalmente colta, parla un<br />
italiano corretto – talvolta al punto da stupire i propri<br />
interlocutori –, viaggia molto (un tempo alla<br />
ricerca di lavoro, oggi per diletto e per cercare uno<br />
scambio reciproco di saperi e cultura o per condividere<br />
valori) senza peraltro rinunciare all’uso<br />
della lingua sarda, ben lungi dal poter essere considerata<br />
un dialetto.<br />
La società sarda è fondata su valori antichi; la<br />
gente dei piccoli borghi è impregnata di energia<br />
vitale che le deriva dal mare, dal vento, dalla luce,<br />
dal silenzio mai vuoto, dagli alberi, dai nuraghe,<br />
dai pozzi sacri, dai dolmen, dalle pietre fitte. La<br />
gente di Sardegna è pervasa dal desiderio di condividere<br />
e scambiare quest’energia fluttuante e<br />
onnipresente, soprattutto nell’entroterra. Una musica<br />
trascina una moltitudine in un ballo tondo o<br />
a spirale: segni antichi di arcaici riti tramandati<br />
dall’era in cui si costruivano i nuraghe, pietra su<br />
pietra senza che ancora si sappia con certezza con<br />
quali strumenti e con quali tecniche.<br />
CULTURE E VALORI<br />
IN SARDEGNA<br />
di Andrea Alessandro Muntoni<br />
34<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
35
A governare la società dell’Isola di Sardegna erano, in principio,<br />
le donne: la regina, immagine della dea madre, era venerata<br />
dal popolo. La società era non belligerante, matrilineare e matrifocale:<br />
la discendenza arrivava dal seno materno, dall’utero<br />
fecondato dal vento, come si usava credere in antichità in quasi<br />
tutte le società sviluppatesi intorno al bacino del Mediterraneo.<br />
I riti religiosi, i miti, i simboli e segni di un’esistenza difficile<br />
ma piena, legata a un territorio a tratti aspro e inospitale ma<br />
sempre generoso con chi cerca l’essenziale, che è invisibile agli<br />
occhi ma non al cuore; sono questi i tratti caratteriali dei discendenti<br />
di un popolo antico, che continua a tramandare ai propri<br />
figli l’orgoglio di appartenenza.<br />
Paesini come Bortigali, in Provincia di Nuoro, sono l’emblema<br />
di un popolo antico che ama la danza, la musica, le corali, i<br />
riti sacri, la storia, la poesia, gli animali, la natura; 1380 anime<br />
accomunate da un fervore religioso di antica memoria guidato<br />
da tre confraternite attive, chiese in trachite rosa di semplice<br />
impianto che custodiscono tesori impalpabili, gruppi di cantori<br />
attivi che fanno vibrare corde di ineguagliabile profondità, uomini<br />
e cavalli a passeggio per le strette vie fanno risuonare il<br />
suono degli zoccoli, che si diffonde ovunque, insieme ad asini<br />
che ragliano sulla montagna e che fanno il verso a chi passa nei<br />
sentieri tracciati che conducono al monte Santu Padre, dove le<br />
rocce parlano ai viandanti.<br />
Pane pistoccu - cibo dei pastori – e carasau, vino, miele, formaggio,<br />
frutti di bosco, grano hanno alimentato generazioni<br />
di antichi sardi che continuano ad amare il cibo quale strumento<br />
per una convivialità che nutre l’anima, perché disinteressata.<br />
La Sardegna non è l’isola che raccontano i rotocalchi: le coste,<br />
durante l’autunno e l’inverno si spopolano e là dove credevi vi<br />
fosse la vita (mondana), rimane solo il silenzio. La vera Sardegna<br />
è altrove: nelle montagne dei pastori di pecore e capre<br />
come nei musei archeologici o etnografici, nelle biblioteche e<br />
nei centri culturali dell’entroterra dove si dibatte di archeologia<br />
mineraria e industriale.<br />
La Sardegna è una terra preziosa come i metalli che vi si coltivavano<br />
sino a pochi decenni orsono: piombo, zinco, argento<br />
e oro. A testimonianza di tali attività, che hanno dato vita ad<br />
architetture di pregevole valore, sono rimasti pozzi, gallerie, teleferiche,<br />
ponti, strade, dighe, palazzi, foresterie, alberghi che<br />
l’UNESCO ha ritenuto meritevoli di valorizzazione in quanto<br />
patrimonio non solo dei sardi ma dell’Umanità tutta.<br />
Dagli anni sessanta in poi del secolo scorso la cultura mineraria<br />
si sostituì, insieme a quella industriale, alla cultura agro – pastorale;<br />
con la chiusura delle grandi fabbriche e miniere del<br />
Sulcis - iglesiente, del Guspinese e del Nuorese, intere generazioni<br />
di persone dedite all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato,<br />
alla pesca e alla pastorizia iniziarono ad abbandonare i<br />
campi e i luoghi del sapere tradizionale, a sostituire le falci con<br />
le chiavi inglesi cosicché oggi la popolazione dell’Isola stenta<br />
a riprendere il filo di un percorso millenario di crescita culturale<br />
che sembra essersi, se non proprio spezzato, quanto meno<br />
sfilacciato.<br />
La ripresa dell’Isola passa per la riscoperta di antichi valori<br />
incentrati sulle persone, che devono tornare ad essere al<br />
centro dell’interesse della comunità (come avviene a Bortigali)<br />
nonché per il recupero di antichi saperi e tradizioni (locali ma di<br />
valore universale e in quanto tali condivisibili) che possano far<br />
riverberare all’esterno, oltre l’orizzonte marino, la luce di cui i<br />
sardi portano sempre, ovunque vadano, una fiammella.<br />
Questa è la Sardegna, l’Isola che non c’è. ■<br />
STILI DI VITA<br />
36 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
37
38<br />
