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“INTEGRAZIONE DEL PROTOCOLLO EMDR NELLA TERAPIA ...

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cambiamenti, a volte significativi, ma molto lenti e non sufficienti, soprattutto dal punto di<br />

vista sintomatico.<br />

Nella nostra esperienza, l'installazione del “Posto al sicuro” e delle “Risorse” ha aiutato le<br />

pazienti che facevano abbuffate ad acquisire strategie che hanno consentito loro, quanto<br />

meno, di procrastinare l'abbuffata, riducendo il senso d'urgenza, e di percepire, di<br />

conseguenza, un senso di maggior controllo. (es. Alessia)<br />

Inoltre, la rapidità con cui si verificano, anche a livello profondo (di pancia e non solo di<br />

testa) cambiamenti, fino ad allora considerati impossibili o lentissimi, ha incremento la<br />

motivazione alla terapia.<br />

Quest'ultimo aspetto, tuttavia, è uno dei vantaggi, ma allo stesso tempo, è uno dei rischi<br />

da non sottovalutare quando si utilizza l'<strong>EMDR</strong> nel trattamento della patologia alimentare.<br />

Infatti, i pazienti che abitualmente si difendono dall'impatto delle emozioni, possono anche<br />

spaventarsi nel sentirle emergere così rapidamente e intensamente. In questo caso, se<br />

non sono fortemente motivate al cambiamento e non è stata fatta una sufficiente fase<br />

preparatoria di stabilizzazione, possono abbandonare la terapia. L'unico dropout/sospensione,<br />

riconducibile all'introduzione dell'<strong>EMDR</strong>, che abbiamo avuto fino a<br />

questo momento ha riguardato una diciottenne obesa, arrivata al nostro centro due anni<br />

fa, per un disturbo della condotta, la quale, a parole, vorrebbe superare il disturbo del<br />

comportamento alimentare, ma nei fatti è molto ancorata ai vantaggi secondari dei suoi<br />

molteplici disturbi. L'avere sottovalutato quest'aspetto e sopravvalutato l'alleanza<br />

terapeutica, mi hanno probabilmente indotta a non tenere sufficientemente presente la<br />

necessità di una maggiore stabilizzazione in fase preparatoria.<br />

b- Uno degli aspetti su cui la letteratura (Todisco, Vinai, 2008; Selvini, 2008) concorda è il<br />

fatto che questi pazienti utilizzano il cibo e/o l'abbuffata per regolare stati emotivi diversi<br />

che fanno fatica a discriminare e che questo comportamento è necessario a sostenere<br />

una difesa dissociativa.<br />

“L'alessitimia (difficoltà di percepire e identificare gli stati emotivi) è associata a diverse<br />

condizioni dello sviluppo e a molteplici tratti di personalità. Tuttavia, sono numerose le<br />

osservazioni cliniche e i dati sperimentali che la attribuiscono a esperienze traumatiche<br />

interpersonali dell'infanzia come il neglect e l'abuso, oppure che l'associano a quadri clinici<br />

dello spettro post-traumatico e alle loro difficoltà di trattamento (Helling 2009; McLean et<br />

al. 2006). Secondo alcuni studiosi l'alessitimia post-traumatica è un disturbo generato da<br />

uno stato di compartimentazione strutturale della personalità in cui è ostacolata<br />

l'integrazione delle informazioni sulle variazioni dello stato corporeo generate dalle<br />

emozioni e le capacità rappresentazionali ed esecutive delle funzioni mentali superiori<br />

(Clayton, 2004;Decety, Moriguchi, 2007; van der Hart et al., 2006). In altre parole, oltre ad<br />

essere una delle più evidenti forme di deficit metacognitivo, l'alessitimia può anche essere<br />

considerata una delle manifestazioni dei processi dis-integrativi o dissociativi che seguono<br />

ai traumi.” (Liotti, Farina, 2011, pag. 60)<br />

“Il rapporto tra trauma e dissociazione esiste, ma è probabilmente multifattoriale e non<br />

lineare (Giesbrect, Mercklebach, 2008). Fattori di dissociazione potrebbero essere<br />

riscontrati in esperienze di grave assenza di sintonia comunicativa fra il bambino e chi<br />

quotidianamente interagisce con lui, senza che per questo l'interazione sia traumatica, in<br />

particolari esperienze di attaccamento dove chi dà cura è emotivamente fragile ma non<br />

maltrattante ...” (Liotti, Farina, 2011, pag. 63)<br />

Queste osservazioni di Liotti e Farina, ci sono state utili per dare una possibile spiegazione<br />

a un fenomeno che abbiamo osservato spesso con questa tipologia di pazienti e che ci ha<br />

fatto sperare di avere trovato nell'<strong>EMDR</strong> uno strumento utile per spostare sul piano<br />

emotivo pazienti che, anche quando hanno un buono ingaggio terapeutico, fanno fatica a<br />

lavorare sulle emozioni. Già nella fase di “mappatura dei traumi”, infatti, sono spesso<br />

emerse manifestazioni emotivamente forti che, a mio avviso, possono essere legate al

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