L’ALCHIMIA DI<br />
UN GIARDINO<br />
LA DIMENSIONE NON È DETERMINANTE E SONO LE<br />
RELAZIONI FRA LE PARTI A TRASFORMARLO IN PARADISO.<br />
di Mario Allodi<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
"Un giardino è un’alchimia,<br />
un’ alchimia straordinaria<br />
fra pieni e vuoti, fra volumi e superfici,<br />
proporzioni armoniche e fra colori<br />
che si mantengono e colori che<br />
mutano o scompaiono."<br />
L’uomo ha sempre tratto dal mondo naturale ispirazione<br />
per ideare e realizzare opere d’arte e con grande immediatezza<br />
si è impegnato nell’arte dei giardini. Quest’arte<br />
in tutta la storia dell’umanità ha prodotto giardini che,<br />
direbbe Pietro Porcinai, grande paesaggista del secolo scorso,<br />
sono come “un incontro dell’uomo con l’opera della natura vegetale”<br />
ma anche e “più precisamente dell’architettura con la<br />
natura”.<br />
L’origine del giardino è spesso magica o legata alla teogonia e<br />
nelle religioni primordiali al giardino si associa l’idea del Paradiso:<br />
giardino e paradiso sono sostanzialmente sinonimi. Con<br />
passare dei secoli l’idea primitiva si modella e si trasforma attribuendo<br />
al giardino molte funzioni: luogo di godimento visivo,<br />
bene utilitaristico, concezione intellettuale ed estetica o sensoriale;<br />
tutto ciò varia mantenendo inalterata l’idea originale attraverso<br />
colori, forme, proporzioni e la sintonia con i luoghi. Dagli<br />
antichi giardini di Babilonia, di cui si è favoleggiato per secoli<br />
per la loro ineguagliabile bellezza, all’hortus romano utilitaristico<br />
prima e poi luogo con grandi valori estetici, oppure dal rigore<br />
compositivo medievale in cui le conoscenze antiche sfumano<br />
si giunge al Quattrocento secolo in cui i trattatisti assegnano al<br />
giardino regole rigorose. Solo in epoca moderna col Rinascimento<br />
la progettazione del giardino ha avuto una riconoscibile<br />
evoluzione, documentata secondo canoni e stili “codificati” e<br />
con una maturata cultura artistica dell’arte dei giardini. In tutti i<br />
secoli esistono però delle regole comuni che sono valide ancora<br />
oggi. Gli elementi in gioco, di fatto, anche col mutare delle culture<br />
e col passare dei secoli sono rimasti gli stessi e non si sono<br />
alterati. Le superfici sono i prati, i percorsi, i laghetti mentre i<br />
volumi sono dati dai vegetali e dagli elementi architettonici e<br />
d’arredo. Tutti questi elementi lo rendono una sorta di “scena<br />
teatrale” continua, con decine di palcoscenici, che può essere<br />
goduta da molti punti di vista.<br />
Ogni punto di vista però non deve intimorire, l’alchimia deve essere<br />
sempre garantita. Pieni e vuoti devono essere in equilibrio,<br />
incuriosire, scoprire e non coprire e nel contempo non coprire<br />
troppo per non intimorire. In queste scene fisse, i colori dei vegetali,<br />
a tutte le altezze, saranno i mutatori della scena, i laghetti<br />
o i corsi d’acqua dilateranno i luoghi e interpreteranno il tempo<br />
della giornata; diverranno luminosi o cupi, silenziosi o vivaci a<br />
seconda che vi sia il sole o il brutto tempo.<br />
Progettare un giardino è come disegnare scene in movimento<br />
dove il tubetto del colore non è stabile come quello del pittore<br />
ma muta di continuo: se pigiato in inverno produrrà un pigmento,<br />
in estate, un altro, in primavera e in autunno un altro ancora.<br />
Queste varianti sono la vera difficoltà.<br />
È necessario conoscere approfonditamente il potenziale decorativo<br />
di ogni specie per poterlo assortire con un’altra e un’altra<br />
ancora ricordando anche che ogni specie vegetale si sviluppa diversamente<br />
e il suo divenire adulta può essere molto diverso da<br />
esemplare ad esemplare. Per questa ragione esiste la figura del<br />
paesaggista che conosce il materiale vivente con cui “dipinge”<br />
le scene, sa generare i volumi, gli scorci, portare le ombre dove<br />
occorrono e mantenere la luce dove necessario. Non è un obbligo<br />
avere grandi spazi per avere un “paradiso” proprio. L’alchimia<br />
funziona su ogni dimensione in ogni scala, ed è per questo che<br />
anche in Italia, si tengono molte iniziative di conoscenza delle<br />
piante, degli arbusti e dei fiori e dove si realizzano, anche a titolo<br />
dimostrativo, per il pubblico interessato ad un passo così importante,<br />
installazioni , piccole performance di breve durata: giardini<br />
temporanei. Ciò permette di far cogliere come pieni e vuoti<br />
determinino spazi funzionali da porre in essere su terrazzi o giardini,<br />
per far divenire questi luoghi un’estensione della casa in<br />
gran parte dell’anno e d’inverno divenire quadri tridimensionali<br />
da osservare dalle finestre della propria abitazione. Il giardino è<br />
anche sempre stato considerato, con modalità diversa, l’intermediazione<br />
dell’uomo con la natura esterna, l’intermediazione fra<br />
casa e paesaggio dove il giardino è il catalizzatore funzionale<br />
che cattura gli elementi del paesaggio e li mette in connessione<br />
con gli spazi della casa con effetti e sequenze visuali di grande<br />
suggestione e fascino.<br />
Anche per questo esistono regole, principi armonici che permettono<br />
di tenere tutti gli elementi in relazione, legati da un filo rosso<br />
invisibile ma che se spezzato deve essere ricucito, rimettendo<br />
tutto in gioco, altrimenti cade il progetto, cadono le armonie e<br />
lo spazio esterno da paradiso, diviene un insieme di spazi in cui<br />
i vegetali sono posti a caso e dove l’alchimia non esiste più. ■<br />
DAL PENSIERO AL<br />
PROGETTO DEL VERDE:<br />
saperi, abilità e competenze<br />
di Mario Allodi,<br />
Andrea Cassone e Andrea Marziani<br />
Edizioni Biblion, Milano 2015<br />
€ 35,00<br />
Il progettista di spazi verdi deve possedere solide basi culturali al<br />
servizio di competenze tecniche complesse e diversificate.<br />
Il volume si propone di fornire i saperi necessari per acquisire le<br />
competenze specifiche, suddividendo in capitoli conoscenze, abilità,<br />
facilitando chiavi di ricerca personalizzate degli argomenti. Il testo si<br />
rivolge sia al neofita sia al professionista interessato ad avvalersi di<br />
argomenti e soluzioni che integrino funzione e forma.<br />
39<br />
ECOABITARE
DAL<br />
LABORATORIO<br />
DELLA<br />
STORIA<br />
di Marco Cagelli<br />
bitato un’eredità infinita. Per quanto attiene l’evoluzione della<br />
domus a villa rustica a cascina, molti sono i testi a cui rimando<br />
il lettore. Riassumendo, potremmo dire che si è evoluta da granaio<br />
delle ricche famiglie durante gli anni dell’impero in espansione,<br />
ad abitazione nel periodo in cui le città presentavano i primi rischi<br />
di turbolenze, a fortezza durante i periodi più difficili del Medio<br />
Evo, sino a tornare modello di nuova diffusione dell’agricoltura<br />
nelle pianure italiane ed europee. Si percepisce anche come vi<br />
sia stata un’evoluzione della socialità all’interno dell’edificio,<br />
dovuta alla modifica della tipologia di residenti nella stessa. Nella<br />
nostra società viene percepita da una parte come interessante attrattiva<br />
per le domeniche fuori porta, per vedere gli animali, per<br />
poter assaggiare qualche prodotto a km 0, vivere all’aperto e gli<br />
spazi ampi delle stanze, ma la sera torniamo volentieri nei nostri<br />
appartamenti tecnologici, funzionali ma dagli spazi ridotti. Durante<br />
queste escursioni possiamo soffermarci su alcune evidenze,<br />
su alcuni dettagli che riescono ancora a trasmetterci il pensiero<br />
che si è consolidato intorno a tali edifici. E alla fine di una giornata<br />
ad osservare, potremmo ritrovarci più stupiti di quanto accada<br />
quando, con il naso all’insù, andiamo per le città a vedere i nuovi<br />
Luomo contemporaneo è attento agli esiti di ricerche di<br />
laboratorio, dall’indagine scientifica, dalla ricerca delle<br />
Università e dei Centri di ricerca internazionali. Si elaborano<br />
leggi, normative, regole tecniche, convinti di poter<br />
dimenticare la storia, di poter iniziare un processo nuovo per una<br />
nuova civiltà. Tesi affascinante, ma spesso la storia riaffiora dopo<br />
terremoti, crisi energetiche, crisi internazionali. Gli edifici “antichi”,<br />
inspiegabilmente secondo le teorie e le prove di laboratorio,<br />
resistono a tutti questi fenomeni, ne escono indenni e lo studio<br />
approfondito svela conoscenze inaspettate, soluzioni tecnologiche<br />
povere, ma sapienti. Per questo dobbiamo guardare a 4.500 anni<br />
di storia del costruito con rispetto e comprendere quali soluzioni<br />
ci sottopone tutti i giorni, girando per le nostre città e per le nostre<br />
campagne. Quello che possiamo oggi osservare è infatti uno<br />
sviluppo ininterrotto di conoscenze che ha riguardato migliaia di<br />
generazioni, tutte caratterizzate da necessità in lenta evoluzione,<br />
ma generate da medesime esigenze. L’osservazione delle cascine<br />
lombarde, sia dal vivo che dal satellite, illustra molto bene come<br />
dalla villa rustica romana alla cascina, alle abitazioni dei climi aridi<br />
e caldi del sud della Spagna, la domus romana ha lasciato all’agrattacieli<br />
tuttovetro.<br />
Apporti gratuiti<br />
La tecnica costruttiva si può osservare, con calma e attenzione,<br />
in ogni cascina fin dal nostro arrivo: il portico è esposto sempre<br />
a sud/sud-ovest. L’altezza e la profondità del porticato sono in<br />
relazione geometrica, non solo per estetica. Il portico consente di<br />
schermare al meglio le murature durante la calda ed afosa estate<br />
della pianura padana, ma di garantire efficace accumulo dell’irraggiamento<br />
solare durante le corte giornate invernali. Insomma il<br />
massiccio muro doveva accumulare durante il giorno più energia<br />
possibile per poterla restituire nelle prime ore della sera; senza<br />
corrente elettrica e terminate le attività della giornata, non vi era<br />
motivo di stare svegli sino a tarda notte, pertanto bastavano poche<br />
ore di questo effetto naturale per migliorare la qualità della vita.<br />
Anche la dimensione delle finestre erano logica conseguenza: a<br />
sud, verso il porticato, si trovano le dimensioni maggiori, pronte a<br />
cogliere i raggi del basso sole invernale e protette durante l’estate;<br />
a nord invece le finestre si assottigliano, per limitare le dispersioni<br />
invernali. Queste dimensioni erano adeguate alle dimensioni della<br />
stanza in genere quadrata e di circa 25 metri quadrati.<br />
La stabilità della struttura<br />
Tutto in muratura, l’edificio è realizzato con la logica della scatola.<br />
Le aperture sono allineate in altezza e si trovano ad almeno<br />
un metro dai maschi murari. Tale sistema consente la trasmissione<br />
delle forze orizzontali dovute al vento od al sisma, tanto da ritrovarsi<br />
ancora nelle buone regole tecniche degli edifici in muratura<br />
ed ampiamente dimostrato dalle prove in situ. Anche le colonne<br />
del porticato hanno una loro geometria dovuta sia alla distanza<br />
dalla muratura, che all’inclinazione della copertura. Troverete<br />
elementi per nulla snelli, su cui poggiano travi che raccolgono<br />
gli elementi secondari della copertura del portico. Nel caso delle<br />
cascine più nobili, il porticato diventa più simile alle case di città,<br />
sopra il quale si trova in genere il terrazzo che fungeva da distributico<br />
dei locali superiori.<br />
Coibentazione naturale.<br />
Il sottotetto delle cascine era luogo di stoccaggio del fieno per<br />
l’inverno: spessi strati di questo elemento tutto naturale venivano<br />
caricati nel sottotetto, proprio sopra le camere da letto. Non era il<br />
primo fieno ad essere consumato, ma una riserva per la primavera.<br />
Un sistema semplice ed efficace: d’inverno lo strato di fieno<br />
coibentava la soletta, mentre con l’avvicinarsi della stagione calda<br />
tale strato calava (a tutto consumo delle mucche) e consentiva<br />
un sempre più rapido raffrescamento per ventilazione.<br />
Ventilazione naturale<br />
Ho potuto notare due soluzioni distinte. Nel caso in cui vi sia un<br />
solo piano ed il sottotetto, la scala funge da camino di ventilazione<br />
in quanto il sottotetto è completamente areato, magari con<br />
piccole aperture verso sud. In tal modo la quantità d’aria surriscaldata<br />
risulta notevole ed il suo moto può richiamare aria dalla zona<br />
a nord, più fresca. Considerate le masse in gioco, l’aria che passa<br />
dalle piccole aperture a nord ha una velocità considerevole, che<br />
aumenta l’effetto windchill e quindi la riduzione della temperatura<br />
percepita. In altri casi, con edifici su due piani, è la scala stessa<br />
a svolgere tale ruolo di estrazione, con aperture predisposte a<br />
sud, per sfruttare l’altezza stessa del camino per attivare le ventilazioni.<br />
Quanto noi osserviamo è frutto di secoli di costruzioni,<br />
errori, rifacimenti. A noi dunque è pervenuto il meglio della tecnica<br />
costruttiva, a cui dobbiamo guardare con rispetto al fine di<br />
apprendere i segreti e poterli migliorare attraverso l’uso dei materiali<br />
che oggi abbiamo ed un tempo erano impensabili.<br />
Il recupero<br />
Riqualificare la cascina diventa momento indiscusso di interesse<br />
tecnologico, in quanto con interventi mirati sull’involucro si<br />
possono ottenere livelli di comfort interno molto elevati. Il ricorso<br />
a serre bioclimatiche e muri di Trombe consente di limitare<br />
gli impianti alle forniture elettriche rendendoli energeticamente<br />
perfettamente autonomi, magari con un piccolo aiuto della domotica<br />
per migliorare il comportamento naturale dell’edificio.<br />
Intorno a questi semplici concetti si stanno peraltro sviluppando<br />
progetti che riporteranno anche nelle città e negli edifici verticali<br />
la presenza di orti e giardini: speriamo che i progettisti prima di<br />
simulare al computer, passino qualche giorno nelle nostre cascine,<br />
apprezzandone pregi e difetti.<br />
Da Parigi<br />
Non è un richiamo all’architettura “povera”, né un’osanna della<br />
vita contadina, dura e faticosa. Ma nemmeno dobbiamo scordare<br />
il valore del laboratorio della storia. Ci può aiutare con semplicità<br />
a comprendere quali e quante siano le azioni semplici che possiamo<br />
intraprendere per rendere più sostenibile il nostro vivere<br />
quotidiano. Non è più motivo di riflessione della comunità scientifica,<br />
è ormai una necessità sentita anche dai governi che si sono<br />
incontrati a Parigi. 19 obiettivi che riscoprono molti di quei valori<br />
di socialità, di rispetto della natura e del tempo caratteristici del<br />
passato. A dimostrazione che come spesso accade il nostro futuro<br />
deve avere solide basi nella nostra storia. ■<br />
40 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
41<br />
ECOABITARE
LA VIVISEZIONE<br />
È IL TRICICLO<br />
APPELLO<br />
DEL PRESIDENTE<br />
DI GAIA,<br />
EDGAR MEYER,<br />
AI GIOVANI<br />
RICERCATORI<br />
Se io devo andare da Milano a Bergamo ho varie<br />
opzioni: posso andare a piedi, inforcare una<br />
moto, prendere l’auto, il treno, un bus, andare in<br />
triciclo…<br />
Arriverò comunque alla meta, ma la tempistica è diversa.<br />
E il disagio del viaggio pure…<br />
Ecco, la vivisezione è il triciclo. Si cerca il “progresso”<br />
della scienza con il triciclo… Non che la sperimentazione<br />
animale non abbia portato a dei risultati: tutti i farmaci<br />
che usiamo oggi sono frutto di vivisezione, e i favorevoli<br />
alla sperimentazione animale sostengono proprio questo.<br />
“Chi vuole abolire la vivisezione non dovrebbe più prendere<br />
alcun farmaco, nemmeno contro il mal di testa! Chi<br />
vuole abolire la vivisezione vuole cancellare la scienza!”,<br />
ammoniscono. Non è così.<br />
La vivisezione è il triciclo. Anche lei arriva a Bergamo.<br />
Ma a costo di un viaggio lunghissimo, di un dispendio di<br />
energia elevatissimo, di disagi tremendi.<br />
Noi vogliamo prendere il treno, l’auto, la moto. Arrivare<br />
a risultati più rapidi e con meno dolori. Imboccare una<br />
strada nuova. Il modello animale è spesso fuorviante.<br />
Porta sovente a risultati sbagliati, cioè fa sbagliare strada.<br />
Ed è terribilmente ingiusto, violento, barbaro. La vivisezione<br />
affonda le sue radici nell’Ottocento. Vogliamo cambiare<br />
la scienza. Vogliamo una scienza nuova, moderna, al<br />
passo con il terzo Millennio.<br />
Ai giovani ricercatori diciamo: “stay hungry, stay foolish”,<br />
come diceva Steve Jobs, che ha cambiato i nostri<br />
orizzonti. Cambiate la scienza. Abbandonate il triciclo,<br />
vecchio arnese arrugginito. Inforcate la moto, prendete il<br />
treno. Battete nuove strade. Siete giovani. Si spera brillanti.<br />
Fate la storia, invece di ripetere stanche formule che<br />
vi hanno insegnato vecchi baroni. ■<br />
Foto da L.I.D.A. firenze<br />
Edgar Meyer<br />
presidente Gaia Animali & Ambiente Onlus<br />
www.gaiaitalia.it<br />
www.facebook.com/GaiaOnlus<br />
42<br />
ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
43
VIVISEZIONE,<br />
IN VIGORE LA NUOVA LEGGE<br />
Nel 2014 è entrato in vigore il nuovo Decreto legislativo che regolamenta la sperimentazione animale nel nostro Paese. Frutto di anni di intenso<br />
dibattito la nuova legge, che non segna la fine della vivisezione, ha visto l’inserimento di alcuni punti rispetto alla Direttiva europea che pongono<br />
degli stretti vincoli al ricorso agli animali. In Italia non sarà più possibile:<br />
- allevare cani, gatti e primati da laboratorio<br />
- effettuare esperimenti su scimmie antropomorfe (scimpanzè, oranghi, gorilla, gibboni, bonobo)<br />
- effettuare esperimenti per la produzione e il controllo di materiale bellico<br />
- effettuare esercitazioni su animali per la didattica, ad eccezione dei corsi universitari per la medicina veterinaria.<br />
Il divieto si applica anche alle scuole primarie e secondarie<br />
Sono obiettivi raggiunti grazie al lavoro di molte associazioni animaliste, al supporto dell’opinione pubblica (che nell’oltre 80% dei casi è<br />
contraria alla vivisezione - dati Eurispes 2014) e di numerosi ricercatori e medici che hanno detto il loro NO a una scienza inutile, obsoleta e<br />
pericolosa per l’uomo. Ma, tra deroghe, commi e contro commi, altri punti non tutelano gli animali e molti divieti finiscono in fumo. In vari<br />
punti della legge sembra ci sia un divieto che, però, viene subito seguito da una deroga.<br />
Un esempio? L’art. 7 (Specie minacciate di estinzione) al comma 1 vieta l’impiego di animali delle specie in via di estinzione. Subito dopo<br />
però si legge: “Il Ministero può autorizzare, in via eccezionale, l’impiego di animali di cui al comma 1”.<br />
Con la precedente legge (il decreto 116/92) la situazione era semplice: tutto permesso per chi faceva vivisezione, nel senso che l’80% degli<br />
esperimenti era in autocertificazione e per il 20% serviva l’autorizzazione a prove che erano, comunque, principalmente obbligatorie per normative<br />
internazionali e, di conseguenza, l’autorizzazione era automaticamente rilasciata. Il decreto attuale è sempre e comunque pessimo per<br />
chi si occupa di diritti animali, anche perché è il recepimento di una mediocre direttiva europea. Nonostante ciò ci sono, per la prima volta,<br />
alcuni punti che vanno nella direzione giusta. Così vari esponenti dell’antivivisezionismo ritengono questo decreto un piccolo miglioramento.<br />
“In senso assoluto”, sintetizza Massimo Tettamanti, “è sempre una legge totalmente inaccettabile. In senso relativo è la vittoria di una battaglia.<br />
Non è un punto di arrivo, ma, semplicemente, un nuovo punto di partenza”.<br />
Alcuni punti fermi della legge:<br />
- rimane fissato per legge che un metodo senza animali sia assolutamente da preferire alla vivisezione<br />
- nonostante questo, i finanziamenti continueranno ad andare alla vivisezione: per i metodi alternativi nel 2014<br />
sono stati stanziati 52.500 euro, una cifra ridicola. In Germania, Regno Unito, USA ecc. si investono milioni di euro.<br />
- il metodo senza animali può essere usato solo se “ragionevolmente e praticamente applicabile” e non sempre.<br />
Quindi, se è difficile applicarlo o se è troppo costoso o se è complesso dal punto di vista logistico, è legale usare ancora animali.<br />
Daniela Milano<br />
Laureata in filosofia, specializzata<br />
in psicologia psicosomatica,<br />
junghiana, lavora a titolo di libera<br />
professionista come counselor<br />
per il benessere, la formazione,<br />
l’istruzione della persona<br />
ed è giornalista.<br />
IDEA BENESSERE<br />
LA TRACCIA CHE NON MENTE<br />
In questa epoca di tecnologia avanzata si sta perdendo l’abilità<br />
della grafia (maniera di rappresentare le parole nella scrittura),<br />
che risulta essere modo unico e irrepetibile della persona di tracciare<br />
i caratteri. Questo significa che nella scrittura a mano si<br />
manifesta il carattere dell’individuo: le sue passioni, inclinazioni,<br />
interessi, attitudini, che talvolta non emergono in modo fluido<br />
nella quotidianità a causa di blocchi, timidezza, ansia.<br />
Di seguito Guglielmo Incerti Caselli, Consulente grafologo ed<br />
Educatore e Rieducatore della scrittura ci spiega cos’è la grafologia<br />
e quali sono i suoi campi di applicazione che possono<br />
dare un’utile chiave di lettura su alcuni aspetti quotidiani privati,<br />
scolastici e professionali.<br />
La grafologia è una disciplina volta a identificare la persona nei<br />
suoi aspetti razionali, temperamentali e relazionali, attraverso<br />
l’interpretazione della sua scrittura e, più in generale, della sua<br />
attività grafica spontanea. La grafologia si interessa del movimento<br />
della mano nello spazio grafico. In altre parole, la grafologia<br />
pone l’attenzione sull’aspetto non verbale della scrittura.<br />
Mentre nella comunicazione verbale scritta il nesso tra l’elemento<br />
formale del segno (elemento grafico) e il contenuto espressivo<br />
(informazione trasmessa) del segno grafico è convenzionale e<br />
stabilito a priori (vedi parole, numeri, unità di misura, etc), nella<br />
comunicazione non verbale il nesso, non seguendo una logica<br />
razionale, non è intenzionale e rivela quindi molto del soggetto<br />
in questione. Va chiarito che la grafologia non appartiene alle<br />
scienze occulte, non è in grado di predire il futuro e tantomeno di<br />
risolvere problemi a priori; suo obiettivo è individuare le caratteristiche<br />
e gli aspetti peculiari di un individuo, mediante l’interpretazione<br />
della sua scrittura, o meglio, della sua attività grafica.<br />
L’analisi della grafia, diventa quindi un importante strumento sia<br />
per cogliere quelle caratteristiche latenti a cui il soggetto presta<br />
poca importanza e che invece sono basilari nella relazione con<br />
l’altro, sia, in caso di necessità, per una azione correttiva del<br />
gesto grafico che non sempre risulta consono riportando sulla<br />
carta disordine e incomprensione del messaggio scritto inficiando<br />
così la comunicazione. ■<br />
Per informazioni e approfondimenti:<br />
AGI Lombardia<br />
www.agilombardia.it<br />
> Opera di Silvia Giananti<br />
44 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
Qualora abbiate voglia di<br />
fare osservazioni su quanto<br />
ho scritto o sollevare nuovi<br />
quesiti potete scrivermi a:<br />
redazione_ecoideare@libero.it<br />
45
LE NOSTRE CONVENZIONI<br />
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Tel. 0332 1951305<br />
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Scuola di<br />
Ecopsicologia<br />
23875 Osnago (Lc)<br />
Cell. 335 6052912<br />
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Via Guani,12<br />
25050 Saviore dell’Adamello (Bs)<br />
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Via Plizze, 51<br />
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Tel. 335 5871623<br />
tosanag0@gmail.com.<br />
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Piazza Corte dei Sogliari, 6<br />
Zona Portici Corso Umberto<br />
46100 Mantova<br />
Tel. 0376 368760<br />
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Tel./Fax: 059 4270723<br />
www.forestepersempre.org<br />
L’organizzazione segue progetti per la conservazione dei sistemi<br />
naturali nel mondo. Partecipazione gratuita ad una conferenza.<br />
Associazione La Pila<br />
Via 5 Cerri, 91<br />
06084 Bettona (PG)<br />
Tel. 347 5028485<br />
www.facebook.com/lapila.bettonaassisi<br />
Un luogo per organizzare ritiri di crescita personale e apprendere<br />
antichi/nuovi saperi sul valore dell'ambiente, delle arti e del<br />
patrimonio culturale. Partecipazione gratuita ad una conferenza tematica.<br />
NaturaBio<br />
Via Cavour, 22<br />
20090 Sesto San Giovanni<br />
Tel. 02 24416432<br />
biobim@libero.it<br />
Nel cuore di Sesto San Giovanni (MM1 Rondò) una realtà nata per la<br />
passione del cibo sano e biologico, attenta al rispetto dell’ambiente.<br />
SCONTO 10% su prodotti Fitoterapici, integratori e linee profumate.<br />
Moda Ismeralda<br />
Showroom - Olbia (OT)<br />
Tel. 07 891969765<br />
labottegadisilvia@virgilio.it<br />
www.modaismeralda.it<br />
Una famiglia che da tre generazioni porta avanti la bellezza del<br />
Storico punto di riferimento da oltre 50 anni,<br />
made in Italy. I capi sono stati disegnati e realizzati ispirandosi prima<br />
produce pane a lievitazione naturale e realizza<br />
alla tradizione positanese e successivamente alla raffinatezza della<br />
dolci artistici per ogni occasione.<br />
Costa Smeralda. La famiglia da sempre collabora con piccole sartorie<br />
artigiane.<br />
46 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
47
Ecologia in vetrina<br />
EcoNews<br />
YERKA, LA BICI A PROVA DI LADRO<br />
Per aggirare i furti di ladri sempre più agguerriti, tre giovani designer cileni<br />
hanno progettato una bicicletta antifurto dotata di un sistema ingegnoso.<br />
Il telaio può essere smontato in due parti in poche mosse e riassemblato<br />
attorno al palo a cui è stato legato, in questo modo non si può rubare se non<br />
rendendola inutilizzabile. La bici è dotata di un sistema antifurto anche per<br />
le ruote: per smontare i bulloni che le bloccano occorre una chiave speciale.<br />
Il progetto ha avuto un finanziamento dallo Stato per coprire le spese<br />
di produzione e un ulteriore finanziamento grazie al crowdfounding ha<br />
consentito di mettere sul mercato le prime 300 bici. www.yerkabikes.com<br />
TESSUTI… QUASI DA MANGIARE!<br />
Arance, mele, latte, riso: cibi dai quali è possibile ricavare tessuti<br />
e coloranti naturali, utilizzabili per capi di abbigliamento<br />
ecosostenibili. Nel caso delle mele la materia prima utilizzata deriva<br />
dallo scarto di torsoli e bucce. In questo caso il materiale che si<br />
può ricavare è la “pellemela”, simile all’eco-pelle. L’utilizzo del<br />
latte nell’industria tessile è stato studiato fin dagli anni Trenta, oggi<br />
l’azienda toscana Duedilatte ha realizzato un tessuto ottenuto grazie<br />
ad affinate tecniche di bioingegneria. Il tessuto ottenuto con<br />
il filato di latte, oltre a essere morbido e più leggero della seta, è<br />
anallergico e traspirante. Usandolo insieme al cotone biologico, si<br />
può ricavare il “denim di latte”, materiale che ha l’aspetto del jeans<br />
ma che offre un comfort maggiore. La stessa azienda lavora anche<br />
la fibra di riso dalla quale si può ottenere un tessuto morbido come<br />
il cachemire. www.duedilatte.it.<br />
QUANTO INQUINA INTERNET<br />
PAGATI PER PEDALARE<br />
E’ di 25 centesimi al chilometro l’incentivo per chi usa la bicicletta per<br />
andare al posto di lavoro. E’ la misura di legge proposta dal Ministro francese<br />
dell’Ecologia, dello Sviluppo Sostenibile e dell’Energia per agevolare<br />
i ciclisti e contrastare i pregiudizi legati all’utilizzo delle 2 ruote nel traffico<br />
cittadino. Tali misure si inseriscono all’interno di una strategia nazionale<br />
che prevede l’implemento delle zone a traffico limitato, depositi e parcheggi<br />
per bici in prossimità delle stazioni, inasprimento delle sanzioni per chi<br />
parcheggia sulle piste ciclabili. www.developpement-durable.gouv.fr<br />
Dal calcolo dell’impronta di carbonio riportato da Rete Clima si<br />
evince che internet produce il 2% delle emissioni globali di CO2.<br />
L’intero universo IT-internet, video, servizi vocali, cloud, genera<br />
ogni anno 830 milioni di tonnellate di anidride carbonica, un dato<br />
destinato a raddoppiare entro il 2020. Basti pensare che se si ricorre<br />
ai servizi on line per un totale di 100 ore al mese si producono 85,4<br />
Kg. di anidride carbonica, la stessa CO2 emessa da un’auto di media<br />
cilindrata nel tragitto Milano-Bologna. 500 e- mail al mese corrispondono<br />
a 114 Kg, 100 video su Youtube a 43,2 Kg. per una stima<br />
totale di 243,6 Kg. di anidride carbonica emessa ogni anno per ogni<br />
singolo navigatore. www.reteclima.it<br />
UN PENSIERO “CHARITY”<br />
PER SOSTENERE PICCOLE COOPERATIVE<br />
DI COLTIVATORI DI CAFFÈ NEL SUD DI HAITI<br />
L’iniziativa, promossa dalla Torrefazione Marchi, propone delle cialde di caffè<br />
Haiti Mocaya monorigine per una moka firmata dal noto designer Alessandro<br />
Mendini, prodotta in edizione limitata per le strenne natalizie. Parte del ricavato<br />
delle vendite verrà devoluto all’Associazione Internazionale Oxfam per garantire<br />
un reddito e un futuro più sicuro alle donne di Haiti. La Torrefazione Marchi<br />
nasce nel 1930 come bottega del caffè nel centro storico di Venezia. Da allora<br />
continua a torrefare artigianalmente il caffè scegliendo caffè pilati a mano provenienti<br />
dalle miglio aree caffeicole del mondo. www.torrefazionemarchi.it<br />
48 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015<br />
ECOBRICKS, I MATTONI<br />
DALLE BOTTIGLIE DI PLASTICA<br />
È di Susan Heisse, attivista ed ecologista dall’associazione Hug it<br />
Forward, questa semplice idea che sembra essere vincente, cioè quella<br />
di riutilizzare rifiuti inorganici per costruire edifici pubblici, in particolare<br />
scuole. Sono nati gli EcoBricks, mattoni fatti da bottiglie di<br />
plastica da due litri, riempite di rifiuti inorganici che vengono inserite<br />
nell’intercapedine tra i muri degli edifici, in modo da fornire non solo<br />
la struttura, ma anche un ottimo livello di isolamento per gli ambienti.<br />
Il progetto ha già portato risultati incredibili. In soli 69 mesi grazie agli<br />
EcoBricks sono stati innalzati 60 istituti in varie parti del pianeta con<br />
la collaborazione delle associazioni e delle istituzioni locali. La raccolta<br />
del materiale per riempire i mattoni è stata fatta con l’aiuto delle<br />
famiglie, puntando in particolar modo sul contributo dei bambini. Insegnare<br />
alle popolazioni locali il valore del riciclo della gran parte dei<br />
rifiuti inorganici è lo scopo ulteriore del progetto. www.ecobricks.org<br />
APERTO IL PRIMO ALBERGO<br />
ETICO IN ITALIA<br />
Ad Asti è stato inaugurato, a due passi dal Parco della Resistenza, il<br />
primo Albergo Etico gestito da personale con la sindrome di Down.<br />
L’albergo a 3 stelle, realizzato ristrutturando una casa di ringhiera a<br />
corte chiusa, dispone di 21 stanze, giardino interno e una reception<br />
innovativa pensata anche per il co-working. L’albergo coinvolge<br />
personale permanente e, a rotazione, sei giovani stagisti ai quali<br />
è dedicato l’ultimo piano per dare loro l’opportunità di maturare<br />
esperienze di lavoro e imparare a vivere soli. Una mano tesa ai 150<br />
milioni di turisti disabili presenti in Europa.<br />
www.albergoetico.asti.it<br />
AMPÈRE, IL PRIMO TRAGHETTO ELETTRICO<br />
AL 100%<br />
Il battesimo dell’acqua lo ha ricevuto in Norvegia dove il battello,<br />
lungo 80 metri, fa sponda tra i due moli delle città di Lavik e<br />
Oppedal nel Sognefjord. E’ il primo ferry totalmente a propulsione<br />
elettrica al mondo con emissioni e rumore ridotti a zero. Dotato di<br />
un sistema di batterie agli ioni di litio che si ricaricano in soli 10<br />
minuti e ricevono energia dalla centrale idroelettrica che fornisce<br />
i due villaggi, può ospitare 360 passeggeri e 120 veicoli. Ampère<br />
affronta il tragitto 34 volte al giorno ad una velocità di 20 nodi senza<br />
produrre alcun inquinante. www.rinnovabili.it/mobilita/norvegia-ampere-primo-traghetto-elettrico-666/<br />
49
Biblioteca della sostenibilità<br />
ORGANISMO DI CONTROLLO E CERTIFICAZIONE<br />
PER L’AGROALIMENTARE E L’AMBIENTE<br />
CONSUMO CONSAPEVOLE<br />
di L.O. Atzori , G. Amoruso, E. Baviera,<br />
A. De Rosa , D. Di Martino, M.G. Foddis,<br />
S. Rubini, E. Tarsitano<br />
A.I.B.A. Editore<br />
Pag. 359 - € 20,00<br />
Le domande che ci poniamo su tutti gli<br />
alimenti che consumiamo abitualmente sono<br />
tante. A queste domande rispondono un team<br />
di Biologi con consigli, curiosità e soluzioni<br />
raccolte in una guida pratica su come<br />
acquistare, trasportare, conservare, cucinare<br />
e consumare gli alimenti. Schede ricche di<br />
informazioni è possibile approfondiscono<br />
alcuni aspetti, dalle proprietà , alle frodi, alle<br />
intolleranze alimentari.<br />
I NUOVI ECOREATI<br />
di Carlo Ruga Riva<br />
Giappichelli Editore<br />
Pag. 110 - € 14,00<br />
Un commento alla legge n.68 del 22 maggio<br />
2015 dedicata ai delitti contro l’ambiente. Si<br />
prevedono nuovi delitti come inquinamento<br />
ambientale, disastro ambientale e omessa bonifica;<br />
nuove circostanze aggravanti rispetto<br />
alla associazione a delinquere di stampo mafioso<br />
legata all’ambiente; l’obbligo di ripristino<br />
allo stato dei luoghi; si estende a nuovi<br />
delitti come la disciplina della confisca; interviene<br />
sul tema del commercio di specie<br />
animali e vegetali. Per saperne di più.<br />
LA REPUBBLICA<br />
DEI CUOCHI<br />
di Guia Soncini<br />
Editore Il Mulino<br />
Pag. 83 - € 8,00<br />
Con piglio ironico e penna dissacrante,<br />
consapevole di confrontarsi con un tema<br />
nazionalpopolare, l’autrice, giornalista,<br />
attenta osservatrice del costume italiano,<br />
racconta il costume di un’Italia in cui gli<br />
italiani, inventori della pasta e della pizza,<br />
si ritrovano oggi a farsi piacere la senapata<br />
di albicocche e si domanda se si tratta di<br />
una mutazione genetica o solo di una moda<br />
anche se pervasiva come mai accaduto in<br />
passato.<br />
Più garanzie per tutti<br />
Suolo e Salute per la tua certificazione<br />
del Biologico<br />
del GlobalGap<br />
della Rintracciabilità di Filiera<br />
dell’Agricoltura Integrata<br />
Suolo e Salute si conferma primo Organismo di Controllo e Certificazione del Biologico in<br />
Italia. In questo settore certifica quasi 15.000 aziende (il 26% del totale) e quasi 500.000 ettari<br />
(oltre il 30% della superficie bio nazionale). Oltre al biologico offre altri servizi di certificazione,<br />
tra cui il GlobalGap, l’Agricoltura Integrata, la Rintracciabilità di Filiera, la Biocosmesi e<br />
le Denominazioni di Origine. È accreditato da Accredia, Ente nazionale di accreditamento,<br />
per diversi schemi di certificazione di prodotto ed è autorizzato dal Ministero per le Politiche<br />
Agricole, Agroalimentari e Forestali per il controllo e la certificazione delle produzioni<br />
regolamentate. Per maggiori informazioni visita il nostro sito: www.suoloesalute.it<br />
• DENOMINAZIONE D'ORIGINE PROTETTA •<br />
Per un preventivo gratuito: sviluppo@suoloesalute.it<br />
Suolo e Salute srl<br />
Via Galliera, 93 - 40121 Bologna (Bo) ITALY - Tel: +39 051 6751265 - Fax: +39 051 6751266<br />
BIOCOSMESI<br />
GREEN ITALY<br />
di Ermete Realacci<br />
Editore Chiarelettere<br />
Pag. 336 - € 15,00<br />
SPEZIE<br />
di Francesco Antinucci<br />
Editore Laterza<br />
Pag. 160 - € 16,00<br />
DOLCI VEGOLOSI<br />
di Autori Vari<br />
Feltrinelli Editore<br />
Pag. 160 - € 14,90<br />
SUOLO E SALUTE<br />
Un libro sempre attuale in cui l’autore ci<br />
ricorda che si può combattere la crisi se si<br />
saprà guardare l’Italia con occhi diversi<br />
da quelli delle agenzie di rating. Storie di<br />
un’alleanza tra imprese e comunità, tra<br />
ambienti e nuovi modi di vivere. Un Paese<br />
che si apre ai mercati globali e rinsalda i<br />
legami con il territorio. Un’idea di futuro per<br />
l’economia, la società e la politica.<br />
Le spezie hanno influenzato l’economia del<br />
mondo e hanno determinato gran parte della<br />
sua storia. La corsa alle spezie ha dato vita<br />
alla più lucrosa attività economica della storia<br />
umana. Alla fine di ogni capitolo l’autore ha<br />
inserito le istruzioni per farne esperienza<br />
diretta attraverso le ricette più tipiche e più<br />
eseguibili della cucina della Roma antica, del<br />
Medioevo e del Rinascimento.<br />
Un nuovo manuale con tutte le basi e tante<br />
proposte di golosità senza uova, burro e latte,<br />
dedicate ai vegani, ma anche a chi vuole<br />
scoprire un modo sano e naturale di concedersi<br />
dolci e rimanere in forma. Più di cinquanta<br />
ricette gustose e facili da realizzare.<br />
Tanti consigli, curiosità, trucchi da rubare e<br />
abbinamenti con vari tè. Spiegazioni chiare e<br />
dettagliate per ottenere risultati sicuri.<br />
50 ecoIDEARE - <strong>Novembre</strong> / <strong>Dicembre</strong> 2015
OLEVANO ROMANO | ROMA | MILANO<br />
— 2015 —<br />
COMUNE DI<br />
OLEVANO ROMANO<br />
robertomatteiDESIGN ©